Oggetto: 1) Legge 210/92 e successive modificazioni - 2

Transcript

Oggetto: 1) Legge 210/92 e successive modificazioni - 2
Oggetto: 1) Legge 210/92 e successive modificazioni - 2) Cause civili
di risarcimento del danno
Roma, lì 20 maggio 2004
Prot. n. 78
All. 5
Ai
Coordinatori Regionali INCA
Ai
Direttori Compr.li INCA
Agli Uffici INCA all’Estero
Al
Dip. Politiche Sociali CGIL
LORO SEDI
N.B. I direttori comprensoriali sono invitati a consegnare copia della presente
circolare a tutti i nostri consulenti legali e medico-legali
Oggetto: 1) Legge 210/92 e successive modificazioni - 2) Cause civili
di risarcimento del danno
Care compagne, cari compagni,
facciamo seguito alla circolare n.33/04 sulle materie citate in oggetto, ed
inviamo alcune note predisposte sulle materie in argomento dalla consulenza
legale nazionale in collaborazione con due legali consulenti di nostre sedi
locali.
Con la presente vi informiamo anche che, sulle questioni giuridiche collegate
sia all’applicazione della legge 210/92 (per i capitoli vedi precedente circolare
Inca 33/04) e per l’avvio delle cause relative al risarcimento del danno, si è
dato avvio ad un gruppo di lavoro composto da legali della consulenza legale
nazionale e da alcuni avvocati consulenti di sedi locali, che fungerà da punto
di riferimento per le consulenze legali locali e per i compagni e le compagne
della periferia sulle pertinenze legali della materia.
Il gruppo di lavoro legale e medico-legale è formato da:
Avv. Rosa Maffei, consulente dell’Inca Nazionale
Avv. Amos Andreoni, consulente dell’Inca Nazionale
Avv. Remigio Marengo, consulente dell’Inca di Torino
Avv. Paola Soragni, consulente dell’Inca di Reggio Emilia
Dr. Marco Bottazzi, consulenza medico-legale Inca Nazionale
A seguito del primo incontro avvenuto nelle scorse settimane, vi inviamo –
come testé scritto- le prime note che sono state predisposte su alcuni aspetti
della materia. In particolare vengono trattate:
Questioni giuridiche legate all’applicazione della legge 210/92
· Decadenza
· Interessi legali
· Adeguamento dell’indennizzo al costo della vita
Relazione: "Risarcimento del danno biologico per utilizzo di sangue infetto"
· Legge 210/92 e danno biologico
· Soggetti passivi della domanda di risarcimento del danno
· Prescrizione
· Competenza territoriale
· Questioni sollevate dai soggetti passivi
· Sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 974/2001
Nota sulla transazione: legge 141/03
Diritto al risarcimento e diritto all’indennizzo : opportunità di tentare la causa
Copia-tipo di raccomandata utile ad interrompere la prescrizione e non
precludere la possibilità di chiedere il risarcimento del danno
Come già affermato in precedenti occasioni, ribadiamo l’utilità, laddove non si
sia già provveduto, a procedere, parallelamente alla domanda di indennizzo
ex-lege 210/92, anche con il contenzioso civile finalizzato al risarcimento del
danno.
A questo proposito, segnaliamo la disponibilità dei legali indicati nella presente
ad essere di supporto sulla materia per i consulenti legali delle nostre sedi
periferiche.
Sul fronte ministeriale, il Ministero della sanità ha firmato un "decreto
ricognitivo" che fissa l’elenco dei 718 emofilici per i quali è stata autorizzata la
transazione e per i quali sono stati compilati e firmati gli atti ufficiali di
transazione nominali. In seguito, detti atti hanno passato il vaglio di una
verifica formale da parte dell’Avvocatura di Stato, che appone il "visto di
congruità"; attualmente si stanno compilando i mandati di pagamento che
sono di competenza dell’Ufficio Ragioneria del Ministero del Tesoro.
Pare sia allo studio, presso il Ministero della Salute, una soluzione per
risolvere la medesima problematica in ordine a coloro che allo stato attuale
non rientrano nei parametri della transazione. Ovviamente sarà nostra cura
tenervi informati.
Infine, vi informiamo che sono stare presentate in parlamento alcune
interrogazioni parlamentari relative alla transazione (che come più volte
ribadito riguarda soltanto gli emofilici che hanno subito un danno a seguito di
assunzione di emoderivati infetti lasciando fuori quelli danneggiati a seguito di
trasfusione) e al diritto di altre categorie (ad esempio i danneggiati da
vaccino) allo stesso tipo di risarcimento.
In particolare, siamo a conoscenza di una interrogazione parlamentare
presentata dall’On. Angius (Ds-Ulivo) e di una presentata dall’On. Giacco (DsUlivo) alle quali sinora il governo non ha dato alcuna risposta. Vi è inoltre un
disegno di legge di modifica della legge 210/92 in discussione in Commissione
Affari Sociali. Anche su questo argomento torneremo appena avremo notizie
ulteriori.
Fraterni saluti.
p. il settore
(M. Patrizia Sparti)
All. 1
LEGGE 210/92 - QUESTIONI GIURIDICHE
1. DECADENZA
Il termine triennale di decadenza per la proposizione della domanda di
indennizzo ex lege 210/92, nel caso di infezione da epatite post-trasfusionale,
è stato introdotto per la prima volta dall'art. 7 del D.L. 1/7/96, n. 344
(pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 3/7/96 n. 153), che ha modificato la
precedente formulazione dell'art. 3, comma 1, della legge 210/92.
Detto decreto, non convertito, è stato riproposto in data 30/8/96 (n. 450) e in
data 23/10/96 (n. 548). Quest'ultimo decreto è stato, poi, convertito nella
legge 20/12/96 n. 641, che ha fatto salvi gli effetti prodottisi sulla base dei
D.L. 1/7/96, n. 344 e D.L. 30/8/96 (n. 450).
Lo stesso termine è stato, poi, confermato dalla successiva L. 25/7/97, n.
238, che ha apportato ulteriori modifiche e integrazioni al testo della
precedente L. 210/92.
Ne consegue che il termine triennale per la presentazione della domanda di
indennizzo decorre dalla data di entrata in vigore del D.L. 30/8/96 n. 450 e,
cioè, dal 18/7/96.
=*=*=*=
Peraltro, la succitata normativa prevede espressamente che "i termini
decorrono dal momento in cui ... l'avente diritto risulti aver avuto conoscenza
del danno".
Sul punto pare opportuno sottolineare che lo stesso Ministero della Salute ha
emanato alcune circolari (cfr. 14/11/96 e 11/3/98) con le quali ha precisato
che, ai fini della individuazione del momento in cui l'avente diritto risulti aver
avuto conoscenza del danno, non qualsiasi conoscenza è atta a far decorrere
tale termine, ma solo la consapevolezza degli effetti dannosi, identificabile nel
momento in cui "il processo morboso si sia conclamato nella sua entità
nosologica e stabilizzato in precisi esiti".
Principio che non fa che richiamare quelli espressi dalla giurisprudenza che, in
tema di prescrizione dell'azione per conseguire il risarcimento del danno, ha
individuato il dies a quo per la decorrenza del termine non nel momento in cui
il fatto del terzo determina la modificazione che produce danno all'altrui
diritto, ma dal momento in cui la produzione del danno si manifesta
all'esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile, tenuto
conto, altresì, della diffusione delle conoscenze scientifiche (cfr. per tutte
Cass. Sez. Lav. 2645/03; 5913/00; 8845/95).
=*=*=*=
Al di là di tali considerazioni, va ribadito che la semplice positività al virus non
dà diritto all'indennizzo. Tant'è che, ai sensi dell'art. 4, 4° comma, della legge
210/92, qualora la Commissione accerti solo l'esistenza del contagio ed il
nesso causale, ma non l'ascrivibilità ad una delle 8 categorie previste dalla
tabella, l'indennizzo non viene riconosciuto.
=*=*=*=
Alla luce di tali considerazioni è evidente che, per stessa ammissione del
Ministero, non è precluso l'indennizzo a chi è in grado di dimostrare
(producendo certificazioni mediche od anche deducendo prova per testi) che,
al di là del contagio, il danno effettivo si è manifestato (con ciò intendendosi
effettiva conoscenza) in epoca successiva al termine ultimo previsto dalla
legge, sempre che la domanda venga presentata entro tre anni dall'avvenuta
conoscenza.
2. INTERESSI
Riprendendo quanto già precisato con circolare Inca n. 33/04, per
giurisprudenza ormai consolidata il Ministero della Salute (e le Regioni per le
domande di indennizzo presentate successivamente al gennaio 01) è tenuto a
corrispondere, quantomeno, gli interessi legali con decorrenza, attesa la
natura assistenziale dell'indennizzo, dal 121° giorno successivo alla data di
presentazione della domanda amministrativa, così come previsto dall'art. 7
della legge 533/73 per i crediti verso gli enti pubblici (cfr. sul punto, per tutte,
Cass. Civ. sez. lav., 6/4/01, n. 5201; Cass. Civ. sez. lav., 6/3/01, n. 3244;
Cass. Civ. sez. lav., 2/7/92, n. 8119).
3. ADEGUAMENTO DELL'INDENNIZZO AL COSTO DELLA VITA
L'art, 2, I° comma, della L. 210/92, prevede che l'indennizzo sia rivalutato
annualmente sulla base del tasso di inflazione programmato. Il 2° comma
dello stesso articolo dispone che l'indennizzo venga integrato da una somma
corrispondente all'importo dell'indennità integrativa speciale di cui alla L.
324/59 e successive modifiche, prevista per la prima qualifica funzionale degli
impiegati civili dello Stato. Detta indennità integrativa, che costituisce la parte
più consistente dell'indennizzo, non è mai stata rivalutata dal Ministero della
Salute.
Sul punto, si è recentemente formato un indirizzo giurisprudenziale di merito
(tra gli altri Corte d'Appello Milano n. 588/02; Trib. Busto Arsizio n. 49/03)
che interpreta la legge in senso favorevole all'estensione della rivalutazione
annuale secondo gli indici ISTAT all'indennità integrativa speciale.
L'interpretazione più favorevole della legge determina, a favore degli
assicurati, la seguente differenza bimestrale:
per l'anno 1999 euro 98,91
per l'anno 2000 euro 112,45
per l'anno 2001 euro 131,85
per l'anno 2002 euro 151,57
per l'anno 2003 euro 168,09
All. 2
RISARCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO
PER UTILIZZO DI SANGUE INFETTO
L. 210/1992 E DANNO BIOLOGICO
La Legge 210 prevede una forma d’indennizzo a favore di tutti coloro che sono
stati danneggiati a seguito di trasfusione di sangue o plasma infetti, o a
seguito di somministrazione di prodotti commerciali emoderivati infetti.
La somma che viene elargita a tale titolo a dette persone ha carattere
meramente assistenziale.
Di differente natura e fine è il risarcimento del danno, richiesto nei confronti
dei responsabili civili della violazione del diritto all’integrità psico-fisica della
persona (con relativa riduzione della integrità della stessa).
Mentre l’indennità ex L. 210/92 trova la propria ratio nella solidarietà e
assistenza nell’affrontare le spese e le difficoltà quotidiane dovute alla
limitazione psico-fisica, il secondo trova ragione nella violazione stessa del
diritto primario alla salute.
Inizialmente l’orientamento giurisprudenziale si era indirizzato ad una non
cumulabilità dell’indennizzo con il risarcimento del danno. Grazie alla sentenza
del Tribunale di Roma del 4-15 giugno 2001, e prima ancora della sentenza
della Corte Costituzionale n. 423 del 16 ottobre 2000 si può oggi invece
affermare la possibilità di richiedere integralmente sia il risarcimento del
danno sia l’indennità ai sensi della L. 210/1992.
A tal proposito la Corte Costituzionale nella sentenza sopra richiamata dispone
che: "Ferma la possibilità per l’interessato di azionare l’ordinaria pretesa
risarcitoria, il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha dunque
previsto una misura economica di sostegno aggiuntiva, in un caso di
danno alla salute, il cui ottenimento dipende esclusivamente da ragioni
obbiettive facilmente determinabili, secondo parametri fissi, in modo da
consentire agli interessati in tempi brevi una protezione certa nell’an e nel
quantum, non subordinata all’esito di un’azione di risarcimento del danno,
esito condizionato all’accertamento dell’entità, e, soprattutto, alla non facile
individuazione di un fatto illecito e del responsabile di questo".
E così il Tribunale di Roma nella sentenza sopra indicata: "Il Ministero
convenuto l’ha (l’ammissibilità della domanda) infondatamente contestata sul
presupposto della vigenza di una disciplina specifica che prevede a carico dello
Stato il pagamento di un indennizzo destinato a coprire parte dei danni
derivanti da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di
emoderivati. Si tratta di una normativa (L. 210/1992), che ha introdotto un
sistema di sicurezza sociale con la finalità solidaristica (art. 2 e 32 Cost.) di
soccorrere quanti abbiano subito danni in conseguenza di un’attività di cura
promossa dallo Stato per la tutela della salute pubblica, esonerando la parte
all’accidentato percorso dell’azione di responsabilità civile ex art. 2043 c.c.
L’ammissibilità del concorso delle due forme di tutela è stata ammessa dalla
Corte Costituzionale e dalla giurisprudenza di merito".
L’indennizzo e il risarcimento del danno sono ontologicamente differenti, sia
dal punto di vista del soggetto passivo, che dei presupposti e del petitum.
L’indennizzo infatti prescinde da ogni addebito di colpa, discendendo da un
dovere generale di solidarietà, rivestendo una mera funzione assistenziale, e
grava pertanto sulla collettività.
Il risarcimento del danno si fonda invece su un giudizio di colpa, e si rivolge
verso il danneggiante.
Da tali considerazioni consegue che, accertata la colpa della struttura
sanitaria, l’avvenuta erogazione dell’indennità di cui alla L. 210/92 non può
precludere il diritto all’integrale risarcimento del danno.
Secondo la sentenza del Tribunale di Roma, il danneggiato avrà quindi diritto
al risarcimento del danno biologico, del danno alla vita di relazione, al danno
patrimoniale e, vista la rilevanza penalistica dei fatti, al danno morale.
SOGGETTI PASSIVI DELLA DOMANDA DI RISARCIMENTO DEL DANNO
Occorre distinguere se l’infezione derivi da trasfusione di sangue o plasma,
oppure sia trasmessa a seguito della somministrazione di prodotti commerciali
emoderivati, per i quali sia stato utilizzato sangue infetto.
Nel secondo caso (prodotti commerciali emoderivati) è palese la responsabilità
del Ministero della Salute, che già dal lontano 1967, a seguito dell’entrata
in vigore della L. 592/67, aveva il compito di emanare le direttive tecniche per
la organizzazione, il funzionamento ed il coordinamento dei servizi inerenti
alla raccolta, preparazione, conservazione e distribuzione del sangue umano
per uso trasfusionale nonché alla preparazione dei suoi derivati, esercitandone
altresì la vigilanza.
Nonostante tale normativa e tali obblighi a capo del Ministero della Salute,
quest’ultimo continuava ad importare sangue dall’estero (si consideri altresì
sangue mercenario dall’Africa….!) fino al 1992, con la disciplina della L.
210/92, senza le opportune cautele, senza idonea sorveglianza, e soprattutto
senza predisporre una disciplina tale da garantire l’incolumità pubblica.
E tale condotta omissiva o comunque insufficiente del Ministero della Salute si
è protratta nel tempo, nonostante che le conoscenze tecniche avessero
raggiunto determinati livelli di scienza dell’epatite e delle altre forme virali
presenti nel sangue (1978, 1985, 1988).
Al riguardo afferma il Tribunale di Roma che: "Al Ministero non è contestata
l’omissione normativa, cioè di avere omesso di emanare provvedimenti nella
materia in esame, ma di averli emanati in ritardo, con contenuti inadeguati, e
di non aver vigilato sulla puntuale esecuzione degli stessi e, soprattutto, di
non aver effettuato controlli effettivi sulla sicurezza del plasma importato
dall’estero, ovvero del sangue raccolto senza controllo sulla qualità dei
donatori, sui canali di approvvigionamento e distribuzione, sulle modalità e le
cautele concretamente seguite nella preparazione dei prodotti".
Naturalmente sono responsabili civili sempre per il contagio da prodotti
commerciali emoderivati le Case farmaceutiche che hanno acquistato e
utilizzato il sangue infetto senza le opportune cautele, o in base alla normativa
via via emanata dal Ministero della Salute, o in base al principio del neminem
laedere, di cui all’art. 2043 c.c., date le conoscenze tecniche e scientifiche dei
virus trasmissibili con il sangue umano.
Certamente responsabilità delle Case farmaceutiche produttrici di emoderivati
è ravvisabile altresì alla luce dell’art. 2050 c.c., che stabilisce una presunzione di
responsabilità a carico di chi esercita attività pericolose; nel caso particolare
delle imprese produttrici di farmaci emoderivati. Tale responsabilità prevede
una presunzione di colpa a carico dell’Azienda farmaceutica. Pertanto una
volta dimostrato da parte del danneggiato il nesso causale tra la
somministrazione del prodotto infetto e il contagio, l’impresa farmaceutica,
per liberarsi dalla presunzione di responsabilità, deve fornire la prova rigorosa
di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno con la verifica
dell’innocuità del prodotto tenendo conto di tutte le metodologie scientifiche,
anche sperimentali. Non basta infatti la prova negativa di non aver commesso
alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorre
quella positiva di aver impiegato ogni cura e misura idonee ad impedire
l’evento.
Di particolare interesse sono le varie sentenze della Corte di legittimità in
ordine al caso Trilergan, che si è pronunciata più volte in merito alla
responsabilità della casa farmaceutica e dei suoi fornitori di gammaglobuline
per aver prodotto e posto in commercio negli anni 70 lotti di Trilergan
contaminati da un antigene responsabile del virus dell’epatite B che,
inevitabilmente, aveva contagiato i pazienti ai quali il farmaco era stato
somministrato.
Parte della dottrina ha ravvisato altresì una responsabilità delle Case
farmaceutiche nella normativa di cui al D.P.R. 24 maggio 1988 n. 224, che
disciplina la responsabilità del produttore nel caso di prodotti difettosi.
Comunque anche in tal caso, come ai sensi dell’art. 2050 c.c., spettano
all’impresa farmaceutica gli stessi incombenti per esonerarsi dalla
responsabilità per il danno cagionato dal sangue infetto.
Il soggetto passivo in caso di trasmissione dei virus per trasfusione di sangue
o plasma infetti è sempre il Ministero della Salute, per i motivi sopra
esposti.
Responsabile civilmente è altresì l’Azienda ospedaliera, la quale si obbliga
ad eseguire le prestazioni sanitarie necessarie, rispondendo verso il paziente
per l’inesatto adempimento di tale obbligazione ex art. 1218 c.c., sussistendo un
"contratto di cura" tra il paziente stesso e la struttura sanitaria.
Inoltre è applicabile anche all’ente ospedaliero la normativa di cui all’art. 2050
c.c., e cioè, come visto in precedenza per le case farmaceutiche, la
responsabilità per attività pericolose, con onere a carico dell’ente stesso di
dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il contagio.
Così infatti si è espresso il Tribunale di Ravenna con sentenza 28 ottobre
1999: "Posto che, per la naturale idoneità del sangue a veicolare agenti
patogeni ed in considerazione delle numerose norme ispirate alla finalità di
prevenire il rischio di contagio post-trasfusionale, l’attività di preparazione del
sangue umano all’impiego trasfusionale va considerata pericolosa ai sensi
dell’art. 2050 c.c.; per liberarsi dalla responsabilità del contagio occorso al
ricevente, il centro trasfusionale deve provare di avere adottato tutte le
misure idonee ad evitare che il sangue fornito fosse attinto da agenti
patogeni, comprese quelle, note ed astrattamente possibili, che all’epoca dei
fatti non erano oggetto di specifica prescrizione normativa (nella specie, in un
caso di contagio da HIV conseguente ad una trasfusione somministrata nel
luglio 1985, il centro trasfusionale non ha fornito la prova di avere espletato
sul sangue metodiche di "screening" anamnestico mirate, volte ad impedire la
donazione da parte di soggetti appartenenti ad una categoria di soggetti
particolarmente esposti al rischio di essere portatori di virus)".
Naturalmente l’ ente ospedaliero è sempre e comunque responsabile in forza
del principio del neminem laedere, in base alle conoscenze tecniche e
scientifiche all’ epoca della raccolta e somministrazione del sangue. L’ Azienda
ospedaliera alla luce dei principi sopra citati, è tenuta a utilizzare tutti i mezzi
per la cura dei pazienti, sia che vi siano specifiche norme che impongano tali
comportamenti, sia in carenza di queste, qualora vi siano comunque le
capacità per riconoscere la presenza dei virus (HIV, epatite B, epatite C, già
epatite non A non B) nel sangue umano.
Se, come nella maggior parte dei casi affrontati, la trasfusione del sangue o
plasma è avvenuta prima del 1° gennaio 1995, erano responsabili per le
infezioni da addebitarsi a tale periodo le vecchie U.S.L. Con la riorganizzazione
del sistema sanitario nazionale, avvenuta con il d.lg. 502/92 (poi modificato
dal d.lg. 7 dicembre 1993 n. 517) il legislatore ha previsto la costituzione delle
Aziende sanitarie locali e delle Aziende Ospedaliere, dotate di personalità
giuridica e piena autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale,
contabile, gestionale e tecnica, ed ha incaricato le Regioni di regolare e
definire i rapporti passivi, oltre che attivi, facenti capo alle vecchie U.S.L. Con
la L. 28 dicembre 1995 n. 549 si è stabilito, all’art. 2, comma 14, che "le
Regioni attribuiscono ai direttori generali delle istituite aziende sanitarie locali
le funzioni di commissari liquidatori delle soppresse unità sanitarie ricomprese
nell’ambito territoriale delle rispettive aziende. Le gestioni a stralcio di cui
all’art. 6, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, sono trasformate
in gestioni liquidatorie". Pertanto, attualmente legittimato passivo per fatti
avvenuti anteriormente alla applicazione della L. 502/92 è il Commissario
liquidatore (nella persona del Direttore generale) delle soppresse
U.S.L.
Se la trasfusione di sangue o plasma infetti è avvenuta dopo il 1° gennaio
1995, la responsabilità civile ricade sulla nuova A.U.S.L. che si è occupata
della raccolta e somministrazione del sangue.
Così come ricade sull’Azienda Ospedaliera dopo il 1° gennaio 1995, in quanto,
appunto, ente con personalità giuridica pubblica e piena autonomia.
Certa è la responsabilità della Regione, in quanto dal gennaio 1995 è
subentrata in tutti i rapporti passivi e attivi delle soppresse USL.
In diversi casi le persone sono state infettate a seguito di trasfusioni di
sangue o plasma avvenute presso cliniche private. Tuttavia in concreto anche
queste ricevono il sangue direttamente dall’Azienda Ospedaliera di
riferimento.
PRESCRIZIONE
Il diritto al risarcimento dei danni subiti a seguito di utilizzo di sangue infetto
è di 10 anni. L’art. 2947 c.c., stabilendo la prescrizione del generale diritto al
risarcimento del danno, dispone che se il fatto illecito causa del danno è
riconosciuto dalla legge come reato, è applicata anche al risarcimento del
danno l’eventuale prescrizione più lunga stabilita per la fattispecie delittuosa.
Così infatti afferma il Tribunale di Roma nella nota sentenza avverso il
Ministero della Sanità: "il termine di prescrizione è di dieci anni, in
considerazione della rilevanza penalistica del comportamento del Ministero
nella diffusione delle infezioni virali in questione, essendo configurabili
astrattamente i reati dell’epidemia colposa ovvero dell’omicidio colposo o delle
lesioni colpose plurime".
Inoltre, considerando anche la responsabilità contrattuale degli istituti
ospedalieri nei confronti del paziente, la prescrizione è decennale.
Il dies a quo della prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre
dalla data in cui "la condotta illecita abbia inciso nella sfera giuridica del
danneggiato con effetti esteriorizzati e conoscibili dal medesimo, nel senso
che la persona abbia avuto reale e concreta consapevolezza dell’esistenza e
gravità del danno" (Trib. Roma giugno 2001).
Non sono pertanto sufficienti i certificati medici di rilievo sierologico, in quanto
non si può presumere che nelle date indicate sul certificato la persona abbia
avuto piena conoscenza dei risultati di quelle stesse diagnosi, e soprattutto
della gravità dell’infezione e delle sue conseguenze.
Ritengo inoltre che nel caso di asintomaticità della patologia, il dies a quo
possa decorrere da quando si scateni un effetto a danno della persona
infettata. Solo in tal caso sussiste, è conoscibile e quantificabile un danno, per
il quale si possa richiedere il risarcimento.
COMPETENZA TERRITORIALE
Chiamando in causa quale soggetto legittimato passivamente il Ministero della
Salute, è competente il Foro presso il quale si trova l’Avvocatura di Stato
territoriale. Nel caso dell’Emilia Romagna sarà competente il Foro di Bologna.
Nel caso in cui, invece, per vari motivi, ci si rivolga nei soli confronti degli altri
soggetti passivi, la competenza territoriale spetta al Giudice del luogo in cui si
è verificato l’evento lesivo, o, alternativamente, il Giudice del luogo in cui la
persona giuridica ha la propria sede.
QUESTIONI SOLLEVATE DAI SOGGETTI PASSIVI
Attualmente i soggetti ai quali sono state inviate raccomandate di interruzione
dei termini di prescrizione hanno rivolto varie contestazioni alle richieste di
risarcimento danni per epatite o hiv.
Ciò che maggiormente viene affermato da detti soggetti è che all’epoca dei
fatti avvenuti anteriormente al 1990 non era ancora nota come entità
nosologica ben individuata l’epatite di tipo C, né tanto meno erano disponibili
mezzi diagnostici idonei alla sua identificazione; la ricerca scientifica,
estremamente attiva in campo epatologico, permise la corretta identificazione
del suddetto virus solo a partire dalla fine del 1980 e il test per la diagnosi è
stato reso obbligatorio solo a decorrere dal 1990. Affermano in conclusione
che è ammissibile procedere alla richiesta di risarcimento del danno solo nei
casi in cui il contagio sia avvenuto dopo il 1990.
Tali contestazioni paiono presto superabili, affermando in primo luogo che il
virus, oggi chiamato epatite C, era già conosciuto anche prima della fine degli
anni ’80, anche se denominato diversamente, e cioè epatite non A e non B. Il
virus però è sempre il medesimo, comportando quindi gli stessi danni.
Infatti, anche ai fini della prescrizione, ritengo occorra prestare attenzione al
fatto che la decorrenza della stessa avviene dal giorno in cui eventualmente
sia stato reso noto al danneggiato di essere affetto da epatite non A e non B,
e degli effetti che questa comporta, anche se successivamente gli sia stata
diagnosticata epatite C. Si tratta infatti della stessa patologia, benché
chiamata diversamente: inizialmente non A e non B, in quanto differente
come epatite alle due forme allora conosciute chiamate appunto A e B, quindi
epatite C dandole solo in seguito un "nome proprio".
Sull’eccezione mossa relativamente all’obbligatorietà del test anti hcv solo a
partire dal 1990, si è già visto in precedenza che l’obbligo per le Aziende
Ospedaliere e per tutti gli Istituti preposti alla raccolta e somministrazione del
sangue discende direttamente dall’art. 2043 c.c., in base al principio del
neminem laedere, tenuto conto delle conoscenze tecniche e scientifiche
all’epoca dell’infezione, nonché dalle altre norme e principi sopra riportati a
seconda di ciascun soggetto passivo.
Su tale punto il Tribunale di Roma si è spinto oltre, riconoscendo
responsabilità del Ministero della Salute anche nel caso in cui i virus non
fossero conoscibili al momento dell’ infezione. Si legge infatti: "E’ evidente che
dell’evento dannoso è chiamato a rispondere colui che, essendo venuto meno
all’obbligo legale di porre in essere le misure che secondo le conoscenze
dell’epoca potevano servire quantomeno a ridurre il pericolo della sua
realizzazione, ha contribuito a porre in essere le condizioni necessarie per la
realizzazione dell’evento dannoso costituito dalla lesione dell’integrità psicofisica, non rilevando che quella particolare lesione fosse costituita da una
malattia infettiva procurata da virus già conosciuti ovvero non ancora noti
perché non identificati dalla scienza, ciò attenendo al profilo della liquidazione
delle conseguenze dannose di un fatto illecito giuridicamente perfetto, in
ordine al quale, in materia extracontrattuale, non opera il limite della
prevedibilità. Non può infatti ritenersi eccezionale l’eventualità d’insorgenza di
malattie nuove veicolate dal sangue, sicchè prevedibilità e possibile
risarcibilità del danno alla salute giustificano la responsabilità del Ministero" .
SENTENZA DEL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA N. 974/2001.
Importante contributo alla materia trattata è stato fornito dal Tribunale di
Reggio Emilia, con la sentenza n. 974/2001.
Il Dott. Cenni, Giudice in composizione monocratica del Tribunale di Reggio
Emilia, ha emanato una sentenza chiara e dettagliata, trattando le diverse
problematiche inerenti il risarcimento del danno per trasfusione.
Preliminarmente, si sottolinea che la fattispecie esaminata riguarda i danni
prodotti da trasfusione di sangue avvenuta già nel 1984.
Soggetto passivo obbligato al risarcimento del danno è stato riconosciuto
nella Regione Emilia Romagna, in quanto "successore nei rapporti debitori e
creditori delle pregresse U.S.L.".
Per quanto concerne la prescrizione del diritto al risarcimento, il Tribunale di
Reggio Emilia ha sottolineato la natura contrattuale della responsabilità del
soggetto passivo, con la relativa prescrizione in dieci anni.
Aggiunge la sentenza richiamata che "Anche ritenendosi l’applicazione di tale
disposizione (art. 2947 c.c.) ad ipotesi di responsabilità contrattuale, è facile
osservare come essa preveda l’applicazione del termine prescrizionale stabilito
per il reato soltanto qualora questo sia più lungo di quello ordinario civile, ciò
che non è prendendo le mosse dalla natura contrattuale della responsabilità
(termine decennale). Inoltre trattandosi nella specie di penetrazione del reato
di lesioni colpose gravi o gravissime, la cui pena edittale prevede al massimo
anni 7 od anni 12 di reclusione, il termine di prescrizione non potrebbe essere
inferiore a 10 o 15 anni, a seconda dell’ipotesi ritenuta, in relazione al chiaro
disposto dell’art. 157 n. 2 c.p.".
Anche in questa sentenza la differenza tra risarcimento e indennizzo è
stata confermata, con le stesse argomentazioni viste in precedenza.
Importante è il nesso causale tra trasfusione e contagio. Nella sentenza
trattata, non si raggiunge la piena prova del nesso causale, ma si afferma il
rapporto elettivo tra trasfusione ed epatite C (la fattispecie decisa è relativa
infatti al contagio da epatite C).
Si afferma infatti nella sentenza, come rilevato dal C.T.U. nominato, che il
contagio per via sessuale è inconsueto per tale patologia, mentre la
emotrasfusione è statisticamente la causa più frequente di trasmissione del
virus.
Il Tribunale di Reggio Emilia isola in tre ipotesi la colpa professionale
attribuibile alla struttura ospedaliera: 1- omissione nell’adozione delle cautele
preventive necessarie ed esigibili nei riguardi dei singoli donatori di sangue;
2- imprudente ricorso alla pratica trasfusionale pur in assenza di necessità
terapeutica; 3- difetto di consenso raccolto dalla paziente, in relazione alla
insufficiente informazione circa i rischi insiti nella pratica trasfusionale e circa
la possibilità di misura alternativa alla trasfusione di sangue.
Il Tribunale di Reggio Emilia termina pertanto dichiarando l’esclusiva
responsabilità della Regione Emilia Romagna nella causazione dei danni
riportati dall’attrice, e quindi condannando la Regione Emilia Romagna a
risarcirli nella misura di lire 658.720.000.
All. 3
OPPORTUNITA’ DI TENTARE LA CAUSA
A seguito della sentenza del Tribunale di Roma del 2001, che ha condannato il
Ministero della Salute a risarcire tutti i danni, biologico, morale e patrimoniale,
ai soggetti che hanno contratto epatiti o virus dell’hiv a seguito di utilizzo di
prodotti emoderivati o di trasfusioni di sangue o plasma freschi, per singoli
episodi o perché politrasfusi per emofilia o talassemia, si è finalmente
riconosciuto (ai sensi dell’art. 2043 e dell’art. 2050 c.c.) e sostenuto a favore
dei danneggiati il diritto al risarcimento affiancato ad un indennizzo, già
previsto dalla Legge 210/92.
Entrambe le prestazioni economiche, come da sentenza della Corte
Costituzionale n. 423 del 16 ottobre 2000, sono ritenute cumulabili, trovando
le rispettive ratio in differenti istituti giuridici.
L’indennizzo di cui alla L. 210/1992 ha natura assistenziale, e viene versata a
scadenze mensili, proprio per aiutare i danneggiati a sostenere le difficoltà
anche economiche quotidiane, derivanti dalle menomazioni psico-fisiche
subite.
Il risarcimento del danno invece ha, appunto, carattere risarcitorio della
perdita della capacità psico-fisica a seguito dell’insorgere della malattia,
nonché della perdita economica, e del danno morale a fronte di un reato
commesso dal Ministero della Sanità (lesioni gravissime, epidemia, ecc.).
Si sono così rivolti al Patronato INCA di Reggio Emilia, a volte da questo
contattati, tutti coloro che già erano stati seguiti dallo stesso Patronato per
conseguire l’indennizzo previsto dalla L. 210/92., sia che avessero ottenuto
detto indennizzo sia che, perlomeno, avessero ottenuto il riconoscimento del
nesso causale tra le trasfusioni o l’utilizzo dei prodotti emoderivati e la
patologia contratta, anche se risultata poi quest’ultima di entità tale da non
essere ascrivibile.
Infatti, mentre la legge 210/92 prevede un indennizzo solo nel caso che la
patologia abbia una certa gravità e una certa sintomatologia, per il
riconoscimento del diritto al risarcimento del danno è sufficiente che sia
riconosciuta anche una minima riduzione della capacità pscicofisica.
Certamente il risarcimento è proporzionale alla percentuale d’invalidità
accertata da medico-legale.
Si sono iniziate pertanto diverse cause nei confronti del Ministero della Sanità,
in caso di emofilici ricorsi sia a trasfusioni di sangue che a prodotti
emoderivati. Il Ministero della Sanità risulta infatti essere il responsabile
principale del diffondersi dell’epatite C e dell’hiv per non aver regolato la
raccolta, la somministrazione e l’utilizzo del sangue a fini terapeutici.
In caso di trasfusi per evento determinato (ad esempio in caso di emorragia
ulcerosa, di grandi ustioni, ecc.), le cause sono state intentate direttamente
nei confronti dell’Ospedale o dell’AUSL responsabili, solitamente ben coperti
da polizze assicurative. Se il fatto è accaduto precedentemente al 1995 e
prima che le USL cessassero di esistere per dar posto alle nuove AUSL e ai
nuovi enti ospedalieri, la responsabilità passiva fa capo all’USL in persona del
Commissario liquidatore – alias Direttore Generale delle nuove AUSL. E’
inoltre responsabile la Regione, che dal 1995 ha assorbito i debiti e i crediti
delle pregresse USL. Se accaduto l’evento lesivo successivamente, sarebbe
responsabile l’AUSL o l’Ente Ospedaliero che hanno provveduto alle cure del
paziente utilizzando sangue infetto. Tale ultima fattispecie, almeno per quanto
riguarda la provincia di Reggio Emilia, non si è riscontrata. Infatti dopo
l’entrata in vigore della L. 210/92, finalmente vi è stata la dovuta cautela e
prudenza nella raccolta, utilizzo e somministrazione del sangue. Da allora pare
non si siano verificati, almeno a nostra conoscenza, casi di infezioni da HIV o
HCV.
Nelle cause già in corso si sono costituite le controparti. La Regione e le USL
hanno chiamato in causa le rispettive compagnie assicurative per ottener
malleva in caso di condanna.
I legittimati passivi hanno proposto diverse eccezioni per ostare le domande
dei danneggiati, prima tra queste l’eccezione di prescrizione. Al momento
tutte queste eccezioni non sono state condivise dai Giudicanti che sia a
Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Genova, Milano, ecc hanno fatto
proseguire le cause sino all’attuale fase istruttoria.
I difensori delle convenute affermano inoltre che si conosce l’epatite C solo dal
1991, e che prima di tale periodo non si avevano strumentazioni e capacità
tecniche per rilevare la presenza del virus nel sangue. E affermano inoltre che
comunque fino ad allora non vi era l’obbligo di effettuare i controlli.
Certamente tali argomentazioni non sono condivisibili, per motivi del tutto
dimostrabili in fatto e in diritto. Per quanto riguarda la non conoscenza
dell’epatite C – già epatite non A non B– si smentiscono le affermazioni di
controparte, avendo in mano la difesa dei danneggiati cartelle cliniche in cui
già prima del 1985 si parlava di epatite non A e non B, dimostrandone così la
conoscenza. Sarà inoltre richiesto approfondito esame della materia al C.T.U.
medico-legale che verrà nominato.
L’obbligo poi di effettuare i controlli necessari per evitare la trasmissione del
virus vi erano, essendo sancito nell’art. 2043 c.c. il principio del neminem
laedere, del non procurare ad alcuno una lesione ingiusta.
La maggior parte delle cause ad oggi iniziate trattano di epatite o di hiv
trasmessi da trasfusioni di sangue o plasma effettuate per singoli ed isolati
episodi. Alcune invece sono state presentate da soggetti politrasfusi, che sia
hanno subito trasfusioni di sangue sia hanno utilizzato prodotti emoderivati.
Tali soggetti sono solitamente persone affette da emofilia o talassemia.
Oggi, con il decreto 3 novembre 2003, il Ministero della Salute ha cercato di
transigere le controversie insorte presso il Tribunale di Roma, proponendo un
risarcimento dei danni differente a seconda dello stato in cui tali cause sono
giunte ed in base all’età dei danneggiati. In caso di morte di questi ultimi è
prevista anche una somma di risarcimento per gli eredi, sempre in via
transattiva.
Tuttavia questo decreto pare del tutto illegittimo costituzionalmente. E si
ritiene ciò principalmente per due motivi. In primo luogo, in quanto la
transazione prevista dal decreto riguarda solamente gli emofilici, in secondo
luogo perché fra questi solo a quelli rientranti nella cd. Commissione Curzi
viene data la possibilità di transigere la causa.
Vengono quindi esclusi tutti coloro che sono stati infettati da vaccinazioni,
tutti i talassemici, e tutti coloro che sono stati infettati per episodiche
trasfusioni di sangue.
L’illegittimità costituzionale è ben chiara rispetto all’art. 3 della nostra
Costituzione, in cui si afferma il principio di uguaglianza. "Tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge", diritto violato
laddove il decreto in questione ha trattato in modo differente cittadini italiani
che, pur trovandosi nelle medesime condizioni di salute, per la medesima
causa, pur avendo riconosciuto il nesso causale e pur essendo ricorsi
all’Autorità Giudiziaria, tuttavia non ottengono il risarcimento del danno a
differenza delle persone emofiliche che hanno intrapreso azione giudiziaria di
risarcimento danni a Roma.
Intanto proseguiamo nelle cause civili, sperando che presto venga
riconosciuta l’incostituzionalità di tale normativa e venga data la possibilità a
tutti coloro che ne hanno diritto di poter essere parti nella transazione con il
Ministero della Salute.
In caso contrario saranno i Giudici che condanneranno, come si auspica e si
ritiene altamente probabile, il Ministero o gli altri responsabili civili al
risarcimento del danno a tutti coloro che hanno subito una lesione personale
perché trasfusi, o emofilici, o talassemici, o vaccinati con emoderivati infetti.
Solo allora sarà rispettato il principio di uguaglianza ed effettivamente
situazioni analoghe saranno parimenti trattate.
All. 4
TRANSAZIONE: L. 141/2003
La legge n.141 del 20 giugno 2003 ha previsto risarcimenti per "danni da
trasfusioni di sangue o emoderivati infetti" (art.3) solo per quei soggetti
emotrasfusi "che hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora
pendenti" e coi quali vengono quindi stipulate delle transazioni.
Le cifre previste sono decisamente significative: a seconda dei casi verranno
corrisposte somme nell’ordine di 400 - 650 mila €.
Coloro che invece non hanno iniziato cause di risarcimento danni rimangono al
momento esclusi dalle previsioni di tale legge.
In futuro non è da escludersi che tale disposizione legislativa venga reiterata a
favore di chi, nel frattempo, abbia iniziato una causa: è solo una possibilità,
ma è da tenere in attenta considerazione. A prescindere da ciò, finora i
precedenti giurisprudenziali (cioè le sentenze emanate) sono stati (quasi) tutti
a favore di chi chiedeva un risarcimento danni ulteriore rispetto all’indennizzo
previsto dalla legge 210/92; può valere la pena di valutare l'esperimento di
una causa.
Sin da ora si precisa che il diritto al risarcimento si prescrive in 10 anni, che
decorrono dal momento in cui il soggetto danneggiato ha avuto piena
consapevolezza che la malattia (Hiv o epatite) è stata causata da una
trasfusione o da un emoderivato infetto: finora, come criterio, tale momento è
stato fatto coincidere con la comunicazione del giudizio della competente CMO
sul nesso di causalità (in relazione alla domanda fatta in base alla legge
210/92).
Si sottolinea che bisogna prestare attenzione al periodo in cui si presume
avvenuta l'infezione: i danni vanno chiesti entro 10 anni da tale momento.
Infatti secondo la sentenza della Corte d’Appello di Roma del 4 ottobre 2000,
il Ministero della Salute è responsabile per le infezioni contratte dopo che
erano disponibili i test per l'individuazione HIV HCV HBV nel sangue e negli
emoderivati, mentre non è responsabile per le infezioni contratte prima di tali
momenti, in quanto non erano scientificamente disponibili i test e quindi nulla
poteva fare in termini di farmaco-sorveglianza.
I periodi sopracitati sono: anno 1978 per l’epatite B, anno 1985 per HIV, anno
1988 per l’epatite C.
Tuttavia è stata in seguito emanata nel 2001 una sentenza del Tribunale di
Roma che invece ritiene responsabile il Ministero della Salute anche per i casi
di infezioni avvenuti prima della disponibilità dei test; inoltre la legge del
giugno 2003 (quella sulle transazioni, citata all’inizio della presente
informativa) riconosce un risarcimento anche a coloro che sono stati infettati
prima della disponibilità dei test.
La questione si presta ad essere controversa, tuttavia si ritiene che questo
non rappresenti un motivo sufficiente per rinunciare alla causa, sia perché il
Tribunale di competenza potrebbe comunque decidere in senso favorevole ai
danneggiati, sia perché le disposizioni della legge del 20 giugno 2003
potrebbero in futuro essere reiterate a favore di chi, nel frattempo, abbia
iniziato un'azione legale.
Raccomandata a . r.
____________, il __________
Spett.le
MINISTERO DELLA SANITA’
Piazzale dell’Industria n. 20
00144 ROMA
Spett.le
MINISTERO DELLA SANITA’
Lungotevere Ripa n. 1
00153 ROMA
Spett.le
Regione ______ (di competenza)
Oggetto: DENUNCIA E RICHIESTA RISARCIMENTO DANNI PER
UTILIZZO DI EMODERIVATI INFETTI.
Il sottoscritto Sig. ______________________, ha contratto infezione da
epatite di tipo C (o altro _____________ - indicre la patologia), a seguito di utilizzo
di emoderivati, essendo il Sig. ___________ emofilico / soggetto Von
Willebrand .
(Per chi avesse ottenuto l'indennizzo ai sensi della legge 210/92 - specificare
quanto segue)
Il Sig. ____________ già aveva richiesto indennità ai sensi della L. 210/1992.
Alla visita medica presso il centro militare/ospedaliero di medicina legale di
__________, la Commissione medica aveva così accertato: "Sì, esiste nesso
causale tra la trasfusione e l’infermità epatica cronica HCV (in caso di altra
patologia indicarne gli estremi), correlata ascrivibile alla ____ (qualificare la categoria
tabellare) categoria della tabella A, allegata al DPR 30/12/1981 n. 834".
Dall’infezione è derivato certamente un danno biologico, alla vita di relazione,
patrimoniale e, vista la rilevanza penalistica dei fatti, morale.
Con la presente pertanto Vi invita a risarcire tutti i danni patiti, a seguito del
comportamento negligente, imprudente, e per imperizia degli organi preposti
al controllo e alla vigilanza in materia della sanità e, in particolare, nella
produzione, commercializzazione e distribuzione dei derivati del sangue.
Risulta infatti Vostro comportamento omissivo per colposa inosservanza dei
doveri istituzionali attribuiti a detti Organi.
Vi avverto sin d’ora che, in caso di mancato riscontro alla presente mia, o in
caso di diniego di dette richieste, adirò la competente Autorità Giudiziaria a
mezzo del mio legale di fiducia Avv. __________________ (per chi avesse
legali di propria fiducia).
Distinti saluti.