1. Una panoramica sui metodi valutativi La dottrina aziendalistica

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1. Una panoramica sui metodi valutativi La dottrina aziendalistica
1. Una panoramica sui metodi valutativi
La dottrina aziendalistica riconosce l’esistenza di vari metodi atti a determinare il
valore del capitale economico di un’impresa. In particolare, è possibile individuare tre
macro-tipologie di riferimento:
metodi basati sull’analisi delle grandezze stock (metodo patrimoniale);
metodi basati sull’analisi delle grandezze di flusso prospettiche (metodo
reddituale e metodo finanziario);
metodi basati sull’impiego di moltiplicatori;
2. Considerazioni sull’utilizzo del metodo patrimoniale
Secondo molti autori il metodo patrimoniale non costituisce una metodologia completa
per la determinazione del valore economico del capitale e non consente di calcolare in
modo corretto il valore di un’azienda, in quanto non è atto a rappresentare in via
autonoma altro che una parte della complessa realtà dell’impresa.
Di questo avviso è Caramiello, il quale afferma che «la determinazione del valore
patrimoniale rappresenta, nel processo di determinazione del valore economico, una
fase, non un metodo» 1. Dello stesso parere è Paganelli, secondo cui il valore economico
del capitale «dipende non tanto dalle risorse a disposizione, ma dalla capacità di
utilizzare proficuamente tali risorse» 2. Anche Guatri sostiene che «i metodi patrimoniali
costituiscono raramente ed in particolari circostanze forme compiute di valutazione» 3.
Alcuni autori ritengono che tale metodologia sia accettabile, soltanto qualora il valore
complessivo degli elementi che compongono il capitale «non vari notevolmente col
variare della presunta capacità di reddito dell’ azienda» 4.
In particolare, la dottrina è concorde nell’affermare che il metodo patrimoniale non
consente una visione prospettica dell’ azienda, in quanto l’ analisi si basa essenzialmente
sulla rielaborazione di valore storici (grandezze stock), al contrario dei metodi finanziari e
reddituali, che sono impostati su un’ analisi per flussi.
Indicativa è anche l’impostazione adottata dall’UEC (Union Uropeenne des Experte
Comptables Economiques et Financiers): se in un primo momento (1963) aveva indicato
il metodo misto come quello più corretto per la determinazione del capitale economico,
successivamente (1981) con le «Racomandation sur les procedures a’ suivre per le
1
Si veda C. Caramiello, La valutazione dell’ azienda. Prime riflessioni introduttive, Milano, Giuffrè, 1993, p. 33.
Si rimanda a O. Paganelli, Valutazione delle aziende, Torino, UTET, 1990, p. 24 e ss.
3
Così, L. Guatri, La valutazione delle aziende. Teoria e pratica dei paesi avanzati a confronto, Milano, Egea. 1997, p.
205.
4
Cfr. P. Onida, Le dimensioni del capitale di impresa. Concentrazioni. Trasformazioni. Variazioni di capitale,
Milano, Giuffrè, 1951, pag. 176.
2
experts comptables en matiere d’ evaluation d’ entreprises» accoglie definitivamente i
metodi basati sui flussi, con evidente preferenza di quello reddituale 5.
Tanto premesso, si procede ad una sintetica descrizione del metodo.
Il bilancio, così come è, non consente di determinare correttamente il valore del
capitale economico dell’ azienda. Le poste in esso contenute sono infatti espresse a
valori storici, o meglio, a valori storici attuali; ciò significa che le quantità iscritte sono
frutto di scelte soggettive, fatte dagli operatori aziendali in funzione di finalità contingenti
di ordine fiscale, amministrativo e così via. In sostanza la somma algebrica del valore di
queste poste (ovvero il patrimonio netto) non rispecchia correttamente il valore del
capitale.
A tal fine occorre verificare:
-
per gli elementi attivi la presenza o meno di una sovrastima mediante una
dettagliata analisi che comprovi l’esistenza, la titolarità effettiva, la proprietà di tali
elementi e i criteri di valutazione adoperati per la loro iscrizione nell’ attivo della
situazione patrimoniale;
per gli elementi passivi la presenza di sottostime, sempre attraverso una verifica
dell’ esistenza di tali valori e dei criteri di valutazione adottati.
-
Nella pratica la rettifica in questione si risolve attraverso una riespressione a valori
correnti degli elementi attivi che erano stati iscritti nel bilancio a valori storici. I valori
correnti sono i valori mediamente espressi dal mercato nel momento considerato. In linea
di massima esistono due criteri finalizzati alla riespressione a valori correnti:
-
il criterio del valore di presunto realizzo, adatto per i beni destinabili allo
scambio e per i valori derivanti da beni, che sono già stati scambiati;
il criterio del valore di sostituzione o di riacquisto, per gli elementi a realizzo
indiretto.
In altre parole, si procede a ricalcolare il valore patrimoniale che rappresenta la
somma necessaria per ricomporre il capitale aziendale nelle condizioni in cui si trova al
momento considerato. In tal modo si passa, attraverso una serie di revisioni, dal
patrimonio netto contabile al patrimonio netto corrente.
5
Cfr. J. Viel-O. Bredt-M. Renard, La valutazione delle aziende, II Edizione, Etaslibri, Roma, 1991; L. Guatri, Il
metodo reddituale per la valutazione delle aziende. Nuovi orientamenti, Egea, Milano, 1996, p. 21.
3. Considerazioni sull’utilizzo del metodo finanziario
Il metodo finanziario rientra invece nei metodi basati sui flussi e consente di esprimere
il valore del capitale economico di un’azienda attraverso la sommatoria dei cash flows
prospettici attualizzati della stessa; in altre parole la valutazione è condotta sulla base
della liquidità che l’azienda è in grado di creare nel corso del tempo:
W = F1 (1 + i ) + F2 (1 + i ) + ... + Fm (1 + i )
−1
−2
−m
+ VF (1 + i )
−m
dove:
W
Fi
è il valore del capitale economico;
sono i flussi reddituali attesi anno per anno;
VF
i
è il valore finale dell’azienda (vedi sotto);
è il tasso di attualizzazione.
4. La stima del valore del capitale economico con l’impiego del metodo reddituale:
aspetti metodologici
Il reddito rappresenta la quantità che meglio si presta a misurare il valore del capitale
economico di una impresa. Non è infatti un caso che larga parte della dottrina europea
tenda a considerare l’approccio reddituale come quello più completo per determinare il
valore delle aziende.
A tal proposito osserva Guatri che «le due più forti scuole aziendalistiche dell’Europa
continentale (quella tedesca e quella italiana) hanno dunque fin dall’origine affermato la
validità pratica e l’esclusività concettuale della valutazione reddituale; che e’ per esse non
solo il metodo primigenio, ma una delle pietre angolari della loro complessa costruzione
scientifica»6.
A tal proposito, non è possibile scordare in che misura gli studi sul reddito, dalle
elaborazioni zappiane in poi, abbiano influito sulla maggior parte delle applicazioni
dell’economia aziendale.
Non deve quindi meravigliare il fatto che numerosi Autori del nostro Paese siano
concordi nel sostenere la attendibilità fornita dai metodi reddituali.
In particolare, la dottrina tende ad individuare quale ragione principale di questa
«eccellenza», il fatto che il reddito è una misura del capitale economico; questo significa
che il valore di un’azienda è una misura del grado con cui nel tempo un’impresa è in
grado di incrementare o diminuire il livello dei suoi profitti.
6
Si rimanda a L. Guatri, Il metodo reddituale, op. cit., p. 22.
In altre parole, impiegare il reddito, che è una grandezza chiave per tenere sotto
osservazione l’evoluzione delle dinamiche gestionali dell’azienda, consente di legare il
valore attuale dell’impresa alle performances future.
Peraltro il flusso reddituale nel breve-medio periodo presenta un alto grado di
prevedibilità, dal momento che i risultati economici riflettono le scelte e l’efficacia della
gestione, la quale si ritiene orientata ad un arco temporale di alcuni anni.
In altri termini, le decisioni prese dal management di una impresa correttamente
gestita, sono funzionali ed inquadrabili in un disegno strategico di più lungo periodo;
questo significa che degli effetti di tali scelte risentiranno sia i redditi immediati che, in
diversa misura, quelli futuri.
4.1 La stima del valore del capitale economico con l’impiego del metodo reddituale:
aspetti applicativi
Come accennato, questa metodologia si basa sul presupposto che il valore del
capitale economico di una azienda sia pari ad una sintesi dei livelli di reddito futuri
scontata attraverso un tasso di attualizzazione che rifletta il rischio generico di impresa e
specifico del settore. Questa quantità, è rappresentata dal WACC.
Quanto alla formula, essa può essere espressa alla seguente maniera:
−1
−2
W = R1 (1 + i ) + R2 (1 + i ) +...+ Rm (1 + i )
−m
+ VF (1 + i )
−m
dove:
W
Ri
VF
i
è il valore del capitale economico;
sono i flussi reddituali attesi anno per anno;
è il valore finale dell’azienda;
è il tasso di attualizzazione.
4.2 La determinazione del valore finale
L’opportunità di determinare questo valore è legata al fatto che ogni impresa, secondo
una chiave di lettura economico-aziendale, costituisce un istituto economico destinato a
perdurare. Per questa ragione, la dottrina ritiene opportuno considerare, oltre ai flussi di
reddito puntualmente attesi, anche il valore che l’impresa sarà in grado di generare oltre
l’orizzonte scrutabile da parte del management.
Il valore finale esprime, in sostanza, una misura sintetica dei risultati che si possono
generare nel futuro.
La relazione per la stima di tale quantità è la seguente:
VF =
Rf
i
dove:
Rf
è il flusso di reddito medio prospettico, pari a quello dell’ultimo esercizio
puntualmente indagabile o ad una media dei precedenti;
i
è il tasso di attualizzazione;
5. Il tasso di attualizzazione
Il tasso di attualizzazione svolge due distinte funzioni:
a) esprime la misura del valore finanziario del tempo, secondo quanto richiesto dalla
logica dell’attualizzazione;
b) esprime la misura della rettifica da apportare ai flussi monetari attesi in funzione
del profilo di rischio dell’iniziativa.
Esso può essere determinato attraverso la formulazione tradizionalmente definita del
costo medio ponderato o WACC (Weighted Average Cost of Capital):
WACC = k d (1 − t )
D
E
+ CAPM
D+E
D+E
In particolare, il CAPM (Capital Asset Price Model), consente di porre in relazione
all’interno della stessa formula:
a) il rischio di settore;
b) il rischio specifico dell’impresa;
Esso è pari a:
CAPM = r + [β × (rm − r )]
dove:
rm
è il tasso di rendimento delle attività prive di rischio;
è il coefficiente di rischio specifico;
è il rendimento atteso del mercato.
(rm – r)
è definito premio per il rischio
r
β
a) Il capitale proprio (E) e il capitale di terzi (D)
Il capitale proprio e il capitale di terzi sono riferiti all’ultimo esercizio e sono determinati
attraverso il prospetto di riclassificazione dello Stato patrimoniale secondo un criterio
funzionale.
b) Il costo del capitale di terzi (kd)
Il costo del capitale di terzi è dato dal rapporto fra gli oneri finanziari e le passività
finanziarie. Tale valore deve essere tuttavia espresso al netto dell’aliquota Ires corrente.
c) Il tasso di rendimento delle attività prive di rischio (r)
La prima componente della formula del CAPM sopra indicata, è rappresentata dal
tasso di rendimento delle attività prive di rischio. Al riguardo riteniamo opportuno
muovere alcune considerazioni.
Benché concettualmente si faccia riferimento ad un tasso privo di rischio («r» sta
appunto per riskless), è noto che nella realtà non esistono investimenti sicuri. Non vi
sono, in altre parole, soluzioni che consentano di remunerare il capitale in presenza di
rischi pari a zero.
Occorre pertanto chiarire il significato, specificando che esistono forme di investimento
la cui componente di rischio è talmente irrilevante, che è possibile ritenerla tendente a
zero, come accade, ad esempio, per la maggior parte dei titoli di Stato. Per questa
ragione è necessario prendere a riferimento il rendimento dei titoli di Stato, così come
indicato in maniera unanime da dottrina e prassi.
d) Il coefficiente di rischio specifico
Il coefficiente di rischio specifico, definito anche coefficiente beta, misura il rischio della
specifica azienda, espresso dalla volatilità del suo rendimento rispetto a quello dell’intero
mercato. Esso esprime, in sostanza, la rischiosità legata all’investimento in una realtà
imprenditoriale.
Valori di beta > 1 corrispondono, come ben noto, ad alti rischi, nel senso che esso
eccede il rischio medio di mercato. Valori di beta < 1 hanno ovviamente significato
opposto.
La determinazione del beta è legata ad alcune variabili di non sempre agevole
quantificazione. Fra esse si ricordano la dimensione dell’impresa, la ciclicità del settore,
le prospettive di crescita, il grado di leva operativa e di leva finanziaria.
e) Il premio per il rischio
Viene definito premio per il rischio la differenza fra rendimenti medi delle azioni e
rendimenti medi dei titoli privi di rischio. Al fine di determinare questo valore, di sicuro
ausilio possono essere le indicazioni provenienti dalla dottrina e dalla prassi. In tal senso,
abbiamo ritenuto opportuno prendere in esame le seguenti posizioni.
La maggiorazione per il rischio azionario (rm – r), prendendo a riferimento le stime di
Banca D’Italia e quanto indicato Guatri, nell’esperienza italiana oscilla tra il 3,5% e il 5%.
Naturalmente tale analisi può essere approfondita attraverso un opportuno utilizzo di
medie ponderate piuttosto che aritmetiche (sull’intero arco 1983-1997 la media aritmetica
ponderata è del 3,77%).