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ESTETICA
Maddalena Mazzocut-mis
2014-2015
Introduzione al corso
Tema del gusto nell’estetica è fondamentale. L’estetica si occupa di fruizione cioè della ricezione
dell’arte. La ricezione dell’arte passa attraverso tutti i sensi, il senso privilegiato è la vista, invece
quest’anno si parla di gusto del palato.
Si parla dei nomi dell’estetica attraverso il gusto palatale.
Il gusto è la fruizione in generale, quindi per dividere si parla di gusto palatale.
2 testi nuovi = il manuale “Lineamenti di estetica”, nuova edizione di Le Monnier. Disponibile il
mese prossimo. (Marzo, metà marzo). Anche l’altro testo del 2015.
Test scritto riferito alla prima parte, cioè al manuale. 7 Maggio alle 10.30. Il test è per i frequentanti,
riguarda esclusivamente il primo modulo. Se si passa il test si può rifare la parte relativa al test
all’esame. Quindi poi all’orale si può portare solo il secondo e terzo modulo. La seconda parte vale
di più.
Il test è a crocette, non c’è da scrivere nulla. C’è da ragionare. Sono affermazioni di frasi
estrapolate dal manuale che si riferiscono a filosofi e nuclei di pensiero, 3 o 4, una è vera, una è
l’opposto, la terza palesemente falsa e quella quarta è plausibile. 60 domande, mezzo punto per
domanda.
Al test non ci si deve iscrivere per il SIFA, ma attraverso l’indirizzo di posta elettronica
[email protected]
Iscriversi il più presto possibile
Primo appello 20 maggio.
Attività collaterali al corso: tre laboratori
• Teatro e Sport, coniugati attraverso il tema del gioco. Passa attraverso l’idea di disturbo
alimentare e sedentarietà. Fare dei canovacci per i ragazzi delle medie e delle superiori.
• Cinema e Sport, si svolge nel chiostro del Piccolo Teatro.
• Camille Claudel e L’Age mus nie: Scultura tra arte e vita
Come definire la disciplina estetica
L’Estetica ha una storia, si evolve con la storia e sono state date più definizioni di estetica.
Andrè Lalande, Vocabulaire technique et critique de philosophie
Estetica è la scienza che ha per oggetto il giudizio di gusto che si applica alla distinzione tra bello e
brutto. E’ una definizione buona ma assolutamente parziale.
(L’Estetica è una disciplina scientifica, non umanistica. E’ scienza perché ha delle caratteristiche
che la definiscono come tale).
L’Estetica si occupa veramente solo della fruizione, del giudizio?
Si occupa anche dell’ambito della creazione.
Gusto, legato alla fruizione e alla ricezione, e Genio, legato all’ambito della creazione.
L’Estetica si rivolge all’arte stessa, alle sue forme, alla sua storia e alla sua fruizione.
Il giudizio di gusto, quindi l’estetica ha a anche fare con il valore di un’opera.
Il giudizio di valore
Noi giudichiamo costantemente e emettiamo giudizi in continuazione. Questi giudizi sono legati al
nostro gusto. Come diventa quel giudizio soggettivo un giudizio di valore?
Come trasformare un giudizio soggettivo, riferito a un ambito valutativo che attribuisce a quella
cosa, un giudizio legato al bello come tutto?
Passaggio da un mi piace confinato in me stesso, a una collettivizzazione del giudizio.
Trasformare il mi piace o non mi piace in un giudizio di valore.
Non basta, l’estetica si occupa di un oggetto particolare, perché nell’ambito del novecento questo
oggetto si è complicato. L’Arte.
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Victoria Tincati
L’estetica ha a che fare col giudizio, con l’aspetto giudicativi esperienziale, ma anche ha un punto
di riferimento che è l’arte.
L’oggetto artistico è uno degli oggetti più complessi che si possa immaginare. L'estetica non cerca
di risolverne la complessità, ma complicarla.
Quindi l’estetica ha a che fare con l’arte e con la fruizione, ma non soltanto, perché ha anche a che
fare con la fruizione di un bel paesaggio perché stimola valori e significati emotivi di cui l’estetica si
interessa.
Baumgarten (1735) - la scienza della conoscenza sensibile
Estetica è la scienza del mondo sensibile per conoscere un oggetto, ovvero la scienza della
conoscenza sensibile.
Esperienza sensibile: quella che viene resa dai sensi.
Conoscenza sensibile vs conoscenza intelligibile.
L’estetica parte dal corpo, la prima cosa dalla quale noi fruiamo sono i nostri sensi.
Ha a che fare con il bello e il corpo.
Baumgarten dice che l’estetica è la scienza del modo sensibile per conoscere un oggetto.
La scienza della conoscenza sensibile.
L’estetica valuta la conoscenza sensibile come possibilità di conoscenza, come valore.
Cos’è la conoscenza sensibile?
E’ la conoscenza che passa attraverso i sensi, diventa percezione, si trasforma in emozione, in
sentimento e quindi in giudizio di valore.
La percezione e i sensi
La percezione inizia con l’occhio, una prevenzione.
Poi il naso, l’olfatto. Per esempio il disgusto passa attraverso il naso e solo dopo attraverso la
bocca. Il disgusto che attraversa il naso non ha via di uscita, mentre per la bocca si può sboccare.
Primo momento: I SENSI.
I sensi devono essere perfetti per poter giudicare. Perché banalmente un cieco non può giudicare
la pittura. I sensi devono essere molto informati per poter comparare. ELEMENTO
COMPARATIVO assolutamente importante in un giudizio.
E’ la prima caratteristica di un uomo di gusto, un uomo che ama l’arte e sa che cosa sta facendo.
L’esperienza sensibile ci coglie attivi e passivi assieme.
Baumgarten ci dice che c’è una scienza della conoscenza sensibile, per giudicare la percezione
sensibile di un’opera non occorre l’intelletto: o meglio occorre ma in un secondo tempo.
L’intelletto non fa che giudicare ciò che i sensi hanno già decretato.
Per assaporare il ragù non c’è bisogno di essere preparati intellettualmente, e non c’è bisogno del
cuoco che ci spieghi la ricetta.
A volte il critico che conosce troppo bene la ricetta, quindi l’oggetto artistico, manca l’opera; non la
centra. Viene sviato da elementi esterni che impediscono la fruizione immediata che genera la
prima espressione del nostro giudizio.
L’esperienza sensibile è quella che viene resa dai sensi, quindi i sensi sono il primo elemento
fondamentale per la fruizione estetica. Esiste la conoscenza sensibile e quella intellettuale, che
collaborano ma in alcuni casi si potrebbe fermare alla conoscenza sensibile; cerò è che nell’arte
contemporanea bisogna fermarsi esclusivamente alla conoscenza intellettuale (per esempio
l’orinatoio di Duchamp).
Baumgarten questo problema non ce l’aveva ma aveva intorno oggetti artistici e non artistici
secondo la tecnica utilizzata.
DI cosa si occupa l’estetica
L’estetica si occupa del bello e del brutto, insegna che fino al 700 la categoria prevalente è quella
del bello. Il brutto era considerato il non estetico. Nella nostra contemporaneità c’è molto più brutto
che bello. Il non riuscito, il non finito, ciò che confina con l’orrore, il disgusto. L’estetica ha a che
fare con il giudizio, ha a che fare con l’arte, ha a che fare con la sfera del sensibile.
Mettendo insieme questi elementi si può avere una vaga idea di cosa sia l’estetica.
Quando nasce l’estetica?
Nasce nella Grecia antica. Nasce quando nasce il primo giudizio di un contemporaneo su un
contemporaneo.
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Victoria Tincati
L’estetica c’è sempre, ha nomi diversi, si confonde spesso con la poetica e con la retorica. Quando
si cercano i canoni del bello, quando nel 700 si distrugge la regola del canone cercando la
soggettività del bello a prescindere.
La critica d’arte nasce in Grecia, un giudizio fondato sull’opera d’arte di un contemporaneo.
Individualità autonome
L’individualità autonoma è un altro problema fondamentale dell’estetica, il problema della genialità
e della creatività.
Un problema forse più nostro che di tutta la storia dell’estetica.
Esisteva il genio nelle scuole passate di cui l’individualità autonoma non era importante, ma si
riconosceva lo stile delle scuole non la mano dell’artista.
Oggi l’individualità è fondamentale, tanto da dover identificare se l’oggetto è arte o no.
Duchamp ha dovuto attribuire il valore artistico alla sua opera. Quindi la soggettività che attribuisce
valore all’opera è assolutamente fondamentale. L’oggetto di per sé è pattume.
Il termine estetica nasce nel 700. La disciplina esisteva già, è solo un battesimo. Fioriscono i testi e
i dibattiti sull’estetica. E’ un secolo in cui il dibattito è molto attivo. (Du Bos, Diderot, Burke, Hume,
Baumgarten, Kant, alcuni tra gli esponenti maggiori dell’estetica 700esca).
La riflessione nasce con Platone e con Aristotele = la poetica di Aristotele.
Tecnica e arte
Il ruolo della tecnica è fondamentale.
Il valore della tecnica è stato dimenticato, e dovrebbe essere riconsiderato.
Du Bos sosteneva che gli attori del suo tempo fossero negati. Un disastro. Alcuni bravini altri
penosi. Allora si recitava in Francia in versi, e i versi avevano una cadenza molto particolare. Molto
musicali e cadenzati. Se un attore non riusciva a dare la cadenza giusta all’altro attore che doveva
entrare in scena veniva fuori un pasticcio terribile, era come stonare per l’orecchio dello spettatore.
Du Bos quindi suggerisce di scrivere una notazione, una sorta di partitura musicale sopra i versi in
modo tale che gli attori non solo imparino le parole ma anche come intonarle.
Criticano Du Bos dicendo che impedisce la creatività dell’attore, la sua libera espressione. Du Bos
risponde che un bravo pianista ha di fronte una partitura, e la sua libera creazione sta
nell’interpretazione di quella notazione che è fissa. Chi è il bravo pianista? colui che possiede una
buona tecnica e che la possiede talmente in grado elevato che la dimentica a favore di
un’interpretazione. Molto spesso questo primo passaggio nella nostra contemporaneità viene
completamente dimenticato.
La tencica non è sufficiente, non da arte, ma nella nostra contemporaneità abbiamo l’arte
completamente senza tecnica. Il recupero della tecnica ci garantirebbe almeno una buona
esecuzione.
La tecnica è attività produttrice = l’artigiano produce qualche cosa al di fuori di lui, a differenza
degli elementi della natura che producono su se stessi i cambiamenti. La pianta cresce, produce
frutti; colui che utilizza la tecnica produce qualche cosa che non è parte della natura.
Hegel sostiene che l’estetica debba interessarsi dell’arte come produzione del genio, ma non del
bello di natura. Infatti Hegel afferma che l’estetica è una filosofia dell’arte. Perché non della
natura? Perché la natura crea il bello ma inconsapevolmente. Il genio crea il bello in m
odo consapevole, è strumento dello spirito.
Il problema è la ripetitività dell’opera; creare cose in serie. Ma fontana e i tagli? Aia.
ARS = il termine latino designa principalmente il talento, il saper fare, l’abilità (si parla di ars in
riferimento alla retorica, alla cucina, all’artigianato…) L’artista è un artigiano e viceversa.
Categoria delle belle arti
Bateaux scrive il testo “le belle arti ricondotte a un unico principio”.
Quali sono le belle arti per Bateaux?
- Poesia (al primo posto delle classificazioni delle arti)
- Pittura
- Scultura
- Musica / Architettura = problematici.
Architettura = messa e tolta dalle belle arti, il problema del 700 è che l’architettura ha a che fare
con l’utilità. Un edificio noi dobbiamo abitarlo quindi dev’essere bello, ma prima di tutto funzionale.
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Victoria Tincati
Il fatto che l’architettura si compromessa con l’utilità la getta di botto all’ultimo posto. L’arte è
profondamente inutile come lo è l’estetica.
Architettura entra ed esce. Nel 900 verrà messa al primo posto perché le possibilità tecniche
verranno considerate in modo qualitativo.
La musica = così fluttuante perché ha a che fare con i sensi, e quasi esclusivamente con i sensi.
Il fatto di fermarsi alla sensibilità la rende un po’ troppo compromessa.
Il termine estetica e Valery
Valery = “il nome Estetica mi ha sempre sinceramente meravigliato e produce ancora su di me un
effetto di stupore” uno stupore che risiede nel fatto che Valery è un poeta. Vorrebbe che l’estetica
si confrontassi effettivamente con il suo oggetto.
Per Valery il termine estetica era problematico, non indicava pienamente il significato della
disciplina.
Nel 1936 “Discorso sull’estetica” di Valery, accusa l’estetica di avere troppo a lungo inseguito l’idea
astratta del bello, perdendosi tra le ombre di terminologie specialistiche o in giochi verbali e così
dimenticandosi, in questa caccia magica tra ombre e fantasmi, le cose belle, la specifica e
variegata realtà delle pere d’arte, del piacere estetico, dei percorsi produttivi che sono la genesi
della bellezza stessa.
Bisogna parlare del bello in riferimento all’oggetto, non in modo astratto.
Oggigiorno si dovrebbe introdurre anche le “cose brutte” in quanto nell’arte contemporanea c’è
molto più disgusto che gusto. Oggi il disgusto è possibilità di fruizione, nel settecento no.
Il termine estetica è senz’altro moderno, e immediatamente suggerisce come la disciplina stessa
abbia una nascita proprio nella modernità, pur derivando da una parola greca: Aisthesis,
sensazione.
BAUMGARTEN “Le meditazioni filosofiche su alcune cose che riguardano i poemi” 1735.
Categorie estetiche:
- bello
- brutto
- grazioso
- grottesco
- sublime
- tragico
- mostruoso
Il bello e il brutto
Fino alla metà del 900 il Bello è la categoria più importante, di riferimento dell’estetica. Quindi le
altre categorie non sono altro che delle varianti in negativo o patetiche del bello.
Poi si dice che il bello non è sufficiente a definire l’arte, ma è necessaria una teoria del brutto.
Rosenkranz scrive un testo dedicato all’estetica del brutto. Il brutto è consentito in arte dal
momento in cui da valore al bello.
Du Bos dice se il brutto suscita un’emozione..
Se il brutto è il non finito (brutto), noi oggi lo accogliamo.
Nel 700 il non finite non è opera d’arte: lo scarto d’artista è pattume, da buttare.
Per noi può essere oggetto di mostra.
Il brutto quindi si complica: il non riuscito, non finito, qualcosa di perfetto e bellissimo tecnicamente
ma brutto come oggetto.
Il genio
Il disgusto può essere un litio della rappresentazione, fino a dove l’artista si può spingere?
Limite di tipo etico, non solo estetico. Fino a che punto il disgusto è accolto come possibilità di
fruizione? Fino a che punto il fatto di lasciare una sala cinematografica, abbandonare
un’esposizione, indica che la non possibilità di giudizio.
Contraddizioni nell’epoca contemporanea
Kant -> affermava nel paragrafo 49 della “critica del giudizio” = “il genio è quel talento naturale che
dà la regola all’arte” nel momento in cui tale regola è sottoposta al gusto. l genio ha una
predisposizione, esattamente come il fruitore cioè avere cinque sensi ben formati. Genio = talento
Fruitore = sensi
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Victoria Tincati
Il genio da la regola all’arte, cioè produce delle nuove regole. Nel momento in cui da una regola
all’arte, il genio deve dare una regola RICONOSCIBILE, ed è fondamentale. Se Kant si fosse
fermato a questo punto, a Kant sarebbe andato bene un folle pazzo genio e sregolato che si
inventasse regole a suo piacimento da lui stesso riconosciute e da nessun’altra condivise, ma
secondo Kant nel momento in cui il genio da la regola all’arte la da in un ambito di condivisione.
Prima il gusto, poi il genio. Il genio da nuove regole purché queste regole siano condivisibili
all’interno del gusto e quindi riconoscibili.
Oggi siamo fuori da questa regola. Il genio da regola all’arte senza che sia necessariamente
riconoscibile; il gusto viene in un secondo momento.
Klee -> Discorso sull’arte moderna = “l’opera non è la legge, essa è al di sopra della legge”.
L’opera determina tutto. Non proprio l’opera, ma l’artista stesso.
In contraddizione con Kant!
L’arte è sotto l’autorità dell’etica?
C’è una part e dell’estetica che va contro l’etica. Per esempio: LAOCOONTE, perché non spalanca
la bocca? Perché non è bene che un eroe spalanchi la bocca, che distorca le sue membra e il suo
volto perché espone la sua sofferenza. Ma in Virgilio, il laocoonte “tremendi clamori al cielo rivolse”
quindi in ambito poetico grida come un forsennato; non in ambito scultoreo.
E’ una problematica non di tipo etico, ma di tipo estetico; fino a quanto si può spingere l’arte? Fino
al momento prima di esprimere il dolore, non nella sua piena scompostezza.
L’arte è sotto l’autorità del genio?
Sì, ma non in modo assoluto: prima il gusto poi il genio per Kant.
Ma nella nostra modernità, al di fuori di quest’ambito del pubblico, l’arte è quale esclusiva autorità
del genio.
Cosa significa creatività?
Il problemi nascono quando è stata associata a qualcosa di nuovo: perché? Non è vero che la
ripetizione di stili, canoni, non comporti elementi creativi. Quando però si associa il termine
creatività ad assoluta innovazione, tipico dell’arte occidentale, allora siamo al di fuori di ogni
regola. Il gusto non ha più una sua importanza, e il genio può fare un po’ quello che vuole.
Che cosa significa trasgressività?
Non significa niente nella modernità, in quanto non c’è più nulla da trasgredire.
Cos’è la libertà d’espressione?
Esiste una extraterritorialità dell’arte?
nella nostra contemporaneità sì, nel senso che l’arte raccoglie in sé ambiti che prima erano al di
fuori del contesto artistico.
Esiste una classificazione delle arti?
Assolutamente no, non possiamo classificare.
L’arte che viene messa in scena, viene poi distrutta, non esiste più.
In base a che cosa riconosciamo l’opera?
Non c’è più una convenzione simbolica. L’arte poteva esser riconosciuta in base a una
convenzione simbolica. Iconologia e iconografia, all’interno di questi due termini esistono
convenzioni simboliche che a volte riconosciamo a volte non riconosciamo più.
Esempio: opera di bambino Gesù che mostra i propri genitali tiene per il mento la madre.
A noi può apparire un gesto affettivo, gentile. Mentre l’iconografia in ambito simbolico dice che è un
gesto con una carica erotica forte.
Non si discute che Dio sia Dio, ma si vuole sottolineare che quel Dio si è fatto uomo e quindi si
espongono le parti umane; il ritratto del bambino e la madonna significa un contatto erotico tra il
Dio e la donna, perché nell’immacolata concezione noi abbiamo questo.
Un Dio che si fa uomo nelle sue manifestazioni più esplicite. Quindi abbiamo nell’arte spesso dei
contesti simbolici che ci aiutano a pensare molto, un pensare molto che dice Kant, perché di fronte
all’opera vedo forme colori, poi riconosco le forme, poi riconosco il bimbo, e poi lo carico con un
simbolismo di cui sono a conoscenza.
Tutto può diventare arte a condizione di possedere il “potere istituzionale” di denominarsi,
autonominarsi, tale.
Esperimento mentale di William Kennick: il magazzino
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Victoria Tincati
Articolo apparso su “Mind” nel 1958 immagina questa situazione:
una persona di trova davanti a un magazzino nel quale sono state accumulate opere d’arte di ogni
genere e oggetti di vario tipo
Questa persona deve portare fuori s(quindi riconoscere) solo le opere d’arte.
Come scegliere il nostro soggetto?
• Kant -> l’arte è tutto ciò che è soggetto a una piacere libero da ogni interesse, a un piacere
universale.
Il disinteresse estetico = tutto il 700 e fino a noi. Cosa significa? Quando si giudica un oggetto
estetico, e quindi lo si valuta, non dovrebbero rientrare nella valutazione motivi di ordine personale,
soggettivo o utilitaristico. Questi tre elementi dovrebbero essere tolti dalla valutazione. Se io valuto
l’oggetto artistico dovrei disinteressarmi al prezzo, all’utilità dell’oggetto, dovrei pormi di fronte
all’oggetto un atteggiamento distaccato e interessato insieme; essere il più possibile coinvolto
dall’oggetto e il meno possibile trasferire le mie emozioni sull’oggetto.
Esempio: reduce di guerra che guarda un film di guerra non può giudicare il valore artistico di quel
film, perché si emoziona e il suo giudizio non può risiedere nell’ambito del disinteresse estetico.
Il 700 dice che per giudicare un oggetto artistico noi dobbiamo essere DISINTERESSATI e
estremamente coinvolti; non bisogno portare l’interesse personale, economico, commerciale,
erotico.
Reiterazione del gesto.
• Hegel -> L’arte è il farsi sensibile dell’idea. “L’opera d’arte sta nel mezzo tra la sensibilità
immediata e il pensiero ideale. L’opera d’arte non è ancora puro pensiero, ma nonostante la sua
sensibilità, non è più semplice esistenza materiale, come le pietre, le piante, la vita organica; il
sensibile nell’opera d’arte è già un ideale che però non essendo l’ideale del pensiero, al contempo
esiste ancora esternamente come cosa.
Hegel non può concepire un’estetica che si rivolga alla natura; la natura non da il bello in forma
cosciente, ma in forma inconsapevole.
Arte è espressione, che non essendo ideale del pensiero al contempo esiste ancora incarnato in
cosa. L’espressione di tale ideale passa attraverso la cosa.
• Entrambe le definizioni sono vecchie per la nostra contemporaneità. Non coprono la definizione
di arte oggi.
L’estetica è utile quando dobbiamo distinguere tra ciò che è arte e ciò che non lo è?
Non viene chiesto a chi si occupa di Estetica di definire cos’è arte. L’Estetica è utile nella sua
profonda inutilità, ci serve a comprendere il mondo e complicarlo.
Capire meglio il mondo, complicarlo meglio, e quindi porsi delle domande.
Cos’è l’estetica quindi?
Non è critica d’arte, il critico d’arte fa un lavoro diverso da un estetologo.
Bisogna interpretare il giudizio dell’estetico, ma il compito del critico d’arte deve dire cos’è arte e
cosa no.
Il critico deve conoscere le opere e valutarle; l’estetico può valutarle ma è una valutazione fine a se
stessa. Diderot era filosofo e critico d’arte, scriveva resoconti delle opere per poi venderle.
Lo stesso Diderot, che è drammaturgo, letterato, filosofo e critico d’arte.
Non si arriva a definire cosa sia arte o meno sulla base di una definizione dell’arte.
Risposte
E’ certo che l’estetica, come la filosofia, non danno risposte dirette.
La filosofia mostra che l’esperimento mentale indicato in precedenza è molto complesso.
La filosofia mette in mostra ala complessità del reale, nello specifico dell’oggetto artistico
Il design
Nel 700 non è arte.
Ma oggigiorno “li porteremo fuori dal magazzino” perché per noi coincide un po’ con arte.
Se si riconosce nella genica un valore di originalità, anche il gioiello nel 700 è opera d’arte.
Nella modernità è un oggetto seriale, e quindi diventa elemento Kitsch.
Dal bello al Kitsch
Come giudicare un CD, una fotografia, un libro?
Un oggetto artistico può dare una gratificazione sentimentale a buon mercato?
Se noi scartiamo la gratificazione sentimentale a buon mercato allora la fiction..
il 700 vive più su gratificazione che su ragionamento, mentre oggi è cambiato.
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Victoria Tincati
Oggetti etnici
Se guardiamo questo oggetto dal punto di vista della sua fruizione, ci può sembrare bello.
Nascono come oggetti magici, manufatti rituali, ma se non siamo etnologi li guardiamo solo come
oggetti belli.
Il magazzino è un magazzino o è un museo?
Probabilmente è un museo; noi ci troviamo di fronte a una scelta già operata.
Definizione e origine di estetica
Le tre definizioni di estetica
• FILOSOFIA DELL’ARTE (Hegel) = “queste lezioni sono dedicate all’Estetica, il loro oggetto è il
vasto regno del vello e, più precisamente, il loro campo è l'arte o meglio la bella arte”.
• TEORIA DEL BELLO = nel momento in cui questo bello non risponde a canoni oggettivi, ma a un
giudizio di gusto che è soggettivo, al proprio piacere, che però deve tendere all’universalità. E’
sufficiente seguire i canoni per creare un’opera bella? Assolutamente no. Per Du Bos il brutto è ciò
che suscita nessun sentimento; “è perfetta ma la butto via”. Un sentimento che cerca l’universalità,
la condivisione.
• SCIENZA DEL SENSIBILE = (Baumgarten, Meditazioni 1735) è scienza della conoscenza
sensibile, è scienza di ciò che a partire dalla sollecitazione sensoriale, stimola necessariamente un
giudizio (altrimenti si ferma nella sensazione, e se si ferma ciò che abbiamo di fronte non è
un’opera d’arte; l’opera d’arte stimola un giudizio).
Se stimola un giudizio relativo al brutto è ancora un’opera d’arte? Al giorno d’oggi, sì.
- L’estetica è una disciplina filosofica che indaga e riflette sulla natura, origine, sulla funzione, sui
destini dell’arte. MA NON BASTA. Dove finisce il bello naturale? Dove finisce l’ambito della
percezione e della fruizione?
L’Estetica è una disciplina filosofica specialistica.
Le origini dell’estetica
• Cartesio -> aveva riconosciuto dignità conoscitiva solo alle idee chiare e distinte
(contrapposizione tra sensibilità e intelletto)
• Leibniz -> sottolinea l’importanza delle conoscenze CONFUSE dormite dalle sensazione. (non
c’è contrapposizione tra sensibilità e intelletto, ma scala ascendente che prevede una
progressiva distinzione delle caratteristiche dell’oggetto. Dalla sensibilità all’intelletto. Un ordine
progressivo che prevede la distinzione delle caratteristiche dell’oggetto, dal confuso al chiaro e
distinto. Una gradazione, non una contrapposizione.
Esempio conoscenze di Leibniz
- conoscenza confusa = ricorso un fiore o un volto ma non saprei riconoscerlo se mi venisse
messo di nuovo davanti agli occhi.
- conoscenza chiara = sono in grado di riconoscere l’oggetto.
- conoscenza chiara e confusa = conoscenze sensibili (riconosco una rosa, la so disegnare,
quindi ne conosco le forme, ne ricorso le sfumature, ne percepisco ancora il profumo, sento al
tatto il velluto dei petali etc).
- conoscenza chiara e distinta = conoscenze razionali (conosco tutte le qualità distintive di una
rosa come un botanico)
La definizione di Baumgarten
A partire da Leibniz si afferma che è possibile una SCIENZA DELLA CONOSCENZA SENSIBILE
simmetrica alla scienza che conosce i contenuti chiari e distinti. (Scienza del chiaro e distinto e
scienza della conoscenza sensibile).
La conoscenza sensibile può essere perfetta (quando l’immagine del fiore è la più completa e
vivida possibile, una completezza che noi non l’abbiamo in profondità ma in estensione:
estensione perché la vediamo nel maggior numero di dettagli possibili)
Bellezza è la perfezione della conoscenza sensibile.
Il gusto
Sull’enciclopedia viene scritta la definizione di Gusto da Montesquieu, Voltaire e Dalembert.
Si dice che sui gusti non bisogna discutere, e si ha ragione quando si tratta solo del gusto
sensuale (quello che si ferma nella sensazione), della ripugnanza che si prova per un certo cibo,
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Victoria Tincati
della preferenza per un altro: non se ne discute, perché non si può correggere un difetto degli
organi. (Part e dall’idea che siamo fatti tutti nello stesso modo)
Non è la stessa cosa per le Arti: poiché esse possiedono belle reali, c’è un buon gusto che le
distingue e un cattivo gusto che le ignora; e si corregge spesso il difetto di spirito che produce un
gusto deformato. Vi sono anche animi freddi, menti che giudicano male, che non si possono
eccitare né correggere: è con loro che non bisogna discutere dei gusto, perché non ne possiedono
alcuno.
Il gusto è arbitrario in molte cose, come nelle stoffe, nelle acconciature, nei vestiari, in ciò che non
rientra nel rango delle Belle Arti: in questo caso eriga piuttosto il nome di fantasia. E’ la fantasia,
più che il gusto, che produce tante mode nuove.
Il cattivo gusto può essere tramutato in buon gusto?
Sì, ma serve esperienza purché l’uomo diventi uomo di buon gusto e possa estensivamente
provare di più di una persona che si trova per la prima volta davanti a un’opera.
Esempio: leggere De Sade implica un’astensione sentimentale.
Davanti ai gladiatori: esercizio di annullamento di sensibilità o estraniarsi nella maniera più
assoluta.
Chi si estranea gode meno dell’arte in generale.
La moda no: l’uomo di buon gusto non è un dandy che si occupa di alta moda, ma CREA il gusto.
Lo crea sapendo di incontrare il gusto altrui, non come un folle. Quindi l’ambito della moda nel 700
è escluso, per noi probabilmente no.
La fantasia crea nuove mode, non il gusto, il gusto è ciò che giudica l’arte.
Giudicare
Non tutti i giudizi dei sensi sono giudizi estetici. (La rosa è rossa, non è estetico)
Ci sono dei sensi estetici per eccellenza?
- la vista è l’organo privilegiato, un senso pulito, in lontananza e consente il disinteresse estetico e
quindi la fruizione dell’orrore.
- l’udito
- il tatto
- il gusto/odorato
Perché il 700 è così sicuro dell’importanza della vista e dell’udito?
Perché la vista è un senso non in prossimità, mentre il gusto e l’odorato sono sensi in prossimità.
Il disinteresse estetico comporta un distacco tra il fruitore e il suo oggetto.
Esempio: sublime, che si avvicina più al terrore che al bello. Tutti gli eventi drammatici dei notiziari
con immagini generano un’esperienza che si può chiamare sublime. (incidente autostradale, si
forma la coda perché la gente rallenta per vedere cos’è successo e quindi è un’esperienza
chiamata sublime).
Dove il disinteresse estetico funziona alla perfezione? Nell’esperienza del sublime. il distacco ci
consente di godere all’infuori della moralità di un’esperienza di questo tipo.
La vista mette al riparo, crea la distanza, e consente contemplazione perfino dell’orrore.
Gli altri sensi mettono molto meno al riparo.
Esiste un sesto senso?
Sì, per il 700 sì. Perché ne vediamo gli effetti. non sappiamo dove sta, non possiamo indicare un
organo perché dato dalla complessità dei nostri sensi che concorrono in un libero gioco al giudizio.
Quindi esiste. Il secolo dei lumi ne è convinto.
Estetica e cultura visuale - incontro con scrittore del manuale
Parole e/o immagini = il rapporto complesso.
Borges, Funes e Platone
Ha scritto un breve racconto che si chiama “Funes, o della memoria”. Funes è un ragazzo che
cade da cavallo, non perde la memoria ma al contrario acquista una memoria mostruosa, non è
più capace di dimenticare niente. Siccome per ricordare qualcosa è assolutamente necessario
dimenticare qualcos’altro per percepire e concentrarci su qualcosa. Ricorda ogni minimo
cambiamento, vuol dire che Funes percepisce la crescita dell’erba, perché ricorda quello che un
centesimo di secondo prima era quel filo d’erba. Ricorda qualsiasi minimo stadio che noi
necessariamente tralasciamo. Borges dice una cosa strana: Funes era diventato incapace
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Victoria Tincati
incapace, era diventato incapace di idee platoniche. Per Platone l’universo può essere diviso in
due macroparti: l’iperuranio (dove stanno le idee) e il mondo nostro (la realtà, dove c’è il “vero
cavallo” e le “immagini di cavallo”).
Con le idee si perde la specificità delle cose, la dimensione estetica.
Funes arriva a dare nomi diversi allo stesso cane visto alle 3.45 e poi alle 4.30. Non riconosce lo
stesso cane. Singoli nomi ai singoli stadi fenomenici.
Platone condanna le immagini che sono copie delle copie delle idee.
Platone vuole dimostrare che l’anima è “caduta dal cielo” (mito della caduta)
Non si può pensare senza immagini.
E’ impossibile rappresentare l’idea, ma solo un’immagine specifica di essa.
Parole e immagini
Richard M Rorty (1967) = la svolta linguistica (The Linguistic Turn).
La filosofia analitica dice “i problemi filosofici sono tutti problemi di linguaggio, è un problema di
parole, ogni problema è formulabile linguisticamente e risolvibile sul piano del linguaggio”.
Non è tanto un problema di cose, ma di parole che esprimono cose. La filosofia deve riflettere sul
linguaggio, è con le parole che si da forma al mondo. Non abbiamo le cose in sé.
La filosofia del linguaggio è analitica perché tutti i problemi filosofici sono problemi di linguaggio.
30’anni dopo sorgono delle critiche
Le parole dicono le immagini? E’ possibile che le parole traducano le immagini? E’ possibile
descrivere un quadro?
Non tutti i problemi sono di linguaggio, esistono problemi a cui il linguaggio non può arrivare
figurarsi risolverli. Mitchell Boehm.
Esistono espressioni che sono in sé problematiche ma non “ci fanno più problema”
Si sono scagliati contro il “logocentrismo” “panlinguisticismo”; il fatto che tutto sia lingua o riducibile
a lingua.
“Vincolo metaforico”
In origine le parole sono immagini. Linguaggio ha una costitutiva dimensione immaginifica, vuol
dire che nulla ci costringe a chiare tavolo tavolo. Le parole derivano dalle immagini, e ogni lingua
ha la sua immagine. Le parole creano mondi diversi.
Le metafore non forniscono l’immagine in quanto copia, ma creano qualcosa di nuovo. Tutti i
tentativi di normalizzare la metafora non funzionano.
A un certo punto il linguaggio non è normalizzabile perché è metaforico. E’ la dimensione creativa
della lingua.
Paradigma metaforico, la parola è metafora, è la lingua di terra.
Conclusione
L’attività artistica non è servile imitazione né invenzione arbitraria, è piuttosto libera figurazione.
Perché qualcosa possa essere imitato, bisogna che esista: come può la natura che nasce nella
raffigurazione artistica possedere un’esistenza senza essa o prima di essa?
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La vita di Camille Claudel e la scultura
- Porta dell’Inferno di Rodin
- La Valse, Camille Claudel
L’age mur = opera più tormentata della sua vita. Claudel odia quest’opera, fondamentalmente per
una ragione biografica e quindi miope e cieca. E’ la rappresentazione dell’età matura di un uomo e
di una donna, si vede la giovinezza che implora e segue un uomo più maturo, sovrastato da una
donna anziana che taglia i fili di una vita. L’uomo maturo è Rodin che si volge verso una donna che
lo porta via che sarà Rose, la compagna di Rodin con cui avrà un figlio. Camille invece è costretta
ad abortire. Rodin vede la storia d’are perché riconosce il volto di Rose nella donna anziana. E’
un’opera fondamentale perché è piena di elementi personali e perché il titolo è molto bello: età
matura di un uomo e una donna è l’età in cui si vive l’espressività al massimo, il compimento.
Perché l’età matura negata? Perché a Camille Claudel viene negata ai 49 anni, momento in cui
l'artista è nel pieno della sua attività consapevole, ma viene internata in un manicomio da cui non
uscirà più e nel quale vivrà circa per 30 anni. Viene internata perché? Non è necessariamente
folle, ha mania di persecuzione abbastanza giustificata (perché mentre la famiglia le taglia
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Victoria Tincati
qualsiasi fonte di sostenimento perché la scultura è un’arte esclusivamente maschile, e quindi non
riceve uno statuto personale come allieva di Rodin, quindi una donna che ha bisogno di vivere e di
una materia costosissima per realizzare la sua aspirazione e vede affianco a sé l’uomo più ricco
del momento che era appunto Rodin). Viveva chiusa in una casa con i suoi gatti e a un certo punto
arriva a distruggere le sue opere, e da lì scatta l‘internamento che va bene a tutti, anche a suo
fratello Paul Claudel e alla madre, che non l’ha mai voluta accanto e in 30’anni di isolamento la
madre muore anche e non la andrà mai a trovare e anche a Rodin va bene per togliersi un
personaggio estremamente scomodo.
Camille Claudel non perde mai lucidità, la sua “follia" è una forma di rivendicazione.
Paul, principale riferimento della drammaturgia, scrive della sorella e sulle sue opere quando lei è
morta. Diceva che aveva una bellezza non curata trascurata ma unica nel suo genere, aveva una
volontà straordinaria (essere scultrice al tempo) e queste superbe doti non sono servite a nulla,
dopo una vita estremamente dolorosa è arrivata a un completo fallimento. Legge la vita della
sorella come un completo fallimento un giudizio estremamente crudele.
“Il colore che cambia di più e il fiore che non cambia affatto”
Claudel risponde a un questionario: colore preferito, cosa fa una moglie, il tuo eroe preferito, il tuo
artista preferito, cosa deve fare un marito etc. All’età di 24 anni risponde in un modo incredibile.
Segna in modo straordinario le tappe della sua vita, e alla domanda più banale possibile cioè qual
è il tuo colore preferito e fiore risponde: “il colore che cambia di più e il fiore che non cambia
affatto” risposta che è l’essenza dell’idea di scultura del 700.
Il fiore che non cambia affatto è l'idea di bellezza che diventa marmo, forma perenne e godibile. Il
colore che cambia di più è esattamente il colore della scultura sette/ottocentesca che è un
monocromo e che cambia a seconda della posizione e della luce. Monocromo è mille colori e uno
insieme.
La personalità di Camille Claudel
Nessuno va al funerale di Camille e il fratello riceve una lettera dal prete in cui descrive di aver
fatto il tutto possibile e che la sorella era una persona molto dolce e gentile.
L’ironia di Camille è pungente, fortissima, non cede mai.
Aveva un carattere forte, quasi scomodo. Si poneva in modo quasi insopportabile. Una forza della
natura. Era una donna straordinaria per l’epoca.
Cloto
E' una delle tre parche. Questa figura anziana è la figura che inizia, l’inizio è già fine è già corpo
che decade; non era una forma di pessimismo, ma una forma di consapevolezza. A Camille
affascinavano i corpi vecchi e l’idea che questa sia la prima delle tre parche non è da poco.
La scultura tra Settecento e Ottocento - Diderot
Diderot afferma che la scultura è la più sublime, la più semplice e la più patetica tra le arti.
Il termine sublime è un termine fondamentale nel 700 che indica una compromissione tra un
godimento e una repulsione. In Diderot il sublime significa “più che bello” non ha il significato
negativo. Quando Diderot si riferisce al sublime nel sentimento misto, gradevole e sgradevole
insieme, parla di patetico. Più patetica significa che può dare maggior possibilità di un riscontro
sentimentale ed emotivo.
Cos’ha la scultura di diverso rispetto alla pittura?
In primo luogo il fatto che la scultura prima di tutto rappresenta corpi. La rappresentazione di un
corpo visto da un altro corpo (il nostro vivente) implica un corto circuito molto particolare. Il 700
sostiene che per avvicinarsi alla scultura occorre attivare un senso che non è tra i sensi preferiti
del 700, cioè il tatto. Nel 700 c’è già l’interdizione a toccare. Come fare se il tatto non può
raggiungere l’oggetto artistico? Com’è possibile che sia l’elemento fondamentale nella fruizione?
La storia dei risanati
Molineaux chiede a Locke filosofo la domanda: “un cieco che non ha mai visto fino all’età adulta,
viene risanato completamente, sa distinguere a prima vista una sfera da un cubo?” no, non è
assolutamente possibile. Perché la sfera tattile e il cubo tattile sono diversi dalla sfera visiva e dal
cubo visivo. Cos’ha bisogno di fare l’uomo risanato? Avvicinarsi, toccare la sfera, toccare il cubo e
risommarli alla forma tattile operando una sorta di traduzione, come da un linguaggio a un altro, e
allora riconoscere.
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Victoria Tincati
Diderot sosteneva che se avesse avuto l possibilità di essere risanato, attraverso lo studio della
geometra sarebbe stato in grado di riconoscere la funzione di un cerchio da un quadrato. Avrebbe
riconosciuto lo spigolo e l’assenza di spigolo. Ma le sue ciabattine da notte? No.
La storia dei risanati è tristissima, i ciechi risanati in età adulta sono casi noti nella letteratura del
700. Sono storie di suicidi, soprattutto se il risanato ha un’età avanzata. Suicidio e volontà di non
vedere, alla fine preferisce di tornare nello stato di cecità.
Forme tattili e visive sono operazioni immediati fin dalla nascita.
La fruizione tattile è diversa dalla fruizione visiva.
Herder afferma che la scultura va fruita attraverso il tatto. Fruire tattilmente senza toccare. Viene
chiamar Aptica, questo tipo di fruizione, che è un toccare con l’occhio.
La vista è immediata, il tattile un processo più lungo frazionato nel tempo di somma di elementi
che si conclude con una percezione molto più intima di quella a prima vista. Quando l’occhio
percepisce tattilmente, si deve trasformare in mano e perde la visione d’insieme immediata
dell’occhio per analizzare attraverso le sue possibilità tattili ogni forma percependo tutte le capacità
fate dalla fora da un punto di vista ottico/tattile.
Quindi il 700 insegna che la scultura a tutto tondo va fruita esattamente in questo modo, qualsiasi
altra possibilità significa mancare l’opera. Di fronte a qualsiasi tipo di opera dobbiamo riconoscer
qual è il giusto atteggiamento di fruizione.
Wincklemann e Rodin, il problema degli ideali
Rodin afferma: l'antico è la vita stessa, non vi è nulla di più vivo dell’antico. Gli antichi furono i più
grandi e seri e mirabili osservatori della natura mai esistiti.
Da dove i moderni devono trarre ispirazione?
Se il moderno è tratto dagli antichi, i moderni possono soltanto copiare. La prima cosa che ci
dicono gli autori nel 700 è che l’artista non deve copiare. E’ una frase di Kant. “Lo scultore, pittore il
poeta che si rifà al proprio maestro, a un modello, non crea la regola e quindi è un pappagallo e
non si può ritenere artista, non crea gusto e quindi è del tutto inutile”.
Il problema è allora come avere un ideale così forte come quello degli antichi imprescindibile
eppure non diventare dei pappagalli.
La tematica del buon selvaggio di Russeau
Idea di ritorno alla natura, genuinità dell’ispirazione che doveva rifarsi a una sorta di naturalezza,
evidenza, che oso la natura può dare. Solo i grandi, dice Diderot, pur riconoscendo l’idea che
sebbene non si possa prescindere dall’antico l’ispirazione dev’essere la più naturale possibile in
modo tale che l’artista abbia in sé una capacità espressiva.
Le belle arti ricondotte a un unico principio, cioè la bella natura. Bateaux rinuncia all’aspetto
imitativo in favore di un aspetto espressivo; la natura non va imitata ma va interpretata, e
l’interpretazione è espressione.
Perché il brutto albero spoglio e morto è l’albero che il pittore, se lo vedesse, dipingerebbe?
Perché ha un valore espressivo. Quindi non è la bella natura ce si ferma in una forma bella quella
che va imitata, ma la natura nella sua idea di potenza.
Il 700 è importante anche per questo, perché ci da le caratteristiche di una capacità di fruizione e
interpretazione dell’arte che arriva fino ai nostri giorni.
Winckelmann, nobile semplicità e quieta grandezza
Qui ha in mente il Laocoonte che incarna questa nobile semplicità e quieta grandezza e quindi non
spalanca la bocca. Etica ed estetica. Se il Laocoonte spalanca la bocca il suo viso viene deformato
e noi abbiamo una voragine, questo spaventa molto gli uomini del 700. Il problema oggigiorno è
come fruire dell’orrendo buco, voragine.
Diderot nei confronti della scultura
Assume un atteggiamento ambivalente: quando guardo un quadro lo contemplo in lontananza ma
con una scultura m’intrattengo.
Con la pittura usa la vista, lo contempla anche in lontananza, ma con una scultura deve
intrattenersi, osservarla, gustarla assaporarla in prossimità. Un corpo a corpo.
Ciò che c’è sotto la pelle è disgusto.
Le critiche di Diderot, l’ideale e la natura come modelli
Ha diverse passioni artistiche, ma ha sicuramente un odio diretto ed esplicito per Boucher.
E’ il suo punto di riferimento negativo.
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Victoria Tincati
Perché? Ha una tecnica meravigliosa, non ci sono dubbi che fosse un grandissimo pittore, ne
riconosce la qualità tecnica ma nessuna forma di sentimento, nessuna forma che annidi al cuore.
Ci sono troppe smorfie, piccole smorfie e tanta maniera, troppa tentazione per un’arte severa
(come la scultura)
Come potrebbe Boucher essere uno scultore? Mai, perché non c’è natura e se non c’è natura, un
riferimento a un’ideale puro, alto elevato come quello della forma pura, sicuramente Boucher è al
di fuori di quella linea (linea che porta all’ideale), linea che per Diderot dovrebbe essere lo scopo e
il fine di ogni scultore e pittore.
Boucher non guarda alla natura e neanche all’ideale, è manierato, è finzione.
Quindi la scultura è un’arte in cui sembra trovare ancora un’incarnazione possibile il grande gusto
richiesto appunto dal modello ideale, il modello ideale dato dai greci.
Boucher non guarda il modello e non guarda la natura.
La copertina del libro - Van Loo “Medea e Giasone”
Diderot odia il quadro della copertina del nostro libro.
Il pittore, Van Loo, è un grande pittore. Qual è il problema del quadro così orribile per Diderot?
Manca totalmente il soggetto, perché di fatto è un’imitazione di un’imitazione. In questo quadro
Van Loo dipinge Medea e Giasone, il problema è che Mile Clairon è Medea (una grande attrice
dell’epoca) insieme a un altro attore, Lekain. Quindi invece di ispirarsi alla natura in funzione di
un’espressività della natura, copia pienamente dalla scena teatrale commettendo un delitto
mostruoso per Diderot perché la scena risulta sbagliata, risulta una posa non la natura. Non può
esprimere alcun valore sentimentale. I figli morti sembrano dormienti, non c’è violenza, non c’è
sangue, Medea è piccola e inespressiva e Giasone sembra che stia andando in battaglia, invece di
essere addolorato per i figli.
Qua non c’è orrore, non c’è nulla.
In che modo le arti possono collaborare nel 700?
Non è vietata la collaborazione tra le arti, ma il 700 afferma che esiste uno specifico di ciascuna
arte e che il braso artista deve conoscerlo. Quindi esistono dei limiti per ogni arte che ogni artistia
conosce e non valica.
La posa plastica è propria del teatro, e non deve esserlo in nessun modo in pittura.
Esempio: i tableaux vivant
Diderot amava i tableaux vivants, composizione di individui viventi che riassumevano gli
atteggiamenti più forti che sarebbero stati rappresentati, composizione fissa, di pose plastiche,
data dagli attori.
Secondo Diderot il tableaux vivano era molto suggestivo, qualcosa che avrebbe potuto riassumere
in un secondo un’intera storia dando una grossa suggestione. Il tableaux vivant va bene sulla
scena, non va bene in pittura quando rimanda direttamente a se stesso, quando diventa copia di
copia. Il pittore e può aspirarsi all’espressività del tableaux vivant, ma non lo può ridipingere su
tela. Secondo Diderot artista che copia un’altra arte, non ridà niente, ci da pose plastiche che non
sono natura e non arrivano al cuore.
La metamorfosi del marmo in carne vivente
Su questo aspetto, Diderot non ha dubbi quando commenta una scultura: quale che sia il soggetto
rappresentato, lo scultore deve operare la metamorfosi del marmo in carne vivente, palpitante,
animata e senziente. Come il colore, l’atmosfera e la luce in pittura restituiscono la vita, l’incarnato
alle figure, così la durezza del marmo, negando la sua stessa materia, si scioglie nella morbida
dolcezza della carne e di un copro animato. La mimesi dello scultore assume ancora una volta
l’aspetto di una performance attoriale, di una messa in scena teatrale: la scultura si anima, prende
vita così come l’attore diventa sulla scena il personaggio.
L’istante pregnante
La grande sfida del 700 era dare movimento a ciò che movimento non ha, spostare nell’ambito
temporale ciò che giace nell’ambito spaziale. Come può il pittore, scultore, rendere quindi vivente e
in movimento ciò che è statico?
Secondo gli autori del 700 si tratta dell’istante pregnante = momento in cui un evento, un modo di
essere, va scolpito nel momento prima che avvenga. Se lo scultore scolpisce qualcosa che è
completamente avvenuto blocca l’immaginazione del fruitore perché gli mostra tutto.
Per esempio il Laocoonte, che non spalanca la bocca perché è sul punto di soffrire ma ancora non
del tutto.
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Victoria Tincati
Per il 700 il fatto di chiudere gli occhi e andarsene è il fallimento dell’artista, perché se rappresenta
il momento già completato non genera suggestione nel fruitore. L’artista deve portare il disgusto e
l’orrore fino al limite di sopportazione del fruitore
L’istante pregnante in Laocoonte lascia al fruitore la possibilità di immaginare la scena, lo
suggerisce. Lo conduce fino a dove vuole arrivare.
L’istante pregnante è fondamentale perché mette in movimento, l’artista che opera con lo spazio
devono individuare necessariamente l’istante pregnante. Allora il marmo deve diventare carne,
vita, movimento.
Esempi di istante pregnante
- La Galatea di Falconet, nel gruppo marmoreo, è perfetta perché dà l’idea della vita, dà l’idea di
voler uscire dal marmo. Ha l’atteggiamento, come dighe Diderot, esatta. Rappresenta nel
marmo ciò che dal marmo sta uscendo.
- La Baigneuse di Allegrain
Hegel e la forma ideale monocromatica
Quando Hegel scrive è già noto che la scultura antica era policromatica - Quatrème de Quincy nel
1815 pubblica Il Giove Olimpico nel quale perfettamente esprime il fatto che le opere e le sculture
antiche fossero colorate.
Passione per il bianco che il neoclassicismo aveva istituzionalizzato: “il marmo privo di colori è la
materia più appropriata, e lo sono anche i metalli, che hanno certamente colore, ma sono solo
l’astratta, solida materia monocromatica.”.
Secondo Hegel la forma ideale deve avere un solo colore.
Lo scultore deve scolpire forme, un pittore deve dipingere con forme e soprattutto colore.
La scultura deve essere monocromatica, e lo stesso Falconet diceva che lo scultore è privo del
fascino seducente della gamma cromatica.
Le forme si distinguono attraverso le ombre.
Herder e “La Plastica” - empatia//simpatia
Uno degli elementi preferiti di Herder è l’ermafrodito.
La bisessualità dell’ermafrodita è esplicitata, immagine moto forte per l’epoca.
Herder è uno dei primi autori che parla di “empatia”, anche se il termine ancora non è stato
coniato. Il termine per indicare “empatia” nel 700 con le dovute differenze (trasferire nell’altro se
stesso) è “Simpatia”.
E’ un termine diverso ma si avvicina per molti aspetti. E’ diverso perché simpatia implica un
coinvolgimento che non può prescindere da un aspetto morale (io simpatizzo per chi riconosco
simile a me e a quale non riconosco nessun tipo di colpa), mentre si può empatizzare con un
assassino.
Nel 700 si simpatizza eventualmente con la vittima, perché la virtù vince sempre sul vizio; anche
se l’eroina muore noi simpatizziamo.
L’occhio tattile di Herder
Herder è proprio l’autore che parla del senso ottico, capacità dell’occhio di farsi male.
L’occhi diventa mano per il trasferimento della possibilità tattile.
L’occhio tattile che sorvola la scultura e la prende, la coglie, la tocca da ogni punto di vista.
L’atteggiamento che abbiamo di fronte a una statua è assolutamente di tipo tattile.
Elementi tattili = la piega, la cavità, la plasticità, la morbidezza e la durezza, il peso.
Attraverso questo senso noi “simpatizziamo”, entriamo nell’opera. Andiamo al di là del concetto.
Il tatto è il senso di realtà.
Nulla deve esser trattato come mera superficie.
Il gusto del 700 ha un dito, il dito del senso interno, cioè la nostra capacità di diventare fruizione
tattile.
Di fronte a un’opera d’arte noi dobbiamo avere il giusto atteggiamento, se sbagliamo
atteggiamento manchiamo l’opera, qualsiasi forma artistica abbiamo di fronte.
Rodin e il modello ideale
Diceva, riprendendo Diderot e Winckelmann, guardatevi da imitare i vostri antenati.
Cos’è il modello ideale? E’ la punta estrema dell’ispirazione, mai copia.
Quando Diderot dice “ho visto un cattivo attore” cioè colui che ha avuto un grande maestro, perché
il grande maestro l’ha fatto diventare un piccolo pappagallo.
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Victoria Tincati
Il grande attore è quello che ha come ispirazione i modelli, impara, prende la tecnica e la trasforma
in qualcosa di nuovo, di personale. Dà la regola all’arte.
Se non dà regola all’arte allora è solo copia.
Nel contesto di una mostra d’arte che promette quadri di Caravaggio, ma solo le due prime sale
sono dedicate al maestro e le altre alla scuola = se l’avventore vuole godere, l’uomo di buon gusto
deve godere di fronte all’arte non imparare. Se andiamo per imparare la storia dell’arte, analizzare,
studiare l’evoluzione della tecnica andiamo con un determinato spirito. Se vogliamo provare il
godimento ci fermiamo alle prime sale.
La piatta esattezza = la fotografia e il calco.
Il problema del calco è che in natura viene inteso come natura, non come rielaborazione di natura.
Quindi un calco viene inteso come natura, Diderot sicuramente non lo avrebbe apprezzato.
La piattezza della fotografia è un problema completamente superato, mentre ai tempi era evidente.
Cosa diceva Paul Claudel di Rodin?
Dopo la morte della sorella Paul Claudel scrive cose tremende su Rodin, mettendole in bocca a
Camille.
A Claudel disturbava il fatto che a Rodin gli venisse regalato il marmo, che mettesse la sua firma
sotto a cose che non ha fatto lui. Nella scuola di Rodin, egli stesso firma un’opera ben fatta come
se fosse sua, cosa che disturbava a Camille che riconosceva in se stessa una genialità pari se non
superiore a quella del maestro.
Simmel e Rodin - il non finito
Simmel scrive un articolo su Rodin, punta l’accento sul “non finito” di Rodin.
Perché? Se nel 700 il movimento della scultura è dato dall’istante pregnante che viene colmato e
portato a termine attraverso l’immaginazione, nell’800 una buona parte del movimento della
scultura viene dato dal non finito.
Il non finito diventa la scusa affinché l’immaginazione venga messa in movimento.
L’esibizione del non finito come possibilità di fruizione, positività del 900. Nel 700 il non finito non
veniva considerato, non era fruibile e non dava suggestione.
Quando il non finito diventa possibilità di fruizione, allora si tratta di un nuovo modo di fare scultura.
Rodin appunto lo teorizza.
L’idea è il movimento, la scultura deve trasmette il movimento, deve diventare un’arte del tempo
anche se è un’arte dello spazio. Questo movimento deve esser trasmesso attraverso il non finito.
Claudel accusa Rodin di non portare a termine la sua opera, mentre SImmel suggerisce quello che
sarà il grande percorso del 900, cioè quello che fa della modalità del non finito una possibilità di
fruizione.
Differenza tra Rodin e Camille racchiusa in due opere
- Il Bacio di Rodin = un’opera perfetta ma estremamente compiuta, troppo fissa. Anche rispetto al
700. Perché? Perché Claudel dice “un uomo si siede a tavola e si sazia” non c’è un’istante
pregnante, ma il compimento, la sazietà, il possesso.
- L’abbandono di Camille Claudel = un uomo in ginocchio, viso sollevato che spera nell’abbraccio,
esita sa che non si sazierà e desidera. (il desiderio è l’elemento fondamentale di movimento per
tutto il 700). Cede solo al peso dell’amore, appoggia la sua testa sopra a quella dell’uomo.
Come definire arte
Definizione generale di arte
Per il 700 l’arte è una forma di conoscenza diversa da quella intellettuale.
Nella nostra contemporaneità questa definizione non funziona, perché noi ci arriviamo attraverso
un atteggiamento intellettuale.
L’arte è tutto ciò che può essere definito tale.
E’ possibile oggi definire arte?
Artur Danto - il cambio di statuto ontologico
Storico dell’arte e filosofo, affermava che per sapere se qualcosa è arte è necessaria una
riflessione filosofica sull’arte.
Qual è il limite di Danto?
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Victoria Tincati
Danto ha in mente l’arte contemporanea. Quindi l’errore di Danto, come tutti quelli che cercano di
dare una definizione di arte oggi, è che questa definizione vale soltanto per alcune opere d’arte
contemporanea non per l’arte in generale.
Ciò che differenzia due cose identiche è la teoria che eleva una di esse al mondo dell’arte e ne
impedisce di collassare nell’oggetto reale che essa è; è la riflessione filosofica che solleva una
delle due al mondo dell’arte. (Esempio: la zuppa al supermercato e la zuppa di Wharol)
Atteggiamento riflessivo filosofico consente un cambio di statuto ontologico.
Il sistema di riconoscimento dell’opera
Ogni opera, purché venga considerata come opera d’arte, deve vivere in un contesto che è fatto di
persone ed istituzioni necessarie.
Un’opera d’arte figurativa prevede l’esistenza di musei, gallerie d’arte, di critici, amatori e acquirenti
etc, quindi è un sistema complesso che rientra anche nel sistema di riconoscimento dell’opera.
Questo sistema fa di un oggetto qualsiasi un’opera d’arte.
L’arte ha bisogno di un fruitore, necessita di un nucleo di possibilità di fruizione, scambio.
Nasce per essere fruita.
Esempio: la body art, l’artista che fa la performance più estrema aveva bisogno di almeno un
testimone affinché fosse dichiarata opera d’arte.
Ci deve essere uno scambio.
Creare un’opera d’arte = darle forma, renderla in un qui ed ora, per essere fruita.
Una definizione possibile - elementi per avere un’opera d’arte
- Una persona = che partecipa consapevolmente alla produzione di un’opera d’arte (esempio
della bustina di te) = ci deve essere un individuo che si auto-definisce artista che prende un
oggetto e gli attribuisce un valore
- Un artefatto (oggetto, qualsiasi cosa, perfino pattume) creato (anche non creato) per essere
presentato ad un pubblico del mondo dell’arte (quindi con una galleria)
- Un pubblico è un gruppo di persone preparate a comprendere l’oggetto che è loro presentato:
devono avere l’atteggiamento filosofico, predisposto a riconoscere l’opera, oppure devono
accogliere l’oggetto e farlo entrare nel circuito del mondo dell’arte.
- Il mondo dell’arte è l’insieme di tutti i sistemi dei mondi dell’arte. Se tutti i sistemi non fossero
d’accordo, un’autore rimarrebbe chiuso nella sfera locale.
- Il mondo dell’arte è una cornice per la presentazione di un’opera da parte di un’artista al
pubblico di un mondo dell’arte. Fuori e dentro il museo, stesso oggetto che cambia statuto. Il
museo è una cornice entro la quale cambia statuto. Tutto il mondo dell’arte, crea la cornice entro
la quale un’opera diventa un’opera d’arte e un’artista diventa artista.
Fin dove possiamo andare? Cosa ancora ci aspetta? Possiamo andare indietro?
Il problema è capire come andare avanti, cosa recuperare dal passato, cosa avere il coraggio di
buttare nel presente.
Nella definizione
- nulla è arte sulla base delle sue proprie qualità intrinseche (orinatoio).
- perché qualcosa sua arte dev’essere stata concepita come tale. Qualcuno la deve definire come
tale, elemento razionale intellettuale.
- si riconosce un ruolo immenso all’intenzione: quando Duchamp prende lo scolabottiglie,
elemento legato al gesto provocatorio.
- se il lavoro dell’artista non comprendesse un legame cosciente con l’opera prodotta non
potremmo dire che quello che sta facendo sia un’opera. (l’atto creativo è intenzionale)
Creatività e genio - incontro con scrittore del manuale
Cosa si intende per genio?
Genio = capacità superiore
Primo aspetto è quello dell’etimologia di genio = radice verbo generare, il genio fa nascere
qualcosa.
Il secondo aspetto è legato al genio personale, idea che fra divinità e essere umano ci sia una
divinità intermedia (divinità custode) che ispira l‘uomo alla creazione. (Kant parlerà di questa
accezione del termine).
Cosa si intende per creatività?
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Victoria Tincati
La creatività ha un legame forte con la creazione = nascita di qualcosa, novità. Creare significa far
nascere qualcosa di nuovo.
Abbiamo un’idea di creatività e genio che hanno una sedimentazione nel corso dei secoli passati.
Queste idee influenzano i nostri pensieri.
I modelli di creazione
Questo ci porta a individuare dei modelli di creazione, si può parlare di:
- creazione divina = il problema di definire com’è stato creato il mondo, chi ha generato il mondo.
Si fa riferimento alla bibbia, Dio crea il mondo.
- creazione umana = quando l’artista dipinge un quadro, scrive un libro.
Queste due creazioni non possono essere divise in maniera così netta.
Due modelli di creazione:
- modello platonico = esposto nel Timeo, dialogo cosmologico scritto da Platone che spiega
come il cosmo è stato creato. Ci propone un modello in cui esistono due fattori prima dell’atto di
creazione, cioè la presenza di un Demiurgo entità che plasma una materia quindi esiste già, e la
materia. Il demiurgo plasma la materia sulla base di idee eterne che già esistono e sono per
Platone la verità. Se le idee sono buone ed eterne il mondo sarà una copia, non prefetto perché
una copia. Separazione tra mondo delle idee ideale e una copia del mondo delle idee che è
qualcosa che può essere buono ma non è perfetto. Per Platone, divisione tra mondo delle idee e
mondo sensibile (mondo del divenire, cambia continuamente). Le idee sono eterne, irrevocabili.
- modello cristiano = contempla la creazione ex nihilo, cioè la creazione dal nulla. Creazione
garantita da Dio dal nulla, non esisteva nulla prima della creazione.
Per ogni tipo di modello e creazione di cui si parla, bisogna chiedersi quattro domande semplici:
Chi crea? Cosa viene creato? In nome di chi si crea? Per chi si crea?
Creazione attiva e passiva
Nel modello cristiano e platonico abbiamo una creazione attiva, perché sia Dio sia il Demiurgo
vogliono creare il mondo e questo viene creato.
Come si passa dal modello platonico a quello umano? L’idea.
l pittore crea un quadro, per il pubblico, a partire di un’idea che ha in testa. Come il demiurgo crea
contemplando le idee, il pittore crea contemplando il proprio modello mentale. Visione che spera
dal mondo delle idee e mondo materiale. Ho un’idea in testa e devo tradurlo in materiale.
Es. Pollock, non c’è un’idea precedente. “Avevo l’idea in testa” è una semplificazione. Non
abbiamo le idee già fatte in testa.
Il genio e il processo di creazione non è fatto di idee confezionate (sarebbe il modello platonico),
abbiamo idee eterne da imitare e contemplare per poi metterle in gioco nella sensibilità.
Movimento retrogrado del vero
Henry Bergson mette in dubbio la relazione fra idea che avemmo in testa già formata e
realizzazione dell’idea nell’opera d’arte. Prova a mettere in relazione queste idee e dice che l’uomo
per sua natura ha un vizio particolare, il vizio dell’intelletto chiamato “movimento retrogrado del
vero” = noi prendiamo i risultati di quello che vediamo, e lo proiettiamo alle nostre spalle, quindi
dopo averlo creato dico che era già nella mia testa. “Dico che era possibile e che l’ho realizzato”
ma certo non era possibile, quello che era nella mia testa era solo un’ombra di ciò che è stato
realizzato poi.
L’ispirazione e la tecnica secondo Platone
- Modello di ispirazione = Per Platone il poeta è colui ispirato dalla musa, quindi per creare una
poesia deve essere ispirato dalla musa e prestare la propria bocca/penna alla musa, (è la musa
che parla attraverso lui) e deve essere fuori di senno, nel senso che deve scordarsi chi è e in
quel momento crea la poesia. Questo potere di creazione viene dalla musa. Esiste una catena:
ci si ispira da canzoni scritte da cantanti che si sono ispirati da altre cose create da persone
ispirate.
- Modello di creazione secondo una tecnica = per Platone il poeta non compone attraverso la
techné. Paradosso dell’attore di Diderot, l’attore con la tecnica è in grado di cambiare e indurre
emozioni in noi.
La copia secondo Aristotele e Platone
- per Aristotele = le idee non stanno separate ma stanno nelle cose. L’uomo è portato per natura
a imitare (grande differenza con la teoria platonica). Quando il pittore imita la natura non è
degradante ma prova piacere e l’imitazione è qualcosa che fa scoprire all’uomo nuove forme e
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Victoria Tincati
idee e quindi diventa forma di conoscenza. Nell’imitazione della natura impara a conoscere la
natura, ci avvicina e non ce ne allontana. Attraverso l’imitazione della natura possiamo scoprire
un’idea di natura.
- per Platone = la copia è problematica, abbiamo sempre un modello che è l’idea per Platone. Se
l’originale è l’idea che sta fuori dal mondo, abbiamo una degradazione progressiva, la creazione
per imitazione non è vista in maniera positiva. L’imitazione ci allontana dall’idea e quindi dalla
conoscenza.
L’imitazione della natura nel 700 - il genio
Attraverso l’imitazione della natura possiamo scoprire un’idea di natura. Nel 700 Bateaux inventa
la nozione di Belle Arti che sono sorelle perché imitano la natura, l’imitazione della natura nel 700
non vuole essere servile. Non imito la natura così com’è ma cerco di estrarre un’idea. Ogni uomo
che imita può portare la propria idea di bellezza.
Il genio nel 700 è in grado di imitare la natura illuminando nuovi aspetti, nuove porzioni di mondo.
Abbiamo un genio che contribuisce alla visione del mondo senza rimanere chiuso nella propria
soggettività.
Il problema della visione soggettiva = il genio vede qualcosa di personale che è troppo personale o
troppo avanti per essere capito, gli altri non capiscono, comunicazione inter-soggettiva. Il genio
può comunicare quello che vede o destinato ad essere un genio incompreso?
Il genio secondo Kant - critica del giudizio, 1790
Il genio per Kant è colui che da la regola all’arte quindi non c’è techné per il genio, non subisce le
regole che già esistono dà una nuova regola, non può essere rinchiuso in nessun concetto, in
nessuna regola preventiva.
Il genio non può dare la regola attraverso un concetto, l’opera d’arte si da senza concetto. Non
posso esaudire l’opera d’arte attraverso una definizione. Non posso descrivere l’opera d’arte
completamente, è sempre qualcosa che sorpassa i concetti.
Questa cosa che supera i limiti della definizione è per Kant lo “spirito” = lo spirito è in grado di
vivificare l’animo senza concetti, fa sorpassare i concetti, sfuggo ad ogni tentativo definitorio.
Abbiamo concetti definiti che vengono allargati dall’opera d’arte e siamo di fronte a un’idea che
non è concettuale, non si può definire. L’idea estetica è un’idea che non può trovare un
corrispettivo in nessun concetto.
L’apertura di senso, cioè l’esistenza di lacune indescrivibili e indefinibili, è ciò che rende
interessante l’opera d’arte.
La soggettività
Questo non fa si che si rimanga tutti chiusi nella propria soggettività, noi tutti sentiamo in maniera
diversa quella che sappiamo essere la stessa poesia, la vediamo ognuno da un punto di vista
differente. E’ qualcosa che ci rende tutti partecipi, vediamo tutti la stessa storia ma la viviamo in
maniera diversa. Per Kant possibilità di vedere in maniera diversa qualcosa che ci unisce inter
soggettivamente. L’idea estetica vivifica l’animo.
Il brutto e il disgusto
Per avere un atteggiamento di fronte a un’opera d’arte serve sapere che è un’opera d’arte?
Per oggi sì, per il 700 no.
Il tema dell’olfatto è uno dei temi più dibattuti nella contemporaneità sia a livello museale che a
livello della rappresentazione teatrale. Quando qualcosa è insopportabile all’olfatto diviene un
problema.
L’esperienza concettuale e il valore estetico
Opere prive di qualità estetiche, non hanno grazia e non sono belle e non sono nemmeno sublime,
dobbiamo giudicarle senza passare attraverso l’esperienza estetica ma di tipo concettuale.
Domanda: è vero che le opere concettuali sono prive di aspetti estetici?
Scatole Brillo non possiamo considerarle estetiche. L’odore e l’impatto che fa sulla nostra
percezione, non possiamo ritenerla priva di aspetti estetici.
Quindi qualsiasi oggetto ha aspetti estetici, ma non sulla base di questi che li giudichiamo perché
non sufficienti a inserirle all’interno di un contesto artistico.
Man Ray, Cadeau, 1921 = non possiamo negare che abbia un impatto esteticao. Contraddice il
valore iniziale dell’oggetto stesso. Un ferro da stiro a cui sono stati annessi dei chiodi provocando
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Victoria Tincati
una forma di contrasto. Valore legato a un apprendistato, elemento di costruzione, c’è un’azione su
questo oggetto (non è un readymade), necessita comunque di una comprensione per essere
inserito nell’ambito dell’arte e ha un impatto sulla nostra sensibilità.
I chiodi danno una sensazione sgradevole, creano disturbo.
Il ready-made
Il ready-made dice: mi guardate come un’opera d’arte ma non ne ho le caratteristiche.
Nel momento in cui l’arte nega se stessa nelle sue manifestazioni possibili, l’arte rinnova la sua
possibilità d’esistenza. Quindi l’arte rinnova la possibilità d’esistenza quando nega se stessa o
quando espone le sue peculiarità, per esempio mettendo a nudo la tecnica. L’arte nella
contemporaneità ci fa capire la sua difficoltà, lo sforzo più che al bellezza del movimento.
Kant “Il bello è ciò che piace universalmente, senza concetto”
Senza concetto vuol dire che Kant non accetta il fatto che l’arte possa essere spiegata passando
attraverso una sua concettualizzazione, perché Kant considera la possibilità di due tipi di
conoscenza estetica:
- intellettuale
- estetico
L’intelletto per Kant ha due possibilità:
- di tipo conoscitivo (ne parla nella prima critica)
- di tipo giudicativo sentimentale (ne parla nella terza critica)
L’intelletto non è affatto passivo nei confronti dell’opera d’arte, ma sta facendo un lavoro differente.
Non concettualizza ma esperisce sensibilmente mettendosi in relazione con le altre facoltà.
Se l’opera d’arte è bellezza, la relazione tra immaginazione e intelleggo posta liberamente è
gradevole, piacevole. La loro libera disposizione è pacifica, e da a noi una sensazione di
gradevolezza. Al contrario quando immaginazione e ragione entrano in contrasto, e qua Kant
prende da Burke, allora la reazione che abbiamo di fronti a un oggetto è dispiacere e piacere
insieme, e siamo di fronte al sublime. Dispiacere perché ci rendiamo conto dei nostri limiti (sublime
naturale per esempio, ci rendiamo conto dell’infinitezza e di avere uno strumento, facoltà morale
immaginazione, per comprendere tale limite. Sublime dinamico: la potenza della natura che ci
sovrasta, noi siamo nella condizione spettatoriale privilegiata, assaporiamo il sublime dinamico
dato dalla potenza del mare, capiamo il nostro stacco ma ci salviamo attraverso la ragione.).
L’università della citazione di Kant sta nel fatto che noi tutti siamo conformati nello stesso modo,
esisto un a priori della nostra disposizione. Quindi se “siamo fatti così” di fronte al capolavoro la
nostra capacità di giudizio sarà la stessa e quindi anche la nostra condivisione e il nostro giudizio
saranno uguali.
La frase di Kant oggi giorno
La frase oggi non ha più senso, il bello e il brutto sono categorie rilette completamente.
L’arte è ciò che piace localmente (a un gruppo di persone non è chiesta l’universalità del giudizio)
e con concetto, mediante una spiegazione di tipo logico-concettuale senza la quale quella cosa
non esiste nell’ambito dell’arte.
Non che la frase di Kant abbia perso lavoro, ce l’ha ancora ma relativa al suo tempo, oggi giorno
non ci basta né la sua né la nuova perché ci sono opere d’arte che possiamo benissimo giudicare
alla Kant cioè senza dover necessariamente passare attraverso un concetto.
La lezione dell’estetica contemporanea è saperci porre nel modo giusto e sapere che
atteggiamento assumere.
Clet Abraham
Muove una critica alle religioni che diventano sempre più confezionate con perdita di valori e
identità.
Modifica la segnaletica stradale.
Le articolazioni del bello
Secondo i famosi canoni estetici che sono in vigore fino al 600, si sa che ordine armonia e
proporzione sono il “bello”.
Diderot nel 700 dice = ordine e proporzione non sono riscontrabili nell’oggetto estetico ma ci sono
solo se vengono ricreati in noi.
- Relazione tra bellezza e utilità = è interdetta, nel 700 il bello non è e non può essere utile.
- Relazione tra bello e mortale = coincidono, da Shaftesbury a Kant, idea di moralizzazione. Oggi
le due non sono necessariamente coincidenti.
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Victoria Tincati
- Relazione tra bello e piacere = coincidono per il 700, perché il bello passa per un piano sensibile
e di ricezione soggettivi, quindi produce necessariamente piacere. Noi possiamo avere
scissione, bello che non ci da piacere o un disgustoso che ci provoca un dispiacere così forte
che lo ricerchiamo.
Bellezza oggettiva e bellezza soggettiva
Bellezza oggettiva = canone
Bellezza soggettiva = non il riscontro del canone, ma un sentimento “in me”, quella che
riscontriamo nell’opera d’arte all’infuori di qualsiasi canone. La storia della fotografia dimostra che
la negazione del rispetto delle regole fotografiche segna l’entrata della fotografia nell’ambito
dell’arte. Inquadratura e luce sono gli elementi a cui noi facciamo attenzione, quindi l’arte
fotografica gioca moltissimo sull’errore. Gli errori vengono valorizzati come elementi che rendono
la fotografia un elemento non di ricordo ma artistico.
La negazione del canone e l’esposizione dell’errore
Fine 800 avviene la negazione del canone come elemento per giudicare un opera d’arte.
Du Bos = se non da niente sentimentalmente, non è nulla.
Il 900 dice che l’artista deve contraddire il canone a tal punto da mettere in evidenza l’errore,
l’errore che segue la possibilità che qualcosa diventi arte.
Il brutto come giudizio di gusto e valore
Brutto è rovescio negativo del bello?
Il brutto va definito per forza, noi esprimiamo giudizi di bellezza o bruttezza continuamente.
Quando diciamo è bello è brutto diciamo mi piace o non mi piace.
L’espressione bello e brutto richiede una consapevolezza maggiore, in quanto sono giudizi di gusto
e sono confinati nella pura soggettività.
Nel momento in cui estetica fa del brutto una categoria estetica, il giudizio “questa cosa è brutta”
può dare a quella cosa un giudizio di valore.
L’arte ha sempre rappresentato il brutto, ma la categoria estetica del brutto nasce nel 700.
Brutto come valore non negativo, ma come possibilità espressiva dell’arte.
Esempi di brutto:
- il non riuscito = giudizio di valore, l’artista voleva fare una cosa gli è venuta un’altra, non è
arrivato al suo scopo quindi quella cosa è brutta (nel 700 la cosa è buttata, è un fallimento,
mentre nel 900 è valorizzata)
- il non finito = giudizio tecnico, esempio Rodin.
- deludente = giudizio soggettivo (il non mi piace)
- tecnicamente perfetto = è il soggetto ad essere brutto, il giudizio no nei riferisce al valore tecnico
ma al soggetto rappresentato. La perfezione tecnica tiene più lontano l’esperienza negativa del
brutto come soggetto. Una foto amatoriale di un suicida è molto più impressionante di una foto
perfetta e qualitativamente altissima dello stesso soggetto perché la tecnicità dell’evento mette
al riparo il fruitore, fa vedere la mano, il filtro, qualcosa preso volontariamente imposto voluto, ci
mette al riparo. Se c’è una porzione di quell’elemento ci fa sostenere lo sguardo più a lungo.
- tecnicamente imperfetto = eppure si adatta a un soggetto toccante, in questo caso brutto non è
un giudizio di valore ma una categoria estetica. Immagine patetica ancora più patetica, far
risultare come qualcosa di strappato, rubato e rientra nell’ambito della realtà, mettendo lo
spettatore in una posizione di imbarazzino spettatoriale nel dubbio di realtà o finzione.
Il grottesco e il riso, esempi di rappresentazione
Lovanio Quentin Massys ha una tecnica perfetta a servizio di un oggetto brutto e toccante.
Per Rosencrantz che scrive l’estetica del brutto il brutto rappresentato dovrebbe comunque essere
funzionale al bello. La follia la può rappresentare purché esalti qualcosa di positivo, non fine a se
stessa.
Gericault, La duchessa brutta, categoria affine al brutto, il grottesco. Rosencratz avrebbe preferito
il grottesco perché suscita la possibilità del riso che risolve il brutto. Quando il brutto di dissolve
nella risata la situazione si pacifica di nuovo. Qual è il problema del riso? E’ la sua ripetizione. Il
grottesco si esaurisce quasi immediatamente e quando viene riproposto ci rimane solo l’immagine
terrificante.
Jenny Saville, l’esasperazione non va verso il grottesco ma verso l’ambito del disgusto. Siamo
all’interno di un brutto rappresentato con polarità che sfociano verso il disgusto e non verso la
risata.
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Victoria Tincati
Cos’è il disgusto?
• La zattera della Medusa, Gericault, maggiormente rappresenta il disgusto. E’ la descrizione della
morte. Cosa lo porta verso il disgusto e non verso il sublime? Il sublime è la rappresentazione di
un naufragio con spettatore, ma dove questo quadro fa emergere qualcosa che è al limite tra
lecito e illecito? Nella figura estrema sulla sinistra vediamo un cadavere di giorni, in via di
putrefazione, nella sua forma ricorda l’odore di morte e l’odore di morte è disgusto. La morte può
essere rappresentata in mille modi, ma quando la morte è cadavere e soltanto cadavere senza
possibilità di mediazione allora è semplicemente disgusto. Il disgusto porta con sé l’idea di
contagio, un’idea fortissima di vicinanza.
• Bougureau, Canto VII = stilizzazione dei corpi, è una danza. L’elemento stilistico supera
l’elemento legato all’orrore o al disgusto.
• Goya, ci lascia la possibilità di svolgere tutto all’interno di un racconto oppure di scaricarlo di
nuovo nel riso. L’elemento del racconto è importante perché mette in moto l’immaginazione e ci
salva dalla reazione fisiologica di disgusto (la nausea).
• Nicolas Poussin, Martirio di sant’Erasmo, 1628. Hegel sosteneva che il brutto nasce proprio con
il cristianesimo, perché la prima rappresentazione di brutto è la passione di Cristo. Ha però una
finalità morale, che diventa quindi elemento simbolico, allora può essere fruita e si può andare
oltre senza fermarsi alla sensazione fisica.
• Jean-Baptist Marie Pierre, la Decollation de Saint Jean-Baptiste, 1761 = testa sollevata è già
putrefatta, verde, ma quello che disgusta è il disgusto di chi lo deve ricevere. La reazione di
disgusto non salva lo spettatore. Se c’immedesimiamo abbiamo reazione solo di disgusto.
• Saturno che divora i suoi figli = soggetto in pittura che suscita disgusto, quello di Rubens e di
Goya. Rubens utilizza una esecuzione tecnica perfetta, il bimbo è piccolo e l’atto è terrificante,
occhio e sguardo di Saturno potrebbe salvarci non orientato verso il figlio. E’ sicuramente quadro
davanti al quale non possiamo non provare una reazione. L’elemento tecnico ci salva, lo sguardo
può salvare e c’è l’attimo pregnante e quindi saio noi a portare avanti la scena. Con Goya invece
ha in mano un uomo. (il brutto può esse rappresentato di più nelle arti del tempo e meno nelle
arti dello spazio)
Fruizione dell’orrore
Paul Valery scrive “come la mano non può mollare l’oggetto rovente su cui la sua pelle fonde e
s’incolla, così l’immagine, l’idea che ci rende pazzi di dolore non può essere strappata dall’anima e
tutti gli sforzi e le deviazioni della mente per disfarcene la trascinano con loro”. Se un’immagine è
veramente disgustosa noi ce ne liberiamo con estrema difficoltà.
Soluzione di Du Bos = come possiamo fruire dell’orrore fino al limite? Come fuirre senza avere la
sensazione di sgradevolezza? Creando esseri di nuova natura, cioè creando finzioni. Portare
l’orrore al massimo grado all’interno della finzione, creazione di seri artificiali che ci fanno provare
sensazioni fortissime. Molto spesso di fronte un’immagine troppo forte ci diciamo che è finzione.
Se il film horror ha dosi massiccio di orrore e non richiama al naturale non funziona. Il bello stanca,
il sublime mantiene più lunga la nostra capacita di fruizione. Il disgusto tronca.
Come rappresentare l’orrore?
Alfredo Jaar, 1956 (Chile) nel 1994 fotografa il genocidio del Ruanda della minoranza Tutsi. Non va
a documentare, ma a denunciare attraverso il valore dell’arte. Come leggere le immagini leggibili e
come usare queste immagini come denuncia all’interno di un contesto museale?
Come fosse possibile far mantenere agli spettatori lo sguardo, operare un elemento di denuncia e
nello stesso tempo essere inserito in un contesto artistico?
Mostrare una foto forte sarebbe stata controproducente, quindi decide di fotografare gli occhi di
una donna che ha visto l‘orrore e di ripeterli all’infinito in un assoluto silenzio.
A volte il silenzio e l’incapacità di esprimere attraverso un immagine esplicita può essere più
potenti dell’esplicitazione dell’immagine.
Si sta creando un contesto artistico nel quale la nostra immaginazione e capacità di finzione può
svolger eun compito sublime.
Il brutto nell’arte
Nell’universo dell’arte è sempre stato presente. Solo con diffondersi del cristianesimo e allargarsi
della rappresentatività artistica il brutto fa ingresso in storia dell’arte.
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Victoria Tincati
Il problema appunto è come esplicitarlo nell’arte? Secondo Hegel e Victor Hugo il brutto ha avuto il
suo lascia-passare nel momento in cui il cristianesimo ci ha dato la possibilità di rappresentare la
passione di Cristo.
Il brutto moderno e contemporaneo
Si caratterizza non solo sui contenuti, ma pone il problema della propria autonomia categoriale.
Anche nelle immagini viste non esiste un’autonomia categoriale del brutto perché è funzione di
esplicitazione della morale.
Il problema è creare il brutto fine a se stesso, slegato completamente dal bello.
Il brutto serve per stimolarci qualcosa (quando sfocia nel grottesco diventa risata).
Si ha un’autonomia categoriale del brutto quando sarà fine a se stesso, brutto come
rappresentazione di se stesso.
L’autonomia della categoria estetica del brutto è molto recente.
Schlegel alla fine del 700 esprime necessità di una teoria del brutto e di una sua categorizzazione
autonomia. Con Rosencrantz il brutto è elemento dell’arte e non assoluto. L’assoluto è solo il bello,
il brutto è un relativo.
Tim Noble and Sue Webster, Dirty White Trash (With Gulls), 1998: partire da elemento di disgusto
e ricreare un’immagine. Il disgusto è sia origine che risultato = pattume e proiezione disgustosa
Le domande che dobbiamo porci
L’arte ha veramente come scopo quello di suscitare il dolore? Che differenza sussiste tra uno
spettacolo di gladiatori e una tragedia?
Spettatore e spettacolo dell’orrore
Du Bos ci salva dicendo: se siamo moralmente implicati e se possiamo porre rimedio a ciò che
vediamo allora dobbiamo intervenire.
Mendelssohn
Il saggio che gode dello spettacolo della morte trae godimento sublime, ma quello stesso uomo se
vede qualcuno che si lamenta lo aiuta. L’abito dello spettatore dell’orrore va messo e tolto nel
momento in cui la situazione non consente più lontananza spettatoriale.
Qual è il fine dell’arte?
L’affermazione che l’arte sia figlia di una ribellione contro il piacere non è cosa da poco (Du Bos)
Se l’arte è godimento e il freno è di tipo morale allora rischiamo molto.
Esiste una finalità del brutto al di fuori dell’ambito morale? Sì. Esiste una finalità estetica del
brutto? Sì, oggi.
Effetto estetico del brutto
Si deve render giustizia del senso di positività che fa parte della nostra esperienza di tanta arte,
che col brutto drammaticamente si è misurata.
Castellani, Sul concetto di volto nel Figlio di Dio = storia tra padre e figlio, di pochissimo dialogo, il
padre è incontinente. Storia di sofferenza e soccorso, agonia singola reale col rimando all’agonia
del Cristo. Il disgusto non poteva non essersi = l’odore forte, gli schizzi volavano per aria, idea del
contagio, del disgusto fortissimo.
Alla fine della rappresentazione c’è stato un dibattito e nessuno ha parlato di disgusto: diventava in
quel contesto strano, come se fosse una categoria estetica talmente poco nobile che non la si
potesse nominare. Era però la prima e più forte categoria che in quel contesto si potesse
nominare, perché da lì partiva tutto e bisognava che lo spettatore riuscisse a superarla. Dal
disgusto di parte e bisogna vedessero fino a quando si riesce a mantenere lo sguardo, a
sopportarlo. Il giusto disagio del disgusto è fondamentale.
Per il catastrofismo dei suoi detrattori essa non sarebbe che decadenza, quando non tout-court
degenerazione. Ma non è così.
Baudrillard, ne Le complot de l’art (1996), scrive = “L’arte contemporanea approfitta
dell’impossibilità di un giudizio di valore estetico fondato e specula sulla colpevolezza di coloro che
non ne comprendono nulla o che non hanno capito che non c’era nulla da comprendere”.
Distinzione tra brutto e sublime
Restringere il brutto al sublime significa misconoscerne importanti effetti; certo esso, da un lato,
può esser visto come una versione rinnovata del sublime, di cui eredita il senso di una dolorosa
tensione, i toni “pesanti” di una difficile conquista, i disagi di una dura competizione.
Prima caratteristica che li differenzia = mentre il sublime spinge sugli aspetti eccessivi della
negatività, il brutto si ferma prima.
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Victoria Tincati
Il brutto non presenta lanci eroici mentre il sublime si. Legame con categorie basse quali
caricaturale grottesco e disgusto. Il sublime quasi mai si accosta al caricaturale. Non deve
sfociare nella risata.
Su di un diverso versante, la riconduzione del brutto al comico pure può lasciare perplessi: perché
può sembrare superficiale risolvere in una risata il dolore e la violenza del brutto.
Il disgusto e il costume
Theatre du monde, Huang Yong Ping, 1994 mette in scatola predatori e prede in azione. Sia
predatori e prede non sono animali belli nel nostro immaginario. Se noi vediamo degli animali
disgustosi lottare tra di loro per la sopravvivenza, è molto diverso dal “sublime” di vedere una
leonessa che caccia l’antilope.
Questo significa che il disgusto ha una fortissima componente legata al gusto, al costume.
La componente del disgusto è quindi legata molto all’ambito sociale.
Può essere l’arte educativa? Nociva?
Non si può rispondere positivamente. Spesso s’intende l’arte come momento educativo. Dopo la
rivoluzione francese, i parigini non avevano più punti di riferimento. Quindi il punto di riferimento
diventa il teatro dei grands boulevards, tutti ci vanno e quindi viene portato sulla scena il
melodramma che rappresenta la lotta tra il bene e il male. Nel melodramma dopo due secondi noi
sappiamo occhi è il buono chi è cattivo e quindi sappiamo che è la virtù che va premiata.
Nella prima metà dell’800 il buono non moriva, assolutamente, il buono vinceva e aveva una vita
felice mentre il brutto moriva disgustosamente. Il buono non può mai morire disgustosamente,
anche dovesse morire, perché il disgusto crea una frattura, allontana, e rompe qualsiasi legame di
tipo empatico. Il buono rimane ancorato a noi empaticamente.
Questo formava gli uomini perché in mancanza di guida, il teatro poteva essere un buon calmiere
sociale. Quando si usciva da teatro si sapeva che il cattivo moriva e il buono era salvo.
Purtroppo era solo questa la sua funzione.
L’arte non ha il potere di cambiare l’educazione di un popolo, non può nulla rispetto a un regime
totalitario. Può qualcosa soggettivamente ma nulla di fronte alla politica.
Per esempio durante l’era di Hitler, l’arte non è stata cancellata.
Quindi può essere l’arte educativa? no, in senso generale, sì dipendendo dalla scelta del singolo.
La capacità di godimento dell’arte anche nel periodo peggiore della nostra storia del 900, ad
esempio, non manca. Una capacità di godimento che è al di fuori di una comprensione che possa
in qualche modo a direzionali in modo diverso.
Più l’arte è bassa, meno è libera perché è un prodotto culturale, quindi costruito per un pubblico in
un modo non libero. Più l’arte è alta, in teoria più è libera. è libera soggettivamente ma se uno è
povero non è alta. Un artista che può avere grandi idee e non ha finanziamento, non può
sviluppare l’idea. dobbiamo togliere l’arte bassa non è libera? Finanziare di più l’arte alta fino a che
punto? è pericolosa. L’arte deve fare i conti con la società. E’ nociva? No. è in un contesto che la
limita e la controlla.
La fruizione dell’arte contemporanea
- Milchstein prende delle lastre di marmo bianco, le scalfisce appena appena e le rilivella col latte
in assoluta calma e quiete. Grande problema del mantenimento dell’opera. La land art rimane
problema: non abbiamo un riscontro che nel tempo la mantenga. Ci rimane una foto, è
sufficiente a ricordarci che è stata un’esperienza? O dovevamo essere lì in quel momento? O è
proprio l’effimero l’elemento che l’artista vuole farci percepire?
- Pippo Delbono, Orchidee = mette in scena corpi nudi o travestiti corpi grotteschi spesso
estremamente brutti o malati, anoressia il suo attore di riferimento è Bobo che ha la sindrome di
Down. L’abbraccio tra corpi nudi così pieni di storia personale è commuovente. Per 10 minuti di
spettacolo circa, un tempo lunghissimo e insostenibile, prima dello spettacolo signore che
offrono cibo insistentemente e sei costretto a prenderlo anche se in quel momento non hai
voglia di mangiare. Qua il contrasto c’è ed è voluto. Per un tempo infinito ha proiettato su uno
schermo gigante la morte di sua madre (con molto sangue e sofferenza) registrata con un
telefonino da lui stesso. L’intimità è esibita in modo estremo, non autorizzato, fino a che punto
l’arte dev’essere esibizione del reale senza nessuna possibilità di mediazione? Non è la
rappresentazione che mi ha colpito, ma il limite, sto ragionando sul fatto che sia lecito o non.
- Giardino delle delizie, pannello centrale, Hieronymus Bosch, 1480-90 circa // Yves Klein, IKB
191, 1992 = due opere diverse. La critica d’arte contemporanea deve trovare una spiegazione
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Victoria Tincati
per una capacità o una volontà di fruizione di due opere così completamente diverse. Come ci
poniamo di fronte a queste due opere? Boehm = “le immagini, quale che sia il modo in cui sono
espresse, non sono luoghi di raccolta di dettagli qualsiasi, bensì unità di senso. Esse dispiegano
il rapporto tra la loro totalità visiva e la ricchezza della loro molteplicità raffigurata. Lo spettro
storico delle determinazioni possibili di questa differenza iconica è particolarmente ricco.” Nel
700 Huis sosteneva che esperienza artistica è completa e compiuta quando ci dà l’unità della
varietà, cioè la maggior capacità di cogliere particolari possibili nell’unità di tempo minore. La
maggior varietà possibile nel minor tempo possibile, questo è il bello. La varietà nel nulla. La
totalità visiva è quando apriamo gli occhi, vediamo l’opera, la percepiamo e li richiudiamo; quindi
la molteplicità visiva è l’insieme. Quindi appunto tra Bosch e Klein abbiamo gli estremi, da un
lato la molteplicità devastante dall’altro il vuoto ma in entrambi i casi la totalità visiva.
Boehm e la negazione dell’immagine
L’uomo ha la capacità di negare. L’immagine si nega come immagine perché “crea” qualche cosa,
che è un completo inganno per l’osservatore (Pigmalione) oppure perché nega se stessa
svelandosi come cosa (monocromo).
Il limite della rappresentazione = Pigmalione non crea arte perché lo scopo è di creare vita,
scolpisce una donna perché gli va non perché sia contemplata da arti. l’esposizione della sua
creazione è una prostituzione, è fatta per essere vista ma solo da lui, questo è un limite dell’arte,
arte ha come scopo la condivisione non la creazione per un singolo. Interessane è il fatto che
Boehm ponga sullo stesso piano Pigmalione e il monocromo purché anche quest’ultimo è
elemento pigmalionistico per la negazione dell’arte.
In entrambi i casi il pittore è un iconoclasta. Che voglia creare in natura o restare ancorato al
soggetto, il pittore distrugge l’immagine. Crea per distruggere l’immagine artistica.
Il disgusto - incontro con scrittore del manuale
Differenza qualitativa tra percezione, immaginazione e immagine
Nel discorso sul disgusto la parte importante è quella relativa al regime percettivo di fronte a un
oggetto. C’è differenza tra:
- percepire il disgusto nella realtà = regime percettivo
- percepire il disgusto in immagine = regime dell’immagine
- percepire il disgusto con l’immaginazione
Stesso oggetto di può percepire, rappresentare e immaginare, nell’ultimo caso non è detto che
abbiamo la stessa cosa di quando facciamo la fotografia. Quando immaginiamo qualcosa non è
detto che nella mia testa abbia qualcosa come un’immagine di quell’oggetto. Quindi c’è differenza
tra immaginazione e immagine.
Salon 1765 di Diderot
I Salon sono grandi esposizioni che si tengono a Parigi.
Ai Salon Diderot dice di fronte a un quadro “questa composizione va dritta all’anima” una buona
immagine è un’immagine che arriva all’anima. Diderot sottolinea una direzione che dal quadro
colpisce lo spettatore, e la privilegia.
“La pittura è l’arte di raggiungere l’anima con la mediazione degli occhi, se l’effetto si ferma agli
occhi il pittore ha fatto solo la minima parte del cammino”.
Parlando di occhi si parla di vista, quindi c’è una visione. La pittura sarebbe l’arte di raggiungere
l’anima attraverso la visione, cioè colpendo uno dei sensi.
Nella percezione i sensi coinvolti sono vista, tatto, olfatto, udito. Nella pittura, sembra dire Diderot,
abbiamo una sorta di filtro. Siccome l’albero è rappresentato, allora si ha solo un senso per colpire
l‘anima. Se l’effetto si ferma agli occhi il pittore ha fatto solo la minima parte del cammino, quindi
non basta che la visione sia soddisfatta da una bella immagine, ma solo se quest’ultima raggiunge
l’anima.
L’oggetto disgustoso colpisce l’anima o deve soffermarsi agli occhi?
Aristotele (ripreso poi da Du Bos) = anche l’oggetto più disgustoso può dare piacere a chi lo
guarda muovendo la sua anima.
L’oggetto disgustoso, se rappresentato proprio grazie a questa trasfigurazione, può colpire l’anima.
Aristotele nella Poetica parla appunto di immagini particolarmente esatte, di quello che in sé ci da
fastidio vedere, ci procurano piacere allo sguardo.
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Victoria Tincati
Posso avere disgusto per qualcosa, ma se un buon artista prende questo oggetto e lo limita
ponendo in immagine possiamo provare piacere.
Perché? Io so che quello che viene rappresentato non è vero, è finto, quindi mi metto a riparo e a
distanza. La rappresentazione mi permette di fare un passo indietro rispetto a ciò che nella realtà
mi ripugna. I sensi stessi sono limitati.
La rappresentazione ponendo su tela ciò che nella realtà ci ripugna riesce a fermare alcune cose
che nella realtà ci ripugnano. Degli elementi disgustosi che nella percezione non potremmo
sopportare, come l’odore, nella rappresentazione vengono annullati.
Perché provo piacere nella rappresentazione del disgustoso?
Diderot parla di un quadro esposto nel Salon di Chardin, quadro di una razza aperta che come
soggetto viene definito da Diderot disgustoso. Parla del momento della percezione. Diderot
definisce Chardin un mago perché riusciamo ad ammirare ciò che dipinge. Ciò che è l’imitazione di
un soggetto disgustoso può salvare l’oggetto attraverso la tecnica.
La tecnica è in grado di far dimenticare il disgusto, potendo quindi ammirare l’immagine.
Cardiff sa rendere gli oggetti disgustosi fruibili, e anche gli oggetti più banali e quotidiani della
realtà. E’ in grado di imitare oggetti semplici e a farci provare ammirazione e quindi ci tocca
l’anima.
Per il momento storico, Chardin fa qualcosa di grande per Diderot, Chardin sa ricreare gli occhi.
La rappresentazione è ciò che può colpirci inizialmente solo attraverso gli occhi, quindi alcuni
pittori sono in grado di ricreare gli occhi.
Può farci vedere qualcosa in modo nuovo, che non avevamo mai contemplato.
Nel caso di qualcosa di disgustoso, possiamo vederlo in modo nuovo?
Chardin è in grado di vedere la natura morte con occhi nuovi. Nel caso della razza Diderot non si
spinge troppo lontano, perché ci dice qualcosa di diverso: Chardin riesce a trasfigurare l’oggetto
disgustoso su tela in immagini che mostrano quanto è grande la sua tecnica. Quindi anche di
fronte a un oggetto disgustose ammiriamo la bellezza della tecnica. Non vediamo la razza con
occhi diversi. L’immagine salva il disgusto della percezione.
Proust e il disgusto della tavola sparecchiata
Marcel Proust, a cavallo fra i due secoli 800 e 900. Alla fine dell’800 non solo Diderot parla della
razza di Chardin, ma anche Proust ne parla.
Quando scrive questo saggio immagina di mettere in scena un racconto in cui un giovano svogliato
si trova a casa propria e prova disgusto per gli oggetti quotidiani che ha intorno a sé.
Parla di quando si finisce di mangiare, disgusto del dopo-pranzo, soggetti disgustosi non nobili
soggetti pittorici. Primo momento è quello percettivo, abbiamo finito di mangiar e sabbiamo una
sensazione di disgusto, il secondo momento è la fantasia, vediamo con la percezione qualcosa di
disgustoso e con la fantasia e immaginazione ci portiamo ad altri soggetti più nobili. Vede la
banalità ella propria realtà quotidiana, annoiato, con l’immaginazione pensa che sarebbe bello
essere in un museo, si alza e va a vedere i capolavori, tornando trova la differenza dei grandi
capolavori e gli oggetti banali.
Divisore tra percezione banale e una relata di capolavori museali che ci fanno fuggire dalla
banalità, anima assettata di bellezze che non le trova nella vita quotidiana. Proust propone un altro
itinerario al giovane, lo porterebbe davanti a Chardin, gli propone come si puà dipingere una tavola
sparecchiata. Proust porterebbe davanti al quadro di Chardin per far capire che quello che è
meschino può diventare bello.
Fino a questo punto Diderot sarebbe d’accordo.
Rivalutazione della realtà, non è solo la sua tecnica a ricreare gli occhi ma sembra suggerire che la
percezione di ciò che appariva indegno e basso forse non era l’unica percezione possibile
oggettiva della realtà.
E’ un passo oltre Diderot, per Proust abbiamo la possibilità di scoprire attraverso la pittura una
ricreazione degli occhi che ci porta a verde la realtà con occhi diversi quindi è un processo che va
dalla percezione all’immagine al ritorno alla percezione, se non ci fosse la possibilità di tornare alla
percezione per Proust avremmo compiuto il cammino solo per la realtà. La pittura non deve darci
un’altra realtà, ma abbiamo l’obbligo imposto dal quadro di tornare a vedere il reale con altri occhi
vedere ciò che avevamo classificato come banale con occhi nuovi e trovare magari una nuova
bellezza.
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Victoria Tincati
Una nuova bellezza viene creata, come se fosse una bellezza già presente pronta per essere
svelata, ma non era così. L’artista crea la nuova realtà quest’ultima non esisteva.
La grande differenza è che quindi la razza di Chardin non è bella per via della tecnica che l’ha
trasfigurata, ma è bella perché Chardin ha visto la razza bella. Chardin ha trovato la razza bella da
dipingere, dice Proust. Chardin è riuscito a trovare nell’oggetto umile una bellezza da estrarre.
Se Chardin ha visto la razza come bella nella percezione e ha saputo dipingerla bella proprio
perché l’ha vista bella, quando noi la vediamo bella qual è il passo da fare per chiudere il cerchio?
Tornare a vedere la razza nella realtà e scoprire che è bella.
Presuppone il ritorno al reale, non ci fermiamo all’immagine.
la percezione non è mai qualcosa di fisso.
Baudelaire parla di trovare la bellezza nella realtà. Scrive dopo Diderot e scrive dei celebri Salon.
Dice che la bellezza si trova ovunque, anche nella razza di Chardin.
Da Chardin abbiamo imparato che una pera è altrettanto vivente di una donna.
Baudelaire assegna un compito al pittore della vita moderna: distillare l’elemento poetico dalla
trama del quotidiano.
E’ possibile che il poeta e il pittore ci ricreino il mondo con occhi nuovi? c’è un atto di creazione
che ci fa scoprire la bellezza. Se troviamo bellezza nella quotidianità abbiamo il bisogno di
comunicarla.
Tema della morte
Burke, autore fondamentale che da origine al tema del sublime, nel 700 scrive: e invero le idee del
dolore e soprattutto della morte sono così impressionanti che, finhcP ci troviamo in presenza di
qualsiasi cosa si supponga abbia il potere di suscitare in noi l’una o l’altra, è inevitabile che siamo
completamente liberi dal terrore”
Dolore e morte sono immagini che ci impressionano di più.
Come viene rappresentata la morte?
Può essere rappresentata in mille modi diversi.
- evocata in modo traslato
- ricordata nel suo elemento più impressionante e disgustoso perché ha a che fare con l’ambito
della putrefazione, rimanda quindi a un aspetto di natura (l’arte con il teschio)
Julia Kristeva, autrice contemporanea, “Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione”, dice che il
cadavere è considerato senza dio e al di fuori della scienza (anche al di fuori dell’ambito del
riconoscimento familiare e amicale), è il colmo dell’abiezione (nell’ambito del disgusto più pieno).
Un cadavere al di fuori del suo aspetto spirituale, del suo ambito di trascendenza, al di fuori della
scienza nel senso del suo aspetto anatomica e al di fuori di qualsiasi affetto è colmo di abiezione,
è disgusto. E’ la morte che infesta la vita. Il disgusto agisce più fortemente quando ce ne sentiamo
infestati, rigetto da cui non ci si separa e da cui non ci si protegge. E’ una minaccia reale, fino a
inghiottirci. Il disgusto non attrae, ma contamina. Per questo riusciamo a fatica a liberarcene.
George Steiner in “Grammatica della creazione” dice che “la morte ha una storia sociale e
mentale”, l’aspetto biologico della morte è come u corpo passa e trapassa da uno stato di vita a
quello di morte. L’aspetto sociale è un’esperienza che coinvolge la collettività, quello mentale
invece è individuale.
La morte nell’arte contemporanea
Oggigiorno la morte è mostrata spessissimo sotto forma di spettacolo, in continuazione.
L’aspetto legato alla vicenda personale della morte è molto più distante.
Nel 700 si assisteva normalmente a esecuzioni capitali e alla tortura in piazza, che non era
elemento poi così gradevole. La morte attraverso suicidi o poteva essere rappresentava, mentre
l’uccisione veniva evocata.
Noi siamo esattamente all’interno di un ribaltamento di quest’esperienza.
Gli aspetti che ci relazionano alla morte sono molto significativi per vedere come la morte ci possa
evocare il disgusto.
Sempre Steiner sosteneva che solo un pazzo nega, oggigiorno, a se stesso la possibilità di esser
ricordato all’infinito attraverso la sua opera. Il valore eterno dell’opera, la capacità di superare
l’elemento della morte. Molte arte contemporanea ha l’elemento effimero e fa del qui e ora, del
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Victoria Tincati
fatto stesso del suo deterioramento, un elemento importante. In qualche modo l’arte toglie a se
stessa l’elemento di superare la morte.
Steiner scrive se esiste qualche artista più intelligente dopo Duchamp? Tanta dell’arte moderna è
riconducibile al gesto di Duchamp.
Steiner dice che ogni volta che troviamo elemento di quel tipo torniamo nel mondo di Duchamp.
Andres Serrano “The morgue” (Knifed to Death I), 1992. Serie che riguarda cadaveri presi in
obitorio e che riguarda morti violente, generalmente suicidi.
Qual è l’elemento che rende queste foto sopportabili alla vista?
- difficilmente ci restituisce il cadavere nella sua interezza, è frazionato, è una porzione
- la qualità estremamente perfetta della foto
Il secondo elemento ci aiuta, il fatto che ci sia una posa, un adattamento, una distanza data da un
medium che si riconosce per le sue qualità ci pone nella nostra situazione, situazione spettatoriale,
situazione di distanza e di contemplazione. Crea una fattura tra noi e il soggetto, il medium è la
macchina fotografica in posa e perfetta nel suo utilizzo.
La parcellazione dell’immagine, Ariosto vs Omero
La parcellazione è interessante, il fatto che sia frazionato, a che vedere con l’estetica.
Lessing diceva che mentre in pittura e scultura il brutto può esserci dato in parte, nella poesia può
esser espresso maggiormente perché la poesia è fatta di quadri in successione.
Ariosto, descrivendo l’Alcina, sbaglia completamente. La descrive a pezzi. Impedendoci di avere
un’immagine dell’Alcina. La nostra immagine dell’Alcuna sarà diversa in ognuno di noi anche se
Ariosto si è sforzato di raccontarci ogni dettaglio. Come fa Omero, invece, a dirci quanto è bella
Elena? Non ce la descrive ad elementi perché è impossibile ricostruirla, quindi quando ce la
descrive che la sua bellezza era tale da scatenare una guerra infinita. Il fatto che il suo portamento
causassero una guerra infinita fa lavorare la nostra immaginazione, non per costruire un puzzle ma
per immaginare una creatura più bella possibile che causa il danno più grande possibile.
Dove Omero non sbaglia pur facendo lo stesso errore di Ariosto? Quando descrive Tersite, che è
l’uomo più brutto del mondo, e quindi ce lo descrive a pezzi come Ariosto aveva descritto l’Alcina.
Se noi prendiamo l a bellezza fisica e la scomponiamo in pezzi ne distruggiamo il valore formale, la
sua pienezza formale e la sua capacità di impressionarci, se invece prendiamo il brutto e il
disgustoso e lo tagliamo a pezzi, ne coartiamo puzzle diversi e quindi lasciamo all’immaginazione
la possibilità di completare ciò che vediamo lo rendiamo maggiormente sopportabile. Da un lato lo
distruggiamo, dall’altro consentiamo di ricomporlo fin dove la nostra immaginazione può arrivare.
Lessing e il Laocoonte
La bruttezza parcellizzata può essere utilizzata dal poeta perché consente al fruitore di ricostruire
tale bruttezza e spingersi dove vuole. Il frammento non ci consentirà mai di costruire una bellezza
pienamente data. La bellezza è una sorta di aspirazione, di simbolo, di elemento che è così non
coglibile nella sua pienezza che appunto Omero non si impegna a descrivercela. Ce ne descrive el
conseguenze e quindi, noi, arriveremo là.
Esempi di arte contemporanea disgustosa
• Diana Michener “Head n° 2” 1986
La macellazione è molto impressionante, violento ed è uno degli occultamenti della nostra civiltà,
infatti non si trovano “video di macellazione”
• Damien Hirst, Mother and Child, Divided 1993
Divide la mucca in verticale e mette le due metà sotto vetro e fa passare gli spettatori in mezzo
vedendo il vitellino nella pancia diviso in due anche lui.
Questo tipo di disgusto può farci pensare, tipo il mangiar carne o all’uso dell’animale o la relazione
che abbiamo con l’animale.
Scrive un manuale. “Manuale per giovani artisti” dove esplicita la sua poetica.
• Gunther von Hagens, Morto 3
Mette in posa e mummifica i cadaveri.
Quali sono gli elementi che ci salvano? L’elemento pseudo scientifico e il fatto che il cadavere
prende per noi una distanza estrema per la sua messa in posa. Hagens non ha intento scientifico.
• Semefo
Gruppo di artisti che lavorava qualche anno fa con la volontà di scioccare. Aggressività che
provoca un’aggressività di ritorno. Vogliono provocare reazioni viscerali. Cadaveri interi.
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Victoria Tincati
Non è detto che il disgusto dal vivo sia più spaventoso e disgustoso che nella rappresentazione.
Nel 700 dicevano che l’orrore, che passi attraverso un medium esplicito o che sia reale, non
cambia. Il disgusto rappresentato ci da la stessa identica sensazione di repulsione e violento shock
dell’orrore rappresentato.
• Stéphane Pencréac’h
Come spiegare che una pittura si mostri a volte più efficace di una fotografia?
• Gruppo cadavere Sun Yuan, Assassinare l’anima 2000 Cina.
• Duchamp, Priere de toucher, 1947. Elemento tattile.
• Marina Abramovich, Cleaning the mirror
Body art e azionismo viennese arrivano in parte fino a noi con una grande confusione.
Performance che richiedeva una preparazione incredibile, è un qui e ora.
• Nude with Skeleton di Marina Abramovich
• Ana Mendieta On Giving Life
• Mutilated Body on Landscape 1973.
Tradire il corpo
- Gina Pane, Action Sentimentale 1973
- Vito Acconci
- Gunter Bus, self-painting, sulf-mutilation 1965
- Schwarzkogler Azione 65
- Hermann Nitsch, Performance 1965 fa parte dell’azionismo viennese, una sorta di santone, si
abbiglia da santone. Carne. carne. smembrare la carne, anale sadomasochisticamente etc.
Inscena rituali in cui all’uomo non accade nulla, ma gli animali vengono sgozzati il sangue viene
preso e gettato sugli uomini. Hacktivism. Sulla tela sangue vero.
- Paul McCarthy
Ambito Teratologico
Incontro con prof d’arte contemporanea dell’accademia di belle arti
Intendere lo statuto dell’opera d’art, i modi nuovi di produzione dell’oggetto artistico e del suo
valore.
Minimalismo e arte concettuale, anni 70.
Opera intesa come oggetto dotato di precise caratteristiche estetiche, con valori artistici ed
economici.
Documenti, certificati e contratti diventano strumenti necessari agli artisti.
Cos’è l’arte concettuale?
L’attacco più significativo che sia mai stato mosso allo statuto dell’oggetto artistico.
“Disegni e altre cose visibili su carta che non necessariamente devono esser considerati arte”.
Definire l’idea come strumento che impone pianificazione..
L’opera ha anche una forma non stabile, può esser realizzata in un contesto e riproposta in un altro
contesto. Importante che l’opera non sia realizzata in più contesti contemporaneamente. Lo statuto
dell’opera non più legato alla sua presenza nello spaio ma supportato dal documento visto prima.
Origine del sentimento estetico, le polarità di gusto - incontro con
scrittore del manuale
Sentimento del piacere tragico
Il piacere che deriva dalla rappresentazione di un dolore, un dolore reso innocuo perché è una
rappresentazione e quindi non può farci veramente male. Delizia la nostra anima.
Cartesio dava una giustificazione anche morale al sentimento del piacere tragico. Morale perché
l’uomo di fronte alla rappresentazione delle sofferenze altrui prova compassione e quindi prova
piacere nell’esercizio di questa compassione perché esercita una virtù, mette in moto una
dimensione morale.
Questa visione morale verrà ridimensionata nel corso del 700 da un autore fondamentale in questo
discorso come Du Bos, in favore dall’altro effetto più propriamente fisiologico, cioè la sollecitazione
di una visione violenta che produce piacere.
Si cercava di comprendere qual è l’origine dei nostri sentimenti estetici.
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Victoria Tincati
Da dove viene il piacere che proviamo davanti all’arte?
Cartesio è uno dei possibili punti di partenza. Individua questa duplicità nella natura del piacere
tragico.
L’estetica emozionalista di Du Bos
La riflessione di Du Bos, autore delle riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, cerca di
articolare una distinzione tra emozioni e sentimenti.
Entrambi sono sollecitati dalle rappresentazioni artistiche, ma:
- l’emozione rimanda a una reazione passionale immediata soggettiva legata all’ambito
fisiologico e che si produce in diretto contatto tra il pubblico e l’opera d’arte. E’ la prima reazione
insomma. Stabilisce un contatto ematico diretto.
- il sentimento si pone come una dimensione ulteriore del sentire che rivela una presa di
distanza, una capacità da parte del soggetto di porre a distanza l’oggetto, nel caso la
rappresentazione artistica, e quindi di liberare una capacità di giudizio sull’opera. E’ universale,
oltrepassa la dimensione soggettiva, implica un distacco e permette di valutare. Il sentimento
giudica, è già una forma di giudizio. Ciò che i pubblico sente è già una forma di giudizio, che
secondo Du Bos non inganna, è assolutamente giustificato.
Se il soggetto fruitore rimane impigliato nella semplice situazione del contatto empatico
dell’emotività, non riuscirà a privarsi della propria soggettività e quindi non potrà formulare un
giudizio universale. Se noi andiamo ad assistere a una rappresentazione che mette in scena un
evento storico doloroso o una malattia facciamo fatica a giudicare con distacco e disinteresse
l’opera perché nella nostra vita abbiamo trascorso quegli stessi eventi. Quindi il 700 spinge il
fruitore a superare questa situazione emotiva per arrivare a una forma di disinteresse, che non è
indifferente per l’opera ma dona la capacità di giudicare e quindi il fruitore dovrà mettere tra
parentesi le sue pulsioni personali, i suoi interessi, le sue motivazioni e i suoi pregiudizi.
Quella di Du Bos è un’estetica emozionalista, basata sulle emozioni e i sentimenti che sono
spesso violenti. L’opera deve colpire lo spettatore, non deve offrirli uno spettacolo armonico ma
deve colpire e turbare entro certi limiti determinati dal buon gusto e da una serie di convenzioni
storicamente riconoscibili come la verosimiglianza.
Principio della verosimiglianza = non deve imitare la natura o la storia, ma deve esser simile al
vero, all’interno della nozione del possibile.
Il valore che Du Bos attribuisce al pubblico
E’ un buon giudice, giudica u’opera attraverso un criterio generale, cioè secondo l’impressione che
la rappresentazione artistica suscita in lui. Dal momento che lo scopo principale della poesia e
della pittura è quello di coinvolgerci, i poemi e i quadri sono buone opere solo nella misura in cui ci
commuovono e ci avvincono. Un opera che coinvolge molto deve essere eccellente.
Quest’affermazione è importante di Du Bos, perché critica un modello di estetica classicistica che
era ancora molto presente nella cultura francese dell’inizio del 700, cioè l’idea che un’opera è
eccellente se rispetta delle regole (ad esempio di Aristotele a teatro).
Secondo Du Bos un’opera può seguire le regole ma non coinvolgerci. E’ il sentimento che giudica
il valore dell’opera, quindi il gusto del pubblico.
Si tratta di un’élite di pubblico, quindi un’élite di gusto. Quest’élite ha delle caratteristiche sociali,
sono uomini agiati in grado di esercitare un giudizio consapevole.
Il coinvolgimento = Du Bos prende le difese del pubblico contro i critici. Non è il critico a valutare
bene l’opera d’arte ma il giudizio del pubblico.
C’è una valorizzazione del successo che l’opera ha. Se questa ha successo e gode di prestigio
vuol dire che è artisticamente eccellente. Proprio per questo secondo Du Bos è il sentimento che
permette di riconoscere il valore delle opere degli antichi.
Il sentimento è sovrastorico
Esisteva un dibattito tra i sostenitori degli antichi e i sostenitori dei moderni su chi aveva raggiunto
maggiore abilità artistica.
Du Bos è in qualche modo sostenitore degli antichi, perché si basa sull’universalità del sentimento.
Secondo Du Bos il sentimento appartiene all’uomo in quanto tale, e quindi è il sovrastorico. Gli
uomini oggi sono in grado di sentire la profondità e bellezza di un’opera classica così come gli
antichi, perché il sentimento è una dimensione umana che sta alla base della società e quindi è
sovrastorico.
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Victoria Tincati
Quest’aspetto è importante perché mette in evidenza come l’estetica porta alla luce una questione
di socialità, come se fosse la base di una forma di socializzazione. Andare a teatro è formativo,
direbbe Du Bos, perché ci permette di condividere die sentimenti con gli altri e quindi di
riconoscere un sentimento di socialità.
Permette di conservare l’equilibrio della società.
Un’estetica delle emozioni e del sentimento incentrata sul pubblico e sulla sua capacità di
giudicare. In qualche modo, se il gusto è sovrastorico perché fondato sul sentimento condiviso da
tutti gli uomini, vuol dire che le arti conoscono un’evoluzione indiscutibile ma in qualche modo il
gusto no, libera una dimensione di universalità condivisa.
Le polarità sollevate da Du Bos
- Il gusto è singolare, ognuno di noi giudica un’opera d’arte
- Il gusto è un sentimento ma è anche un giudizio
- Il gusto è oggettivo o soggettivo? Tutti gli autori affrontano questo dibattito
- Natura e cultura, esiste un gusto naturale che è dato a tutti gli uomini, ma esiste un gusto che
diventa buon gusto che è educato e formato attraverso delle esperienze e quindi il suo esercizio,
quindi un gusto culturale cioè elaborato attraverso un processo formativo (se il giudizio è
raffinato allora è un a giudizio di tipo comparativo)
Si parla di polarità ma i due poli sono tenuti a mantenersi assieme, perché ognuna rimanda
all’altra.
Le passioni artificiali
Anche Du Bos si interroga sul dolore come parte del piacere estetico. Lo riconosce come proprio di
mote opere d’arte, parlando di afflizione. L’arte della poesia e l’arte della pittura non sono mai tanto
apprezzate quanto quando affliggono.
In un contesto di finzione è possibile un godimento che si esprime attraverso le lacrime.
Du Bos motiva il piacere di piangere definendolo un piacere puro, cioè l’arte è un grade di
rappresentare passioni artificiali. L’arte crea, produce nuovi esseri, oggetti che suscitano in noi
passioni artificiali capaci di tenerci occupati nel momento in cui le sentiamo e incapaci di crearci
successivamente autentiche afflizioni. E’ in grado id separare le passioni dolorose dalle loro
conseguenze reali. Piacere puro, emendato di tutte le sue conseguenze dolorose.
Gusto / buon gusto - Diderot
Il gusto non è buon gusto. Polarità che Diderot evoca bene di fronte alla natura morta di Chardin.
Sostiene che in qualche modo nella pittura ci sono certi autori, pittori, che implica un’educazione
dell’occhio e quindi un’educazione del gusto. La pittura storica per esempio. Ci vuole
un’educazione del gusto, cosa che dice anche Du Bos. Le storie rappresentate sono quelle più
conosciute dal pubblico.
C’è però una modalità di pittura, dei generi minori (natura morta, ritratto, paesaggio) di cui basta
servirsi degli occhi che natura ci ha dato, dice Diderot. Basta la natura che è in noi, va al di là della
dimensione culturale.
Questa differenza la rileva Diderot osservando il pubblico dei Salon. Ci sono generi che risiedono
un gusto raffinato e altri che piacciono a tutti.
Dimostra la stratificazione del gusto che corrispondono alle diverse tipologie sociali.
Natura / cultura - Burke e Hume
Esiste un gusto naturale che appartiene a tutti gli uomini e quindi è universale ma poi si sviluppano
delle differenze tra gli individui che caratterizzano il buon gusto.
Burke, autore dell’inchiesta sul bello sublime, e Hume, autore della regola del gusto, possono
esser letti come due polarità di intendere il rapporto tra natura e cultura del gusto.
Burke
Polemizza implicitamente nei confronti di Hume nell’introduzione dell’inchiesta sul bello e sul
sublime. Si interroga sul gusto per cercare di contrapporre la sua tesi a quella di Hume.
Per Burke il gusto è universale e naturale. E’ quella facoltà o quelle facoltà della mente che sono
impressionate dalle opere dell’immaginazione e dalle belle arti o che formano un giudizio su di
esse, il piacere del gusto è lo stesso in tutti. Tutti sentono, ma a un certo punto entrano delle
interferenze che deformano la naturalità del gusto.
Le abitudini, gli usi e le conoscenze rischiano di depravare il gusto naturale.
Anche Burke quindi si interroga sulla regola del gusto. Chi e cose definisce il buon gusto e lo
distingue da un cattivo gusto, o da un gusto corrotto non raffinato.
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L’orizzonte che fonda la regola del gusto è il gusto naturale anche se è vero che il gusto erudito
può anche migliorare il gusto naturale, non solo depravarlo. Esiste un’educazione del gusto.
La posizione di Burke afferma l’oggettività del giudizio di gusto e la sua universalità su una base di
natura sensualistica e emozionalistica
Hume
E’ contrapposto. Anche per Hume il gusto è una questione di sentimenti, emozioni, passioni, non è
un atto intellettuale. Il problema da cui parte Hume è contrapposto a Burke, parte da una dato di
fatto che è quello della diversità dei giudizio tra gli uomini all’interno di una stessa società, a
maggior ragione tra culture diverse. Il problema che si pone al centro del picco saggio “la regola
del gusto” è quello di determinare una regola del gusto partendo da una difficoltà iniziale data dalle
differenze tra i gusti degli uomini.
La risposta al problema di Hume è la costruzione di una regola socialmente condivisa del gusto,
che torva il suo punto di riferimento nei giudici del gusto cioè in coloro che sono riconosciuti come i
critici, coloro in grado di giudicare la bellezza.
Sebbene i principi del gusto siano universali, pochi sono qualificati a esprimere un giudizio
sull’opera d’arte e a riconoscere la bellezza.
La regola del gusto si trova quindi in quel numero ristretto di persone che sono in grado id ben
giudicare l a bellezza perché hanno tutte le caratteristiche elencate.
La delicatezza, il buon senso e delle qualità come la pratica, la capacità di operare confronti e la
necessità di liberarsi dai pregiudizi.
i critici sono quelle personalità riconosciute dal consenso di tutti, e in virtù di questo riconoscimento
sociale intersoggettivo sono deputati a dover giudicare.
Con Hume ci troviamo di fronte a una riflessione filosofica interessante che circoscrive la figura del
critico d’arte.
Kant - la critica della facoltà del giudizio
E’ l’opera d’estetica fondamentale di Kant, 1790, quindi chiude il secolo. E’ l’opera che riesce a
sintetizzare e allo stesso tempo a rilanciare su piano filosofico più profondo tutte le questioni
discusse da Du Bos, Hume e Burke.
Il giudizio di gusto, per Kant, ha un fondamento che è soggettivo ma universale. Fondato nel
soggetto che giudica, e questo giudizio di gusto pretende l’universalità nel senso che pretende
d’esser condiviso universalmente dagli altri.
Kant sottrae la sfera del giudizio estetico alla dimensione concettuale dell’intelletto, cioè quando
giudichiamo il bello non stiamo formulando un giudizio di conoscenza e non stiamo lavorando con i
concetti dell’intelletto. Non sto definendo l’oggetto. La sfera estetica non è una sfera conoscitiva,
perché esprime una relazione tra il soggetto e l’oggetto.
La sfera del giudizio estetico coinvolge il sentimento ma non la sensazione.
Il bello è oggetto di un piacere disinteressato, ma questo discorso significa che l’oggetto del mio
compiacimento mi piace senza interesse, senza attivare un’interesse di tipo sensuale o fisiologico
o morale. Il giudizio si colloca nell’ambito disinteressato.
Kant riprende il discorso della discussione tra passione e sentimenti, concentrandosi sulla
dimensione de sentimento come specifico dell’estetica del giudizio di gusto.
Bello è ciò che piace universalmente, e qua si solleva al discussione sull’universalità del giudizio di
gusto. Per Kant è un’universalità soggettiva.
Le facoltà del soggetto giocano tra loro senza però e esser applicate alla specifica conoscenza di
un oggetto. Le mie facoltà di intelletto sono libere dalla funzionalità di definire.
Finalità senza scopo
Il problema della regola del gusto - incontro con una a caso
Millie Brown = artista che vomita colore su una tela bianca. La sua produzione artistica volta a
darci una rappresentazione del disgusto.
Che senso ha rappresentare in arte qualcosa di disgustoso?
Possiamo dire che è bello o brutto, possiamo dare una considerazione storico-artistica, nel senso
che l’arte contemporanea è in un certo modo per via di alcune dinamiche sociali ecc.
Questo tipo di considerazioni corrispondono a due modelli all’interno dell’estetic:
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Victoria Tincati
- primo modello che corrisponde alla prima considerazione si può definire SOGGETTIVISTA, cioè
un modello che di fatto studia il giudizio del soggetto sull’oggetto artistico. A partire da Hume
porta a Kant.
- secondo modello che corrisponde alla seconda considerazione si può definire OGGETTIVISTA,
cioè un modello che guarda soltanto all’oggetto “quest’opera d’arte è espressione del nostro
tempo” e ha come riferimento la teoria estetica di Hegel che ha influenzato l’estetica fino ai
giorni nostri. (Adorno e Horkeimer)
Quest’articolazione si vede molto bene se proviamo ad applicarla al tema del disgusto.
Questi due modelli corrispondono a due risposte diverse a quello che è il problema centrale
dell’estetica.
“Il problema della regola del gusto”
Questione semplice, si presenta quotidianamente alla nostra esperienza.
Vuole rispondere alla domanda: cosa fa si che una cosa sia brutta o bella ai miei occhi? Esiste un
criterio universale che fa si che una cosa sia bella? Oppure il bello è relativo al soggetto?
A partire dal 700 qualsiasi autore che si sia occupato di estetica prova a dare una risposta a
questa domanda.
Per esempio la produzione di Winckelmann: purché un’opera d’arte sia bella deve rispondere a un
canone classico. Regole moto rigide e oggettive basate su proporzione, colore e forma.
D aun punto di vista estetico filosofico, quindi non di storia dell’arte, il problema della regola del
gusto nasce con Hume con uno scritto del 1757 “La regola del gusto”.
Hume di fatto viene considerato uno dei principali esponenti della scuola empirista inglese 70esca.
Non diversamente da quanto accadeva in Germania, Hume compie una svolte all’interno
dell’estetica. Non si concentra sull’oggetto artistico, come Winckelmann, ma passa ad analizzare il
soggetto.
Hume, quindi, di fatto indaga quello che è l’interscambio fra la dimensione dell’oggetto e la
dimensione del soggetto.
Oggetto e soggetto per Hume sono due poli separati che tuttavia sono in relazione fra loro
all’interno dell’esperienza. L’oggetto ha determinate qualità che sono in grado di modificare il
soggetto, e quindi il soggetto possiede delle caratteristiche che sono i grado di modificare
l’oggetto.
Empirismo inglese
E’ un contesto che risponde a due istanze:
- sostiene che l’esperienza estetica possieda un carattere processuale, cioè non è qualcosa di
immediato e di intuitivo ma consiste nella formulazione di un giudizio. Consiste nel dire questo
oggetto è bello, e questo è un giudizio.
- esiste una circolarità fra soggetto e oggetto l’oggetto che modifica il soggetto e viceversa.
Nell’osservare l’esperienza estetica, caratterizzata da queste istanze, Hume rintraccia delle regole.
Secondo Hume i problema di pone nel momento in cui noi affermiamo che l’esperienza estetica è
data dal giudizio del soggetto. Se si tratta di esprimere un giudizio soggettivo, come faccio a
stabilire che esistono dei canoni che persistono nel progresso storico? Secondo Hume è adottando
il metodo empirista, quindi osservando la realtà, noi possiamo dedurre delle regole del gusto.
Semplicemente guardando il corso della storia noi vediamo che ci sono alcune opere d’arte che
piacciono ora come piacevano 2000 anni fa. Quest’osservazione porta Hume a stabilire che è
possibile rintracciare delle regole del gusto. Esiste una regolarità del gusto che è naturale. Perché
è naturale e cosa garantisce la regolarità del gusto?
Ciò che garantisce la regolarità del gusto è una caratteristica naturale dell’uomo, cioè il senso
comune. Grazie al possedimento del senso comune possiamo individuare delle regole.
La grandezza di Hume è quella di dire che la bellezza non è qualità dell’oggetto ma parte del
sentimento del soggetto; il bello è u sentimento non la proprietà dell’oggetto.
Apre alla possibilità di indagare su quelli che sono i sentimenti umani, i sentimenti estetici.
Kant
Il problema che sta alla base dei giudizio kantiani del gusto è il problema dell’universalità, i testo a
cui facciamo riferimento è la critica del giudizio del gusto.
Anche qui si parla che l’oggetto scatena dei sentimento nel soggetto, ma la domanda è perché
questo processo è universale e se lo è, se vale per tutti gli uomini in ogni epoca.
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Victoria Tincati
A questo tema, per Kant, è legato il tema della comunicabilità. Nel momento in cui sono in grado di
dimostrare che il giudizio di gusto è universale, allora sarò in grado di comunicare ad altri il mio
tipo di giudizio. DI fatto anche per Kant come per Hume la possibilità che il giudizio di gusto valga
per tutti è fondato sull’idea che in ogni soggetto vi sia un senso comune, per Kant senso comunis,
affermando l’esistenza di una regola del gusto in tutti gli uomini in quanto tutti gli uomini
possiedono le stesse facoltà. Siccome tutti gli uomini sono strutturati in un certo modo.
Le principali tematiche della critica della capacità di giudizio:
- come si struttura un giudizio di gusto, come è articolato
- per Kant il bello è diverso dal semplice piacevole
- in che senso il giudizio sul bello possa avere qualità universale
- perché quest’universalità possa essere defunta un’universalità soggettiva
- la comunicabilità del giudizio di gusto
La struttura di un giudizio sul bello
La struttura di un giudizio per Kant, in generale, è S è P, a un soggetto viene attribuito un predicato
attraverso il verbo essere. Essere è P, è la struttura di ogni giudizio.
Un oggetto X è bello. Questo è il giudizio estetico.
Distinzione tra bello e piacevole
Per Kant dire X mi piace è decisamente diverso da dire X è bello. Il primo è fondamentale
elemento per distinguere da bello a piacevole è il disinteresse.
Il bello deve esser disinteressato. Il disinteresse artistico consiste nell’assenza di interesse per
l’esistenza dell’oggetto. Quando contempo per esempio non mi interessa sapere se il paesaggio
esiste davvero. Il piacevole si fonda su un piacere del tutto interessato all’esistenza dell’oggetto. Il
piacere è il piacere dei sensi, quindi nel piacevole si cerca un godimento immediato e fisico.
E’ piacevole ciò che piace ai sensi nella sensazione.
Un oggetto è bello perché ha una determinata forma, è piacevole perché ha altre qualità sensibili.
Un oggetto può essere bello e piacevole.
Perché il bello vale universalmente
Il bello dipende dalla forma dell’oggetto. Kant ritiene che il giudizio X è bello sia sempre valido per
chiunque giudichi quel tipo di oggetto. Kant afferma che chiunque si trovi di fronte a quel
determinato fenomeno dovrà necessariamente giudicarlo bello. Per Kant il giudizio estetico è
necessario, necessariamente di fronte a u determinato spettacolo noi diremo che è bello. Hume ci
viene in aiuto, perché tutti dovranno trovare bello quel determinato spettacolo? Perché tutti
possiedono le stesse facoltà, il senso comune.
Più che parlare di universalità, parla di universalizzabilità. Nel senso che il bello può esser
estendibile a tutti gli altri soggetti. Estendo il mio giudizio agli altri giudicanti. Non è detto che
realmente il giudizio sia formulato da tutti, ma quando io dico che una cosa è bella pretendo che
sia bella per tutti.
Kant non forma la sua argomentazione sull’osservazione, non sta ad osservare cosa i vari soggetti
provano o dicono, ma è astratta. Dice: quando sono di fronte a un oggetto bello provo piacere
perché mi si attivano determinate facoltà.
L’universalizzabilità non si fonda su un esperienza condivisa e veduta da tutti, non si preoccupa se
qualcun altro dice qualche cosa, perché la sua argomentazione è a priori e non basata
sull’osservazione.
Nel bello si attivano:
- intelletto
- immaginazione
Si trovano in una particolare relazione, in un gioco. Giocano fra loro di fronte a un particolare
fenomeno e ci portano a pronunciare un giudizio di gusto, u giudizio estetico.
E’ da qui che Kant deduce l’universalizzabilità del bello, nel senso che queste due facoltà quando
stimolate giocano tra loro e formulano questo giudizio.
Esistono due importanti conseguenze:
- questa tanto famosa universalità/universalizzabilità estetica è soggettiva, è facoltà del soggetto.
- l‘universalità estetica o universalizzavilità da luogo alla possibilità di comunicare i nostri giudizi di
gusto.
L’universalità soggettiva
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Victoria Tincati
Kant, quando parla di universalità soggettiva, parla appunto di come dipende la universalità tra
oggetto e soggetto.
Per Kant c’è una differenza tra esigere il consenso altrui e dimostrare logicamente che le altre
persone consentiranno con il nostro giudizio. Quando io dimostro logicamente seguo
un’argomentazione e questa ci porta a trovare delle prove empiriche nella realtà. Kant non segue
questo tipo di procedimento nel caso dell’estetica, perché questa è soggettiva. Essendo estetica
unicamente soggettiva io non potrà trovare delle prove nella realtà, non potrà trovare degli oggetti
che mi possono provare che il giudizio estetico è universale. Io posso soltanto partire dal soggetto
e affermare che tutti gli soggetti possiedono determinate facoltà.
(Hannah Arendt da un’interpretazione politica al giudizio estetico di Kant).
Affinché io possa comunicare il mio giudizio estetico sarà necessario che la rappresentazione non
sia una mera fantasia ma qualcosa su cui tutti possono convenire, contemplare. Il giudizio di gusto
si realizza in tutti gli individui perché tutti possono guardare una determinata rappresentazione con
le stesse facoltà.
Hegel
Non scrive mai un testo dedicato all’estetica, ma ha compiuto delle lezioni in diversi semestri in cui
si occupava di estetica. Queste lezioni sono state raccolte dai suoi allievi e sono state subito
tramandate nella storia della filosofia, influendo in modo enorme sul pensiero estetico.
Per Hegel l’arte è un prodotto dello spirito dell’uomo. L’arte è di fatto l’espressione sensibile dello
spirito del tempo. L’opera d’arte è una forma di manifestazione della propria epoca, una
manifestazione sensibile del proprio tempo.
L’arte è l’espressione dello spirito.
Nascita e definizione del disgusto
Disgusto al confine dell’arte
Il disgusto è una categoria estetica, difficilmente tematizzata. Segnava il confine tra arte e non
arte. Quando qualcosa segna il confine tra arte e non arte si tematizza il bello, il sublime, ma
difficilmente si arriva a tematizzare in forma compiuta il disgusto inteso come forma di negatività.
Non si può dire che durante il 700 venga altrettanto tematizzato il disgusto, ma è anche vero che
se si tracciano dei confini ciò che va al di là del confine deve esser considerato. Quindi tracciando i
confini del disgusto il 700 va a tematizzare in forma limitata anche il disgusto.
La parola disgusto fece la sua comparsa nel periodo in cui il significato della parola gusto si estese
a denotare una generale capacità di raffinatezza, riconosciuta di recente, nonché una capacità di
discernimento per lo stile. La nascita e la definizione di un qualcosa implica l’esclusione di altro, la
nascita di una considerazione forte del disgusto implica la considerazione parziale di ciò che gusto
non è e quindi non è un caso che si inizi a parlare di disgusto proprio nel 700. Il 700 è proprio il
secolo in cui nasce la considerazione del disgusto.
Il disgustoso non è un anti-valore come il male
La differenza tra disgusto è male: il disgusto non implica una situazione di pericolo.
La correlazione è chiamata in causa da un punto di vista selettivo. Il disgusto è una qualità
dell’uomo che fa sì che noi selezioniamo alcune cose piuttosto che altre. E’ difficile sostenere
questa affermazione in quanto il nostro disgusto nasce da comportamenti di tipo culturale.
La componente di tipo culturale è molto più forte rispetto a quella dettata dal pericolo e del male ad
esso connesso.
Il disgusto quindi non è un anti-valore come il male, e nemmeno una grandezza negativa
all’inverso del buono o del bene.
Non sta a segnare un verso di qualche categoria che sta all’interno di un ambito morale, anche se
molto spesso il disgusto viene utilizzato all’interno dell’ambito della morale. (Per esempio uno degli
elementi, durante il nazismo, per indicare gli ebrei era il disgusto e questo comportamento
conseguiva un’aberrante allontananza).
Il disgusto crea una frattura empatica.
Logica della sensazione
Il disgusto sta all’interno di una logica della sensazione. Il disgusto risiede nella sensazione, è una
reazione fisiologica indotta attraverso una costruzione continua di alcuni elementi. La sensazione
viene richiamata ogni volta che riconosciamo quella situazione.
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Victoria Tincati
Il disgusto secondo Kolnai
Kolnai, uno dei maggiori esperti del disgusto. “Nel disgusto, la moralità non dipende da una facoltà
di giudizio o di discernimento che permette di separare il bene dal male e neppure l’atto
dall’agente. Il disgusto nasce dal turbamento, dalla collusione. Non deriva da un giudizio critico.
Dipende da una facoltà di sentire, da un fiuto che individua il miasma della putrefazione”.
Anche per Kolnai il disgusto non dipende da una qualità di giudizio, ma nasce dal turbamento.
Questo turbamento potrebbe esser chiamato anche come idea di contagio, fondamentale.
Tutto sommato per Kant, da un certo punto di vista, il disgusto si lega invece con l’ambito della
morale. Esiste questo legame, un legame creato non a priori.
Il cadavere genera in noi il disgusto quando produce l’idea di putrefazione, la principale
sensazione nel momento in cui quel corpo perde per noi qualsiasi tipo di valore (non ha più un
valore simbolico, non abbiamo nessuna relazione con quel corpo e non dobbiamo lavorare su quel
corpo) quindi se quel corpo è lontano da noi in tutti i significati allora il corpo è semplicemente
putrefazione, cosa che rimanda a una sensazione di disgusto.
Quando si parla di disgusto siamo all’interno di una logica di sensazione e non di giudizio.
E’ ovvio ce poi, nel momento in cui noi proviamo disgusto ed emettiamo un giudizio, il nostro
giudizio non precede necessariamente la logica della sensazione che invece contestualizza il
disgusto.
Prima proviamo disgusto, in un secondo momento possiamo ragionare sul perché quel qualcosa ci
provoca disgusto.
Si possono giudicare un gesto, una parola, un’immagine come disgustosi ma più propriamente e in
senso fisico si prova disgusto e tale sentire resta confinato nella sensazione.
(esempio: al cinema, davanti a una fotografia, quindi tramite un medium oppure se si verifica nel
qui ed ora, tipo un caso in cui il cadavere sia qua davanti a noi, la sensazione resta la stessa cioè
si rimane confinati nella sensazione nel momento della repulsione, poi instauriamo su di essa un
eventuale giudizio).
Disgusto ed empatia
Sono uno all’opposto dell’altro. Se abbiamo l’eroe e il cattivo in un qualsiasi film l’eroe muore
empaticamente, la sua agonia porta ad avvicinarci a lui, il cattivo muore o può morire in modo
disgustoso; questa dinamica nasce alla fine del 700 e all’inizio dell’800.
Madame Bovary muore in modo estremamente disgustoso, perché si avvelena e ha un’agonia
lunghissima durante la quale succede di tutto. L’accanimento in questo caso dell’autore, sul
personaggio. E' scritto più volte nelle lettere dell’autore che lui odiava Madame Bovary, aveva il
disgusto per il suo personaggio, perché diceva che “Madame Bovary sono io”.
Non è un caso che Madame Bovary muoia in quel modo, creando in noi un sentimento strano
perché purtroppo è stata letta più di una volta come l’eroina romantica, cosa che non è. In molte
rappresentazioni cinematografiche viene tradotta in questo modo. Flaubert aveva tutt’altra
intenzione e quest’intenzione è esplicita anche nel modo in cui l’ha fatta morire.
Quindi disgusto ed empatia sono elementi separi che possiamo far giocare assieme tener conto
che l’uno allontana e l’altro avvicina.
Sintesi delle caratteristiche del disgusto
Il disgusto non ha a che fare con l’autopreservazione, cioè con il male. L’orrore invece sì, perché è
implicita l’idea del pericolo della propria esistenza, nel disgusto no.
Il disgusto è implicato con l’elemento organico, la putrefazione infatti è un ottimo esempio di
disgusto. L'organico e tutto ciò che è dentro di noi implica il disgusto. L’unica cosa che sta dentro
di noi e poi esternata che non implica disgusto sono le lacrime.
Il disgusto richiama l’idea di contagio e quindi, dopo il contagio avvenuto, c’è l’idea di rigetto, di
espellerlo, di allontanarlo.
Al contrario dell’angoscia, il disgusto può avere a che fare con ciò che è inoffensivo, del tutto
lontano dal causare danno e allo stesso tempo però insopportabile.
Tra disgusto e sublime
Il disgusto si pone sull’altro versante del sublime, non ha a che fare con la paura e con il senso del
pericolo. Il sublime è necessariamente legato al tema dell’autopreservazione. Burke sostiene che il
sublime nasce e si sviluppa all’interno di un sentimento misto legato al piacere e alla paura, al
piacere e al dolore.
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Victoria Tincati
Dove si trova il sublime? Sull’orlo del precipizio, sull’orlo tra la vita e la morte, si avvicina a una
sensazione sublime ma niente a che fare con il disgusto. E' una sensazione che prevede l’autopreservazione come condizione per provare il sublime.
Du Bos: se stendiamo una corda e chiediamo a un bravissimo atleta potremmo provar un
sentimento empatico per movimenti, nostra adesione vicina a quella per un bravissimo ballerino.
Se noi prendiamo questa corda, la mettiamo a 20 metri di altezza e poi mettiamo delle spade
incrociate, la nostra sensazione rispetto all’atleta è una sensazione di sublime (piacere e
dispiacere) perché l'elemento del pericolo entra come elemento essenziale. Noi siamo del tutto per
tutto spettatori, mentre lui rischia e gioca con il rischio.
Il disgusto non ha a che fare con il senso di pericolo, l’orrore e il sublime invece sì, un senso di
pericolo proprio o altrui.
Il superamento del disgusto
La cosa che disgusta ha per noi un determinato significato culturale per cui ci disgusta. La natura è
origine della cosa e di chi l’ha toccata. Riguarda spesso i confini del corpo e rinvia la possibilità che
in sé assorba qualcosa di problematico attraverso le vie che abbiamo, cioè quella palatale
(ingestione) e l’inspirazione. La prima permette espulsione, l’altra no.
Perché qualcosa risulti disgustoso dev’essere percepito come estraneo.
Per amare il disgusto ci sono delle possibilità e sono date attraverso un’atto di amore. L’atto
d’amore supera il disgusto. Esempio è la cacchina del bimbo. Chi non è il genitore del bimbo o
comunque un parente cambia senza problemi il pannolino del bimbo, ma se fosse un estraneo gli
farebbe disgusto.
Il disgusto può essere superato attraverso un elemento che è quello della compassione.
Storia di Filotete: abbandonato sull’isola di Elenno da Ulisse perché viene ferito da un serpente, e
la sua ferita puzza tanto che il povero Filotete emette genti orrendi che disturbano Ulisse mentre
mangia, gli provoca disgusto. Quindi lo abbandonano ma a un certo punto qualcosa accade
Neottoleno arriva sull’isola e crea un contatto di tipo ematico che riesce a superare il disgusto. Se
prima Filottete ci disgusta, nel momento in cui proviamo pietà attraverso Neottoleno per quell’uomo
ingiustamente abbandonato e che ha sofferto molto da solo sull’isola, allora riusciamo a superare il
disgusto.
Quindi il disgusto può esser superato anche attraverso un elemento di avvicinamento.
Nel momento in cui non lo percepiamo come estraneo il disgusto diventa qualcos’altro.
Disgusto come vulnerabilità al decadimento
Gli oggetti di disgusto sono prevalentemente prodotti organici che mettiamo in relazione con la
nostra vulnerabilità al decadimento, con il nostro divenire noi stessi dei prodotti di scarto.
Quella cosa in qualche modo ci può contagiare sfavorevolemnte, cioè ridurre alla sua stessa
essenza. Questo è un retropensiero che noi abbiamo, ma non è sorretto da nessun elemento
razionale.
Espellere il disgusto
Il disgustoso contagia e repelle, il sublime va ricercato, nell'ambito palatale è miscuglio tra dolce e
salato, dolce e acido che ci consente di gustare il dolce molto più allungo, nel momento in cui noi
assaporiamo qualcosa di disgustoso ci repelle e quindi la nostra sensazione deve finire il più
presto possibile. Il sublime attraverso il palato ci permette di gustare più a lungo.
L’atto del vomitare presuppone in noi il fatto che stiamo estirpando, togliendo quell’elemento che ci
ha disgustato. L’azione, nel momento in cui siamo di fronte al disgusto, è un elemento che ci salva.
Il vomitare è meno disgustoso del vomitato in quanto implica un’attività, un’iniziativa, dove il
soggetto può ancora mare e sognare il dominio dell’autoaffezione e credere che si fa vomitare.
Il fatto di puntare sull'azione è interessante: l’atto del vomitare è meno disgustoso dell’oggetto
stesso. E solo il senso dell’odorato che implica non una ingestione che può esser espulsa, ma una
ingestione che si fonde subito con il corpo e che ne diventa parte,consente un’esperienza più
disgustante del disgusto stesso.
Il disgusto non da mai sollievo, è ripetizione, duplicazione e interazione.
Da sollievo soltanto nel momento in cui lo espelliamo, altrimenti non da mai una sensazione di
sollievo, è contagio.
Lessing e il limite invalicabile dell’arte
Giotto, Resurrezione di Lazzaro, 1307-08 = Lessing descrive questo quadro nella quale è
rappresentato Lazzaro a cui viene riportata la vita dopo qualche giorno. Il suo corpo puzza e ci
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Victoria Tincati
dice Lessing: quel pittore che induce in noi la sensazione di disgusto facendo si che qualche
presente si turi il naso di fronte al corpo di Lazzaro compie un misfatto irreparabile. La reazione di
chi è presente induce in noi attraverso l’odorato la tessa reazione di disgusto, chi lo fa sbaglia.
Sbaglia nel senso che indurre la sensazione di disgusto nel fruitore è il limite invalicabile dell’arte
stessa.
Alcuni quadri in cui il disgusto viene rappresentato attraverso la copertura del naso:
- Albert van Ouwater, La resurrezione di Lazzaro, anche se il lazzaro non ha segni di disgusto nel
corpo qui il disgusto è trasmesso attraverso il naso otturato da altri.
- Francesco Zaganelli, Resurrezione di Lazzaro, in questo caso i segni della decomposizione
sono evidenti.
- Sebastiano del Piombo, Resurrezione di Lazzaro
- Michelangelo Carducci, Resurrezione di Lazzaro
- Maarten Pepyn, Resurrezione di Lazzaro
Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro = qua invece nessuno si tura il naso, e Marta lo abbraccia.
Noi sappiamo che il corpo puzza, conosciamo la storia, ma vediamo la storia d’amore, e quindi
vediamo un amore che è più forte di un disgusto che nei quadri precedenti abbiamo potuto sentire
attraverso l’elemento esplicito che passava attraverso le nostre narici.
L’abbraccio è l’opposto della repulsione, quindi induce pietà. Non necessariamente empatia, ma
pietà e quest’ultima supera il disgusto.
Il disgusto non ci permette la formulazione di un giudizio, è confinato nella sensazione
Con il disgusto viene quindi meno la distinzione essenziale per il fruitore tra la nostra sensazione e
la natura dell’oggetto stesso. Perché? Perché il disgusto penetra, entra in noi. Diventa un elemento
di affezione e negativo.
Gli uomini del 700 ci dicono che il disgusto rappresentato e il disgusto in carne d’ossa sono per noi
la stessa cosa, perché la reazione di rigetto fisiologica è la stessa e non possiamo porre a distanza
il disgusto anche quando viene rappresentato. Siccome non possiamo porre a distanza l’oggetto
non possiamo neanche formulare un giudizio. Perché? Perché l’elemento fondamentale del
giudizio di gusto è il disinteresse. Il disinteresse crea una distanza tra me e l’oggetto, una distanza
che è anche di tipo fisiologico, per esempio per il 700 noi non possiamo eccitarci di fronte a un
quadro che per esempio sia in una posizione erotica.
Perché non possiamo formulare un giudizio?
Noi possiamo giudicare solo quando possiamo contemplare un quadro, cioè attraverso il
disinteresse.
Il disgusto non può mai causare un disinteresse estetico. Non si può giudicare un'opera d’arte di
tipo erotico se veniamo coinvolti attraverso un’ostentazione o uno stimolo nel momento in cui la
fruiamo. Dobbiamo creare uno distacco. Diderot ne parla, in particolare sulla Venere di Callipigia.
E’ un modo scorretto di fruire l’opera.
Di fronte al disgusto non è possibile la formulazione di un giudizio di gusto perché siamo all’interno
e solo all’interno dell’ambito fisiologico. Non abbiamo la possibilità di elevarci dalla sensazione
verso il sentimento. Per Kant, dalla sensazione a quel libero gioco delle facoltà di immaginazione e
intelletto che ci consente la formulazione di giudizio. Rimaniamo schiacciati nella sensazione.
Quindi, di fronte al disgusto, non è possibile la formulazione di un giudizio. Questo è fondamentale
per il 700. Siamo di fronte a un'imposizione dei sensi. L’immaginazione nel disgusto viene frenata,
inibita, perché la sensazione è più forte e di conseguenza il tentativo di imporre una volontà di
piacere che viene invece respinta poiché in essa non viene promossa l’essenziale differenza.
Il disgusto è contagio che penetra in noi, e non potendo sentirlo a distanza o altro da noi, non
consente il libero gioco tra le facoltà e quindi non consente un giudizio, la libera espressione di un
giudizio.
Kant, La critica del giudizio, paragrafo 48: Kant afferma che il disgusto è il limite dell’arte.
“Solo una specie di bruttezza non può essere rappresentata conformemente alla natura, senza
distruggere ogni compiacimento estetico e quindi la bellezza d’arte, e cioè quella che suscita
disgusto.” Qua ammette la possibilità di rappresentazione del brutto. Secondo Kant il brutto può
esser rappresentato molto mediato attraverso l’elemento simbolico, quindi la guerra ad esempio
rappresentata attraverso Marte.
Il disgusto è una sensazione, non può evadere dalla sensazione.
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Victoria Tincati
E continua “Infatti, poche nel caso di questa strana sensazione, che si basa su nient’altro che
ubbie, l’oggetto viene rappresentato, per così dire, come se si imponesse al godimento, a ad esso
pero ci poniamo con violenza, allora la rappresentazione artistica dell’oggetto non è più distinta
nella nostra sensazione dalla natura di questo stesso oggetto impossibile quindi che possa essere
ritenuta bella.” Secondo Kant l’oggetto disgustoso anche se rappresentato suscitando in noi una
reazione di tipo fisiologico impedisce l’emissione di un giudizio perché non consente nessuna
forma di distacco contemplativo fra noi e l’oggetto, il disgusto è soltanto un’affezione non dello
spirito ma del senso. Non uscendo dalla sensazione non possiamo esprimere un giudizio.
Il fruitore respinge la rappresentazione ripugnante e subisce un contraccolpo fisiologico, senza
riuscire a tradurre in sibilo le immagini offerte dalla rappresentazione disgustosa.
Kant afferma che noi in qualche modo, nel momento in cui siamo di fronte al quadro, il quadro ci
lusinga quindi ci aspettiamo qualche cosa, quindi una fruizione e di metter sin gioco le nostre
facoltà. Se quel quadro espone un elemento disgustoso ci tradisce, tradisce le nostre aspettative.
Si chiude nella sensazione e rimane lì. L’unica cosa che possiamo fare è scappare via e per il 700
è il fallimento dell’arte.
Il desiderio per il 700 è fondamentale, è alla base della fruizione, e non esiste il desiderio per il
disgusto. Nel disgusto il prodotto dell’arte viene scambiato per natura. Lo diceva già Mendelsshon.
Non è possibile una rappresentazione bella del disgustoso. Quindi possiamo arrivare a una forma
simbolica del brutto e quindi riuscire a rappresentare il brutto, man non possiamo arrivare a una
forma simbolica del disgustoso.
Il disgusto sovverte le leggi del gusto. Nel contesto Kantiano il gusto e il disgusto stanno ai poli
opposti.
Può dunque esistere un gusto del disgusto?
Per il 700 no, non esiste un gusto del disgusto nel momento in cui il gusto ha tutte le caratteristiche
che abbiamo detto (disinteresse, immaginazione e intelletto).
Il disgusto è sensazione chiusa all’interno di una negatività che non porta mai verso un piacere o
verso un sentimento misto.
Il disgusto non si trasforma in bello e non si trasforma in sublime. Non entra nel circuito di ciò che
può esser considerato artistico, perché con il disgusto viene a mancare il disinteresse e quindi il
distacco essenziale per innescare il giudizio.
Kitsch e banale
J. Clair, De immundo, abscondita, compie un errore banale, Nel suo modo di agire e di porsi di
fronte all’arte contemporanea è molto assertorio. Ci restituisce una sua aspettativa.
Concetto di imitazione e concetto di espressione - incontro con
scrittrice del manuale
Imitazione
Concetto che rimanda a Platone, chiamato anche concetto di mimesis. E’ presente con due
accezioni:
- mimesis come riproduzione della realtà
- mimesis che rimanda ai culti dionisiaci, e quindi all’attività poetica e alla “divina mania” che si
impossessa del poeta; nello Ione, dialogo in cui la poesia è collegata all’ispirazione del poeta,
quest’ultimo è un individuo rapito da un’ispirazione divina, un invasato che esprime attraverso la
musica, la danza e le parole esprime lo stesso Dio. Un imitatore che attraverso il delirio divino ci
restituisce le parole, le volontà e i gesti della divinità.
Nel decimo libro della Repubblica Platone, nella quale immagina la città ideale retta dai filosofi e
quindi dal governo della ragione, si occupa dell’imitazione.
Le idee di Platone
Nel Fedro parla di un luogo chiamato Iperuranio, luogo dove si trovano le idee. Essenze prive di
colore, di forma e contemplabili solo dall’intelletto, costituiscono un mondo più reale e più vero di
quello sensibile.
Le idee sono enti universali ed eterni, rappresentano i modelli delle cose particolari e finite.
L’anima dell’uomo, superando il piano della conoscenza sensibile (o opinione) ed entrando nel
pian o della conoscenza intelligibile (o scienza) può faticosamente risalire dalla copia al modello.
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Victoria Tincati
Questa risalita è permessa dall’amore (eros) che spingo a superare i propri limiti e i limiti del
mondo sensibile.
Dualismo tra realtà sensibile, luogo del divenire e della continua trasformazione, e la realtà
immateriale eterna e superiore a cui possiamo accedere soltanto elevandosi dal mondo sensibile.
Decimo libro della Repubblica - verità o apparenza
Poste queste premesse, nel decimo libro della Repubblica Platone, nella quale immagina la città
ideale retta dai filosofi e quindi dal governo della ragione, si occupa dell’imitazione.
Socrate/Platone pone la domanda “l’arte imita la verità o è imitazione di apparenza?”
Per Platone i poeti sono pericolosi, mentre il filosofo può soltanto far leva sulla ragione, i poeti
mirano alla pancia delle persone, cioè dicono quello che è meglio dire facendo leva
sull’immaginazione e si fanno ascoltare molto di più.
La condanna che Platone lancia nei confronti delle arti e della poesia è da leggersi come una
condanna filosofica e soprattutto politica. La poesia gioca con le immagini.
(Si pensa a Nietzsche nella Nascita della tragedia dove parla di Dionisiaco e Apollineo, il quale
condanna Platone e Socrate perché ha distrutto il potere della poesia a favore di un principio
assolutamente razionar che dimentica la vita per come noi la conosciamo e ha portato a una
denigrazione del mondo sensibile a favore di un mondo che in realtà non vediamo).
Sintesi dell’arte secondo Platone
- L’arte non può avere per Platone alcun valore conoscitivo. Ci fermiamo al primo grado di
opinione, cioè l’immaginazione e quindi basarsi sulle immagini riflesse delle cose anziché sulle
cose stesse, come per esempio le ombre e i riflessi dell’acqua.
- L’arte è un mezzo potenzialmente pericoloso, facendo leva sull’immaginazione sa creare un
consenso maggiore di quello che invece la ragione non riesce
Concetto di imitazione secondo Aristotele
Discepolo di Platone e anche avversario, opera una profonda trasformazione rispetto ad alcuni
concetti fondamentali per Platone.
Aristotele scrive nella Poetica che l’imitare è connaturato nell’uomo fin da piccolo, e rispetto agli
altri animali è più portato a farlo. Tutti traggono piacere dall’imitazione, le immagini particolarmente
esatte di quello che in sé ci dà fastidio vedere ci procurano piacere allo sguardo, perché secondo
Aristotele entra in gioco un principio di riconoscimento.
Principio di riconoscimento
Atto intellettuale che mi permette di mettere in relazione la cosa rappresentata con la cosa reale e
quindi di valutare la conformità o meno dell’imitazione che l’artista ha cercato di mettere in pratica.
Quindi quando parla di imitazione Aristotele parla di tragedia, imitazione di azioni e di cose serie.
Nel sesto libro della poetica dice: tragedia dunque è mimesi di un’azione seria e compiuta in se
stessa la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare
purificare l’animo di siffatte passioni.
Ci sta dicendƒo che attraverso l’imitazione di azioni serie in grado di produrre un forte
coinvolgimento emotivo la tragedia sa portare alla catarsi lo spettatore. (Vernant -> la tragedia è
città che si fa teatro).
Con Aristotele l’imitazione assume una dignità nuova, attraverso la riflessione sulla tragedia
possiamo vedere come per Aristotele la poesia debba esser considerata superiore alla storia.
Perché? La stiri a può raccontarci come si sono svolti i fatti esattamente, ma la poesia ha la
capacità di raccontare non soltanto ciò che è effettivamente accaduto, ma ciò che è possibile
secondo verosimiglianza o necessità, quindi aggiungendo un significato morale a un determinato
fatto.
Plotino e il tema dell’imitazione
Filosofo neoplatonico.
Plotino rimane fedele alla gerarchia platonica ma pone in cima a tutto, come causa e principio
primo del mondo, l’Uno che crea tutti gli esseri e la realtà per emanazione.
Ammette che l’artista possa, attraverso la sua opera, realizzare un ponte tra il mondo finito e
questo principio superiore, cioè l’Uno.
Riconosce nel processo di creazione artistica un processo affine alla contemplazione.
Nelle Enneidi, la produzione e l’azione sono un indebolimento o un accompagnamento della
contemplazione: un indebolimento, se dopo l’azione nulla più rimane; un accompagnamento, se
potremo contemplare una cosa superiore a quella prodotta.
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Victoria Tincati
Per Plotino è impossibile tradurre l’Uno Dio in forma d’arte, è per possibile attraverso una forma
concreta e grazie allarmista capace, ottenere qualcosa che ha il potere di trasformare la bruta
materia in un’immagine della belle dell’Uno. Se con Plotino rimaniamo in un orizzonte influenzato
da Platone, ci avviciniamo anche a un’idea di imitazione che non è mera copia di qualcosa di dato,
ma creazione attraverso la materia di un’opera che può farsi riflesso di una bellezza superiore.
Questo cambiamento ha vasta influenza nei secoli successivi, in particolare sull’umanesimo e sul
rinascimento.
Con l’umanesimo e il rinascimento l’essere umano comincia ad acquistare dignità e possesso del
mondo anziché farsi distrarre dall’idea che vive in un mondo in cui non vale nulla e che bisogna
rivolgersi a un’entità superiore. Idea contrapposta a quella di Platone.
Teologia platonica, “in queste opere d’arte si può scorgere come l’uomo usi tutte le materie di ogni
parte dell’uomo, quasi all’uomo siano tutte soggette. Usa, dico, gli elementi, le pietre , i metalli, le
piante gli animali. Né si accontenta di un solo elemento o di alcuni come i bruti, ma si vale di tutti,
come se di tutti fosse signore”.
Imitazione non significa più allontanarsi dalla verità, non significa cercare di raggiungere la causa
prima di tutto, ma esiste l’idea che l’uomo può prendere possesso del mondo, conoscerlo e
secondo la propria conoscenza trasformarlo. Processo di comprensione della natura che rende
l’uomo simile a Dio, perché comprendendo si può rifare ciò che è stato fatto.
Bacone
La realtà deve esser scomposta e ricomposta per ricercare la sua forma, ovvero per ricercar la
costituzione interna di un processo o di un fenomeno.
Agire in questo modo permetterà di liberarsi degli idola, ovvero dei pregiudizi che ci impediscono di
raggiungere un livello di comprensione superiore.
L’arte smette di essere un momento di imitazione o contraffazione della natura ma, al pari degli
altri prodotti artificiali, diviene un simbolo della capacità umana di portare luce a una “nuova
natura” proprio a partire dalla natura stessa.
Sottomissione dell’essere umano all’azione.
Spinoza
Sfuma l’idea di un mondo superiore che rimane precluso all’uomo, e prende corpo sempre di più
l’idea di una realtà estremamente complessa e strutturata che può e deve esser conosciuta
dall’uomo e anche trasformata. Assistiamo a una riabilitazione della dignità del sensibile, della
dignità delle cose finite e delle cose più piccole. Tutto questo non sarebbe stato possibile se non ci
fosse stato prima questo momento di trasformazione più ampio.
Spinoza è un filosofo Olandese, viene scomunicato dalla comunità ebraica di Amsterdam, si ritira a
vita privata pur rimanendo in contatto con molti filosofi della sua epoca. Rappresenta un
personaggio incredibile.
Spinoza e il problema dell’espressione, citazione: “il significato dello spinozismo ci appare il
seguente: affermare l’immanenza come principio, liberare l'espressione da ogni tipo di
subordinazione rispetto a una causa emanativa o esemplare. L’espressione cessa di emanare e di
somigliare”.
Scomponendo questa frase: significa che Spinoza ci libera dalla costrizione di un mondo ideale
come quello di Platone o dalla causa emanativa come quella di Plotino, rende il nostro mondo
libero dall’idea di essere una copia o il frutto finale di una degradazione dell’essere primo. Come
riesce ad operare Spinoza questa trasformazione?
Ci riesce ponendo dei punti fondamentali:
- Esiste una sola e unica sostanza
- Questa sostanza è Dio
- Dio non è altro che la natura (deus, dive natura)
- Tutto ciò che è è in Dio
L’immanenza come principio nel senso che Dio, per Spinoza, non è al di fuori del mondo, non crea
il mondo e poi sta lì a guardarlo intervenendo di tanto in tanto, ma Dio per Spinoza è la natura
stessa con la sua forza, la sua potenza e il suo insieme di leggi. Dio è la natura, è tutto ciò che
viene all’esistenza e la natura con tutto ciò che ne fa parte dall’essere umano al granello di sabbia.
Tutto è espressione di Dio.
Idea di sostanza tra Spinoza e Cartesio
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Victoria Tincati
Spinoza = idea della sostanza come unica e sola e che riguarda tutto, unica e infinita, scomposta
da infiniti attributi. Tra questi finiti attributi, solo due sono conoscibili dall’uomo, cioè l’attributo
pensiero e l’attributo estensione.
Cartesio = per giustificare l’esistenza e la separazione tra le cose spirituali e quelle materiali,
Cartesio afferma la nota divisione tra due sostanze che prende il nome di dualismo cartesiano.
Abbiamo cioè la divisione tra Res Cogitas (mente) e Res Extensa (corpo).
Concetto di conatus
Secondo Spinoza tutto ciò che esiste tende alla sopravvivenza, e l’individuo tende al
miglioramento di se stesso. C’è un concetto che è importante per Spinoza, il concetto di conatus.
Concetto di conatus = desiderio di preservarsi, di essere, di esistere. questo desiderio si realizza
tanto più intensamente quanto più potenziamo la nostra capacità di essere e di agire, ovvero
quanto più conquistiamo ed esprimiamo un grado sempre maggiore di gioia.
Goethe riferito a Spinoza “il suo metodo matematico era il corrispettivo del mio modo poetico di
pensare e di rappresentare, e proprio quella regolare trattazione che si voleva trovare con
adeguata ad argomenti morali, faceva di me il suo più appassionato discepolo, il più deciso
generatore. Spirito e cuore, intelletto e senso si cercavano con necessaria affinità elettiva”.
Leibniz
Germania della seconda metà del 17sec e inizio del 18sec.
Le monadi sono centri di forza privi di parti materiali, assolutamente unici e assolutamente isolati
(senza porte né finestre).
La realtà p costituita da questi centri di forza: tutto ciò che esiste o è una semplice monadi o è un
complesso di monadi. In altre parole, la monadi è l'elemento di base di tutte le cose.
Concetti legati alla monade:
- rappresentazione = ogni monade si rappresenta alla realtà esterna e allo stesso tempo esprime
quella stessa realtà in modo unico. E’ una sorta di microcosmo che a seconda della sua
complessità restituisce il mondo in modo chiaro o meno chiaro.
- appetizione = tendenza a successive percezioni. Le monadi sono tutte diverse tra loro questa
diversità è data dalla forza, dalla chiarezza, dalla completezza della loro rappresentazione.
Dio riacquista un ruolo da protagonista rispetto al Dio di Spinoza, è un Dio creatore che ha scelto
tra tutti il mondi che avrebbe potuto creare il migliore dei mondi possibili dal punto di vista della
ricchezza, quindi va bene che ci sia il male e la morte perché Dio ha voluto esprimere la sua gloria
portando a compimento un mondo ricco composto anche da contraddizioni.
Leibniz dice che ogni monade è come lo specchio della natura, non uno specchio che riflette
sempre la stessa identica immagine ma che rimanda un’immagine unica che risente del particolare
punto di vista che ha ogni monade. “E’ come se Dio avesse variato l’universo tante volte quante
sono le anime, o come se avesse creato altrettanti universi in piccolo, che si accordano nel fondo,
ma sono diversificati per le apparenze”.
Se queste apparenze non possono rappresentare tutto l’universo, ma solo Dio può farlo nella sua
totalità, tuttavia seguire i percorsi di questi infiniti punti prospettici è la strada per riportare ad
espressione tutte le possibilità e le realtà della natura.
Il disgusto come categoria estetica
Riprendiamo l’idea del disgusto.
Fiato d’artista // merda d’artista
Niente in questi due oggetti è indecoroso eppure entrambi questi oggetti potrebbero suscitare un
senso di disgusto. Il secondo ha un intento esplicito.
Gli umori corporali nell’arte contemporanea
Quelli fatti vedere sono due aspetti semplici del disgusto nel contemporaneo, espliciti che tutti
possiamo contemplare al museo del novecento. Esistono aspetti meno frequentati ma molto
frequenti di uso di umori corporali nell’ambito del novecento.
C’è chi usa cera d’api e peli umani (Robert Gober), chi usa sangue e sperma (Andres Serrano), chi
esegue il suo busto col proprio sangue congelato (Marc Quinn) etc
- Wim Delvoye, Cloaca 2003 ha costruito una macchina che “digerisce” e l’ha esposta. Quindi dal
cibo alla cacca. L’oggetto finale però non ha odore. L’intento era quello di suscitare disgusto.L’idea
è quello di creare un elemento vicino alla forma di animalità, e invece gli viene fuori un’oggetto che
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Victoria Tincati
produce un elemento del tutto asettico, quindi ci avviciniamo all’idea di laboratorio anziché
all’animalità. L’idea di disgusto legata a questa macchina fallisce perché manca l’elemento finale,
l’elemento organico che produce in noi il disgusto.
Il disgusto ridotto all’interno di un laboratorio perde il suo valore e il suo elemento di contagio.
Louis Bourgeois, precious liquids, 1992. Pone in una botte di legno vasi, ampolle, bicchierini,
flaconi di liquidi umani.
- David Nebreda, Lo specchio, la cenere, gli escrementi, l’alfa e l’omega sulla fronte.
Si rifiuta di accettare ciò che l’occhio ha appena visto è uno dei primi elementi legati al disgusto, La
prima cosa che facciamo è fingere di non credere in ciò che vediamo. Volto ricoperto da roba
giallastra che è un impasto di escrementi.
- Abiezione, Tracey Emin My bed. Diversi giorni ferma in un letto a fare tutto, anche sesso.
Nel 200 il Turner Prive in Gran Bretagna è attribuito a Tracey Armin.
L’arte dell’abiezione, arte di ciò che resta dopo che tutto è stato rigettato. Cosa rimane?
Meglio della tabula rasa dell’avanguardia, l’arte dell’abiezione è interessata a ciò che il corpo
trasuda quando è affaticato, che lascia fuggire quando è ferito, o semplicemente che rigetta
quando il nutrimento è stato digerito.
Esiste un’arte simile! Possiamo interrogarci sul valore artistico, estetico, sul modo di fruire o sul
fatto che ci può essere un modo giusto o sbagliato di fruire quest’arte. Esiste c’è ed è presentata in
forma abbondante.
Come facciamo ad ammettere questo tipo di arte? Viene mostrata semplicemente, a volte senza
avvertimento.
Il disgusto al contrario di altre forme crea una tensione nel soggetto e nel fruitore. Questa tensione
può essere anche soltanto di tipo fisiologico.
- Kiki Smith, Lilith 1994 immagine di un corpo che è in posizione di defecare.
Il disgusto crea frattura. Quest’immagine ricorda un passaggio di Primo Levi sulle donne e gli
uomini ebrei che si accucciavano per defecare e le SS che lo commentavano con disgusto.
- Kiki Smith, Train. Naussbaum è una filosofa che scrive “l’intelligenza delle emozioni” “le donne
più o meno in ogni società sono state il veicolo dell’espressione del disgusto maschile verso la
fisicità e la possibilità di disfacimento”. Quindi l’esposizione di questi elementi sono un atto di
denuncia.
- Mike Kelley (varie immagini di gente che defeca).
Spunti per una conclusione
Lo spettatore non è più l’innocente interlocutore del gesto artistico, ma colui a cui l’artista si rivolge.
Se lo spettatore si sente responsabile moralmente di ciò che vede, anche in una finzione estetica,
la sua compassione diventa così sincera di renderlo consapevole della sua colpa implicita o
volontaria.
Per esempio Caravaggio, una delle possibilità di fruizione del disgusto passa attraverso la pietà.
Se il disgusto che abbiamo si trasforma in sentimento di pietà, allora la nostra possibilità di
fruizione si trasforma in accoglienza e il disgusto non è più ciò che è rigettato ma quella iniziale
sensazione di disgusto diventa anona un più forte e potente veicolo di trasmissione empatica.
Questa è una delle possibili che il disgusto ci dà, cioè una delle sue trasformazioni.
Il 700 attraverso il cibo
Du Bos “si usa forse la ragione per sapere se il ragù è buono o cattivo e si pensò mai, dopo aver
stabilito i principi geometrici del sapore e definito le qualità di ciascun ingrediente che serve per
realizzare tale pietanza, di esaminare la loro proporzione per decidere se il sugo è buono? Niente
affatto”.
Come giocano i sensi all’interno del gusto
Nel ragù la cosa importante era non riuscire più a distinguere gli ingredienti. Era la confusione dei
singoli elementi, fondere insieme. Il cibo che veniva portato in tavola non doveva esser
riconosciuto, doveva esser di nuovo confuso. Per cui il tacchino veniva reinterpretato e rivestito da
maiale, magari. La frutta scompariva sotto costruzioni di ceralacca e zucchero che la
confondevano. Al limite dell’immangiabilità. Tant’è vero che spesso non venivano assaggiate. Il
cibo scompariva, perché il cibo è un elemento organico e quindi si nascondeva nel cibo il suo
elemento disgustoso.
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Victoria Tincati
La prof ha partecipato a un’assemblea di tutti gli esponenti estetici italiani, quest’anno dedicato al
gusto palatale e l’ultimo invitato era Marchesi che ha esposto le sue opere e ha fornito delle slide
che descriveva. (E’ uno chef). Da giovane voleva fare il pittore, la mamma invece l’ha costretto a
fare studi diversi, a un certo punto ha abbandonato la sua carriera ed è andato a lavorare al
ristorante dei genitori. Questo elemento ha aperto un mondo alla prof, perché quando ha iniziato a
lavorare ai suoi piatti sembravano quadri. Infatti si ispiravano ai grandi pittori. Parlava della forma
del piatto, del colore del piatto, del colore del cibo (perché il colore del piatto doveva fare esaltare
le qualità visive del piatto). La cucina del seicento aveva un altissimo valore visivo, e non un valore
palatale. Per quello che ha fatto Marchesi durante quella conferenza l’elemento visivo era
superiore all’elemento palatale.
Come giocano i sensi all’interno del gusto è estremamente importante, per Marchesi è la vista
chiaramente.
L’immediatezza
Du Bos esprime quello che è il principio del gusto del settecento, cioè l’immediatezza.
Francis Hutcheson ne “l’origine della bellezza” dice: “Il nostro desiderio di bellezza può essere
controbilanciai da ricompense o minacce, ma non può esserlo mai il nostro senso di essa, come la
nostra paura della morte o l’amore della vita può farci scegliere e desiderare una pozione amara, o
trascurare quei cibi che il senso del gusto i indicherebbe come piacevoli e tuttavia nessuna
prospettiva di vantaggio o paura di danno può rendere quella pozione gradevole per il senso, o i
cibi sgradevoli, se non lo erano antecedentemente a questa prospettiva. “
Nessun’idea di vantaggio o svantaggio può cambiare il gusto.
Voltaire, voce “Gusto” “Al gusto non basta vedere, conoscere la bellezza di un’opera; ha bisogno di
sentirla, di esserne colpito. Non gli basta sentire, essere colpito in un modo confuso, ha bisogno di
distinguere le diverse sfumature; nulla deve sfuggire all’immediatezza del discernimento; e si tratta
ancora di una somiglianza tra questo gusto intellettuale, questo gusto per le Arti e il gusto
sensuale; infatti, se l’assaggiatori di vini sente e riconosce….
Hume, La regola del gusto
Fa il famoso esempio di Sancho Panza. Lui si trova a una festa, tutti bevono e apprezzano il vino
tranne due individui. E tutti ridono di questi due che dicono che questo vino non è perfetto, ha
un’iperfezione. Uno sente in esso un retrogusto di cuoio e l’altro un retrogusto di ferro. Bene, si
svuota la botte e sul fondo della botte sorprendentemente di torva una chiave con un laccetto di
cuoio. Quindi i due che avevano dato un giudizio negativo, a fronte di molte che ne avevano dato
uno positivo, in questo caso hanno ragione. Hume sembra sovvertire la regola Dubosiana.
Du Bos ci diceva “ se dovete scegliere cosa vedere a teatro scegliete non la critica del critico ma il
giudizio della gente che va, quindi il giudizio dei più” perché il giudizio dei più ci garantisce che
quella cosa ci emoziona. Se la cosa funziona ha emozionato molte persone.
Hume sembra sovvertire questa cosa, perché a quei tutti a cui il vino piaceva no avevano
sviluppato un palato non sufficientemente sviluppato. I due che hanno colto l’imperfezione avevano
comparato molto. Quindi avevano quello che viene chiamata “capacità di comparazione”.
Dal gusto al disgusto - incontro con scrittrice del libro
Per gli autori settecenteschi tedeschi l’opposto del bello non è il brutto ma il disgusto.
Esempio di Filottete
Era un eroe dell’Iliade, condottiero che parte per Troia. Filottete scende in un isola, viene morso da
un serpente velenoso al piede e questo suo piede si ricopre di piaghe al punto che i suoi compagni
non sono più in grado di sostenere non solo la vista, ma anche il cattivo odore, e decidono di
abbandonare Filottete sull’isola deserta al suo destino.
Questa stessa narrazione è stata poi ripresa da Sofocle in una tragedia. Disgustose non sono più
le piaghe di Filottete, disgustose solo in un primo momento, tornano i suoi compagni sull’idolo per
rubargli le armi. Tutti questi attributi che fanno riferimento al disgustoso vengono di fatto passati e
traslati sull’attività di Ulisse, su quella che è un’azione moralmente disgustosa. Ulisse compie un
inganno, cerca di aggirare Filottete.
La vicenda del Filottete mostra un passaggio che avviene nella tematica del disgustoso all’interno
della filosofia classica tedesca: il disgusto non è soltanto fisico, ma è anche di tipo morale.
Il disgusto morale è ancora più potente del disgusto fisico.
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Victoria Tincati
Quindi il disgusto diventa una categoria particolare, perché mostra bene una relazione stretta tra
l’estetica e la filosofia morale.
Il disgusto mostra come l’estetica non è fine a se stessa, ma è qualcosa che in qualche modo
anticipa il discorso morale, o nel caso di Kant l’estetica realizza, rende concreto il discorso morale.
La questione del confine nel settecento tedesco
Il disgusto ha a che fare con una questione di confine. Per Kant la distinzione fra confine e limite è
di primaria importanza, ed è assolutamente essenziale definire quelli che sono i confini di ogni
disciplina.
Il disgusto ha a che fare con il confine perché il campo di studi dell’estetica finisce esattamente
laddove si incontrano oggetti, o anche opere d’arte, che suscitano disgusto o ripugnanza.
Secondo questi autori non è possibile introdurre nel campo dell’estetica il disgustoso.
L’estetica tratta di tutto ciò che non è disgustoso.
Le azioni moralmente sbagliate sono disgustose
Il disgusto ci mette nella posizione di poter vedere molto bene quello che è il passaggio da un
sentimento di tipo fisico a un sentimento di tipo morale che ci permette di giudicare quale azione
sia giusta o sbagliata. Secondo questi autori saremmo tenuti in quanto esseri umani a provare
disgusto per azioni moralmente sbagliate.
Mendelssohn - il disgusto ha natura fisica
Oltre a essere un’importante fonte per Kant, è di fatto l’iniziatore della trattazione del disgusto in
Germania. Secondo Mendelssohn il disgusto è ciò che noi proviamo quando siamo
eccessivamente sazi. Consisterebbe nel provare una forma di nausea di fronte a un cibo troppo
dolce e abbondante. Quindi la prima teorizzazione del disgusto ha a che fare con il cibo.
Il disgusto quindi ha, secondo la sua prima definizione, natura fisica. Colpisce i nostri sensi, e
secondo Mendelssohn quello del gusto.
E’ fisica in quanto suscitata da oggetti concreti che possiamo percepire con i 5 sensi.
La natura fisica del disgusto ha importanti conseguenze filosofiche.
Per Mendelssohn il disgusto è paragonabile a “il troppo dolce” e questo fa si che il disgusto possa
di fatto essere in qualche modo correlato al bello. Proviamo nausea quando siamo di fronte a un
oggetto troppo bello.
Teoria del sentimento misto
Secondo Mendelssohn non solo il disgusto è ciò che l’estetica e l’arte devono evitare, ma sta
anche all’interno del bello stesso. Quando il bello è troppo puro allora si rivolgerà al disgusto.
Per Mendelssohn il bello deve sempre mescolassi a un altro elemento, ad esempio terrificante,
orrido o addirittura sublime. E’ un po’ il principio per cui un volto ci risulta più interessante se ha
una piccola particolarità o difetto.
Il fatto che il bello debba essere sempr emesoclato con qualcosa impedirebbe il sorgere del
disgusto e questo ribadisce il fatto che il disgusto è una parte integrante della bellezza. E’ il rischio
intrinseco del bello stesso. Il bello pone sempre il rischio di tramutarsi in disgusto a causa della
propria purezza.
Abbiamo due livelli di disgusto:
- il disgusto diretto, che deve esser sempre escluso dall’estetica e che segna il confine di ciò che
non dovrebbe mai esser raffigurato
- il disgusto in cui può rovescarsi il bello.
Le sensazioni miste sono in vece in grado di trasformare degli oggetti che potrebbero essere
spiacevoli nel piacere estetico perché questi sentimenti misti sono superiori al vello puro e in grado
id contrastare il rischi o del bello di diventare disgustoso.
Questa trasformazione del bello in disgusto è strettamente legata al cibo, alla dimensione
alimentare. Ciò che bisogna evitare è l’eccessiva sazietà, la saturazione.
Ciò che è puramente piacevole porta alla sazietà e alla fine al disgusto.
L’idea di utilizzare qualcosa di spiacevole per provare una forma di piacere estetico ha due effetti,
di fatto il bello affinché possa rimaner soggetto di un piacere estetico ha bisogno di un antiemetico, cioè ha bisogno di mescolarsi con una sensazione di altro tipo (spiacevole) che
impedisca la nausea. Il bello ha bisogno del suo anti-emetico (il brutto, il sublime, il comico)
togliendo la purezza al bello garantendo una reale piacere estetico.
Il secondo effetto è il fatto che il campo dell’estetica non è più limitato solo al bello. Mendelssohn
amplia il campo dell’estetica, non coinvolge più soltanto il bello ma anche l’orrendo.
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Victoria Tincati
I cinque sensi - inferiori o superiori
Mendelssohn ribadisce che il disgusto non può mai in alcun modo mescolarsi con il piacere.
Analizza i 5 sensi. Parte dal gusto palatare, stabilendo il fatto che la natura del disgusto è prima di
tutto fisica affermando che il disgusto è direttamente associato all’alimentazione.
Il disgusto è fisico perché è una reazione immediata, involontaria, incontrollabile e naturale nei
confronti di un oggetto che vogliamo allontanare e lo allontaniamo prima di tutto con la nausea.
Il disgusto ha a che fare con altri 2 sensi, cioè con l’olfatto e con il tatto.
Questi 3 sensi, gusto tatto olfatto, sono i sensi inferiori o oscuri. Sono di fatto i 3 sensi che
prevedono un contatto diretto con l’oggetto.
Diverso è il caso dell’udito o della vista, che sono i sensi superiori, sensi della distanza e i sensi più
chiari. La vista e l’udito non prevedono alcun tipo di contatto con l’oggetto.
Il disgusto è una sensazione unicamente del gusto, del tatto e dell’olfatto.
Secondo Mendelssohn i sensi inferiori non possono essere mai fatti oggetto di opera d’arte.
L’opera d’arte può essere soltanto visiva o uditiva. Ecco perché il disgusto è una sensazione che in
un nessun modo può procurare piacere artistico e che in nessun modo può esser fatto oggetto di
contemplazione artistica.
Questo ci apre la via che porta all’esclusione definitiva del disgusto dall’estetica e al fatto che
l’estetica debba sempre cercare l’opposto del disgusto (cioè il gusto estetico).
La riflessione di Mendelssohn apre la via al giudizio di gusto di Kant.
Il disgusto può esser considerato come l’unico giudizio estetico negativo. E’ il reale opposto del
bello. Secondo Kant il disgusto sta a segnare i confini dell’estetica, cioè ciò che è disgustoso non
può esse fratto oggetto di un’analisi estetica. Kant conferma l’idea che il disgusto possa esser
paragonabile alla sazietà. In Kant, come accade per molti altri concetti, anche la categoria del
disgusto assume un significato molto più complesso.
In particolare il disgusto assume un significato complesso nella critica del giudizio di Kant.
La Critica del giudizio, il disgusto di fatto si confronta con l’uso delle facoltà del soggetto e con la
categoria del brutto.
E’ possibile dare un giudizio estetico negativo?
La prima considerazione che possiamo fare è il fatto che gli studi kantiani degli ultimi anni hanno
valutato l'impossibilità che esistano giudizi estetici negativi. Gli studi kantiano si sono chiesti se
possano esistere dei giudizi estetici, con la prospettiva di Kant (universali, disinteressati,
soggettivi), di carattere negativo.
Secondo i primi studiosi non è possibile dare un giudizio estetico negativo, perché si basa sul
libero gioco tra intelletto e immaginazione. Perché si accordano spontaneamente e da qui
proviamo una forma di piacere che formula un giudizio estetico.
Il giudizio estetico è caratterizzato dal dispiacere, e come può esser trascendentalmente valido?
Affinché un giudizio estetico sia universale e comunicabile tutti i soggetti devono avere le
medesime facoltà, che sono immaginazione e intelletto che si comportanti nello stesso modo in
tutti i soggetti. Di fronte al bello le due facoltà si accordano fra loro in armonia, in un libero gioco,
proviamo piacere per questo libero gioco e dunque formuliamo un giudizio estetico.
Può darsi un giudizio estetico negativo? Sarà caratterizzato dal dispiacere, ma, se il giudizio
estetico si basa sul piacere dato dalle due facoltà, se noi al posto di questo piacer emettiamo un
dispiacere da quali facoltà si è garantito?
Ecco che quindi all’interno degli studi Kantiano si afferma che non è possibile un giudizio estetico
negativo, perché il dispiacere non è garantito dal movimento delle due facoltà perché se sono in
disaccordo semplicemente non formano un giudizio.
Posto che, secondo questo ragionamento, non si può dare un giudizio estetico negativo, che ruolo
ha il disgusto in questa prospettiva? E’ soltanto dispiacere, può esser allora considerato un
giudizio estetico? No, in alcun modo, perché non è garantito dalle facoltà.
Nell’estetica kantiana quindi non esiste un giudizio estetico negativo.
Se noi guardiamo la nostra esperienza quotidiana ci rendiamo conto che noi formuliamo dei giudizi
negativi, noi diciamo “questo mi disgusta”, in qualche modo facciamo esperienza di elementi
spiacevoli. Di fatto è impensabile che l’estetica di Kant non prenda in considerazione questa
esperienza.
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Victoria Tincati
Le soluzioni sono due: o noi diciamo che di fatto esiste una fondamentale disarmonia fra le facoltà
e in qualche modo questa disarmonia può potare alla formulazione di un giudizio, ma andrebbe
contro Kant, oppure affermiamo due cose:
- il dispiacere di alcuni oggetti brutti può esser ricondotto al piacere e quindi annullato
- quel dispiacere che non può esser ricondotto al piacere non può esser fatto oggetto della
riflessione estetica
L’arte ha il compito di rendere belli oggetti che in natura sono brutti. l’arte bella mostra la sua
eccellenza proprio per il fatto che rende belle cose che in natura sono brutte. Ha il compito di
rendere bello ciò che è brutto.
Questo iniziale dispiacere viene ricondotto al piacere estetico, è una forma di annullamento del
brutto, una forma di escamotage con cui Kant risponde alla constatazione che noi effettivamente
facciamo esperienza del brutto quotidianamente.
Il brutto non è escluso dai giudizi estetici, semplicemente viene ricondotto al bello attraverso l’arte.
Kant aggiunge: solo una specie di bruttezza non può esser rappresentata senza demolire alcun
piacere estetica, cioè il disgusto.
Quindi gli oggetti disgustosi sono quegli oggetti talmente brutti che nemmeno la produzione
artistica può ricondurre al bello.
Le piaghe del Filottete sono talmente disgustose che comunque rimangono tali, anche se la
descrizione dell’Iliade è bella.
Il disgusto quindi è la categoria che segna ciò che deve esser escluso non solo dall’estetica ma
anche dalla filosofia trascendentale di Kant.
Il disgusto non ha la pretesa di esser considerato oggetto di giudizio, come invece lo ha il brutto.
Il disgusto è una sensazione fisica, immediata e estremamente forte, di fatto impedisce la
rappresentazione di ciò che è effettivamente spiacevole.
Questa nostra sensazione di nausea impedisce che un qualche elemento spiacevole possa esser
fatto oggetto di giudizio estetico.
Il disgusto è qualcosa che ci si impone. Kant è costretto ad affermare in modo categorico che il
disgusto non può mai assolutamente entrare nel campo dell’estetica, come se avesse a che fare
con una forma di contaminazione. L’estetica sarebbe contaminata nella sua purezza nel momento
in cui dovesse venire a che fare con il disgusto.
Quindi l’arte non può mai avere a che fare con il disgusto. Quindi diventa un elemento strategico
nell’estetica kantiana. Ha a che fare con il confine, ci permette di definire ciò che è arte e ciò che
non è arte, e quindi ciò che in qualche modo è ideale e ciò che è reale.
Il disgusto ha a che fare con due distinzioni: ciò che è estetica e ciò che non lo è.
Il disgusto formula giudizio morale
Kant propone l’idea che il disgusto ha natura morale, coopera nella formulazione del giudizio
morale. Ci permette di distinguere quando un’azione è moralmente buona o moralmente cattiva. Il
disgusto è una sensazione sensibile, fisica, e proprio perché lo è è estremamente forte. Quando
noi proviamo disgusto non riusciamo a controllarci, se siamo di fronte a un disgusto fisico abbiamo
l’istinto di allontanarci da quell’oggetto. Come possiamo impiegare questa sensazione fisica
all’interno del discorso morale kantiano?
Le funzioni che Kant attribuisce al disgusto in ambito morale sono principalmente tre:
- in primo luogo il disgusto è la sensazione fisica che ci permette di distinguere tra cibi
commestibili e cibi nocivi, e questo potremmo impiegarlo per distinguere azioni moralmente
commestibili o nocivi per la morale
- secondo Kant soltanto gli esseri umani provano disgusto, addirittura Freud affermerà che i
bambini non sono in grado di provare sensazioni di disgusto. Soltanto un uomo civilizzato e
formato proverà una sensazione di disgusto che può essere fisico e morale. Abituarsi a provare
situazioni di disgusto è un abituarsi a una forma di giudizio morale. Il disgusto è una forma di
educazione, contiene in sé un aspetto pedagogico. Paradossalmente ci eleva dal nostro essere
animali.
- Il disgusto impedisce quello che per Kant è la noia. Tedium, che porterebbe al disprezzo di sé e
addirittura al suicidio. Il disgusto è una sensazione così forte che in qualche modo risveglia i
nostri sensi e ci impedisce di provare noia, di cadere in questo disprezzo per noi stessi.
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Victoria Tincati
Sulla base di queste tre definizioni, il disgusto diventa per Kant uno strumento importante per
distinguere moralmente buono e moralmente sbagliato e portare il soggetto verso l compimento
del bene.
Il disgusto ci tiene lontani dai vizi dell'eccesso
Quello che è interessante è che all’interno di questa trattazione morale il disgusto ha un ruolo e
addirittura viene mantenuta e ricordata la correlazione fesa disgusto è cibo. Secondo Kant così
come il disgusto ci serve ed è indispensabile per capire se un cibo è avariato o commestibile allo
stesso modo è uno strumento importante per liberarci dai vizi morali. Sarebbe uno strumento che
in qualche modo ci tiene lontani dai vizi dell’eccesso, così come abbiamo visto per Mendelssohn il
disgusto scaturisce quando proviamo un eccesso di piacere di fronte al bello puro, allo stesso
modo secondo Kant il disgusto ci tiene lontani dall’eccesso vizioso.
Rispetto della legge morale
La filosofia morale di Kant manca di uno strumento che garantisca il rispetto della legge morale.
Manca qualcosa che garantisce il fatto che siamo spinti a compiere il bene. Cosa ci spinge a
compere il bene? Secondo Kant esiste un sentimento generale che chiama sentimento morale che
in qualche modo ci fa provare una forma di piacer quando facciamo qualcosa di moralmente
giusto. Compiamo il bene per rifuggire al disgusto morale.
I sentimenti estetici in qualche modo possono spinger e l’uomo a compiere il bene. Ad esempio,
secondo Kant, quando noi facciamo qualcosa di moralmente buono proviamo una sensazione di
piacere che è paragonabile al piacere che proviamo di fronte all’oggetto bello.
Il disgusto può esser definito come una sorta di organo vitale che in qualche modo ci permette di
evitare le azioni che sono lontane dal bene e che tuttavia ci impongono. Qua si fa riferimento alle
tentazioni dei vizi.
Di fatto il disgusto è uno degli strumenti più efficaci per la formulazione del buon cittadino.
Dobbiamo provare disgusto per tutto ciò che è dogmatico e che ci impedisce di formulare giudizio
critico.
La nouvelle cuisine
La nouvelle cuisine, nuova cucina. Il rilancio della nuova cucina ha fonte francese come è
tradizione. La prima nuova cucina che conosciamo ha origine fra la fine del 600 e gli inizi del 700.
Quando si passa dalla cucina ricercata ed estremamente legga al banchetto e alla manifestazione
della festa, quindi dei nobili, alla cucina borghese. QUest’ultima rivoluziona l’idea del pasto e dello
stare a tavola.
Dal 1730 al 1770 edizioni di manuali di cucina si moltiplicano senza precedenti, la vera rivoluzione.
La tavola diventa un luogo importante, ma la cucina lo è meno. L’elemento della tavola era
importante perché i borghesi “invitano”, cosa fondamentale. Chi invitare e come sedersi a tavola.
La disposizione intorno al tavolo indica una gerarchia precisa. Si crea una nuova gerarchia
borghese, una nuova istituzione borghese, che ha anche nella tavola un suo punto di riferimento
molto importante.
La concorrenza tra gli editori è molto forte. Ricette poi assolutamente improponibili oggi. Le
prefazioni dei manuali sono fondate, interessanti, prendono dalla filosofia più comune in quegli
anni e Du Bos è tra i più indicati nelle introduzioni culinarie. Perché? Perché ha un’attenzione
particolare al gusto e al sesto senso, basando appunto il gusto su un elemento palatale citando il
ragù. Kant anche viene citato e Burke.
Relazione tra alimentazione e salute
Questa relazione nel 600 non viene quasi mai messa in primo piano, il cibo è un elemento che
attiva l’occhio più che alimentare il corpo e lo spirito. Nel 700 invece la relazione tra alimentazione
e salute diventa fondamentale. I cibi iniziano a riprendere il loro aspetto e a non essere quindi più
camuffati. Non bisognava eccedere.
C’era uno studio sulle qualità del cibo e quanto potesse influire sulla salute e sullo sviluppo
psichico e mentale. Con eccessi estremamente ridicoli. In uno di questi trattati che prende in giro
gli eccessi della sperimentazione chimica di allora si racconta che bastava nutrire bene un ragazzo
per evitargli di leggere un libro in latino.
Le idee dello spirito dipendono dalla costituzione organica del corpo. Se il corpo è una macchina,
va alimentato e se va alimentato va fatto nel modo giusto purché funzioni in modo corretto.
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Victoria Tincati
Le idee dello spirito dipendono dalla qualità degli alimenti, una deduzione quasi ridicola ma era la
base di alcuni trattati che vedevano relazione strettissima tra corpo e predisposizione spirituale.
La nuova cucina tenderà a fare assumere ai cibi il gusto originario e addirittura farli riconoscere,
cosa per niente contata nel 600.
Prima si lavorava più per l’occhio, mentre con il 700 si lavora per il palato e la salute.
La Chapelle scrive “le cusinier moderne” - la soggettività del gusto
Una delle primo idee che sorgono nel 700 è che il gusto cambia, il 700 scopre filosoficamente che
il gusto è un elemento soggettivo e quindi ha il problema di coniugare l’universalità del gusto, e
quindi il più soggettivo è quello palatale e che mette d’accordo meno persone.
Il cibo ha a che fare con un gusto che si trasforma e che è soggetto alla “moda” della tavola,
fondamentale ed estremamente evidente. Tutte le arti hanno delle regole generali, coloro che
intendono esercitarli devono conformarvisi. Sono regole tecniche e regole dettate dal gusto, ma
tuttavia queste regole non bastano.
Legame tra gusto e moda
Nel 700 il tempo segna due caratteristiche: quella appunto della moda, il tempo è ciò che fa
cambiare i gusti, li evolve e li inserisce all’interno di una società. Il secondo elemento legato al
tempo è il fatto che se un’opera resiste al tempo e quindi resiste alle mode, allora noi siamo certi di
essere di fronte a un’opera d’arte. Questa è per esempio l’idea di Du Bos.
Il tempo segna la moda ma allo stesso tempo il durare di un’opera segna che è un capolavoro.
La moda della cucina è una moda veloce inq uegli anni e che si trasforma costantemente
all’interno delle tavole. Una tavola apparecchiata come vent’anni fa non soddisferebbe nessuno
perché non sarebbe la moda.
E’ forse una delle mode più forti di quel periodo.
Menon, il più famoso tra ricette del tempo. scrive La nuova cucina borghese
Qua nasce l’idea della nouvelle cuisine, nel 1786. E’ un testo di ricette con una buona prefazione.
E’ talmente importante in quel periodo che Grim, il direttore capo di una rivista filosofica influente in
tutta europa, dice che questo libro ha il suo posto nelle biblioteche francesi. Rivoluziona la cucina
perché è un libro di cucina borghese.
Grim e la sua rivista influenzava la moda di tutta europa.
Il gusto può esser educato
L’idea è un’idea generale che sorregge tutto il gusto settecentesco. L’idea che il gusto può essere
educato. Nel gusto oltre a percepire l’armonia possiamo percepire la perfezione tecnica.
L’educazione al gusto è fondamentale e si fa attraverso esperienza.
Foncemagne, scrive in una prefazione delle analogie tra cucina e tre elementi:
- la musica = per le dissonanze e le consonanze, un buon palato le riesce a percepire.
Dissonanze sono sapori che non funzionano tra loro che possono esercitare un elemento di
gradevolezza o sgradevolezza, e le consonanze sono invece i cibi che funzionano bene. La
gradazione delle sfumature del gusto sono accostabili a quelle del colore. Si possono usare
come da un pittore con un quadro.
- la pittura
- chimica
Idea di percezione dei rapporti
Alla base di tutto questo c’è quello che potremmo parlare di idea di percezione dei rapporti.
Un piatto non riuscito è esattamente come un quadro non riuscito, quello che manca di suscitare
l’idea di rapporti. Cos’è l’idea di rapporti? E’ un’idea estremamente soggettiva, non è un’idea
oggettiva. Se un piatto ci da soltanto un tono è come una nota continua. Una nota continua non ci
da l’idea di rapporti. E’ un suono fastidioso.
Le varie forme e colori devono essere composti seguendo delle regole che consentono al soggetto
di percepire, gustando immediatamente (immediatezza fondamentale) se tali rapporti sono
gradevoli o sgradevoli.
Il palato deve sapersi adattare alle dissonanze che il cuoco fa per allietare il palato.
Esattamente come f a l’artista che ha come obiettivo di tenere lo spettatore davanti all’opera, che
non si annoi e non se ne vada. Lo stesso è lo scopo del cuoco, tenere il più possibile il palato
predisposto al gusto.
Quest’idea si scontra con l’altra idea centrale del 700, cioè il fatto che la cucina dovrebbe aiutare il
corpo a sentirsi meglio. Queste due idee sono una in contrasto con l’altra. Il cuoco lavora con il
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Victoria Tincati
disgusto ma la buia cucina dovrebbe arrivare a stimolare un giusto appetito non un appetito
esasperato e portato al limite, perché quest’ultimo comporta rischi per la salute.
Il perdurare il più a lungo possibile la sensazione iniziale di piacevolezza, è lo scopo delll’arte in
generale ma a maggior ragione della cucina e potrebbe entrar in contatto con l’idea di salute.
Foncemagne nella prefazione a Menon ricorda come il rosso ha un’infinita gamma di sfumature la
stessa cosa vale per il latte, lo zucchero, il miele e sebbene siano tutti dolci presentano al gusto
una continua varietà.
La condizione per far fiorire il genio
Le spezie orientali uniti agli elementi della buona tavola, al buon gestiamo di esser allevato, mostra
la possibilità di avere il genio. Quindi fiorisce dove può fiorire. Ci sono momenti bui in cui il genio
nasce e non può fiorire perché non ha le condizioni per potersi sviluppare, condizioni legate alla
sopravvivenza necessaria e prima di tutto un buon cibo, un buon pasto. Esiste quindi
un’alimentazione appropriata per sviluppare il genio, che si sviluppa dove il clima è favorevole e
sano. La condizione deve esser il più possibile varia e sana.
Voce “cuisine” nell’Encyclopedie, scritta da Jaucourt
Afferma che la cucina moderna mancando di moderazione è nociva pe rla salute. Ecco l’altro lato
della medaglia. Il medico che non è lo chef non punta verso l’elemento ella stimolazione
dell’appetito che è opera dell’artista ma guarda piuttosto alla salute. Se lo chef è un bravo chef può
causare dei gravi danni. Per esempio la cucina dei ragù, danneggia la salute piuttosto che
preservarla. Buona tavola = moderazione, misura e armonia.
Tema della digestione
Importanza delle varie parti organiche del corpo che contribuiscono appunto alla digestione.
Il sogno di d’Alembert di Diderot
Viene raccontata sotto forma filosofica il sogno di d’Alembert. Questo perché Diderot si è fatto anni
di prigione e quindi torva un modo per poter dire le sue idee facendole dire a un altro in sogno.
E’ uno dei testi più importanti per Diderot.
Ogni organismo è come un fascio di animali distinti coordinati fra loro ma ciascuno con la sua
propria volontà, stomaco palato e e tutto il resto. Il cervello può poco di fronte a questi elementi,
non può tener a freno la fame.
Ciascun organo ha una sua capacità desiderativa e una sua volontà.
L’appetito è una stimolazione del gusto.
La fame è una forma estrema di sopravvivenza.
Du Bos e Diderot
Du Bos sottolinea come nei banchetti ricchi non si trova un piacere positivo come quello che si
ottiene quando si consuma un pasto grossolano quando si ha fame.
La fame non rientra nel gusto.
Antropofagia = elemento del mangiar carne umana è legato all’atto estremo della fame.
Gusto malato = esiste un gusto depravato e quindi un appetito depravato che spinge a desiderare
certi alimenti.
Gerarchia borghese a tavola - il problema dei passaggi e la
digestione
Per arrivare all’eccesso e quindi il dolore che la fame provoca bisogna ricorrere al disgusto.
Nella vita comune si descrive la fame estrema con tutte le cose che si sono ingerite disgustose.
nel 700 il disgusto porta con sé un risvolto moralizzatore perché è un sentimento che contrasta la
pietà. La pittura non insegna una legge morale attraverso la rappresentazione del disgusto.
Non si ammette la fruizione estetica del disgusto, ma solo una devianza patologica (chi ama il
disgusto è un deviato, ha dei problemi) perché non ha possibilità di risvolto moralizzatore, non
insegna niente. Il disgusto si ferma e si blocca nella sensazione.
Diderot “Entretien entre d’Alembert et Diderot”
Il corpo è un alambicco e la digestione lo dimostra nel migliore dei modi. La chimica è una branca
della storia naturale e, probabilmente, la sua radice principale.
Come può un corpo passare dallo stato di sensibilità inerte a quello di sensibilità attiva?
E’ il grande problema di Diderot in quegli anni e che descrive in quest’opera.
E’ una delle tematiche più comuni del 700.
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Victoria Tincati
Diderot e D’Almberte discutono del marmo. Diderot dice di distruggere una statua rendendola
poltillia lasciandola di lato e poi, dopo secoli, quando ormai sarà materia simile all’humus, vi
semina dei piselli e quindi farà nascere una pianta. Trasforma il marmo in sostanza vivente.
Statua animata attraverso il processo di Pigmalione.
Il problema dei passaggi
Tutto il 700 abbiamo il problema dei passaggi, il problema del limite e del cambiamento di stato.
Per esempio la suddivisione delle specie, come evidenziarle e considerarle e perché esistono.
Esiste una continuità in natura? La volontà nel 700 è andare a vedere quei livelli intermedi che
consentono di considerare la natura come un tutto continuo, quindi il problema dello scarto è un
problema grosso. Il passaggio da una specie all’altra. Perché esiste una frattura tra una specie e
una specie? All’epoca si trovavano dei resti fossili che erano considerati come il passaggio, l’anello
mancante, tra specie e specie.
Nel tema del pigmalione nel 700 diventa la possibilità della nascita e della vita attiva e sensibile del
marmo. Come passare dal marmo inerte alla vita e alla sensibilità? Questo racconto, che è quello
di Pigmalione in cui Ovidio vede l’arrivo della dea Venere che attiva la statua, nel 700 viene
tradotto molto spesso nella capacità di attivazione della stessa materia.
Diderot dice che questo passaggio avviene quando mangiamo. Il processo chimico digestivo
trasforma la materia in elemento attivo, vivente, pulsante, in parte del nostro corpo. Questo
passaggio crea la possibilità di spiegare l’anello che congiunge la materia inerte con la sensibilità
attiva senziente.
Elemento di passaggio tra inerte e senziente quindi è molto importante per il 700, e la digestione lo
consente.
Metafora della nutrizione
La digestione sarebbe inspiegabile se la materie inerte non possedesse della sensibilità. Se la
materia inerte, insomma on condividesse qualche proprietà con la materia vivente. “Ogni animale è
più o meno uomo, ogni minerale è più o meno pianta, ogni pianta è più o meno animale. Non c’è
niente di preciso in natura, non c’è che un solo grande individuo che è il tutto.”
Digestione e chimica
Il corpo è un laboratorio di chimica in cui ogni strumento è al suo posto. Attraverso la separazione,
l’unione, le affinità chimiche, la chimica stessa guarda alla sensibilità materiale. Perché non c’è un
punto della natura che non soffra o che non goda. “Vivendo agisco e reagisco in massa.. morto,
agisco e reagisco in molecole.. dunque non muoio? No, senza dubbio, non muoio affatto in questo
senso, né io né chi che sia… Nascere, vivere e finire, è cambiare le forme.”
Il sogno 1779
E’ stato scritto in poche settimane. Centrale è la nozione di sensibilità sullo sfondo di un unità
organica tra vita e coscienza. Tutto cambia ma tutto resta.
Epigenesi e il preformismo
E’ una teoria embriologica, secondo la quale l’embrione si sviluppa gradatamente, a partire da un
ferme indifferenziato, con la comparsa successiva di parti dell’organismo nuove per morfologia e
struttura. Il preformismo sosteneva quindi che la fecondazione non fosse che solo l’attivazione di
un piccolo embrione conformato come uomo che poi sarebbe nato. Era una crescita,
un’espansione di forma già formate.
La visione metamorfica della nauta, che armonizza, nell’unità organica, materia, vita e coscienza,
soppianta, nel pensiero di Diderot, la visione statica, secondo la quale il corpo è di per sé senza
azione e senza forza.
Gli esseri si metamorfosano gli uni negli altri a partire da un unico prototipo, qualcosa nasce verme
e diventa uomo scalando la scala degli esseri.
Tema dell’affiliazione = come quell’individuo può generare un individuo uguale a lui? La questione
è sospesa.
Ma esiste una trasformazione graduale tra le specie.
La gerarchia borghese a tavola
Viene abbandonato il modello delle feste a corte. A tutto ciò che concerne l’elemento simbolico ed
estetico legato alla festa, all’esaltazione del potere, della gerarchia rigida che governa il
comportamento di ciascun commensale, si sostituisce una pratica alimentare che il lusso aveva nel
tutto soffocato.
Eppure il sapersi comportare a tavola è ancora il tratto distintivo dell’uomo di gusto.
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Victoria Tincati
Nell’assenza di luoghi pubblici di incontro per le persone di qualità dove esse potevano
incontrarsi? Il pasto, il ricevimento sono una di queste occasioni per la classe dell’ozio.
La percezione dello statuto sociale passa per la tavola, poiché l’individuo si definisce in rapporto a
un gruppo. Le regole vengono ristabilite. Il posto occupato determina l’identità dell’individuo.
A casa dei Bertin - tassonomia
Si entra nell’ambito della classificazione, della tassonomia, quando ci si siede a tavola. Una specie
di circo alla tavola dei Bartin di gente che ha ramo e che può godere per quella sera, o per più
sere, di uno statuto diverso. Li chiama e i Bertin sono lieti di accogliere quegli individui per fare
pubblicità, per allietarli con i pettegolezzi di Parigi e possono esser beffeggiati da Rameau. Ci si
diverte molto.
Pantomima
E’ un modo di vivere, perché l’uomo trascorre la sua esistenza assumendo posizioni. La
pantomima è sinonimo di sudditanza, di sottomissione alle regole sociali e prima ancora ai bisogni.
nessuno ne è escluso dal pesante al re. La pantomima è una sofisticata arte di mentire in un
mondo che richiede di essere degli ottimi adulatori per sopravvivere. E’ arte di stare in società, di
stare a tavola, di conquistare un ruolo, tanto più falso quanto più lo sforzo della mimica ha avuto il
suo effetto. Pendere posizione non significa affatto affermare se stessi, le proprie idee; è adeguarci
si bisogni e alle necessità di una società che rende schiavi.
Disgusto tra 700 e 900 - incontro con un tipo a caso
Disgusto come limite per l’estetica kantiana
Il disgusto come limite per l’estetica settecentesca. Rischia di mettere in discussione la possibilità
stessa della funzione estetica. L’autore di riferimento è Kant, anche se non è l'unico a parlare di
disgusto nel 700 (Diderot).
Kant pone la questione nel modo più incisivo e forte dal punto di vista filosofico. Sostiene che
esiste un tipo di brutto che non si può rappresentare, perché se fosse rappresentato metterebbe in
crisi la funzione stessa della fruizione estetica. Il disgusto è un limite, perché la fruizione dovrebbe
suscitare il gusto.
Il disgusto fa cadere la distinzione tra arte e realtà
Laddove un’opera d’arte suscita disgusto in questo caso l’oggetto che impone ai nostri sensi con
una tale forza da non essere più distinto dalla realtà; in sostanza il disgusto fa cadere la distinzione
tra arte e realtà. L’oggetto non è più fruibile come una rappresentazione. Nel disgusto sono
costretto a “fuggire via”, sono vincolato all’esperienza che si impone con una forza eccessiva.
Questo fa cadere sia la natura della finzione artistica sia la possibilità stessa della fruizione
estetica.
L’affermazione di Kant nell’arte contemporanea
Quest’affermazione di Kant è importante perché in qualche modo è una delle vie su cui l’arte
contemporanea implicitamente ha percorso. Il disgusto è ritorno del reale.
Tutto in un’ottica rovesciata, nel 900 non si evita il disgusto ma lo si percorre consapevolmente.
Sul piano della riflessione artistica il disgusto fa il suo ingresso nell'arte del 900 abbastanza presto.
Arte del 900, disgusto e messa in crisi dell’estetica accademica
E’ una delle modalità con cui l'arte dell’avanguardia si manifesta, una modalità di trasgressione, di
scandalo e shock nei confronti dello spettatore che viene confrontato con oggetti che richiamano
direttamente il disgusto. Sul piano delle pratiche artistiche, molto varie in questo secolo, il disgusto
gioca anche un valore trasgressivo, di messa in crisi di un’estetica accademica. L’orinatoio di
Duchamp è un esempio. Anche un oggetto difficoltoso può entrare nel mondo dell’arte.
Le direzioni dell’arte contemporanea del 900
Al di là della provocazione duchampiana possiamo pensare anche ad altre modalità, in particolare
al fatto che l'arte contemporanea può essere letta secondo due direzioni fondamentali:
- Sublime = corrente che persegue una continuità con il concetto di sublime in modo a volte
consapevole, esplicito, a volte meno. Un sublime che nel 900 si presenta in una forma astratta,
non figurativa. Qui si ritrovano una serie di pratiche artistiche dal minimalismo astratto all'arte
concettuale che giocano tutte sull’accentuazione della dimensione dell’assenza, del vuoto, della
riduzione, del carattere di autonomia del linguaggio artistico. In questo lato troviamo per
esempio dei richiami alla nozione di sublime (kantiano e schilleriano) in particolare
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Victoria Tincati
l’espressionismo astratto, da Rothko a …. che ha dedicato alcune sue opere al sublime e che ha
scritto “il sublime ora” in cui afferma una sorta di attualità del sublime. Rifiuta i rimandi di tipo
psicologico—emotivo, l'opera non deve costituire un rapporto emotivo con il pubblico.
- Disgusto = categoria del brutto, dell’orrore del grottesco e del disgusto. Gioca viceversa
sull’esibizione di effetti sensoriali e fisiologici molto violenti ed immediati. Su un rimando al corpo
organico e al corpo dello spettatore che viene sollecitato. Per esempio la body-art e nell’arte
anglosassone-americana oppure il cinema horror-splatter. Una via bassa, fisiologica, in cui sono
chiamate in casa le reazioni violente. Per esempio anche l’iperrealismo. Negli anni 90 ci sono
state anche alcune mostre in Inghilterra, in America, che appunto erano dedicate esplicitamente
all’abiezione. (mostra post-human).
Per cercare di elaborare una definizione teorico-filosofica di queste manifestazioni del disgusto,
una chiave di interpretazione è quella offerta da una mostra curata nel 95/96 da Rosaline Klaus e
un altro dal titolo “riforme” che è diventato poi un libro catalogo, nella quale cercano di ricostruire
un percorso nell’art e del 900 che però potesse distinguersi, trovare una sua autonomia e identità.
Bataille e l’informe
Legano l'informe al disgusto. Il punto di partenza della mostra e della riflessione di Bois e Klaus è
uno strumento concettuale che risale alla rivista Document (tra fine anni 20 inizio anni 30) con
Bataille che definisce la nozione dell’informe. L'intento di Bataille è quello non tanto di costruire
una storia dell'informa o del disgusto oppure una teoria, ma piuttosto di utilizzare questo concetto
come un’operazione. L’informe non è soltanto un aggettivo ma un termine performativo, un termine
che agisce e che fa declassare ogni cosa che ha una forma. L'informe viene assunto a Bataille
come un potere di trasformazione, metamorfico, che distrugge, invade, pervade ogni cosa che
abbia una forma. L’informe è la chiave di volta rivoluzionaria per rovesciare tutto l’edificio
categoriale concettuale sia dell'estetica occidentale che dell'arte accademica “ufficiale”.
Pantomima
Il problema della pantomima è un problema tipicamente settecentesco nel momento in cui la
Pantomima non è soltanto un genere teatrale ma è un atteggiamento, e nel Nipote di Rameau
Diderot lo dice esplicitamente: “chiunque abbia bisogno di un altro è indigente” e quindi tutti noi lo
siamo, prendendo posizione. Questo prender posizione non è assumere una posizione contro
qualcosa, ma un atteggiarsi in modo tale che quel qualcosa ci favorisca. Ognuno di noi prende
posizioni diverse a secondo dell’interlocutore.
La tavola borghese
La tavola di Bertin è veramente una tavola borghese: Bertin è un re senza regno, senza legittimità.
Essa gli viene dal denari e dal fatto di poter avere di mediocri da disporre intorno alla sua mensa.
In fondo la sua legittimità è mantenuta proprio dai suoi adulatori, approfittatori, parassiti,
mendicanti. Eppure “solo un potere indiscutibile può tollerar e l’aggressione rituale del buffone”: il
potere del re. Lo sa bene Hugo quando scrive Le roi s’amuse. al contrario, in casa Bertin
l’adulazione, che ha il presso di un buon pranzo, deve rimanere tale. Non può trasformarsi in altro
perché è garanzia di legittimità sebbene falsa e instabile.
Autoderisione e consapevolezza
E’ vero: anche l’autodecisione rientra pienamente nel mestiere che il “fou” è chiamato a svolgere.
Infatti, ciò che salva Rameau agli occhi del Filosofo è solo la consapevolezza della propria
mediocrità.
“Tutto quello che so è che vorrei essere in un altro perfino a rischio di essere un uomo di genio, un
grand’uomo. Sono invidioso”
Rameau è il solo ad aver piena consapevolezza del proprio stato e questo gli permette di aver eun
punto di vista privilegiato. Un punto di vista che a casa Bertin, tuttavia, non gli gioverà. Il mediocre
deve rimanere tale. Se acquista consapevolezza e se poi la manifesta, sfoggia una superiorità
ingiustificata e che va allontanata.
Il più grande accusatore di Rameau è se stesso. Il filosofo non ha un gran gioco, perché Ramea lo
anticipa sempre, è consapevole e lucidissimo. E’ difficile che gli si possano muovere delle accuse,
perché ribatte e le anticipa. La piena consapevolezza del proprio stato gli consente di avere un
punto privilegiato sulla sua stessa situazione e sulla situazione che c’è intorno.
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Victoria Tincati
Purtroppo sbaglia male. Pecca di una consapevolezza superiore. La sua autonomia e intelligenza,
l’estrema consapevolezza di sé lo fa andare oltre quella “mediocrità” che è richiesta nella camera
die Bertin. E’ un edicole troppo intelligente fino al punto da essere consapevole che la propria
mediocrità può essere sfruttata, e non riesce a frenarla fino in fondo. Quindi a un certo punto
esplode ed esce dai ranghi, al di fuori della stessa mediocrità. E alla tavola dei Bertin TUTTI
devono essere mediocri. Se al capotavola siede un mediocre gli altri lo devono essere.
Non è possibile tornare alla natura dopo aver gustato la cultura
- IO: A chi si rivolge il selvaggio? Alla terra, agli animali, ai pesci, agli alberi, alle erbe, alle radici,
ai ruscelli.
- LUI: una cattiva tavola
- IO: ma grande
- LUI: mal servita
- IO: ma è quella che saccheggiamo per apparecchiare la nostra.
- LUI: converrete tuttavia che l’avidità dei nostri cuochi, pasticcieri, rosticcieri, confettieri, vi
aggiunge un po’ del suo. Con quella dieta austera il vostro Diogene non doveva avere organi
molto esigenti.
- IO: vi sbagliate. L’abito del cinica era un tempo quello che è oggi per noi l’abito monastico, con
la stessa virtù.
Non esiste un ritorno alla natura. Il filosofo ci prova, ma arriva alle stesse conseguenze.
La cultura ha aggiunto conoscenze, varietà, e con la dieta austera bisogna avere organi molto
esigenti e il primo organi esigente è il palato, che una volta che ha gustato la cultura culinaria non
può più tornare indietro. La natura non gli basta più. Non è possibile il ritorno alla natura dopo aver
gustato la cultura.
Programma etico riformistico di Diderot - la buona tavola, come la natura, è compromessa
Diderot non prefigura mai un ritorno allo stato del buon selvaggio.
Si delinea un programma etico riformistico, molto lontano dai dettami dei libertini o dei Bertin.
Diderot non prefigurerà mai un ritorno allo stato di natura del buon selvaggio. Se auspica un
modello in duo piacere, felicità e virtù vivono in completa armonia nella natura, sa bene che una
natura, dove la virtù non sia compresente al vizio, è pura utopia.
La natura è cultura e come tale è storia e quindi compromesso e connubio etico e politico. Così la
buona tavola.
Il vizio è un elemento indispensabile della natura umana. Rameau lo incarna in modo eclatante,
ma comunque è una componente.
L’elogio di Richardson
Richardson scrive “Clarissa e Pamela”.
Benedicte - Chardin, 1761 - mancanza di patetismo
Diderot commenta il quadro.
“E’ sempre un’imitazione moto fedele della natura, con quel fare che è proprio di quell’artista. Un
fare rude e come contrastante; una natura bassa, comune e domestica. Chardin ha dell’originalità
nel suo genere. Quest’originalità passa dalla sua pittura all’incisione. Quando si vede uno dei suoi
quadro, non ci si sbaglia più. lo si riconosce ovunque. Osservate la sua Gouvernante aves ses
enfants e avrete visto il suo Benedicte”
Distingue una tipica scena di genere in cui una madre mette sulla tavola delle pietanze mentre le
figlie si predispongono alla preghiera. L’attenzione di Diderot ricade proprio sulla scendadi famiglia.
E’ la descrizione di una natura “bassa e domestica”.
Probabilmente non sono state queste componenti tipicamente casalinghe a determinare il giudizio
non del tutto lusinghiero del quadro, ma la completa mancanza - come invece non accade mai n
Greuze - di patetismo. Sulla tavola di Chardin non si servita nessun dramma. Non si piange.
La storia non si sviluppa. E’ una fotografia. Non è un romanzo. Nei quadri di Greuze si apre un
mondo di narrazione, una fotografia non fine a se stessa ma un fotogramma. Come si aprisse alla
possibilità di sviluppo di un film infinito.
Diderot riserva una forte attenzione alla “pittura di genere”, pittura che all’epoca non era
apprezzata quanto quella storica.
I critici di Greuze sostengono che dipingesse 4 tipologie di viso, perché era un incapace. Diderot
invece volge in positivo la critica e sostiene che non è affatto vero che Greuze sapesse dipingere
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soltanto quelle 4 tipologie, ma che nei suoi quadri raccontasse storie che tutte insieme formavano
un grande romanzo. Sono storie che si susseguono. Pittura patetica o morale.
Cuisine italienne - Hurbert Robert
Vernet vs Boucher
Secondo Diderot Vernet ci racconta lo svolgersi della natura, abbiamo una vicenda.
Diderot fa rifeirmento al quadro di Chardin della serva, e sottolinea come la sua azione sia vera. La
sorprendente verità di tutti gli utensili da cucina e il colore e l’armonia della piccola composizione.
La cucina di cHardin è meglio di una qualsiasi rappresentazione di Boucher.
L’analisi dell’uomo di gusto e del giudizio di gusto a partire dal settecento
Per risolvere il problema di un relativismo del giudizio
1. individuare un sesto senso preposta alla ricezione e valutazione delle arti
2. affermare che il piacere fortemente compromesso con i sensi, e condivisibile
3. sostenere che le preferenze individuali si coalizzano e coagulano all’interno di una comunità
che le riconosce.
La sfida del settecento = conciliare la soggettività del piacere con l’universalità del giudizio di
gusto.
Il disinteresse estetico
Se il giudizio di un soggetto non è influenzato da elementi passional-soggettivi, allora il giudizio del
singolo può essere condiviso da tutti perché lockianamente tutti siamo conformati nello stesso
modo.
Primo livello del disinteresse = non avere interesse nella compravendita del quadro
Secondo livello = non avere interesse che coinvolga i sensi (per esempio l’erotismo)
Il disinteresse non è una mancanza di coinvolgimento. Se il disinteresse è un mancanza totale di
coinvolgimento allora l’opera non ci dice nulla e possiamo collocarla tra le opere brutte. Il
disinteresse è una sorta di “depurazione” preventiva. Si tratta di un coinvolgimento “educato” o
“depurato”. Educato al controllo e all’intensificazione dello sguardo. Lo sguardo implica una
sovrapposizione emotiva ma senza nessuna forma di interesse di tipo erotico.
————- 23 aprile manca
Il nostro rapporto con il mondo
Considerare il nostro principale rapporto con gli animali (che è quello tra noi e il nostro cibo).
Il modo in cui noi ci rapportiamo con gli animali, tra quelli che mangiamo e quelli che teniamo come
domestici, non è normale. Il fatto che il mio cane sono disposto a difenderlo e invece un altro
animale simile io non abbia nessun problema a mangiarlo. E’ un dilemma dal punto di vista morale.
Anche gli esseri umani noi li dividiamo in mondo radicale, tra quelli a cui teniamo e quelli a cui
teniamo molto meno. Esiste una grande differenza quindi.
Questa riflessione porta a ragionare su come ci rapportiamo con gli altri, il nostro modo di
classificare e dare peso agli uomini e agli animali.
Il nostro atteggiamento nei confronti degli animali è una spia di tutte le stranezze poco coerenti che
riguardano tutta la nostra vita.
Il nostro rapporto con il cibo
Gli uomini mangiano e hanno mangiato in passato praticamente tutto. Esistono cose che
fisiologicamente sono non immangiabili, ma tolte alcune cose la varietà di cibi regolarmente usati
dall’uomo è tanto grande quanto la varietà delle lingue.
Dato su cui dobbiamo riflettere.
La natura c’entra molto poco con ciò che mangiamo. Nel senso che è certo che ci sono dei margini
oltre i quali probabilmente non si può andare (sassi e sabbia tipo), ciò non di meno la quantità di
cose possibili da mangiare è talmente grande che dobbiamo farci una domanda: possiamo dire
che un certo tipo di cibo è naturale o tutto il nostro modo di mangiare dipende unicamente dalla
cultura? Cioè dipende unicamente dalle abitudini che i nostri genitori ci hanno insegnato?
A molti sapere di mangiare la bistecca di cane farebbe disgusto, eppure si mangia regolarmente a
poche ore di volo da qui.
Porsi la classica domanda: per l’uomo è naturale mangiar carne? E’ priva di utilità. L’uomo può
senz’altro l’una e l’altra cosa.
L’essere umano è capace di adattarsi a una quantità di alimentazioni possibili praticamente infinita.
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Victoria Tincati
Tutte le nostre abitudini alimentari sono tutte frutto di una educazione che proviene non soltanto
dalla famiglia, ma da una società che nel suo complesso ci impone una cultura alimentare.
Il cibo è un fattore collettivo
Il cibo è una cosa di cui non ci si nutre da soli, è un fattore eminentemente comunitario, collettivo.
E’ essenzialmente un comportamento sociale. Il pasto in comune è uno degli elementi costitutivi di
pensare la famiglia, l’amicizia, perché la disponibilità degli alimenti non dipende dal fatto che io
debba andarli a prender da soli quindi abbiamo bisogno dei panettieri, degli allevamenti etc.
Errore dell’uomo credendo che l’abitudine sia natura
Questa fondamentale natura sociale del cibo fa si che noi cadiamo in uno dei più grandi manifesti
errori dell’uomo. Scambiamo quello che è l’uso, l’abitudine che ci è stata insegnata dai genitori e
confermata ogni giorno dalla società, come natura. Pensiamo di esser fatti per mangiare le
bistecche o le carote. Siamo fatti in modo tale che ogni cosa vada bene.
La natura è un concetto di cui si abusa largamente. La natura non c’entra niente.
Non bisogna scambiare le abitudini come norma universale del mondo.
Si tratta di capire che è cultura, che ogni bambino che nasce non è vegetariano o carnivoro ma
diventa ciò che la società gli impone di essere.
Il possibile cambiamento
Tutti noi, di fronte a ciò che è l’insegnamento impartito, abbiamo un margine di possibile
cambiamento. Ci discostiamo da quello che è stato l’insegnamento e dalla cosa sociale più
comune, ma se questo è vero la domanda è: possiamo noi davvero pensare a una diversa cultura
del cibo? Possiamo discostarci dall’alimentazione che ci è stata insegnata e provare a vedere se ci
siano delle forme migliori, sane, giuste di alimentazione?
La cultura alimentare insegnata a noi è una delle infinite possibili, quindi credere che sia l’unica la
migliore e la più naturale è una sciocchezza. Esistono molte cose che non vanno nella cultura del
cibo.
Come è dimostrato da studi di tutti i tipi, la cultura del mangiare carne nel modo occidentale è
insostenibile, perché il consumo di carne fosse uguale in tutti i paesi del mondo e se quindi ci fosse
una simile alimentazione dovunque la terra diventerebbe inabitabile. Per una ragione molto
semplice: se con il pezzo di terra e l’acqua che serve per far vivere 50 persone, ci facciamo vivere
una mucca che potrebbe sfamare solo 4 persone.
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Victoria Tincati