Il fundraising nel private equity Terms and Conditions

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Il fundraising nel private equity Terms and Conditions
Il fundraising nel private equity
Terms and Conditions
di
Emidio Cacciapuoti
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QUADERNI SULL’INVESTIMENTO NEL CAPITALE DI RISCHIO
Quaderni sull’Investimento nel Capitale di Rischio
Periodico di AIFI
Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt
Numero 39 – Anno 2016
Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 794 del 23 dicembre 2003
ISSN 1824-4734
ISBN 978-88-238-6205-0
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La pubblicazione, riproduzione o ristampa della rivista e degli articoli in essa contenuti è vietata, salvo autorizzazione scritta dall’editore previo consenso dell’autore.
Finito di stampare nel mese di luglio 2016
Questo numero è stato chiuso in redazione il 18 luglio 2016.
IL FUNDRAISING NEL PRIVATE EQUITY.
TERMS AND CONDITIONS
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Gli autori
Emidio Cacciapuoti è Socio dello Studio Legale e Tributario King & Wood Mallesons. Ha conseguito un Master in Diritto Tributario dell’Impresa presso l’Università Bocconi e un LLM presso
l’Università di Leiden (cum laude). È specializzato nella strutturazione e istituzione di fondi comuni
d’investimento alternativi, accordi di co-investimento e schemi di carried interest. Esperto di fiscalità finanziaria e dei fondi d’investimento, insegna Tax Law presso l’Università Carlo Cattaneo –
LIUC – di Castellanza e al Master di Diritto Tributario IPSOA (Wolters Kluwer).
Emidio Cacciapuoti is a partner at King & Wood Mallesons. He completed his Master in Corporate Tax Law at Bocconi University. He also took his LLM at the University of Leiden (cum laude).
Emidio specialises in private equity and investment fund structuring and formation, carried interest
scheme and co-investment arrangements. He is an expert of tax law. He teaches at Carlo Cattaneo
University and at Master of Tax Law organised by IPSOA (Wolters Kluwer).
IL FUNDRAISING NEL PRIVATE EQUITY.
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TERMS AND CONDITIONS
Indice
Abstract
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Introduzione
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1.
1.1
1.2
1.3
Le clausole di natura generale e quelle operative
La politica d’investimento
Durata del fondo e periodo d’investimento
Dimensione del fondo e periodo di sottoscrizione
1.3.1 Equalizzazione
1.4 Richiamo degli impegni di sottoscrizione e ipotesi d’inadempimento
1.4.1 Investitori inadempienti
1.5 Diritti di co-investimento
1.6 Trasferimento delle quote
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2.
2.1
2.2
2.3
2.4
I termini economici
La commissione di gestione
Le spese di pertinenza del fondo
Le transaction fee e altri proventi corrisposti alla società di gestione
Le distribuzioni agli investitori
2.4.1 La distribuzione del capitale
2.4.2 La formula di allocazione dei profitti e del capitale (waterfall)
2.4.3 Escrow e clawback
2.5 Le distribuzioni in natura
2.6 Accadimenti dopo la data di liquidazione finale del fondo
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18
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3.
3.1
3.2
3.3
Previsioni a tutela degli investitori
Key person e il change of control del gestore
Rimozione e sostituzione della società di gestione
L’impegno finanziario del gestore
26
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30
4.
Considerazioni conclusive
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Bibliografia
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QUADERNI SULL’INVESTIMENTO NEL CAPITALE DI RISCHIO
“The negotiations that swirl around the terms and conditions of venture capital, buyout, mezzanine and
other types of private equity funds are endlessly fascinating. (…) The tension lies in the conflicting aims,
conscious or unconscious, of the general and limited partners. There is, on the one end, the off-stated
intensions of the general and limited partners to align their financial interest through creatively constructive compensation structure. On the other hand, these fine intentions come into conflict with the
natural inclinations of individual parties to press for their own advantage. On its face, it is a simple issue. Yet, it is one that illustrates full well just how the idealised intention of these limited partnerships to
achieve mutual gain has run up against the timeless inclination of the individual human spirit to consider its own interest first” 1.
1
Private Equity Partnership, Terms and Conditions, Asset Alternative Inc. 1999.
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TERMS AND CONDITIONS
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Abstract
Il contesto economico degli ultimi anni ha modificato in modo sostanziale i rapporti e gli equilibri tra i
gestori dei fondi di private equity e i potenziali investitori, soprattutto per quel che concerne il mercato
italiano, il quale si caratterizza per le dimensioni più contenute dei fondi e per la strategia di investimento, generalmente focalizzata al territorio nazionale.
Numerosi gestori percepiscono la necessità di internazionalizzare la raccolta per raggiungere gli obiettivi dimensionali prefissati e auspicabili. Il ricorso ai “capitali esteri” diventa altresì necessario se si considera la graduale contrazione degli investimenti effettuati dal sistema bancario nazionale nel settore del
private equity, il quale ha rappresentato per molti anni la fonte di raccolta primaria.
In ogni caso, sia che si tratti di investitori italiani che stranieri, la relazione tra gestore e investitore è
profondamente cambiata a favore di un forte bilanciamento, o sbilanciamento, nei confronti degli interessi prevalenti dei potenziali investitori.
L’obiettivo del presente documento è di fornire un’analisi introduttiva in merito alle principali condizioni e termini (cc.dd. terms and conditions), sia strutturali che commerciali, che caratterizzano i fondi
d’investimento alternativi e, in particolare, i fondi di private equity. Per quanto sia difficile definire una
prassi di mercato, si cercherà di identificare gli elementi ormai consolidati nei rapporti negoziali tra gestore e investitore, nonché quelli che, invece, sono oggetto di continua evoluzione e negoziazione tra le
parti facendo altresì riferimento ad alcune peculiarità dei fondi di venture capital, infrastrutturali e di
debito.
The business environment of recent years has severely modified relations and balances between private
equity fund managers and potential investors. The impact has been particularly strong for the Italian
market, characterized by small funds as well as by investment strategies mainly focused on national territory.
A significant number of managers perceive the need of internationalizing fundraising in order to reach
the target set and desirable. “Foreign capital” becomes essential given the gradual decline of investments made by the national banking system in the private equity sector which, for many years, has represented the main source of funding.
However, both for Italian and foreign investors, the relation between manager and investor is deeply
changed in favor of a strong balance, or imbalance, towards the prevailing interests of potential investors.
Present document main goal is to provide an introductory analysis in relation to the key terms and conditions, both structural and commercial, which characterize alternative investment funds and, in particular, private equity funds. Although it is difficult to define a market practice, the paper will seek to identify elements already consolidated in business relations between manager and investors, as well as
those features that, on the contrary, are subject to a continuous evolution and negotiation between the
counterparts, referring also to some peculiarities of venture capital, infrastructural and debt funds.
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TERMS AND CONDITIONS
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Introduzione
Nel corso del 2015, l’attività di raccolta di capitali (fundraising) nel settore del private equity ha segnato
un anno record, con un incremento del 92% rispetto al 2014, evidenziando una consistente ripresa del
settore e, in particolare, l’interesse da parte degli investitori stranieri per il mercato italiano. Infatti, i dati
più recenti diffusi dall’AIFI 2 confermano il consolidamento degli investimenti esteri che, per il secondo
anno consecutivo, eguagliano i capitali impegnati dagli investitori nazionali. Il panorama degli investitori è ancora piuttosto eterogeneo. Se si esclude, infatti, la raccolta nel settore pubblico (fondi sovrani inclusi), i principali investitori sono rappresentati da fondi di fondi, fondi pensione, enti previdenziali, assicurazioni e persone fisiche. Le banche stanno continuando il graduale processo di dismissione dei portafogli di private equity e, anche nel 2015 come nel 2014, hanno rappresentato una fonte di raccolta minoritaria. Le statistiche internazionali relative al primo semestre del 2015 3 evidenziano un rallentamento
nell’attività di raccolta, dovuto principalmente a un incremento del c.d. “private equity dry powder”,
ovverosia del capitale sottoscritto e non ancora investito. Ciononostante, gli investitori hanno in larga
parte confermato l’intenzione di rinnovare, e in molti casi di incrementare, gli impegni finanziari nel settore per i prossimi due anni.
L’attuale contesto economico è, quindi, generalmente favorevole alla raccolta di capitali. Tuttavia, nel
corso degli ultimi anni è profondamente cambiato, nonché in continua evoluzione, lo scenario degli investitori, soprattutto nel mercato italiano. Nel corso del 2007 e del 2008, gli anni che hanno fatto segnare un record per ammontare di capitale raccolto dai gestori italiani di private equity, tra i principali investitori trovavamo le banche, le assicurazioni e persone fisiche e si segnava una bassissima presenza di
investitori stranieri. Oggi, come è noto, le banche stanno gradualmente concludendo un processo di ristrutturazione che le vede ridurre gli investimenti c.d. “alternativi”, mentre per effetto di alcune recenti
modifiche nella normativa 4, la platea di investitori persone fisiche che potranno sottoscrivere impegni di
sottoscrizione in un fondo chiuso riservato si riduce in modo sostanziale. Di contro, come già evidenziato, la raccolta dei gestori italiani si sta necessariamente allargando al mercato degli investitoti stranieri.
Si ritiene difficile, nell’attuale contesto economico, poter concepire una nuova iniziativa d’investimento,
che abbia una dimensione di almeno 100 milioni di Euro, senza il ricorso al capitale estero.
Gli investitori stranieri impiegano i propri capitali su larga scala, allocando all’Europa, e all’Italia in
particolare, parte di essi in base alle rispettive politiche d’investimento e di diversificazione. Come gli
investitori italiani, quelli internazionali sono interessati a massimizzare i propri ritorni sul capitale investito, tuttavia, questi ultimi sono generalmente più attenti alle politiche di governance dei fondi in cui
intendono investire, alle clausole che disciplinano gli accadimenti del fondo in caso venga meno
l’impegno delle c.d. key person e, più in generale, alle previsioni che garantiscono tutele per gli investitori in merito alla politica d’investimento oppure in caso di rimozione del gestore.
Il regolamento di un fondo stabilisce i termini e le condizioni essenziali per la sua operatività e gestione.
La struttura e la negoziazione di tali termini è di vitale importanza in quanto rappresenta il DNA operativo del fondo che rimarrà verosimilmente invariato per tutta la durata dell’investimento.
2
Rapporto Annuale AIFI 2015, Il mercato Italiano del Private Equity, Venture Capital e Private Debt nel 2015.
Preqin Investor Outlook: Alternative Assets, Q2 2015.
4
D.M. 5 marzo 2015, n.30 articolo 14, comma 2, emanato ex articolo 39 del D.lgs. 24 febbraio 1998, n.58.
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QUADERNI SULL’INVESTIMENTO NEL CAPITALE DI RISCHIO
Ai fini di un’analisi sistematica, suddivideremo le clausole in tre categorie principali:
•
•
•
Clausole operative e di struttura, che disciplinano alcuni sostanziali aspetti operativi quali,
per esempio, la durata del fondo, il periodo d’investimento, la dimensione del fondo oppure i
termini per i versamenti degli investitori e le clausole che disciplinano i casi di inadempimento.
Termini economici, tra cui l’ammontare della commissione di gestione, l’allocazione delle
cc.dd. transaction fee ovvero dei costi per operazioni non concluse, la struttura dei rimborsi del
capitale investito e dei proventi realizzati dal fondo (c.d. waterfall), nonché la determinazione e
le modalità di versamento del carried interest.
Governance/investor protection, per definizione e, soprattutto, per dettato regolamentare, gli
investitori non possono interferire nell’attività gestoria, con particolare riferimento alla selezione dell’oggetto e alla modalità dell’investimento. Il Regolamento emesso da Banca d’Italia sulla
gestione collettiva del risparmio che recepisce, nel nostro ordinamento, la Direttiva AIFM 5, riprende esplicitamente tale principio 6. Da parte, il gestore dovrà attenersi rigorosamente alla politica d’investimento definita nel regolamento del fondo che dovrà attuare in modo indipendente
rispetto a qualsiasi tentativo di ingerenza da parte degli investitori. Si rende pertanto necessario
prevedere alcune clausole che tutelino gli investitori qualora, sia in situazioni “patologiche”
(e.g. la perdita dei requisiti regolamentari da parte del gestore, oppure per gravi inadempienze
ad esso ascrivibili) che per valutazioni di natura soggettiva (e.g. venir meno del rapporto di fiducia nei confronti del team di gestione anche alla luce dell’attività di gestione svolta fino a
quel momento), consentano agli investitori di modificare l’assetto operativo e, se necessario
oppure opportuno, rimuovere e sostituire il gestore.
Nel corso della disamina delle diverse categorie, verranno proposti alcuni grafici che intendono fornire
un quadro di raffronto della prassi internazionale con quella italiana. Le tabelle, per quanto non possano
considerarsi delle statistiche puntuali su un campionamento dell’industria del private equity, rappresentano un’ottima approssimazione dell’attuale prassi di mercato sulla base di un’analisi empirica di circa
60 fondi che hanno finalizzato la raccolta nel corso del 2015 a livello europeo.
Si farà altresì riferimento alle linee guida (Versione 2.0, Gennaio 2011) emanate dall’ILPA (Institutional Limited Partners Association) in materia di strutturazione dei terms and conditions. L’ILPA è
un’istituzione, costituita negli Stati Uniti, che associa numerosi investitori e che si pone come finalità
quella di raccogliere e fornire delle raccomandazioni che consentano agli operatori del settore di negoziare i propri termini sulla base di un modello condiviso. La struttura delle linee guida ILPA risente, ovviamente, dell’influenza del mercato di riferimento dei propri aderenti (i.e. Stati Uniti) pertanto potrebbe
non trovare un accurato riscontro nella prassi dei fondi europei e di quelli italiani in particolare.
5
Direttiva 2011/61/CE.
Nota 3 a pagina I.2.2. del Regolamento di Banca d’Italia 19 gennaio 2015 riferita al paragrafo 1 del Titolo I, capitolo
II, sezione II in materia di fondi riservati.
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TERMS AND CONDITIONS
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1. Le clausole di natura generale e quelle
operative
1.1 La politica d’investimento
Il processo di raccolta inizia per il gestore con la definizione della politica d’investimento, la quale rappresenta un elemento essenziale nel processo di selezione dei progetti da parte degli investitori. Infatti,
la gran parte dei medesimi investitori sottoscrive impegni finanziari nell’ambito di un’ampia strategia di
investimento e seleziona i fondi in cui investire proprio per le caratteristiche peculiari delle loro politiche d’investimento. È pertanto necessario che la politica d’investimento sia definita nel regolamento in
modo chiaro e trasparente e che identifichi con precisione gli obiettivi degli investimenti, le eventuali
limitazioni geografiche e di settore, i limiti di concentrazione e gli strumenti utilizzati per realizzare la
predetta strategia.
Gli elementi essenziali che declinano la politica d’investimento di un fondo consentono agli investitori
di determinare il profilo di rischio del loro investimento e, per questo motivo, non potranno essere modificati nel corso della durata del fondo, a meno di un consenso molto rafforzato da parte di tutti gli investitori 7.
Sempre più investitori istituzionali richiedono ai gestori di indicare in modo analitico le attività e i settori (e.g. tabacco, alcol e commercio di armi) che non possono rientrare nell’oggetto tipico delle società
investite. Tale esclusione riguarda, in particolare, quei settori ritenuti non compatibili con i principi
d’investimento responsabile 8 inerenti alle politiche ambientali, sociali e di governance. Non si tratta di
una mera esigenza di tutela reputazionale ma della crescente consapevolezza che i fattori ESG possono
sviluppare un vantaggio competitivo e influire in modo positivo sulla performance degli investimenti 9.
1.2 Durata del fondo e periodo d’investimento
I fondi di private equity hanno solitamente una durata di dieci anni 10 che si suddivide in due fasi: un periodo nel corso del quale il gestore focalizza la propria attività nella ricerca, valutazione e finalizzazione
degli investimenti (il “periodo d’investimento”) e una fase successiva dedicata prevalentemente ai disinvestimenti. Il periodo d’investimento ha solitamente una durata pari a cinque anni con la possibilità
di estensione per ulteriori periodi di un anno, generalmente non più di due.
7
Si veda in tale senso anche ILPA, Private Equity Principles 2.0, Governance, 2011.
UNPRI, Iniziativa sui principi dell’investimento responsabile sostenuta dalle Nazioni Unite. Si tratta di una iniziativa
su base volontaria che offre agli operatori alcuni principi attraverso cui integrare i fattori ESG (Environmental, Social
and Governance) nel processo d’investimento in modo tale da allineare le politiche e le modalità di investimento a quelli della sfera sociale nel complesso.
9
Per un’analisi approfondita sui fattori ESG per gli operatori di private equity, si veda BVCA, Responsible Investments
– A guide for Private Equity and Venture Capital firms.
10
I fondi infrastrutturali investono, per definizione, in progetti che hanno obiettivi di lungo periodo, ne consegue che la
durata media di tali fondi è generalmente più lunga (e.g. dodici anni). Di contro, fondi specializzati in investimenti in
strumenti di debito potrebbero avere durata inferiore ai dieci anni.
8
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QUADERNI SULL’INVESTIMENTO NEL CAPITALE DI RISCHIO
A seguito della crisi finanziaria e del progressivo bilanciamento dei termini negoziali a favore degli investitori, il gestore potrebbe incontrare qualche resistenza ad inserire nel regolamento di un fondo la
possibilità di estendere il periodo d’investimento senza il preventivo consenso degli investitori stessi.
Una posizione di compromesso potrebbe prevedere la possibilità di una prima estensione di un anno a
totale discrezione del gestore, nonché di un’eventuale ulteriore proroga solo con il favore di tanti investitori che rappresentino almeno il 50% dell’ammontare sottoscritto nel fondo.
In considerazione anche del fatto che il periodo di detenzione medio degli investimenti, nel settore del
private equity, è progressivamente aumentato nel corso degli ultimi anni, laddove il periodo
d’investimento dovesse essere esteso oltre i termini ordinari, è probabile che si renda necessario altresì
un differimento della data di liquidazione finale del fondo. Pertanto, anche la durata del fondo dovrebbe
poter essere prorogata, magari con le stesse procedure e maggioranze che sono necessarie in caso di
modifica della durata del periodo d’investimento.
Fig. 1 Fonte KWM 2016 – Europa
Nel corso del periodo d’investimento, gli importi sottoscritti dovranno essere impiegati in modo efficiente e veloce. A tal fine, maggiore è il capitale investito e più alto è il suo rendimento prospettico. Tuttavia, il gestore dovrà considerare anche le necessità finanziarie del fondo dopo la scadenza del periodo
d’investimento, per far fronte alle spese operative (compresa la commissione di gestione) nonché alle
eventuali necessità di ricapitalizzare, oppure di effettuare investimenti ulteriori in società già detenute
dal fondo (cc.dd. investimenti follow-on). Il regolamento potrebbe prevedere la facoltà per la società di
gestione di concludere anticipatamente il periodo d’investimento una volta che l’importo investito sia
almeno pari a uno specifico ammontare (e.g. tra il 70% e l’80% del totale degli impegni finanziari degli
investitori). In tal modo, il gestore potrà valutare se procedere alla fase successiva dei disinvestimenti,
riducendo conseguentemente la commissione di gestione per gli investitori (infra paragrafo 2.1.) e potendo così anche intraprendere la raccolta di un fondo successivo.
Talvolta, gli investitori richiedono l’inclusione nel regolamento del fondo di una clausola che consenta
loro, attraverso un consenso qualificato (e.g. investitori che rappresentano almeno il 75%
dell’ammontare totale del fondo), la conclusione anticipata del periodo d’investimento. In tal modo, gli
investitori intendono tutelarsi dalla eventuale inattività del gestore nei primissimi anni di durata del fondo, durante i quali, come descritto nei paragrafi successivi, devono corrispondere commissioni di gestione calcolate sull’ammontare sottoscritto e, quindi, indipendentemente dall’effettivo impiego dei capitali. Si tratta comunque di una posizione che, ad oggi, può considerarsi ancora minoritaria e che è oggetto di forti resistenze da parte dei gestori, i quali la percepiscono, nella sostanza, come un’ulteriore facoltà degli investitori di rimuoverli senza giusta causa.
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TERMS AND CONDITIONS
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Fig. 2 Fonte KWM 2016 - Europa
Come anticipato, è prassi consolidata prevedere nei regolamenti la possibilità di estendere la durata
del fondo. Spesso i regolamenti dei fondi italiani mutuano la definizione di tale estensione dal precedente dettato regolamentare, riprendendo la terminologia di cui al provvedimento di Banca d’Italia datato 1 luglio 1998, il quale definiva il c.d. “periodo di grazia” come il periodo necessario per il completamento dello smobilizzo degli investimenti. Una lettura restrittiva della predetta formulazione, tuttavia, potrebbe limitare il fondo, proprio nella fase ultima delle dismissioni, in quanto sembrerebbe
escludere la possibilità di effettuare eventuali investimenti follow-on, i quali potrebbero essere strumentali alla medesima fase di liquidazione. Sarebbe, pertanto, preferibile chiarire che i periodi di estensione della durata del fondo non limitano l’operatività come appena descritto.
1.3 Dimensione del fondo e periodo di sottoscrizione
L’intero processo di fundraising è molto complesso, coinvolgendo numerosi soggetti sia interni che
esterni alla società di gestione. Solitamente, nel corso della fase preliminare della raccolta, il team di
gestione si rivolge agli investitori dei fondi precedenti, con i quali ha una consolidata relazione professionale e che sono in grado di prendere una decisione, circa il loro impegno finanziario, in tempi
relativamente brevi. L’obiettivo è quello di raccogliere, velocemente, un ammontare di sottoscrizioni
ritenuto sufficiente per l’avvio del nuovo progetto. Una volta raggiunto l’ammontare minimo, e formalizzato il c.d. “primo closing”, il fondo potrà avviare la propria attività di investimento e, al tempo
stesso, ammettere nuovi investitori fino al termine del periodo di sottoscrizione.
I regolamenti dei fondi di private equity stabiliscono quello che dovrà essere l’ammontare minimo,
ossia l’importo oltre cui le sottoscrizioni dei primi investitori si considerano definitive e raggiunto il
quale l’attività del fondo può essere avviata. Diversamente, molti documenti non forniscono alcuna
indicazione circa la dimensione massima consentita del fondo (c.d. “hard cap”). Si tratta, in realtà, di
un’informazione ritenuta indispensabile dalla maggioranza degli investitori, i quali richiederanno al
gestore impegni e dichiarazioni in tal senso con la sottoscrizione di una side letter. In questo modo,
gli investitori intendono assicurarsi, da un lato, che il proprio investimento sia proporzionato rispetto
alla dimensione totale del fondo, in modo da poter contenere il profilo di rischio dell’investimento e,
dall’altro lato, garantirsi che la dimensione del progetto e, quindi, la strategia d’investimento, sia adeguata all’esperienza e alla struttura operativa della società di gestione. Infatti, l’ammontare totale del
capitale raccolto determinerà la tipologia e la dimensione degli obiettivi d’investimento del fondo
stesso.
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QUADERNI SULL’INVESTIMENTO NEL CAPITALE DI RISCHIO
Il periodo medio per la raccolta di un fondo di private equity varia da 18 a 24 mesi a partire dalla data
del primo closing, come opportunamente indicato nel regolamento. Il mercato è solitamente diffidente
nei confronti di un gestore che non è in grado di terminare la raccolta entro il predetto limite, tuttavia,
per motivi di natura contingente 11, la società di gestione potrebbe far ricorso al limite più ampio previsto dalla normativa regolamentare, pari a 36 mesi 12.
1.3.1 Equalizzazione
Gli investitori che sottoscrivono quote di un fondo successivamente al primo closing sono tenuti a
corrispondere, in occasione del primo richiamo dei loro impegni di sottoscrizione:
• un importo, a titolo di commissione di gestione, calcolato applicando ai loro impegni di sottoscrizione la medesima percentuale complessivamente versata sino a quel momento dagli investitori che hanno sottoscritto quote del fondo precedentemente;
• la propria quota proporzionale dei versamenti effettuati fino a quel momento dagli altri investitori, al netto di eventuali restituzioni, distribuzioni ovvero di rimborsi di cui questi ultimi
siano stati nel frattempo destinatari;
• gli interessi sulle somme precedenti maturati a decorrere dalla data del primo closing.
Tale meccanismo di equalizzazione è necessario al fine di allineare la posizione finanziaria dei singoli
investitori, indipendentemente dalle rispettive date di sottoscrizione. Di fatto, tutti gli investitori saranno “trattati” come se avessero sottoscritto alla data del primo closing.
Il parametro di riferimento per il calcolo degli interessi dovuti (Euribor maggiorato di uno spread)
dovrà esprimere un corretto bilanciamento tra l’esigenza degli investitori della prima ora di vedersi
riconosciuto un ritorno per il maggior impiego di capitali sotto il profilo temporale, da una parte, e la
necessità che tale previsione non sia percepita come eccessivamente penalizzante dai sottoscrittori
successivi, dall’altra. Si tratta quindi di un valore fortemente influenzato dalle correnti condizioni di
mercato.
1.4 Richiamo degli impegni di sottoscrizione e ipotesi d’inadempimento
Nel corso della durata dell’investimento, gli investitori dovranno versare i rispettivi impegni di sottoscrizione in più soluzioni su richiesta del gestore in base alle esigenze finanziarie del fondo.
Alcuni investitori, per policy ovvero per procedure interne, hanno la necessità che le informazioni indicate nella richiesta di versamento siano conformi nei contenuti e, talvolta, anche nella forma, a un
modello di riferimento. Il gestore può prevedere nel regolamento del fondo che tale modulo sia sufficientemente dettagliato in modo da soddisfare tutte le possibili richieste da parte degli investitori oppure, in alternativa, non fornire informazioni specifiche nelle previsioni regolamentari e gestire le esigenze dei singoli investitori attraverso accordi ad hoc concordati in side letter.
Nel primo caso, a fronte di un modello di richiesta di versamento più complesso e strutturato, la società di gestione sarà in grado di “imporre” il proprio standard ed evitare così la predisposizione di documenti diversi per singoli investitori. Al contrario, qualora il regolamento non stabilisca alcun obbligo informativo specifico, la società di gestione dovrà probabilmente conformarsi alle esigenze dei
singoli sottoscrittori con il rischio di appesantire oltremodo le strutture operative interne.
11
Si pensi, per esempio, a quelle società di gestione che, nel corso del 2015, hanno dovuto dedicare risorse e tempo ai
numerosi adempimenti regolamentari in concomitanza con il recepimento della Direttiva AIFM.
12
D.M. 5 marzo 2015, n.30 articolo 10, comma 4, sancisce che il regolamento del fondo alternativo possa prevedere, al
fine di completare la raccolta, una proroga di 12 mesi del periodo di sottoscrizione la cui durata massima è fissata in 24
mesi dal precedente comma 3 del medesimo articolo.
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1.4.1 Investitori inadempienti
L’ipotesi di inadempimento da parte di un investitore è un evento piuttosto raro, soprattutto nella
fase più avanzata della vita del fondo. Infatti, maggiore è il capitale richiamato e più elevata è la
perdita a cui dovrà far fronte il soggetto inadempiente. Tuttavia, si tratta di un evento che potrebbe
avere gravi implicazioni per l’equilibrio finanziario del progetto d’investimento, è quindi opportuno
che il regolamento disciplini in modo accurato e sistematico tutte le criticità ad esso correlate.
In primo luogo, si renderà necessario far fronte alle esigenze finanziarie del fondo, soprattutto se il
richiamo dei versamenti oggetto dell’inadempimento è finalizzato alla conclusione di un investimento. In tal caso, i regolamenti dei fondi prevedono la possibilità di far ricorso all’indebitamento
per coprire le necessità di breve periodo.
La società di gestione, qualora avesse evidenza che l’inadempimento dell’investitore è dovuto a difficoltà solo temporanee oppure per complicazioni di natura meramente amministrativa nella raccolta
dei flussi, si limiterà a procedere con la riscossione del debito nel più breve tempo possibile, applicando altresì interessi di mora dalla data di scadenza del versamento dovuto. A differenza degli interessi di equalizzazione, che hanno una mera funzione perequativa, la penalità prevista per
l’inadempimento al versamento dovrà essere sufficientemente elevata, nei limiti prescritti dalla
normativa vigente, in modo da incentivare gli investitori ad una disciplina finanziaria rigorosa in
merito ai versamenti dovuti.
Nel caso invece in cui l’inadempimento non derivasse da difficoltà di natura temporanea, il regolamento di gestione dovrà prevedere una serie di rimedi e azioni da parte del gestore, tra cui, la possibilità di trasferire le quote del soggetto inadempiente a soggetti terzi, oppure agli altri investitori per
un corrispettivo ritenuto congruo dalla società di gestione 13. Ciò significa che le predette quote potrebbero essere trasferite anche per un valore molto basso, qualora il gestore ritenesse, nell’interesse
del fondo, che debba prevalere la necessità di assicurare continuità all’attività d’investimento. Si
tratterebbe, in sostanza, di assicurare i versamenti del capitale ancora richiamabile a discapito dei
versamenti già effettuati dall’investitore inadempiente.
Quale ultimo rimedio, la società di gestione potrebbe procedere con l’annullamento delle quote
dell’investitore inadempiente e la conseguente riduzione dell’ammontare totale del fondo.
È di tutta evidenza come l’inadempimento possa portare a conseguenze assai gravose per
l’investitore stesso. Ne consegue che, in fase di negoziazione dei termini del regolamento, gli investitori dovranno verificare con attenzione che le procedure per i versamenti al fondo siano compatibili con le loro strutture operative, in modo tale che non possano incorrere in fattispecie
d’inadempimento a causa di meri ritardi di natura amministrativa. A tal fine:
•
•
•
•
13
dovranno verificare che il termine per i versamenti sia congruo (solitamente variabile tra i
dieci e i quindici giorni). Si pensi ai fondi di fondi che, per ogni richiesta di versamento, potrebbero dover attivare la medesima procedura nei confronti dei loro investitori;
si assicureranno che i predetti termini facciano riferimento ai giorni lavorativi, possibilmente della propria giurisdizione;
verificheranno che il regolamento preveda l’obbligo, in capo al gestore, di attivare una procedura di sollecito prima di dichiarare lo status di inadempimento;
si assicureranno che, a fronte di inadempimento di un investitore, non sia previsto un meccanismo automatico in base al quale gli altri investitori dovranno far fronte al capitale non
versato.
Generalmente, i regolamenti prevedono la possibilità per la società di gestione di trasferire le quote, a un prezzo determinato dalla medesima, tenendo conto principalmente dell’interesse del fondo, senza la possibilità di alcun intervento
del soggetto inadempiente.
16
QUADERNI SULL’INVESTIMENTO NEL CAPITALE DI RISCHIO
1.5 Diritti di co-investimento
I regolamenti, spesso, prevedono la possibilità per i fondi di concludere accordi di co-investimento e
di sindacazione con soggetti terzi ovvero con uno o più investitori.
Tale clausola è spesso elemento di disaccordo con gli investitori. Alcuni di loro, facendo leva sul proprio impegno finanziario prospettico, richiedono diritti di co-investimento in via privilegiata. La maggioranza degli investitori, invece, non è disposta ad accettare che altri possano accedere direttamente
agli investimenti del fondo, a propria discrezione 14, incrementando così il capitale investito senza tuttavia corrispondere su tale importo alcuna commissione di gestione, nonché avere ritorni al lordo del
c.d. carried interest.
Le ipotesi di co-investimento rappresentano, di fatto, un’importante opportunità per la strategia del
fondo che, in alcuni casi, potrebbe necessitare di partner strategici per accedere ad alcuni investimenti
altrimenti preclusi per diverse ragioni (e.g. dimensioni, conoscenza del settore specifico).
Il regolamento del fondo dovrebbe prevedere tale opportunità stabilendo altresì alcuni presidi a tutela
degli investitori come, per esempio:
•
•
ogni diritto di co-investimento potrà essere riconosciuto solo se ciò è nell’interesse del fondo
(intendendosi per tale, a titolo esemplificativo, l’offerta di un’opportunità di co-investimento
qualora il progetto d’investimento abbia una dimensione maggiore dell’ammontare
dell’investimento che sarebbe appropriato per il fondo);
il relativo co-investimento dovrà essere disposto secondo il principio del c.d. pari passu (intendendosi che il relativo co-investimento dovrà essere realizzato e dismesso agli stessi termini, salvo ovviamente che sia disposto diversamente per previsioni di legge oppure regolamentari).
Talvolta, per garantire la necessaria flessibilità al gestore, nell’interesse del perseguimento della strategia d’investimento, il regolamento potrà prevedere una deroga al citato principio del pari passu se
ciò rappresenta il miglior interesse del fondo e, comunque, a seguito di preventiva comunicazione al
comitato degli investitori 15.
14
Infatti, il diritto in via privilegiata permetterebbe al co-investitore di decidere se investire o meno nel progetto proposto dalla società di gestione e che sarà comunque oggetto d’investimento da parte del fondo (c.d. cherry picking).
15
Il comitato degli investitori è un organismo composto da un numero variabile di membri, solitamente in base alla dimensione del fondo. Essi sono designati dagli investitori, non hanno alcun potere decisionale circa le opportunità
d’investimento (che rimane inderogabilmente in capo al gestore) ma sono chiamati, in primis, a dirimere situazioni di
conflitti d’interesse. Sono altresì chiamati a esprimersi in merito a materie e avvenimenti specifici quando il ricorso al
consenso di tutti gli investitori potrebbe risultare troppo complesso e articolato (si veda infra paragrafo 3.1 in merito alla
sospensione di un “evento di blocco”).
IL FUNDRAISING NEL PRIVATE EQUITY.
TERMS AND CONDITIONS
17
Fig. 3 Fonte KWM 2016 – Europa
1.6 Trasferimento delle quote
Nel corso degli ultimi anni, il mercato secondario del private equity ha subito una forte espansione soprattutto a livello internazionale 16. Esso non solo permette di rendere liquido un prodotto a lungo termine, come gli investimenti nel settore del private equity, ma è spesso riconosciuto come un efficace mezzo per facilitare la raccolta. Infatti, un soggetto che acquista una quota di un fondo, magari con uno
sconto sostanziale rispetto al valore di mercato, rappresenta un potenziale investitore per il fondo successivo.
I regolamenti dei fondi hanno solitamente clausole standard al riguardo. Il trasferimento delle quote può
essere effettuato solo nei confronti di investitori che hanno le caratteristiche regolamentari previste dalla
disciplina vigente e solo esclusivamente con il consenso preventivo della società di gestione, la quale
dovrà fare un’attenta valutazione circa la capacità del nuovo investitore di far fronte agli impegni finanziari. Per prassi, sono previste procedure semplificate, e il consenso del gestore non può essere ragionevolmente negato qualora il trasferimento avvenga nel medesimo gruppo esclusivamente per ragioni di
struttura ovvero organizzative.
Unico aspetto controverso è il diritto di prelazione che gli investitori generalmente richiedono in modo
da assicurarsi una corsia preferenziale nell’opportunità di acquisire quote da altri investitori. Ovviamente, tale ipotesi rappresenta un ostacolo per il gestore che preferirebbe avere la possibilità di “intercettare” nuovi potenziali investitori sul mercato del secondario.
16
Per un’approfondita analisi sul mercato del secondario si veda Il Mercato Secondario del Private Equity, di Giovanni
Orsi e Vittoria Perazzo, Quaderni AIFI, n. 36, 2014.
18
QUADERNI SULL’INVESTIMENTO NEL CAPITALE DI RISCHIO
2. I termini economici
Come vedremo nei paragrafi successivi, i termini economici che caratterizzano la struttura di un fondo
devono essere valutati nel loro complesso. Gli investitori, per esempio, nel negoziare il corretto importo
della commissione di gestione, non si limiteranno a valutare le modalità di determinazione della stessa
(i.e. percentuale e base di calcolo). La predetta analisi, infatti, non potrà prescindere dalle metodologie
di allocazione delle cc.dd. transaction fee, così come assumeranno importanza le clausole di attribuzione dei costi per operazioni non concluse.
2.1 La commissione di gestione
La commissione di gestione è concepita per coprire i costi funzionali e amministrativi della società di
gestione, tra cui le remunerazioni dei dipendenti, nonché i costi della struttura operativa.
La commissione di gestione non deve essere intesa come fonte di remunerazione di natura incentivante;
semplicemente essa rappresenta il mero corrispettivo riconosciuto per il servizio di gestione reso a favore del fondo. L’elemento incentivante dell’attività svolta è invece identificato nel c.d. carried interest.
Ne consegue che, per prassi di mercato, al crescere della dimensione del fondo, gli investitori tendono a
riconoscere un livello di commissione di gestione inferiore.
Storicamente, i fondi di private equity percepiscono una commissione di gestione calcolata sul totale
degli impegni finanziari per tutto il periodo d’investimento. Successivamente, la base di calcolo si riduce all’ammontare investito al netto dei disinvestimenti effettuati.
La soglia del 2% (calcolata su base annua) rimane ancora un parametro di riferimento per il mercato.
Tuttavia, come si evince dal grafico che segue, i gestori nel corso degli ultimi anni stanno sperimentando una crescente pressione da parte degli investitori a ridurre tale percentuale.
Fig. 4 Private Equity Monitor 2015 – Analisi delle commissioni di gestione – Fonte KWM – Europa
IL FUNDRAISING NEL PRIVATE EQUITY.
TERMS AND CONDITIONS
19
Per quanto concerne i fondi italiani, una commissione di gestione pari al 2% risulta ancora ampiamente
accettata (investitori stranieri inclusi), per i seguenti motivi:
a) la dimensione media dei fondi italiani, più bassa rispetto a quella dei principali mercati europei;
b) la riconosciuta complessità del contesto normativo e regolamentare nazionale che incrementa
in modo sostanziale i costi gestionali e amministrativi di una società di gestione del risparmio
italiana.
La commissione di gestione è corrisposta su base semestrale in via anticipata. Come descritto sopra, la
base di calcolo, per la fase successiva al periodo d’investimento, è pari al valore degli investimenti in
essere. Di regola, si fa riferimento al NAV (net asset value), così come determinato in base alle regole
contabili del fondo. Sarà quindi necessario prevedere nel regolamento gli opportuni aggiustamenti di valore in modo da allineare l’ammontare della commissione di gestione calcolata e percepita in anticipo
sul valore effettivo del NAV nel corso del periodo di riferimento, qualora differente.
Nel corso degli ultimi anni, nel mercato italiano si sta diffondendo una pratica già ampiamente diffusa a
livello internazionale; la previsione di diversi livelli commissionali a seconda di alcune caratteristiche
oggettive e soggettive degli investitori.
In alcuni casi, la società di gestione è disponibile a ridurre la commissione di gestione qualora
l’investitore abbia sottoscritto un impegno finanziario oltre una certa soglia, in modo da premiare e incentivare la fiducia accordata da taluni investitori. Altre volte, la riduzione della commissione è riconosciuta agli investitori che sottoscrivono quote al primo closing, in modo da assicurarsi il raggiungimento
della dimensione minima in tempi brevi e avviare l’attività d’investimento.
2.2 Le spese di pertinenza del fondo
I costi di pertinenza del fondo sono dettagliati in modo analitico nel regolamento. Alcune tipologie fanno semplicemente riferimento agli accordi sottoscritti con soggetti terzi (e.g. soggetto depositario, revisori contabili), altri sono indicati per tipologia e natura (e.g. spese di pubblicazione, spese legali, eventuali spese e/o compensi per il comitato investitori, spese di amministrazione ordinaria ecc.).
Talune voci di spesa sono invece oggetto di una disciplina più dettagliata. In particolare, gli oneri e le
spese correlate alla fase di strutturazione e costituzione del fondo sono a carico degli investitori (c.d.
spese di istituzione del fondo). Diversamente da quanto potrebbe evincersi da un’interpretazione letterale di tale tipologia di costi, devono ricomprendersi nella predetta definizione anche i costi sostenuti successivamente al primo closing e per tutto il periodo di sottoscrizione. L’ammontare totale è tuttavia soggetto a un limite massimo determinato come percentuale della dimensione del fondo ovvero sulla base
di un importo assoluto prestabilito. Gli investitori prediligono tale ultima opzione in modo da poter
quantificare ex ante i predetti importi. Inoltre, la consolidata prassi di mercato esclude in modo esplicito
dai costi d’istituzione, e comunque dai costi di pertinenza del fondo, le commissioni dovute in ragione
dell’attività di collocamento delle quote, che rimangono pertanto a carico della società di gestione.
I costi, le spese e gli oneri inerenti all’attività d’investimento e disinvestimento sono anch’essi allocati al
fondo e non sono oggetto di alcuna limitazione preventiva, anche in quanto una previsione in tal senso
limiterebbe la capacità del gestore di svolgere la propria attività nel miglior interesse del fondo.
Tuttavia, i regolamenti dei fondi definiscono in modo puntuale i “costi per operazioni non concluse”,
ovverosia tutti i costi, le spese e gli oneri sostenuti dal fondo in relazione ad un’opportunità
d’investimento/disinvestimento non andata a buon fine. In alcuni casi, gli investitori richiedono obblighi
di rendicontazione specifici in merito (generalmente a favore del comitato investitori), in modo da poter
monitorare l’attività del gestore con riferimento a una tipologia di costi che potrebbe avere un impatto
rilevante sulla performance dell’investimento. Inoltre, tali costi saranno portati a diretta compensazione
con eventuali commissioni o compensi positivi riconosciuti al gestore per l’attività direttamente o indirettamente correlata all’attività d’investimento (e.g. abort fee).
20
QUADERNI SULL’INVESTIMENTO NEL CAPITALE DI RISCHIO
2.3 Le transaction fee e altri proventi corrisposti alla società di gestione
Nel corso della vita del fondo, e in diretta ovvero indiretta correlazione con l’attività del fondo stesso, la
società di gestione potrebbe ricevere compensi, commissioni e remunerazioni di diversa natura. Si tratta,
per esempio:
•
•
•
dei compensi e delle commissioni percepiti a qualsiasi titolo dalla società di gestione per operazioni non concluse. È il caso, per esempio, degli indennizzi corrisposti da una controparte a
fronte del mancato adempimento degli accordi preliminari, solitamente previsti per compensare
i costi e le spese sostenute dalla società di gestione;
delle c.d. transaction fee, ossia ogni eventuale commissione di sindacazione ovvero qualsiasi
remunerazione percepita dalla società di gestione in diretta connessione con la realizzazione di
un investimento oppure disinvestimento;
delle commissioni di consulenza, diverse dalle precedenti, corrisposte alla società di gestione
per la prestazione di servizi di consulenza finanziaria e di strategia aziendale.
Come si evince dal successivo grafico, la prassi a livello internazionale prevede che tali proventi riducano in modo corrispondente la commissione di gestione e, quindi, siano a esclusivo beneficio del fondo.
Tale orientamento si è consolidato nel corso degli anni più recenti, laddove gli investitori, anche a seguito della crisi economico-finanziaria, dedicano maggiore attenzione ai termini economici dei fondi al fine
di massimizzarne i rendimenti. Le argomentazioni a sostegno di tale orientamento si basano principalmente sul fatto che la maggior parte delle attività che originano i predetti compensi rientrano nella gestione caratteristica per la quale il gestore è già remunerato.
Fig. 5 Fonte KWM 2016 – Europa
Come accade per la determinazione della commissione di gestione, il mercato italiano tende a distinguersi da quello internazionale e i gestori italiani sono spesso in grado di negoziare clausole che prevedono un’allocazione dei citati proventi tra il fondo e la società di gestione. Soprattutto con riferimento
alle commissioni di consulenza le quali rappresentano compensi per attività che hanno un beneficio effettivo e diretto per le società investite e che sarebbero state altrimenti rese da soggetti terzi, probabilmente, con un costo maggiore rispetto a quello applicato dal gestore. Due possibili opzioni sono: (i) la
equa suddivisione, i.e. 50%; (ii) un’allocazione non proporzionale (e.g. 80% a favore del fondo e 20% a
favore della società di gestione).
IL FUNDRAISING NEL PRIVATE EQUITY.
TERMS AND CONDITIONS
21
Ovviamente, come anticipato al paragrafo precedente, i proventi realizzati andranno in prima istanza a
compensare i costi sostenuti dal fondo per operazioni non concluse e solo l’eventuale eccedenza potrà
essere ripartita anche a beneficio della società di gestione.
2.4 Le distribuzioni agli investitori
Fin dalle sue origini, nel corso degli anni Ottanta, quando l’industria del private equity è uscita dalla fase di sviluppo embrionale e si è affermata negli Stati Uniti come asset class di rilievo, la struttura remunerativa e di allocazione dei proventi è sempre stata composta da tre elementi essenziali, le cui diverse
declinazioni danno origine a differenti modelli:
i)
il capitale, termine riferibile, a seconda dei casi, al capitale effettivamente versato e investito nel
fondo oppure all’ammontare totale degli impegni finanziari sottoscritti da un investitore;
ii) il rendimento preferenziale, che rappresenta il rendimento, calcolato sul capitale di volta in volta
impiegato, che deve essere garantito agli investitori prima che il gestore abbia diritto a ricevere il
carried interest. Tecnicamente, tale importo è calcolato applicando un tasso annuale (capitalizzato) sulla differenza positiva tra gli importi corrisposti al fondo dagli investitori e la somma degli importi complessivamente corrisposti ai medesimi investitori dal fondo. La prassi di mercato
prevede un rendimento preferenziale intorno all’8%.
Fig. 6 Fonte KWM 2016 – Europa
Tale dato è rimasto pressoché invariato fin dalle origini del private equity, quando l’8% rappresentava la
remunerazione media dei titoli di stato americani. Da allora, i ritorni sui predetti titoli si sono ridotti in
modo significativo mentre il rendimento preferenziale è rimasto pressoché invariato. Proprio per questi
motivi, alcuni operatori si chiedono oggi se tale concetto, o quantomeno l’attuale prassi, non debba considerarsi obsoleto e non giustificato 17;
17
Chris Witkowsky, Advent proposes dropping preferred return for next flagship megafund, 15 settembre 2015,
ThePEHUBNetwork.
22
QUADERNI SULL’INVESTIMENTO NEL CAPITALE DI RISCHIO
iii)
il carried interest, che corrisponde a quella parte di utili del fondo percepita dal gestore,
ovvero dal key management, che eccede la quota di utile pro-rata degli altri investitori 18. Si
tratta del più rilevante strumento di allineamento degli interessi tra investitori e gestori, il cui
obiettivo comune è la massimizzazione delle plusvalenze da realizzare 19.
2.4.1 La distribuzione del capitale
Sia gli investitori che i gestori concordano sulla necessità di rimborsare il capitale investito velocemente. Per ogni giorno che passa dalla realizzazione di un investimento alla distribuzione del relativo provento, si riduce progressivamente l’internal rate of return (IRR) del fondo. Ciò che contraddistingue le
differenti metodologie di strutturazione delle distribuzioni di un fondo è l’ammontare di capitale che deve essere allocato agli investitori prima dell’attribuzione del carried interest. Al riguardo si possono
tracciare almeno tre differenti impostazioni delineate di seguito, la prima molto favorevole agli investitori per arrivare alla terza sicuramente preferita dai gestori:
1. Nel primo caso, il carried interest potrà essere allocato solo successivamente alla distribuzione
di un importo pari all’intero impegno finanziario sottoscritto, indipendentemente
dall’ammontare effettivamente versato o investito. Si tratta di un’impostazione estremamente
prudenziale a favore degli investitori raramente utilizzata nella prassi di mercato. In tal caso, a
condizione che le distribuzioni non possano essere oggetto di nuovo richiamo, non sarà pertanto
necessario prevedere ulteriori clausole di restituzione (clawback) del carried interest eventualmente attribuito.
2. In alternativa, gli investitori riceveranno, in primis, un importo pari al capitale versato nel fondo.
Si tratta del c.d. “all contribution-preferred return back” il quale subordina l’allocazione del
carried interest all’integrale restituzione agli investitori dei versamenti effettuati e del rendimento preferenziale. Tale struttura è la più diffusa 20, soprattutto nel mercato europeo del private equity e trova conferma anche nella prassi nazionale. A maggior tutela degli investitori, sono solitamente previste opportune clausole di escrow in base alle quali, il carried interest attribuito al
gestore sarà versato in un conto vincolato a favore dei percipienti che potrà essere liberato al verificarsi di alcune condizioni (infra par. 2.4.3).
3. Oppure, il capitale da restituire agli investitori è calcolato con riferimento agli importi investiti
nelle società oggetto di realizzo. In questo caso, il gestore potrà ricevere il carried interest (calcolato secondo il metodo deal by deal) su una singola operazione d’investimento, indipendentemente dal rendimento degli investimenti ancora in corso. È di tutta evidenza come si tratti di
una struttura molto favorevole al gestore. In tal caso, gli investitori dovranno tutelarsi con clausole ancora più stringenti di escrow e clawback.
2.4.2 La formula di allocazione dei profitti e del capitale (waterfall)
Come anticipato, la struttura di waterfall largamente diffusa e accettata nel settore del private equity
è quella descritta al punto 2 dell’elenco precedente, la quale prevede che i rimborsi dei capitali investiti, e i proventi realizzati dal fondo, siano allocati in base al seguente schema:
(a) in primo luogo agli investitori, in proporzione ai rispettivi impegni di sottoscrizione, fino a
quando abbiano ricevuto l’intero importo dei versamenti effettuati a favore del fondo;
18
Tale definizione è stata mutuata dalla definizione inclusa nel “Regolamento in materia di organizzazione e procedure
degli intermediari che prestano servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio” del 29 ottobre 2007, emesso con atto congiunto da Banca d’Italia/Consob e aggiornato da ultimo dalle medesime Autorità in data 19 gennaio
2015, all’Allegato 2 paragrafo 1.
19
AIFI, L’investimento in un fondo di private equity: guida al processo di selezione e due diligence, 2012.
20
ILPA, Private Equity Principles 2.0, Appedinx B: Claw Back Best Practice Considerations, 2011.
IL FUNDRAISING NEL PRIVATE EQUITY.
TERMS AND CONDITIONS
23
(b) in secondo luogo, agli investitori, in proporzione ai loro rispettivi impegni di sottoscrizione,
finché abbiano ricevuto l’importo a loro dovuto a titolo di rendimento preferenziale;
(c) in terzo luogo, agli investitori titolari di quote di carried interest, fino a un importo pari al
25% 21 dell’ammontare versato di cui alla lettera (b);
(d) in quarto luogo, l’eventuale parte residua dell’ammontare distribuibile spetta, proporzionalmente ai loro rispettivi impegni di sottoscrizione, per l’80% a tutti gli investitori, e per il
20% agli investitori titolari di quote di carried interest.
L’esempio appena descritto ipotizza che la percentuale del carried interest sia pari al 20%, che rappresenta un consolidato standard di mercato22. In sintesi, gli investitori riceveranno, in via prioritaria, un
importo pari al capitale effettivamente investito e al correlato rendimento preferenziale. Dopodiché, gli
importi in eccesso saranno allocati alle quote di carried interest fino a raggiungere una corrispondente
quota del rendimento preferenziale (clausola di catch-up). Infine, le ulteriori allocazioni saranno ripartite in base al rapporto 80/20.
2.4.3 Escrow e clawback
Durante la vita di un fondo di private equity, il rendimento dei capitali investiti non è costante (come potrebbe accadere con riferimento a investimenti in strumenti di debito) e, in particolare, descrive la caratteristica J-curve. Infatti, nei primi anni di operatività e, generalmente, per tutto il periodo
d’investimento, un fondo accumula rendimenti negativi. Il rendimento tende a crescere successivamente
con i disinvestimenti delle società in portafoglio 23.
Ne consegue che, per effetto del meccanismo di distribuzione di cui al paragrafo 2.4.2, il carried interest solitamente matura nella fase più avanzata della vita del fondo, quando gli importi eventualmente
richiamabili agli investitori sono ridotti e il rendimento globale già cristallizzato sopra la soglia del rendimento preferenziale.
Tuttavia, è possibile che il fondo, già nel corso del periodo d’investimento, realizzi un profitto tale da
remunerare le quote di carried interest. In tal caso, qualora il rendimento del capitale richiamato successivamente non sia sufficiente a ripagare gli importi investiti, sarà necessario prevedere un meccanismo
di clawback del carried interest già versato.
Come si evince dal grafico che segue, la maggioranza degli investitori non ritiene che la clausola di
clawback sia sufficiente a garantire una corretta allocazione finale dei proventi. Pertanto, gli importi allocati alle quote di carried interest dovranno essere versati in un conto vincolato (escrow) a garanzia del
ricalcolo finale dei rendimenti del fondo.
21
La percentuale pari al 25% è calcolata come segue: (% di carried interest) / (1-% di carried interest). A titolo esemplificativo, qualora il carried interest fosse pari al 10%, la predetta percentuale risulterebbe pari a: (0,10)/(1-0, 10) =
11,11%.
22
L’analisi empirica di un campione di diverse decine di fondi italiani (Fonte Private Equity Monitor 2015), ha evidenziato come alcuni regolamenti hanno strutturato il carried interest in modo complesso, prevedendo una diversa percentuale di determinazione dello stesso a seconda del tasso di rendimento (IRR) degli investimenti di riferimento. In sintesi,
alcuni regolamenti di fondi italiani prevedono che, man mano aumenta il rendimento dell’investimento sottostante, si
incrementa la percentuale di carried interest. Nonostante non si tratti di una prassi né consolidata né tantomeno diffusa,
tale approccio ha il pregio di perseguire il c.d. allineamento degli interessi tra investitori e gestori.
23
Si veda in tal senso lo studio condotto da A. Ljungqvist e M. Richardson, Gennaio 2003, The cash flow, return and
risk characteristic of private equity, NBER Working Paper n. 9454.
24
QUADERNI SULL’INVESTIMENTO NEL CAPITALE DI RISCHIO
Fig. 7 Fonte KWM 2016 - Europa
L’utilizzo degli importi vincolati sarà autorizzato solo al fine di far fronte al pagamento di eventuali imposte dovute sul carried interest oppure qualora, nel corso della durata del fondo, gli investitori abbiano
già ricevuto un importo pari ai rispettivi impegni di sottoscrizione incrementati del rendimento preferenziale.
2.5 Le distribuzioni in natura
Come regola generale, i proventi derivanti dalla liquidazione degli investimenti sono distribuiti in denaro. Per ragioni di natura operativa, è consigliabile prevedere nella struttura di un regolamento la possibilità di effettuare distribuzioni in natura. Tale previsione è tuttavia spesso oggetto di contrasto con gli investitori, alcuni dei quali potrebbero subire delle limitazioni in conseguenza alla propria regolamentazione interna e, pertanto, non essere nella posizione di accettare distribuzioni in natura.
Ne consegue che l’applicazione di tale clausola è solitamente circoscritta alla fase di liquidazione finale
del fondo. In aggiunta, può essere prevista la facoltà per gli investitori di richiedere al gestore di continuare a gestire/detenere in deposito i titoli fino alla prima data utile per la liquidazione dei medesimi.
Ovviamente tale servizio non rientra nel mandato tipico di gestione del fondo e, ai fini del calcolo del
IRR del fondo, i titoli dovranno considerarsi distribuiti alla data di liquidazione del fondo per un valore
pari al valore di mercato da determinarsi in base a criteri oggettivi (e.g. se quotati, la media del prezzo di
quotazione dell’ultimo mese antecedente alla data di liquidazione del fondo oppure la valutazione di una
perizia redatta da un soggetto terzo).
2.6 Accadimenti dopo la data di liquidazione finale del fondo
Può accadere che, nel corso dell’ordinaria attività di dismissione degli investimenti del fondo, i contratti
relativi al disinvestimento prevedano clausole con corrispettivi differiti (c.d. earn out) e, talvolta, condizionati al raggiungimento di obiettivi di rendimento della partecipata. In tal caso, al momento della conclusione del contratto non è possibile quantificarne l’ammontare né prevedere se la condizione sarà realizzata. L’eventuale corrispettivo differito potrebbe essere corrisposto anche a distanza di anni e, se il
disinvestimento si è realizzato nella fase più avanzata della durata del fondo, successivamente alla data
di liquidazione finale. Si pone quindi il problema relativo alle modalità di gestione e allocazione dei
crediti futuri agli investitori quando il fondo non è più esistente come centro di imputazione d’interessi.
La prima verifica da effettuare riguarda la natura giuridica del fondo e la qualificazione del rapporto in
essere tra questo e la società di gestione. Nel caso specifico dei fondi chiusi italiani, anche in assenza di
una previsione ad hoc nel regolamento, le somme eventualmente versate al gestore in qualità di cedente
IL FUNDRAISING NEL PRIVATE EQUITY.
TERMS AND CONDITIONS
25
delle partecipazioni non potranno essere ascritte a quest’ultimo, ma saranno di pertinenza degli investitori, come esistenti alla data di liquidazione. Tutto ciò premesso, è comunque necessario disciplinare
l’operatività correlata a tale fattispecie.
Una prima soluzione potrebbe essere adottata nella fase di disinvestimento, prevedendo nel contratto stilato a tale scopo una disposizione che consenta di trasferire i diritti nascenti dal medesimo accordo (inclusi i crediti futuri) agli investitori. In tal caso, tali diritti potrebbero essere assegnati in fase di liquidazione del fondo. Rimarrebbero tuttavia da risolvere alcune difficoltà applicative legate alle modalità di
valutazione e contabilizzazione di un credito futuro ed incerto nonché un’incertezza circa la qualificazione fiscale delle somme successivamente incassate dagli investitori. Da ultimo, potrebbe essere opportuno prevedere che, già all’interno del regolamento del fondo, gli investitori rilascino alla SGR ex ante
un’espressa autorizzazione a gestire la suddetta fattispecie come meglio descritto nel regolamento.
In alternativa, ogni eventuale corrispettivo differito potrebbe essere versato alla società di gestione e
successivamente attribuito agli investitori esistenti alla data di liquidazione finale del fondo. Trattandosi
di una distribuzione operata in una fase in cui il fondo non esisterebbe più e quindi non regolamentata
dalle disposizioni del regolamento di gestione, si ritiene opportuno, anche per una certezza di qualificazione fiscale della natura delle somme in questione, prevedere una specifica disposizione in base alla
quale eventuali somme incassate dal gestore per effetto di contratti stipulati nell’esercizio delle proprie
funzioni di gestore del fondo ed i cui effetti dunque siano attribuibili alla sfera economica e giuridica del
medesimo fondo come patrimonio, seppur successivamente alla messa in liquidazione, debbano essere
attribuite agli investitori esistenti in tale momento storico (ossia, quello della liquidazione), secondo le
previsioni del regolamento in materia di distribuzioni.
Nel corso dell’attività di dismissione delle partecipazioni, il gestore spesso concede garanzie e indennizzi ai soggetti cessionari. Si tratta di potenziali passività che derivano da accordi di cui si tiene debitamente conto nella fase di liquidazione del fondo. Tuttavia, è possibile che sorgano, anche dopo la data di
cessazione del fondo, oneri e passività non preventivati, né tantomeno prevedibili, che graverebbero esclusivamente sul patrimonio gestore, ancorché riferibili all’attività d’investimento del fondo ormai estinto.
Per quanto si tratti di eventi piuttosto rari, il gestore dovrà tutelarsi in tal senso e, pertanto, il regolamento potrà prevedere la facoltà per la società di gestione di richiedere la restituzione degli importi distribuiti dal fondo allo scopo di assicurare la copertura delle passività del fondo e di eventuali indennizzi. Tale
clausola è fortemente contestata dagli investitori i quali, una volta concluso l’investimento, non sono disposti ad assumere rischi indefiniti e non quantificabili.
La negoziazione tra le parti potrebbe risolversi con la previsione di alcune limitazioni sia temporali (e.g.
18 mesi successivi alla conclusione della liquidazione del fondo) che quantitativi (e.g. gli importi potenzialmente oggetto di restituzione non possono eccedere gli importi ancora richiamabili alla data della liquidazione). In tal modo, da un lato, si riduce l’esposizione della società di gestione e, dall’altro lato, gli
investitori non assumeranno, in alcun caso, passività superiori al capitale sottoscritto.
26
QUADERNI SULL’INVESTIMENTO NEL CAPITALE DI RISCHIO
3. Previsioni a tutela degli investitori
Un fattore essenziale nel processo d’investimento in un fondo di private equity è rappresentato dalla valutazione del team d’investimento e della struttura operativa della società di gestione. L’investitore verifica il track record del gestore valutando la coerenza delle sue esperienze pregresse con la strategia
d’investimento del fondo. Una volta effettuata la scelta d’investimento da parte dell’investitore, la società di gestione opererà ed effettuerà le proprie scelte d’investimento e disinvestimento in totale autonomia e senza alcuna ingerenza dei sottoscrittori del fondo. Si rende pertanto necessario prevedere e disciplinare alcune circostanze ritenute critiche che possano indurre gli investitori, attraverso maggioranze
semplici oppure qualificate a modificare gli assetti operativi del fondo fino al caso limite della sostituzione della società di gestione.
3.1 Key person e il change of control del gestore
Come anticipato, la scelta d’investimento si basa in gran parte sulla fiducia dell’investitore nel gestore e,
più in particolare, in alcune figure chiave, i cc.dd. key person. Infatti, spesso accade che vi sia una forte
identificazione dello stile gestorio della SGR con quello di alcuni soggetti rilevanti. I regolamenti dei
fondi di private equity contengono spesso clausole a tutela degli investitori rispetto alla continuità del
progetto.
Le key person saranno pertanto soggette a una clausola di esclusiva (c.d. time dedication), in base alla
quale si impegnano, quantomeno per tutta la durata del periodo d’investimento, a dedicare tutto (oppure
la gran parte) del proprio tempo lavorativo alla gestione del fondo. Spesso gli investitori considerano la
fase di disinvestimento (successiva al periodo d’investimento) altrettanto importante e richiedono, quindi, che la predetta clausola sia ulteriormente estesa. In tal caso, sarà necessario coordinare le previsioni
del regolamento con quelle di altri fondi gestiti dalla medesima società di gestione. Solitamente, infatti il
riferimento alla time dedication è esteso anche ai fondi precedenti e non soltanto a quelli successivi al
fondo oggetto d’investimento.
Stesso principio vale per l’eventualità che la società di gestione modifichi il proprio assetto societario
nel corso della vita del fondo. I nuovi azionisti, soprattutto nel caso di partecipazioni di controllo, potrebbero avere un’influenza, ancorché indiretta, rispetto alle strategie del gestore. In entrambi i casi, ovverosia qualora si verificasse una modifica sostanziale dell’assetto partecipativo della società di gestione, oppure laddove una key person non adempia agli obblighi di esclusiva, i regolamenti solitamente
prevedono il verificarsi di un “evento di blocco”, il quale comporta l’immediata sospensione dell’attività
d’investimento, e in alcuni casi, anche dei disinvestimenti.
Durante la fase di sospensione, gli investitori potrebbero richiedere che la commissione di gestione sia
calcolata, in ogni caso, con riferimento all’ammontare investito piuttosto che sul totale degli impegni di
sottoscrizione. Si tratta, ovviamente, di previsioni che non trovano il favore del gestore, in quanto potrebbero avere un impatto sostanziale sul proprio business plan che si basa, quantomeno per tutto il periodo d’investimento, su un flusso di commissioni di gestione stabile e predeterminato.
Al verificarsi di un “evento di blocco”, è interesse condiviso dalle parti risolvere al più presto la sospensione per dare continuità al progetto d’investimento oppure, ove necessario, concluderlo anticipatamente. In tal caso, l’iniziativa è affidata agli investitori i quali, attraverso il loro consenso (che può essere a
maggioranza semplice o qualificata), potranno decidere se:
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rimuovere definitivamente l’evento di blocco e consentire al fondo la normale operatività, nonostante il nuovo assetto partecipativo della società;
sostituire la key person oppure concordare che i rimanenti key person possano svolgere e perseguire in modo adeguato la strategia d’investimento del fondo e, pertanto, rimuovere la causa di
blocco; oppure
deliberare la conclusione del periodo di investimento e la messa in liquidazione del fondo.
Come si evince dagli esempi appena descritti, l’evento di blocco potrebbe comportare conseguenze rilevanti per l’intero progetto. Si renderà quindi necessario istruire un processo di verifica e valutazione che
coinvolge tutti gli investitori e che potrebbe durare mesi. Nella strutturazione delle clausole che disciplinano la sospensione dell’attività del fondo a causa di un evento relativo alle key person, si dovranno
considerare con attenzione previsioni solitamente ritenute marginali come, per esempio, i tempi e le
procedure di esecuzione delle attività correlate (e.g. proposizione e sostituzione della key person, risoluzione della sospensione del periodo d’investimento).
È evidente come il periodo di sospensione possa compromettere la realizzazione di opportunità
d’investimento particolarmente interessanti e, in alcuni casi, rischi di esporre il fondo a potenziali contenziosi con soggetti terzi con cui la società di gestione ha sottoscritto impegni di qualsiasi natura prima
dell’evento di blocco. Al fine di consentire al gestore di operare comunque nel miglior interesse del fondo, il regolamento dovrebbe prevedere la possibilità per la società di gestione di sottoporre di volta in
volta all’approvazione del comitato investitori (si veda nota 15 supra) l’opportunità di investimento ovvero il disinvestimento. Fermo restando che, in tal caso, il comitato investitori non dovrà valutare gli aspetti commerciali dell’investimento (disinvestimento) in questione ma dovrà esclusivamente stabilire
se, in quel determinato momento storico e considerando le cause dell’evento di blocco, il gestore dispone delle competenze e delle capacità operative per procedere con la relativa operazione; ciò al fine di
non inficiare l’indipendenza del gestore nell’assunzione, in ultima istanza, delle citate scelte di investimento.
3.2 Rimozione e sostituzione della società di gestione
Sia gli investitori, sia la società di gestione perseguono un obiettivo condiviso: che il fondo sia performante e garantisca ritorni adeguati alle aspettative del progetto. Tuttavia, è necessario che il regolamento preveda clausole a tutela degli investitori qualora tali aspettative siano disattese. Ciò comporta la possibilità di sospendere il periodo d’investimento (si veda paragrafo 1.2 supra) e, eventualmente, deliberare la rimozione e la sostituzione della società di gestione.
La sostituzione del gestore rappresenta un evento traumatico per la vita del fondo e il regolamento dovrà
prevedere in modo analitico e dettagliato la determinazione di tre elementi essenziali:
a) Le cause della sostituzione. Oltre alle fattispecie descritte al paragrafo 3.1 precedente (cc.dd.
key person event), i regolamenti prevedono una serie di eventi che danno luogo a un evento di
blocco, tra i quali:
i) in caso di liquidazione coatta amministrativa o amministrazione straordinaria della società di gestione;
ii) a seguito della perdita o sospensione dell’autorizzazione alla prestazione dell’attività di
gestione collettiva del risparmio;
iii) in conseguenza di atti dolosi o gravemente colposi compiuti dal gestore nella gestione
del fondo o di gravi violazioni delle disposizioni del regolamento ovvero di norme di
legge disciplinanti la prestazione dei servizi di gestione collettiva del risparmio. Al riguardo, sarebbe opportuno che tali fattispecie siano accertate con una sentenza passata
in giudicato oppure, per potere addivenire ad una più rapida definizione della questione,
da una decisione degli investitori assunta con maggioranza qualificata.
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QUADERNI SULL’INVESTIMENTO NEL CAPITALE DI RISCHIO
Nei casi appena descritti, la sostituzione del gestore sarebbe condizionata a una delle cause elencate.
Tuttavia, è prassi consolidata che i regolamenti dei fondi di private equity prevedano la sostituzione della società di gestione anche senza giusta causa.
Fig. 8 Fonte KWM 2016
b) Le procedure e la tempistica per la sostituzione. In caso di rimozione con giusta causa, il regolamento dovrà consentire, in qualsiasi momento della durata del fondo, di procedere rapidamente al fine di permettere il ripristino dell’attività del fondo, laddove possibile. In tal caso, gli investitori, generalmente, deliberano con maggioranza semplice. Qualora, invece, la sostituzione
derivasse, più semplicemente, dal venire meno del rapporto di fiducia con il gestore e dalla
convinzione che, seppure in assenza di fattori c.d. “patologici”, la società di gestione non è in
grado di perseguire gli obiettivi del fondo, la decisione di sostituzione dovrebbe riguardare un
consenso più ampio degli investitori e, quindi, una maggioranza rafforzata (e.g. 75% degli importi sottoscritti). Inoltre, al fine di evitare eccessive pressioni sul gestore, il quale potrebbe essere indotto a forzare l’attività di investimento per il timore della sostituzione, è prassi consolidata prevedere un periodo iniziale della durata del fondo nel corso del quale non è possibile rimuovere e sostituire la società di gestione senza una giusta causa. Inoltre, nei casi di rimozione
senza giusta causa, i gestori sono soliti garantirsi altresì un indennizzo pari a un multiplo della
commissione di gestione dovuta in un anno. È evidente che, il numero di anni di standstill insieme all’indennizzo garantiscono al gestore una sorta di periodo di grazia nel corso del quale
l’ammontare delle commissioni di gestione è garantito. Nella fase di negoziazione i due parametri sono quindi valutati congiuntamente.
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Fig. 9 Fonte KWM 2016
Fig. 10 Fonte KWM 2016 – Europa
c) La gestione del carried interest. La sostituzione del gestore comporta, come diretta conseguenza, la necessità di riallocare le quote di carried interest. Infatti, salvo casi peculiari 24, il nuovo
gestore sarà disponibile ad accettare l’incarico a condizione che vi siano prospettive di conseguire una remunerazione incentivante come il carried interest. Anche in questo caso, è necessario distinguere la sostituzione per giusta causa con la medesima fattispecie deliberata senza giusta causa. Nel primo caso, il regolamento generalmente prevede il trasferimento delle quote di
carried interest al nuovo gestore per un corrispettivo pari al minor importo tra i versamenti effettuati fino alla data di sostituzione e il NAV delle medesime quote. La ratio di tale previsione
24
Si pensi all’esempio in cui il fondo è prossimo al termine della sua durata ed è poco performante, il valore delle quote
di carried interest è probabilmente pari a zero. Ne consegue che, l’interesse di un potenziale gestore, in sostituzione del
precedente, non potrebbe essere correlato alla realizzazione di extra profitti derivanti dalla gestione del fondo quanto,
piuttosto, dalla possibilità di instaurare nuove relazioni con potenziali investitori per la raccolta di fondi successivi.
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QUADERNI SULL’INVESTIMENTO NEL CAPITALE DI RISCHIO
è quella di non penalizzare il nuovo gestore a causa delle eventuali perdite accumulate dalla
precedente gestione. Qualora, invece, la rimozione fosse deliberata senza giusta causa, il valore
del carried interest maturato alla data di sostituzione è riconosciuto al gestore sostituito sotto
forma di vesting (i.e. il gestore avrà diritto a mantenere una partecipazione determinata in base a
uno schema di maturazione progressivo sulla base del numero di anni di gestione) oppure sotto
forma di indennizzo da corrispondere solo al termine della liquidazione del fondo.
3.3 L’impegno finanziario del gestore
Un altro elemento importante ai fini dell’allineamento degli interessi tra investitori e gestore è rappresentato dall’impegno finanziario del gestore nel fondo. In particolare, nel corso degli ultimi anni, per alcuni investitori istituzionali, soprattutto quelli stranieri, è diventato imprescindibile prevedere che i key
person sottoscrivano un impegno finanziario tangibile in modo tale da partecipare insieme agli investitori al capitale di rischio.
A fronte di questa prassi ormai consolidata, gli operatori del settore si sforzano di stabilire dei criteri
oggettivi, di individuare un trend di mercato, al fine di determinare la corretta percentuale, rispetto alla
dimensione totale del fondo, dell’impegno richiesto al gestore.
Fig. 11 Fonte KWM 2016 – Europa
Il grafico sembra suggerire che gli investitori si aspettano un impegno che generalmente si attesta
all’1%. Tuttavia, nonostante le indicazioni che possiamo dedurre dalla recente prassi, è opportuno sottolineare come la finalità di tale sottoscrizione sia quella della condivisione del rischio. Pertanto, la valutazione della congruità dell’investimento dei manager dovrebbe essere fatta tenendo conto di criteri
soggettivi, i.e. la disponibilità economica e patrimoniale dei key person. Non dovrebbe rilevare, infatti,
la proporzione tra investimento del manager e dimensione del fondo, quanto piuttosto il rapporto del
medesimo investimento con il patrimonio personale. Si tratta tuttavia di informazioni sensibili e difficilmente verificabili, pertanto l’attenzione torna sulla determinazioni di criteri più oggettivi.
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4. Considerazioni conclusive
L’analisi dei precedenti paragrafi ha cercato di fornire, senza pretesa di esaustività, una descrizione dei
principali termini negoziali nella strutturazione di un fondo di private equity, cercando, inoltre, di delineare una panoramica internazionale della prassi consolidata.
In sintesi, è possibile affermare che, nel corso degli ultimi anni, il ruolo degli investitori si è evoluto.
Fermo restando la prerogativa, anche regolamentare, che gli investitori non possono “interferire” con
l’attività di gestione, i medesimi hanno gradualmente incrementato i presidi a tutela dell’investimento,
soprattutto con riferimento alle clausole di governance e investor protection. Non si tratta di una tendenza di natura temporanea ma di trasformazione di carattere strutturale che è destinata a perdurare.
Altro elemento di riflessione conclusiva riguarda la prassi di mercato e le statistiche di settore. Per quanto esse possano rappresentare un ottimo punto di riferimento nella fase di strutturazione e negoziazione
dei termini essenziali di un fondo, l’esperienza insegna altresì che è sempre necessario considerare le
peculiarità dei settori di riferimento nonché dei medesimi gestori. Le criticità riguardano soprattutto i
termini economici. Per esempio, un investitore che adotta una politica molto aggressiva in termini di
commissioni di gestione, imponendo riduzioni significative, rischia di indebolire la struttura operativa
del gestore, a discapito dell’attività d’investimento, monitoraggio e disinvestimento. Allo stesso modo,
pretendere impegni di sottoscrizione da parte dei manager, sproporzionati rispetto alla loro posizione
patrimoniale e finanziaria, potrebbe indurre i medesimi ad adottare una politica molto prudente e poco
performante nella gestione delle scelte d’investimento.
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QUADERNI SULL’INVESTIMENTO NEL CAPITALE DI RISCHIO
Bibliografia
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AIFI, Rapporto Annuale AIFI 2015, Il mercato Italiano del Private Equity, Venture Capital e Private
Debt nel 2015
AIFI, Il Mercato Secondario del Private Equity, di Giovanni Orsi e Vittoria Perazzo, Quaderni AIFI, n.
36, 2014
BVCA, Responsible Investments – A guide for Private Equity and Venture Capital firms
Chris Witkowsky, Advent proposes dropping preferred return for next flagship megafund,
ThePEHUBNetwork, 15 settembre 2015
ILPA, Private Equity Principles 2.0, 2011
Ljungqvist e M. Richardson, The cash flow, return and risk characteristic of private equity, NBER
Working Paper n. 9454, Gennaio 2003
Preqin Investor Outlook: Alternative Assets, H2 2015
Private Equity Partnership, Terms and Conditions, Asset Alternative Inc. 1999
PEM® - Private Equity Monitor, “Rapporto Italia”, pubblicazione interna, 2015