M come Marketing Quante storie!
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M come Marketing Quante storie!
M come Marketing Quante storie! di Luisa Carrada ------------------------------------------------------------------------ Capitolo omonimo pubblicato in: AA.VV., a cura di A. Lucchini, La magia della scrittura, Sperling & Kupfer, 2005 -----------------------------------------------------------------------Marcom, ovvero marketing communication: anche qui l’inglese impera. Del resto, si tratta di una disciplina squisitamente anglosassone, di cui non è facile trovare approfondimenti in Italia. Il buon Google restituisce davvero poche pagine in lingua italiana. Eppure la comunicazione di marketing è il cuore della comunicazione di tutte le nostre organizzazioni, e i suoi strumenti li usiamo tutti i giorni per comunicare, spiegare, informare, convincere, vendere. Spesso li usiamo in modo forse ormai troppo abitudinario e scontato. Mettere alcuni di questi strumenti sotto la lente dei modelli neurolinguistici ci aiuta a vederli sotto una nuova prospettiva, a rinnovarne e migliorarne l’uso e quindi, come sempre succede, a migliorare anche un po’ noi stessi e le nostre capacità di comunicatori. Bene, quali sono questi strumenti? A rigore: tutti. Tutti gli strumenti di comunicazione di cui un’organizzazione si serve per esprimersi, dal sito web alla pubblicità, dalle brochure agli spot. Tra questi ce ne sono però alcuni costantemente oggetto di studi e ricerche, altri meno conosciuti e studiati, più nascosti nel backstage del palcoscenico comunicativo, ma essenziali per far funzionare lo spettacolo. Per la mia esperienza di business writer in un’azienda di Information Technology, mi sono occupata soprattutto del backstage, cioè di tutti quegli strumenti di comunicazione rivolti non tanto al consumatore, ma alla comunicazione tra aziende e tra l’azienda e i clienti della pubblica amministrazione. Strumenti che si collocano in quella “linea d’ombra” della comunicazione che sta tra la pubblicità e la comunicazione tecnica. Abbiamo così tanti strumenti di comunicazione a disposizione che qualche volta non sappiamo più come usarli e confondiamo il medium con il messaggio. Con internet, comunicare è diventato apparentemente facilissimo: “Preparami una presentazione”, “Apriamo un minisito”, “Ci serve una brochure per la prossima convention”… prima si prepara il canale e solo dopo si decide cosa -1- farci passare dentro. Sempre più raramente si parte dall’esigenza e dall’obiettivo per scegliere il canale e lo strumento più adatti. E una volta che lo strumento è pronto, si cercano e si riciclano testi esistenti o si attinge, nella migliore delle ipotesi parafrasando, a quell’immenso serbatoio di parole che sono i siti internet. Eppure gli autori del Cluetrain Manifesto (www.cluetrain.com) lo avevano capito già nel 1999, quando internet muoveva i primi passi tra il grande pubblico: Tesi n°1: I nuovi mercati sono conversazioni. Internet ci ha abituati a conversare: tra persone, tra persone e aziende, tra aziende e aziende. “L’omogeneizzata voce del business”, per dirla col Cluetrain Manifesto, non funziona più, ci scivola addosso. Anche nel marketing, per farci ascoltare, dobbiamo metterci in gioco come persone, con tutti i nostri sensi e le nostre conoscenze, facendo appello ai sensi e alle conoscenze dell’altro. Non solo quando si tratta di persone, ma anche di aziende e di amministrazioni. Dietro un nome, una funzione, un brand, c’è sempre qualcuno che legge, che ascolta, che valuta, che decide. Tra gli strumenti di marketing da mettere sotto la lente della PNL ne ho scelti due, molto diversi, e per motivi diversi: uno diffusissimo: la presentazione in powerpoint, ormai completamente stravolta nella sua vera funzione, che è quella di mettere la persona al centro della comunicazione uno poco usato: il case study, che meriterebbe invece più attenzione per la sua capacità di raccontare una storia unica in un mondo omologato. L’EQUILIBRIO SENSORIALE DI POWERPOINT “Presentazione”, ovvero un momento di comunicazione in cui una persona “racconta” l’azienda, un’offerta, una soluzione con il supporto di slide realizzate con un prodotto chiamato powerpoint. La definizione credo sia corretta, ma è sempre più spesso pura teoria. Provate a pensare a cosa realmente intendete quando dite “presentazione”: scommetto che vi viene in mente solo una lunga sequela di slide tutte uguali, fitte fitte di testo, una stanza buia, un oratore che volta le spalle al suo pubblico, una lettura sequenziale dei punti elenco e magari anche un “non abbiamo più tempo, saltiamo all’ultima slide, tanto poi le potete leggere con calma”. Certo che possiamo leggerle, ma allora perché siamo riuniti qui, in carne e ossa? Delusione al posto del rapport. Passività al posto di confronto. Delusione e passività dilagano, eppure la presentazione in powerpoint dilaga anch’essa come mero sostituto di documenti scritti, tanto da essere ormai il secondo strumento di comunicazione interna dopo l’email. Strano effetto: più il powerpoint si arricchisce di funzionalità, più si restringe la nostra capacità di inventare, scrivere, argomentare, convincere. Per la mancanza di tempo, di idee, di immaginazione, di linguaggi c’è sempre una salvezza: il template. Il testo viene ridotto a una lista di punti, tanto che il powerpoint viene ormai quasi identificato con la famosa bulleted list. Bullet, ovvero proiettili, che però -2- restano sulla pagina e raramente partono per colpire l’immaginazione e la mente di chi legge o ascolta. PROIETTILI, PER COLPIRE AL CUORE Beyond bullet (www.beyondbullet.com), “oltre gli elenchi puntati”, è il titolo dell’unico blog a livello mondiale che si occupa esclusivamente dell’ecologia del powerpoint e che ne propone un modello più ricco, che coinvolge tutta la persona e i suoi sensi. La persona che parla e quella che ascolta. Il suo curatore, Cliff Atkinson, si rifà agli studi svolti negli anni 90 da Richard Mayer e dai suoi colleghi dell’Università di California, che hanno analizzato le modalità di apprendimento e l’uso integrato di parole e immagini secondo tre concetti chiave: 1. Doppio canale. La mente ha due canali di apprendimento, quello visuale, che elabora tutte le informazioni che si presentano agli occhi (illustrazioni, animazioni, video, testo scritto) e quello verbale, che elabora le informazioni che arrivano alle orecchie: riempire le slide di solo testo equivale a intasare un canale, quindi a bloccare la comunicazione. 2. Capacità limitata. In ogni canale riusciamo a far passare poche informazioni alla volta. Di un video ci restano poche immagini, di un lungo discorso poche parole: le parole sulle slide vanno scelte e distillate con cura. 3. Elaborazione attiva. Chi ascolta ritiene non tutto quello che gli viene proposto, ma solo quello che gli serve: bisogna mettersi dalla parte di chi ascolta e non solo selezionare le informazioni che gli servono, ma anche organizzarle in modo da aiutarlo a sceglierle e assimilarle. Su questa base, Atkinson suggerisce di scrivere le presentazioni powerpoint tenendo conto di 4 princìpi: Principio di segnalazione Scrivere un titolo chiaro che sintetizzi il contenuto della pagina in ogni pagina. Non “obiettivi di marketing”, ma “Obiettivo 2005: quota 20% del mercato”. Non “risultati 2004”, ma “2004: un anno in crescita”. Non “l’offerta”, ma “i grandi sistemi IT per la competitività del paese”. Non “Sistemi di knowledge management”, ma “Il vero elemento competitivo: la conoscenza”. I titoli delle singole slide, letti da soli, dovrebbero costituire il “soggetto” della “rappresentazione”. Dimenticate i titoli delle brochure e pensate piuttosto ai titoli dei giornali, non disdegnate verbi, forme forti e attive. Principio di segmentazione Se si assimila meglio un concetto alla volta, ogni slide deve essere dedicata a un solo tema, a una sola idea: meglio molte slide rarefatte che poche slide illeggibili. E tagliate tutto quello di cui non parlerete a voce, compresi gli onnipresenti loghi aziendali e i pattern di sfondo. Principio di modulazione Una slide non è una pagina formato A4: una slide piena di testo “chiude” il canale visivo e chi ascolta rinuncia a seguire. Gli studi cognitivi rivelano che le persone assimilano meglio una presentazione multimediale se le parole sono presentate come una narrazione, piuttosto che come testo sulla slide. Usate quindi la slide per “ancorare” l’attenzione con un -3- breve testo o un’immagine, ma spostate il racconto fuori schermo e usate il canale auditivo. Raccontate storie o una breve favola, eventi successi a voi o ad altri colleghi, servitevi di metafore. Per esempio: state illustrando la vostra offerta di siti usabili e accessibili per le amministrazioni pubbliche: accanto all’immagine del portale di una cattedrale gotica, scrivete il testo “sul portale il contenuto del vostro sito sarà annunciato, promesso, rappresentato”, oppure titolate con una citazione di Tim Berners-Lee (l’inventore del World Wide Web), o ancora titolate la slide dedicata all’usabilità dell’home page con “home sweet home” ed evocherete all’istante un senso di agio e benessere… predisponendo il pubblico ad aprirvi la mente e il cuore. Non abbiate paura di mescolare stili e generi diversi, il formale con l’informale, il serio e il faceto, i numeri e le storie. Pensate al metodo di Milton Erickson e al potere delle storie e delle parole per ognuno di noi… ogni tanto una piccola trance apre alla ricettività. Principio di multimedialità Usate la grafica per tradurre i concetti in immagini e le immagini per fornire suggestioni. E non limitatevi al consueto repertorio di clip art: potete usare fotografie, simboli, testimonial famosi, animali, fumetti, vignette, oggetti misteriosi… Nella presentazione le parole scritte non sono le protagoniste, ma sono essenziali per incorniciare e sottolineare quelle pronunciate dall’oratore. È lui l’attore-regista. Lo schermo non è fatto per competere con lui, né per trasmettere solo informazioni a chi ascolta: costituisce piuttosto la scenografia, l’ambiente e l’atmosfera della relazione. Le parole sono i punti fermi, i dati di riferimento, lo scheletro argomentativo, gli interrogativi, le conclusioni. QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO Come ogni recita a teatro, ogni presentazione dovrebbe essere diversa dall’altra, mentre oggi le presentazioni sono addirittura “standard”, buone per tutti e in ogni occasione, scaricabili dal sito intranet. Niente di male, ovviamente, per presentare rapidamente la società o l’amministrazione, ma un’abitudine deleteria se avete un obiettivo particolare da raggiungere. In questo caso, l’aziendalese tuttofare è la peggiore scelta possibile. Se volete creare rapport e portare l’interlocutore dalla vostra parte, dovete conoscerlo e scrivere la presentazione apposta per lui. Lo prova una ricerca di due anni su 1.684 alti dirigenti, che ha rivelato che il 50% delle presentazioni di progetti non convincono non per il loro contenuto, ma per la modalità della presentazione. Lo studio (http://www.millerheiman.com) individua cinque stili di management, per i quali sono necessarie modalità di presentazione diverse: carismatico i carismatici sono facili da persuadere se mettete al primo posto le idee innovative, espresse con fantasia ed entusiasmo: partite con l’obiettivo, con lo scenario futuro “come se”, con una metafora, una citazione, un testimonial “visionario”; solo dopo passate ai dettagli, ai dati, alle informazioni pensatore è attento al dettaglio e ai molteplici punti di vista, con lui è meglio non barare: tabelle pro e contro, andamento del progetto nel tempo con vantaggi e possibili svantaggi -4- scettico poiché ama anticipare le obiezioni, fate voi la parte dell’avvocato del diavolo e organizzate la presentazione in modo da anticipare e documentare le obiezioni gregario per lui è essenziale percorrere un cammino già battuto da altri: risultati, dati, fatti, indagini di mercato e soprattutto case study controllore il cuore della vostra presentazione deve essere un business plan preciso e documentatissimo, che non lasci aspetti scoperti e domande senza risposta. CONSIGLI PRATICI Non partite scrivendo le slide: gli elenchi puntati stimolano la parte razionale del cervello; partite piuttosto con un normale brainstorming: come in ogni lavoro di scrittura, la redazione è solo una parte del processo. A partire dal vostro obiettivo, immaginate prima il “soggetto” della presentazione e scrivete non il testo, ma i titoli delle slide: scorreteli tutti di seguito e verificate se hanno un senso e un contenuto in sé. Per titolare, pensate di avere in testa il cappello del caporedattore di un giornale: “La lavorazione delle mozzarelle ieri, oggi e domani” (andamento del mercato); “Ritorno al futuro: l’azienda nel 2006” (scenario e previsioni). Una presentazione può essere una storia, una slide può suggerirla: preparate la vostra storia o siate pronti ad attingerla dalla vostra esperienza di vita e di lavoro; l’importante è che non la annunciate pomposamente con “ora vi racconterò un’istruttiva storiella sufi che vi aiuterà a capire meglio quanto sto dicendo, e magari vi farà anche divertire”, cominciate direttamente la presentazione con la storia, lasciatela scivolare nel discorso o usatela per concludere. Utilizzate ogni tanto la tecnica dello swish, soprattutto quando dovete fare dei confronti tra scenari, prodotti, alternative diverse: presentate prima lo scenario negativo e poi dissolvete verso quello positivo. Anche nel powerpoint sono importanti soprattutto l’inizio e la fine: anticipate il problema, ponete una domanda. Per esempio: utilizzate la prima e la seconda slide per annunciare ciò di cui parlerete. Non “Strategie di ebusiness”, ma “L’e-business + i sistemi legacy: la scelta vincente per il nostro mercato”, così chi vi ascolta ha già una piccola anticipazione. E infine, perché no? anche una bella domanda - sola, nel mezzo della terza slide -, quella cui darete risposta con la vostra presentazione: “come offrire i nostri prodotti attraverso internet?” Oppure tirate le fila e riassumete in una sola slide, in uno slogan finale, il "succo" del discorso e il perché della validità della proposta. Andate all’essenziale, anzi all’osso, eliminate avverbi e aggettivi: le sfumature qualitative le darete con le vostre parole e con il tono di voce. Dosate e modulate i canali sensoriali: fate apparire la slide con il testo, voltatevi verso il pubblico, parlate, poi eventualmente fate entrare altro testo -5- con la funzione “animazione”, ma in ogni caso non voltate le spalle al pubblico e non guardatevi la punta delle scarpe. Preparate la presentazione scrivendo liberamente le note: una volta fatto un buon editing, potete lasciarle alla fine della presentazione come handout. Risponderete così all’obiezione che “qualcosa bisogna pur lasciare” e confezionerete una brochure più “calda”, che conserva tono e stile della lingua parlata. Personalizzare le presentazioni è molto oneroso in termini di tempo. E’ per questo che usiamo tutti quelle standard. Una buona soluzione è spesso un onorevole compromesso. Preparate un certo numero di slide standard, ma siate pronti a personalizzarne un certo numero a seconda delle occasioni e usatele soprattutto all’inizio e alla fine. Il tempo in più viene ripagato dai risultati e anche dal vostro maggiore divertimento. CASE STUDY: UNA STORIA UNICA DA PROPORRE A TANTI La spinta a studiare lo strumento del case study mi è venuta dalla ricerca di una via di uscita all’”omogeneizzato linguaggio del business”. Avete mai provato a descrivere in maniera “unica” e accattivante le attività e le competenze di un’azienda di Information Technology? A usare il linguaggio in modo originale per tenere il lettore con voi? È impresa quasi disperata, perché non c’è alcuna differenza tra quanto le aziende (a parole) offrono. La differenza sta in altro: in come le tecnologie vengono applicate per risolvere dei problemi molto particolari e poi nei risultati concreti che i clienti riescono a conseguire con i nostri servizi e la nostra consulenza. Quando ho capito questo, mi sono spostata dall’azienda al cliente e da lì sono ripartita. La soluzione al mio problema si chiamava “case study” ed era il racconto di un caso di successo da proporre ad altri clienti. Si trattava di fare un’operazione di modeling delicata, poiché chi scriveva faceva parte dell’organizzazione parte in causa, non era un’osservatrice neutra, nella terza posizione ideale per modellare un comportamento. Il segreto è non scegliere voi, ma lasciar scegliere il mercato: chi sono i clienti più soddisfatti? quelli che vi hanno espresso esplicitamente il loro apprezzamento per una soluzione innovativa, un servizio di assistenza impeccabile, un’idea che vi ha staccato dai concorrenti? Cominciate da loro e trattate il “caso” come un giornalista di inchiesta, con ricognizioni sul campo, interviste, analisi dei pro e dei contro. La mappa non è il territorio, il mercato non siamo noi Quel che è vero per i sistemi rappresentazionali delle persone, è vero anche per le aziende. Siamo convinti di conoscere benissimo il mercato, e qualche volta è vero, ma spesso indagini di mercato e sulla soddisfazione dei clienti non sono sufficienti. Non è detto che nostra mappa coincida con il territorio del mercato e dei clienti. -6- Lo prova uno dei problemi più seri della “letteratura di marketing”: l’autoreferenzialità, la falsa convinzione di conoscere benissimo i problemi del nostro cliente e anche la soluzione che fa per lui. Una convinzione pienamente rispecchiata dal linguaggio: “Grazie alle nostre specifiche competenze siamo perfettamente in grado di risolvere ogni problema di business continuity delle aziende clienti”. Oppure: “Con i nostri metodi certificati di imballaggio e trasporto le vostre merci arriveranno a destinazione in modo puntuale e sicuro.” O ancora: ”In quanto azienda leader nel settore della ristorazione pronta, offriamo piatti e menu surgelati a ogni tipo di locale che non disponga di una propria cucina”. Noi, noi, nostri…. Andate sul campo a esplorare e definire meglio il territorio: studiate il mercato e i potenziali clienti, visitate i loro siti internet, leggete le loro brochure, cercate di capire i loro problemi, date un’occhiata alle community di clienti nel caso di beni di consumo, ma soprattutto andate dal famoso cliente soddisfatto e parlate direttamente con lui. Di esigenze reali, di problemi incontrati, di soluzioni efficaci, di risultati ottenuti. Interviste faccia a faccia Mettetevi nei panni del giornalista di inchiesta, munitevi di registratore e intervistate sia il cliente, sia i colleghi che hanno realizzato il prodotto o la soluzione di successo. Nella conversazione il cliente userà il “suo linguaggio”, quello cui è sensibile, e soprattutto si lascerà andare e voi avrete modo di scavare, di fare domande estemporanee, di sapere tutto quello che non riuscirete a leggere da nessuna parte. Potrete anche indagare sui motivi più sottili della sua soddisfazione, farvi fornire dati e numeri che potranno convincere ulteriori clienti della vostra affidabilità e competenza. Non prendete appunti di tutto, lasciate correre il registratore e concentratevi sul vostro interlocutore, il suo entusiasmo, i suoi gesti, le sue espressioni. Annotatevi piuttosto le parole chiave che il cliente ripete spesso, quelle cui evidentemente annette più importanza, ciò che nomina prima, ciò che cita dopo, ciò che avete dovuto tirargli fuori voi. Una storia, ma rigorosamente scandita Un case study è una storia: un problema, delle difficoltà, un’idea brillante, una soluzione, un lieto fine, delle rosee prospettive per il futuro. Ma in questo caso una storia rigorosamente scandita e documentata, che ricalca i problemi dei clienti per poi guidarli offrendo loro la soluzione migliore. Esporre prima il problema, la situazione del mercato, una nuova legge che richiede di cambiare processi e procedure, oppure una nuova tecnologia da applicare per la prima volta in un nuovo contesto equivale a dire “Conosco la tua situazione, le tue difficoltà, so di cosa parli, perché questi problemi li ho già studiati e affrontati anch’io”. Solo dopo esporrete la soluzione guidando il potenziale cliente attraverso i dati e i numeri di una situazione che qualcun altro ha già risolto brillantemente prima di lui. Raccontare “come” equivale a creare in chi legge la rappresentazione della -7- soluzione, fargli “vedere” cosa acquisterà. Questa è una possibile scansione per il vostro case study: titolo sottotitolo, che riassume in una frase il principale vantaggio per il cliente cliente concreto e preciso (non "un primario gruppo assicurativo nazionale", oppure “un’azienda leader nel settore delle telecomunicazioni”) problema, la situazione prima dell'entrata in scena della vostra azienda o cosa sarebbe successo se non fosse entrata in scena soluzione, perché è stata scelta proprio la vostra azienda e come avete applicato i vostri prodotti, le vostre competenze nella soluzione del problema vantaggi ciò che il cliente ha ottenuto concretamente (di quanto ha ridotto i costi, come ha migliorato la propria organizzazione, i tempi di produzione e di consegna; nel caso di una pubblica amministrazione come ha migliorato la qualità dei servizi ai cittadini), con dati alla mano, fatti concreti e possibilmente numeri sviluppi futuri: cosa sta crescendo di nuovo sulla soluzione contatti per saperne di più (mail, sito internet, telefono della vostra azienda). Dal generale al particolare: il metamodello La tentazione di non esporsi e di stare sulle generali è sempre forte, ma nel case study dovete fare esattamente il contrario: essere precisi, dettagliati e documentati. Il vostro potere persuasivo si basa esattamente su questo. Non cancellate mai il soggetto: non “è stato realizzato”, ma “l’azienda Multiservice ha realizzato”; meglio ancora “abbiamo realizzato, abbiamo creato, abbiamo avuto l’idea”. Non nominalizzate mai i verbi e usate l’infinito ovunque possibile: l’effetto dinamico e trascinante si ripercuoterà sulla mente del lettore; non “l’obiettivo primario era la realizzazione di un sistema documentale per l’informatizzazione del protocollo”, ma “l’obiettivo era realizzare un sistema documentale per informatizzare il protocollo”; meglio ancora “Obiettivo: realizzare un sistema documentale per informatizzare il protocollo” (ogni riferimento al passato sparisce, il racconto diventa contemporaneo). Non cancellate i problemi incontrati: esponeteli e raccontate come li avete risolti. Contestualizzate i paragoni: “risolvere al meglio”: al meglio di chi? di quando? “la migliore soluzione sul mercato”: citate un’indagine di un famoso istituto di analisti. Evitate le generalizzazioni: sono i “tutti”, i “sempre”, i “ciascuno”, che così facilmente ci sfuggono e danno ritmo alla nostra prosa; citate piuttosto eventi, date, luoghi, persone. Lo stesso vale per i “in questo quadro, in questo contesto, in quest’ottica”: aiutano noi, non il lettore. I testi si incorniciano in altro modo: per esempio raccontando prima cosa sarebbe successo se il cliente non avesse effettuato quelle scelte e operato quelle decisioni. -8- Condimenti emotivi e sensoriali Anche quando dovete scrivere un testo molto documentato e preciso, non rinunciate a ricalcare e guidare il vostro cliente con sottolineature e suggestioni, verbali e paraverbali. Se nella comunicazione scritta è impossibile ricalcare il linguaggio corporeo, né i ritmi e i toni della lingua parlata, è però possibile ricalcare le idee, le convinzioni, le aspettative, il lessico. Per esempio: sottolineate ciò cui date più importanza con il grassetto o il colore anticipate le informazioni più importanti nell’executive summary: più le informazioni sono integrate e sintetiche, meglio sono assimilabili; lo stesso vale per i titoli: affidate loro contenuti importanti e significativi, anche cambiando registro linguistico (titoli più “caldi” per un case study tutto numeri e tecnologia) delegate informazioni anche alle immagini: tabelle, grafici, foto, box ricorrete a qualche metafora per spiegare meglio dei concetti astratti fate ricorso alle parole che avete sentito pronunciare al vostro cliente durante l’intervista e che vi hanno colpito date qualche “sostegno sensoriale” al lettore: invece di “essendosi affermato anche in ambito pubblico il protocollo TCP-IP…” potete anche concedervi di iniziare con “il vento di internet ha soffiato potente anche sulla pubblica amministrazione…” e così trascinate anche il vostro cliente nel vortice della lettura. Un rapport alla pari State esponendo una realizzazione di successo, della cui validità siete convinti, che può essere un modello per il futuro. Non fatevi tentare dai tentennamenti lessicali e dai toni incerti. Rapport e fiducia non si costruiscono così. Non “Visti i risultati conseguiti, riteniamo di poterci proporci come partner in grado di risolvere gli stessi problemi anche per altri eventuali Clienti”, ma “Siamo convinti che l’approccio seguito e le tecnologie utilizzate possono costituire un modello per altre aziende che si trovino ad affrontare gli stessi problemi. Con il vantaggio di una soluzione collaudata, che ha già prodotto ottimi risultati, documentati e misurabili”. IL KIT DELLA DOCUMENTAZIONE DI MARKETING Presentazioni e case study sono casi un po’ estremi, ma utili perché vi si ritrovano praticamente tutti i problemi che bisogna affrontare quando si scrive della documentazione di marketing. Ogni strumento serve un obiettivo preciso e, prima ancora di progettare e di scrivere, dovremo decidere di volta in volta a quale strumento o mix di strumenti affidarsi. L’ideale è mettere a punto un intero kit di documentazione costituito da: presentazioni: da personalizzare ogni volta che per informare e convincere sono necessarie le capacità oratorie di una persona e il coinvolgimento sensoriale di chi parla e chi ascolta, con un massimo livello di rapport -9- brochure: per un’informazione di primo livello su un tema abbastanza ampio, dove parole e immagini si integrino al meglio schede prodotto: dati e informazioni sintetiche e precise: date fondo al metamodello finché non arrivate all’essenza delle informazioni case study: rapport mediato dalle parole, ma profondo perché studiato, calibrato e documentato: con l’esposizione dei problemi ricalcate, con la soluzione guidate e portate il cliente dalla vostra parte white paper: applicate il metodo del case study per “raccontare” e documentare un tema trasversale e più generale, portando l’attenzione del cliente su quanto ancora non sa, ma magari dovrebbe conoscere meglio. PER APPROFONDIRE Comunicobene.com di Linda Scotti http://www.comunicobene.com Gordon & Gordon http://www.gordonandgordon.com Klariti http://www.klariti.com Sociable Media http://www.sociablemedia.com Beyond Bullets http://www.beyondbullets.com The real role of Powerpoint, di David Weinberger http://www.worthwhilemag.com/entry/2004/04/09/the_real_role_of_powerpo int.php More power, more to the point, di Susan Salomon http://www.clickz.com/experts/design/cont_dev/article.php/3317221 Powerpoint presentations online: no! stop!! don’t!!!, di Amy Gahran http://blog.contentious.com/archives/000071.html Il morbo di Powerpoint, di Giancarlo Livraghi http://www.gandalf.it/offline/off69.htm Powerpoint is Evil, di Edward Tufte http://www.wired.com/wired/archive/11.09/ppt2.html La powerpointosi esiste http://www.webmasterpoint.org/speciale/2003dic19.asp Powerpoint su Wikipedia http://en.wikipedia.org/wiki/PowerPoint - 10 -