Trieste ebraica II – per il 12 dicembre

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Trieste ebraica II – per il 12 dicembre
Trieste ebraica II – per il 12 dicembre
ASSICURAZIONI, COMMERCI E MIGRAZIONI
L’Ottocento vede svilupparsi in modo impetuoso la vita economica dell’emporio triestino e segna il
momento di maggiore fioritura civile e culturale degli ebrei di Trieste. Nel porto degli Asburgo nascono le
prime compagnie assicurative e di navigazione mentre i traffici marittimi vivono un impulso senza
precedenti. La componente ebraica continua a giocare un ruolo di primo piano, testimoniato ancor oggi
da sontuosi palazzi che caratterizzano la città: palazzo Hierschel lungo il Canal grande; lazzo Carciotti,
primo e più originale esempio di neoclassico a Trieste, progettato dall’architetto Matteo Pertsch, prima
sede delle Assicurazioni Generali; palazzo Morpurgo in via Imbriani, oggi sede di un museo d’epoca.
Appartiene alla Comunità ebraica il fondatore delle Assicurazioni Generali Giuseppe Lazzaro Morpurgo,
nato a Gorizia nel 1759 e morto a Trieste nel 1835.
GLI EBREI DA CORFÙ E IL NUOVO VOLTO DELLA COMUNITÀ
Un’immigrazione di segno molto diverso da quella che, dopo la Costituzione del 1867, vede approdare a
Trieste imprenditori e commercianti dai territori austriaci e tedeschi si registra nel 1891. Allora giunge a
Trieste quasi un migliaio di ebrei in fuga dall’isola di Corfù, dove un’accusa di omicidio rituale ha
scatenato un’ondata di persecuzioni e violenze. Sono piccoli commercianti, molti di loro hanno scarse
risorse e cercano riparo in una città con cui vi è una lunga consuetudine commerciale.
IL NOVECENTO TRIESTE PORTA DI SION
Tra Ottocento e Novecento la città registra un flusso costante di ebrei in fuga dai pogrom dell’Europa
orientale e della Russia e diretti in Palestina o nelle Americhe. Fino allo scoppio della seconda guerra
mondiale è proprio Trieste il principale porto d’imbarco per Israele, tanto da vantare il titolo di “Shaar
Zion”, “Porta di Sion”.
Sorto nel 1904, svolgerà un ruolo determinante nella salvezza di tanti ebrei europei negli anni del regime
nazista, quando l’afflusso di profughi dalla Germania e dall’est si farà molto più intenso. Fra il 1938 e il
1940 il gruppo riuscirà a mandare in Palestina, sulle navi del Lloyd triestino, 504 ebrei italiani (il 10 per
cento degli ebrei fuggiti in quegli anni) e 200 mila profughi da tutta l’Europa dell’est.
IRREDENTISMO E SIONISMO - Il primo scorcio del Novecento vede la Comunità ebraica pienamente
integrata nel tessuto sociale, economico e culturale della città. Rispetto agli altri territori dell’impero
asburgico, dove l’antisemitismo è ben diffuso, Trieste vive una realtà privilegiata di tolleranza.
Al suo interno si ripercuotono però i fermenti e le lotte nazionali che negli anni antecedenti la prima
guerra mondiale contraddistinguono queste terre di confine. Accanto alla componente sefardita (di origine
spagnola), ashkenazita (di origine tedesca o polacca) e a quella corfiota, vi è infatti una presenza venetoitaliana che spesso prende le distanze dall’appartenenza religiosa in favore dell’educazione laica,
dell’assimilazione e dell’adesione al modello nazionale e culturale italiano.
Da Trieste si guarda infatti all’Italia come al luogo in cui gli ebrei hanno raggiunto una piena parità di
diritti. In termini politici ciò si traduce nella militanza a favore della causa irredentista, tra le fila del
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partito liberal nazionale. Tra i leader più noti del movimento, vi sono Giacomo e Felice Venezian, Camillo
Ara e Teodoro Mayer, fondatore nel 1881 del quotidiano “Il Piccolo”, ancora oggi il principale quotidiano di
Trieste. Alcuni giovani ebrei triestini cadranno nella prima guerra mondiale come volontari nell’esercito
italiano.
IL FASCISMO E LE LEGGI RAZZIALI
Nel settembre 1938, in un discorso pronunciato proprio a Trieste, in piazza Unità, Benito Mussolini
annuncia la promulgazione delle leggi razziali. Dopo una serie di misure restrittive tese a isolarli ed
emarginarli, si sancisce così la completa espulsione dei cittadini ebrei dalla società civile.
La componente ebraica, in particolar modo a Trieste, da secoli è profondamente integrata. Partecipa alla
costruzione dello stato e della società, in taluni casi occupa posizioni chiave in campo politico o economico
e per certe sue componenti, soprattutto d’appartenenza borghese, è stata anche vicina al movimento
fascista. Le leggi razziali rappresentano dunque uno choc, un momento di profonda rottura sociale e, data
la rilevanza della Comunità ebraica, hanno una portata particolarmente drammatica e complessa.
Nel giro di pochi anni gli ebrei sono espulsi dalle scuole, dagli impieghi pubblici, dall’esercito,
dall’insegnamento, dalla direzione e dalla proprietà di medie e grandi aziende, dall’esercizio delle
professioni, dall’industria teatrale e cinematografica. Si limita il loro diritto di proprietà e, con effetto
retroattivo, si revoca la cittadinanza italiana a quanti l’hanno ottenuta dopo il 1919, creando così circa
500 apolidi privi di ogni protezione, impossibilitati anche a emigrare perché privi di passaporto. La
discriminazione estromette impiegati, funzionari e dirigenti ebrei dalla Borsa, da molte banche, dalla
Cassa di risparmio, dalle società culturali e sportive, dall’università e colpisce in modo sistematico i vertici
delle compagnie assicurative, che proprio alla componente ebraica dovevano le proprie origini.
Molte aziende passano a una proprietà ariana, ad esempio il quotidiano Il Piccolo, la Raffineria Aquila, gli
Oleifici Luzzati o la Società istriana dei cementi.
VERSO LA SHOAH
L’applicazione delle leggi razziali si accompagna al montare dell’antisemitismo popolare. Dal 1941 la
persecuzione si fa via via più aspra. Accompagnato dall’ossessiva propaganda dei giornali il sentimento
antiebraico trova terreno fertile, nella sua versione più aggressiva, soprattutto in certi ambienti squadristi
e studenteschi. Gli incidenti e i maltrattamenti si susseguono fino alla devastazione, il 18 luglio 1942,
della maestosa Sinagoga.
Un gruppo, fra cui dopo si accerterà la presenza di sette squadristi, irrompe nel Tempio i cui esterni negli
anni precedenti erano già stati imbrattati di fasci e svastiche. I banchi vengono rovesciati e spaccati, i
lampadari abbattuti al suolo, i libri distrutti e bruciati, le due grandi menoròt (candelabri) dell’altare
completamente ritorte. Nelle stesse ore sono presi di mira anche l’oratorio e gli alloggi per gli emigranti di
via del Monte 7. Le intimidazioni e le aggressioni contrassegnano anche il 1943, anno che rappresenta un
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momento di drammatica svolta per la Comunità di Trieste, culminando a maggio in un feroce saccheggio
dei negozi di proprietà ebraica.
Solo due mesi più tardi la caduta del regime fascista e la costituzione del governo Badoglio lascia
intravedere una speranza di libertà. Ma l’8 settembre del 1943 scatta il piano d’occupazione tedesco e
Trieste viene posta sotto il diretto controllo germanico. La politica antisemita volge ora alla soluzione
finale.
LA RISIERA DI SAN SABBA, LE DEPORTAZIONI, LA LIBERAZIONE
Tra novembre e dicembre del 1943 la Risiera di San Sabba, complesso di edifici industriali dei primi
Novecento, un tempo adibito alla pilatura del riso e poi a caserma, viene trasformato nell’unico campo di
sterminio realizzato sul territorio italiano. A gestirla sono chiamati militari e ufficiali già sperimentati nelle
atrocità della soluzione finale in Polonia. Alla Risiera trovano la morte tra le 4 e le 5 mila persone, per lo
più oppositori politici, partigiani italiani, sloveni e croati.
Le vittime ebree sono meno di un centinaio. Per gli ebrei il campo di San Sabba è infatti solo una
sistemazione temporanea in attesa della deportazione, di solito in direzione Auschwitz. Fin dall’inizio
dell’occupazione i nazisti rastrellano metodicamente la popolazione ebraica triestina. La prima retata
avviene il 9 ottobre 1943, nel giorno di Kippur, il grande digiuno penitenziale.
La Comunità triestina è colpita nel profondo. Al momento della liberazione i soldati neozelandesi
dell’ottava Armata britannica trovano in città solo 4-500 ebrei, ormai ridotti allo stremo. Il 7 maggio del
1945 una quindicina di loro, insieme al rabbino Lipscitz della Brigata ebraica e a un corrispondente di
guerra canadese, si reca alla Sinagoga e ne riapre le porte. Il grande Tempio, come gli uffici comunitari ai
piani superiori, ha superato quasi indenne la tempesta bellica. I nazisti lo hanno infatti trasformato in
deposito di libri e opere d’arte.
Gli argenti rituali della Comunità, in parte ora esposti al Museo ebraico Carlo e Vera Wagner, si sono però
miracolosamente salvati dalla razzia, grazie a un ingegnoso nascondiglio ricavato all’interno dello stesso
complesso sinagogale. La Shoah riduce la grande Comunità triestina all’ombra di se stessa. E’ difficile
conoscere con esattezza il numero degli ebrei deportati. Ma si tratta di almeno 700 persone, il 10 per
cento degli ebrei italiani.
Fanno ritorno dai campo di sterminio solo in 19, soprattutto donne, che testimonieranno l’orrore subito.
Dopo la guerra rientra in città un migliaio di sopravvissuti nascostisi in Italia o in Svizzera. Molti di loro
emigreranno in Palestina o nelle Americhe. Rimangono a Trieste circa 1500 ebrei e a metà degli anni ‘60
un netto scompenso tra morti e nascite ridurrà il loro numero di circa 500 unità.
Oggi la Comunità ebraica di Trieste conta quasi 600 iscritti ed è considerata a livello nazionale una realtà
media.