L`adolescente e i gruppi dei coetanei

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L`adolescente e i gruppi dei coetanei
L’adolescente e i gruppi dei coetanei
1. Il ruolo delle interazioni sociali nello sviluppo degli adolescenti
Il ruolo delle interazioni sociali nello sviluppo degli adolescenti può essere compreso solo se si
coordinano i concetti e i dati derivanti dall'analisi di tipo sociologico con quelli relativi alle
interazioni sociali concrete tra individui e alle caratteristiche funzionali di questi ultimi, a livello
psicologico.
Da un lato, infatti, le situazioni sociali specifiche che gli individui si trovano di fronte nella vita di
ogni giorno sono determinate da un tessuto sociale e da un ambiente fisico assai ampi, dotati di
significati e valori culturali loro propri maturatisi storicamente. Esse non possono essere ridotte ad
un flusso della coscienza individuale o a conflitti psichici, ma richiedono uno studio in quanto
strutture sociologiche, culturali e fisiche. Se in queste situazioni le interazioni sociali tra individui
hanno una struttura, le forme e i contenuti che sono loro propri non sono riducibili a stimoli discreti
che colpiscono la persona di momento in momento.
Dall'altro lato, un individuo, nel corso del periodo adolescenziale, si trova ad aver vissuto almeno
da una decina di anni, ed ha esperienza di interazioni sociali. A parte i casi di traumi precoci gravi,
il bambino, in quanto maschio o femmina, ha stabilito delle relazioni all'interno di un milieu
specifico, relazioni con il proprio corpo e con le proprie capacità, con oggetti e con valori sociali.
Alcuni di questi legami antecedenti devono modificarsi durante l'adolescenza, lasciando alle spalle
la dipendenza della prima infanzia per avviarsi a responsabilità, attività e modi di condotta tipici
nella società di uomini e donne adulti. Contemporaneamente il corpo, ormai familiare, cresce ad un
ritmo più rapido, e ciò si accompagna a modificazioni fisiologiche e strutturali che portano al corpo
adulto di un uomo o di una donna. Il condensare questi due universali evolutivi in «incidenti»
dell'analisi sociologica significa trascurare i contributi individuali alle interazioni sociali e il loro
ruolo nello sviluppo.
Il coordinare il sociologico e lo psicologico implica una sequenzialità di studio ben definita. La
sequenza inizia con lo studio dello sviluppo delle interazioni sociali, una valutazione delle
situazioni sociali reali che gli adolescenti si trovano di fronte, inclusa la situazione ambientale più
ampia di cui fanno parte; infine considera il funzionamento individuale in rapporto a tali situazioni
sociali e ai processi d'interazione.
2. Le relazioni sociali tra coetanei
Alcune forme di interazione tra il bambino e i coetanei sono state osservate sin dai primi anni di
vita. In età prescolare, man mano che aumentano le capacità di interazione e di condivisione dei
significati, si stabiliscono tra i bambini sistemi di relazione in cui, oltre a una componente
comportamentale, emerge progressivamente una componente cognitivo-affettiva, strettamente
collegata con la prima. Le relazioni tra individui implicano infatti una continuità di scambio nel
tempo, conoscenza reciproca dei partner, memoria delle interazioni passate e aspettative future.
Esiste una differenza sostanziale tra interazione e relazione; si parla di relazione nei casi in cui
l'interazione è influenzata da esperienze precedenti e può a sua volta influenzare esperienze future.
Il tipo di effetto che un'interazione ha sulle successive dipende non solo da ciò che è realmente
accaduto tra i partner ma anche da ciò che i protagonisti pensano dell'accaduto.
Nella storia della psicologia lo studio delle relazioni tra coetanei ha avuto un andamento
discontinuo con esiti diversi a seconda del periodo storico: dopo un fiorire di ricerche negli anni ‘20
e ‘30 si è registrato un periodo di abbandono di questi studi, a cui ha fatto seguito una rinnovata
attenzione dagli anni '70 in poi. Per alcuni autori le ragioni del sorgere, declinare e risorgere
dell’interesse su questo argomento sono da imputarsi soprattutto a fattori sociopolitici esterni alla
psicologia, mentre per altri vanno ascritte all'egemonia culturale di modelli teorici prevalenti
all'interno della disciplina. In genere ragioni storico-politiche o ideologiche hanno stimolato una
maggiore attenzione verso il fenomeno delle relazioni tra pari sia negli anni '20 quando sono
comparse le prime ricerche sull'interazione tra coetanei, sia in anni più recenti quando si è
manifestato un rinnovato interesse verso questo filone di indagine. Il declino della ricerca è da
imputarsi però quasi esclusivamente a fattori teorici e metodologici interni alla psicologia. Per molti
anni il contributo delle relazioni tra coetanei per lo sviluppo individuale è stato trascurato a causa
dell’influenza della teoria psicoanalitica e delle teorie comportamentistiche, che enfatizzano il ruolo
delle figure adulte nel processo di sviluppo del bambino.
Negli anni '70, hanno contribuito a una ripresa di interesse attorno ai temi delle relazioni con i
coetanei diversi fattori, tra i quali l'affermazione di nuove prospettive teoriche che, nonostante le
divergenze, condividono l'idea che l'interazione con i coetanei costituisca un'opportunità
significativa per lo sviluppo individuale. In particolare, la teoria etologica sottolinea come i
coetanei siano essenziali per la regolazione di modelli di comportamento sociale, come ad esempio
l'aggressività. I piccoli di scimmia che hanno avuto occasione di scambio con i coetanei imparano a
indirizzare il comportamento aggressivo verso gli estranei, mentre gli individui allevati senza
contatto con i pari attaccano in modo indifferenziato sia i nemici che gli amici. Le teorie
cognitiviste enfatizzano il ruolo dei coetanei nello sviluppo di abilità socio-cognitive quali il
superamento dell'egocentrismo e la capacità di assumere punti di vista diversi dal proprio.
Prospettive socio-costruttivistiche recenti individuano nel conflitto socio-cognitivo1 e nella
coordinazione di azioni indipendenti in un contesto cooperativo un'occasione significativa per lo
sviluppo cognitivo individuale. Secondo la teoria dell'apprendimento sociale i coetanei giocano un
ruolo essenziale nel processo di apprendimento di forme di comportamento nuove e adeguate alle
norme sociali, e forniscono inoltre occasioni per confrontare e valutare le competenze e la stima di
sé del soggetto.
In generale la letteratura sullo sviluppo sociale del bambino sottolinea l'importanza dei coetanei nel
processo di socializzazione, individuando nell'interazione tra pari un'occasione per lo sviluppo della
competenza comunicativa e sociale, delle abilità di role-taking2 (assunzione di ruolo) percettivo,
cognitivo ed emozionale, della capacità di formare relazioni o legami con altri individui, al fine di
strutturare un senso di Sé e della propria identità e fare esperienza di rapporti interpersonali di
affetto e di supporto. Tali funzioni sembrano però differenziarsi in rapporto a modalità diverse di
relazione. Nel corso dello sviluppo, le relazioni tra coetanei possono infatti assumere forme diverse,
quali amicizia, conoscenza, esperienza condivisa, e possono modificarsi nel tempo in rapporto a
diverse fasi di evoluzione della relazione (formazione, prosecuzione e termine).
Mentre gli studi sull'interazione tra pari in età precoce hanno assunto il carattere di descrizione di
un modello di sviluppo delle competenze sociali del bambino, nell'età scolare l’interesse scientifico
si è progressivamente indirizzato verso lo studio delle differenze individuali tra bambini. Si parla
così di qualità delle relazioni tra coetanei come indicatore di adattamento sociale e personale del
bambino (status sociometrico)3. Non tutti i bambini presentano infatti la stessa capacità di stabilire
1
Modello interpretativo dello sviluppo cognitivo, secondo il quale un’opposizione sociale di risposte o di punti di vista
circa un compito comune può portare ad un risultato cognitivamente superiore a quello posseduto dai partner prima
dell’interazione. E indispensabile che il disaccordo o il dubbio circa le risposte reciproche sia reso esplicito: deve cioè
sussistere un conflitto di comunicazione fra i partner e la necessità sociale di risolvere il compito in oggetto.
2
E’ considerato il processo attraverso il quale un soggetto è in grado di considerare un oggetto o una persona o un
evento non solo dal proprio punto di vista, ma anche da quello dell’altro.
3
Lo strumento più frequentemente utilizzato per definire la mappa delle relazioni nel gruppo è costituito dal
questionario sociometrico. Ne esistono due versioni principali: uno basato sulla indicazione nominale da parte dei
compagni di alcuni bambini con cui è piacevole stare oppure no, e l'altro basato sulla valutazione del grado di simpatia
di un determinato bambino da parte del resto della classe. In genere, sia in età prescolare che scolare, una buona
accettazione (popolarità) è collegata alla capacità del bambino di interagire positivamente con i compagni, fornendo
aiuto e conformandosi alle regole del gioco. In situazioni di ingresso in gruppo i bambini popolari tendono a utilizzare
strategie di successo, caratterizzate da attenzione verso gli interessi e le attività dei compagni, e dalla capacità di
relazioni positive con i coetanei, alcuni perché esibiscono una condotta disadattiva, o mostrano
comportamenti aggressivi, altri perché risultano rifiutati o isolati nel gruppo classe. Gli studi
longitudinali condotti in questo ultimo decennio concordano sul fatto che le difficoltà di relazione
tra pari in età scolare tendono a mantenersi stabili nel tempo e a condizionare negativamente la vita
futura dell'individuo. Nell'ambito della letteratura risulta sempre più accettata la distinzione tra un
livello di relazione con i coetanei centrato sui processi di attrazione interpersonale e un altro livello
centrato sulla relazione di dominanza-sottomissione e sulla qualità del comportamento interattivo.
Nei processi di attrazione interpersonale possiamo distinguere:
a) l’amicizia, che consiste nell'esperienza di avere una relazione intima, diadica e reciproca con un
coetaneo;
b) la popolarità, che è costituita dall'esperienza di essere accettato dai membri di un gruppo. Essa
rappresenta il punto di vista del gruppo nei confronti di un individuo.
L'altro livello risulta caratterizzato da relazioni ostili tra individui. Si parla così di relazioni bullovittima o di comportamenti di prepotenza tra bambini nei casi in cui un soggetto ripetutamente
subisca prepotenze da parte di uno o più compagni.
3. Le basi socio-psicologiche delle interazioni durante l'adolescenza
La formazione di gruppi «naturali» tra adolescenti e la loro notevole influenza sulla vita di ogni
singolo membro ha delle basi socio-psicologiche. Il corpo si modifica e prova nuove esperienze
mutando le sue dimensioni e la sua forma, l'individuo in via di sviluppo non può non notare
l'emergere della sessualità. Anche gli altri reagiscono a tali modificazioni. Quindi, anche se la
transizione sociale verso l'età adulta fosse definita sulla base della logica del «migliore dei mondi
possibili», la ragazza o il ragazzo che crescono devono modificare le strutture psicologiche
formatesi nel corso dei primi dieci anni di vita. Queste strutture correlano il corpo e le sue capacità
di esperienza del «me», «io» e «mio» con le reazioni degli altri e con le immagini culturali di ciò
che dovrebbe essere un corpo maschile o femminile in crescita o sviluppato. Il sistema del Sé
dell'individuo, pertanto, è spinto a modificarsi.
Le circostanze del periodo adolescenziale che rendono incerto il sistema del Sé spingono gli
adolescenti a volgersi verso i coetanei. Le interazioni con questi ultimi costituiscono la base per il
formarsi di gruppi «naturali», gruppi che si formano cioè di loro propria iniziativa, all'interno,
trasversalmente e al di fuori delle attività controllate dagli adulti. La ricerca evidenzia l'esistenza di
interagire al momento opportuno. Il rifiuto sociale risulta invece correlato con il comportamento aggressivo e
conflittuale, la violazione delle regole del gioco e l’iperattività. In situazioni specifiche quali i contesti competitivi o di
ingresso nel gruppo il bambino rifiutato intraprende con maggior frequenza attività centrate su sé e tese alla distruzione
dell'attività del gruppo. Anche sul piano delle competenze cognitivo-sociali, la maggior parte degli studi ha rilevato
caratteristiche di minore complessità nel ragionamento sociale dei bambini rifiutati rispetto ai popolari e la tendenza dei
primi ad attribuire un ruolo rilevante al comportamento aggressivo per interpretare e risolvere situazioni di conflitto
sociale. Esistono inoltre differenze tra maschi e femmine. I maschi tendono a essere più rifiutati delle femmine e la
relazione tra status sociometrico e variabili comportamentali o socio-cognitive risulta maggiormente indagata in
campioni di sesso maschile. Nelle età preadolescenziali e adolescenziali, rispetto all'età della scuola elementare,
l'aggressività fisica gioca un ruolo meno significativo nel processo di acquisizione di status del ragazzo nel gruppo,
mentre si affermano comportamenti di aggressività verbale, quali derisione e vittimizzazione. Le ricerche sui correlati
comportamentali e cognitivo-sociali delle relazioni tra bambini in gruppo hanno enfatizzato il ruolo delle competenze
individuali del bambino nel processo di acquisizione di status. Alcuni studi recenti, muovendo da una critica a tale
impostazione, considerata come unidirezionale e parziale, hanno cercato di esaminare il ruolo del gruppo nel
determinare e mantenere le relazioni tra i suoi membri. In particolare, fenomeni quali la percezione pregiudiziale di un
bambino da parte dei compagni o la reputazione che egli ha nel gruppo rivestono un ruolo fondamentale nel processo di
valutazione del comportamento dei soggetto e conseguentemente nel mantenimento di relazioni positive o negative tra i
membri. (Menesini, 1994)
processi e di proprietà comuni per tutti i gruppi di questo tipo, ma le differenze sociali che li
contraddistinguono, i criteri di status e le norme particolari che sviluppano non sono comprensibili
se si prescinde dallo schema di riferimento socio-culturale all'interno del quale si formano.
Ognuna delle proprietà distintive del periodo dell'adolescenza, unita alle modificazioni fisiche e alla
preoccupazione per il futuro, può creare dei problemi che fanno vacillare legami ormai consolidati
all'interno del sistema del Sé (ad esempio, cosa significa essere maschio o femmina). Che cosa
succede alle persone quando si trovano di fronte incertezze e ambiguità nuove, quando sono
disponibili indicazioni scarse o contraddittorie sull'interpretazione degli eventi e sul modo di agire?
Spesso si dibattono nella confusione. Ma si rivolgono anche ad altri esseri umani. Se gli adulti non
sono in grado di fornire definizioni e regole soddisfacenti, spesso non per loro colpa, l'adolescente
cerca altrove.
E’ a questo punto che l'organizzazione scolastica e della comunità propria delle società attuali, che
si basa sull'età, diviene decisiva. In altri tempi questa ricerca di risorse umane non avrebbe avuto
altro conforto che quello di un diario di adolescente solitario o dei sogni ad occhi aperti. Al giorno
d'oggi gli adolescenti scoprono facilmente che altri adolescenti “sono nella stessa barca” e
incontrano problemi analoghi. Ne risultano interazioni più frequenti, più intense e più significative
con quelli della propria generazione.
Il rivolgersi ai coetanei indica uno spostamento generale di accento all'interno del sistema del Sé,
perlomeno per le attività che non sono regolate dagli adulti. Il problema più importante è essere
accettabile per i coetanei ed essere da essi accettato; i loro occhi sono quelli che contano in molti
aspetti importanti, incluso se io sono «normale», «in gamba», migliore o peggiore in ambiti diversi.
L'analisi di Rosenberg (1967) relativa all'autostima degli adolescenti ha rilevato la misura di tale
spostamento. Gli adolescenti i cui risultati scolastici o il cui comportamento risultano negativi in
base ai criteri degli adulti, mantengono la fiducia in se stessi in base ad un accordo collettivo
secondo il quale i criteri degli adulti semplicemente non hanno importanza.
Essere ignorati, trascurati o disprezzati nel momento in cui il proprio Sé sta cambiando è
un'esperienza dolorosa, che va evitata nei limiti del possibile. Quando si uniscono ad una storia
precedente di legami insicuri o insoddisfacenti con la famiglia o con i coetanei, tali esperienze
spingono ad una ricerca quasi frenetica di un luogo da possedere, con qualcuno e pressoché a
qualunque prezzo.
Per questi motivi il far parte del gruppo dei coetanei sia pure in condizioni di status basso e di
marginalità, risulta preferibile all'isolamento.
Il fatto che gli adolescenti costruiscano le loro prospettive di condotta e di status nel corso di un
processo in cui si fronteggiano molte incertezze circa se stessi non è un evento insolito, del tutto
sconosciuto al di fuori del periodo adolescenziale. La loro preferenza per questi modelli rispetto a
quelli degli adulti, se si considerano le circostanze, non risulta misteriosa. Se si utilizza quale
metafora dell'ambiguità il fenomeno del movimento apparente di un punto luminoso in condizioni
di oscurità totale (autocinesi), gli esperimenti di laboratorio di Sherif (1936) hanno dimostrato che
anche gli adulti sono incerti nel momento in cui elaborano le loro regole per dar conto della
situazione.
Quando individui con regole personali differenti si trovano a condividere una situazione di questo
genere, costruiscono progressivamente una regola nuova, una vera norma sociale, e regolano il
proprio comportamento in base ad essa sia quando sono insieme, sia, in seguito, quando sono soli.
Tali norme sociali, basate sulla capacità umana di darsi delle regole, sia individualmente che
collettivamente, scaturiscono dai rapporti di fiducia tra esseri umani.
L'interazione con una persona in cui non si ha fiducia porta a risultati del tutto diversi anche in
laboratorio. Quando il contrasto tra se stessi e un'altra persona è acuto, l'individuo si allontana
dall'altro costruendo o mantenendo delle regole il più possibile differenti (Doise et al., 1975).
Anche se il conflitto genitore-giovani non è portato all'estremo, l'orientarsi verso la propria
generazione durante questo periodo richiede la capacità di conformarsi e di rivolgersi con fiducia a
molte persone e gruppi di riferimento contemporaneamente. Si può definire persona o gruppo di
riferimento quella persona o quell'unità sociale con cui l'individuo si pone in relazione
psicologicamente o di cui desidera far parte (Sherif e Sherif, 1953, 1964); ve ne sono perlomeno
due: la famiglia e i coetanei. Anche determinate caratteristiche sociali significative, quali il sesso o
la razza, durante l'adolescenza diventano più salienti dal punto di vista psicologico, in quanto il
giovane nota il proprio cambiamento fisico.
La letteratura sull'adolescenza, nell'elaborare delle teorie generali di quest'ultima, talvolta non
analizza questi ancoraggi multipli del Sé che sta cambiando e le tematiche, implicite in essi, del
sovrapporsi o dell'entrare in conflitto di sensi di fedeltà diversi. Come quei genitori che vivono lo
spostamento nell'ordine di importanza psicologica a favore dei coetanei come un tradimento, molta
della ricerca sulla famiglia e sui gruppi di riferimento dei coetanei chiede all'adolescente di
scegliere tra genitori ed amici che hanno norme diverse (Larson, 1972). Una procedura di questo
tipo assume come inevitabile il conflitto adulto-giovani, conflitto che può non verificarsi quando le
norme dell'adulto e dell'adolescente non coincidono, o quando la scala di priorità degli adulti e degli
adolescenti riguarda attività separate e distinte, com'è spesso il caso. L'orientamento psicologico
verso i coetanei può verificarsi anche in assenza di un conflitto genitore-giovani.
Prado (1958) ha dimostrato l'esistenza di un orientamento verso gli amici coetanei in ragazzi le cui
relazioni familiari erano armoniose, anche nel caso che ci si riferisse al loro genitore preferito. Se
confrontati con ragazzi tra gli 8 e gli 11 anni, i ragazzi di età compresa tra i 14 e i 17 anni risultano
sopravvalutare la prestazione di amici coetanei rispetto a quella del loro padre; i ragazzi di 8-11
anni al contrario, sopravvalutano il padre rispetto agli amici. Il processo, inoltre, è reciproco. Gecas
(1972) ha osservato che l'autostima di studenti delle scuole superiori era massima in contesti in cui
erano presenti i loro migliori amici dello stesso sesso, seguiva quella riferentesi a contesti in cui vi
erano amici di sesso opposto, mentre i contesti in cui vi era la famiglia risultavano al terzo posto. Il
livello più basso di autostima si riferiva alle situazioni «adulti in generale», e particolarmente alla
situazione «con gli insegnanti in classe».
4. La formazione di gruppi «naturali» di adolescenti
L'ipotesi generale sulle condizioni che portano alla formazione di un gruppo è la seguente: gli
individui che vengono a trovarsi in situazioni problematiche caratterizzate da un forte significato
motivazionale e tali da richiedere, per essere affrontate nel modo più efficace, un coordinamento
delle interazioni in vista di una suddivisione del lavoro, interagiranno frequentemente, e col tempo
stabilizzeranno le loro relazioni all'interno di una unità sociale, accettata da essi stessi e da altri, a
cui si riferiranno con il termine «noi».
In base alla letteratura di tipo sociologico, le proprietà di minima necessarie a che un'unità di questo
genere sia considerata un gruppo umano sono definite come segue:
a) esistenza di comportamenti reciproci nel corso dell'interazione attesi da tutti (relazioni di ruolo) e
tali da poter essere gerarchizzati sulla base del potere e della posizione sociale (misurati in base
all'efficacia relativa delle iniziative, al coordinamento e al controllo delle interazioni, alle decisioni
e alle sanzioni in caso di conformismo-devianza);
b) esistenza di una serie di norme sociali, e cioè di valori condivisi,di un gergo, di soprannomi e di
regole di condotta tali da specificare la gamma o i limiti delle differenze individuali giudicate
accettabili e riprovevoli, almeno per quanto riguarda le conseguenze che interessano reciprocamente
i vari membri.
“Negli ultimi anni della scuola dell'obbligo, oltre all'adesione a gruppi organizzati con finalità
socioeducative, gli adolescenti sperimentano modalità di aggregazione spontanea; intrattengono
cioè rapporti interpersonali, generalmente a piccoli nuclei, che si alimentano attraverso iniziative
gestite al di fuori dell'ingerenza adulta: può trattarsi di un'uscita domenicale al cinema, di un giro in
bicicletta, di un incontro in pizzeria o in gelateria. La frequentazione parallela di contesti
relazionali assai diversi fra loro per obiettivi e per stili comunicativi (dal gruppo formale alle
aggregazioni spontanee) costituisce un fenomeno assai tipico della prima adolescenza, un periodo
che si configura prevalentemente come fase di esplorazione di modalità diverse di stare con i
coetanei (Pombeni, 1992).
I rapporti amicali tendono a modificarsi nell'età della piena adolescenza: la partecipazione ad
esperienze aggregative di tipo organizzato tende a calare in corrispondenza dei primi anni della
scuola superiore (IRS 1986; IREF 1990; Petter e Tessari, 1990). L'acquisizione di una maggiore
autonomia negli spostamenti e la maggiore difficoltà di controllo da parte delle famiglie, l'ampliarsi
delle relazioni con i coetanei, il crescente bisogno di differenziarsi dalle indicazioni dei genitori e
l'insofferenza nei confronti di regole prestabilite sembrano essere alcuni dei fattori che mettono in
crisi la partecipazione a gruppi formali o associazioni di tipo socioeducativo.
Nella piena adolescenza il gruppo informale (la cosiddetta compagnia) viene percepito da buona
parte degli interessati come la modalità aggregativa più rispondente alle attese e agli interessi del
momento. Confermando le osservazioni degli Sherif (Sherif e Sherif, 1965; Sherif, 1984) e di
Wilmott (1966) che avevano già descritto questo fenomeno nelle aree urbane delle società
industriali alla fine degli anni '60, alcune ricerche italiane (Baraldi, 1988; Altieri 1988; Durando
1990; Palmonari, Pombeni e Kirchler, 1989; 1990) descrivono le relazioni interpersonali di gruppo
come la modalità prioritaria di impiegare il tempo libero nella fascia 15-17 anni.
In letteratura [cfr. Coleman e Hendry, 1990) il termine gruppo dei pari viene spesso utilizzato in
senso generale per indicare complessivamente gli adolescenti di una stessa fascia di età. D'ora in
avanti intendiamo invece usare il concetto di gruppo di coetanei per indicare un nucleo di
adolescenti che intrattiene una relazione intensa e continuativa, fondata sulla condivisione di un
insieme di esperienze, di interessi e di valori, considerati importanti per il singolo e per il gruppo.
In questo senso all'interno della categoria sociale coetanei o pari è possibile individuare una
pluralità di esperienze di gruppo dalle caratteristiche e dai significati diversi fra loro. Una prima
distinzione può essere fatta fra gruppi formali e quelli informali o spontanei.
I gruppi formali fanno riferimento a quella gamma di attività di carattere diverso (sportivo,
religioso, socioeducativo, culturale, politico) promossa all'interno di movimenti o associazioni.
Caratteristiche peculiari di queste esperienze risultano essere la motivazione al perseguimento di
obiettivi dichiarati e la presenza nel gruppo di uno o più adulti con funzioni di promozione e di
controllo.
Il termine gruppi informali riguarda le aggregazioni di adolescenti formatesi in modo spontaneo o
naturale che non perseguono attività specifiche; la coesione del gruppo si fonda sull'intensità della
relazione e della comunicazione fra i vari membri e sulla condivisione del tempo libero, del
divertimento, dell'impegno nei confronti della realtà.
Dai dati di ricerca risulta che in Italia più del 90% degli adolescenti, selezionando nella rete di
rapporti interpersonali che è tipica della propria esperienza, individua come riferimento
significativo del proprio processo di crescita la partecipazione ad uno specifico gruppo (formale o
informale) di coetanei, alla cui frequentazione dedica parte del tempo quotidianamente disponibile
(Palmonari, Pombeni e Kirchler, 1992).
Da non sottovalutare, tuttavia, che una percentuale di adolescenti stimata attorno all'8-10%
(Consiglio nazionale dei minori 1990) dichiara di non intrattenere rapporti continuativi con altri
coetanei; una parte di questi soggetti afferma di incontrare una vera e propria difficoltà
nell'instaurare relazioni amicali con i pari, difficoltà che si traduce in sentimenti di solitudine e stati
di disagio (Jones 1981; Brennan 1982). La mancanza di o la difficoltà nello stabilire rapporti intensi
e significativi con i coetanei è stata indicata come uno dei fattori di rischio per lo sviluppo
adolescenziale (Ranci, 1988; Mion 1991), specialmente se associata ad altre difficoltà che il
giovane può incontrare nel proprio processo di inserimento sociale, in primo luogo l'interruzione
precoce della carriera scolastica e la precarietà dell'inserimento lavorativo.” (Pombeni, 1997)
4.1 Differenziazione delle relazioni interpersonali
Per quanto la loro struttura appaia agli estranei casuale o informale, all'interno dei gruppi di
adolescenti esiste una differenziazione sociale che influisce sui processi percettivi e valutativi dei
singoli membri. Le differenze di status e di ruolo sono il prodotto delle interazioni tra i vari membri
all'interno del loro contesto socioculturale concreto: esse tuttavia riflettono anche le capacità e le
riuscite dei membri nelle attività sociali che il gruppo ritiene importanti. Tali attività riflettono i
valori culturali propri del contesto socioculturale, soprattutto quelli, rilevanti, dell'ideologia di
genere sessuale, che è diversa nelle diverse aree sociali. Qualunque siano, i criteri di status propri di
un gruppo funzionante e stabile, definiscono ciò che ci si aspetta da se stessi e dagli altri.
Le principali caratteristiche generali di tali differenziazioni, sono le seguenti.
Stabilità. In ogni gruppo, i singoli adolescenti possono essere classificati in modo attendibile nei
termini delle loro iniziative concrete del loro potere nelle interazioni sociali in attività diverse, in cui
le loro capacità individuali differiscono.
Gerarchia di status. Le strutture sociali in miniatura presentano invariabilmente una gerarchia per
quanto concerne il potere sociale, malgrado il fatto che la scelta degli amici, da parte dei membri
del gruppo, sia di solito reciproca. Nei gruppi più solidali, quindi, la struttura basata sulla simpatia o
sulla popolarità è netta; in tutti i gruppi esiste una «leadership», anche in quelli i cui membri negano
che esistano capi o gregari. Quelli che gli adulti e gli estranei considerano “solo amici” sono gruppi
organizzati, anche se a livello informale.
Ancoraggio ad un estremo. I giudizi di differenziazione interpersonale tra i vari membri,
evidenziano un principio ben noto negli studi psicologici sui giudizi seriali, e cioè il principio
dell'ancoraggio ad un estremo. Le percezioni e i giudizi hanno come riferimento fisso le due
posizioni estreme, e cioè le posizioni più elevate e quelle più basse; questi effetti di ancoraggio, si
manifestano sotto forma di una scarsa variabilità nelle valutazioni concernenti i rapporti di status
quando si considerano il livello più elevato e quello più basso della struttura gerarchica, in momenti
diversi e per attività differenti. L'analisi delle scelte, da parte dei membri del gruppo, degli individui
che «fanno iniziare le cose» e di quelli che «eseguono le cose» a proposito di attività diverse, ha
evidenziato un effetto analogo: i giudizi concordano maggiormente, per le varie attività, quando
riguardano i ranghi superiori e inferiori.
Connessioni con i processi cognitivi. La struttura sociale delle relazioni interpersonali nei gruppi
spontanei di adolescenti influenza le percezioni ed i giudizi reciproci dei singoli membri, a
proposito di prestazioni in varie attività. Utilizzando dei compiti con risultati finali ambigui, alcune
ricerche (Sherif, White e Harvey, 1954; Koslin, Haarlow, Karlins e Pargament, 1968) hanno potuto
dimostrare che le aspettative comuni vengono generalizzate; le valutazioni delle prestazioni dei vari
membri, cioè, variano in modo sistematico in conformità al loro status all'interno del gruppo, con
una notevole e tipica sopravvalutazione di coloro il cui status è alto.
Influenza e stabilità. Per confermare le osservazioni effettuate sul campo, MacNeil (1967) ha
studiato in una situazione di laboratorio quale influenza un singolo membro di un gruppo di
adolescenti possa esercitare su un altro membro di status intermedio. Nei gruppi molto solidali,
l'influenza di un membro di status elevato sulle valutazioni di un altro membro risulta notevolmente
maggiore di quella di un membro di status basso. In gruppi meno stabili, d'altra parte, sia i membri
di status alto che quelli di status basso influiscono sui membri di posizione intermedia, anche se non
tanto quanto i membri di status alto appartenenti a gruppi stabili.
4.2 Le caratteristiche dei gruppi spontanei in età adolescenziale
“Prendiamo ora in considerazione il fenomeno dei gruppi spontanei o informali come caratteristica
peculiare della piena adolescenza. Dai dati disponibili si ritiene di poter stimare attorno al 70% la
percentuale di adolescenti, fra i 15 e i 17 anni, che frequenta con regolarità un gruppo di coetanei
formatosi in modo spontaneo, funzionante al di fuori di contesti istituzionali di incontro e senza
intrattenere rapporti organici con figure adulte. Queste relazioni con gli amici, costruite
quotidianamente per strada, nei bar, ai giardini pubblici, impegnano molto tempo e notevoli energie
da parte dell'adolescente, anche se il significato di tante ore passate insieme apparentemente senza
fare niente risulta di difficile comprensione per gli adulti (Montemayor, 1982; Crockett e Peterson,
1987; Brown, Eicher e Petrie, 1986).
Fanno parte di questi gruppi adolescenti di tutte le classi sociali, studenti, lavoratori, disoccupati,
maschi e femmine. Questo dato è importante per confutare il senso comune che tende a descrivere
l'aggregazione spontanea come modalità di socializzazione propria degli strati sociali meno
privilegiati e ad identificare questi nuclei amicali con gruppi di adolescenti a rischio o con vere e
proprie bande devianti (Hartup, 1983). La presenza di fenomeni di questo tipo, che viene stimata
attorno al 5% (Consiglio nazionale dei minori 1990), non giustifica inopportune generalizzazioni: le
frequentazioni di gruppi spontanei non possono essere considerate sinonimo immediato di
disimpegno o di comportamenti trasgressivi (Morash, 1983).
Se l'aggregazione informale non è tipica di una sola categoria di adolescenti, è vero invece che la
composizione di ciascun gruppo risulta assai omogenea (Coleman e Hendry, 1990; Amerio et al.,
1990; Baraldi, 1988; Altieri, 1988): provenienza sociale, contesti culturali, condizione scolastica o
lavorativa, look esteriore, linguaggio, modalità di interazione, stili di comportamento e
rappresentazioni sociali sono gli elementi che accomunano nel quotidiano gli adolescenti all'interno
di una medesima esperienza aggregativa. Questa omogeneità di provenienza e di esperienza è uno
dei principali fattori che entrano in gioco nella formazione naturale del gruppo; ciò significa che gli
adolescenti si «cercano» e si aggregano sulla base di caratteristiche precise, scegliendo gli amici del
gruppo sulla base della somiglianza. Le specificità che favoriscono la formazione del gruppo
diventano progressivamente elementi di differenziazione fra quel gruppo ed altri gruppi, con
caratteristiche diverse, presenti nello stesso contesto sociale.
Come tutte le interazioni sociali complesse, anche la vita del gruppo informale è caratterizzata da
alcune regole, percepite dai membri con diversi gradi di consapevolezza, ma fondamentali per il
funzionamento quotidiano e per il processo di identificazione. Il metodo di ricerca messo a punto da
Muzafer e Carolyn Sherif (1965) per l'osservazione dei gruppi naturali ha permesso di ricostruire le
dinamiche interne alla vita di ciascun gruppo. Nel lavoro degli Sherif l'osservazione diretta sul
campo veniva preceduta da un'indagine preliminare di carattere socioeconomico concernente il
contesto urbano in cui il gruppo è inserito. In seguito l'attenzione dei ricercatori veniva rivolta alla
ricostruzione degli atteggiamenti, delle regole di comportamento e delle aspirazioni valutate come
socialmente desiderabili all'interno di quel particolare ambiente culturale. Questa procedura ha
permesso di dimostrare come l'interazione attivata all'interno di ciascun gruppo porti rapidamente
alla definizione di differenti ruoli fra i membri del gruppo, anche quando si tratti di un'aggregazione
nata spontaneamente fra amici. Il prolungarsi dell'interazione fra i partecipanti porta inoltre alla
costruzione di regole normative di comportamento che risultano determinanti per la vita del gruppo.
Seguendo le indicazioni metodologiche fornite dagli Sherif, alcune ricerche italiane hanno
ricostruito la vita di gruppi naturali di adolescenti attivi in diversi contesti urbani (Amerio et al.,
1990). Le caratteristiche qualitative e organizzative dello stare insieme e le dinamiche interpersonali
sono state ricostruite attraverso un lavoro di osservazione diretta dei gruppi informali nei loro
contesti naturali. Da queste osservazioni si ricava che il gruppo non è facilmente disponibile
all'ingresso di nuovi membri e non ammette fluttuazioni dei suoi membri da un gruppo ad un altro.
Netto appare anche il rifiuto nei confronti di coetanei che cercano di proporsi come leader
all'interno del gruppo; dai resoconti degli interessati traspare un rifiuto generalizzato verso la figura
del capo, della persona che dirige e dà ordini. Tale atteggiamento non si traduce tuttavia
nell'assenza di posizioni e di ruoli differenziati all'interno del gruppo; spesso per un osservatore
esterno è possibile ricostruire la presenza di figure in grado di tenere unito il gruppo nei momenti di
conflitto, così come la presenza di adolescenti (generalmente maschi) che detengono poteri di
competenza, legati all'agire quotidiano (come aggiustare i motorini, giocare con i videogame, ecc.),
tali da suscitare l'ammirazione e la stima degli altri membri e da metterli in condizione di esercitare
un'influenza sommersa sul1a vita e sulle decisioni del gruppo.
Traspare un forte bisogno di solidarietà che si esprime in un'intensa attività comunicativa all'interno
della compagnia, e soprattutto dei sottogruppi privilegiati che si costituiscono all'interno di essa. Lo
stare insieme (senza scopi precisi) e il parlare rappresentano le attività più importanti, e più cariche
di significati emotivi, del gruppo. Per tutti i partecipanti è fondamentale mantenere aperti i canali di
comunicazione con gli altri membri e questa garanzia è data soltanto dalla frequentazione continua
degli amici. Il gruppo, infatti, costruisce la propria coesione sulle piccole esperienze concrete
vissute collettivamente e questa esperienza comune induce un bisogno quotidiano di frequentazione.
Non poter partecipare a tutti i momenti di incontro viene considerato una «perdita» sul piano
personale.
Le stesse ricerche mettono in evidenza che le ragazze incontrano maggiori difficoltà nel soddisfare
questo bisogno di partecipazione attiva a causa delle maggiori restrizioni (di uscita e di orario) a cui
sono costrette dalla famiglia; episodi questi frequentemente all'origine di tensioni con i genitori. La
frequentazione più limitata del gruppo da parte delle ragazze alimenta l'equivoco che qualifica come
prevalentemente maschile l'aggregazione informale. L'osservazione diretta dei gruppi conferma, sia
una presenza quantitativa meno consistente da parte delle ragazze, sia una loro partecipazione più
limitata nel tempo agli incontri di gruppo. Se si considerano però i dati raccolti attraverso
questionario (CENSIS 1986; Cavalli e de Lillo, 1988; Palmonari, Pombeni e Kirchler, 1989; 1990;
1992), la percentuale di ragazze che dichiara di far parte di gruppi informali e di ritenere questa
esperienza aggregativa più importante rispetto ad altri tipi di relazioni interpersonali fra pari è, in
alcuni casi, addirittura superiore a quella maschile. La minore visibilità delle ragazze non deve far
pensare che l'esperienza di gruppo sia per esse meno significativa di quanto non sia per i coetanei
maschi.
Al di là della presenza quantitativa delle ragazze, può essere interessante ricostruire le modalità di
relazioni maschi-femmine all'interno dei gruppi informali, tenuto conto del fatto che una delle
funzioni dell'aggregazione amicale (Coleman e Hendry, 1990) è anche quella di permettere agli
adolescenti di sperimentare se stessi nelle relazioni con coetanei dell'altro sesso.
I dati disponibili mettono in evidenza che non esistono modalità omogenee di comunicazione e di
interazione fra maschi e femmine all'interno dei gruppi informali; le relazioni fra adolescenti di
sesso diverso risultano spesso ancorate ai contesti sociali in cui i gruppi si esprimono e ai tessuti
culturali e familiari a cui fanno riferimento i diversi membri. E’ stato osservato, infatti, che nei
gruppi informali composti da adolescenti appartenenti ad ambienti culturalmente e socialmente
deprivati le ragazze occupano una posizione più marginale rispetto ai maschi. Il ruolo gregario delle
ragazze ripropone l'idea di dipendenza della donna che ha come unica risorsa il lavoro domestico: la
cultura e l'esperienza quotidiana di questi adolescenti li porta a percepire il mondo maschile e
femminile come due universi separati che comunicano fra di loro in base a ruoli predeterminati. Le
ragazze stesse non sempre riescono a svincolarsi sul piano dei comportamenti da immagini sessuali
stereotipiche (per esempio, attraverso l'utilizzo di atteggiamenti seduttivi di tipo provocatorio),
mostrando di dover ancora affrontare un lungo processo di evoluzione culturale per assumere la
consapevolezza piena della loro parità rispetto ai maschi.
Intervistando altri gruppi formati da adolescenti appartenenti a contesti socioculturali più elevati, si
rendono evidenti, invece, situazioni in cui le ragazze svolgono un ruolo attivo, certe volte
addirittura trainante, negli incontri con i coetanei più prossimi. Stabiliscono, infatti, rapporti basati
sulla stima e sul rispetto reciproco e spesso viene loro riconosciuta dai maschi una maggiore
capacità di analisi e di riflessione nei confronti dei problemi affrontati [Amerio et al., 1990).
Non si può dunque parlare di modalità di relazioni fra i due sessi costruite secondo un unico
parametro all'interno di tutti i gruppi di coetanei, ma piuttosto di modelli diversi di relazione che si
costituiscono nell'esperienza sociale più ampia dell'adolescente e sono assunti, in maniera più o
meno evidente, all'interno dei gruppi stessi.” (Pombeni, 1997)
5. I gruppi formali
“Pur riaffermando l'esistenza di una certa analogia di ordine psicosociale che accomuna le differenti
esperienze adolescenziali di gruppo, è opportuno descrivere la peculiarità di altre forme di
aggregazione, oltre a quelle spontanee, presenti sulla scena sociale. Si tratta di approfondire la
diffusione e il significato di esperienze strutturate, finalizzate alla realizzazione di compiti specifici
e al raggiungimento di obiettivi preordinati, non immediatamente centrate sulle relazioni
interpersonali. Questi gruppi si costituiscono come emanazione, più o meno diretta, di istituzioni e
movimenti (prevalentemente religiosi e sportivi) o di organizzazioni culturali e politiche. Sono
accomunati dal richiamo esplicito a precisi valori di riferimento e dalla condivisione dell'impegno a
svolgere attività concrete; essi mettono a disposizione dei loro membri uno spazio fisico di incontro
che rappresenta un elemento di identificazione simbolica e prevedono la partecipazione alla vita del
gruppo di figure adulte (educatori, allenatori, ecc.) che garantiscono la continuità dello sforzo di
perseguire gli scopi sociali.
Non è facile stimare la percentuale di adolescenti inserita attivamente in gruppi di tipo formale.
Spesso il dato viene calcolato in base agli iscritti delle diverse organizzazioni o movimenti, sulla
base di intervalli di età molto ampi (ad esempio, 11-24 anni). Questa ampiezza della fascia di età
rende difficile verificare la reale partecipazione nell'arco di tempo costituito dal periodo
adolescenziale, anche se è accertato un forte dislivello di adesioni fra la prima adolescenza (dagli 11
fin verso i 13-14 anni) e la piena adolescenza, in cui si rivela, secondo fonti diverse, un consistente
calo di partecipazione (Garelli, 1984; IRS 1986; De Pieri e Tonolo, 1990; IREF 1990).
Trattandosi di esperienze che chiamano in causa attività e valori assai diversi (dalla fede religiosa
allo sport, dalla politica all'ambiente), è possibile una presenza dell'adolescente all'interno di più
contesti organizzati, così come è possibile la partecipazione ad un gruppo formale
contemporaneamente a quella ad un nucleo amicale di tipo spontaneo. I dati disponibili, infatti,
dimostrano che ragazzi e ragazze consumano il proprio tempo libero in maniera diversificata,
alternando momenti di divertimento con persone diverse e momenti di impegno all'interno di
contesti differenti. Tuttavia non tutte le relazioni amicali (a scuola, in parrocchia, al bar, in
discoteca, ecc.) rivestono lo stesso significato, così come non tutte le attività (lo sport, il
volontariato, ecc.) richiedono lo stesso investimento di tempo ed energie da parte dell'adolescente.
Abbiamo voluto distinguere il significato specifico della partecipazione a diversi tipi di
aggregazione indagando l'appartenenza ai gruppi adolescenziali in un'ottica psicosociale; a tal fine
abbiamo condotto una serie di ricerche ripetute negli anni (Palmonari, Pombeni e Kirchler, 1989;
1990; 1992; Pombeni, Kirchler e Palmonari, 1990; Kirchler, Pombeni e Palmonari, 1991;
Palmonari, Kirchler e Pombeni, 1991), chiedendo agli adolescenti intervistati di indicare, fra le
diverse esperienze di gruppo vissute personalmente, quella ritenuta più importante per il proprio
processo di crescita. Questo giudizio selettivo ha permesso di ricostruire non solo il significato, ma
anche il peso dei diversi tipi di gruppi, distinguendo innanzi tutto fra frequentazione di gruppi
informali (con valori percentuali superiori al 70%) e di gruppi formali (con valori percentuali
attorno al 25/30%).
Per quanto riguarda in specifico i gruppi formali, risulta che circa il 15% di adolescenti aderisce a
gruppi sportivi di varia denominazione e struttura, mentre il 10-12% aderisce a gruppi religiosi
parrocchiali e a movimenti educativi tipo scout, essi pure di ispirazione religiosa. Come è stato
rilevato in altri paesi (Engel e Hurrelmann 1989), anche in Italia viene confermata una scarsa
partecipazione degli adolescenti a gruppi di impostazione politica (inferiore al 3%).
Volendo descrivere in modo sintetico le modalità di aggregazione degli adolescenti italiani alla fine
degli anni '80, si potrebbe dire che su 100 soggetti nell'età della piena adolescenza (15-17 anni)
circa 90 frequentano in modo regolare e continuativo un gruppo di coetanei, valutando questa
esperienza come importante per il proprio sviluppo. Se si considerano solo gli adolescenti che
frequentano gruppi (quindi 90 = 100), circa 70 vivono esperienze all'interno di gruppi spontanei o
informali, circa 15 all'interno di gruppi sportivi, circa 12 all'interno di gruppi religiosi o
socioeducativi, 2 all'interno di gruppi politici, mentre infine un altro adolescente sperimenta realtà
aggregative di varia natura, fra cui gruppi culturali, per la difesa dell'ambiente e altro ancora.
I gruppi sportivi sono frequentati in modo più rilevante dai maschi (16% di ragazzi vs. 6% di
ragazze) e rappresentano un'esperienza significativa (tale da essere preferita ad altre) soprattutto per
coloro che svolgono attività agonistica; in questo caso, l'impegno e il coinvolgimento consistente
aumentano il senso di identificazione col gruppo. E’ stato rilevato, tuttavia, un calo notevole nel
numero di adolescenti disposti a mantenere nel tempo un'attività sportiva a carattere competitivo; si
stima (Mussino, 1990) un abbandono dell'impegno attivo negli adolescenti (principalmente maschi)
di età fra i 14 e i 17 anni, pari al 70%. Questa scelta viene giustificata dagli interessati in
riferimento: a) ad un aumento del carico di studio previsto dalla scuola superiore che rende
inconciliabili i due impegni; b) alla difficoltà di reggere tempi e ritmi di fatica fisica richiesti dal
continuo allenamento; c) all'esistenza di rapporti problematici con gli allenatori. In linea generale
comunque il fenomeno va inquadrato nella progressiva flessione che si verifica a livello di
partecipazione ad attività sportive (come ad altre attività organizzate) nella fase di passaggio dalla
prima adolescenza alla piena adolescenza.
Nei gruppi inseriti nell'ambito della vita parrocchiale è più rilevante, invece, la presenza femminile
(12% di ragazze vs. 8% di ragazzi). Anche in questo caso si rivela una flessione nella partecipazione
a questo tipo di gruppi negli anni che coincidono con l'inserimento nella scuola superiore: sono
soprattutto i ragazzi ad anticipare, rispetto alle coetanee, la scelta di abbandonare questa esperienza.
Nei racconti degli intervistati (Amerio et al., 1990) sono documentate esperienze di possibili rientri
nel gruppo dopo alcuni anni di ripensamento. Tutti individuano nel primo periodo della scuola
superiore il momento chiave per una ridefinizione della propria esperienza all'interno di questo tipo
di gruppi: chi ha sperimentato momenti di crisi, chi ha «abbandonato» il gruppo per poi riprendere a
parteciparvi, chi lo ha lasciato definitivamente giustifica questa scelta a partire dalla propria
necessità di rivalutare la propria appartenenza associativa al di fuori dell'influenza esercitata dai
genitori negli anni dell'infanzia. Viene esplicitato, in altre parole, il bisogno di giungere a definire la
propria partecipazione sulla base di una propria valutazione esercitata in piena autonomia
decisionale. La crisi, e per alcuni l'allontanamento, sono inoltre motivati da una progressiva caduta
di interesse nei confronti degli obiettivi dichiarati dal gruppo, in particolar modo quando questi
chiamano direttamente in causa il problema della fede religiosa (De Pieri e Tonolo, 1990). Altri
motivi di difficoltà sono riconducibili alla mancanza di spazi autonomi di decisione e di
comportamento all'interno del gruppo e da ultimo, ma non meno importante, ad un non sempre
facile rapporto con gli educatori (Bertolini e Pranzini, 1981; Petter e Tessari, 1990). Alcuni ragazzi
e ragazze hanno anche valutato come problematico il fatto di dover difendere il valore della propria
scelta nei confronti di altri coetanei molto critici; la difficoltà può nascere per esempio all'interno
della classe, specialmente se l'adolescente si trova da solo (o da sola) a vivere un impegno di tipo
religioso, ripetutamente messo in discussione da compagni che sono portatori di valori e di scelte
diverse (Pombeni e Fiori, 1985).” (Pombeni, 1997)
6. Funzioni dei gruppi durante l'adolescenza
Cerchiamo di capire le funzioni dei gruppi durante l'adolescenza.
Il gruppo procura uno status simbolico autonomo. Prima di tutto, gli adolescenti trovano nel gruppo
uno status autonomo, fondato sulle proprie realizzazioni, che è loro negato nella società. Molti
adolescenti vivono quanto possono in gruppo perché vi sono considerati persone autonome e non,
come nei luoghi gestiti dagli adulti, bambini che devono esser guidati e controllati. L'esigenza di
parità e di partecipazione, che caratterizza molti adolescenti nella nostra società, viene di continuo
frustrata. In reazione, gli adolescenti si creano una società diversa - il gruppo - in cui può sentirsi
alla pari con gli altri. In altre parole, il gruppo è la fonte primaria di status autonomo durante
l'adolescenza - uno status provvisorio, transitorio, marginale, in qualche modo solo simbolico
poiché non garantisce diritti e prerogative reali al di fuori di esso. Esiste quindi un legame tra la
marginalità sociale dei giovani e i loro gruppi che nascono appunto come tentativo di rimediare a
questa creando spazi di partecipazione.
Altre funzioni. Oltre a questa funzione essenziale, il gruppo può assolverne altre, di cui verranno
indicate le principali seguendo la falsa riga di Ausubel (1977). Prima di tutto esso può procurare
un'identità. Il problema dell’identità non è, come si legge spesso, il problema principale
dell'adolescenza, è un problema che deriva dalla mancanza di status autonomo. Il gruppo può
rimediare anche a questo problema appunto nella misura in cui fornisce uno status. Far parte
dell'«Autonomia operaia», dei punk, dei paninari, permette di definirsi e di sapere con più sicurezza
come orientarsi nella vita, quali valori perseguire, come comportarsi e porsi di fronte agli altri.
Durante l'adolescenza, il gruppo di coetanei è spesso la fonte maggiore di status derivato ed è in
grado di fornire al giovane una stima di sé e una sicurezza per il semplice fatto di essere accettato
nel gruppo. Esso procura anche un forte appoggio nel processo di emancipazione dai genitori e
dagli adulti e un quadro di riferimento e un sistema di valori quando quelli dell'infanzia devono
esser abbandonati; assicura così un sollievo nei confronti dell'incertezza, dell'indecisione,
dell'ansietà e della colpevolezza che spesso accompagnano la ristrutturazione della personalità su
una base di autonomia. Conferendo al gruppo il diritto di proporre nuove regole di condotta,
l'adolescente afferma il diritto all'autodeterminazione perché non è diverso dai suoi coetanei. Il
gruppo è anche un mezzo per difendersi dall'autorità e dalle interferenze degli adulti. Come
strumento di pressione (“tutti lo fanno”) fa guadagnare privilegi ai suoi membri. Aiuta anche
l'adolescente ad affrontare con minore ansietà i cambiamenti che avvengono nella sua vita e nella
sua persona, come quelli fisiologici. Riduce la massa delle frustrazioni, non solo quelle specifiche
dell'età, ma anche quelle che toccano solo i singoli adolescenti.
Il gruppo è anche luogo di apprendimento dei modi di rapportarsi agli altri fuori della famiglia.
Permette di assimilare maggiormente i ruoli socio-sessuali, la competizione, la cooperazione, i
valori, le credenze, gli atteggiamenti dominanti del suo gruppo sociale. «Il gruppo di coetanei è la
maggior istituzione formativa per gli adolescenti nella nostra cultura» (Ausubel, 1977). Questo
addestramento avviene in modo informale, spesso inconsapevolmente, nella vita quotidiana del
gruppo, nel gioco delle interrelazioni complesse tra i suoi membri, nell'incoraggiamento di certi
modi di comportarsi e lo scoraggiamento di altri. Il gruppo è quindi una preparazione alla vita
adulta reale.
Il gruppo rinforza le discriminazioni tra le classi sociali. Il gruppo prepara alla vita adulta reale
anche perché rinforza le discriminazioni tra le classi sociali. Da Hollingshead (1949) in poi, molte
ricerche hanno messo in rilievo il fatto che, abitualmente, vige nei gruppi di adolescenti una rigida
separazione tra le classi sociali. Talvolta questa separazione si può già osservare nella diversità dei
luoghi di aggregazione. veri confronti per la diversità di classe. (Lutte et al., 1984).
La cultura dei diversi gruppi, i loro valori, i loro argomenti di discussione, le loro attività sono
differenti e rafforzano quindi la diversità derivante dagli ambienti familiari, sociali, scolastici e
lavorativi differenziati. Negli Stati Uniti, la razza è un altro fattore di discriminazione tra i gruppi.
Questa incomunicabilità tra classi ed etnie sembra più pronunciata nei gruppi di ragazze che sono
più ristretti, chiusi e durevoli (Claes, 1983).
Il gruppo rinforza le differenze sociali tra i sessi. I gruppi misti di adolescenti permettono ai ragazzi
e alle ragazze di interagire tra di loro. Sono il luogo in cui nascono spesso innamoramenti e si
formano le coppie. Le ragazze, abitualmente, entrano più precocemente in gruppi misti con ragazzi
più grandi; fatto che crea problemi seri ai loro coetanei maschi che si sentono esclusi. Dumphy
(1963; cit. da Claes 1983) pensa che la funzione del gruppo più largo sia di facilitare la transizione
all'eterosessualità. Sulla base di ricerche effettuate in una città australiana, egli individua cinque
stadi evolutivi. Nel primo, corrispondente alla preadolescenza, i piccoli gruppi sono formati di soli
ragazzi o di sole ragazze e non si incontrano; l'interesse per l'altro sesso si manifesta solo in
interazioni superficiali, spesso antagoniste. Nello stadio seguente, verso i 14 anni, ci sono i primi
scambi tra ragazzi e ragazze che hanno uno status superiore nei loro gruppi, si formano i primi
sottogruppi misti ma permangono le precedenti aggregazioni monosessuali. Nello stadio seguente si
formano solo gruppi eterosessuali. In seguito, il gruppo più largo sparisce per lasciare il posto a
gruppi piccoli formati da coppie stabili. Come tutti gli schemi evolutivi, quello di Dumphy indica
una tra tante altre traiettorie evolutive.
In questi rapporti tra maschi e femmine all'interno del gruppo si possono rafforzare le differenze
sociali tra i sessi. Certo, ci sono gruppi giovanili in cui si tenta di eliminare ogni tipo di sessismo.
Ma alcuni meccanismi di differenziazione rimangono inconsci. Si pensi, ad esempio, ai criteri
diversi di valutazione a seconda dei sessi, al fatto solo che la ragazza è più apprezzata in funzione
della sua bellezza. Ci sono anche gruppi, soprattutto negli ambienti popolari, in cui le differenze
tradizionali tra i sessi vengono intenzionalmente riprodotte, in cui i maschi mantengono in uno
status subordinato le femmine. I gruppi di adolescenti non sono necessariamente progressisti.
Possono in alcuni casi riprodurre i valori più tradizionali del loro gruppo sociale.
7. Le norme sociali come prodotto dell'interazione
I dati di tipo osservativo rilevano una gran quantità di prodotti collettivi, tra i quali il nome del
gruppo, i soprannomi, un gergo speciale, modi particolari di vestirsi, regole che definiscono le
condotte accettabili e quelle riprovevoli nel trattarsi l'un l'altro e nel trattare gli estranei, regole
relative al modo di scegliere e condurre le attività collettive. Tutti questi prodotti acquisiscono un
valore per i membri del gruppo e quindi ci si può riferire ad essi, nel loro insieme, con il termine di
norme sociali.
Il fatto che i gruppi di adolescenti, creino delle norme sociali è evidentemente correlato alle loro
esperienze di interazione e allo schema di riferimento socioculturale più ampio; si sta tentando di
documentarle nei dettagli perché la loro novità ne evidenzia l'aspetto creativo. Ogni
documentazione, tuttavia, diventa rapidamente datata: le norme dei gruppi di adolescenti cambiano
spesso nel passaggio da una generazione a quella successiva. La sintesi che segue, pertanto verte su:
a) il rapporto tra il conformarsi alle norme dei gruppo e lo status individuale all'interno di esso; b)
un esperimento che dimostra come i membri di un gruppo regolino autonomamente i loro processi
cognitivi conformandosi alle norme del gruppo.
Vi è la tendenza a ritenere che tutti i comportamenti di gruppo, o la maggior parte di essi, siano
regolati dalle norme di gruppo, soprattutto se il comportamento in questione è considerato
indesiderabile o è etichettato come «delinquente». Il nome di copertura «pressione dei coetanei»
viene quindi considerato la «causa» di tutto ciò che succede. Noi abbiamo rilevato che una
regolazione normativa dei comportamento non esiste in tutte le sfere delle attività di gruppo, ciò è
dimostrato dall'ampia gamma di differenze individuali tra i vari membri, che va dal «nessun
commento» alla risposta aperta. Un comportamento indesiderabile, e perfino criminale, per alcuni
gruppi è la norma; ma in altri gruppi vi sono esempi di attività del tutto lecite per le quali non risulta
vi sia stata una programmazione da parte dei membri del gruppo, o che vi siano pressioni calcolate
perché ci si impegni di nuovo in esse. I membri di un gruppo sono concordi nel sostenere certi
comportamenti e certi giudizi, giungendo a comminare sanzioni implicite o effettive in caso di
devianza, soltanto a proposito di questioni che comportano conseguenze collettive per il gruppo e
per i suoi membri.
Per loro propria natura le norme di un gruppo permettono le differenze individuali e perfino ne
riconoscono il ruolo. Una norma definisce la gamma o latitudine delle differenze individuali che i
membri del gruppo ritengono accettabile, nonché il limite al di là del quale un certo comportamento
può essere biasimato, tramite la disapprovazione o altre sanzioni a seconda della gravità della
violazione. Spesso esistono delle «zone grigie» dove non si ha né accettazione né rifiuto. Nelle
ricerche relative alle interazioni di gruppo e in quelle sulla categorizzazione e sugli atteggiamenti
sociali (Sherif et al., 1965) abbiamo riscontrato che è utile chiamare tali zone «latitudine di
non-coinvolgimento», in cui eventuali reazioni non sono né accettate né rifiutate.
I concetti esposti più sopra permettono di arrivare ad alcune conclusioni di carattere generale
relativamente alla struttura delle norme sociali e a quanto esse risultino vincolanti per gli
adolescenti a seconda della loro posizione all'interno del gruppo.
Conformità e status. La latitudine del comportamento accettabile definita da una norma di gruppo
varia a seconda dell'importanza che l'attività o il comportamento hanno per il gruppo. Essa è
nettamente categorica e i suoi limiti sono rigidi nel caso di norme concernenti l'identità, l'esistenza o
la continuità del gruppo come unità, come ad esempio la fedeltà al gruppo nel caso di intrusioni o di
minacce esterne nei confronti delle attività più importanti, soprattutto se provengono dagli adulti.
La non conformità o la devianza in situazioni di questo tipo comportano gravi e unanimi sanzioni da
parte degli altri membri, persino l'allontanamento dal gruppo. Il non conformarsi a consuetudini
meno importanti determina poche obiezioni; per quanto riguarda le norme poco importanti abbiamo
rilevato un ampio margine di non-coinvolgimento e le variazioni individuali non suscitano né
giudizi positivi né giudizi negativi.
Le norme non hanno lo stesso carattere di obbligatorietà per tutti i membri, anche nel caso di
questioni importanti che interessano tutti i membri del gruppo. La latitudine relativa alle azioni
accettabili è più ristretta e più vincolante nel caso di membri di status elevato. Il conformarsi
volontariamente alle norme importanti costituisce uno dei mezzi per conquistare e mantenere il
potere all'interno del gruppo. I limiti che pesano, sui membri di status elevato sono notevolissimi
nel caso di azioni nei confronti di estranei, soprattutto di adulti.
Per questioni meno importanti, d'altra parte, particolarmente quelle che rimangono strettamente
interne al gruppo, i membri di status elevato sono molto più liberi di non conformarsi alle norme, o
di cambiarle, che non quelli di status basso; nel caso di consuetudini rigorosamente interne al
gruppo, i membri di status basso vengono ripresi con più frequenza. Nei gruppi naturali l'esercizio
del potere mediante sanzioni riguarda in larga misura i membri di status basso a proposito di
questioni relativamente poco importanti.
Per quanto concerne la gran parte di quel comportamenti che devono adeguarsi a norme collettive, i
membri di un gruppo autoregolano la propria condotta senza necessità di sanzioni; il fatto che
prevalga una regolazione autonoma non sorprende se si considera che gli adolescenti si associano
ed elaborano delle norme per iniziativa propria e attraverso uno sforzo collettivo.
Regolazione autonoma dei processi cognitivo-affettivi. Le categorizzazioni individuali dei giovani
si conformano alle norme di gruppo e alla loro importanza relativa all'interno dei rispettivi gruppi:
le esperienze di partecipazione ai processi normativi dei loro gruppi determinano il funzionamento
cognitivo e affettivo individuale dei singoli componenti anche al di fuori del gruppo.
I dati di uno studio relativo alle interazioni sociali in sette gruppi di giovani donne che
frequentavano la stessa scuola (Sherif e al., 1973), hanno permesso di avanzare alcune ipotesi
sull'insieme dei processi psicologici dei singoli membri di un gruppo quando sono lontani da
quest’ultimo. Dapprima si sono individuate alcune norme di gruppo di rilevanza diversa per i vari
gruppi; poi i singoli membri hanno partecipato individualmente ad un esperimento in cui dovevano
dare un giudizio sociale: le ipotesi riguardavano le caratteristiche dei giudizi formulati dai singoli
membri dei vari gruppi.
Tali ipotesi si basavano sulla teoria del giudizio sociale secondo la quale i valori o le norme che
definiscono il Sé diventano un punto fisso di riferimento per il giudizio (Sherif e Holand, 1961;
Sherif, Sherif e Nebergall, 1965; Sherif 1980). I risultati dello studio hanno dimostrato che individui
appartenenti a gruppi in cui una certa norma è molto importante sono portati ad utilizzare un
numero molto più limitato di categorie nel giudicare delle figure correlate alla norma in questione
che nel valutare figure relative ad una norma meno importante o figure geometriche (utilizzate solo
come figure di confronto). E’ stato dimostrato inoltre che gli stessi soggetti cui veniva richiesto di
valutare in modo positivo o negativo le figure rappresentanti comportamenti di vario tipo,
forniscono dei giudizi di accettazione o di rifiuto ben netti, con pochi casi di indifferenza (in cui
cioè non prendevano posizione).
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