da qui - Museo dei Beni Culturali Cappuccini di Genova

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da qui - Museo dei Beni Culturali Cappuccini di Genova
Auditorium Museo dei Beni Culturali Cappuccini di Genova
29 aprile 2014 h 18.00
SULLA VIA DEI PELLEGRINI MEDIEVALI
Francesco Macrì, Il pellegrinaggio a Santiago di Compostela. Spunti storici
Ezio Balducci, Tutta la casa in uno zaino. Consigli pratici e un pizzico di esperienza personale
INDICE
Premessa
Santiago tra storia e leggenda
Il viaggio nel Medioevo
Il “Camino”, meta religiosa o scelta politica
Pellegrinaggio e pellegrini
La chiesa e il pellegrinaggio
Quando partire?
Crisi e rinascita del “Camino”
Ambiente e paesaggio
Sincretismo culturale e artistico
I pellegrini oggi
Perché a Santiago
Prima della partenza
Il dado è tratto
Trentacinque giorni di cammino
Il menù del pellegrino
Santiago
Qualche pensiero
IL PELLEGRINAGGIO A SANTIAGO DI COMPOSTELA.
SPUNTI STORICI.
Premessa.
Un milione di passi, ottocento chilometri, dai Pirenei
francesi alla costa atlantica della Galizia, primo itinerario
culturale europeo, patrimonio dell'umanità: questo è il
“Camino” di Santiago di Compostela. Un percorso che è
anche una storia o, per meglio dire, migliaia di storie di
tutti coloro che ci sono stati, quelli cioè che i passi li hanno
consumati con i loro piedi.
Il “Camino”, un rito che si ripete da centinaia di anni, lungo
un itinerario che non ha mai smesso di accogliere una
miriade di pellegrini e che ancora oggi si perpetua e si
rinnova nelle sue forme e nei suoi simboli: la “credenziale”
con i suoi timbri (sellos), le soste nei rifugi e negli hostales,
diffusi lungo la via, il “menù” del pellegrino, la solitudine
dei sentieri, gli episodi di solidarietà fra i viandanti.
È questo il viaggio che, dai valichi dei Pirenei alla remota
Galizia, attraversa caratteristiche regioni del nord della
Spagna da est ad ovest, quasi seguendo il percorso
tracciato dalla Via Lattea e conduce alla tomba
dell'apostolo Giacomo il Maggiore (Santiago, in spagnolo)
che in essa vi è custodita.
Santiago tra storia e leggenda.
Le vicende legate alla vita del Santo sono alquanto
singolari: dopo aver predicato e diffuso il Vangelo di Cristo
in Spagna è tornato in Palestina, dove nell'anno 42 (o 44)
subisce il martirio e la decapitazione. Due suoi discepoli,
Teodoro ed Anastasio, trafugato il corpo lo riportano in
Galizia, con una barca di pietra guidata da un angelo,
seppellendolo nella zona di Ira Flavia (l'odierna Santiago di
Compostela).
Passano circa otto secoli e di questi avvenimenti e della
tomba del Santo non si ha alcuna notizia. Nell'813 il
miracolo: una stella indica ad un pastore della zona, tale
Pelayo, un luogo dove scavando viene alla luce un'arca di
marmo contenente un corpo decapitato che si afferma
essere quello dell'apostolo Giacomo. Il re Alfonso II il Casto,
dopo aver informato il papa Leone III della importante
scoperta, fa erigere una chiesa sul sepolcro, intorno alla
quale si insedia un piccolo borgo, che da allora diviene
meta di pellegrinaggio che da tutto il mondo cristiano
porta alla tomba del Santo folle sempre più numerose,
tanto da essere ben presto uno dei tre grandi itinerari di
devozione religiosa medievale, ancora oggi più famoso
degli altri due: Roma e La Palestina.
Si ricorda, a proposito, che Dante distingueva tre tipi di
pellegrini: i pellegrini che erano diretti a Santiago di
Compostela, i palmieri o palmeri che andavano in
Terrasanta (Gerusalemme) ed i romei che si recavano a
Roma.
Accanto a queste tre mete, considerate le più importanti,
esistevano poi altri luoghi nelle diverse regioni europee,
più facili da raggiungere per gli abitanti delle stesse,
circondati da aureole di sacralità, di fatti miracolosi che, in
relazione alla loro frequenza e qualità ed anche per la
quantità di reliquie in essi venerate, accrescevano nei
fedeli il desiderio ansioso di raggiungerli.
D'altra parte, è appena il caso di notare che presso tutti i
popoli dell'antichità ed in tutte le religioni, sono venerati
luoghi oggetto di pellegrinaggio; un esempio valga per tutti,
recarsi alla Mecca per i mussulmani.
Il pellegrinaggio è viaggio di fede verso un luogo sacro, ma
è anche e soprattutto un fenomeno culturale politico ed
economico. I pellegrini portano la loro esperienza agricola,
artigianale, mercantile e scientifica e acquisiscono
competenze di culture e colture diverse. Per comprendere
ciò occorre tenere presente che assieme ai pellegrini si
muovono i mercanti ed anche (in particolare nei secoli XIV
e XV) uomini di scienza. Basti pensare alla diffusione del
Romanico in Europa.
Il viaggio nel medioevo.
Tuttavia per avere una visione a largo raggio del
pellegrinaggio si deve tenere presente un particolare
aspetto del Medioevo: il viaggio. La società medievale è
continuamente in viaggio: le migrazioni, le invasioni, la
fuga per la sopravvivenza, il pellegrinaggio, le crociate, le
calate a Roma degli imperatori del sacro romano impero
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per ottenere l'investitura pontificia, il viaggio-avventura
dei cavalieri in cerca di ingaggi come mercenari o di draghi
da uccidere e giovani dame da salvare e poi i mercanti, i
diplomatici, i chierici vagantes, i missionari, gli studenti.
È vero che le difficoltà comuni a tutti gli uomini si
aggravavano nel corso del viaggio, però la coscienza di esse
spingeva alla socialità ed alla comunanza per cui il
viaggiare (anche se con mezzi e modalità diversi) costituiva
un elemento di democratizzazione in una società
gerarchicamente strutturata.
La società medievale, rotti gli schemi circoscritti del
sistema feudale, in sostanza si caratterizza per un sistema
di vita statico in un contesto dinamico ed in ciò
completamente diversa dalla società contemporanea che
in un contesto statico postula un sistema di vita dinamico.
Il “Camino”, meta religiosa o scelta politica?
Perché il “Camino” di Santiago è il primo itinerario
culturale europeo? Quali sono le motivazioni storiche di
questa affermazione? In realtà sui suoi sentieri è nata la
coscienza europea e si è formata l'idea di Europa, religiosa
cristiana per un verso, culturale e politica per un altro
aspetto.
Gerusalemme era una meta soprattutto religiosa. Si
raggiungeva con difficoltà di viaggio molto faticoso e
costoso (trasporto per mare), però non trovava ostacoli da
parte di popolazioni ostili, almeno fino a quando, all'inizio
del nuovo millennio, diviene “occasio belli”, nello scontro
tra occidente e oriente (culture diverse e da sempre in
conflitto per la supremazia nel mare Mediterraneo),
dovuto alla pressione demografica dei paesi europei, alle
necessità di espansione economica e di conquista di
mercati per la nascente borghesia imprenditoriale. È la
storia delle “crociate” durante le quali si acuisce, si riduce,
si normalizza il pellegrinaggio in Terrasanta.
Roma è meta religiosa, ma anche economica; il
pellegrinaggio ad essa ha lo scopo di incrementare le
finanze della chiesa. Inizia infatti con il giubileo indetto da
Bonifacio VIII nel 1300 e si rinnova periodicamente con il
ripetersi degli anni santi.
Per Santiago il discorso è diverso: il fenomeno è di
notevole portata e assume i connotati di una reazione
politica in funzione anti-mussulmana per impedire il
dilagare degli Arabi nel Mediterraneo, agli inizi del 700, e
la loro penetrazione in Europa attraverso la Spagna.
La battaglia di Poitier del 732, tra Arabi e Franchi, ne
arresta l'espansione che però si attesta nella penisola
iberica, costituendo per la cristianità e per i traffici nel
Mediterraneo, una costante e pericolosa “spada di
Damocle”.
Contro di essa si agisce con le armi: battaglia di Claveyo
dell'844, per la quale si racconta che mentre le armate
cristiane erano in rotta, appare a esse Santiago, su un
cavallo bianco, con una spada fiammeggiante che fa strage
di mori e conquista la vittoria. Da quest’avvenimento
l'appellativo “matamoros” e l'iconografia che rappresenta
Santiago a cavallo, con la spada insanguinata e le teste di
mori uccisi fra le zampe del cavallo stesso.
Si reagisce anche con il pellegrinaggio attraverso la Spagna
del nord: è una penetrazione pacifica, all'apparenza
innocua, continua, inconsapevole, strumentalizzata che
alla lunga risulterà vincente.
Il sepolcro dell'Apostolo diviene per tutta la cristianità un
importante simbolo comune, un segno divino di riscatto;
nel nome di Santiago, eletto santo patrono della Spagna e
protettore della cristianità, è possibile iniziare quella
“reconquista” che durerà secoli, ma sarà portata
vittoriosamente a termine.
Il pellegrinaggio a Compostela acquista maggiore
importanza nel XI secolo quando i monaci cluniacensi si
fanno promotori di esso per propagandare la guerra santa
dei cristiani contro i mussulmani di Spagna.
Il flusso di pellegrini in continuo aumento (si racconta di
circa 200 mila/500 mila per anno) mette in moto una
domanda crescente di beni e servizi: si costruiscono
infrastrutture (strade, ponti, ospedali, chiese) con
conseguenti investimenti produttivi e incremento delle
attività economiche tradizionali (agricoltura e allevamento)
e mercantili. Occorre inoltre approntare sistemi di
sicurezza e difesa e quindi l'istituzione di monaci-guerrieri
con il compito di assistere e tutelare i viandanti durante il
viaggio.
Si conquistano così sempre più spazi in un territorio
occupato dai “moros”, ponendo basi religiose, assistenziali,
mercantili e militari che eserciteranno una funzione
notevole nella lotta contro questi ultimi.
Pellegrinaggio e pellegrini.
La prima guida “turistica” del “Camino” risale al 1160 ed è
contenuta nella raccolta “Codex Calixtinus e Liber Sancti
Jacobi” (conservata nella cattedrale di Compostela) ed è
intitolata “Itinerarium ad Sanctum Jacobum in Galicia”.
Essa riporta le indicazioni degli itinerari da seguire ed è un
documento fondamentale per conoscere la cultura, la
mentalità e la vita del pellegrino medievale. È molto ricca
d’informazioni sulle tappe da effettuarsi, sulle risorse locali,
sulle necessità del viaggio e fornisce note dettagliate sugli
usi e tradizioni, sugli abitanti dei luoghi e sui rischi e
difficoltà del percorso.
In ogni luogo i pellegrini erano accolti e assistiti. La chiesa
colpiva con la scomunica chiunque avesse arrecato loro
offesa. Il trattamento però era diverso in base al ceto di
appartenenza. Tutti avevano diritto ad alloggio per una
notte e al cibo che l'ospizio poteva offrire loro oltre al rito
del “lavaggio dei piedi” che, se da un lato ripeteva la
cerimonia di devozione dell'“ultima cena”, rispondeva
dall'altro ad una esigenza igienico-sanitaria.
L'ospitalità era gratuita per i pellegrini poveri i quali
offrivano i loro servizi alle necessità ordinarie del centro di
accoglienza. I ricchi venivano ricevuti dal priore della
comunità, erano ammessi alla sua mensa e dormivano in
camere singole con letti confortevoli, contribuivano però
con denaro, doni ed elargizioni di varia natura al
monastero ospitante o alla chiesa locale.
Perché si andava in pellegrinaggio e chi erano i pellegrini?
Il termine pellegrinaggio si fa derivare da “pelegrinus”, chi
vaga di luogo in luogo, forestiero, oppure da “peregrinus”
(da péregre, per ager ) chi va per campi, in territorio
straniero, e sta ad indicare in generale il viaggio che i
seguaci di una fede religiosa fanno, per devozione e
penitenza, verso un luogo ritenuto sacro e divenuto meta
di particolare culto. C'era una differenza sostanziale tra il
pellegrinare che era tollerato dalla società ed il girovagare
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che era invece considerato pericoloso e quindi vietato.
I pellegrini erano le persone che si proponevano di
raggiungere quella meta per sciogliere il vincolo di un voto
fatto per ottenere una grazia o per grazia ricevuta, oppure
per penitenza e devozione (pellegrini religiosi o per fede).
C'erano anche coloro che intraprendevano il viaggio per
punizione o condanna oltre a quelli che cercavano in esso
un motivo di fuga, di avventura o di esercizio di mercatura
(pellegrini d'occasione). Infine c'era il pellegrino
“professionale”, cioè una persona che si sobbarcava le
fatiche del “Camino” per conto di altri.
I primi erano i più numerosi e appartenevano a tutte le
classi sociali. Fra essi molte le donne (quasi il 50 per cento)
che impegnandosi con il voto, avevano occasione di
sfuggire ai vincoli della vita familiare e sociali. In una
società di tipo patriarcale, come quella medievale, non è
facile comprendere i motivi per cui le donne, legate alla
vita domestica e sottoposte all'autorità maritale,
partecipassero in modo così rilevante al pellegrinaggio.
Oltretutto le convenzioni sociali giocavano un ruolo
negativo in questa scelta evidenziando i pericoli del viaggio:
il rischio di essere violentate e/o rapite e vendute come
schiave; la possibilità di intraprendere il viaggio in stato
d’inconsapevole gestazione e di dover affrontare durante il
cammino il travaglio del parto; le tentazioni cui andavano
incontro per cui era facile finire nei bordelli, molto più
diffusi, in allora, di quanto si possa immaginare. La
letteratura dell'epoca non mancava di racconti
boccacceschi riguardanti le donne o di descrizione di esse
come creature del demonio che, lungo i sentieri boscosi
del “Camino”, tentavano i pellegrini sviandoli dalla meta
salvifica.
Eppure erano tante le donne che si recavano in
pellegrinaggio. Trovandosi spesso in una situazione senza
via di uscita le donne, più degli uomini, facevano voto di
intraprendere un viaggio verso un luogo sacro per invocare
dalla divinità in esso venerata una grazia di solito per la
guarigione di un figlio handicappato o del marito
ammalato. Si riteneva altresì che le preghiere di una donna
fossero più efficaci per ottenere il miracolo.
Il voto era l'assunzione sacrale di un impegno che doveva
essere portato a termine necessariamente ed al quale non
ci si poteva sottrarre e nessuno avrebbe potuto impedirne
l'assolvimento.
La penitenza per espiazioni era una “condicio sine qua
non” per evitare la dannazione eterna. La paura
dell'inferno era vissuta drammaticamente in un contesto
storico come quello medievale in cui la chiesa influenzava
le coscienze in modo molto più incisivo di quanto oggi si
riesca ad immaginare.
I pellegrini per punizione erano i delinquenti che potevano
scegliere tra la prigione e/o le pene corporali per i loro
misfatti e il pellegrinaggio, con l'obbligo però di contribuire
con il loro lavoro alle esigenze degli ospizi, dei monasteri e
alle costruzioni o manutenzioni delle chiese. Spesso erano
costretti a trasportare materiale edile dalle cave a dove
serviva; da qui, ancora oggi, si ripete sul “Camino” il rito
formale di portare nello zaino una pietra, per un certo
tratto per poi depositarla, ai bordi dei sentieri o in luoghi
prestabiliti, dove si formano cumuli particolari e non privi
di significati devozionali.
I mercanti, travestendosi da pellegrini, potevano trarre
tutti i vantaggi di questa condizione ed usufruire di
accoglienza gratuita, di assistenza e tutela.
Il pellegrinaggio era alcune volte una occasione di fuga per
sottrarsi a vessazioni di ogni genere o per evitare oneri
finanziari e militari da parte dei vassalli nei confronti del
loro signore.
Il pellegrino “professionale” era, infine, una persona che si
impegnava ad effettuare il viaggio, dietro compenso, in
nome e per conto di un altro il quale, avendo assunto un
voto, non poteva per diversi motivi osservarlo
personalmente. Occorreva però che la sostituzione
avvenisse in forma solenne nella cattedrale, all'atto della
cerimonia d’investitura dei pellegrini. È proprio per
attestare che il cammino era stato portato a termine che si
raccoglievano sulle coste dell'Atlantico le conchiglie per
portarle al mandante. La conchiglia era quindi la prova che
si era stati alla tomba di Santiago. Si riteneva inoltre che
essa accordasse una protezione supplementare per tenere
lontano ogni sorta di pericolo. Diventa così segno
distintivo del pellegrinaggio a Compostela.
La chiesa e il pellegrinaggio.
La chiesa non ha mai predicato il pellegrinaggio, però
partecipava alla sua realizzazione con il cerimoniale della
investitura alla partenza, con l'assistenza fisica e spirituale
durante il viaggio e con la protezione diretta (i monaci
guerrieri) ed indiretta (la scomunica). Era necessario
consentire al pellegrino la sopravvivenza nella lotta contro
i pericoli del viaggio: fame, sete, caldo, freddo, stanchezza,
malattia e morte.
Nel Vangelo di Luca (9 - 3) si legge: “non prendete nulla
per viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né danaro e
non abbiate tunica di ricambio”, la missione degli apostoli
di diffusione del Vangelo
è la prima forma di
pellegrinaggio cristiano.
L'investitura avveniva in forma solenne nella cattedrale con
l'invocazione della protezione divina e la benedizione da
parte del vescovo (“O Signore... benedici il cammino del
tuo servo affinché con la tua protezione e guida, cammini
senza peccato per sentieri di giustizia”) e con la
conseguente consegna del bordone (bastone che poteva
servire per appoggio e per difesa contro pericoli reali e
virtuali - le tentazioni del demonio -), della scarsella o
bisaccia che doveva essere sempre aperta per ricevere e
dare, della mantella o pellegrina e la fiasca per l'acqua.
Tutti questi, assieme al cappello a larghe falde e alla
conchiglia costituivano i segni distintivi del pellegrino.
Si aggiungeva la “credenziale” che era il documento di
viaggio (il passaporto) che dava diritto ad essere accolti e
assistiti negli ospizi, di attraversare senza pedaggi terre
sottoposte a balzelli e prestazioni ecclesiali e signorili di
varia natura ed a muoversi liberamente in paesi stranieri
godendo di immunità ed impunità in caso di violazione di
norme sconosciute e diverse da quelle vigenti nei paesi di
origine.
I pellegrini ricchi si preoccupavano di fare testamento e di
disporre nel modo ritenuto più opportuno del loro
patrimonio. Tale formalità era quanto mai necessaria
perché se si moriva intestati durante il cammino, una parte
del patrimonio era destinata alla chiesa ed un'altra
all'autorità del paese dove era avvenuto il decesso.
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Quando partire?
Si partiva con preferenza all'inizio della settimana santa e
si finiva con il 22 settembre, epoca della vendemmia. Il
viaggio d'estate era preferibile perché presentava una
serie di vantaggi: si trovava più gente lungo i sentieri per
cui il viaggio risultava più sicuro; c'era possibilità di cibarsi
di frutta e di bacche più abbondanti rispetto alla stagione
invernale; si poteva prestare la propria attività lavorativa
d'aiuto per i raccolti guadagnando così una migliore
ospitalità, oltre a concorrere ai lavori di costruzione di
strade, ponti chiese e monasteri-ospizi.
Non dimentichiamo poi che le fiere, tenute in occasione
delle feste di santi patroni, si svolgevano d'estate e ciò era
ben noto al pellegrino-mercante.
Sul “Camino di Santiago”, per evitare il caldo, si viaggiava
preferibilmente di notte, seguendo le indicazioni delle
stelle (la Via Lattea va da est verso ovest e il “Camino” è
anche noto come Via Lattea o cammino delle stelle). Di
notte si era inoltre più sicuri e si evitavano le spese per
l'alloggio.
Si consigliava di non superare i 25/30 chilometri di percorso
giornaliero e di pregare, recitare il rosario e intonare inni
sacri per vincere la stanchezza, la monotonia e la noia.
Non pochi erano i problemi della comunicazione dovendo
attraversare paesi con parlate diverse. I dotti e gli
ecclesiastici si esprimevano in latino e, dopo il XIII secolo
anche in francese; gli altri, soprattutto i mercanti avevano
conoscenza delle parole essenziali per trattare i loro affari;
ma generalmente, viaggiando in gruppi, ci si aggregava a
quelli che conoscevano le lingue locali.
Crisi e rinascita del “Camino”.
Il flusso di pellegrini aumenta anno per anno per tutto il
Medioevo fino al 1492 quando, con la conquista di
Granada, ultima roccaforte araba in terra di Spagna, da
parte dei sovrani cattolici, Ferdinando d'Aragona e Isabella
di Castiglia, comincia a defluire perdendo interesse. Ormai
la “reconquista” era stata completata e, d'altra parte, ogni
forma di pellegrinaggio, di mercificazione di indulgenze e
di traffici di reliquie era stata sottoposta a feroce critica
dalla “Riforma protestante”.
Verso la fine del '500, quando la Galizia viene saccheggiata
dai pirati inglesi, della tomba di Santiago e di Compostela
come meta di culto non si hanno più notizie.
Si riparla di esse circa tre secoli dopo ( nel 1878, durante i
lavori di manutenzione della Cattedrale, vengono ritrovati i
resti di un corpo decapitato, che dopo alcuni anni viene
riconosciuto come quello dell'apostolo Giacomo ) e
assumono di nuovo grande importanza nel 1982, anno in
cui il papa Giovanni Paolo II a Compostela indicava negli
antichi sentieri del “Camino”, su cui si era riversata una
marea di pellegrini nel Medioevo, la formazione della
coscienza europea.
Pochi anni dopo, nel 1987, il “Camino” è dichiarato dal
Consiglio Europeo “Primo Itinerario Culturale Europeo” e,
cinque anni più tardi, L'Unesco consacrava il tratto
spagnolo della grande via composteliana parte integrante
del Patrimonio dell'Umanità.
Il “Camino” era rinato ed i pellegrini, diversi dai
camminatori medievali, ricompaiono fra tratturi, sentieri,
mulattiere, strade sterrate, dando vita ad un flusso
inarrestabile ed in continuo aumento. D'altra parte
camminare è il più semplice, il più antico dei gesti che può
dare al pellegrino una consapevolezza nuova, forse mai
provata, della propria umanità.
Ambiente e paesaggio.
Compostela poteva e può essere raggiunta per mezzo di
diverse vie: quella della costa o cantabrica, quella francese
che attraversa i Pirenei da San Jean piè de Port a
Roncisvalle, quella aragonese che passa da Somport e poi
si congiunge a Puente la Reina con quella francese ed
infine la via del sud, da Siviglia e/o Lisbona. La via ancora
oggi più frequentata è quella francese che ripercorre per
lunghi tratti i vecchi sentieri di epoca romana e medievale.
Su questa via si attraversano cinque regioni della Spagna
del nord: la Navarra, La Rioja, la Castiglia e Leon (Bierzo) e
la Galizia.
Il percorso non presenta difficoltà insormontabili: se si
cammina con una media di circa 25 chilometri al giorno e
si dispone di un equipaggiamento adeguato ed essenziale.
I dislivelli non sono molto marcati: si raggiungono punte
massime di 1.400 metri d'altezza partendo da una base
che in media è tra i 400/500 metri. È difficile, ma non
impossibile. Quello che conta è crederci.
Il paesaggio ed il clima variano molto: si passa da zone
umide e ricche di boschi, alle “mesetas”, zone secche di
altipiano con notevole escursione termica.
I sentieri sono indicati dalla nota “freccia gialla” oltre che
con la tradizionale concha (conchiglia) e con cartelli
stradali ben disposti e spesso con indicazioni particolari di
distanze e di aree di riposo o descanso. Si attraversano
circa 160 comuni ed in media, ogni cinque chilometri, si
trovano posti di ristoro (tienda o bar) e centri di ospitalità
(rifugi, alberghi del pellegrino, case rurali, hostales). Il
“Camino” segue sempre la stessa direzione da est verso
ovest. Il sole accompagna il pellegrino descrivendo lo
stesso arco alla sua sinistra: al mattino è alle sue spalle e
lentamente lo raggiunge e lo sorpassa poi aspettandolo,
per tramontare, alla fine di ogni tappa. Così i giorni si
assomigliano e l'andare assume un senso ieratico di
regolarità, di armonia, di scopo.
Tutto il “Camino” con i suoi diversi paesaggi e relative
difficoltà è rappresentato idealmente come:
-inferno (Navarra e Rioja) caratterizzato da boschi e vigneti,
con sali-scendi frequenti e defaticanti;
-purgatorio (Castiglia e Leon) l'altipiano delle “mesetas”,
una sterminata pianura coltivata a grano;
-paradiso (il Bierzo) con le sue colline ricche di orti e
vigneti, (la Galizia) con boschi ed allevamenti. Ormai la
fatica è vinta e la gioia di essere vicini alla meta stimola
l'ansia di arrivare.
Sincretismo culturale e artistico.
Non mancano città ricche di storia, interesse artisticoculturale e tradizioni folkloriche;
 Pamplona, capitale della Navarra, con la feria di
San Firmino e l'encierro;
 Logrono, con i vini della Rioja;
 Burgos con il Cid Campeador e la sua cattedrale,
una delle più grandi della Spagna;
 Leon con le mura romane e la cattedrale dalle
mille vetrate e il palazzo di Gaudì;
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
Astorga, con la sua cattedrale, il palazzo del
governo e le antiche mura;
 Ponferrada con il castello dei templari;
 Compostela, la città di pietra.
E poi le chiesette romaniche disseminate lungo il percorso,
i paesi con storici palazzi nobiliari, con notevoli stemmi; gli
antichi monasteri, gli altari con i “retablo” di legno dorato
che spesso rappresentano Santiago e sono tipica
manifestazione del barocco spagnolo ed i campi recintati
da muri a secco, le case scavate nella terra, i muri di tufo
ed i tetti di paglia, i campanili a vela con i nidi delle cicogne
e i giardini con gli “horreos” in Galizia.
La storia millenaria del “Camino” è raccontata da questo
ambiente culturale in cui ben poco hanno inciso le
trasformazioni della modernità. Tutto il percorso è un
museo a cielo aperto, è l'unico esempio al mondo di arte
sacra europea dal medioevo all'età moderna. Sui suoi
sentieri si scoprono vestigia architettoniche e urbanistiche
non contaminate, testimonianze di una storia dell'arte con
tutte le sue manifestazioni più affascinanti: dallo stile
essenziale del romanico alla ieratica verticalità del gotico,
all'architettura variegata del plateresco con i suoi pinnacoli
e le decorazioni filigranate, sino al trionfo del barocco,
tutto fasto e ricchezza. È proprio la Cattedrale di Santiago
l'esempio eclettico più spettacolare di questi stili, dalla
bellissima scultura medievale del “Portico della gloria” alla
esuberanza barocca della facciata.
Tanti pregevoli capolavori sono dovuti all'opera di oscuri
architetti, artisti, artigiani e semplici manovali che hanno
portato sul “Camino”, in veste di pellegrini, l'esperienza
artistica di tutta l'Europa.
Tutto il “Camino”, infine, è un racconto vivo e attuale di
miracoli, di santi, di miti e leggende, di storie fantastiche
che arricchisce il viaggio ad ogni tappa.
I pellegrini oggi.
E infine i pellegrini, centinaia di migliaia di persone,
provenienti da ogni parte del mondo, con i quali si
socializza, si comunica pur parlando lingue diverse e con i
quali si condivide, giorno dopo giorno, tappa dopo tappa,
la stessa finalità, arrivare a Compostela e ci si saluta,
incontrandosi, con “buen camino” o “ultreia” in un
percorso che tutti accomuna in una atmosfera
indescrivibile di emozioni che nascono dal vedere il mondo
a quattro chilometri l'ora.
Ma chi sono i pellegrini oggi? I più sono animati da fede
religiosa, recitano spesso il rosario lungo i sentieri, si
fermano a pregare nelle chiese, nelle quali ci si ritrova a
sentir messa, a scambiarsi esperienze, a recitare tenendosi
per mano testi sacri e ricevendo la benedizione per un
felice esito del cammino.
Ci sono poi i pellegrini per sport che si avventurano per i
sentieri in bicicletta o a cavallo ed i turisti in cerca di una
vacanza diversa in una dimensione naturale, genuina e
socializzante.
Non mancano poi coloro che soddisfano sul “Camino” il
loro interesse culturale ed i giovani, tanti giovani di diverse
nazionalità che spendono su questi antichi sentieri una
parte del loro “anno sabbatico”.
Si incontrano inoltre i pellegrini “ a tappe” cioè coloro che
non potendo disporre del tempo necessario per compiere
tutto il percorso, programmano di effettuare una parte di
esso, anno dopo anno.
Ed infine, i pellegrini che sono tali solo in apparenza e ci
piace definirli “quelli della domenica”: sono coloro che
percorrono a piedi alcuni brevi tratti del “Camino” ed
hanno poi i bus turistici che li aspettano per accompagnarli
in albergo. Hanno tutti caratteristiche simili, vestiti
standard ordinati, scarpe tecniche nette di polvere e fango,
zainetti leggeri e gli immancabili bastoni da trekking,
utilizzati senza coordinazione.
Tuttavia, oltre la fede in senso stretto ed al pellegrinaggio
come vacanza diversa, a muovere la moltitudine di
viandanti di tutte le età e varie provenienze, è “la
dimensione del viaggio come esperienza concreta che
unisce fatiche e piaceri, solitudine e socialità in una
avventura, unica ed indescrivibile, fisica e spirituale
insieme, di messa alla prova e ricerca di sé”. La scoperta
quotidiana di nuovi spazi che si possono percorrere, di altri
orizzonti da ammirare, di diverse emozioni da sentire,
provando sensazioni che appaiono nuove ed imprevedibili,
senza l'ossessione di ripetere comportamenti omologati e
stilemi di vita subiti nella monotonia della quotidianità
lontana dal pellegrinaggio. Questa è l'essenza del
“Camino”!
Quello che rileva non è la meta che costituisce solo un
motivo per il cammino, un punto di arrivo per portare a
termine il viaggio. Qui la meta è partire e ciò che
veramente conta, anche se può sembrare un paradosso, è
il cammino per il cammino.
E concludiamo riportando una poesia, scritta sul muro di
una industria, nelle vicinanze di Najera, che tenta di dare
una risposta alla domanda: perché si intraprende il
“Camino”?
“Polvere, fango, sole pioggia,
è il Cammino di Santiago.
Migliaia di pellegrini per più di mille anni.
“Pellegrino, chi ti chiama?
Che forza occulta ti attrae?
Non è il Campo delle stelle,
né la grande Cattedrale
Non il coraggio di Navarra, né il vino di Rioja,
né i molluschi di Galizia, né i campi di Castiglia.
“Pellegrino, chi ti chiama?
Che forza occulta ti attrae?
Non la gente del Cammino,
né le tradizioni rurali:
Non è la storia e la cultura, né il gallo
della Calzada, né il palazzo di Gaudì,
né il castello di Ponferrada:
“Tutto ciò che io vedo passando è una gioia
vederlo,
ma la voce che mi chiama
la sento molto più in profondo.
La forza che mi sospinge, la forza
che mi attrae , non so spiegarla neppure io.
Soltanto Lui, dal cielo, lo sa.”
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TUTTA LA CASA IN UNA ZAINO
CONSIGLI PRATICI E UN PIZZICO DI ESPERIENZA
PERSONALE
Perché a Santiago?
Abbiamo percorso il Cammino di Santiago nel corso
dell’estate 2011, partendo dopo la metà di agosto per
terminarlo alla fine di settembre. A differenza di quanto
succede normalmente, dove nel corso del viaggio si litiga e
ci si separa, noi siamo partiti in tre e arrivati in quattro; a
Burgos si è unita a noi una signora di Padova, che per la
prima volta metteva uno zaino sulle spalle e gli scarponi ai
piedi, provvista di un sacco pesantissimo e di tanta
incoscienza, ma anche spinta da una fiducia illimitata che
la Provvidenza l’avrebbe aiutata.
Difficile invece dire cosa abbia spinto noi tre a fare il
Cammino di Santiago. Probabilmente all’inizio è stata solo
una curiosità, o il desiderio di andare a vedere cosa fosse
veramente. Ovviamente tutti coloro che lo percorrono
sono stati spinti da qualche ragione, i più le tengono
nascoste, molti ne scoprono altre, quelle che forse stavano
proprio cercando, cammin facendo. Perché le motivazioni
si trovano di giorno in giorno, parlando con gli altri
pellegrini, facendo assieme qualche centinaio di metri o
qualche chilometro o, ancora di più, camminando in
solitudine.
Una cosa subito appare chiara, fin dai primi passi del
cammino e dalle prime parole scambiate: non si è lì per
andare a Santiago o non solo per andare a Santiago, ma
soprattutto per “andare”. Il Cammino diventa la tua vita e
con il passare dei giorni non ti preoccupa più quanto
manchi alla meta ma solo di percorrere una strada.
Prima della partenza
Il primo problema che si pone è quando andare. I periodi
maggio/giugno e metà agosto/settembre sono i migliori e,
per esperienza di vari pellegrini, il secondo è generalmente
più
asciutto,
le
giornate
abbastanza
lunghe,
l’attraversamento dei Pirenei compiuto durante un periodo
di tempo buono. Si incontrerà del caldo in Navarra, caldo
sopportabile nelle Mesetas, la parte centrale del percorso,
un po’ di freddo al mattino e la sera entrando in Galizia.
Scelto il periodo, sopraggiungono la necessità di una
preparazione fisica adeguata alle difficoltà che si
incontreranno e il dilemma sulla scelta di cosa portare.
Considerando che le tappe saranno mediamente di 20/25
chilometri bisognerebbe fare un allenamento mirato a
poter superare tale distanza senza dover soffrire troppo.
Non occorre affrontare forti dislivelli, che in Spagna non
troveremo mai, ma piuttosto un terreno vario con limitati
tratti di dolce salita. Contano più i chilometri in lunghezza
che i metri in salita.
Più impegnativa è invece la cernita di cosa dovremo
mettere nello zaino. Bisogna farci stare quanto sarà
necessario per quaranta giorni e non un grammo di più. Il
peso complessivo non dovrà superare un decimo del
proprio peso corporeo, quindi non più di 6/7 chili. Bisogna
considerare che lo zaino già pesa un chilo/ un chilo e
trecento e che durante il cammino saremo appesantiti da
quanto necessiterà per uno spuntino, da almeno mezzo
litro di acqua, da eventuali carte o depliant che saranno
utili nell’attraversamento di ogni regione e che
prontamente getteremo via, con molti rimpianti, quando
non serviranno più.
Dedotto il peso del sacco, quindi, bisogna riuscire a
contenere il necessario in 4/5 chili, verificando il peso di
ogni articolo, limitandosi all’essenziale e seguendo la
regola del tre: un capo addosso, uno pulito nello zaino, il
terzo ad asciugare sopra lo zaino mentre stiamo
camminando. Occorre lasciare a casa il superfluo, gli
indumenti troppo pesanti, preferendo l’abbigliamento a
cipolla. Non vanno dimenticati la macchina fotografica e
un libriccino dove ogni sera scriveremo i nostri appunti
sulla giornata trascorsa. Tornando a casa quegli appunti ci
forniranno la testimonianza e il ricordo di ciò che abbiamo
vissuto. Ogni grammo portato in più, moltiplicato per
ottocento chilometri, diventerà un macigno.
Infine la scelta della calzatura; dovrà essere leggera ma
impermeabile, soprattutto molto, molto collaudata. Una
scarpa nuova vorrebbe dire, dopo una decina di tappe,
un’alta percentuale di possibilità di dover rinunciare a
proseguire nel cammino per sopraggiunti problemi ai piedi.
Il dado è tratto
Infine si parte. Tutti i dubbi, le perplessità, i timori che ci
avranno accompagnato anche nel viaggio in treno,
verranno lasciati alle spalle a Saint Jean Piè de Port, punto
tradizionale di partenza del Cammino, ancora in territorio
francese. Nell’ufficio di accoglienza del pellegrino, in una
confusione terribile, ci verrà apposto il primo timbro sulla
credenziale, forniti alcuni consigli sul cammino e si
sceglierà la conchiglia da portare a Santiago.
La credenziale è il documento essenziale del pellegrino, da
conservare con la massima cura e tenere sempre a portata
di mano. Ogni ostello, ogni albergo in cui giungeremo la
sera ci accoglierà solo se presenteremo la nostra
credenziale su cui ci verrà apposto il “sello”, il loro timbro.
Poi diventerà quasi un’ossessione: raccoglieremo timbri
negli ostelli, nei negozi, nei bar, nelle chiese e così via.
Probabilmente saremo costretti, lungo il cammino, a
ritirare altre credenziali avendo completato lo spazio a
disposizione. Tutti i timbri raccolti giorno per giorno
permetteranno, al nostro arrivo a Santiago, di poter
dimostrare il percorso fatto e ricevere la “Compostela”,
l’attestato che ufficializzerà il nostro status di pellegrino.
Particolare curioso è che in certi paesi europei i ragazzi
inseriscono tale dichiarazione in occasione della
presentazione del proprio curriculum vitae.
Per ottenere la “Compostela” è sufficiente percorrere
almeno gli ultimi cento chilometri prima di Santiago. Certo
che coloro che hanno iniziato il percorso a San Jean e che
giungono alla meta con alle spalle e nei piedi ottocento
chilometri sotto il sole, guarderanno con un’aria di
sufficienza quei pellegrini con le camicie stirate e le gambe
candide che hanno visto il sole soltanto da qualche giorno.
La conchiglia invece è il simbolo che attaccheremo allo
zaino, in un punto ben visibile e servirà a distinguerci da
qualsiasi altro frequentatore di quei sentieri. L’usanza, nata
nei secoli passati quando i pellegrini, dopo aver raggiunto
Santiago, si spingevano fino all’oceano per raccogliere sulla
spiaggia le conchiglie a testimonianza dell’avvenuto
compimento del pellegrinaggio, si è mantenuta ora in
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senso inverso. Oggi vanno portate fino a Finisterre, sulla
scogliera che strapiomba sul mare, dove troveremo un
cippo indicante il chilometro “zero” del Cammino.
Il simbolo della conchiglia ci seguirà ovunque. Lo vedremo
sui muri, sui marciapiedi, sui sassi a indicare la via, sugli
zaini di chi sta davanti, nelle insegne dei negozi, le “tiende”,
Usciti dall’ufficio del pellegrino, inizieremo il percorso.
Un’occhiata alla prima freccia gialla, il segnale che
seguiremo fino a Santiago e che permetterà di non fare un
metro in più di quelli previsti e ci darà la sicurezza di essere
sulla strada giusta. Questo segnavia è stato apposto negli
anni ottanta, grazie all’iniziativa di un parroco, per
permettere ai pellegrini di ripercorrere quei sentieri che
erano stati dimenticati. Ora quel religioso è sepolto nella
chiesa posta in cima all’ O’Cebreiro, una delle ultime
asperità del Cammino, superata la quale ci si sente già
arrivati, sebbene manchino ancora centocinquanta
chilometri alla meta.
Ed è subito il momento di affrontare i Pirenei, incubo delle
notti che hanno preceduto la nostra partenza, di cui
abbiamo sentito parlare da tanti e tanto abbiamo letto e
del quale ci è stato detto che è il tratto più impegnativo di
tutto il percorso. Vi si può trovare pioggia e nebbia, vento
e freddo, in certi periodi anche neve, raramente bel tempo.
A noi è capitata la nebbia, che ha nascosto il panorama ma
permesso di sorprenderci con le apparizioni di animali,
soprattutto cavalli allo stato semi-brado, sbucare dalla
nebbia per poi scomparvi nuovamente. L’arrivo a
Roncisvalle, al termine della tappa, procura al pellegrino la
coscienza di una forza che prima non era sicuro di avere. È
la consapevolezza che è possibile farcela fino a Santiago,
ora che la parte più difficile del cammino è stata superata.
Lì, assistendo alla cerimonia della Benedizione del
pellegrino (capiterà di assistervi anche in altri luoghi, ma
non sarà mai più con lo stesso spirito come a Roncisvalle),
per la prima volta ci si sentirà parte di una comunità
itinerante, in cerca di un’avventura che, dentro di noi,
sappiamo immensa. Da questo momento attraverseremo
l’ondulata Navarra, ricca di storia, di chiese medievali, di
paesi che trasudano un passato glorioso da ogni palazzo,
poi la piatta, assolata e solitaria Castiglia-Leon, con le sue
Mesetas da percorrere per trecento chilometri, che
rimarranno nel cuore dei pellegrini i quali identificheranno
con questi luoghi il ricordo del cammino, fino a incontrare
nuove e dolci asperità nell’umida e nebbiosa Galizia.
Trentacinque giorni di cammino
Ma come si svolge la giornata del pellegrino? Uguale per
tutti, sia che si provenga dall’Italia o dal Brasile, dalla Corea
o dall’Australia o dalla stessa Spagna, dove ognuno ha le
proprie abitudini, i propri tempi che qui si fondono in
un’unica umanità con orari e comportamenti analoghi,
esprimendosi per mezzo di una lingua che non è nessuna
in particolare ma un idioma che si crea e si disfa lungo il
cammino permettendo a tutti di comunicare.
La partenza è invariabilmente alle sette del mattino, o
anche prima se si prevede di dover fare molti chilometri. In
Settembre, a quell’ora, in Spagna è ancora buio ma così
facendo si possono sfruttare le ore fresche della giornata.
A volte si parte con le pile accese, ovunque si abbia
alloggiato ci si ritrova come per un tacito accordo all’uscita
del paese, alla ricerca della prima freccia gialla che si
nasconde nell’oscurità.
La prima sosta è in genere dopo un paio d‘ore, quando si
saranno percorsi circa 7/8 chilometri, per la prima
colazione, se non sia già stata fatta nell’ostello, o per una
pausa che permetta di scaldarci al primo sole.
La giornata proseguirà passo dopo passo. Ogni giorno la
nostra unica preoccupazione sarà quella di camminare.
In genere ogni cinque o sei chilometri si trova un paese
che, nella sua essenzialità, offre comunque il più delle
volte quel minimo indispensabile che serve: una tienda per
comprare qualcosa da mangiare, che il più delle volte sarà
un pane da dividere con i compagni di viaggio, un po’ di
formaggio e un pacchetto di ciruelas (prugne) secche, un
bar dove dissetarci con “cana” (birra alla spina), spesso un
ostello per pellegrini, talvolta un alberghetto e la chiesa
per una preghiera. La solidarietà locale ci permetterà a
volte di approfittare di un cesto di mele o di prugne posto
su un muretto, a disposizione di che ha fame, o di rubare
qualche chicco d’uva facendo finta che nessuno se ne
accorga.
A volte queste comodità ci verranno negate. Esistono tratti
piuttosto lunghi senza nessun tipo di appoggio. Il più lungo,
nelle Mesetas, di circa 17 chilometri, piatti e senza un
albero, incuterà timore e costringerà a una partenza
anticipata. Una ambulanza che va avanti e indietro sul
percorso sarà la nostra sicurezza che, nel caso il caldo
avesse la meglio, comunque avremo l’assistenza necessaria,
mentre dall’altro confermerà tutte le nostre
preoccupazioni. Un rarissimo cespuglio ci permetterà di
espletare i nostri bisogni corporali, ma dietro a quel
cespuglio troveremo anni e anni di problemi corporali
risolti dagli altri pellegrini.
Inutile voler esagerare a fare più dei circa 25 chilometri
previsti. Si rischierebbe di pagare lo sforzo con problemi ai
piedi, le “ampollas” cioè le vesciche, o alle ginocchia con
dolorose tendiniti e nel migliore dei casi non si sarà
comunque goduto appieno, con i giusti tempi, il senso del
Cammino.
Durante il percorso si incontreranno molti pellegrini e tanti
abitanti di quei luoghi. Anche questi ultimi salutano i
pellegrini con un “buen camino”, il saluto universale e ti
fanno sentire quanto il tuo andare sia importante.
Però mai chiedere a un gruppo di spagnoli informazioni
sulla strada da seguire. Ognuno avrà la sua idea,
cominceranno a discutere animatamente, noi andremo via
mentre loro staranno ancora discutendo, ognuno fermo
sulla propria convinzione, incuranti del fatto che non li
stiamo più ascoltando.
Al termine della tappa, spesso nel primo pomeriggio,
rimane la scelta dell’alloggio per la notte. Moltissimi sono
gli ”albergue” (i nostri ostelli), dove si è ospitati in
camerate, si può fare una doccia e sperare in una notte
con poco baccano. Questa soluzione costa pochissimo, dai
5 ai 7 euro, spesso soltanto un “donativo”. Frequenti anche
gli “hostales”, alberghetti semplici e puliti, dove una
doppia con bagno costa dai 30 ai 50 euro. Scegliendo
questa seconda soluzione si sta più comodi, ma si perde un
po’ l’essenza della nostra avventura e il contatto con gli
altri pellegrini. Forse un mix tra le due soluzioni
permetterebbe di cogliere gli aspetti umani del Cammino e
ogni tanto fare una comoda dormita.
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Dopo di che urge approfittare dell’ultimo sole del
pomeriggio per stendere il bucato, che obbligatoriamente
faremo ogni giorno e per far asciugare i capelli dopo la
doccia (dal momento che avremo lasciato a casa il nostro
pesante phon, rimpiangendo questa scelta una volta che
saremo giunti nell’umida e fresca Galizia). Poi due passi
prima di cena per quattro chiacchere con gli altri pellegrini,
parlando della tappa dell’indomani e per dedicarci ad un
po’ di turismo. Non va dimenticato che il Cammino
attraversa città famose per la loro bellezza come Pamplona,
Burgos, Leon, Astorga e Ponferrada, oltre a centri più
piccoli ma non meno interessanti come Najera, Puente la
Reina o Santo Domingo de la Calzada, oltre a decine di
piccoli, splendidi paesi.
Il menù del pellegrino
Se non si approfitta della cucina messa a disposizione negli
albergue, la giornata si chiude al ristorante, dove si potrà
fare conoscenza con il ”menù del pellegrino”. Se ne
trovano da 8, 10 o anche 12 euro, ma non si discostano
mai uno dall’altro. Si potrà avere un primo da scegliere tra i
“macarrones”, un’insalata mista o una “sopa”, a volte
capiterà di trovare anche la “paella”, che gli spagnoli
invariabilmente eviteranno ritenendola di scarsa qualità
ma che a noi sembrerà più che buona, mentre come
secondo piatto avremo sempre da scegliere tra il “lomo a
la plancha” (maiale) o la “Chuleta de ternera” (carne), o il
“pescado a la plancha”, spesso merluzzo, qualche volta
trota. Il menù comprenderà anche un dolce da scegliere
tra la “Torta di Santiago”, a base di mandorle, o l’“Arroz
con leche” (riso con latte). Il vino sarà invariabilmente a
temperatura ambiente se bianco, freddo di frigo se “tinto”.
A volte, invece, si potranno gustare delle vere e proprie
prelibatezze. Pamplona è famosa, oltre che per la festa di
San Firmino, in occasione della quale vengono liberati tori
per le strade della città, anche per le “tapas”, specie di
bruschette farcite in mille modi, appetitose e bellissime da
guardare e ottime da gustare. Melide, in Galizia, è invece
nota, come tutta la regione, per le “pulperie”, locali molto
semplici dove, seduti attorno a dei tavolacci, si può
mangiare il polpo bollito, tenerissimo e delizioso, o altri
crostacei raccolti sulle rive dell’Atlantico, accompagnati da
un ottimo vino locale. Tradizionalmente i pellegrini si
ritrovano da “Ezequiel”, il locale più famoso di tutta le
regione, invariabilmente citato dalle guide di tutto il
mondo.
Comunque sia, alla dieci al massimo tutti a letto. Negli
albergues viene spenta la luce, per gli altri c’è comunque
da pensare alla tappa del giorno dopo.
Santiago!
Infine Santiago. Sarà bene arrivarci al primo mattino,
stabilendo per quella giornata una tappa breve, magari
sostando a dormire la sera prima a Lavacolla, a dieci
chilometri da Santiago, dove un tempo i pellegrini si
lavavano per presentarsi decentemente davanti alla tomba
dell’Apostolo. Arrivati nella Plaza de Obradoiro, di fronte
alla Cattedrale, grande esempio di barocco spagnolo che
può anche non piacere ma certo non lasciare indifferenti,
ci sentiremo svuotati. Ormai è finita, ora c’è solo il
rammarico che domani non partiremo per percorrere un
nuovo tratto. Le foto che faremo mostreranno la nostra
gioia, ma nasconderanno l’amarezza che ci sarà in noi.
Poi una corsa all’ufficio dell’ “Accoglienza del pellegrino”,
dove riceveremo l’agognata “Compostela” (con un po’ di
ansia, avremo messo tutti i timbri necessari?), si
complimenteranno con noi e noi ci complimenteremo con
quanti abbiamo conosciuto lungo il cammino. Qualcuno a
quel punto piange; di gioia, di soddisfazione, di felicità,
perché è finita o solo per un crollo di tensione, ma piange.
Qualche sconosciuto che consola c’è sempre.
Se siamo arrivati presto, il nostro arrivo sarà comunicato ai
fedeli nel corso della Messa Solenne che si svolge
quotidianamente in Cattedrale, dove, con un po’ di fortuna,
potremo anche assistere alla cerimonia del Botafumeiro,
enorme turibolo mosso da nove uomini, che un tempo
serviva a purificare l’aria all’interno della chiesa
ammorbata dal puzzo dei pellegrini.
Santiago è bella: superba la cattedrale, dove il Portico della
Gloria e la tomba dell’Apostolo Giacomo affascineranno, la
città vecchia è un intrigo di porticati dove sarà difficile
orientarsi, splendido aggirarsi alla sera nelle piazze
solitarie, ma non saranno queste le immagini che verranno
in mente quando parleremo del Cammino.
Saranno piuttosto quelle delle piatte Mesetas, o della
nebbia dei Pirenei, o la benedizione con canti gregoriani
ricevuta nella piccola e fredda chiesa di Rabanal del
Camino, oppure le notti passate insonni mentre, di fuori,
gli spagnoli festeggiano rumorosamente i loro
innumerevoli patroni o forse il viso di tante persone
sconosciute che per un mese e mezzo sono state la nostra
famiglia e che sappiamo non rivedremo mai più.
Il resto è turismo. Con un pullman si può andare in
giornata a Finisterre, distante circa novanta chilometri, a
vedere il faro e nascere l’oceano, infine scattare una foto al
chilometro zero. Ci si può anche arrivare a piedi,
aggiungendo altre quattro tappe a quelle già percorse. Ma
non sarà più come prima.
Sull’aereo che ci riporterà a casa in un paio d’ore, ci sarà
solo una domanda: “Quando ritorneremo sul Cammino?”
Qualche pensiero
Per concludere, qualche pensiero sorto nel corso del
cammino:
 Quando, per la stanchezza, lo zaino diventa
un “macigno”, e pensi che devi continuare, lo
sguardo di una persona amica è sufficiente
per far sembrare più leggero il tuo fardello. E
ti sembra che una mano (che sia quella di
Santiago?) ti sollevi lo zaino e ti permetta di
continuare.
 Quando ti senti inadatto per condizioni fisiche o per età a compiere una simile “impresa”, dai uno sguardo intorno e ti accorgi che
molti sono più anziani e malandati di te.
 Quando vedi che c’è chi compie il Cammino
perché la propria vita è giunta ad una svolta
difficile o spera di trovare un significato e una
ragione alla propria esistenza… ti accorgi che
tu sei lì solo per una curiosità, un tuo desiderio di conoscere, di vedere, di provare nuove
sensazioni… e capisci quanto sei fortunato!
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Infine, per dare una mano a coloro che avessero
intenzione di partire, ecco qualche consiglio su cosa
mettere nello zaino:
Vestiario
3 magliette manica corta di fibra traspirante: sono leggere
e asciugano in breve tempo.
3 calzettoni traspiranti e anatomici e 1 paio di calze da
“riposo”.
3 slip
3 canottiere ( se si è abituati a portarle)
(Si soddisfa così la regola del 3: indumenti indosso;
indumenti di riserva; indumenti da lavare e/o da asciugare).
1 calzone corto con tante tasche
1 calzone lungo da trekking (trasformabile in corto)
1 pail leggero
1 giacca a vento impermeabile, traspirante e leggera, o un
k-way, meglio se foderato
1 mantella antipioggia con cappuccio
1 paio di scarponi da trekking
1 paio di sandali da trekking o scarpe leggere per
camminare
1 paio di ciabatte da doccia
1 cappello a falde larghe traspirante, per coprirsi dal sole e
dalla pioggia
1 cintura per calzoni.
Accessori
1 sacco a pelo di tipo a mummia, più leggero e meno
ingombrante possibile,
1 benda per occhi e tappi per gli orecchi (per dormire
indisturbati)
1 asciugamani di misura media
1 dentifricio
1 spazzolino da denti
1 pettine
2 rasoi da barba usa e getta
1 pezzo di sapone di Marsiglia (va bene per tutto: doccia,
bucato e shampoo)
Forbicine da unghie
Coltellino serramanico multiuso
Due o tre aghi per cucire con filo adeguato (serve anche
come cura delle vesciche)
Tre o quattro metri di spago (serve per appendere il
bucato e come sostituzione di lacci degli scarponi)
Quattro o cinque spille da balia (servono per appendere
allo zaino, durante il cammino, la roba da asciugare
Cinque o sei mollette da bucato
Cerotti
per
vesciche
(tranquilli,
si
trovano
abbondantemente anche lungo il Cammino)
Carta igienica (un rotolo)
1 piccola spazzola per scarpe (serve a togliere il fango
quando è secco)
[email protected] che la invia
posta, intestata al richiedente.
gratuitamente,
per
Equipaggiamento
Zaino da 50 litri con queste caratteristiche: impermeabile,
con doppio fondo per contenere sandali, ciabatte e roba
sporca da lavare, copertura antipioggia incorporata,
spallacci regolabili, cinghie da legarlo intorno al petto,
cinghie da legarlo intorno alla vita, intelaiatura curva in
modo che rimanga spazio per la circolazione dell’aria tra lo
zaino e la schiena (è molto importante per evitare sudate
eccessive della schiena), peso medio non superiore a 1.500
grammi.
2 bastoni da trekking più leggeri possibili, ma molto
resistenti. (Servono per quasi tutto il “camino” e, utilizzati
in modo adeguato, consentono di faticare meno sia in
salita che in discesa)
1 marsupio porta documenti da legare attorno alla vita
1 pila tascabile piccola (è utilissima di notte nei rifugi e alla
partenza al mattino presto)
Macchina fotografica tascabile
Telefonino con carica batteria
Occhiali da sole e crema solare
Guida tascabile (buona quella di Curatolo – Giovanzana,
edita da Terre di Mezzo, Milano)
Blocco notes tascabile per appunti (diario di viaggio!) e
penna
Documenti: Carta di identità, tessera sanitaria, carta di
credito e/o bancomat, Credenziale del pellegrino da
richiedere a Perugia, Confraternita di San Jacopo di
Compostella, Via Francolina, 7 tf. 075.57.36.381, email:
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