Per chi medico non è - Società Italiana di Medicina Interna

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Per chi medico non è - Società Italiana di Medicina Interna
Number 3/06
edico non è …
… per chi
Alimentazione e Salute per tutti
Come controllare l’ipertensione arteriosa con
provvedimenti relativi all’alimentazione e allo stile di vita
Maria Luisa Eliana LUISI*, Andrea Alberto CONTI*°§
*Fondazione Don Carlo Gnocchi, IRCCS, °Dipartimento di Area Critica Medico-Chirurgica, Università degli Studi, §Centro Italiano per la Medicina Basata sulle Prove,
Firenze
Alcuni interventi non farmacologici, sia di tipo alimentare sia di tipo
comportamentale, sono rilevanti a fini preventivi delle malattie cardiovascolari.
La prima indicazione è controllare il consumo totale dei grassi
alimentari riducendoli al 30% delle calorie totali introdotte, limitando
in particolare il consumo di prodotti di origine animale (carni, insaccati, formaggi interi) e oli vegetali tipo olio di cocco e di palma presenti
per esempio nella margarina, in prodotti confezionati (dolci, cracker) e
in alcuni fritti poiché contengono grassi saturi e trans nocivi per l’apparato cardiovascolare. Il consumo di alimenti ricchi di colesterolo
alimentare non dovrebbe superare i 200 mg di colesterolo al giorno,
pari a quello contenuto in un uovo.
Importanti benefici cardiovascolari invece sono dovuti ai grassi contenuti nel pesce, in particolare quello azzurro (acciuga, aringa, tonno,
sgombro) in quanto ricco di acidi grassi polinsaturi ϖ3, da consumare almeno 2-3 volte alla settimana e ai grassi contenuti nell’olio
extravergine di oliva di cui si consiglia l’uso sia per cucinare sia per
condire.
Un’altra raccomandazione riguarda l’assunzione di almeno 5 porzioni
di frutta e verdura al giorno perché ricche di fibre alimentari, vitamine e potassio utili nel controllo della pressione arteriosa.
Per contenere il livello della pressione arteriosa si consiglia di ridurre
anche il consumo di sale (cloruro di sodio), a meno di 6 g al giorno
(tre cucchiaini di sale da cucina). Per limitare il disagio, si consiglia di
insaporire gli alimenti con prezzemolo, basilico, origano, cipolla, aglio,
peperoncino, pepe, chiodi di garofano, noce moscata o limone. Si ricorda che nella quota di sale va tenuto conto di quello contenuto naturalmente negli alimenti, nelle preparazioni industriali, nelle acque e
bevande. Quindi il sale non va aggiunto a tavola, va ridotto al minimo
in cottura e va ridotto il consumo di dadi da cucina, salse, formaggi
stagionati, snack salati, minestre conservate, tonno e carni in scatola,
biscotti e dolci industriali.
Effetti protettivi si hanno consumando 2 bicchieri di vino al giorno per
l’uomo ed 1 per la donna; oltre questa dose il consumo di alcol diventa dannoso.
Il consumo di caffè in quantità normali (2-4 tazzine al giorno) non
produce effetti negativi sul sistema cardiovascolare; si consiglia di contenere il numero di tazze di caffè al giorno agli anziani fumatori o con
altri fattori di rischio cardiovascolare.
Lo stress induce rischio di ipertensione e pur non essendo tra le concause primarie, ha l’effetto secondario di portare ad una maggior trascuratezza nei comportamenti di vita e a pratiche (consumo di alcol,
alimentazione disordinata, fumo) che sono fattori di rischio cardiovascolare; si possono trarre benefici dall’utilizzo di tecniche di riduzione
dello stress come lo yoga e metodiche di rilassamento.
L’attività fisica esercita molteplici effetti benefici sul fitness cardio-
vascolare e molti studi di buona qualità indicano chiaramente che
un’attività fisica aerobica moderata riduce il rischio di ictus cerebrale
(una malattia per la quale l’ipertensione arteriosa rappresenta un fattore di rischio molto importante) e di cardiopatia ischemica. Le persone fisicamente attive presentano un rischio relativo di cardiopatia
ischemica ridotto del 40% rispetto agli individui sedentari. Il tipo, l’intensità e la durata dell’esercizio dovrebbero essere ritagliati sulle singole persone, ma in generale la pressione arteriosa può essere sensibilmente diminuita camminando a passo spedito di 30-45 minuti
almeno 5 giorni a settimana.
L’importanza di una corretta valutazione del peso corporeo è notevole se si pensa che numerosi dati della ricerca indicano che il trattamento appropriato del sovrappeso corporeo non è di rilievo soltanto per la terapia dell’ipertensione arteriosa, ma anche ai fini della
sua prevenzione. Il sistema più efficace per diminuire il peso corporeo
è rappresentato da una combinazione di raccomandazioni dietetiche,
attività fisica e terapia comportamentale. In particolare, il controllo
del peso corporeo nell’ottica della riduzione dei valori pressori deve
passare attraverso interventi molteplici, tra cui l’aumento dell’assunzione di potassio, la terapia dietetica e la moderazione del consumo
di alcol.
In molti paesi occidentali il fumo costituisce il più importante fattore
di rischio modificabile per la cardiopatia ischemica. Molti studi documentano che la sospensione del fumo riduce il rischio di eventi cardiovascolari successivi di circa il 50%. Smettere di fumare è difficile, ma
una buona motivazione è costituita anche dal fatto che il rischio cardiovascolare legato al fumo è reversibile, in quanto è indipendente dal
numero di sigarette fumate in precedenza e diminuisce dopo la sua
sospensione. Il rischio di eventi coronarici negli ex fumatori torna a
livelli simili a quelli delle persone che non hanno mai fumato dopo
circa 2-3 anni dalla sospensione1.
Riferimento bibliografico
1. Gensini GF, Conti AA, Corradi F, Dilaghi B, Lazzeri C, Luisi MLE. Il controllo
dell’ipertensione arteriosa: ruolo dei fattori comportamentali nelle strategie
di intervento. Abbiategrasso: Promoidea, Press Point, 2005.
Il ruolo dell’alimentazione in età evolutiva
Angelo PIETROBELLI
Clinica Pediatrica, Università degli Studi, Verona e Research Associate, Columbia University, New York, NY, USA
Introduzione
Per vivere, crescere e riprodursi l’organismo ha bisogno di energia e di
nutrienti che vengono garantiti dalla quotidiana assunzione di alimenti. L’alimentazione non può né deve essere solo “capricci” o solo dettata dalla pubblicità.
Quotidianamente devono essere introdotti:
• glucidi o carboidrati nei primi 6 mesi di vita il 48% del fabbisogno calorico totale giornaliero e dall’infanzia il 55-65% del totale quotidiano
• proteine il cui apporto è inversamente proporzionale all’età (2
g/kg/die nel neonato, 1.5 g/kg/die a 5 anni e 1.2 g/kg/die in età adolescenziale)
• lipidi 50% del fabbisogno calorico totale giornaliero durante l’allattamento, 35% del fabbisogno totale nei primi 2 anni di vita e il 25-30%
del fabbisogno calorico totale dopo i 2 anni.
Essere genitori
Quello che preoccupa in modo particolare i genitori di bambini di età
pre-scolare e scolare in quanto sempre più difficile da far accettare ai
bimbi è la frutta e la verdura. Verdure, ortaggi e frutta sono fonte di
acqua, e contengono vitamine, sali minerali e fibra.
Per ricavare al meglio i vantaggi da verdure, ortaggi e frutta, è necessario il consumo di prodotti freschi e di stagione.
• Verdura: ad esempio in primavera asparagi, piselli, fave, insalate; in
estate cetrioli, fagiolini, peperoni, melanzane, pomodori, zucchine; in
autunno carciofi, spinaci, cavoli, funghi; in inverno broccoli, cavolfiori,
finocchi, radicchi.
• Frutta: ad esempio in primavera ciliegie, fragole; in estate albicocche, angurie, meloni, pere, pesche, prugne; in autunno kiwi, arance,
mandarini, mele, uva; in inverno cachi, mandarini, melograni, uva.
Un altro alimento sempre difficile da imporre ai nostri figli è il pesce,
un alimento estremamente digeribile, ricco di proteine, sali minerali e
ferro e tutto sommato povero di grassi. Ad esempio, il merluzzo contiene il 18% di proteine e lo 0.3% di grassi; il salmone il 20.5% di proteine e il 6.0% di grassi; lo sgombro il 18.5% di proteine e il 5.5% di
grassi; la sogliola il 17% di proteine e l’1.4% di grassi, la trota il 20%
di proteine e il 3.3% di grassi.
Alimentazione e periodi di introduzione dei vari alimenti
È ampiamente assodato e dimostrato che il latte materno è il migliore
alimento per neonato e lattante e che, in assenza del latte materno, l’unico alimento in grado di soddisfare i fabbisogni nutrizionali nei primi
6 mesi di vita è il latte formulato.
Il divezzamento è il passaggio dall’alimentazione esclusivamente lattea
ad una diversificata, comprendente alimenti semisolidi e solidi diversi
dal latte. L’epoca ottimale per l’inizio del divezzamento è il sesto mese
di vita. L’inizio precoce comporta inconvenienti digestivo-metabolici e
nutrizionali.
I cereali sono di solito i primi alimenti impiegati nella preparazione
della prima pappa. Volendo fare una “preparazione” domestica, il
brodo di verdura va preparato facendo bollire le verdure (all’inizio patata e carota, poi anche zucchina, sedano, fagiolini, spinaci) in acqua rigorosamente non salata. In 200 ml di “brodo” così preparato cuociono i
cereali, e alla fine si aggiunge un cucchiaio di olio extravergine di oliva
e uno di parmigiano grattugiato.
La carne (pollo, tacchino, vitello) può essere introdotta dopo qualche
settimana utilizzando prima i liofilizzati quindi gli omogeneizzati. La
carne fresca va cotta preferibilmente al vapore e omogeneizzata/tritata, e può essere somministrata dopo l’ottavo-nono mese.
Il pesce (sogliola, nasello, coda di rospo) bollito o al vapore, condito
con olio extra vergine di oliva può essere introdotto all’ottavo mese.
L’uovo, come tuorlo cotto e somministrato in piccole quantità, può
essere inserito dopo i 7-8 mesi. Non dimentichiamo, comunque, se proponiamo l’uovo crudo, il rischio di atopia.
I vegetali, che all’inizio del divezzamento sono stati usati per fare il
brodo vegetale, possono essere inseriti poi nella minestra e quindi usati
a mo’ di purea.
La frutta: la mela grattugiata e la pera vanno usate fin dall’inizio del divezzamento anche con la banana e somministrate a pezzetti all’anno di età.
Il latte vaccino intorno all’anno.
L’introduzione degli alimenti deve essere fatta in modo graduale. In
caso di rifiuto le difficoltà vanno risolte con l’attesa, e gli alimenti devono essere riproposti a distanza di tempo senza imposizioni che alla
lunga diventano sempre negative.
Tra il primo e il terzo anno di vita si verifica la liberalizzazione della
dieta.
Sport e dieta
Lo sport, riducendo la sedentarietà, favorisce il mantenimento di un
buono stato di salute potenziando gli apparati muscolo-scheletrico e
cardiovascolare e, in ultima analisi, permettendo anche un certo controllo del peso corporeo. Questo significa maggior dispendio energeti-
co, riduzione del rischio di obesità, favorendo pure la socializzazione e
un’abitudine di vita senza dubbio salutare.
L’attività sportiva va incentivata nei bambini a partire dai 5 anni di età,
meglio nello spirito di “squadra”, di “gruppo” che tanto serve per scatenare l’entusiasmo, non trascurando quanto importante sia lo stare
insieme per imparare delle regole.
La dieta dei ragazzini che fanno attività fisica regolare deve garantire un
corretto apporto vitaminico, proteico, salino, e un apporto di
carboidrati semplici e complessi leggermente maggiore che di norma
prima e durante il periodo di attività per contrastare l’acidosi da sforzo.
Garantire una dieta equilibrata in questi soggetti significa variare il più
possibile i cibi in tavola, che devono essere freschi, poco raffinati, naturali, cucinati a vapore con minima quantità di grassi prediligendo l’olio
extravergine di oliva a crudo.
Cosa deleteria appare sempre di più l’uso e il consumo di troppe proteine sotto forma di pillole o concentrati che possono recare danno
all’organismo in rapida crescita.
Quindi, ancora una volta, una dieta che garantisce salute e benessere.
L’alimentazione come prevenzione del diabete mellito
di tipo 2 e dell’obesità nell’infanzia
Concetta LATINA*, Giovanna CECCHETTO§
*Tesoriere ANDID, Gruppo di Studio ANDID sul Diabete, Centro di Diabetologia ed Endocrinologia Pediatrica, Azienda Policlinico, Catania, §Presidente ANDID,
Gruppo di Studio ANDID sul Diabete
Nel nostro Paese la prevalenza di obesità in età evolutiva ha raggiunto livelli ormai non lontani da quelli osservati nel Regno Unito o negli
Stati Uniti, dove nei bambini e negli adolescenti hanno cominciato a
farsi strada patologie tipiche dell’età adulta e correlate all’obesità
come il diabete mellito di tipo 2 (T2DM).
Nei soggetti obesi si nota spesso una ridotta sensibilità dei tessuti
periferici all’azione dell’insulina, la cosiddetta insulino-resistenza. Il
pancreas tenta di ovviare a questa situazione aumentando la secrezione di insulina che raggiunge alte concentrazioni nel sangue e produce
iperinsulinemia.
Questo equilibrio può rompersi, determinando un aumento della glicemia a digiuno. In una minoranza di casi questa condizione evolve, già
in età pediatrica, in un diabete conclamato. L’insorgenza di T2DM nelle
prime età della vita comporta un elevato rischio di eventi cardiovascolari e altre complicanze del diabete.
La prevenzione e la terapia del T2DM hanno il loro caposaldo, soprattutto in età pediatrica, nelle modificazioni dello stile di vita, che comprendono un’alimentazione sana e moderata e un incremento dell’attività fisica.
L’approccio più efficace, confortato dalla ricerca disponibile, è quello
non prescrittivo; le evidenze e le esperienze disponibili ci insegnano,
infatti, che imporre una dieta a un bambino obeso (come anche all’adulto) è inefficace e spesso controproducente. Tale approccio non
dovrebbe essere mai colpevolizzante, ma favorire l’instaurarsi di un
rapporto di fiducia e complicità con il bambino, al fine di produrre piccoli e graduali cambiamenti in direzione di una dieta equilibrata. La
restrizione dietetica prolungata e gli schemi dietetici classici, basati su
pasti fissi e prestabiliti, precise grammature e su liste di alimenti consigliati e proibiti, possono portare a conseguenze pericolose sia sul
piano fisico che psicologico, quali alternanze tra restrizioni alimentari
e perdite di controllo, frequenti oscillazioni di peso, atteggiamenti di
rifiuto, ribellione e sensi di colpa. Tutti i fattori che favoriscono l’instaurarsi di un rapporto conflittuale con il cibo e una continua instabilità
del peso, sono destinati il più delle volte a protrarsi e mantenersi anche
nell’età adulta. Se vogliamo utilizzare uno slogan: “La migliore dieta?
Nessuna dieta”.
Un approccio basato sul cambiamento dello stile di vita può funzionare solo se viene coinvolta tutta la famiglia. La famiglia che intende aiutare il figlio obeso dovrebbe lavorare prioritariamente sui riti quotidiani e sulle abitudini familiari, verso “nuove regole” quali ad esempio:
- consumare i pasti insieme in un posto fisso e a orari regolari
- non saltare i pasti e soprattutto la prima colazione
- non guardare la TV durante i pasti
- usare porzioni ridotte
- ridurre il consumo di cibi ad elevato contenuto in grassi e zuccheri,
bibite zuccherate, cibi fritti, ecc., limitandone la frequenza e acquisendone corrette modalità di inserimento all’interno dei pasti
- consumare più frutta e verdura.
Uno strumento utile ed efficace all’approccio “non prescrittivo”, orientato cioè alla modificazione degli errati comportamenti, è rappresentato dal diario alimentare.
Il diario, basandosi sull’autosservazione, aiuta il bambino a divenire più
consapevole dei propri comportamenti e a riacquistare i segnali interni di
fame e sazietà, distinguendoli da altri stimoli emotivi che spesso spingono all’assunzione di cibo; esso è inoltre un utile strumento di rinforzo e
motivazione al cambiamento, in quanto consente di sperimentare “soluzioni e comportamenti alternativi” evidenziando non soltanto gli errori e
le scorrettezze, ma anche i successi e le scelte alimentari corrette.
I giovani con T2DM sono per fortuna ancora pochi, ma il diabete è soltanto la parte emersa di un iceberg di cui l’insulino-resistenza rappre-
senta la ben più estesa parte sommersa. Ciò pone i Dietisti e gli altri
Operatori Sanitari di fronte ad una sfida che implica un vero e proprio
cambio di mentalità nell’impostazione di appropriati percorsi preven-
tivi e clinico-assistenziali, nella consapevolezza che le modificazioni a
lungo termine delle scelte alimentari e dello stile di vita si dimostrano
ben più efficaci delle restrizioni dietetiche temporanee.
La malnutrizione calorico-proteica nell’anziano
Andrea UNGAR, Mauro DI BARI, Daniela CHIARANTINI, Giulio MASOTTI
Cattedra di Gerontologia e Geriatria, Dipartimento di Area Critica Medico-Chirurgica, Università degli Studi e Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze
Definizione e prevalenza
Lo stato di nutrizione è una variabile che, ad ogni età, condiziona il
benessere generale dell’individuo. Si definisce malnutrizione qualunque deviazione dal normale stato nutrizionale, sia in eccesso (sovrappeso e obesità) sia in difetto (malnutrizione calorico-proteica).
Mentre il trattamento e la prevenzione della malnutrizione per eccesso
sono simili in età geriatrica e in età adulta, per la malnutrizione per difetto, che da ora in avanti chiameremo malnutrizione calorico-proteica, esistono caratteristiche specifiche nella popolazione anziana. In questo
breve articolo tratteremo per questo di malnutrizione per difetto. La prevalenza di malnutrizione calorico-proteica è piuttosto bassa nella popolazione generale, mentre aumenta molto nei pazienti ospedalizzati (fino
al 30%) e, ancora di più, in quelli istituzionalizzati (fino al 50%).
Le cause
La malnutrizione calorico-proteica è legata nell’anziano a numerosi
fattori, non tutti strettamente legati a problematiche di tipo medico,
ma anche di tipo sociale ed economico. Le cause più importanti di malnutrizione sono:
- la perdita dei denti
- la riduzione del gusto e dell’appetito
- disturbi digestivi anche lievi, ma fastidiosi
- la depressione del tono dell’umore
- l’isolamento sociale
- la povertà
- le malattie che aumentano il fabbisogno calorico-proteico (come ad
esempio l’ipertiroidismo)
- le malattie che riducono la digestione o l’assorbimento dei nutrienti
(come ad esempio le sindromi da malassorbimento)
- le malattie che aumentano il metabolismo basale riducendo di molto
l’appetito (come ad esempio le neoplasie e lo scompenso cardiaco
congestizio).
La valutazione dello stato nutrizionale dell’anziano
La valutazione dello stato nutrizionale è basata su vari metodi, nessuno dei quali del tutto soddisfacente, così che di solito è opportuno
conoscerli e applicarli in modo integrato tra loro. Il parametro usato da
tutti e comunemente impiegato anche in geriatria è l’indice di massa
corporea, che si calcola dal rapporto tra peso corporeo e quadrato della
statura espressa in metri: indice di massa corporea = peso in kg/(altezza in metri)2. Ad esempio una persona alta 1.72 metri e che pesa 70 kg
avrà un indice di massa corporea di 70/(1.72x1.72) = 23.66.
I limiti di normalità per l’anziano dell’indice di massa corporea sono:
- sottopeso ≤ 21.0
- valori normali = 21.0-26.9
- sovrappeso = 27-29.9
- obeso = 30-40
- gravemente obeso > 40
Un indice estremamente importante di malnutrizione nell’anziano è la
perdita di peso non in relazione a dieta specifica. Un calo del peso non
provocato superiore al 10% del totale in un paziente anziano è fortemente sospetto di malnutrizione calorico-proteica. Anche dagli esami
ematochimici si può riscontrare un quadro di malnutrizione (bassi livelli di albumina e di colesterolo nel sangue e basso numero totale dei
linfociti nel sangue).
Le conseguenze
Le conseguenze più rilevanti sono caratterizzate da una riduzione in
numerose funzioni dell’organismo quali la funzionalità intestinale,
muscolare, respiratoria, immunitaria e la guarigione delle ferite, che
risulta molto prolungata. Come conseguenza di tutto questo nell’anziano malnutrito aumenta notevolmente il rischio di malattie (in particolare infettive come le broncopolmoniti), l’impiego di farmaci, la
durata di eventuali degenze ospedaliere. Chiaramente tutto questo
comporta anche una riduzione della qualità della vita e un aumento
del rischio di morte. Ultimo aspetto, non trascurabile da un punto di
vista socio-sanitario, è l’aumento dei costi della gestione sanitaria.
Il trattamento
La malnutrizione calorico-proteica va innanzitutto prevenuta; particolare attenzione deve essere rivolta all’alimentazione durante i
ricoveri ospedalieri e nei pazienti istituzionalizzati. Durante i ricoveri ospedalieri o in istituti di cura riabilitativa e di lungodegenza gli
aspetti nutrizionali dovrebbero essere curati con particolare attenzione mentre spesso avviene il contrario, soprattutto per regole e
consuetudini vantaggiose per l’istituzione (ad esempio, innaturale
orario dei pasti, scarsa attenzione o disponibilità di tempo del personale di assistenza). La prevenzione della malnutrizione in pazienti anziani e molto anziani non può prescindere da un intervento
sociale oltre che sanitario. Può essere sufficiente un aiuto nella
spesa o nella preparazione dei pasti per evitare che il paziente
diventi malnutrito.
Una volta accertata la presenza di malnutrizione calorica proteica le
strategie di intervento sono condizionate dalla sua gravità, dalla rapidità di insorgenza, dalle presumibili cause e dalla situazione ambientale in cui essa viene rilevata. Nel paziente non istituzionalizzato, oltre
a ricercare le possibili cause organiche, si devono considerare e correggere motivi di ordine psicologico (depressione dell’umore), sociale (isolamento) ed economico (reddito inadeguato) alla base di un carente
apporto alimentare. La dieta andrà ovviamente arricchita il più possibile, modulandola sulla base delle condizioni cliniche del paziente e
delle sue preferenze alimentari. Nei casi più gravi e conclamati, si può
intervenire con integratori dietetici iperproteici ed ipercalorici, finché il
paziente è in grado di alimentarsi spontaneamente o, diversamente,
con una vera e propria nutrizione artificiale tramite sonde sia intestinali sia endovenose.