S. Gelichi, ENTELLA E IL CASTELLO DI PIZZO DELLA REGINA

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S. Gelichi, ENTELLA E IL CASTELLO DI PIZZO DELLA REGINA
Scuola Normale Superiore di Pisa
Comune di Gibellina
CESDAE
Centro Studi e Documentazione sull’Area Elima
- Gibellina -
TERZE
GIORNATE INTERNAZIONALI DI
STUDI SULL’AREA ELIMA
(Gibellina - Erice - Contessa Entellina, 23-26 ottobre 1997)
ATTI
II
Pisa - Gibellina 2000
ISBN 88-7642-088-6
ENTELLA E IL CASTELLO DI PIZZO DELLA REGINA:
UN AVVIO DELLA RICERCA
SAURO GELICHI
1. Introduzione.
In questa comunicazione intendiamo presentare, in maniera
sintetica, i dati relativi all’indagine archeologica condotta, nel
1997, sul Pizzo della Regina, ad Entella1 (tav. CI). Lo scavo,
durato due settimane, aveva lo scopo di riprendere un’esplorazione a suo tempo avviata dalla Scuola Normale Superiore di Pisa2
su un’area tra le più significative dell’abitato medievale.
Per quanto non indirizzati specificamente allo studio dell’insediamento islamico, i colleghi della Scuola Normale hanno
scavato fasi postclassiche e, in molte circostanze, ne hanno anche
discusso i tratti salienti, proponendo approfondite e mature
ipotesi interpretative3. Grazie allo stato della ricerca, dunque, e
soprattutto in considerazione dell’importanza che Entella, almeno secondo le fonti scritte, sembra giocare a partire già dal secolo
XI (durante la conquista normanna), si è ritenuto utile riprendere
e discutere, in questa sede, i dati archeologici prodotti da più di
un decennio di lavori e alcune delle ipotesi avanzate sulla scorta
dei documenti scritti.
2. Il Pizzo della Regina
Come è noto il Pizzo della Regina è il più alto (557 m s.l.m.)
tra i rilievi sul pianoro (tav. CI, nr. 1). Per la sua posizione e per
i resti murari ancora visibili (e a maggior ragione nel passato) il
sito viene quasi sempre menzionato dai viaggiatori, cronisti e
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storici che, dal XVI in poi, parlano di Entella4. Particolari significativi, tuttavia, si rilevano soprattutto nella famosa lettera del
Sabatier all’Amari5, nella quale ci si dilunga su una struttura
voltata e si evidenzia la scarsa estensione dell’area sommitale,
soprattutto se messa in confronto, come il Sabatier fa, con quella
della vicina Calatamauro6.
Nella lettera del Sabatier comparivano anche alcuni disegni
di particolare suggestione e taluni schizzi, estremamente preziosi, in quanto ci consentono di apprezzare alcuni elementi strutturali perduti o nascosti dalla vegetazione (tav. CII). Dobbiamo
tuttavia evidenziare come la condizione di conservazione delle
strutture murarie non dovesse differire di molto da quella attualmente rilevabile, dopo un’accurata pulizia, sulla sommità del
rilievo. In particolare già al tempo del Sabatier una (ampia?)
porzione del pianoro, e della cinta che doveva chiuderlo, erano
già perduti (tale elemento si documenta con chiarezza dopo una
prima pulizia dell’area: ma vd. infra).
Infine ancora nelle ricognizioni del Wotschitzky (1965) il
Pizzo delle Regina viene ricordato, in maniera piuttosto evocativa,
in relazione alle imprese contro Federico, attraverso le ossa dei
caduti che si sarebbero viste al suo tempo sul pianoro7.
Come si può facilmente immaginare il toponimo ‘Pizzo
della Regina’ si riferisce alla figlia di Ibn-Abbad (il rivoltoso che
avrebbe guidato la prima cruenta fase di conflitto contro Federico
II e da lui ucciso), la quale, secondo una tradizione piuttosto tarda,
avrebbe tenuto testa allo stesso Federico asserragliandosi ad
Entella8. A questo proposito non va neppure sottaciuto il fatto che
ancora fonti di parte araba avevano riconosciuto in Entella il
luogo dove risiedeva lo stesso Ibn-Abbad (in contrasto con annali
di parte cristiana che lo dicono catturato a Monte Iato)9.
3. Lo scavo del Pizzo della Regina
Come abbiamo anticipato sull’area venne praticato un saggio nel 1991 da parte di Paola Ghizolfi, pubblicato nel 199410. Il
saggio (SAS 17), una trincea ortogonale al perimetrale NE della
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cinta (USM 17003), non fu completato. Venne messa in luce
un’ampia fossa, prodotta da scavi clandestini (in coincidenza
della quale la trincea fu ampliata verso NO), che andava a
coincidere con la parte settentrionale del saggio (tav. CIII, 1).
Furono poi scoperti alcuni elementi strutturali (USM 17005,
17015 e 17016), dei quali tuttavia, per le caratteristiche e le
dimensioni dell’intervento, non risultò possibile comprenderne
la funzione, né la cronologia. Fu solo rilevato il fatto che, tra i
materiali ceramici rinvenuti nei livelli superficiali (US 17001),
comparivano ceramiche posteriori al XIII secolo (le prime scoperte ad Entella), fatto che avrebbe confermato l’ipotesi di una
continuità di utilizzo dell’area ben oltre gli accertati abbandoni
della metà del ’20011. Questa circostanza, peraltro da definire
meglio in termini di natura e qualità dell’occupazione, non è
affatto improbabile12, anche se, al momento, pare limitarsi al solo
recupero della parte sommitale del pianoro.
L’intervento nel maggio del 199713 è consistito, inizialmente,
in un’estesa opera di pulizia, non solo del saggio del 1991 (quasi
completamente celato dalla vegetazione), ma anche del resto del
pianoro, con lo scopo di recuperare alla conoscenza le eventuali
emergenze affioranti che avrebbero consentito di ricomporre una
prima indicativa planimetria delle strutture sul sito e di valutare,
ove possibile, la consistenza e la natura del deposito antropico. Ci
siamo naturalmente scontrati, come in precedenza altri colleghi,
con un problema archeologico abbastanza complesso, quello cioè
della leggibilità delle stratificazioni, fortemente compromessa
dalla sedimentazione dei crolli dei muri in gesso che, con il tempo,
tendono a compattarsi e ad assumere una fisionomia molto simile
a quella della roccia in posto. Per tale motivo alcune linee
interpretative suggerite in questa prima relazione devono ritenersi
necessariamente orientative.
Al termine di un’estesa pulizia dell’area sommitale, che
assume una forma vagamente triangolare, il settore di scavo è
stato limitato ad una zona di ca. 110 m2, solo in parte coincidente
con il saggio del 1991, ma ancora addossato alla parete N della
cinta muraria. La scelta di questo settore era comunque quasi
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obbligata, non solo perché si veniva a riprendere l’intervento
precedente, ma anche perché, dopo la pulizia del pianoro, era
emerso, con sufficiente chiarezza, come solo tutta la fascia
settentrionale conservasse stratificazioni archeologiche (mentre
nella metà meridionale la roccia è ovunque affiorante).
La parte più alta del Pizzo della Regina è solo parzialmente
circondata da un circuito murario, in parte a vista, in parte
riconoscibile immediatamente sotto la cotica erbosa (tavv. CIII,
2; CIV, 1). Questo muro, che abbiamo rilevato per una lunghezza
di ca. m 30 (ripromettendoci di proseguire e completare il rilievo
nel 1998), ha uno spessore di ca. m 1,40-1,50 e corre irregolarmente a seguire il ciglio settentrionale del pianoro, tendendo a
chiuderlo, ad una quota leggermente inferiore, verso O. Questa
struttura, peraltro già documentata, anche se sommariamente, dal
Sabatier, sembra essere in connessione con altri elementi strutturali che si dislocano a quote diverse lungo lo scosceso pendio del
Pizzo della Regina e che dovranno essere meglio identificati e
rilevati (alcuni di questi muri compaiono anche nel disegno del
Sabatier).
Restando ai lacerti murari della parte sommitale, è da rilevare come questa cinta muraria, in blocchi di gesso appena sbozzati
legati con malta, si trovi solo sul versante N, quello che guarda
verso l’interno dell’abitato, mentre i lati E e S, esterni, scendono
a strapiombo. Si può congetturare, data la configurazione del sito,
che questi due versanti non necessitassero, in antico, di alcuna
protezione. Tuttavia poiché un ambiente identificato nello scavo
sul lato E del pianoro (vd. infra), in origine addossato alla cinta,
manca di un perimetrale, non è da escludere che la sommità abbia
subito un processo di erosione al quale imputare la perdita di parte
della cinta muraria (come peraltro già congetturato dalla stessa
Ghizolfi)14. In questo caso non saremmo più in grado di stabilire,
anche in maniera approssimativa, l’estensione originaria dell’area occupata, che oggi appare effettivamente molto modesta
(tutta quanta misura ca. m2 320).
All’interno di questa area, sul versante occidentale, si trova
una struttura voltata, che, con il Sabatier, credo si possa interpre-
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tare come cisterna, da sempre a vista e solo in parte ricolma di
macerie e detriti15 (tav. CIV, 2). Nella parte centrale del pianoro
la roccia era, ed è, affiorante: in questa zona non compaiono più
tracce di stratificazione (qualora ce ne siano state). Infine solo sui
versanti N ed E si riconoscono elementi strutturali.
Nello scavo la prima struttura emersa è un lungo muro (m 10,
spessore m 0,60), che correva in direzione N-S e si appoggiava,
ortogonale, alla cinta: si tratta della USM 17005 rinvenuta sul
limite del settore nell’intervento del 1991. Tale struttura doveva
delimitare un ambiente (ambiente 1) dislocato sul versante orientale dell’area, forse dell’ampiezza di m 3 (se si sono giustamente
interpretati alcuni frammenti murari ad esso paralleli, ubicati sul
ciglio degradato del sito e poggianti direttamente sulla roccia in
posto), e forse a sua volta suddiviso in due vani (di 15 m2
ciascuno?) (tav. CV, 1).
Un altro muro, invece, danneggiato in parte dalla citata buca
clandestina ed ancora intercettato nello scavo del 1991 (USM
17015 e 17016), doveva correre parallelo al perimetrale NE della
cinta e con questi formare un ulteriore ambiente (n. 2), che sembra
ricalcare nelle dimensioni la struttura precedente (ambiente 1).
Considerando il riempimento, in parte già scavato nel 199116 e in
parte ancora in posto, si può supporre che questo vano (il primo
di una lunga serie lungo il perimetrale NE?) dovesse avere livelli
d’uso più bassi rispetto al precedente, le cui quote di
pavimentazione erano quasi affioranti e coincidevano, in qualche
caso, addirittura con la roccia in posto. Non si può escludere la
possibilità che tali ambienti siano stati ricavati sfruttando un
naturale dislivello e in parte asportando la roccia in posto.
Poiché non sono stati scavati, ancora, contesti d’uso o di
abbandono e non sono state ancora analizzate le ceramiche
rinvenute in questa campagna di scavo (peraltro in numero molto
modesto) (tav. CV, 2), è prematuro suggerire una cronologia per
queste strutture né confermare l’ipotesi di una loro recenziorità
rispetto ai dati provenienti dall’abitato.
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4. Entella e l’insediamento islamico: alcune osservazioni e
qualche proposta di ricerca
Come è noto la prima attestazione scritta che menziona il sito
di Entella, dopo diversi secoli di silenzio, è un passo del biografo
di Ruggero d’Altavilla nel quale la si ricorda come teatro di una
sanguinosa vicenda (aspetto questo che sembra tragicamente
contrassegnare le sorti del nostro abitato anche nel periodo
successivo). Siamo negli anni della conquista normanna (forse
nei primi di marzo del 1062, come vuole l’Amari, o tra il 1060 e
il 1061, come ritiene il Pontieri) e il castrum Antilium, scrive
Goffredo Malaterra, viene preso d’assedio da Ibn Thimma, capo
musulmano passato dalla parte dei Normanni nel momento della
conquista e un tempo già padrone del castrum («quod quondam
suum fuerat»)17.
Una seconda menzione del sito compare nel registro dei
confini (Jarida) di S. Maria di Monreale (di cui possediamo una
versione in arabo ed una in latino) del 118218. Su questo importante documento torneremo più avanti. Poi il sito viene ricordato
in numerosi altri scritti a partire dalla fine del XII e per buona
parte del XIII secolo (nel 1206 una lettera di Innocenzo III
menziona un cayd di Entella, al quale il pontefice raccomandava
fedeltà per il giovane Federico II)19. Si tratta di fonti, in prevalenza narrative (di parta musulmana e sveva), che ci consentono di
ricostruire, in un dettaglio non sempre dirimente (si veda la
famosa questione della morte di Ibn Abbad già ricordata)20, le
vicende e il ruolo del sito soprattutto durante il periodo delle
rivolte antifedericiane, che come è noto conobbero due momenti
di particolare durezza, gli anni compresi tra il 1221 e il 1223 e tra
il 1243 e il 124621.
Il ruolo di Entella, nelle fonti scritte, appare prevalentemente
connesso (con l’eccezione, ma solo in parte, della Jarida del
1182), con la sua funzione di castrum, cioè di luogo forte e difeso,
retto da un governatore (un cayd come menziona la già ricordata
lettera di Innocenzo III)22, provvisto di sistemi difensivi (artificiali e naturali) tali da consentirgli di svolgere, nei momenti cruciali
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della storia di questa parte dell’isola, una funzione di tutto rilievo.
Così era stato al momento delle conquiste normanne, così sarà,
più di un secolo dopo, durante le rivolte saracene, il periodo dei
c. d. emirati delle montagne.
L’analiticità descrittiva delle fonti narrative, tuttavia, non
chiarisce, né potrebbe, così concentrata a raccontarci di tranelli e
spostamenti di truppa, il ruolo e la funzione di questo sito nella
lunga durata, la sua configurazione di abitato, i tempi e i modi
della sua occupazione. Vediamo quali dati è in grado, al momento, di fornire l’archeologia.
Credo non vi siano dubbi nel sostenere che la prima attestazione scritta di Entella trovi piena conferma nei dati archeologici
finora disponibili. Anche se nessun chiaro contesto di XI secolo
è stato ancora scavato (infatti le fasi di occupazione individuate
si riferiscono ai periodi di tarda occupazione/abbandono, per es.
il SAS 9 (tav. CI, nr. 5) oppure il palazzetto fortificato di SAS 12) (tav. CI, nr. 2)23, l’abbondante ceramica rivestita, di seconda
metà X e prima metà XI, seppure rinvenuta residua o in ricognizioni di superficie, ne rappresenta credo una inequivocabile
conferma24.
Il primo problema che si pone, dunque, è: quanto prima del
1060 (o 1061-1062) la rocca di Entella tornò ad essere stabilmente abitata? In linea di principio una retrodazione almeno di un
cinquantennio (se non di più) della ceramica sopra citata non
rappresenta un problema25, e del resto il sito, verso la metà del
secolo XI, viene già descritto (oltre che come castrum) anche
come un centro abitato. Tuttavia i più volte richiamati problemi
sul riconoscimento della ceramica anteriore alla metà del secolo
X e l’assenza, almeno fino ad oggi, di sequenze stratigrafiche con
fasi induttivamente databili agli inizi della occupazione islamica,
devono imporre cautela. Le uniche cronologie assolute, basate su
analisi al C14 eseguite su un paio di campioni scheletrici della
necropoli A, riportano ad un periodo non anteriore alla metà del
secolo XI (come estremo della forbice) e dunque sono, sotto
questo profilo, inutilizzabili. Resta allora per Entella la possibilità, che sembra darsi anche per altri siti d’altura della Sicilia
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occidentale, di una rioccupazione promossa a seguito dei famosi
rescritti del califfo Al Muizz del 96726; rescritti che, dopo la pace
con i Bizantini, prevedevano, come è noto, l’accentramento
dell’habitat, la fondazione di città ben protette e difese e la
realizzazione di strutture come moschee e minbar27.
Tale ipotesi dovrebbe essere correlata con un approfondita
analisi dell’insediamento rurale. Anche le significative indagini
realizzate, in quest’area, dalla Canzanella28, devono forzatamente fare i conti con quanto esposto a proposito dei “fossili guida”.
Tuttavia la ricercatrice sembra propensa a suggerire, per almeno
tre insediamenti censiti sul territorio29, la possibilità di una
continuità di occupazione dall’età classica (come è noto, anche in
questa zona, un notevole flessione si registrò a partire dal V-VI
sec. d. C.) fino all’epoca araba. Una persistenza insediativa, tra
l’età antica e il periodo islamico, è stata suggerita per diversi siti
da Johns nell’indagine sul Monreale Survey, in un’ottica di
lettura nella linea di una sostanziale continuità30.
Se dunque l’origine dell’abitato entellino medievale necessita ancora di qualche chiarimento minori incertezze ci sembrano
sussistere sulla successiva continuità di occupazione, almeno
fino al periodo federiciano.
In una recente sintesi sul sito Alessandro Corretti suggerisce
che una ripresa di occupazione dovette registrarsi dopo il 1182
(anno della compilazione della più volte menzionata Jarida di
Monreale) e il 1206, anno della lettera di Innocenzo III31. Tale
ipotesi sarebbe anche confermata dalla documentazione archeologica, che registrerebbe un sensibile incremento proprio verso la
fine del secolo XII.
L’evidenza archeologica delle fasi tardive di occupazione è,
sicuramente, la più cospicua. Lo scavo del c. d. palazzetto
fortificato ha messo in evidenza una consistente documentazione, anche ceramica, della prima metà del XIII secolo32. Tuttavia,
con poche eccezioni, il resto dell’abitato islamico è stato oggetto
di scavi necessariamente molto circoscritti33 e dunque, al momento, limitatamente significativi sulla possibilità di registrare cesure
insediative, più o meno forti, nel corso del secolo XII.
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L’idea di una cesura, dunque, più che dall’evidenza archeologica, deriva dalla lettura della famosa Jarida del 1182 che,
secondo J. Johns, conterrebbe indiscutibili riferimenti ad un sito
disabitato34.
La Jarida è documento ampiamente noto e, oltretutto, Johns
ne ha data, di recente, una nuova edizione35. Non è questa la sede
per richiamare, nel dettaglio, il significato e il contesto all’interno
del quale tale documento venne prodotto, anche se mi corre
l’obbligo di ricordare, almeno, che si tratta della descrizione dei
confini dei territori di pertinenza dell’abbazia benedettina di S.
Maria di Monreale. Benché redatto nel 1182 il documento si
riferisce, quasi nella sua interezza, ai terreni donati al cenobio da
Guglielmo II nel 1176.
Trovandosi le terre menzionate sul confine fra le ex baronie
di Battallaro e di Calatrasi, la Jarida del 1182 costituisce anche
un buon documento su Entella e sul territorio circostante, nonostante il fatto che molti dei riferimenti topografici non sempre
siano facilmente rintracciabili nella toponomastica attuale. Tuttavia quello che si vuole richiamare in questa sede è un breve
passaggio nel quale si leggono alcuni importanti riferimenti
all’abitato. Così recita la versione latina: (i confini vanno) «...
usque ad viam que ducit de Battalaro ad Kalatahili, usque ad
petram erectam que est in fine dirroiti de Hantalla, et ascendunt
ab ipso usque ad montem magnum rubeum et perveniunt ad
turrim que est in extremo muralium et ascendunt de turri usque ad
portam que est inter duas rupes» e continua «...ubi sunt arbores
ficulnae que sunt in altera duarum rupium et ascendunt inter eas
usque ad hedificia diruta Haret Elgalfe»36. Il passo, che ho
ovviamente maggior difficoltà a commentare nella versione in
arabo, porta, a mio giudizio, chiari riferimenti a componenti
materiali dell’abitato di Entella esistenti o ancora visibili in quel
periodo: e cioè ad un muro (meglio sarebbe dire ‘muraglia’,
secondo il testo), una torre («que est in extremo muralium»), una
porta («que est inter duas rupes») e, infine, una serie di edifici, in
rovina, chiamati Haret Elgalfe.
J. Johns, invece, ritiene di dover interpretare tutto il passo
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come un esplicito riferimento ad un abitato in rovina e abbandonato. Per confortare questa ipotesi di degrado Johns sottolinea la
ricorrenza dei termini dirroitum attribuito ai fines di Entella e
diruti associato agli edifici il cui toponimo Haret Elgalfe, chiaramente traslitterato dall’arabo, potrebbe sciogliersi, ancora secondo il ricercatore anglosassone, in «quartiere abbandonato»37;
inoltre pensa di poter cogliere nei termini di muraglia, torre e porta
riferimenti a formazioni naturali e non ad elementi del paesaggio
antropico. Secondo questa lettura, dunque, Entella sarebbe stata
abbandonata tra il tardo XI e la prima metà del XII secolo,
momento nel quale si ritiene di poter collocare, come abbiamo
detto, non la redazione della Jarida, ma i riferimenti confinari e le
informazioni topografiche in essa contenuti. Tale ipotesi sarebbe
indirettamente confermata dal fatto che nessuna fonte scritta
ricorda l’abitato di Entella in quel periodo e che neppure il
geografo arabo Al-Idrisi la menziona nella sua opera38.
L’ipotesi è suggestiva ed ingegnosa, ma sicuramente fragile
e priva di riscontri letterari, diplomatici ed archeologici. Solo il
dirroitum riferito ai fines entellini (tralasciando il problema della
traduzione del termine arabo, zalazil, in «terremoto», che in
italiano non dà senso) potrebbe richiamare la particolare configurazione naturale di Entella. Non sono invece in grado di confermare la frequenza di un uso figurato dei termini buri, sur e bab nei
testi letterari arabi, corrispondenti ai latini turris, muralia e porta,
anche se una tale insistenza mi sembrerebbe abbastanza improbabile. Se quindi non cediamo alla tentazione di vedere in queste
definizioni riferimenti a componenti naturali del paesaggio, il
ripetuto richiamo ad elementi tutti pertinenti ad una struttura di
protezione dell’abitato, sembrerebbe andare nella direzione opposta e cioè di conferma dell’esistenza, almeno in alcuni tratti, di
un potente e funzionante apparato difensivo, che doveva consentire un accesso controllato al pianoro (come doveva essere stato
nel secolo XI, come sarà, certamente nella prima metà del XIII,
durante le guerre antifedericiane). L’«abitato diruto e abbandonato» chiamato Haret Engalfe non deve far pensare, necessariamente, ai resti di un villaggio di poco precedente in rovina (e dunque
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disabitato), ma potrebbe riferirsi a ruderi antichi ancora a vista: un
elemento topografico sufficientemente caratterizzato (e caratterizzante una parte del pianoro, dove va sicuramente collocato) da
favorire la formazione e il consolidarsi, nell’uso, di questo
toponimo. Del resto casi analoghi non sono sconosciuti nelle più
o meno coeve fonti latine di terraferma39 e che resti dell’antico
abitato elimo potessero essere ancora parzialmente visibili in
epoca araba non è ipotesi peregrina, se si considera il fatto, ad
esempio, che ruderi dell’edificio ellenistico (SAS 3) scavato di
recente erano ancora conservati fino a qualche decennio fa40.
L’argomento ex silentio, cioè l’assenza di menzione nelle
fonti scritte di Entella tra XI e XII secolo, non è a mio giudizio
elemento decisivo, almeno da solo. Idrisi, come egli stesso
ammette, non fa una descrizione dettagliata di tutte le località; in
accordo con la Canzanella sarei dunque dell’avviso di considerare la mancata menzione di Entella nelle pagine del geografo arabo
come riconnessa ad un processo di selezione operato dallo stesso
autore nel descrivere i siti41.
Ma anche l’accertamento che l’abitato non avrebbe conosciuto, tra X e prima metà XIII, alcuna cesura insediativa, non
rappresenta il punto di arrivo della ricerca, bensì solo l’inizio; un
aspetto che deve orientare i nostri sforzi verso la comprensione di
altre vicende del popolamento di questi territori, quando le si
vogliano svincolare da meccanici accostamenti a fatti o episodi di
guerra.
L’estensione e la configurazione dell’abitato di epoca islamica
è ancora da definire. Non vi è dubbio che i punti ‘forti’ del sito
siano stati sede di importanti strutture militari e residenziali. Se la
funzione delle murature individuate e in corso di scavo sul Pizzo
della Regina sarà, mi auguro, chiarita nelle prossime campagne, è
evidente la duplice funzione (militare e residenziale) dell’edificio
scavato in corrispondenza dei SAS 1-2 che, se non proprio la
residenza di Ibn Abbad (o successivamente della sua mitica figlia),
di certo fu abitazione di un personaggio di elevato rango sociale42.
Ipotetica è invece la cronologia e la funzione delle strutture, in
parte affioranti, individuate nel rilievo a N dei SAS 1-2.
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S. GELICHI
Un dato poi che mi sembra molto significativo è la presenza,
in ogni SAS aperto, di tracce più o meno consistenti di occupazione islamica: di recente è stata peraltro fornita la spiegazione della
consistente presenza di ceramica medievale anche nel SAS 343, a
monte del quale sono state rinvenute tracce di edifici abitativi di
quel periodo. Mancano, è vero, le complesse articolazioni dell’abitato attestate ad esempio da Isler a Monte Iato44, ma non
bisogna neppure dimenticare come le obbligatorie scelte di scavo
abbiano, nel caso di Entella, prodotto una documentazione, sotto
questo profilo, molto più frazionata (vd. n. 33). Non siamo in
grado dunque di pronunciarci, non tanto sulla presenza diffusa
dell’insediamento islamico45, quanto sulla sua effettiva densità
all’interno dei quaranta ettari che costituiscono il pianoro. Nei
casi in cui i sondaggi l’abbiano permesso, la presenza di edifici
abitativi (e in qualche caso anche artigianali) è documentata con
una certa frequenza: si tratta, in genere, di ambienti di forma
rettangolare, con muretti spesso associati a strutture semiscavate
nella roccia46. Anche nei casi di manufatti o complessi artigianali,
come quello del SAS 6, di cui si presume una cronologia all’epoca classica, vi sono evidenti prove di un loro (ri)utilizzo in età
medievale47.
Per quanto concerne l’effettiva estensione dell’abitato, la più
volte rilevata assenza di fortificazioni di epoca medievale ne ha
condizionato l’interpretazione. Qualora si volesse considerare la
presenza di sepolture islamiche come indicatore di area
extraurbana, saremmo di fronte a casi di dubbia o sibillina
interpretazione, come ha recentemente suggerito R. Guglielmino48.
La necropoli (induttivamente islamica) individuata al punto 8 del
pianoro (tav. CI, nr. 8) potrebbe indicare una zona che (forse non
sempre) sarebbe stata esterna all’abitato49: ma se così è, come
spiegare il fenomeno delle sepolture in prossimità delle abitazioni
(come quelle scoperte in vicinanza di SAS 12)50 o addirittura
dell’infante nel SAS 1-251? Ed inoltre: siamo sicuri che questa
necropoli appartenga ad epoca islamica?
Piuttosto credo sia da riprendere in considerazione la possibilità che l’assenza di mura medievali possa essere da imputare
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al fatto che il sito era per un versante naturalmente difeso, per
l’altro forse protetto dalle mura antiche. Gli archeologi, almeno
fino ad oggi, non hanno rilevato palesi tracce di rifacimenti sulle
superstiti mura urbiche, anche se ceramiche islamiche sono state
rinvenute in prossimità di queste strutture e in occasione dei
sondaggi52. Ma se interpretiamo, come credo dobbiamo, in senso
letterale le indicazioni contenute dalla Jarida sopra menzionata,
l’ipotesi che l’abitato fosse, anche in epoca medievale, parzialmente circondato da mura, acquisisce ulteriore forza.
Insieme ai problemi di natura squisitamente topografica
(estensione e densità dell’insediamento e sua eventuale trasformazione nel tempo), saranno da riprendere e sviluppare anche
altri temi. Le caratteristiche delle strutture abitative, finora poco
note, gli aspetti della stratificazione sociale e delle componenti
economiche, comprese quelle artigianali (sarebbe ad es. interessante poter confermare l’ipotesi di una produzione di ceramiche,
indiziata finora da pezzi non finiti e distanziatori per cottura,
rinvenuti al momento nelle ricognizioni di superficie)53. Ma,
soprattutto, sarà importante rileggere la storia dell’insediamento
entellino in relazione con le dinamiche del popolamento rurale,
riprendendo in esame ed approfondendo, per quanto attiene le
fasi postclassiche, alcuni risultati già acquisiti nelle ricognizioni
di superficie dall’équipe della Scuola Normale. Analoghi studi in
territori finitimi hanno già dato, anche sotto questo profilo,
lusinghieri ed incoraggianti risultati.
NOTE
1
Vorrei innanzitutto ringraziare il prof. Giuseppe Nenci, cui debbo
l’invito ad iniziare la mia attività di ricerca su Entella nel Medioevo; se non
fosse stato per la sua gentile pressione, su di me in origine un po’ riluttante
ad impegnarmi in un progetto di cui mi erano chiari l’importanza ma per il
quale mi sentivo impreparato, non mi troverei a presentare questi primi
risultati. Tra gli aspetti che mi hanno convinto ad impegnarmi in questa
iniziativa va certamente annoverata anche l’eccellente qualità della ricerca
svolta sul campo dall’équipe della Scuola Normale Superiore di Pisa, che ha
operato nel migliore dei modi anche sulle fasi postclassiche del sito (tanto da
farmi poi chiedere se effettivamente avessero bisogno di uno ‘specialista’ del
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S. GELICHI
Medioevo). Già questo mio contributo deve molto a loro, e soprattutto alla
dott.ssa Maria Cecilia Parra, al dott. Alessandro Corretti, che ha indagato il
complesso medievale più famoso del sito, e ai dott. Riccardo Guglielmino e
Pier Francesco Fabbri, che hanno lavorato sull’altrettanto eccezionale necropoli
di epoca islamica. A tutti costoro va dunque il mio più sentito ringraziamento.
Alla dott.ssa Carmela Angela Di Stefano, Soprintendente ai Beni Culturali e
Ambientali per la Provincia di Palermo e alla dott.ssa Francesca Spatafora,
ispettrice di zona, devo la disponibilità e la cordialità con la quale mi hanno
accolto. Vorrei infine ringraziare i miei allievi pisani (i dott. Antonio Alberti
e Chiara Favilla), che mi hanno seguito in questa ‘avventura’ entellina e che
hanno diretto, con perizia e competenza, il saggio di cui parleremo.
2
P. GHIZOLFI, SAS 17, in AA. VV., Entella. Relazione preliminare
delle campagne di scavo 1990-1991, ASNP, S. III, XXIV, 1994, 85-336, 286298, tavv. LXI-LXVIII.
3
A parte le relazioni di scavo, nelle quali compaiono di frequente
riferimenti alle fasi e ai materiali medievali, corre qui l’obbligo segnalare,
come contributi di sintesi, A. CORRETTI, Il palazzo fortificato di Entella nel
panorama siciliano, in «Atti delle Giornate Internazionali di Studi sull’Area
Elima, Gibellina 1991», Pisa-Gibellina 1992, 203-212 (sul palazzo fortificato, ma non solo); ID., Resti medievali di Entella, in «Dagli scavi di Montevago
e di Rocca di Entella un contributo di conoscenze per la Storia dei Musulmani
della Valle del Belice dal X al XIII secolo, Montevago 1990», Agrigento
1992, 51-66; e soprattutto ID., Entella, in C. A. DI STEFANO - A. CADEI (a cura
di), Federico e la Sicilia dalla terra alla corona. Archeologia e Architettura,
Palermo 1995, 92-109. Per quanto concerne la necropoli, R. GUGLIELMINO, La
necropoli musulmana di Entella, in «Dagli scavi di Montevago e di Rocca di
Entella un contributo di conoscenze per la Storia dei Musulmani della Valle
del Belice dal X al XIII secolo, Montevago 1990», Agrigento 1992, 231-240;
ID., La necropoli islamica di Entella, e P. F. FABBRI, Nota antropologica sugli
inumati di rito islamico della necropoli di Rocca di Entella, in C. A. DI
STEFANO - A. CADEI (a cura di), Federico e la Sicilia dalla terra alla corona.
Archeologia e Architettura, Palermo 1995, 110-120. Infine, per quanto
concerne le ceramiche, P. GHIZOLFI, Primi risultati dello studio della ceramica medievale di Entella, in «Atti delle Giornate Internazionali di Studi
sull’Area Elima, Gibellina 1991», Pisa-Gibellina 1992, 363-369; EAD., La
ceramica medievale di Rocca d’Entella, in «Dagli scavi di Montevago e di
Rocca di Entella un contributo di conoscenze per la Storia dei Musulmani
della Valle del Belice dal X al XIII secolo, Montevago 1990», Agrigento
1992, 67-93; EAD., Ceramiche medievali da Entella (prime campagne
archeologiche), in G. NENCI (a cura di), Entella I, Pisa 1995, 189-217.
4
A partire dal Fazello (F. T. FAZELLUS, De rebus Siculis decades
duae, Panormi 1588) che ricorda i resti della Rocca semidistrutta.
ENTELLA E IL CASTELLO DI PIZZO DELLA REGINA
5
649
Sulla lettera del Sabatier vd. G. NENCI, Entella nel 1858 in una
lettera di François Sabatier a Michele Amari, ASNP, S. III, XX, 1990, 785790.
6
Su Calatamauro vd. F. MAURICI, Castelli medievali in Sicilia. Dai
Bizantini ai Normanni, Palermo 1992, 174-175 e 264.
7
A. WOTSCHITZKY, I. Kundfahrt nach Entella. II. Zwei ‘phalloi’ aus
Entella, Innsbrucker Beiträge, XI, 485-505. Riteniamo, ma è solo una
congettura, che Wotschizky possa aver rilevato la presenza di ossa umane
nella zona sotto e immediatamente a N del SAS 1-2, dove, dopo le arature,
sono effettivamente state segnalate dai ricercatori della Scuola Normale
(GUGLIELMINO, La necropoli... cit., 111-112).
8
Si tratta di un testo del XIV secolo edito da E. LÈVI PROVENÇAL, Une
héroine de la résistence musulmane en Sicilie au début du XIII siècle, Oriente
Moderno, XXIV, 1954, 283-288. Sulla leggenda vd. anche M. CARCASIO, La
leggenda della “Regina” di Entella nella tradizione popolare di Contessa
Entellina, in Entella ultima luna, Palermo 1988, 21-23 e F. MAURICI, L’emirato
sulle montagne, Palermo 1987, 42-44.
9
Sulle fonti di parte araba che si riferiscono a questo episodio vd. J.
JOHNS, Entella nelle fonti arabe, in G. NENCI (a cura di), Alla ricerca di
Entella, Pisa 1993, 88-91; per quelle di parte cristiana M. G. CANZANELLA,
Entella nelle fonti latine medievali, ibid., 55-56.
10
GHIZOLFI, SAS 17... cit.
11
Ibid., 290-291 (nnrr. E3340, 3344, 3346). Non abbiamo ancora
preso visione diretta dei materiali a cui la Ghizolfi si riferisce, ma le
argomentazioni che avanza e i confronti che istituisce ci sembrano, stando
alle illustrazioni, pienamente convincenti.
12
F. ALOISIO, Rocca d’Entella. Note storico-critiche2, Mazara 1940,
87, a proposito di Entella, ricorde che «la popolazione cristiana non riuscì nel
1258 a ripopolarla», probabilmente riferendo anche ad Entella un documento
dell’8.9.1258, alla Biblioteca Regionale di palermo, relativo invece ad un
tentativo di ripopolamento della divisa Jati mediante immigrati armeni.
13
Lo scavo, diretto dello scrivente con la collaborazione di due
specializzandi dell’Università di Pisa e di ca. 6 operai, ha avuto la durata di
due settimane (dal 12 al 24 maggio).
14
GHIZOLFI, SAS 17... cit., 287-288.
15
Oltre alla cisterna del castello di Calatamauro, citata dal Sabatier,
vd. come confronto quella indagata di recente nel castello di Calatrasi (F.
SPATAFORA - M. DENARO - V. BRUNAZZI, Il Castello di Calatrasi, in AA. VV.,
Archeologia e territorio, Palermo 1997, 401 e 404).
16
GHIZOLFI, SAS 17... cit., 289 (all’interno sono state identificate le
US 17011, 17018 e 17019).
17
CANZANELLA, Entella... cit., 51.
650
S. GELICHI
18
19
20
21
JOHNS, Entella... cit.,61-82.
CANZANELLA, Entella... cit., 54-55.
Sull’episodio vd. anche MAURICI, L’emirato... cit., 40-42.
Vd. F. MAURICI, Breve storia degli arabi in Sicilia, Palermo 1995,
143-153.
22
Sulla figura del cayd vd. le osservazioni di A. MOLINARI, Segesta
nel XII secolo: i Musulmani e la dominazione normanna, in «Atti delle
Seconde Giornate Internazionali di Studi sull’area Elima, Gibellina 1994»,
Pisa-Gibellina 1997, 1179-1180.
23
Sul SAS 9 vd. G. BEJOR, L’area 9, in AA. VV., Entella. Ricognizioni topografiche e scavi 1987, ASNP, S. III, XVIII, 1988, 1469-1556, 15071523; sul palazzetto (SAS 1-2) le sintesi di CORRETTI, Il palazzo... cit., Resti...
cit. e Entella... cit.).
24
Ceramica di questo periodo è esposta nell’Antiquarium (M. C.
PARRA (a cura di), Antiquarium di Entella. Guida del Museo, Contessa
Entellina 1997, H1-H4) e la sua presenza, già indicativamente segnalata dalla
Ghizolfi nei suoi lavori preliminari dei primi anni ’90 (GHIZOLFI, Primi
risultati... cit., e La ceramica... cit., ad es. catini ad orlo bifido, fig. 14, 1-2),
è stata di recente meglio caratterizzata dalla medesima ricercatrice (GHIZOLFI,
Ceramiche medievali... cit., 191-192); ceramica di questo tipo mi viene
segnalata ancora da A. Corretti, che l’ha rinvenuta recentemente in fosse di
scarico nel SAS 22 a SO del ‘Pizzo della Regina’.
25
Per una sintesi sulla ceramica siciliana e su queste prime invetriate
policrome vd. A. MOLINARI, La ceramica dei secoli X-XIII nella Sicilia
occidentale: alcuni problemi di interpretazione storica, in «Atti delle Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima, Gibellina 1991», Pisa-Gibellina
1992, 501-522; ceramica di questo periodo è stata riconosciuta di recente
anche in altri siti d’altura di questa area come Calathamet (J. M. POISSON,
Calathamet. Dal hisn arabo al castello normanno: una vera cesura, in «Atti
delle Seconde Giornate Internazionali di Studi sull’area Elima, Gibellina
1994», Pisa-Gibellina 1997, 1225-1229) o Castello della Pietra (F. D’ANGELO, La ceramica islamica (seconda metà X-prima metà XI secolo) dello scavo
del castello della Pietra (Comune di Castelvetrano), in «Atti delle Seconde
Giornate Internazionali di Studi sull’area Elima, Gibellina 1994», PisaGibellina 1997, 451-463).
26
Vd. A. MOLINARI, Le campagne siciliane tra il periodo bizantino e
quello arabo, in «Acculturazione e mutamenti. Prospettive nell’archeologia
medievale del Mediterraneo, Pontignano-Montelupo 1993», Firenze 1995,
230-231; e il recente EAD., Segesta II. Il castello e la moschea (scavi 19891995), Palermo 1997, 25-26.
27
H. BRESC, L’incastellamento in Sicilia, in I Normanni popolo
d’Europa. MXXX-MCC, Roma 1994, 217.
ENTELLA E IL CASTELLO DI PIZZO DELLA REGINA
28
651
M. G. CANZANELLA, L’insediamento rurale nella regione di Entella,
in «Atti delle Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima, Gibellina
1991», Pisa-Gibellina 1992, 151-172; EAD., L’insediamento rurale nella
regione di Entella dall’età arcaica al VII sec. d. C. Materiali e contributi, in
G. NENCI (a cura di), Alla ricerca di Entella, Pisa 1993, 197-338.
29
CANZANELLA, L’insediamento rurale nella regione di Entella... cit.,
160-161.
30
J. JOHNS, Monreale Survey. L’insediamento umano nell’Alto Belice
dall’età Paleolitica al 1250 D. C., in «Atti delle Giornate Internazionali di
Studi sull’Area Elima, Gibellina 1991», Pisa-Gibellina 1992, 415-416;
casomai lo studioso anglosassone preferisce riconoscere segni di cambiamento tra XII e XIII secolo (ibid., 415).
31
CORRETTI, Entella... cit., 93.
32
Per es. ibid., A25, A27-A28, A30-33 passim.
33
Come è noto l’area è ancora di proprietà privata e gli scavi sono
stati preferibilmente limitati alle aree marginali del sito, quelle cioè lungo i
bordi del pianoro, per non danneggiare o impedire la coltivazione. Questo
fatto ha in generale condizionato la scelta delle strategie di indagine, compreso quelle che avrebbero aiutato a meglio comprendere le caratteristiche
dell’insediamento arabo.
34
Tale ipotesi era stata espressa, anche se in termini più sintetici, da
MAURICI, L’emirato... cit., 63.
35
JOHNS, Entella... cit., 61-97, in part. 61-67, per il testo e 68-82 per
il commento.
36
JOHNS, Entella... cit., 66.
37
Ibid., 73.
38
Ibid., 74. Inoltre Idrisi segnalerebbe alcuni siti che sarebbero stati
abbandonati dopo la conquista normanna, tra cui anche Erice (F. MAURICI,
Erice: problemi storici e topografico-archeologici fra l’età bizantina ed il
Vespro, in «Atti delle Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima,
Gibellina 1991», Pisa-Gibellina 1992, 443-461, 447-448). Tuttavia alcuni
studiosi avanzano non poche perplessità sulla attendibilità di Idrisi (vd. ad es.
D’ANGELO, La ceramica... cit., 454).
39
Su questi problemi vd. A. A. SETTIA, La toponomastica come fonte
per la storia del popolamento rurale, in V. FUMAGALLI - G. ROSSETTI (a cura
di), Medioevo rurale. Sulle tracce della civiltà contadina, Bologna 1980, 3556; C. LA ROCCA, «Fuit civitas prisco in tempore»: trasformazioni dei
municipia abbandonati nell’Italia occidentale nel secolo XI, Segusium,
XXXII, 1991, 103-140; e S. GELICHI, Le mura inesistenti e la città dimezzata.
Note di topografia pisana altomedievale, Arch Med, XXV, 1998, 78-84. Del
resto anche Maurici (Erice... cit., 447) è dell’avviso di interpretare come
abitato antico o come i resti del tempio di Afrodite la «fortezza che non si
652
S. GELICHI
custodisce né alcun vi bada» citata da Idrisi a proposito di Erice.
40
M. C. PARRA et alii, L’edificio ellenistico nella conca orientale, in
G. NENCI (a cura di), Entella I, Pisa 1995, 9-76, 9.
41
Canzanella, L’insediamento... cit., 211-212.
42
Diversi ne sarebbero gli indizi, tra cui la presenza di un hammam,
come è stato già segnalato (CORRETTI, Entella... cit., 95, fig. 3).
43
M. C. PARRA, Edificio ellenistico (SAS 3), in AA. VV., Entella.
Relazione preliminare della campagna di scavo 1988, ASNP, S. III, XX,
1990, 429-552, 450-456.
44
Sugli scavi di Monte Iato e sulla fase araba la bibliografia è
consistente: vd., come sintesi, H. P. ISLER, Gli Arabi a Monte Iato, in «Dagli
scavi di Montevago e di Rocca di Entella un contributo di conoscenze per la
Storia dei Musulmani della Valle del Belice dal X al XIII secolo, Montevago
1990», Agrigento 1992, 105-125 e ID., Monte Iato, in C. A. DI STEFANO-A.
CADEI (a cura di), Federico e la Sicilia dalla terra alla corona. Archeologia
e Architettura, Palermo 1995, 121-150. Su Monte Iato e, più in generale, sulle
caratteristiche dei villaggi siciliani di questo periodo è ancora utile consultare
F. D’ANGELO, L’archeologia medievale e la ceramica del villaggio nella
Sicilia Occidentale, in «La Sicilia Rupestre nel contesto delle civiltà mediterranee, Catania-Pantalica-Ispica 1981», Lecce 1986, 295-317. Per una dettagliata analisi della struttura di un altro insediamento arabo recentemente
scavato, quello di Segesta, vd. MOLINARI, Segesta... cit.; M. PAOLETTI - M. C.
PARRA, Lo scavo dell’area 3000 (SAS 3), in AA. VV., Segesta. Storia della
ricerca, parco e museo archeologico, Ricognizioni topografiche (19871988) e relazione preliminare della campagna di scavo 1989, appendice,
ASNP, S. III, XXI, 1991, 765-994, 829-856; M. V. BENELLI - M. DE CESARE
- M. PAOLETTI - M. C. PARRA, Lo scavo dell’area 3000 (SAS 3), in AA. VV.,
Segesta. Parco archeologico e relazioni preliminari delle campagne di scavo
1990-1993, ASNP, S. III, XXV, 1995, 537-1295, 662-755 e R. CAMERATA
SCOVAZZO - A. MOLINARI - M. PAOLETTI - M. C. PARRA - A. PINNA, Segesta
nell’età sveva, in C. A. DI STEFANO - A. CADEI (a cura di), Federico e la Sicilia
dalla terra alla corona. Archeologia e Architettura, Palermo 1995, 190-200.
45
Oltre che nei saggi citati, tracce di frequentazione o occupazione
di epoca medievale sono state segnalate in quasi tutti i sondaggi; vd. ad es.
SAS 12 (D. MORESCHINI, SAS 12, in AA. VV., Entella. Relazione preliminare
della campagna di scavo 1988, ASNP, S. III, XX, 1990, 429-552, 505-506),
SAS 15 (M. DE CESARE, SAS 15, in AA. VV., Entella. Relazione preliminare
delle campagne di scavo 1990-1991, ASNP, S. III, XXIV, 1994, 85-336, 235246, 236), SAS 16 (C. MICHELINI, Un nuovo sondaggio sull’acropoli di
Entella, in AA. VV., Entella. Relazione preliminare delle campagne di scavo
1990-1991, ASNP, S. III, XXIV, 1994, 85-336, 246-279, 248).
46
Per un’idea sugli edifici qualche indicazione ci proviene ancora
ENTELLA E IL CASTELLO DI PIZZO DELLA REGINA
653
dal SAS 9 (BEJOR, L’area... cit.).
47
M. G. CANZANELLA, Impianto artigianale (SAS 6), in AA. VV.,
Entella. Relazione preliminare della campagna di scavo 1988, ASNP, S. III,
XX, 1990, 429-552, 472-501.
48
G UGLIELMINO , La necropoli islamica... cit., 111-112 (con
bibliografia).
49
Questa ipotesi sarebbe plausibile se, almeno in un certo momento
dell’abitato medievale, un muro fosse andato a chiudere una parte del pianoro
a NE del SAS 1-2, dove ancora oggi è avvertibile un discreto dislivello
naturale (GUGLIELMINO, La necropoli islamica... cit., ipotesi esposta alla n.
14).
50
MORESCHINI, SAS 12... cit., 505-506; anche M. C. PARRA, Edificio
ellenistico (SAS 3), in AA. VV., Entella. Relazione preliminare delle campagne di scavo 1990-1991, ASNP, S. III, XXIV, 1994, 85-336, 153-192, 161,
postula l’esistenza di sepolture in SAS 3.
51
GUGLIELMINO, La necropoli islamica... cit., 111.
52
In SAS 13 (A. COLICELLI, SAS 13, in AA. VV., Entella. Relazione
preliminare della campagna di scavo 1989, ASNP, S. III, XXII, 1992, 617759, 706-707) e SAS 14 (S. STORTI – M. A. VAGGIOLI, Le mura (SAS 14), in
AA. VV., Entella. Relazione preliminare delle campagne di scavo 19901991, ASNP, S. III, XXIV, 1994, 85-336, 193-234, 196)
53
GHIZOLFI, Primi risultati... cit., 364-365. Distanziatori per cottura
(treppiedi) sono esposti nell’Antiquarium di Contessa Entellina.
TAV. CI
Rocca d’Entella. Planimetria con l'indicazione dei ritrovamenti di strutture e materiali
medievali (quadrato) e sepolture islamiche (tondo). Al nr. 1 il ‘Pizzo della Regina’.
TAV. CII
Rocca d’Entella. Resti dell’edificio fortificato sul Pizzo della Regina disegnati dal
Sabatier nel 1858.
TAV. CIII
1. Rocca d’Entella. Pizzo della Regina. Veduta dell’area di scavo (SAS 17). Sul fondo
la fossa scavata dai clandestini.
2. Rocca d’Entella. Pizzo della Regina. Particolare del muro di cinta.
TAV. CIV
1. Rocca d’Entella. Pizzo della Regina. Particolare del muro di cinta.
2. Rocca d’Entella. Pizzo della Regina. Cisterna.
TAV. CV
1. Rocca d’Entella. Pizzo della Regina. Veduta dello scavo (SAS 17). Sulla sinistra
l’amb. 1.
2. Rocca d’Entella. Pizzo della Regina. Frammento di giara islamica (sporadico).