RenzI dURaMente contestato daglI oPeRaI gRanaRolo e

Transcript

RenzI dURaMente contestato daglI oPeRaI gRanaRolo e
Settimanale
Nuova serie - Anno XXXIX - N. 3 - 22 gennaio 2015
Fondato il 15 dicembre 1969
Comunicato dell’Ufficio politico del PMLI
L’attentato a Parigi
è frutto dell’imperialismo
PAG. 3
Durante la sua visita a Bologna
Renzi duramente contestato
dagli operai Granarolo e dagli universitari
Il Jobs Act ristabilisce i rapporti di caporalato. Gli studenti scandiscono “Renzi carogna, scappa da Bologna”
PAG. 2
Un chiaro fallimento della politica economica e sociale del governo
Attual
del Su
fuoco
banch
coinvo
Dobbi
delle l
o da a
quarti
fronte
unire t
sinistr
corret
Mai cosi’ tanta disoccupazione,
quella giovanile al 43,9%
Renzi è una iattura, va spazzato via
Il governo nega
il rinnovo della
sospensione
degli sfratti
50 mila sgomberi in arrivo. I comuni
di Milano, Roma e Napoli chiedono
il ripristino della proroga
PAG. 5
PAG. 2
Fallito (per ora) il
blitz di Renzi per
salvare Berlusconi
dal Ra
del 5°
Il patto del Nazareno
però regge
PAG. 2
di Giovanni Scuderi
Il decreto “Salva Ilva” va affossato
La nazionalizzazione dell’Ilva deve
essere permanente e non temporanea
Inaccettabili l’impunità del Commissario e dei suoi uomini e le bonifiche ridotte all’80%, senza gli interventi decisivi anti-cancro
Il danno ambientale lo devono pagare i Riva
Per il trionfo della causa del socialismo in Italia
Anche un solo euro al mese
Il PMLI ha bisogno dell’aiuto economico di tutti i fautori
del socialismo, gli anticapitalisti, gli antirenziani ovunque
partiticamente collocati. Con le quote mensili dei soli
militanti e dei contributi dei simpatizzanti attivi non ce
la fa a sostenere le spese crescenti delle attività, della
propaganda e delle sedi.
I contributi, anche un euro al mese, possono essere
consegnati direttamente ai militanti del Partito oppure
versati attraverso il conto corrente postale n. 85842383
intestato a: PMLI – via Antonio del Pollaiolo, 172/a –
50142 Firenze.
Grazie di cuore
PAG. 4
In provincia di Catania
Lottiamo uniti contro la giunta
Bonanno “centro-destra”
di Caltagirone
PAG. 12
PAG. 6
Inserito nella Legge
di Stabilità 2015
Il TFR in
busta paga
E’ una
truffa
Non sarà a tassazione
agevolata bensì ordinaria
Ennesima scusa
del governo
Renzi per tassare
i lavoratori
PAG. 6
A una settimana dall’inaugurazione
Crolla un ponte sulla Palermo-Agrigento
E’ costato 13 milioni versate a due “Coop rosse” e alla Tecnis del catanese Domenico Costanzo
Le responsabilità di Renzi e Crocetta
PAG. 5
2 il bolscevico / interni
N. 3 - 22 gennaio 2015
Un chiaro fallimento della politica economica e sociale del governo
Mai cosi’ tanta disoccupazione,
quella giovanile al 43,9%
Renzi è una iattura, va spazzato via
Chissà se il pomposo, arrogante, e presuntuoso Matteo Renzi
avrà ancora voglia di fare lo spavaldo, sbandierando ai quattro
venti miracoli economici che finora gli operai, i lavoratori e le masse popolari italiane non hanno visto neanche col binocolo, anche
se a dire il vero qualcosa le masse italiane lo hanno visto eccome.
Hanno visto un Paese completamente distrutto economicamente
dalla crisi del sistema capitalista
che sta annientando il patrimonio
industriale italiano, hanno visto la
povertà e la fame dilagare con un
aumento esponenziale tra le famiglie proletarie a causa della perdita del posto di lavoro, ed è proprio
questa perdita che a novembre ha
registrato il suo massimo storico nel nostro Paese che dovrebbe
tappare la bocca al Berlusconi democristiano.
Le cifre parlano chiaro, il tasso
di disoccupazione ha toccato quota 13,4%, in aumento di 0,2 punti
percentuali rispetto a ottobre. E si
tratta, ha comunicato l’Istat, di un
record storico, il valore più alto sia
dall’inizio delle serie mensili (partite nel gennaio 2004) sia di quelle
trimestrali, che vengono pubblicate dal 1977.
Non solo: per i 15-24enni a novembre il tasso è balzato al 43,9%,
in rialzo di 0,6 punti percentuali su
ottobre e di 2,4 rispetto a un anno
fa, anche se il valore è un po’ più
basso del picco toccato in agosto
quando risultava pari al 44,2 per
cento. In tutto però, per effetto di
un incremento del tasso di partecipazione, i giovani senza lavoro
risultano essere 729mila, contro i
710mila dell’estate.
In valori assoluti, e allargando
lo sguardo a tutte le fasce di età, i
disoccupati a novembre hanno toccato la cifra di 3 milioni 457 mila,
con una crescita di 40mila unità rispetto a ottobre (+1,2%) e di 264
mila su base annua (+8,3%).
Quel che è peggio, però, gli occupati sono scesi dello 0,2% rispetto a ottobre. Si contano così
48mila occupati in meno in un
solo mese. Si tratta del secondo ribasso consecutivo. Il loro numero
cala anche su base annua, sempre
dello 0,2% (-42mila). Vengono
ancora smentite dunque le sparate
di Renzi quando aveva sostenuto
di aver “creato” dall’insediamento del suo governo, 153 mila nuovi
posti di lavoro.
La realtà è ben diversa: se a
marzo 2014 (l’esecutivo si è in-
sediato il 22 febbraio) i lavoratori con un posto di lavoro a tempo
determinato o indeterminato erano
22.387.000, a novembre erano calati a 22.310.000.
Se questa è la situazione attua-
le, frutto di anni di leggi che hanno
cancellato le tutele dei lavoratori e
del lavoro, non osiamo neanche
immaginare gli effetti devastanti
che porterà nel 2015 l’entrata in
vigore del Jobs Act che dà completa libertà ai padroni di licenziare e ricattare i lavoratori!
Il governo Renzi amato, lusingato e sostenuto dalla grande
borghesia italiana, dall’UE imperialista e dal neoduce Berlusconi,
è al tempo stesso odiato e avversato dagli operai e della masse
lavoratrici e popolari come si è
potuto vedere nelle decine di manifestazione che si sono tenute in
tutta Italia contro la presenza di
Renzi in qualunque città andasse.
Ultima la contestazione di Bologna.
Per vincere occorre spazzare
via il governo del Berlusconi democristiano Renzi. Come ha indicato il Segretario generale del
PMLI, compagno Giovanni Scuderi, bisogna fare fuoco e fiamme
per il lavoro.
Durante la sua visita a Bologna
Renzi duramente contestato dagli operai
Granarolo e dagli universitari
Il Jobs Act ristabilisce i rapporti di caporalato. Gli studenti scandiscono “Renzi carogna, scappa da Bologna”
Se il 2014 si era chiuso per
Renzi con i fischi tra Catania,
Reggio Calabria e l’Irpinia, il 2015
si apre con una durissima contestazione a Bologna, alla sua prima visita ufficiale il 10 gennaio.
E ciò grazie agli operai della
Granarolo, dove il premier si era
recato per l’inaugurazione del
nuovo polo produttivo. La Cgil
aveva indetto uno sciopero di due
ore per la giornata e gli operai hanno aderito, esponendo lo striscione “#80 euro zero diritti qua nes-
suno è fesso, neanche la Lola” (la
mucca della pubblicità Granarolo,
ndr). Ci ha tentato il premier ad
oscurare la protesta, ma, benché
gli operai fossero stati tenuti lontani dalla stampa e dai fotografi, il
Berlusconi democristiano è stato
costretto ad entrare dall’ingresso
sul lato opposto rispetto a quello
della dura protesta. La contestazione operaia a Renzi è contro il
Jobs Act che, come dice senza
mezzi termini il segretario della
Flai-Cgil di Bologna: “È un atto di
sottomissione ai mercati che ripristina la relazione tra caporalato e
bracciante”.
Hanno continuato la contestazione gli universitari che hanno
atteso in città l’arrivo di Renzi,
invitato dal rettore Ivano Dionigi,
per l’inaugurazione dell’anno accademico. Imponente il cordone
di “forze dell’ordine” in assetto
antisommossa che teneva i giovani lontano dalla “zona rossa”.
Gli studenti hanno tentato di forzare lo schieramento, scandendo:
“Renzi carogna, scappa da Bologna” e “fuori i mafiosi dall’università”, per poi dirigersi in Piazza
Maggiore dove, entrando a Palazzo D’Accursio, sede del comune,
dal primo piano dell’edificio hanno srotolato lo striscione: “Dionigi e Renzi meritate una lezione
magistrale. Stop Mafia-PD”. Per
tutta la durata del corteo i manifestanti hanno indossato maschere
che sbeffeggiavano il ministro del
Lavoro Giuliano Poletti, il sindaco
di Bologna Virginio Merola, PD, il
Secondo le stime delle associazioni dei consumatori
Nel 2014 le tariffe rincarate di 324 euro
Rifiuti, acqua, trasporti, pedaggi autostradali, mense e rette
scolastiche. La lista dei rincari tariffari che nel corso dell’anno appena concluso si è abbattuta sulle masse popolari è lunga e tale
da aver inciso sui bilanci familiari
per circa 324 euro in più rispetto
al 2013.
A fare i conti è il Codacons che
denuncia aumenti generalizzati
in quasi tutti i settori, nazionali
e locali e avverte che nel corso
del 2015 la situazione è destinata a peggiorare. Una previsione
confermata anche da un’altra
associazione di consumatori, la
Federconsumatori, che prevede
rincari complessivi, tra prezzi e
tariffe per ulteriori 677 euro.
In cima alla nuova raffica di
aumenti ci sono ancora una volta
gli aumenti dei pedaggi autostra-
dali che le società concessionarie
hanno già richiesto al ministero
dei Trasporti e che dovrebbero
scattare entro i primi mesi del
2015.
Si tratta di un vero e proprio
salasso specie se si pensa che
nel corso del 2014 per le autostrade la spesa è aumentata di
16 euro, con un rincaro cioè del
4,5%.
Per quanto riguarda le altre
voci le associazioni dei consumatori calcolano che è stato del
2,9% l’ incremento per i trasporti (+89 euro), del 15% per i rifiuti
(+44 euro), del 6% per l’acqua
(+38 euro), del +5,2% per la sanità (+54 euro).
Anche le mense e le rette scolastiche hanno comportato un
maggior esborso per le famiglie
(+48 euro su base annua). Men-
tre nel settore energetico, nonostante il forte calo dei prezzi dei
prodotti petroliferi, non si sono
registrate adeguate e significative riduzioni delle bollette di luce
e gas.
Nel settore bancario invece le
spese sono aumentate di 28 euro,
ma nella Rc auto, comparto tradizionalmente a rischio, sono calate di 8 euro. Per i professionisti si
sono avuti aumenti per 99 euro
rispetto al 2013, e per l’istruzione +48 euro. Andamenti al rialzo
che si ritrovano anche nei calcoli
della Cgia di Mestre, secondo la
quale tra il 2010 e il 2014 solo in
Spagna le tariffe pubbliche sono
rincarate più di quelle italiane. Se
in Spagna l’aumento medio è stato del 23,7%, in Italia l’incremento è stato del 19,1%. Secondo la
Cgia, nel nostro Paese i rincari
maggiori hanno interessato le tariffe locali. Se per l’ acqua i prezzi
praticati rimangono ancora adesso tra i più contenuti d’Europa, gli
aumenti registrati dai rifiuti sono
invece “del tutto ingiustificabili”.
A causa della crisi economica spiega l’associazione - negli ultimi 7 anni c’è stata una vera e propria caduta verticale dei consumi
delle famiglie e delle imprese:
conseguentemente è diminuita
anche la quantità di rifiuti prodotta. Con meno spazzatura da
raccogliere e da smaltire, le tariffe sarebbero dovute scendere
e, invece, sono inspiegabilmente
aumentate. Nell’ultimo anno, a
seguito del passaggio dalla Tares
alla Tari, gli italiani hanno pagato
addirittura il 12,2% in più, a fronte
di un’inflazione che è aumentata
solo dello 0,3.
leader del M5S Beppe Grillo, il leader della Lega Matteo Salvini, e
hanno contestato duramente, oltre al Jobs Act, il piano Renzi sulla
scuola che vuole “la privatizzazione del sapere”.
La manifestazione si è conclusa in piazza Maggiore con alcuni
interventi al megafono. I giovani
hanno denunciato la vergognosa
militarizzazione della città, che
li ha tenuti lontani dall’inaugurazione dell’anno accademico.
“Renzi non ha diritto di stare in
Università”, urlano dal microfono,
contestando “l’uso privatistico
dell’Ateneo, che serve ai piani del
rettore Dionigi e alla sua candidatura a sindaco”, e poi affermano
“È finita per questo governo che
ci dissangua. Renzi pagliaccio,
viene contestato in ogni città in
cui si presenta, si nasconde dietro la polizia e nei palazzi”.
È vero! Le masse più combattive non lo sopportano e ovunque
vada lo accolgono con fischi e
contestazioni durissime e rovinano giustamente le sue pose mussoliniane. Ma, purtroppo, Renzi
non è ancora finito. Siamo nella
fase però in cui la lotta sta montando e deve ancora crescere una
dura opposizione di classe e di
massa contro il nuovo Berlusconi
nelle fabbriche, in tutti i luoghi di
lavoro, nelle scuole e nelle università, nelle piazze, nelle organizzazioni di massa, specie sindacali e
studentesche con l’obbiettivo di
spazzarlo via. In questo contesto, il fronte unito che propone il
PMLI, pronto a unirsi con tutte le
forze politiche, sociali, sindacali,
culturali e religiose che si professano di sinistra, è necessario per
mettere fine sul serio al governo
Renzi.
Bologna, 10 gennaio 2015. Gli studenti in corteo manifestano contro il rettore
Ivano Dionigi e Matteo Renzi, presente all’inaugurazione dell’anno accademico.
Renzi è stato contestato anche da un picchetto operaio davanti alla Granarolo
il bolscevico 3
N. 3 - 22 gennaio 2015
Comunicato dell’Ufficio politico del PMLI
L’attentato a Parigi
è frutto dell’imperialismo
È in atto da anni una guerra tra gli islamici antimperialisti e l’imperialismo che
saccheggia e domina, o cerca di dominare con le armi,
i loro Paesi. L’attacco al settimanale satirico islamofobico “Charlie Hebdo” di Parigi rientra in questo quadro.
Non è stato quindi un attacco alla libertà di espressione e di stampa, ma un attacco all’imperialismo francese
che tutela in armi i suoi interessi in Afghanistan, Iraq, Libia, Yemen, Siria, Mali, Ciad
e altrove. Il guerrafondaio e
bombardiere Hollande ne è il
maggiore responsabile.
Ormai, dall’11 settembre
di New York, la guerra di
resistenza all’imperialismo,
sotto forma di azioni terroristiche, è portata fin dentro
i Paesi imperialisti, ed è impensabile fermarla se gli imperialisti non si ritirano dai
Paesi che occupano o che
controllano.
Le misure antiterrorismo
non servono assolutamente
a nulla, anzi aggravano la si-
tuazione e si ritorcono contro la popolazione, alla quale
sono limitate o negate le libertà democratiche borghesi.
I governanti imperialisti invitano all’unità nazionale per difendere la libertà e i “valori” dell’Europa e
dell’Occidente. In realtà invitano a difendere il capitalismo, la dittatura della borghesia, le loro istituzioni
antipopolari e la loro politica
imperialista e interventista.
Un invito che va decisa-
mente respinto per non essere coinvolti nelle guerre imperialiste e nei crimini che
commettono gli imperialisti
in nome della falsa democrazia e della falsa umanità. Tutti i popoli hanno diritto all’autodeterminazione e
all’indipendenza e a risolvere da sé le loro contraddizioni interne.
Bisogna lottare contro
l’imperialismo, segnatamente contro l’Unione europea
imperialista e contro il governo del Berlusconi de-
mocristiano Renzi, che è in
prima linea sul fronte dell’interventismo militare imperialista.
L’Italia deve uscire
dall’Unione europea e dalla
Nato, chiudere tutte le basi
Usa e Nato che sono nel nostro Paese, ritirare i suoi soldati da tutti i Paesi in cui
sono attualmente presenti, coerentemente all’articolo 11 della Costituzione, rinunciare a ogni intervento
armato all’estero, anche se
col casco dell’Onu e aprire
le frontiere ai migranti. Solo
così possiamo essere sicuri
che gli islamici antimperialisti non tocchino il nostro Paese e il nostro popolo.
Teniamo alta la bandiera
antimperialista, per la libertà dei popoli, per l’indipendenza e la sovranità dei Paesi, per il socialismo.
L’Ufficio politico
del PMLI
Firenze, 10 gennaio 2015,
ore 10
Fallito (per ora) il blitz di Renzi
per salvare Berlusconi
Il 28 dicembre un articolo de
“Il Sole 24 Ore” dal titolo “Reati
fiscali, salterà un processo su tre”,
metteva in allarme la procura di
Milano e l’Agenzia delle entrate,
accendendo i riflettori sul decreto
attuativo della delega fiscale approvato dal Consiglio dei ministri
la vigilia di Natale, e passato fin
lì sotto silenzio grazie all’assenza
dei giornali dalle edicole per le festività. Il decreto in questione, che
Renzi aveva magnificato in conferenza stampa come “una pietra
miliare”, conteneva infatti delle
norme che non solo introducevano
un condono nemmeno troppo mascherato per gli evasori fiscali, ma
estinguevano di fatto reati penali
gravissimi come la falsa fatturazione e la frode fiscale tramutandoli in semplice sanzione pecuniaria, sia pure aumentata.
Il testo sembrava scritto infatti più da fiscalisti esperti in elusione fiscale al servizio di banche
e finanzieri privati che da tecnici
dell’erario pubblico: come l’articolo 4 che esclude dal reato di
evasione le operazioni di finanza
strutturata, come i derivati, se queste sono riportate “nelle scritture
contabili obbligatorie”. Una norma sostanzialmente salva banche,
perché svuota di fatto la frode fiscale purché sia stata “contabilizzata”, e che tornerebbe a vantaggio
di imputati in processi per evasioni milionarie come gli ex amministratori delegati di Unicredit, Profumo, e di Banca Intesa, Passera, e
dell’industriale Emilio Riva, tanto
per fare qualche esempio.
Ma a destare allarme nei magistrati, che vedrebbero andare in
fumo centinaia di processi in corso, tra cui quelli intentati a Milano a imputati “eccellenti” come
Prada e Armani, era in particolare
l’articolo 19 bis, che stabilisce una
“causa di esclusione della punibilità penale”, sostituita col raddoppio delle sanzioni, se gli importi dell’Iva e delle imposte evase
Il patto del Nazareno però regge
“non sono superiori al 3% rispettivamente dell’imposta sul valore
aggiunto o dell’imponibile dichiarato”; e questo non solo nel caso di
dichiarazione infedele, ma anche
nelle fattispecie finora considerate
reati penali come la falsa fatturazione e la frode fiscale. Ciò significa per esempio che chi dichiara
un miliardo di imponibile è autorizzato ad evadere fino a 30 milioni, magari per costituirsi una provvista a nero per elargire tangenti
e corrompere politici. E significa
inoltre che essendo la franchigia
in percentuale e non in cifra fissa come adesso, a beneficiare di
questo vero e proprio incentivo
ad evadere e frodare il fisco saranno soprattutto i ricchi, rispetto
ai piccoli evasori per necessità o
per errori formali, ai quali la delega fiscale del governo sarebbe
teoricamente rivolta: “Un enorme
regalo ai grandi evasori”, lo aveva
subito definito l’ex ministro delle
Finanze Vincenzo Visco.
Regalo di Natale a
Berlusconi
Nei giorni successivi un’inchiesta de “Il Fatto Quotidiano”
faceva emergere altri due aspetti occulti e oltremodo scandalosi
della vicenda, costringendo tutta
la grande stampa borghese a parlarne e lo stesso premier Renzi ad
uscire dal silenzio. Il primo aspetto era che l’articolo 19 bis sembra
non fosse contenuto nella bozza
originale inviata al Consiglio dei
ministri (Cdm) dalla commissione
del ministero dell’Economia e delle finanze incaricata di redigerla,
e quindi era stato presumibilmente
aggiunto o nel Cdm del 24 dicembre stesso o addirittura a sua insaputa, subito dopo la sua conclusione. Circostanza confermata sia
dal sottosegretario all’Economia
di Scelta civica, Zanetti, sia dallo
stesso presidente della commissione (l’ex presidente della Consulta Franco Gallo), che aggiungeva questo irato commento: “La
mia è una commissione di gente
per bene. Io in quel testo non mi
riconosco”.
Il secondo aspetto, che spiegherebbe anche il perché del primo,
era che nel combinato disposto del
fantomatico articolo rientrerebbe guarda caso anche Silvio Berlusconi, la cui condanna per frode
fiscale che sta scontando ai servizi sociali riguarda un ammontare
di tasse evase che, per effetto di
prescrizioni e riduzioni varie, rientra abbondantemente nel 3%
dell’imponibile allora dichiarato.
Ciò significa che dopo l’entrata in
vigore del decreto i suoi avvocati potrebbero chiederne l’immediata applicazione retroattiva al
suo caso, ottenendo sia la cancellazione della pena, se non ancora
completata, sia la cancellazione
dell’interdizione dai pubblici uffici conseguente alla legge Severino: in altre parole l’ex capo del
governo riotterrebbe la piena “agibilità politica” che invoca a ogni
piè sospinto e tornerebbe ad essere
candidabile senza dover aspettare
i sei anni prescritti dalla suddetta legge. E ciò è stato confermato
sia dal suo avvocato, Franco Coppi, sia dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli.
Insomma il sospetto, più che
legittimo, era che con questa norma Renzi aveva fatto un bel regalo
di Natale al delinquente di Arcore, come si immagina nelle clausole inconfessabili del patto del
Nazareno, in cambio dell’approvazione veloce della legge elettorale Italicum ora in discussione
in parlamento e dell’elezione di
un nuovo capo dello Stato gradi-
to ad entrambi. Del resto il 19 bis
non ricalca forse perfettamente la
tesi difensiva sempre accampata
da Berlusconi, secondo la quale
la frode fiscale per la quale è stato
condannato riguardererebbe solo
una cifra “infima” rispetto alle tasse da lui pagate?
Le reazioni ipocrite e
arroganti del premier
Naturalmente, beccato con le
mani nella marmellata, Renzi ha
finto dapprima di cadere dal pero,
smentendo di essere l’autore della norma, facendo lo scaricabarile col ministro Padoan e sostenendo che in Cdm nessuno, nemmeno
il ministro della Giutizia Orlando
(“che è di sinistra”, ha sottolineato), aveva sollevato il problema
che quella norma avrebbe favorito
Berlusconi. Dicendosi comunque
pronto in questo caso a cambiarla, pur giudicandola un provvedimento “sacrosanto”, fatto “non ad
personam né contra personam, ma
nell’interesse di tutti i cittadini”.
Successivamente, visto che i
giornali continuavano a parlarne chiedendosi di chi fosse allora
la “manina” che l’aveva scritta, e
visto che tutti i sospetti erano ormai puntati, come estensori materiali del 19 bis, sui suoi due più
stretti collaboratori, il sottosegretario Luca Lotti e la responsabile del Dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi ed ex capo dei
vigili di Firenze, Antonella Manzione, il Berlusconi democristiano
ha rivendicato con iattanza che la
“manina” era la sua, annunciando
anche la sospensione del decreto
fino a dopo l’elezione del nuovo
capo dello Stato. Come ammettere sfacciatamente che la marcia
indietro è solo tattica, e che non
ha nessuna intenzione di mollare
questa carta che gli serve da mer-
ce di scambio per il pregiudicato
nella partita del Quirinale e per garantirsi i suoi voti sulla legge elettorale e la controriforma istituzionale e costituzionale piduista.
Quello del 3%, ha tagliato infatti corto tra l’ipocrita e l’arrogante Renzi a “Otto e mezzo” su La7,
“è principio di buon senso, non ci
prendiamo in giro. C’è il raddoppio delle sanzioni. Non mi interessa Sivio Berlusconi ma gli italiani.
Ma c’è chi vive nell’ossessione di
Berlusconi. Quella proposta l’ho
scritta io. Tutti gli articoli nuovi li
ho proposti io”. Dunque, che quella norma sia un suo personale salvacondotto per Berlusconi, e che il
salvacondotto sia solo rimandato a
tempi migliori, non ci piove. Non
a caso secondo alcuni retroscena
comparsi sulla stampa si parla di
una telefonata di Renzi al suo sodale del Nazareno proprio la sera
della vigilia di Natale: evidentemente per annunciargli la lieta novella, ma non quella della nascita
del “redentore”, bensì della legge
salva Silvio. Si dice anzi che ne
fossero al corrente anche i suoi avvocati Coppi e Ghedini, e che ne
era stato informato anche Napolitano; il che appare più che verosimile, vista l’arroganza con cui il
nuovo Berlusconi difende questo
vergognoso provvedimento, che
Fassina non ha esitato a definire
“agghiacciante” (pur attribuendolo come al solito ad “un errore grave” più che ad “un elemento del
patto del Nazareno”).
Un “segnale” per
stringere il patto del
Nazareno
Secondo il sito Dagospia, Coppi avrebbe addirittura partecipato
alla stesura della bozza al ministero dell’Economia, smentito ovvia-
mente sia dal ministro Padoan che
da Coppi. Che però, intervistato da
“Il Fatto Quotidiano”, ha ammesso che “il Tesoro e Palazzo Chigi
non potevano non sapere l’esistenza del codice”. E ha convenuto anche che “il provvedimento appare
legato alle trattative per il Quirinale, utilizzato come un messaggio mentre ci avviciniamo all’appuntamento per la successione di
Giorgio napolitano”.
Sta di fatto che il delinquente di Arcore ha capito benissimo
e gradito moltissimo il “segnale”
inviatogli da Renzi (e che Verdini
gli aveva preannunciato già alcuni
giorni prima), tant’è vero che non
se l’è presa più di tanto per la sospensione tattica del decreto fino
a dopo l’elezione del nuovo presidente, che il premier ha dovuto
fare giocoforza dopo che il blitz
è finito su tutti i giornali. Egli ha
capito comunque che Renzi lo ritenterà appena se ne ripresenterà
l’occasione favorevole, o che al
peggio sarà il successore di Napolitano, da loro stessi scelto, che gli
concederà la grazia. Ed è per questo che ci ha tenuto a far sapere al
suo compagno di merende che nonostante tutto “il patto del Nazareno tiene”.
E a dimostrazione di ciò, al Senato, le questioni pregiudiziali sui
requisiti di costituzionalità della
legge elettorale sono state respinte con i voti del PD e di Forza Italia. Mentre la fedelissima ministra
renziana Boschi ha annunciato in
aula che il governo approverà la
“clausola di salvaguardia” chiesta da Forza Italia per differire al
2016 l’entrata in vigore dell’Italicum, dopo che sarà stata approvata anche la controriforma costituzionale del Senato ed abolito il
bicameralismo. Onde rassicurare Berlusconi che si andrà a votare solo quando lui sarà già tornato
candidabile.
4 il bolscevico / ilva
N. 3 - 22 gennaio 2015
Il decreto “Salva Ilva” va affossato
La nazionalizzazione dell’Ilva
deve essere permanente
e non temporanea
Inaccettabili l’impunità del Commissario e dei suoi uomini e le bonifiche ridotte all’80%, senza gli
interventi decisivi anti-cancro
Il danno ambientale lo devono pagare i Riva
Alla vigilia di Natale il Consiglio dei ministri (cdm) assieme
ai decreti attuativi sul Jobs Act e
sui nuovi ammortizzatori sociali ha approvato anche il testo che
interessa il siderurgico di Taranto,
denominato “salva-Ilva che dovrebbe intervenire sul risanamento dell’acciaieria pugliese e scongiurarne la chiusura a causa del
forte inquinamento prodotto. Una
questione che si trascina da molto
tempo che, oltre allo sfruttamento
degli operai, ha prodotto tantissimi casi di tumore tra i lavoratori,
tra la popolazione dei quartieri limitrofi (spesso abitati dalle famiglie degli stessi dipendenti Ilva) e
l’inquinamento di vaste zone della
periferia tarantina.
Gli attuali proprietari dell’Ilva sono la famiglia Riva, gli industriali lombardi che l’acquistarono
nel 1995 quando i governi di allora decisero di privatizzare l’IRI
(Istituto per la Ricostruzione Industriale). Il presidente dell’ente
era Romano Prodi che svendette ai privati le aziende a partecipazione statale facendo ingrassare
tanti capitalisti e causando migliaia di licenziamenti. Quando quella
che ancora si chiamava Italsider,
(nata nei primi anni ’60) passò ai
Riva era già un’azienda da rinnovare tanto che nel 1990 l’area di
Taranto era stata dichiarata sito a
rischio ambientale.
Decenni
d’inquinamento
Non dobbiamo dimenticare che
la gestione statale ha avuto i suoi
aspetti negativi, anch’essa ha provocato notevoli danni e nonostante i grandi finanziamenti a disposizione quasi nessuna risorsa fu
utilizzata per la prevenzione del
danno ambientale, anzi, queste
erano parole del tutto sconosciute. Solo in epoca relativamente recente sono state varate normative
in tema di valutazione preventiva
degli impatti ambientali (Valutazione di Impatto Ambientale e Valutazione Ambientale Strategica) e
di allineamento degli impianti industriali alle migliori tecniche disponibili (Autorizzazione Integrata Ambientale, AIA).
Con l’invecchiamento della fabbrica la situazione si è aggravata ma i Riva si son guardati
bene dall’intervenire a salvaguardia della salute dei lavoratori e
della popolazione ma hanno sfruttato al massimo per il loro profitto
i lavoratori, il territorio e gli impianti. Una situazione che si è trascinata fino al commissariamento del 2013. Eravamo oramai di
fronte a dati sempre più allarmanti e inconfutabili che dimostravano come a Taranto, e in particolare nel quartiere Tamburi situato
vicino allo stabilimento, i casi di
tumore e di altre malattie strettamente legate alle emissioni degli
altiforni e alle polveri dei parchi
minerali (lo stoccaggio all’aperto
delle materie prime) erano infinitamente superiori alla media nazionale, nonostante l’ex commissario straordinario Enrico Bondi,
con una notevole faccia tosta, affermò che ciò era dovuto a fattori
socioeconomici e al maggiore utilizzo di tabacco.
Nell’ordinanza del Gip al processo del 2012 si legge: “chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato nell’attività inquinante con
coscienza e volontà per la logica
del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza”. Riva
senior, nel frattempo deceduto, è
uno dei 50 imputati nel processo
per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale,
omissione di cautele sui luoghi
di lavoro e avvelenamento di sostanze alimentari cominciato nel
2014. Tra gli indagati anche il governatore della Puglia Nichi Vendola per aver esercitato pressioni
sull’Arpat affinché chiudesse un
occhio sull’ Ilva. Del resto i Riva,
come emerso dalle indagini, hanno sempre elargito denaro ai politici locali, ai sindacati e alle autorità religiose cattoliche, oltre che a
ministri e politici nazionali. È insomma provato il coinvolgimento politico e giudiziario del narcisista trotzkista nel sistema Ilva:
costui ha concordato con i padroni dell’acciaieria leggi che hanno
consentito di avvelenare l’acqua,
l’aria e il suolo di Taranto. Ricevendone in cambio sostegno politico e finanziamenti.
Proprio questo intreccio tra affari, politica e corruzione ha permesso di tollerare per tanti anni
questo disastro ecologico che ha
portato all’attuale stallo, dove si
stava rischiando la chiusura delle
acciaierie, la scomparsa di questo
settore strategico dal nostro Paese e sopratutto il licenziamento di
migliaia di lavoratori. È stata anzitutto la lotta degli operai a impe-
ciaieria a qualche cordata di capitalisti privati. Cordata che sembra
già pronta: l’italo-indiana Arcelor
Mittal-Marcegaglia già interessata all’acquisto, che non a caso si è
proposta di amministrare assieme
al commissario Gnudi l’azienda
durante la gestione pubblica. Il fatto è che gli acquirenti non mancano e l’azienda non ha i debiti della
Parmalat o dell’Alitalia, ma nessuno vuole accollarsi la costosa,
imponente e urgente bonifica ambientale. Ma il governo è già pronto: costituirà una bad company su
cui far confluire l’attività passiva
(che sarà pagata dai contribuenti)
e una new.co (nuova azienda) che
raccoglierà i guadagni dopodiché
sarà pronta per essere sfruttata dai
privati.
Occorre una vera
nazionalizzazione
I lavoratori della FIOM dell’ILVA di Taranto alla manifestazione nazionale della CGIL del 25 ottobre 2014 a Roma contro
il Jobs Act (foto Il Bolscevico)
dire la chiusura della fabbrica ma
adesso i lavoratori e la popolazione non sono disposti a sacrificare
la salute in cambio del lavoro e ciò
ha costretto il governo a intervenire direttamente.
Il decreto
A metà gennaio l’Ilva entrerà
in amministrazione straordinaria
secondo la legge Marzano (istituita nel 2004 per il crack Parmalat) appositamente modificata, e
quindi sarà nazionalizzata, Renzi ha illustrato il piano che prevede lo stanziamento di 2 miliardi di
euro. Una cifra che parte già sottostimata poiché i magistrati avevano indicato in 8 miliardi la cifra necessaria. L’intervento sarà
così suddiviso: quasi un miliardo
e 200 milioni all’acciaieria per rispettare l’AIA (l’allineamento alle
migliori tecniche disponibili), 800
milioni per la riqualificazione e
bonifica della Città Vecchia, del
porto e delle aree adiacenti l’Ilva, 30 milioni per l’ospedale di
Taranto indirizzate alla ricerca e
alla cura dei tumori specie infantili, tanto che Renzi in conferenza
stampa ha affermato: “salveremo
i bambini di Taranto”. Ennesima
bufala del nuovo Berlusconi perché nel decreto non c’è traccia di
finanziamento, e un po’ per tutto il
piano le coperture finanziare sono
molto vaghe.
Ma questo decreto è pieno di
pecche. Sospende la legge e scavalca la magistratura che aveva
predisposto l’immediato risanamento dell’impianto che rimane
tuttora il più grande d’Europa. Il
governo si prende il tempo che
vuole, farà gli interventi che più
gli convengono e assicurerà l’immunità al Commissario che gestirà l’azienda, molto probabilmen-
Niki Vendola insieme a Fabio Riva (a sinistra) e all’allora ministro berlusconiano dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo
all’inaugurazione, nel 2009, dell’impianto UREA, destinato a misurare le polveri sottili prodotte dall’ILVA, impianto che
come ha rilevato la magistratura non è servito ad abbassare l’inquinamento prodotto dall’acciaieria
te l’attuale, Piero Gnudi. Costui
non sarà perseguibile durante tutto il suo mandato, cosicché la Magistratura (il controllo del rispetto
delle leggi) sarà impotente e subordinata all’Esecutivo. Un’impunità inaccettabile che impedirà ai
cittadini di ricorrere alla magistratura per denunciare il reato d’inquinamento. Ma questa impunità
sarà estesa anche ai privati che subentreranno in seguito, basta che
proseguano con il programma del
governo.
Perché il decreto non obbliga
l’amministratore pubblico a portare a termine la bonifica ambientale, ma sarà considerata attuata se
verranno eseguite l’80% delle 94
prescrizioni ambientali indicate
dall’AIA, senza specificare come
vengono calcolate. Se non si chiariscono le tipologie e le priorità
d’intervento il governo potrebbe
ottemperare a quelli meno onerosi
e tralasciare quelli più importanti
e costosi, che tra l’altro dovevano
già essere fatti e invece sono stati
continuamente prorogati.
Ma chi finanzierà tutta l’operazione? Questi due miliardi dovrebbero essere così suddivisi: un
miliardo e 200 milioni dai beni
confiscati alla famiglia Riva (ma
al momento sono in Svizzera e non
sarà facile riaverli), 150 milioni da
Fintecna provenienti dalle azione
vendute al tempo della privatizzazione dell’Italisider e 860 milioni
di soldi pubblici. Ma non dobbiamo scordarci che la nazionalizzazione sarà solo temporanea, al
massimo 3 anni, dopodiché l’Ilva
sarà di nuovo rimessa sul mercato
e venduta al miglior offerente.
Proprio qui sta la questione
principale. Il piano del governo
appare funzionale a un risanamento fatto con i soldi pubblici per
rendere di nuovo appetibile l’ac-
Sono impostazioni inaccettabili
e contro le quali è necessario battersi per una vera nazionalizzazione. Questa deve essere permanente e non temporanea, deve dare la
possibilità ai lavoratori e alla popolazione di Taranto di poter controllare seriamente tutte le emissioni e tutti i dati relativi a tutto
il ciclo produttivo dell’acciaio. Si
può e si deve avere libero accesso
a tutti i dati che riguardano la salute e l’ambiente, dati che i pescecani della famiglia Riva tenevano
segreti o taroccavano attraverso
connivenze e corruzione. Solo la
nazionalizzazione può permettere
l’ammodernamento alle più severe norme antinquinamento e allo
stesso tempo garantire la sopravvivenza alla maggiore acciaieria
europea che fornisce di materia
prima tutta la manifattura italiana
e impiega 12 mila dipendenti. Si
tira in ballo l’ Unione Europea che
ostacola gli interventi statali. Ciò
è vero e anche per questo l’UE va
soppressa però le leggi, quando si
vuole si possono cambiare, come
dimostra la modifica della legge
Marzano.
La famiglia Riva ha tratto immensi profitti dall’Ilva, sfruttando i lavoratori e avvelenando il
territorio, ha assoggettato tutta la
popolazione di Taranto al ricatto
occupazionale e con le sue innumerevoli complicità e protezioni
a tutti i livelli (dal governo cittadino a quello centrale passando
per quello regionale di Vendola),
ha sempre eluso i controlli ed evitato gli interventi ambientali che
pure si era impegnata a fare. Per
riempirsi le tasche di denaro non
ha esitato a far ammalare operai,
impiegati, lavoratori delle ditte
esterne, i loro familiari, riempendo gli ospedali di Taranto di adulti
e bambini ammalati di cancro. È
quindi giusto e sacrosanto che siano i Riva a pagare i danni ambientali, espropriando anche tutte le
loro proprietà.
interni / il bolscevico 5
N. 3 - 22 gennaio 2015
Il governo nega il rinnovo
della sospensione degli sfratti
50 mila sgomberi in arrivo. I comuni di Milano, Roma e Napoli chiedono il ripristino della proroga
Il governo Renzi si conferma
essere il più odioso nemico dei
lavoratori e delle masse popolari anche dal lato della politica sociale abitativa: nel testo del decreto “Milleproroghe” varato a fine
anno si è rifiutato infatti di inserire
il consueto blocco degli sfratti per
finita locazione alle famiglie disagiate, ignorando sprezzantemente
gli accorati appelli dei sindaci delle grandi città, dei sindacati e delle associazioni degli inquilini. Col
risultato che col nuovo anno si annuncia una drammatica valanga di
nuovi sfratti che andranno ad aggravare la già insostenibile emergenza abitativa.
L’abolizione da quest’anno del
rinnovo della proroga degli sfratti è particolarmente odiosa perché
riguarda i contratti in scadenza di
famiglie povere, con un reddito
complessivo lordo inferiore a 27
mila euro o con la presenza di anziani, minori, portatori di handicap gravi e malati terminali. Famiglie che pagano regolarmente
l’affitto ma che una volta sfrattate
non potranno permettersi un altro
alloggio a prezzi di mercato, che
come noto sono dovunque alle
stelle. Secondo l’Unione inquilini di Roma e del Lazio, nella sola
Roma rischiano lo sfratto circa 3
mila famiglie in queste condizioni. In tutta Italia si calcola che siano tra le 30 e le 50 mila le famiglie a rischio di sgombero forzato.
In pratica nel nostro Paese si eseguono in media 140 sfratti al giorno con l’uso della forza pubblica.
Il governo Renzi ha giustificato la carognata natalizia con la
scusa che nel decreto sulla casa
del ministro delle Infrastrutture
Lupi sarebbe già previsto un incremento dei fondi per gli affitti e
per la morosità incolpevole per un
totale di 446 milioni di euro. Ma
bara spudoratamente, perché in realtà questi soldi valgono fino al
2020, mentre per il biennio 201415 ci sono solo 270 milioni, tra
fondo affitti e fondo morosità incolpevole, che sono largamente
insufficienti ad affrontare la crisi
abitativa attuale. Per avere un’idea
del taglio operato basti pensare
che negli anni passati il solo fon-
do affitti si aggirava sui 350 milioni l’anno.
Non a caso il presidente di Confedilizia, Sforza Fogliani, ha esultato alla notizia dichiarando che
finalmente il governo “ha rotto la
rituale liturgia”. In realtà con questa irresponsabile decisione il governo Renzi ha innescato una vera
e propria bomba sociale, tant’è
vero che gli assessori alla Casa di
Milano, Roma e Napoli - tre tra le
quattro città maggiormente colpite dall’emergenza sfratti, l’altra è
Torino – hanno sottoscritto un appello in cui chiedono al governo
di sospendere gli sgomberi forzati per le famiglie coi contratti scaduti, per scongiurare “una situazione altrimenti ingestibile”. Ma il
ministro Lupi ha risposto picche,
invitandoli arrogantemente a “non
drammatizzare”, perché a suo dire
“il governo nel 2014 non è stato a guardare. Anzi ha finalmente imboccato una strada nuova,
cosciente che l’emergenza andava affrontata in modo più radicale e non con lo strumento vecchio
e logoro della proroga”. Perfetta-
Una recente manifestazione contro gli sfratti a Torino
mente allineato, cioè, con la posizione delle associazioni padronali
espressa sopra da Sforza Fogliani.
A riprova della politica classista del governo Renzi, deliberatamente servizievole coi padroni
e persecutoria con le masse meno
abbienti (basti pensare che contemporaneamente al “Milleproroghe” ha approvato anche un decreto fiscale con un bel condono
per chi evade e froda il fisco), c’è
anche il decreto sulla dismissione
dell’edilizia pubblica, per il momento fermato dalla dura lotta dei
movimenti per la casa, che prevede la vendita all’asta delle case
popolari a prezzi di mercato senza tutele per gli assegnatari. E c’è
l’articolo 5 del decreto Lupi sulla
casa che dispone il taglio di acqua,
luce e gas a chi occupa gli alloggi
vuoti. E chi occupa le case vuote,
non importa se in condizioni disperate e per richiamare l’attenzione delle istituzioni pubbliche,
sarà cancellato dalle graduatorie
per le case popolari.
Le associazioni degli inquilini chiedono che il “Milleproroghe” sia cambiato in parlamento
reintroducendo la proroga degli
sfratti, ed intanto che il governo
dia subito disposizioni ai prefetti
per sospendere gli sgomberi forzati per le famiglie che hanno i
requisiti per usufruire della proroga stessa. Rivendicazioni giustissime e da appoggiare e sostenere, ma nel quadro di una lotta di
massa più generale che affronti
l’emergenza sfratti rivendicando,
come indica il Nuovo Programma d’Azione del PMLI, il divieto
degli sfratti fino a che non sia offerta una adeguata abitazione alternativa, specie per le coppie di
anziani soli e le famiglie a basso
reddito, e l’obbligo per i comuni,
sostenuti da adeguati fondi pubblici, di requisire le case sfitte da
oltre un anno, i locali pubblici dismessi o inutilizzati e i palazzi nelle medesime condizioni da destinare, dopo i necessari lavori, alle
famiglie sfrattate e senza casa.
A una settimana dall’inaugurazione
Crolla un ponte sulla Palermo-Agrigento
E’ costato 13 milioni versate a due “Coop rosse” e alla Tecnis del catanese Domenico Costanzo
Le responsabilità di Renzi e Crocetta
‡‡Dal nostro corrispondente
della Sicilia
Era stato inaugurato il 23 dicembre, quando il 31 dicembre
un buon tratto della carreggiata
del viadotto Scorciavacche 2, sulla Palermo-Agrigento, è sprofondato. Subito è scattata l’inchiesta
della procura di Termini Imerese
(Palermo) per crollo colposo.
L’Anas Spa, gestore della rete
stradale e autostradale italiana
di interesse nazionale, ha annunciato di aver aperto un’inchiesta
per accertare le responsabilità,
ma intanto minimizza: “A dispetto
di certi titoli e di certe fotografie
male interpretate o scambiate,
nessun viadotto è crollato” (sic!).
Considerato che solo per una
fortunata coincidenza non vi è
stata nessuna vittima e che i lavori sono costati alle masse popolari
oltre 13 milioni di euro, il fatto è
molto più che scandaloso. Il fatto è che in Sicilia in 2 anni sono
crollati 4 viadotti. A questo punto i
refrattari ad ammettere che esiste
un problema generalizzato di tenuta delle opere pubbliche in Sicilia, giocano chiaramente un gioco
alla copertura. Gli stessi Crocetta
e Renzi che pretendono di fare
gli ingenui e gli scandalizzati e
vogliono il colpevole sembrano
giocare a questo gioco. Ma loro
sono tra i principali responsabili.
Crocetta lo è, non fosse altro che
per l’assenza di un monitoraggio
di tutte le opere pubbliche siciliane che stanno cadendo a pezzi,
da ospedali a viadotti, quando
sa benissimo che l’uso di materiali scadenti per la costruzione
di opere pubbliche è un metodo
consolidato nella regione. Anche
Renzi, che si indigna su Twitter
per il viadotto crollato, e chiede
i nomi dei responsabili è colpevole. Sono tutti suoi clientes gli
imprenditori coinvolti e foraggiati
dal PD, in taluni casi grazie a sua
intercessione diretta. Si tratta dei
presidenti del consorzio che comprende CCC (Consorzio Cooperative Costruzioni) di Bologna,
e CMC (Cooperativa Muratori e
Cementisti) di Ravenna, l’imprenditore Massimo Matteucci, e della
catanese Tecnis, l’imprenditore
Domenico Costanzo.
Di quest’ultimo è presto detto,
presidente di uno degli operatori
più importanti a livello nazionale
nel settore dei General Contractor delle Grandi Infrastrutture ha
fatto il salto di qualità grazie alla
carica nel 1993 di assessore allo
Sviluppo Economico di Catania,
all’interno della giunta di Enzo
Bianco, PD. Forse Renzi si è dimenticato di come, a conclusione
della costruzione della darsena
commerciale di Catania, molto criticata perché richiede una
costosa e continua manutenzione, abbia accolto con scambi di
complimenti ed estrema rapidità
l’appello di Costanzo al repentino
pagamento dei lavori.
E Massimo Matteucci? Forse
Renzi si è dimenticato di come
Massimo Matteucci sia uno degli imprenditori più foraggiati dal
PD e dai governi che negli ultimi
anni si sono susseguiti, per il Tav,
per ponte sullo stretto di Messina
(per cui Matteucci richiede il pa-
gamento di una penale). Renzi si
è dimenticato di come l’imprenditore ravennate sia chiacchierato per gli scandali Expo2015 e
di come la procura di Trani stia
indagando la Cmc per il porto di
Molfetta. Ha un vuoto di memoria perché non ricorda di come
gli abbia fatto omaggio di un appalto da 250 milioni di euro per la
costruzione di parte del raccordo
autostradale che in Angola, collegherà la capitale Luanda alla
città di Soyo.
Ecco, forse, perché al primissimo falso moto di indignazione
propagandista del Berlusconi
democristiano è seguito il silen-
Un’immagine del viadotto Scorciavacche 2, inaugurato il 23 dicembre 2014 e
crollato il 31 dicembre
zio più assoluto. Non dev’essere
alzato neanche un velo per scoprire la verità che sta dietro i progetti delle “grandi opere” e non lo
farà certo Renzi, che basa parte
del suo potere proprio sul siste-
ma clientelare delle cooperative
e delle imprese cementificatrici
legate al PD. Ecco perché Anas
Spa ha potuto dichiarare: “Crollo?
Quale crollo? Qualcuno ha visto
un crollo?”.
18 arrestati tra cui due primari pediatri
Prescrizioni di latte in polvere in cambio di regali
Tre grandi aziende farmaceutiche corrompevano i medici per indurli a convincere le lattanti a
preferire il latte artificiale all’allattamento al seno
È un vero e proprio scandalo
quello che ha investito la sanità italiana, in modo particolare il
mondo della medicina dell’infanzia: sono stati arrestati infatti lo
scorso 21 novembre con l’accusa
di corruzione 12 medici specialisti
in pediatria tra cui due primari, 5
informatori scientifici di aziende
farmaceutiche e un dirigente di
azienda che produce alimenti per
neonati. Dei medici coinvolti otto
lavoravano a Pisa, uno in provincia di Livorno, uno a Piombino
mentre i due primari erano di ruolo agli ospedali de La Spezia e di
Empoli. Sono stati anche eseguite 26 perquisizioni tra Toscana,
Liguria, Lombardia e Marche.
I medici arrestati sono Maurizio Petri, Fabio Moretti, Marco
Granchi, Claudio Ghionzoli, Renato Domenico Cicchiello, Gian
Piero Cassano, Marco Marsili,
Roberto Rossi, Eros Panizzi e
Luca Burchi, tutti titolari di ambulatori convenzionati rispettivamente a Cascina, Pontedera,
Ponsacco, Cascina, Livorno,
Viareggio, Piombino, Capannoli,
Peccioli e Volterra, mentre i due
primari sono Stefano Parmigiani,
che dirige il presidio ospedaliero
pediatrico del Levante ligure alla
Spezia, e Roberto Bernardini,
che dirige il reparto di pediatria
presso l’ospedale San Giuseppe
di Empoli. Oltre a loro sono stati
arrestati il dirigente di azienda Michele Masini e gli informatori farmaceutici Dario Boldrini e Valter
Gandini di Pisa, Gianni Panessa
di Livorno, Giuliano Biagi di Massa e Vincenzo Ruotolo di Grottammare, in provincia di Ascoli
Piceno.
I medici, secondo l’accusa dei
magistrati della Procura della Repubblica di Pisa, beneficiavano di
regali da parte delle aziende Dietetic Metabolic food (Dmf), Mellin e Humana Italia, tutte società
che producono latte in polvere e
prodotti per la prima infanzia, in
cambio dell’impegno, assunto nei
confronti degli informatori farmaceutici, di prescrivere nei propri
ambulatori o, laddove si tratta di
primari ospedalieri, mediante inserimento esclusivo del latte in
polvere nei reparti sotto la loro direzione. Tutti i medici, insomma,
avevano il compito di convincere
le donne sin dall’inizio della fase
di gravidanza a scoraggiare con
vari pretesti l’allattamento al seno
e di consigliare invece l’uso del
latte in polvere prodotto da tali
case farmaceutiche, latte del quale, naturalmente, i medici esaltavano la qualità rispetto allo stesso
latte prodotto da altre aziende.
I vantaggi per i sanitari coinvolti erano costosi viaggi all’estero in
località esclusive offerti dalle tre
ditte a loro e ai loro familiari con
il pretesto di inesistenti simposi o
conferenze di carattere medico,
elettrodomestici,
smartphone,
computer, condizionatori, televisori, il tutto per complessive svariate centinaia di migliaia di euro.
L’inchiesta è nata da una segnalazione anonima arrivata ai
carabinieri del Nas di Livorno
nel giugno dell’anno scorso che
hanno poi investito dell’indagine
la Procura di Pisa, pm Giovanni
Porpora, la quale ha anche individuato un’agenzia di viaggi
compiacente che si occupava di
turismo congressuale, che in seguito gli stessi magistrati hanno
scoperto inesistenti e inscenati
soltanto come pretesto per le trasferte di piacere dei medici e delle
loro famiglie.
Nel frattempo, mentre quasi
tutti i sanitari coinvolti hanno ottenuto gli arresti domiciliari, i rispettivi Ordini professionali hanno
sospeso dalla professione tutti e
12 i pediatri coinvolti, compresi i
due primari.
6 il bolscevico / interni
N. 3 - 22 gennaio 2015
Inserito nella Legge di Stabilità 2015
Il TFR in busta paga E’ una truffa
Non sarà a tassazione agevolata bensì ordinaria
Ennesima scusa del governo Renzi per tassare i lavoratori
Tra le tante iniziative del governo Renzi spacciate come aiuti economici ai lavoratori ma che
in realtà nascondono nuove truffe
e tasse bisogna annoverare anche
il Trattamento di Fine Rapporto
(TFR) versato in busta paga. Questa norma è contenuta nella Legge
di Stabilità 2015 approvata a dicembre dal parlamento.
Questo non è certo il primo
tentativo di manomettere il TFR;
da almeno una decina di anni si sta
tentando in ogni modo di mettere
le mani su questa parte di salario
che spetta per legge ai lavoratori. A sentire il Berlusconi democristiano Renzi sembra che il suo
governo intervenga per alzare le
buste paga dei dipendenti prendendo i soldi chissà dove. Niente
di più falso! Questo è bene chiarirlo subito. ll TFR è salario differito, ovvero salario a tutti gli effetti solo che viene erogato quando il
lavoratore viene licenziato, chiude l’azienda, oppure quando va in
pensione o si dimette.
Il TFR ha assunto l’attuale forma nel 1982. Viene fatto un accantonamento dall’azienda seguendo questo calcolo: lo stipendio
annuale del lavoratore, comprese
tredicesima ed eventuale quattordicesima diviso 13,5, praticamente l’ammontare di una mensilità
per ogni anno lavorativo. Si può
chiedere l’anticipo di una parte di
esso solo per alcuni casi particolari, come malattia o l’acquisto della
prima casa, salvo diversi accordi,
contrattuali o personali.
Esisteva comunque anche prima e da molti anni, in una certa misura addirittura dal 1927, in
piena dittatura fascista. La “liquidazione” o “indennità di licenziamento” dell’epoca va però inserita
nella visione corporativa fascista
dove alla classe operaia era assolutamente vietata ogni autonomia
e qualsiasi rivendicazione economica e normativa, tanto meno sociale e politica, ma doveva essere
asservita al nazionalismo e all’imperialismo mussoliniano, fermo
restando ovviamente la supremazia della borghesia e il sistema
economico capitalistico. La liquidazione era solamente prevista in
caso di chiusura dell’azienda e licenziamento dei lavoratori.
Dal dopoguerra ad oggi il TFR
ha sempre assunto al ruolo di
“gruzzolo” a cui il lavoratore poteva accedere se cambiava lavoro
o andava in pensione, con il quale
fare un acquisto oneroso, tutelare
economicamente la propria vecchiaia oppure, in caso di forzata
perdita del lavoro, come “ammortizzatore sociale”.
Questa parte di salario accantonata ha da sempre fatto gola ai
capitalisti, specie alle compagnie
assicurative che volevano gestire
questa montagna di soldi (dei lavoratori, ndr), una cifra che supera i venti miliardi di euro l’anno.
L’occasione ghiotta si è presentata quando le numerose controriforme pensionistiche, in special
modo con la sostituzione del vecchio modello retributivo (quello
basato sulle ultime mensilità) con
quello contributivo (basato sui
versamenti) hanno causato il drastico ridimensionamento dei vitalizi che di colpo da dignitosi, sono
diventati da fame.
Cosa hanno pensato lo Stato,
i fondi pensionistici privati e le
banche? Di andare a saccheggiare
il TFR dei lavoratori per rialzare
l’assegno pensionistico che altrimenti, con la nuova legislazione,
si andrebbe ad attestare intorno al
40% dello stipendio (contro l’80%
del vecchio sistema), andando oltretutto a lucrare sulla gestione di
questi capitali. Ovviamente ci hanno rimesso i dipendenti che hanno
dovuto pagare con il loro TFR per
reintegrare la quota di pensione
persa con le nuove regole.
La cosiddetta pensione integrativa ottenuta versando il TFR nei
fondi chiusi di categoria (ad esempio CoMeTa per i metalmeccanici) o in quelli aperti e totalmente
privati è stata scelta da circa 6 milioni di lavoratori, mentre la maggioranza ha preferito tenere il TFR
in azienda per riscuoterlo in seguito. La crisi però ha fatto registrare quasi un milione di lavoratori
che hanno ritirato i versamenti dai
fondi perché non se lo possono più
permettere.
A costo di mettere in crisi anche
la pensione integrativa il governo
adesso vuole mettere in busta paga
il TFR. Lo scopo principale è fare
cassa tassando subito la quota di
salario differito, e al tempo stesso
alzare di qualche decimale il Pil
facendo spendere subito, specie a
chi è in difficoltà, qualche decina
di euro in più al mese. Nella Legge di Stabilità 2015 approvata in
parlamento a dicembre è prevista la possibilità per il lavoratore
di chiedere il pagamento mensile
dell’importo maturando di TFR.
Una volta fatta questa scelta non
potrà essere modificata per i successivi tre anni.
Le nuove norme non sono definitive perché sono in contrasto
con quelle sulla previdenza integrativa che una volta scelta non
poteva più essere revocata. Allora si pone il quesito su quale delle due leggi è prevalente. Una definitiva e brutta sorpresa è invece
quella sulla tassazione che non
sarà quella attuale, ma quella ordinaria applicata sul resto dello sti-
pendio, la principale norma contestata dai sindacati che sottopone
il TFR a un forte dimagrimento.
La legge di stabilità non entra nello specifico ma leggendo la bozza del governo sul TFR presentata alcuni mesi fa risulta che per
le aziende non dovrebbe cambiare sostanzialmente nulla. Difatti
l’opposizione della Confindustria
è durata poco.
L’operazione verrebbe finanziata da un apposito “Fondo anticipo TFR” costituito dalle banche
e dalla Cassa depositi e prestiti a
sua volta garantiti dal Fondo di
garanzia del TFR presso l’Inps.
Tutti questi soggetti, potrebbero
“approvvigionarsi sul mercato finanziario e attingere direttamente
alle risorse della Banca centrale
europea (Bce)”. Dunque le aziende, è scritto nella bozza del governo “continuano ad operare come
oggi senza alcuna modifica né nei
loro costi né nell’esborso finanziario, versando (come prevede l’attuale normativa) il TFR all’Inps
(le imprese con più di 50 addetti),
o seguitandolo ad accantonare in
bilancio (imprese con meno di 50
addetti)”.
Il lavoratore che lascia il TFR
in azienda ha sicuramente dei
vantaggi. La sua gestione è a costo zero (non è così per i fondi
pensione) e viene rivalutato annualmente dell’1,5% + lo 0,75%
dell’inflazione e gli interessi da
esso maturati vengono tassati
dell’11,5% (la metà rispetto alle
altre rendite), interessi che verrebbero a mancare se messo direttamente in busta paga. Oltretutto finendo in busta, ad esempio 100
euro al mese, molti lavoratori supererebbero uno scaglione Irpef
annuale e pagherebbero più tasse.
Persino una ricerca dell’associazione dei commercialisti dimostra
che tranne i redditi sotto i 15mila
euro, che andrebbero a pareggio,
tutti gli altri ci rimetterebbero centinaia di euro l’anno che sarebbero
rapinati dallo Stato.
Nei progetti del governo c’è
quello d’incassare 4 miliardi di
euro in più l’anno, altro che abbassare le tasse. Tanti lavoratori passerebbero anche la quota di
26 mila euro lordi annui che li farebbe perdere la mancia degli 80
euro. Renzi dice che il TFR in
busta paga è a discrezione e non
deve decidere lo Stato ma mente
sapendo di mentire perché specie chi ha i redditi più bassi sarà
costretto a prenderlo per arrivare
alla fine del mese o riuscire a pagare la rata della casa o dell’auto. Insomma è una truffa a tutti gli
effetti.
Alla Ferrari
Marchionne licenzia Montezemolo
regalandogli una buonuscita di 27 milioni
Mentre il Berlusconi democristiano Renzi continua la macelleria sociale e chiede a “tutti di fare
dei sacrifici per salvare il Paese”, i
grandi manager delle aziende pubbliche e private continuano a intascare stipendi, buonuscite, stok
options e benefit milionari.
Un atto vergognoso affronto
ai milioni di poveri, disoccupati,
precari, lavoratori e pensionati che
stentano a sopravvivere coi salari
da fame che si ritrovano lo ha fatto l’ormai ex presidente della Ferrari Luca Cordero di Montezemolo che ha lasciato Maranello con
una liquidazione di quasi 27 milioni di euro più una serie di sconti
sull’acquisto di prodotti Fiat e alcuni servizi di sicurezza.
Una montagna di soldi che vanno ad aggiungersi agli oltre 110
milioni di euro che Montezemolo ha guadagnato negli ultimi 12
anni come presidente del cavallino rampante.
In una nota la Fiat ha precisato
che “in linea con quanto previsto
dalla Politica sulle Remunerazioni adottata dalla Società, sarà riconosciuto all’Avv. Montezemolo,
l’indennità di fine mandato attribuitagli sin dal 2003 e già descritta nella Relazione sulla Remunerazione pubblicata dalla Società”.
Cioè cinque volte la componente
fissa della remunerazione annua
di 2.742.000 euro, per un totale di
13.710.000 euro da pagare nell’arco di vent’anni. Inoltre, “a fronte anche dell’impegno dell’Avv.
Montezemolo di non svolgere attività in concorrenza con il Gruppo Fiat sino al marzo 2017, sarà
corrisposta la componente fissa e
variabile della remunerazione dovuta sino a tale momento, che corrisponde alla originaria scadenza
del mandato in Ferrari, complessivamente pari a 13.253.000 euro,
da erogare entro il 31 gennaio
2015″. Infine Montezemolo “conserverà in via temporanea il diritto
di acquistare prodotti del Gruppo
Fiat con alcune facilitazioni nonché di usufruire di taluni servizi
attinenti la sicurezza”.
Gli scandalosi guadagni di
Montezemolo sono solo gli ultimi di una lunga serie di renumerazioni d’oro di cui hanno beneficiato nel corso degli anni manager
come: Gianluigi Gabetti che, dopo
il passaggio di testimone con Elkann alla guida della cassaforte
Exor, in quanto presidente onorario della holding che controlla
Fiat ha potuto contare per anni su
un compenso di 1 milione di euro,
oltre al rimborso di “tutte le spese di soggiorno al di fuori del comune di residenza” e alla “coper-
tura assicurativa in caso di morte e
di invalidità permanente derivanti
da infortuni professionali ed extraprofessionali e l’utilizzo di un servizio segretariale e di una vettura
con autista anche successivamente alla scadenza del mandato”. Per
non parlare dei 40.59 miliioni di
euro intascati nel 2010 dall’ex numero uno di Unicredit Alessandro
Profumo, poi presidente di Mps; o
dei 37,42 milioni intascati dall’ex
ad di Capitalia Matteo Arpe, oppure dei 45 milioni intascati dall’ex
ad di Luxottica Andrea Guerra che
il 1° settembre ha salutato e ringraziato il gruppo della famiglia Del
Vecchio per poi diventare consigliere personale di Renzi; fino al
record assoluto raggiunto da Cesare Romiti che nel 1998 lasciò la
presidenza Fiat con un maxi assegno da 200 miliardi di lire pari circa 101 milioni di euro di oggi.
Attualmente il problema principale che tormenta le masse, specie
del Sud, è il lavoro. Su questo tema le istanze locali dovrebbero fare
fuoco e fiamme attraverso denunce circostanziate, volantinaggi,
banchini, comunicati stampa, articoli su “Il Bolscevico”, cercando di
coinvolgere i disoccupati.
Dobbiamo sforzarci di unire, mobilitare e guidare le masse sulla base
delle loro rivendicazioni attraverso le organizzazioni di massa da noi
o da altri promossi, dentro e fuori i luoghi di lavoro e di studio, nei
quartieri e nelle città. Praticando una larga politica delle alleanze e di
fronte unito per isolare il nemico principale o l’avversario principale,
unire tutte le forze che vi si oppongono, a cominciare da quelle della
sinistra dei movimenti, neutralizzare le forze intermedie e stabilire un
corretto programma di lavoro unitario.
dal Rapporto di Giovanni Scuderi alla 4ª Sessione plenaria allargata
del 5° Comitato centrale del PMLI - Firenze, 5 Aprile 2014
interni / il bolscevico 7
N. 3 - 22 gennaio 2015
Non gli è bastata “Mafia Capitale”
Renzi candida Roma per le olimpiadi 2024
Pronti 10 miliardi per le “grandi opere”. Andranno alla mafia
e ai palazzinari. Le periferie romane possono aspettare
La sfrontatezza di Renzi è smisurata almeno quanto la sua ambizione. Non si era ancora spenta l’eco del clamoroso blitz della
procura romana contro “Mafia Capitale”, che con un altro dei suoi
sapienti spot mediatici il nuovo
Berlusconi ha annunciato la candidatura di Roma per le olimpiadi del 2024: sì, proprio la città
oggi all’attenzione di tutto il mondo per essere diventata il simbolo
della corruzione politica che devasta il nostro Paese più di ogni altro
in Europa!
“Il governo italiano è pronto a
fare la propria parte”, e “non lo faremo per partecipare, ma per vincere” ha detto Renzi ai campioni
dello sport riuniti il 15 dicembre
nel salone d’onore del Coni per
la cerimonia dei “Collari d’oro
al merito sportivo”, annunciando l’intenzione di essere “al fianco del Coni” per porre la candidatura olimpica di Roma. E anche
dell’Italia, perché ha ventilato che
sarebbero coinvolte nel progetto
anche altre città, come (manco a
dirlo) Firenze, e poi Napoli e Cagliari; e forse anche Milano e Torino, visto che alla notizia si sono
subito messi a scalpitare anche
Maroni e Fassino.
Prima di lui ci avevano provato
invano gli ex neopodestà capitolini Veltroni, per le olimpiadi 2016,
e l’inquisito di “Mafia Capitale”,
Alemanno, sostenuto dal neoduce Berlusconi allora al governo,
per quelle del 2020. La questione,
dato poi l’arrivo della crisi, sembrava definitivamente stata cassata
da Monti per “mancanza di risorse”. Ma ora con Renzi viene ripescata e lanciata di nuovo in grande
stile: “per noi, per i nostri figli, per
l’Italia”, ha detto mussolinianamente il premier, esaltato evidentemente dall’affresco celebrativo
del duce e dell’“apoteosi del fascismo”, sotto al quale parlava.
Renzi era affiancato dal presidente del Coni, Giovanni Malagò, già indagato e poi assolto per
lo scandalo dei mondiali di nuoto
di Roma, conclusosi con un buco
di 8 miliardi. Dopo l’assoluzio-
ne, per una faccenda di autorizzazioni e di lavori al suo circolo
Aurelia, crocevia dei contatti della
cosiddetta “cricca” dei vari Anemone, Balducci e Bertolaso, Malagò iniziò la scalata al Coni nazionale propiziata dal presidente
del Coni fiorentino Eugenio Giani, che lo ha introdotto negli ambienti di Renzi, del quale Malagò
è diventato grande amico.
Il presidente del Coni ha detto che “è realistica” una spesa di 6
miliardi, per la gestione dei quali
promette una “trasparenza religiosa”, ed è già in pole position per
presiedere il comitato promotore
il solito Luca Cordero di Montezemolo, appena nominato presidente di Alitalia. Ma l’economista Federico Fubini ha rivelato su
la Repubblica del 16 dicembre che
il ministro Padoan dovrebbe sottoscrivere una garanzia di copertura
che va dai 6 ai 20 miliardi, e non
nel 2024 ma fra dieci mesi, quando le candidature andranno depositate. Dove andrebbe a prenderli
Renzi, visto che la situazione economica è addirittura peggiorata rispetto a quando c’era il governo
Monti e la crisi internazionale non
accenna a finire? Non per nulla altri paesi papabili, non certo messi peggio del nostro, come Germania, Francia e Stati Uniti, per
adesso non hanno ancora deciso
se candidarsi.
Ma l’occasione è ghiotta per
mettere in moto un altro colossale carrozzone miliardario per l’abbuffata di imprenditori amici, ladri
di Stato, mafiosi collettori di voti
e chi più ne ha più ne metta. E per
Renzi, come già per Berlusconi fu
il ponte sullo stretto di Messina, si
tratta di un formidabile strumento propagandistico per dare lustro alla sua immagine, sull’esempio delle grandi opere pubbliche,
come appunto il palazzo del Coni
al Foro italico dove è stato fatto
l’annuncio, che Mussolini faceva
edificare per esaltare se stesso e il
regime fascista. “C’è una reazione sorprendente” alla candidatura
alle Olimpiadi, ha detto stizzito il
premier rispondendo alle critiche:
“tutti a dire che è impossibile fare
le Olimpiadi in Italia perché c’è
chi ruba”. Come se questo fosse
un problema di secondaria importanza!
Anche Ignazio Marino, sulle
orme del megalomane Veltroni,
che ha buttato ben 700 milioni dei
contribuenti nella faraonica “vela”
incompiuta dell’archistar Calatrava a Tor Vergata, e come l’inquisito Alemanno che con il compare
arrestato Mancini voleva portare
la Formula1 all’Eur, plaude entusiasticamente all’idea di Renzi, e
si è detto “orgoglioso” della candidatura. Il neopodestà piddino, che
era presente alla cerimonia e dopo
l’annuncio ha esultato insieme a
Renzi, Delrio e Malagò, ha detto
che “Roma è la Capitale del mondo ed è un grandissimo giorno per
la nostra città”. Per lui, come per
il PD romano, l’annuncio di Renzi rappresenta un’occasione insperata per spostare l’attenzione dallo scandalo di “Mafia Capitale”
che ancora minaccia di travolgerli. Per le organizzazioni criminali, le cricche del cemento e le lobby politico-mafiose della capitale
le olimpiadi rappresentano la speranza di fare altri affari miliardari
con le mega speculazioni edilizie
che i giochi metterebbero in moto,
mentre le periferie romane continueranno a languire nel degrado e
nell’abbandono come sempre.
Renzi, insieme a Delrio e Malagò nella sala d’onore del palazzo del Coni dove
ha annunciato la candidatura di Roma alle olimpiadi 2024, sotto l’affresco celebrante l’“apoteosi del fascismo” e il trionfo di Mussolini
Tangenti, assunzioni clientelari, appalti sporchi, ritorsioni e minacce
Arrestato il sindaco fittiano di Trani
Capeggiava un comitato politico-affaristico composto da esponenti di “centro-destra”
che aveva in pugno “la gestione degli appalti e della cosa pubblica nel comune di Trani”
L’arresto il 20 dicembre del
sindaco di Trani, Luigi Riserbato, eletto con “La Puglia prima
di tutti”, movimento dell’ex-ministro per la coesione territoriale
del governo Berlusconi ed exgovernatore della regione, Raffaele Fitto e di altre 5 persone, è
“una prima e urgente risposta ad
un diffuso e insidioso sistema di
condizionamenti e interferenze
illeciti nella gestione di appalti e, più in generale, della cosa
pubblica nel Comune di Trani”,
come ha detto il procuratore
della Repubblica di Trani, Carlo
Maria Capristo.
Le indagini avevano preso il
via da un incendio doloso ai danni di un capannone industriale di
una ditta di infissi della famiglia
Damascelli e, proseguendo, hanno messo a nudo un comitato
politico affaristico che aveva in
pugno “la gestione degli appalti e
della cosa pubblica nel comune”.
I reati contestati a vario titolo agli
arrestati, sono quelli di associa-
zione per delinquere finalizzata a
commettere reati contro la pubblica amministrazione, di concussione, corruzione e turbata
libertà del procedimento di scelta
del contraente. I politicanti sollecitavano il pagamento di tangenti
in cambio di aggiudicazioni, attraverso intimidazioni e ritorsioni,
minacce di licenziamenti, per un
giro illecito milionario. Oltre al sindaco fittiano, sospeso dalla carica e dimessosi il 30 dicembre e
ai domiciliari, sono stati raggiunti
da provvedimenti restrittivi l’exvicesindaco Giuseppe Di Marzio (FI), il consigliere comunale
Nicola Damascelli (movimento
Schittulli), l’ex consigliere Maurizio Musci (FI), l’ex amministratore dell’Amiu Antonello Ruggiero,
il funzionario comunale Edoardo
Savoiardo. Tra i reati contestati
anche la concussione per le richieste di assunzioni clientelari
presso società operanti per il
Comune in base a logiche clientelari di scambio o asservimento
ad una specifica parte politica ed
effettuate sotto minaccia di ritorsioni.
Oltre ai sei arrestati risultano
indagate a piede libero altre sette persone, la maggior parte in
servizio presso il Comune, per
quattro delle quali la procura di
Trani ha chiesto l’interdizione dai
pubblici uffici.
Un’inchiesta che mette a nudo
il marcio delle istituzioni borghesi
pugliesi e che, collegata ad altre
recenti indagini, rivela il disastro
in cui versa il sistema politico
borghese in Puglia, principalmente finalizzato ad inghiottire fondi
pubblici a favore di pochi privilegiati, con la protezione e l’appoggio di tutti i livelli istituzionali, dal
comune al governo nazionale. Lo
stesso plurinquisito fondatore del
gruppo politico, l’ex-ministro Fitto, era stato condannato nel 2013
in primo grado a quattro anni di
carcere per peculato e a cinque
di interdizione dai pubblici uffici,
corruzione e abuso d’ufficio, ille-
cito finanziamento ai partiti, a seguito di una mazzetta di 500.000
euro da parte di Tosinvest, società di Antonio Angelucci, alla
stessa lista alla quale appartiene
lo stesso ex-sindaco inquisito di
Trani.
In questo quadro rientra anche anche lo scandalo del porto
di Molfetta, per il quale lo stesso
presidente del consiglio Renzi si
è speso per fare arrivare nuovi
fondi e proprio nel bel mezzo di
una inchiesta sull’utilizzo illecito
dei soldi delle masse popolari. E
questo è il sistema Puglia che ci
consegna Nichi Vendola, Sel, anche lui imputato di concussione
aggravata nell’ambito dell’inchiesta sul disastro ambientale causato dall’Ilva, alla scadenza del
suo mandato e alla vigilia delle
elezioni regionali della primavera
2015. Hanno ben da riflettere gli
elettori che saranno chiamati alle
urne e da confrontare la proposta
elettorale dei partiti borghesi con
quella del PMLI.
Vergognosa sentenza della corte d’assise di Chieti
Tutti assolti i vertici Montedison, gestori
della “più grande discarica d’Europa”
L’avvelenamento del fiume Tirino non c’è e non ci sarebbe stato. Sostanze tossiche nei rubinetti di 700 mila abitanti
La Corte d’Assise di Chieti,
con una sentenza vergognosa,
ha assolto lo scorso 19 dicembre tutti gli imputati, 19 dirigenti, tecnici e funzionari della
Montedison, accusati dei reati
di avvelenamento delle acque e
di disastro ambientale per la discarica abruzzese di Bussi, sul
fiume Tirino: nonostante i PM
avessero chiesto condanne tra i
4 anni e i 12 anni e 8 mesi, tutti
gli imputati sono stati prosciolti perché, secondo la Corte, il
fatto non sussiste in relazione
all’avvelenamento delle acque
mentre per l’altro capo di imputazione, ossia il disastro am-
bientale, i giudici hanno ritenuto di derubricarlo in un reato
meno grave, il disastro colposo, che nel frattempo è caduto
in prescrizione.
Insomma, secondo i giudici di Chieti l’inquinamento del
fiume Tirino non ci sarebbe mai
stato, eppure è un altro Tribunale, il Tar di Pescara, a sostenere esattamente il contrario: è un
dato di fatto inconfutabile che vi
sia stato un gigantesco disastro
ambientale dovuto all’avvelenamento del fiume Tirino da parte di quella che la sentenza depositata il 30 aprile 2014 dal Tar
di Pescara ha definito “la più
grande discarica d’Europa”, ossia quella di Bussi gestita dalla
Montedison. Il Tribunale amministrativo regionale in quella occasione aveva respinto il ricorso
che la Montedison, riconosciuta
dallo stesso Tar proprietaria dei
rifiuti chimici nonostante la cessione alla Solvay dell’impianto
produttivo successivamente alla
realizzazione della discarica, aveva proposto contro l’ingiunzione
con cui il Ministero dell’Ambiente aveva obbligato nel settembre
2013 l’azienda a rimuovere entro
30 giorni tutti i veleni tossici seppelliti nelle discariche di Bussi sul
Tirino e ripristinare la qualità del
luogo. La sentenza del Tar di Pescara stabilisce che la Montedison
è ancora di fatto la proprietaria dei
rifiuti chimici nonostante la cessione alla Solvay dell’impianto
produttivo successivamente alla
realizzazione delle discariche. I
giudici amministrativi di Pescara scrivevano nella sentenza che
“nei siti in esame sono state rinvenute sostanze altamente inquinanti e che esse costituiscono scarti e
prodotti industriali tipici dell’attività ivi esercitata da Edison spa”.
Lo stesso Tar poi, sconfessando
anticipatamente le conclusioni
dell’assurda sentenza della Corte
d’Assise di Chieti, individua pre-
cise responsabilità per il disastro
sostenendo che “i responsabili di
detto inquinamento non possono
che essere individuati in coloro
che hanno gestito tali impianti nel
periodo antecedente a quello in
cui gli inquinamenti hanno iniziato ad essere rilevati”. La Montedison ha proposto appello al Consiglio di Stato contro la sentenza del
Tar di Pescara.
Al processo di Chieti le parti civili hanno ragionevolmente
previsto che per la totale bonifica
delle discariche di Bussi potrebbero servire molte centinaia di
milioni di euro, forse addirittura
un miliardo per cercare di ripara-
re ai danni che nei decenni hanno fatto affluire sostanze tossiche
nei rubinetti dei 700.000 abitanti
della Val Pescara, come ha accertato anche l’Istituto Superiore di
Sanità.
Ora i comitati di cittadini e i
Comuni interessati temono che
l’assurda sentenza della Corte
d’Assise di Chieti possa influenzare la decisione del Consiglio
di Stato in merito all’obbligo di
bonifica da parte di Montedison, il che significherebbe oltre al danno anche la beffa per le
masse popolari abruzzesi coinvolte dal problema dell’inquinamento.
8 il bolscevico / neofascismo
N. 3 - 22 gennaio 2015
Non gli basta l’attuale regime neofascista
I fascisti di Avanguardia Ordinovista
volevano restaurare il fascismo di Mussolini
14 arrestati, 31 inquisiti. L’ideologo Sermonti ha fatto parte della “Repubblica sociale italiana”
Il 22 dicembre su ordine della procura di L’Aquila sono finiti
in manette 14 militanti neofascisti
di Avanguardia Ordinovista e altri
31 risultano indagati a piede libero nell’ambito dell’operazione denominata “Aquila nera” effettuata dal Raggruppamento operativo
speciale (Ros) dei carabinieri e diretta contro il gruppo neofascista
ispirato dall’ex repubblichino Rutilio Sermonti, ideologo del “Nuovo fronte politico italiano” che
istigava i suoi seguaci in camicia
nera a mettere in atto una serie
di attentati contro “obiettivi istituzionali, magistrati e rappresentanti delle forze dell’ordine” con
l’intento di destabilizzare il Paese, preparare il terreno per un colpo di Stato e restaurare il fascismo
di Mussolini.
L’inchiesta nasce da un’attività investigativa avviata nel 2013 e
seguita personalmente dal procuratore Fausto Cardella e dal pubblico ministero Antonietta Picardi.
Nel mirino l’associazione clandestina denominata ‘Avanguardia
ordinovista’ che, “richiamandosi
agli ideali del disciolto movimento neofascista ‘Ordine Nuovo’,
progettava azioni di terrorismo
contro Prefetture, Questure e uffici di Equitalia, per poi ipotizzare un salto di qualità legale con la
partecipazione di una propria lista alle elezioni”. In particolare il
gruppo progettava attentati anche
contro “uomini politici non dotati
di scorta, ritenuti quindi obiettivi
facili da colpire”. E a tal proposito: “Il gruppo si era attivato nella
ricerca di armi su più canali: c’erano contatti per acquistarne in Slovenia, mentre una rapina ai danni
di un collezionista è stata sventata
tempestivamente da un intervento
dei carabinieri. Un’altra dotazione di armi veniva da un deposito
sotterrato dalla prima guerra mondiale”
Gli arresti e le perquisizioni
sono state eseguite in varie città,
fra cui L’Aquila, Montesilvano,
Chieti, Ascoli Piceno, Milano, Torino, Gorizia, Padova, Udine, La
Spezia, Venezia, Napoli, Roma,
Varese, Como, Modena, Palermo
e Pavia dove sono state condotte
anche decine di perquisizioni.
Secondo gli investigatori l’organizzazione era guidata dal nuovo gerarca Stefano Manni, 48
anni, originario di Ascoli Piceno,
che si occupava del reclutamento
e del reperimento dei fondi. Imparentato con Gianni Nardi, il terrorista neofascista che negli anni ’70
insieme a Stefano Delle Chiaie,
Giancarlo Esposti e Salvatore Vivirito, era uno dei maggiori esponenti di Ordine Nuovo. Manni
fino a 10 anni fa era un sottufficiale dell’Arma dei carabinieri.
Il ruolo di ideologo invece era
rivestito – secondo gli inquirenti – da Rutilio Sermonti, 93 anni,
ex appartenente a Ordine Nuovo, nonché autore del cosiddetto
“Statuto della Repubblica dell’Italia Unita” una sorta di nuova carta costituzionale di chiaro stampo
fascista sequestrato dai carabinieri
nella sua casa.
Secondo l’accusa Sermonti ha
fornito “sostegno ideologico” al
gruppo neofascista ed è accusato
anche di aver “incitato i sodali del
gruppo all’’offensiva’ sostenendo che non sia più indispensabile
‘l’assalto delle masse’, ma sufficiente l’azione di ‘pochi uomini,
decisi, poco visibili e coraggiosi’”.
I reati contestati a vario titolo
agli arrestati e agli indagati sono
di associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine
Elenco completo di arrestati e indagati
Stefano Manni, nato ad
Ascoli Piceno nel 1966,
residente a Montesilvano
(Pescara).
residente a Villamagna
Marina Pellati, moglie
di Manni, nata a Varese
nel 1965, residente a
Montesilvano.
Mario Mercuri, nato a
Petritoli (Ascoli Piceno) nel
1939 e residente a Colli del
Tronto (AP)
Piero Mastrantonio,nato
a L’Aquila nel 1973,
residente al Progetto Case di
Collebrincioni (L’Aquila)
Monica Malandra, nata
a L’Aquila nel 1972,
residente al Progetto case di
Collebrincioni (L’Aquila)
Emanuele Lo Grande
Pandolfina Del Vasto,
nato a Palermo nel 1951,
residente a Pescara
Franco Montanaro, nato a
Roccamorice nel 1968 e lì
residente
Franco La Valle, nato a
Chieti nel 1963 e lì residente
Luca Infantino, nato a
Legnano (Milano) nel 1981 e
lì residente
Maria Grazia Callegari
nata a Venezia nel 1957,
residente a Pino Torinese
Franco Grespi, nato a
Milano nel 1962 e residente
a Gorizia
Ornella Carolina Regina,
nata a Milano nel 1961 e
residente a Gorizia
Marco Pavan, nato a Mirano
nel 1984 e residente a
Piombino Dese (Padova)
Katia De Ritis, nata a
Lanciano nel 1957 e lì
residente
Luigi Di Menno Di
Bucchianico, nato a
Lanciano nel 1967 e
Rutilio Sermonti, nato a
Roma nel 1921 e residente a
Colli del Tronto
Valerio Ronchi, nato a
Mariano Comense (Como)
nel 1966 e residente ad
Arosio
Giuseppa Caltagirone, nata
a Casteldaccia (Padova) nel
1961 e residente ad Arosio
(Como)
Cristian Masullo, nato a
Palmanova (Udine) nel 1973
e residente a Udine
Fabrizio D’Aloisio, nato a
Roma nel 1964 e residente a
Fara in Sabina (Rieti)
Anna Maria Scarpetti,
nata a Roma nel 1953 e lì
residente
Annamaria Santoro, nata a
Torino nel 1967 e residente a
Moncalieri
Serena Vecchiatini, nata a
Codigoro (Venezia) nel 1979
e residente in Germania
Barbara Bottinelli, nata
a La Spezia nel 1964 e lì
residente
Gianni Lisetto, nato a
Pasiano di Pordenone
(Udine) nel 1964 e residente
a La Spezia
Nicola Trisciuoglio, nato a
Napoli nel 1961 e lì residente
Daniela Bugatti, nata a
Milano nel 1960 e lì residente
Loredana Bianconi, nata a
Roma nel 1964 e lì residente
Francesco Gallerani, nato
a Castelmassa (Padova) nel
1954 e lì residente
Marcello De Dominicis,
nato a Penne nel 1976 e
residente a Pianella
Monica Copes, nata
a Varese nel 1978 e lì
residente
Luigi Nanni, nato a Caracas
nel 1966 e residente a
Canosa Sannita (Chieti)
Giovanni Mario Pilo, nato
a Olbia (Sassari) nel 1958 e
residente a Oschiri
Antonio Esposito, nato
a Castellamare di Stabia
(Napoli) nel 1963 e lì
residente
Marco Cirronis, nato a
Cagliari nel 1978 e residente
a Oristano
Alberto Bernasconi, nato a
Como nel 1990 e residente a
Solbiate (Como)
Tiziana Agnese Mori, nata a
Pavia nel 1968 e residente a
Giussago (Pavia)
Giovanni Trigona, nato a
Palermo nel 1965 e residente
a Lodi
Marianna Muzzarelli, nata a
Modena nel 1971 e residente
a Maranello
Maria Grazia Rapagnetta,
nata a Civitavecchia nel 1965
e lì residente con il nome di
Maria Grazia Santi Zuccari
Miroslawa Legerska, nata a
Cadca (Slovacchia) nel 1986
Giovanni Amorelli, nato a
Gorizia nel 1976 e residente
a Venezia
Maurizio Gentile, nato a
Roma nel 1961 e residente a
Gorizia.
I primi articoli della costituzione neofascista stilata dall’ex repubblichino Rutilio Sermonti
democratico, associazione finalizzata all’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi nonché tentata rapina.
Il programma dei neofascisti, hanno precisato il comandante nazionale del Ros, il generale
Mario Parente, e il procuratore de
L’Aquila Fausto Cardella, era “basato su un doppio binario... Da un
lato atti destabilizzanti da compiersi su tutto il territorio nazionale e dall’altro un’opera di capillare
intromissione nei posti di potere,
tramite regolari elezioni popolari con la presentazione di un loro
nuovo partito”. Accanto all’attività clandestina, infatti, al gruppo
neofascista veniva impunemente
permesso di fare anche propaganda alla luce del sole e di allargare il consenso utilizzando i social
network.
Il procuratore Cardella durante
la conferenza stampa ha sottolineato: “Li abbiamo fermati in tempo. Stavano per usare le armi ma i
carabinieri di Pescara sono riusciti
a sequestrare in tempo un vero e
proprio arsenale”.
Tra le attività pubbliche era in
cantiere la costituzione di un Movimento Politico per partecipare
direttamente alle elezioni e una
scuola politica, denominata Triskele, legata al fascistissimo “Centro Studi Progetto Olimpo”, che si
sarebbe dovuta occupare dell’organizzazione di incontri in tutta
Italia e di curare gli stretti contatti
con altre organizzazioni neofasciste tra le quali i “Nazionalisti Friulani”, il “Movimento Uomo Nuovo” e la “Confederatio”.
Luca Infantino (arrestato) è
il camerata incaricato di darsi da
fare su questo piano col preciso
compito di partecipare “attivamente e pubblicamente – è scritto
nelle 192 pagine dell’ordinanza –
alla formazione di una lista civica
denominata ‘Ilaria Casale’ da presentare alle elezioni amministrative tenutesi nel maggio 2014 nel
comune di San Vittore Olona“, in
provincia di Milano.
Tra gli arrestati c’è anche Katia De Ritis, vicesegretario di Fascismo e Libertà, eletta lo scorso
maggio nel consiglio comunale
di Poggiofiorito (Chieti). Di lei i
magistrati scrivono che “nell’ultimo periodo d’indagine si è spesa
per individuare obiettivi fisici da
colpire e canali per il reperimento di armi da fuoco e per i contatti
con altri gruppi operativi”. Ma era
prevista anche l’organizzazione di
“Campi Hobbit”, richiamando il
nome delle manifestazioni idea-
te dal Fronte della gioventù tra il
1977 e il 1981 per propagandare
l’ideologia fascista. C’era anche
un luogo di “venerazione” lungo
la costa abruzzese, dove gli appartenenti al gruppo di Manni e Sermonti si riunivano, ma sul quale
gli investigatori mantengono il più
stretto riserbo.
L’organizzazione – secondo
gli inquirenti – progettava anche
azioni violente nei confronti di
obiettivi istituzionali, tentando di
reperire armi attraverso rapine o
all’estero. I kalashnikov, ad esempio, dovevano essere comprati in
Slovenia. “Quanto costano le caramelle? Mille l’una. Ne hanno
cinque”, dicono Manni e Franco
Grespi (anche lui arrestato) durante una telefonata intercettata. Ma
si parla anche di “botti“: “Hanno
solo quelli usa e getta, una botta
sola, a 400 l’uno”, dice Grespi.
“Non vanno bene, servono quelli da appoggiare e poi andare”, risponde Manni.
Non a caso il Gip (Giudice per
le indagini preliminari) Giuseppe Romano Gargarella, che ha
firmato l’ordinanza, scrive che i
neofascisti erano pronti a uccidere anche magistrati, rappresentanti delle forze dell’ordine, politici e ministri. Gli obiettivi finiti
nel mirino, secondo la Procura de
L’Aquila, erano Prefetture, Questure e uffici di Equitalia.
Lo conferma ripetutamente lo stesso Manni, che al telefono, mentre viene intercettato dal
Ros, dichiara: “È giunto il momento di colpire, ma non alla cieca. Non come alla stazione di Bologna, tra l’altro non attribuibile a
noi, vanno colpite banche, prefetture, questure, uffici di Equitalia,
con i dipendenti dentro”, spiega il
gerarca neofascista , che precisa:
“Perché Equitalia non ha un corpo
e un’anima, opera (ed uccide) per
mezzo dei suoi dipendenti... È arrivato il momento di farlo, ma farlo contestualmente. Non a Pescara
e poi fra otto mesi a Milano“. In-
somma, conclude Manni: “Credo
che la via dell’Italicus sia l’unica
percorribile”, alludendo alla strage neofascista compiuta nella notte del 4 agosto 1974 a San Benedetto Val di Sambro, in provincia
di Bologna sul treno espresso Roma-Monaco di Baviera, in cui morirono 12 persone ed altre 48 rimasero ferite.
Sul coordinamento dell’“azione” concorda anche Luca Infantino che precisa: “Deve essere simultanea e potrebbe colpire le
città di Roma, Milano e Firenze
per creare una punta di terrore, in
quanto solo due bombe ad Equitalia non verrebbero commentate sui
media”. Sarebbe più “utile colpire
metropolitane tipo Bologna, Milano, Roma per incutere terrore nella popolazione”. In modo che “il
popolo bue”, impaurito, “si rivolga a noi”.
Le indagini hanno confermato anche una serie di minacce indirizzate contro il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Manni in vari messaggi postati su
Facebook scrive fra l’altro che:
“Questo è il momento storicamente perfetto per carbonizzare Napolitano e la sua scorta. Da qui deve
partire la liberazione d’Italia”. Altre
minacce vengono rivolte alla presidente della Camera Laura Boldrini, all’ex ministro per l’integrazione Cecile Kyenge, Pierferdinando
Casini e al presidente della regione
Abruzzo Gianni Chiodi. Nel mirino anche l’ordinovista Marco Affatigato, oggi latitante, che il gruppo
neofascista voleva “eliminare” per
vendetta perché “legato ai servizi segreti” e perciò considerato un
“infame” colpevole degli arresti del
90% dei camerati”.
Ferma condanna contro i rigurgiti fascisti è stata espressa dal presidente della comunità
ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, secondo cui: “Per chi si ispira
al fascismo non ci devono essere
mezze misure. Vogliamo credere
che questo immenso lavoro si possa al più presto concretizzare con
sentenze esemplari“.
Insomma, ai camerati di Avanguardia Ordinovista non basta l’attuale regime neofascista, piduista,
presidenzialista, liberista e interventista che, con la piena e fattiva
collaborazione del PD, ha stracciato la Costituzione antifascista
del 1948 e di fatto ha già restaurato il fascismo in Italia sia pure
sotto nuove forme, metodi e vessilli; Non gli basta che a Palazzo
Chigi sia salito il Berlusconi democristiano Renzi che rappresenta
la reincarnazione moderna e tecnologica di Mussolini; essi continuano a tramare per ottenere la
piena restaurazione della dittatura
di stampo mussoliniano.
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
e-mail [email protected]
sito Internet http://www.pmli.it
Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164
Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale
murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze
Editore: PMLI
chiuso il 14/1/2015
ISSN: 0392-3886
ore 16,00
corruzione / il bolscevico 9
N. 3 - 22 gennaio 2015
La norma più importante non si applica a “Mafia Capitale”
L’Associazione dei magistrati:
“debole” e “controproducente” la legge
anticorruzione di Renzi
il nuovo berlusconi cerca di zittire il presidente dell’anm che
lo paragona al ministro della giustizia di mussolini
Il 12 dicembre scorso con un
disegno di legge preparato dal governo del Berlusconi democristiano Renzi, sono cominciati i lavori
relativamente alla riforma del reato di corruzione e l’istituto della
prescrizione nel diritto penale. Il
testo è composto da una trentina
di articoli incentrati soprattutto sul
delitto contro la Pubblica Amministrazione che subirà un aumento nella parte della pena: la corruzione passerà ad una pena edittale
(attualmente compresa tra un minimo di uno e un massimo di cinque anni) il cui taglio sarà da 6
a 10 anni. A ciò si aggiunge una
modellazione del patteggiamento per questo tipo di reato soltanto
per coloro che avranno restituito
il maltolto. In ultimo il progetto legislativo dovrebbe prevedere anche l’allungamento dei tempi di prescrizione (il doppio per la
corruzione) giustificato dall’esecutivo renziano con il fatto che i
precedenti corrotti e corruttori la
facevano franca con un tempo prescrittivo oggi fissato, per questo
tipo di delitti, a sei anni; trascorsi
i quali il giudice emetteva sentenza secondo la formulazione di rito
“non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato”.
L’Associazione Nazionale Magistrati, che già aveva bocciato la
prima riformulazione del delitto
di corruzione attuata dal governo
Monti, parla di riforma “debole e
controproducente” e lo spiega attraverso le parole di Rodolfo Maria Sabelli, presidente del sindacato delle toghe. Secondo Sabelli
non ci sarebbe uno sconto per i
collaboratori, e ciò non incoraggerebbe coloro che decidano di desistere dal compimento di questi
reati. Inoltre, per i magistrati risulterebbe inadeguata la parte sulla prescrizione che va bloccata in
primo grado e non soltanto sospesa, per poi “correre” ancora. Alle
prime critiche subito hanno risposto con il piglio ducesco il nuovo Berlusconi e i suoi gerarchi:
“I magistrati parlino con le sentenze, devono scrivere le senten-
Chi è l’ideologo nero Rutilio Sermonti
“La lotta politica attuale è sterile, non serve a nulla, nel 1930 l’Italia era la nazione più invidiata
del mondo, oggi è l’ultima ruota
del carro”. Così parlò Rutilio Sermonti, 94 anni, ex repubblichino e poi tra i fondatori dell’Msi,
in una recente intervista al “Resto
del Carlino” di Ascoli.
Secondo i magistrati dell’inchiesta ‘Aquila Nera’ che l’hanno
arrestato assieme ad altre 13 persone il 22 dicembre scorso, Sermonti è l’ideologo dell’associazione clandestina “Avanguardia
Ordinovista”. Il suo compito era
quello di stilare “una nuova costituzione repubblicana basata su un
ordine costituzionale di ispirazione marcatamente fascista”. È accusato inoltre di aver “incitato i
sodali del gruppo all’ ‘offensiva’
sostenendo che non sia più indispensabile ‘l’assalto delle masse,
ma sufficiente l’azione di ‘pochi
uomini, decisi, poco visibili e coraggiosi’”.
Secondo la biografia stilata
da Wikipedia, Sermonti nel 1942
partecipa da volontario alla seconda guerra mondiale come sottufficiale del Regio Esercito e, dopo
l’ 8 settembre del 1943, aderisce
alla Repubblica Sociale Italiana
come ufficiale del Battaglione San
Marco. Nella succitata intervista
l’ “ideologo nero” nel tessere le
lodi del duce ricorda ancora: “con
grande emozione quando ho giurato davanti al Duce, nello stadio
dei Marmi a Roma”.
Nel dopoguerra, laureatosi in
legge, Sermonti esercita la professione forense e contestualmente
si dedica all’attività politica. Dirigente del Far (“Fasci di Azione Rivoluzionaria”) nel dicembre
1946, è tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano, dal quale
fuoriuscirà nel 1954 in segno di
protesta in seguito all’insediamento di Arturo Michelini quale segretario del partito poiché ritenuto dal
Sermonti troppo dialogante con la
Democrazia Cristiana.
Nel 1956 prese parte al Centro
Studi Ordine Nuovo dove diviene membro del comitato direttivo.
Rientrerà nel 1968 in seno al Movimento Sociale insieme a Pino
Rauti e nel 1971 viene nominato
segretario del Fronte Verde, il movimento ambientalista dell’Msi.
Il “Movimento politico ordine
CALENDARIO
DELLE MANIFESTAZIONI
E DEGLI SCIOPERI
nuovo”, a cui si ispirava il gruppo, è stata un’organizzazione neofascista fondata nel 1969 da Clemente Graziani. Venne sciolta dal
ministro dell’interno Paolo Emilio
Taviani, dopo l’inchiesta condotta
dal giudice romano Vittorio Occorsio, poi rimasto vittima di un
agguato mortale, grazie alla quale
diversi dirigenti vennero condannati per “ricostituzione di partito
fascista”. Il Movimento Politico si
ispirava alla rivista Ordine Nuovo,
fondata nel 1956 da Pino Rauti e
altri giovani fuoriusciti dall’Msi.
Non pochi componenti di Ordine
Nuovo – a partire proprio da Rauti
e Graziani – sono entrati nelle inchieste sulle stragi: da Piazza Fontana a Piazza della Loggia, da Peteano alla bomba della stazione di
Bologna.
Negli anni ’80 Sermonti è presidente dei Gruppi Ricerca Ecologica. Dopo lo scioglimento del
partito nel 1995, non aderisce ad
An e confluisce nel Movimento
Sociale-Fiamma Tricolore di Pino
Rauti per poi, due anni dopo, partecipare alla fondazione del movimento politico Fronte Nazionale.
ze e non devono fare comunicati
stampa”, è stata l’arrogante replica di Renzi che ha invitato al silenzio i giudici. Replica secca di
Sabelli che ha affermato che Renzi sta sullo stesso piano del Ministro di Giustizia del fascismo Vittorio Emanuele Orlando che, già
prima dell’avvento di Mussolini,
aveva espresso il suo disprezzo
per le toghe diramando, nel 1907,
una circolare diretta ai responsabili delle Corti territoriali nella quale rilevava con rammarico la diffusione tra i magistrati del “costume
di pubblicamente interloquire intorno a questioni attinenti l’esercizio dell’ufficio loro, sia sotto forma di interviste, sia con lettere o
con articoli” e concludeva minacciando sanzioni in caso di abusi.
Prima di mettere il bavaglio definitivamente ai magistrati, lo stesso
Orlando esprimeva “dubbi gravissimi” persino sull’associazionismo delle toghe ribadendo, in un
intervento sul Corriere della Sera
del 23 agosto 1909, il fatto che
l’allora Agmi (oggi Anm) svolgesse un ruolo utile. Il suo omonimo, attuale Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, architetto del
disegno di legge, ha commentato
in maniera provocatoria: “Sembra che i giudizi siano stati molto condizionati dal clima che si è
venuto a creare in seguito alla rottura su alcuni punti specifici. Per
esempio, sul civile l’Anm aveva
collaborato ampiamente alla redazione del decreto, ma l’introduzione della norma sulle ferie l’ha
portata a dare un giudizio molto negativo sull’intera riforma”.
E conclude il suo intervento minimizzando sull’inchiesta “Mafia
Capitale”: “è qualcosa di diverso e
non necessariamente di meno grave: mentre ai tempi di Tangentopoli era la politica che vessava l’economia, in questa caso abbiamo
a che fare con una politica così debole che è preda di interessi economici e criminali di ogni sorta”.
L’intervento-fotocopia della Ministro per le Riforme Costituzionali
e per i Rapporti con il Parlamento,
Maria Elena Boschi, rappresenta un ennesimo esempio dell’arroganza espressa in questi giorni
dall’esecutivo Renzi in funzione
antigiudici: “i magistrati applichino le leggi anziché commentarle:
le leggi le scrive il Parlamento”.
I giudici annunciano nuove iniziative e agitazioni, ritenendo la
manovra contro la corruzione dilagante del tutto irrisoria, frutto di
“una politica che sembra accorgersi improvvisamente dei guasti che
i magistrati segnalano da anni: uno
scandalo la riforma sulla prescrizione che disperde lavoro e risorse che andrebbe bloccata se non
dopo l’esercizio dell’azione penale, come pure sarebbe ragionevole,
quanto meno dopo la sentenza di
primo grado”. L’art. 5 del disegno
di legge parla di prescrizione sospesa dopo il primo grado, finché
non riprende l’appello che dura più
di due anni e la Cassazione più di
uno. Con il pugno nello stomaco
dell’impunità per i gravissimi delitti di “Mafia Capitale” contenuti
nella norma transitoria: “le disposizioni si applicano ai fatti commessi successivamente all’entrata
in vigore della presente legge”.
In ultimo la stretta sulle intercettazioni ambientali e telefoniche, contenuta nell’articolo 25
del ddl Orlando che il viceministro Enrico Costa lo ritiene fondamentale esprimendo in poche parole il diktat “se non passa questo
articolo, non passa tutto il resto”.
Si tratta di una delega al governo
per “garantire la riservatezza delle telefonate intercettate con sistemi che incidano sulle modalità di
utilizzazione cautelare dei risultati e che diano una precisa scansione procedimentale all’udienza
di selezione del materiale intercettativo”. In sostanza il pubblico
ministero o il giudice procedente
avranno delle restrizioni maggio-
ri nelle ordinanze contenenti intercettazioni di persone né arrestate
né indagate con una udienza filtro
che dovrà vigilare a riguardo. Nonostante la sconcertante presa di
posizione positiva del presidente
della Authority Antitrust, Raffaele Cantone, sul pacchetto anticorruzione con un “il testo va bene”
(mentre invece vi sono riserve sulla questione dell’allungamento
della prescrizione), il ddl Orlando
va rigettato in toto. Innanzitutto le
intercettazioni ambientali e telefoniche devono essere svolte senza
restrizioni e nella forma più ampia
possibile per snidare i covi delle corruttele insite nel regime neofascista. Va respinta soprattutto
la riforma sull’allungamento della
prescrizione che, estesa a tutti i reati anche diversi da quelli contro la
pubblica amministrazione, coprirà
i gravi disagi degli uffici amministrativi e soprattutto gli errori che
le diverse legislazioni degli ultimi
anni hanno creato nell’ambito del
sistema penale ai danni delle masse popolari e in favore dei corrotti
e corruttori della peggiore risma,
né più né meno come Tangentopoli. Sulla corruzione sia Renzi che
Orlando, dopo gli ipocriti proclami estivi, si sono mossi quando
ormai i buoi sono scappati: nulla contro altri reati come la corruzione giudiziaria o l’induzione illecita, niente sull’estensione delle
norme antimafia sulle intercettazioni e sugli sconti di pena ai pentiti per denunciare i corrotti chieste dai magistrati, e niente manco
a dirlo sull’urgente problema della
mancanza di personale e di mezzi per far funzionare la giustizia e
snellire i processi, che però Renzi
pretende “rapidissimi” dai magistrati. Occorre ormai comprendere che corruzione e mafie hanno le
loro radici nel capitalismo stesso
in quanto parte integrante del sistema economico e politico della
classe dominante borghese e vanno estirpate con esso.
“Spese pazze” alla Regione Lazio
per 2,6 milioni di euro
Scialacquavano il denaro pubblico tra cene con ostriche e champagne, viaggi,
feste, ecc. 44 indagati, tra cui Foschi, ex capo della segreteria di Marino
Coinvolti sei ex consiglieri regionali del PD
GENNAIO
8-16
16
27
30
Sciopero del trasporto pubblico in varie città
LICTA - Sciopero del personale del trasporto aereo
ENAV e TECHNO
UILT-UIL, ANPAV - Sciopero del personale navigante del
gruppo Alitalia
Fabi - Sciopero nazionale dei bancari
FEBBRAIO
17
LICTA, ANPCAT - Sciopero del personale del trasporto
aereo ENAV
Il PM di Rieti Giuseppe Saieva si appresta - dopo un anno e
mezzo di indagini, 200 controlli
incrociati, 300 testimoni ascoltati e ben 44 indagati - a chiedere il
rinvio a giudizio per 13 ex consiglieri regionali del gruppo PD
alla Regione Lazio per i reati di
truffa aggravata, peculato, false
fatturazioni e illecito finanziamento ai partiti commessi tra il
2010 e il 2012.
Gli ex consiglieri del PD, secondo la Procura, sono accusati
di avere sperperato 2 milioni e
600 mila euro in pranzi e cene di
lusso con ostriche e champagne,
viaggi, feste, battute di caccia e
sagre del tartufo.
Nell’inchiesta sono coinvolti nomi importanti del PD come
quelli degli ex consiglieri e attualmente senatori Bruno Astorre, Carlo Lucherini, Claudio
Moscardelli, Francesco Scalia e
Daniela Valentini, e soprattutto
dell’ex consigliere e ora deputato renziano Marco Di Stefano, coordinatore della Leopolda, già indagato a Roma dove
la Procura lo sospetta di avere
aperto un conto in Svizzera per
farvi affluire tangenti e di avere
ricevuto una mazzetta da 1 mi-
lione e 800 mila euro che avrebbe ricevuto dal costruttore Pulcini in cambio di una sede per
Lazio Service. La Procura di Rieti lo accusa di essersi intascato 36.000 euro per pubblicare
25.000 copie della sua autobiografia.
Altri nomi importanti del
PD emersi nell’inchiesta reatina
sono quelli di Enzo Foschi, ex
capo della segreteria del sindaco di Roma Marino, ed Esterino
Montino, uno dei più importanti esponenti del Partito Democratico laziale e attuale sindaco di
Fiumicino.
Da quanto emerge dall’inchiesta del capoluogo sabino
gli ex consiglieri offrivano con
i soldi pubblici ad amici e simpatizzanti numerosi pranzi e feste spendendo dagli 8.000 ai
20.000 euro, si facevano rimborsare tutte le spese occorse
per una battuta di caccia al fagiano a Fiumicino, pagavano le
sanzioni amministrative per le
infrazioni al codice della strada,
i biglietti aerei, gli addobbi per
l’albero di Natale, persino bottiglie di acqua minerale, il tutto per 2,6 milioni di euro complessivi.
4 il bolscevico / studenti
N. 45 - 19 dicembre 2014
Conto corrente postale 85842383 intestato a:
PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze
PMLI / il bolscevico 11
N. 3 - 22 gennaio 2015
Nel 91° Anniversario della sua scomparsa
COMMEMORIAMO
LENIN A CAVRIAGO
Domenica 18 GENNAIO, ore 11
Piazza Lenin, Cavriago (Reggio Emilia), 19 gennaio 2014. Militanti
e simpatizzanti dell’Emilia-Romagna, della Lombardia, del Piemonte
e delle Marche del PMLI commemorano il grande Maestro del proletariato internazionale Lenin, in occasione del 90° Anniversario della
scomparsa. Al centro da destra, i compagni Denis Branzanti, membro
dell’Ufficio politico del PMLI e Responsabile del PMLI per l’EmiliaRomagna, Federico Picerni, Responsabile della Commissione giovani
del CC del PMLI e Angelo Urgo, Segretario del Comitato lombardo del
PMLI (foto Il Bolscevico)
Domenica 18 gennaio 2015,
in Piazza Lenin a Cavriago
(Reggio Emilia), Commemorazione pubblica in occasione del 91° Anniversario della
scomparsa di Lenin.
Ritrovo ore 11,00. Discorso
ufficiale ore 11,30.
Partecipiamo numerosi per
rendere omaggio al grande
Maestro del proletariato internazionale Lenin!
Applichiamo gli insegnamen-
ti di Lenin riguardo la conquista del potere politico da parte del proletariato!
Spazziamo via il governo
del Berlusconi democristiano
Renzi!
Tutto per il PMLI, per il proletariato e il socialismo!
Con Lenin per sempre, contro il capitalismo per il socialismo!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
Curare la vita interna
del Partito per fare bene
il lavoro tra le masse
Cari compagni,
avete certamente ragione
quando scrivete che è prioritaria la vita interna del Partito e
che in alcuni casi è opportuno
saltare una manifestazione di
piazza per dedicare tempo all’elaborazione di una risoluzione
su un documento del Centro.
Militanti e simpatizzanti del
PMLI hanno accolto con estremo favore la decisione del PMLI
di creare una pagina apposita
sul canale internet YouTube
dove è anche stata recentemente postata la versione integrale
della puntata del programma
televisivo “Ottoemezzo” su Stalin con la presenza del compagno Mino Pasca. È certamente
un canale molto seguito che ci
permetterà ulteriormente di farci
conoscere da un largo numero
di navigatori.
È stata fatta una lettura col-
lettiva della Premessa e dei
primi cinque articoli del Capitolo I dello Statuto del PMLI.
Dopo, militanti e simpatizzanti
del PMLI li hanno commentati
rilevando l’estrema attualità di
tali indicazioni nella creazione e
salvaguardia del Partito del proletariato italiano.
Usando una metafora possiamo immaginare il PMLI come
una splendida “Rosa di Gerico”
una pianta molto particolare
che vive nel deserto e che in
condizioni sfavorevoli si richiude
in sé a palla diventando piccola
e forte per non morire mentre in
condizioni favorevoli, con acqua
abbondante, apre i suoi rami e
si estende dappertutto con forza e vigore raggiungendo parti
molto lontane dal suo centro.
Da un rapporto mensile dell’Organizzazione di Biella del PMLI
“LA NUOVA SARDEGNA” DA’ NOTIZIA DELL’APPELLO
DELLA NEONATA
ORGANIZZAZIONE
DI URAS DEL PMLI
L’edizione cartacea e on-line del quotidiano “La Nuova Sardegna” dell’8 gennaio con l’articolo che riporta
il comunicato dell’Organizzazione di Uras (Oristano)
del PMLI appena fondata
Coi Maestri Lenin e Stalin
contro il revisionismo
Importante, quando si avvicina (ricorre il prossimo 21 gennaio) l’anniversario della morte del
grande Maestro Lenin, quanto
ne scrive (cfr. ne “Il Bolscevico”
n. 2/2015) l’altro grande Maestro
Stalin, a ulteriore conferma, contro vecchie ma sempre ricorrenti
calunnie, di una reale continuità
tra i due Maestri, che poi si completerà con il quinto Maestro, Mao.
A parte la modestia di Stalin
nel trattare il tema, iniziando l’articolo con l’osservazione: “Mi sembra che non occorrerebbe scrivere sul ‘compagno Lenin in riposo’
(era a Gorky per i gravi postumi
dell’attentato subito nel 1918, ad
opera di un socialrivoluzionario,
come ricordato nella nota redazionale iniziale) adesso che il suo
periodo di riposo sta terminando
ed egli tornerà presto al lavoro”.
Poi la critica (condivisa assolutamente dai due Maestri) al revisionismo distruttivo dei socialrivoluzionari e menscevichi: “Il loro
scopo è di screditare la Russia
sovietica. Favoriscono gli imperialisti nella loro lotta contro la Russia sovietica. Sono caduti nella
melma del capitalismo e stanno
rotolando verso il precipizio. Si dibattono pure. Sono morti da tempo per la classe operaia”.
Sottolineature
importanti,
sempre, anche per l’oggi, dove il
revisionismo vecchio e nuovo è
tanto in quello di destra, sempre
pronto a distinguere e a discettare senza costrutto, sia in quello
di sinistra (gli “ultrasinistri”, come
saggiamente ammonisce sempre
il compagno Segretario generale
Scuderi, per me un nuovo Maestro) impegnato (si fa per dire) in
un ribellismo “spettacolare” quanto inutilmente dannoso (l’ossimoro è voluto).
Benissimo il comunicato del
PMLI: “L’attentato a Parigi è frutto
dell’imperialismo”.
Eugen Galasso
Concordo sull’analisi dei
fatti di Parigi proposta
dal PMLI
Care compagne e cari compagni,
sono completamente d’accordo con l’analisi politica sui fatti
di Parigi espressa dal Partito nel
comunicato stampa. È la stessa
che ho sostenuto in questi giorni
commentando con amici e compagni di lavoro quanto accaduto.
E con fatica ed impegno, certo,
poiché i mass-media asserviti al
regime capitalistico hanno fatto
passare (come sempre) tutto un
altro tipo di messaggio. Ma è anche questo uno dei nostri doveri
di marxisti-leninisti ossia quello di
rendere cosciente, con la dialettica, il popolo che a questo non ci
sarà mai fine se non lottiamo per
l’abbattimento del capitalismo e
per l’instaurazione del socialismo!
Ottimo l’articolo sul rinnegato
Giorgio Napolitano. Egli è colui
che da anni copre, insieme ai suoi
complici revisionisti, le peggiori
nefandezze di questo Stato borghese.
Bene avete fatto a dire che con
le sue dimissioni non si esaurisce
certo il suo compito che continuerà ad essere quello di garante del
regime neofascista. Di questo ne
sono certo anch’io, giusto averlo
ribadito!
Coi Maestri e il PMLI, vinceremo!
Un caro saluto rosso a voi tutti.
Andrea, operaio del Mugello
(Firenze)
Non solo guerre di
religione
Non so quanti di noi resterebbero indifferenti se il proprio
Paese venisse invaso da eserciti
stranieri, di culture religiose diverse dalla nostra che, con la scusa
di portare pace e democrazia non
richiesta, bombardano, distruggono, uccidono, imprigionano, violentano, umiliano!
Quanti di noi resterebbero indifferenti nel vedere i propri figli,
le proprie mogli, i proprio genitori morti, dilaniati dalle bombe?
Quanti di noi non penserebbero
alla vendetta?
Ci sono generazioni che sono
nate e cresciute in queste condizioni, specialmente nel Nord
Africa e nel Medio Oriente, paesi
islamici colonizzati da paesi cristiani e eserciti sionisti che, come
sappiamo, bene non si sono comportati.
La convivenza religiosa non è
mai stata facile, è sempre stato il
punto debole degli esseri umani e
le lotte di religione lo dimostrano. I
fanatici religiosi sono tutti figli della stessa madre, appartengono a
tutte le religioni, disprezzano la
vita umana e sono pronti a tutto,
ad uccidere e a farsi uccidere.
La violenza porta altra violenza, l’odio altro odio. L’odio reli-
gioso per chi non la pensa come
noi non è una novità, c’è sempre
stato. Non bisogna cercare altrove versetti che incitano all’odio e
allo sterminio di chi non la pensa
come loro: “ma delle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti
dà in eredità, non lascerai in vita
ogni essere che respiri, ma li voterai allo sterminio: cioè gli Hittiti,
gli Amorrei, i Perizziti, gli Evei e i
Gebusei come il Signore Dio tuo ti
ha comandato di fare” (tratto dalla
Bibbia!).
Alla luce di tutto questo, al di
là del fatto che sono indignato nei
confronti di questo crimine, provocare questi fanatici, con vignette
satiriche, irridendo la loro religione e sapendo che non l’avrebbero presa bene non mi è sembrata
una scelta molto intelligente.
Roberto - Castelvetro di Modena
Sono d’accordo con voi su
Napolitano
Cari compagni,
riguardo all’articolo su Napolitano non so darvi torto, se non
sul punto che Napolitano non è
mai stato comunista e come lui
molti altri operanti ad ogni livello nel PCI. Mi riferisco alla storia
meno antica di tale partito, penso
a Togliatti, Amendola, Ingrao, Berlinguer, Natta, Occhetto, D’Alema
e Veltroni. Il titolo di revisionista
per costoro e per tanti altri meno
in vista, io credo, è onorifico: non
se lo meritano.
L’analisi dei fatti di Parigi da voi
fatta è perfetta, grazie.
Saluti.
Nicola Spinosi - Firenze
Per conoscere direttamente dai lavoratori e dagli studenti
quali sono i loro problemi, le loro rivendicazioni, il loro
parere sulla situazione politica, il loro stato d’animo, non
c’è modo migliore di intervistarli durante le manifestazioni
e le occupazioni.
Naturalmente bisogna prepararsi bene prima dell’intervista
avendo in mente le domande da porre in linea di massima
e avendo con sé un registratore (o almeno un taccuino)
e una macchina fotografica. Abbiamo già due modelli
cui ispirarsi. Le interviste fatte dalla compagna Giovanna
Vitrano e dal compagno Federico Picerni pubblicate
rispettivamente su “Il Bolscevico n. 38/13 e n. 21/13.
Si possono fare delle interviste anche durante i banchini.
Le interviste sono utili pure per attirare l’attenzione sul
PMLI e il suo organo .
Coraggio, intervistate i lavoratori e gli studenti in lotta! Chi
saranno i prossimi compagni a farle?
12 il bolscevico / cronache locali
N. 3 - 22 gennaio 2015
Primarie per il sindaco
Accordo tra PD
e Forza Italia ad Agrigento
‡‡Dal nostro corrispondente
della Sicilia
Si voterà nuovamente ad Agrigento nella primavera del 2015, poiché il neopodestà Marco Zambuto,
PD, il campione italiano di salto
della quaglia (ex-DC, ex-CDU, exUDC, ex-PdL, PD) ed eletto nel
2012, si è dimesso nel giugno del
2014, prima di essere sospeso per
una condanna in primo grado per
abuso d’ufficio. Lascia e adesso,
assolto in appello, probabilmente
si ricandida. Intanto, da presidente
dell’assemblea regionale del PD, il
democristiano Zambuto, con la benedizione di Renzi e Raciti, lavora
per garantire l’elezione di un sindaco, se non lui come lui, in grado
di continuare a foraggiare, nel regime di larghissime intese che vige in
città, il comitato di politicanti e imprenditori collusi e prestanomi della mafia che da anni si spartisce i
fondi pubblici.
Il sindaco delle larghissime intese con buona probabilità sarà un
esponente del PD di Renzi, considerato che nella scelta del vincitore alle primarie, invitata dai
renziani di Agrigento, parteciperà
anche Forza Italia, con in testa il
suo capo locale e vice coordinatore regionale del partito del neoduce, Riccardo Gallo, eletto alla
camera dei deputati con il Popolo
della Libertà in quota DC ed adesso in FI.
Il gioco, che neutralizzerà l’infuriata sinistra del PD agrigentino, è possibile perché FI parteciperà alle consultazioni “interne” al
PD con la lista civica “Patto per il
Territorio”. Una manovra che non
poteva sfuggire al vero boss attua-
Con “Noi Insieme”, il capitalismo
può dormire sonni tranquilli
La lista De Magistris-Vendolafalsi comunisti è una ruota
di scorta del PD renziano
‡‡Redazione di Napoli
Grazie ad un accordo tra Vendola e De Magistris, sabato 3 gennaio è stata ufficializzata la nuova
lista elettorale regionale “alternativa” a quella di “centro-destra”
organizzata attorno all’attuale presidente forzista Caldoro che si ricandiderà per le regionali primaverili prossime. È entrata nel vivo
la campagna elettorale del neopodestà De Magistris che, narciso
come non mai, ha lanciato questa
lista comprendente, oltre a SeL,
anche i trotzkisti e falsi comunisti annidati in PCdI e PRC. “Tutto
ciò rappresenta un incontro tra le
liste civiche di sinistra dove è stata
esaminata la situazione politica in
vista delle prossime Regionali”, è
scritto in una nota che conferma il
manifesto-lista denominato “Noi
Insieme”. Il lancio del programma
minimo non è altro che una sintesi
della solita solfa trita e ritrita tipica dei riformisti e dei falsi comunisti: “per il lavoro, per il diritto al
reddito e per i giovani. Per battere
la rassegnazione, per rinnovare la
politica, per dare risposte concrete
ai cittadini” (sic!). Nulla contro il
capitalismo.
La lista, secondo gli intenti dei
promotori, sarebbe un’alternativa
non solo a Caldoro (FI), ma anche
al PD invitato a “voltare pagina”;
nel contempo non si chiude al partito renziano con apertura di “momenti di ascolto in primo luogo
con il movimento sindacale e con
tutte le forze interessate, tenendo
un’assemblea pubblica a fine gennaio per tirare un primo bilancio
di questo lavoro”. Nelle prossime
settimane “Noi Insieme” deciderà
il candidato presidente da presentare alle elezioni regionali, nella
speranza di entrare, semmai, nella competizione delle primarie PD
che sta vedendo una prima sfida
tra il neopodestà di Salerno, Vincenzo De Luca, e il capobastone di
Bassolino, Andrea Cozzolino.
Sta di fatto che la lista voluta dalla coppia narcisista Vendola-De Magistris non è altro che la
nuova ruota di scorta del PD renziano, atteso che è evidente il tentativo di flirtare con i neoliberali
anziché essere una valida opposizione al nuovo Berlusconi Renzi.
Questo nuovo imbroglio elettorale va punito non votando i partiti
borghesi e del regime capitalista,
abbandonando ogni illusione elettorale, parlamentare, governativa,
riformista, costituzionale e pacifista. Occorre astenersi disertando
le urne, annullando la scheda o lasciandola in bianco.
Accade nulla
attorno a te?
RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’
Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano
la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse.
Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove studi,
nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie,
soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il
sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti.
Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse e Sbatti i signori del palazzo in
1ª pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a:
Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze
Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected]
le di Girgenti, il ministro dell’Interno del governo Renzi, Angelino Alfano, che, in questi giorni,
rispondendo ad un invito di Berlusconi, si è detto aperto a sostenere il candidato di Renzi. In conclusione nell’alleanza che sosterrà
il prossimo candidato del PD uscito dalle urne delle primarie, ci saranno proprio quasi tutti i partiti
borghesi, dalla destra, ai democristiani, al PD, dai filomafiosi inquisiti, agli “antimafiosi”, poiché, per
la cronaca, neanche il governatore siciliano Rosario Crocetta, PD,
con il suo “Il Megafono”, ha rifiutato di sostenere l’operazione.
I politicanti borghesi che hanno provocato e accentuato con la
loro rapacità i problemi delle masse popolari agrigentine, continuano ad inventarne di nuove per rimanere attaccati alle poltrone e
depredare i fondi pubblici. E poi
parlano di “libertà di scelta”, di
“cambiamento”, di “rivoluzione”,
quegli stessi che impongono nei
fatti il candidato unico e lavorano
per mantenere lo status quo mafioso ad Agrigento, infischiandosene
altamente di quanto succede nella
città, che ha uno dei tassi di disoccupazione più alti d’Italia, dove il
lavoro è quasi esclusivamente precario, il dramma dell’emigrazione
attanaglia i giovani e decine sono
le vertenze aperte, e dove interi
quartieri annunciano il loro astensionismo di protesta, com’è successo per le europee 2014.
Che la base del PD agrigentino
faccia fallire le primarie fasciste
e filomafiose di Renzi, così come
le masse agrigentine boccino tutti
i candidati di regime, astenendosi
alle elezioni comunali di maggio
2015.
In provincia di Catania
Lottiamo uniti contro
la giunta Bonanno
“centro-destra”
di Caltagirone
‡‡Dal corrispondente
dell’Organizzazione
di Caltagirone del PMLI
Dopo poco meno di un decennio di amministrazione della città da parte della “sinistra”
borghese con Francesco Pignataro - indagato per abuso di ufficio - attualmente il comune di
Caltagirone (Catania) vede a
presiedere la sua giunta il sindaco Nicola Bonanno, “centrodestra”.
Egli è stato eletto dalle liste
civiche “L’altra città autonomisti e moderati per il cambiamento”, “Progetto Caltagirone” e
“Sintesi autonomista” nel maggio 2012 e già un anno dopo
la sua amministrazione venne
messa a dura prova dai continui
scioperi da parte dei lavoratori
del servizio di raccolta rifiuti e i
conseguenti disagi in città: i netturbini, infatti, non percepivano
lo stipendio in maniera regolare
anche per via del debito di 9 milioni di euro che il comune aveva con la ditta Aimeri.
Sempre nella primavera
2013 il Consiglio comunale di
Caltagirone ha ufficialmente dichiarato il dissesto finanziario
del comune per poi nominare
tre commissari per la gestione
di tale dissesto. Secondo il sindaco tale situazione era già di
fatto presente dal 2011.
In questi anni Bonanno è stato spesso contestato dalle masse popolari che hanno in più
occasioni chiesto le sue dimissioni: sono esse, infatti, a pagare le conseguenze delle malefatte delle amministrazioni locali
borghesi come di quelle regionali e nazionali. Nel frattempo,
il numero di disoccupati cresce ed in particolare cresce il
numero di giovani disoccupati:
conseguenza di tutto ciò è l’aumento del tasso di emigrazione
giovanile.
Il malcontento della popolazione è stato palesemente
espresso in occasione delle elezioni europee dello scorso anno:
su 32.527 aventi diritto, hanno
votato per liste e candidati soltanto 13.282 elettori, è dunque
altissimo e in crescita il numero
di astenuti.
Ciò che è certo è che solo il
socialismo potrà risolvere definitivamente i reali problemi di
Caltagirone come degli altri comuni in Sicilia e in tutta Italia.
Perciò invitiamo le masse calatine a lottare unite contro la
giunta Bonanno.
Sicuri che l’astensionismo
elettorale contribuisca
a superare questa “democrazia”?
Ciao a tutti.
Mi è capitato di imbattermi
nel vostro sito, attraverso consigli di amici o link collegati ad
altri siti, e ho deciso di spendere
un po’ di tempo a cercare informazioni.
Ho letto alcune cose davvero interessanti sul vostro sito ma
altre che non condivido. Personalmente credo nella possibilità
di un socialismo anche al giorno d’oggi (non ovviamente con i
cosiddetti partiti di adesso) ma in
altre forme.
Ci sono alcune cose che vorrei chiedervi, se mi permettete.
Prima di tutto, siete sicuri che
l’astensionismo sia il metodo giusto per avere la meglio su questo
tipo di “democrazia”?
Riguardo al socialismo che
intendete, ci sono personalità, legate alle cinque che ci sono nel
vostro simbolo, a cui si può fare
riferimento (esempio Fidel Castro, Ho Chi Min, ecc.)?. Che
cosa pensate riguardo a Gramsci? Io lo considero un vero maestro. Magari però sbaglio. An-
che qui se potete vorrei saperne
di più, se avete qualcosa da consigliarmi da leggere.
Un’ultima cosa: mi è capitato di leggere un vostro comunicato legato alla scomparsa di Pol
Pot. Io ho studiato la storia della
Cambogia in mille modi, sia prima che dopo l’impero Khmer, e
devo dirvi che non riesco a trovarci veramente nulla di buono.
Magari sono io che non riesco
a capirlo. Se potete darmi chiarimenti anche su questo vi sarei
grato.
Grazie.
Marcello - Ferrara
Ciao Marcello,
grazie per averci scritto e per
averci posto i tuoi quesiti.
Ovviamente siamo sicuri che
sul piano elettorale, l’astensionismo tattico sia l’unica arma che
possono disporre il proletariato, i
fautori del socialismo e, in genere, l’elettorato di sinistra. Ci sembra che i fatti lo dimostrino ampiamente.
Fidel Castro, secondo noi non
è un comunista, Ho Chi Min lo
è, ma non si può considerare
all’altezza di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao. Per noi Gramsci è all’origine del revisionismo
in Italia. Non a caso non costituisce un problema per la borghesia, a parte la sua ala destra, ma
non tutta, vedi Fini. Piace anche
ai trotzkisti e ai partiti falsi comunisti, compreso il PC di Rizzo.
Se vuoi approfondire la questione vedi sul sito del PMLI
http://www.pmli.it/gramscimarxismoleninismodoccc.htm.
Su Pol Pot sempre sul sito del
PMLI puoi trovare alcuni nostri articoli tra cui http://www.
pmli.it/onoreapolpot.htm.
I libri di storia sono scritti da
borghesi, a volte anticomunisti,
quindi vanno presi con le molle.
Siamo contenti che credi nel
socialismo, ma cosa intendi “in
altre forme”? Comunque, cosa
stai facendo di concreto per l’avvento del socialismo in Italia?
Potresti unirti al PMLI, visto che
hai letto alcune cose “davvero interessanti” sul nostro sito.
interni / il bolscevico 13
N. 3 - 22 gennaio 2015
Accusato di un danno erariale di oltre 800 mila euro quand’era presidente della provincia di Firenze
Renzi sarA’ processato
dalla Corte dei Conti
‡‡Redazione di Firenze
La Corte di Conti il 26 dicembre scorso ha deciso di confermare la chiamata in giudizio per
Matteo Renzi il prossimo luglio
per contestargli 816.124,15 euro
di danno erariale per aver nominato, quand’era presidente della
Provincia di Firenze, dal 2005 al
2009, quattro direttori generali invece di uno, come previsto dallo
statuto.
Secondo la Corte dei Conti, la
Provincia “avrebbe potuto (e dovuto) nominare un solo Direttore
Generale mentre ha provveduto
alla nomina e alla remunerazione
di quattro Direttori, e come se non
bastasse con retribuzioni ben superiori a quelle massime previste
dal C.C.N.L. (contratto collettivo
nazionale). A maggior ragione se
si considera che i soggetti nominati Direttori Generali non provenivano dall’esterno, ma erano
dirigenti di ruolo con contratto a
tempo indeterminato, in seguito
collocati in aspettativa, per essere riassunti dallo stesso Ente con
un contratto di diritto privato”. La
responsabilità di Renzi è centrale
perché come sottolinea sempre la
Corte di Conti, “la vicenda traeva
origine dal decreto del Presidente
della Provincia n. 32 dell’11 settembre 2006”.
Una lunga vicenda quella delle
contestazioni della Corte dei Conti sulla gestione Renzi alla provincia di Firenze a cui il Berlusconi
democristiano cerca di sottrarsi
tramite l’avvocato Alberto Bianchi,
già tesoriere della fondazione “Big
Bang” (oggi “Open”) e nominato
COLLABORATE CON
Invito agli operai, lavoratori, precari,
disoccupati, pensionati, donne, giovani, studenti
il bolscevico mette a disposizione di tutti i suoi
lettori non membri del PMLI, senza alcuna discriminazione ideologica, religiosa, politica e organizzativa,
fatta salva la pregiudiziale antifascista, alcune rubriche affinché possiate esprimere liberamente il vostro
pensiero e dare il vostro contributo personale alla lotta
contro il governo, le giunte locali, le ingiustizie sociali, la disoccupazione, il neofascismo e i mali vecchi
e nuovi del capitalismo, per l’Italia unita, rossa e socialista.
Alla rubrica “LETTERE” vanno indirizzate le opinioni di
sostegno al Bolscevico, al PMLI e ad ogni sua istanza anche
di base, nonché le proposte e i consigli tendenti a migliorare il
nostro lavoro politico e giornalistico.
Alla rubrica “DIALOGO CON I LETTORI” vanno indirizzate
le questioni ideologiche e politiche che si intendono dibattere
con “Il Bolscevico”, anche se sono in contraddizione con la
linea del PMLI. Le lettere non devono superare le 3.600 battute
spazi inclusi.
Alla rubrica “CONTRIBUTI” vanno indirizzate le opinioni
riguardanti l’attualità politica, sindacale, sociale e culturale in
Italia e nel mondo.
Tali opinioni non necessariamente debbono coincidere in
tutto con quelle del PMLI, ma non devono nemmeno essere
contrapposte alla linea del nostro Partito. In tal caso non si
tratterebbe di un contributo alla discussione e all’approfondimento dei temi sollevati dal PMLI e da “Il Bolscevico”, ma di un
intervento contraddittorio adatto tutt’al più alla rubrica “Dialogo
con i lettori”.
Alla rubrica “CORRISPONDENZA DELLE MASSE” vanno indirizzate le denunce e le cronache di avvenimenti sociali,
politici, sindacali che interessano la propria fabbrica, scuola
e università e ambiente di vita, quartiere di abitazione, città o
regione.
Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina
Libere denunce dei lettori
Alla rubrica “SBATTI I SIGNORI DEL PALAZZO IN 1ª PAGINA” vanno indirizzate le denunce delle ingiustizie, angherie,
soprusi, malefatte e mascalzonate che commettono ministri,
governatori, sindaci, assessori, funzionari pubblici, insomma
chiunque detenga del potere nelle istituzioni borghesi.
Utilizzate a fondo queste rubriche per le vostre denunce, vi raccomandiamo solo di essere brevi, concisi, chiari...
e coraggiosi. Usate la tastiera o la penna come spade per
trafiggere i nemici del popolo, come un maglio per abbattere il palazzo, come scope per far pulizia delle idee errate
e non proletarie che i revisionisti e i riformisti comunque
mascherati inculcano alle masse lavoratrici, giovanili, femminili e popolari, come un energetico per incoraggiare le
compagne, i compagni e le masse ad andare fino in fondo
nella lotta di classe contro il capitalismo, per il socialismo.
La Redazione centrale de “Il Bolscevico”
LE CORRISPONDENZE VANNO INVIATE A:
[email protected]
IL BOLSCEVICO - Via del Pollaiolo 172a - 50142 FIRENZE
Fax 055 5123164
da Renzi la scorsa primavera nel
cda di Enel.
La prima udienza risale al dicembre 2013 quando “la Procura
contabile riteneva esistente la
dannosità della spesa e la grave
colpevolezza degli interessati” e
fissava un’udienza per il 24 settembre 2014 in cui doveva comparire il capo del governo che,
calcando perfettamente le orme
del suo modello di Arcore, il 24
settembre scorso ha evitato di
presentarsi invocando il “legittimo
impedimento” perché impegnato
in un viaggio negli USA.
Insieme a lui sono indagati
l’ex assessore provinciale Tiziano Lepri e il dirigente dei servizi
finanziari della provincia Rocco
Conte, nonché i quattro ex direttori Lucia Bartoli, Luigi Ulivieri,
Liuba Guidotti, Giacomo Parenti
e l’ex segretario generale Felice
Strocchia.
La nomina dei quattro direttori è solo uno degli aspetti delle
spese fatte sostenere da Renzi
alla provincia di Firenze, da lui ge-
stita come un feudo piazzando i
fedelissimi come Marco Carrai e
Giovanni Palumbo in posti chiave
e utilizzata come trampolino per
costruire la sua carriera politica
e il suo lancio mediatico su scala
nazionale.
Un’altra indagine della Corte
dei Conti riguarda l’aver sostituito di fatto l’ufficio stampa interno
della provincia con un incarico a
Florence Multimedia, di cui era
amministratore il sodale Marco
Carrai, con un contratto di oltre
900 mila euro, tre volte più di
quanto previsto dal regolamento.
La funzione fondamentale di Florence Multimedia è stata quella
di organizzare per Renzi, sotto il
titolo “Il genio fiorentino”, una serie
di iniziative che hanno distribuito
contributi a pioggia e lo hanno
visto scorrazzare in tutta la provincia a tagliare nastri e stringere mani. E ancora sotto inchiesta
sono le spese di rappresentanza
negli Stati Uniti, pranzi e cene a
base di aragosta e vini pregiati,
biglietti aerei e simili.
Renzi a sciare a
spese del popolo
A Courmayeur con un volo di Stato
Le vacanze di capodanno
della famiglia Renzi sono costate care al popolo italiano, a cominciare dallo spostamento da
Firenze ad Aosta con un volo di
Stato, un aereo Falcon 900 il cui
costo operativo complessivo è di
9.000 euro l’ora che il pomeriggio
dello scorso 30 dicembre riporta
in Italia dall’Albania Matteo Renzi dove era stato in visita ufficiale
e, contrariamente ai piani previsti
secondo i quali avrebbe dovuto
atterrare a Roma, atterra nel capoluogo toscano e rimane sulla
pista solo per il tempo necessario
all’imbarco della moglie e dei figli
e riparte subito per Courmeyeur,
in Valle d’Aosta, dove atterra alle
21,25 e riparte subito per Roma.
Anziché 90 minuti, come
avrebbe dovuto fare se fosse atterrato a Roma, l’aereo quel giorno è rimasto in volo per ben 5 ore,
tre ore e mezza in più del dovuto
se si considera la tratta più lunga
che porta da Tirana a Firenze an-
ziché a Roma, poi il volo dal capoluogo toscano a Courmayeur,
dove Renzi si è trattenuto alcuni
giorni a sciare con la famiglia, e
infine il ritorno a Roma dalla città
valdostana, con una maggiorazione di spesa di oltre 30.000 euro
pagate dal popolo lavoratore.
L’uso dei voli di Stato è disciplinato rigidamente dal decreto
legge n. 98/2011 convertito nella
legge n. 111/2011, che in effetti
attribuisce al presidente del Consiglio la possibilità di utilizzare per
finalità istituzionali i voli di Stato,
ma questo ovviamente non vale
per estranei come appunto sono
i suoi familiari.
Quindi un volo pubblico è stato utilizzato per scopi che nulla
hanno a che vedere con la carica
ricoperta da Renzi, per cui il fatto
è grave sia sul piano strettamente
giuridico sia su quello dell’opportunità e dell’immagine che le istituzioni borghesi danno alle masse popolari.
Tra Casalesi e la famiglia Cosentino
“rapporto di mutua utilità”
La DDA di Napoli
sequestra le imprese
collegate con l’ex
viceministro e
fedelissimo di Berlusconi
Sigilli alla “Aversana Petroli” e a 142 distributori
per un giro di affari di 120 milioni di euro
‡‡Redazione di Napoli
Lunedì 22 dicembre la DDA
di Napoli, in un’operazione che
ha coinvolto tutto il territorio nazionale, ha operato un maxisequestro della “Aversana Petroli”
e dei 142 distributori collegati
alla famiglia Cosentino, in particolare ai fratelli Antonio, Giovanni e Nicola.
Si tratta di un durissimo colpo inferto alla mafia Casalese e
al contempo si smaschera completamente il giro di affari loschi condotto dalla famiglia con
esponente il fedelissimo del neoduce Berlusconi, nonché ex viceministro all’Economia, in carcere dal 3 aprile scorso.
L’inchiesta condotta dai pubblici ministeri Antonello Ardituro, Alessandro D’Alessio e
Fabrizio Vanorio e coordinata
dal pm Francesco Curcio rileva “una sorta di rapporto di mutua utilità” tra il clan dei Casalesi e la famiglia Cosentino: un
giro d’affari di ben 120 milioni
di euro che andava ben oltre i
confini della Campania. “Nicola Cosentino, pur non figurando
come socio, esercitava pressioni
su amministratori locali per ottenere autorizzazioni a favore delle
aziende”, secondo il procuratore
napoletano Giovanni Colangelo.
Il blocco imposto dai Cosentino
avrebbe portato società come Q8
e Kuwait petroleum ad essere
né più né meno asservite ai voleri della famiglia dell’ex sottosegretario e dei clan. Già la Corte
di Cassazione aveva confermato,
lo scorso 31 ottobre, la giustezza
dell’impianto cautelare che aveva portato in carcere non solo Nicola, ma anche Giovanni Cosentino che in una intercettazione
telefonica affermava senza alcun
pudore: “Chi ha più forza quello
spara. Dove ci vuole la politica,
c’è mio fratello Nicola. Dove ci
vogliono i soldi, ci sto io. E dove
ci vuole la forza, c’è pure la forza”.
Oltre a Nicola e Giovanni,
è indagato, ma non in carcere,
Antonio Cosentino; la Procura ha poi inserito nella lista anche l’ex prefetto di Caserta ed
ex parlamentare Pdl Maria Elena Stasi, indagata per il reato di
corruzione per aver adottato alcune scelte ritenute favorevoli
alle società dei Cosentino in materia di certificazione antimafia
in cambio della candidatura alla
Camera. Per la famiglia Cosentino la nuova forte accusa della
Direzione Distrettuale Antimafia
di aver fatto pressioni sulle amministrazioni locali, soprattutto
quelle della provincia di Caserta, per favorire le aziende di famiglia. Sta di fatto che sull’ex
coordinatore del Pdl campano ed
ex sottosegretario pendono gravissime accuse che vanno dal
concorso esterno in associazione
mafiosa e riguardante le vicende
del consorzio dei rifiuti Caserta 4 risultato infiltrato dal clan
dei Casalesi. A ciò si aggiunge
l’imputazione per Cosentino per
reimpiego di capitali illeciti in
relazione alla costruzione di un
centro commerciale mai realizzato a Casal di Principe.
Con il sequestro di 120 milioni di euro e i sigilli all’azienda
di famiglia “Aversana Petroli”,
si apre un terzo pesante procedimento penale che grava sulla testa sia di Nicola Cosentino che
della sua famiglia. D’altronde
Cosentino, conosciuto con il soprannome di “Nick o’mericano”
(Nicola l’americano), è parente
acquisito di diversi camorristi:
suo fratello Mario è infatti sposato con Mirella Russo, sorella del
boss dei casalesi Giuseppe Russo
(detto “Peppe O’ Padrino”), che
sta scontando un ergastolo per
omicidio e associazione mafiosa.
Un quadro ben chiaro, ormai,
che la dice lunga sul codazzo
di inquisiti, condannati e delinquenti che si accompagnavano
(e si accompagnano) al neoduce
Berlusconi e ai suoi compari mafiosi e camorristi.
Il decreto legge per scongiurare le sanzioni di Strasburgo
è una truffa ai danni dei detenuti
Dedico questo breve contributo ai miei compagni di sventura
rimasti nei gironi dell’inferno di
Poggioreale, i più interessati a
quanto esporremo perché costretti a vivere in gabbie disumane.
La cella è di 12-13 mq, oltre
ad un vano cucina di un metro ed
un cesso (non lo si può chiamare
altrimenti) con una parvenza di
doccia, che due volte alla settimana, per pochi minuti, vomita
un liquido caldo dal colore sospetto e dall’odore indefinibile.
Per lavarsi ogni giorno si usa
una brocca con la quale ci si getta addosso un po’ di acqua prelevata dal lavandino allagando tutto il vano che poi andrà svuotato
a colpi di ramazza.
La Corte di Strasburgo minac-
ciava gravi sanzioni pecuniarie
verso l’Italia, se non avesse reso
i penitenziari più vivibili, per cui in
tutta fretta è stato approvato un
decreto legge, che prevede un
abbuono di 1 giorno per ogni 10
trascorsi in celle sovraffollate o un
risarcimento di 8 euro al giorno
per chi ha già scontato la pena.
Ma la normativa è stata resa
inoperante per l’interpretazione
data alla stessa dalla magistratura di sorveglianza, che sta dichiarando inammissibili la quasi
totalità dei ricorsi con le più svariate motivazioni, costringendo a
defatiganti ricorsi in Cassazione.
La Corte di Strasburgo nel frattempo certa che giustizia è stata
fatta ha bocciato le migliaia di
istanze presentate in questi anni a
partire dalla sentenza Torreggiani
del gennaio 2013, in cui era stata
condannata l’Italia ad un risarcimento cospicuo per aver tenuto
alcuni detenuti (situazione normale) in celle dove disponevano di
tre mq a testa (tenendo conto che
in Europa negli allevamenti ad un
maiale ne sono obbligatoriamente
concessi 10).
I penitenziari si rendono vivibili garantendo ai detenuti quanto
previsto dalla legge: semi libertà
a metà pena, affidamento in prova quando mancano 4 anni dal
fine pena, gli ultimi 18 mesi di
reclusione ai domiciliari; provvedimenti che gradualmente svuoterebbero i penitenziari, tenendo
conto che oltre 20.000 detenuti
potrebbero beneficiarne, portando il numero dei reclusi in linea
con quanto perentoriamente ri-
chiestoci dall’Europa
Un discorso a parte meritano
i numerosi tossicodipendenti, che
dovrebbero essere, prima che puniti, curati in apposite strutture.
Per convincere l’opinione pubblica che indulto ed amnistia sono
ineludibili (parole del presidente
della Repubblica) basterebbe che
si montasse nelle piazze principali del nostro Paese un cubo
avente il volume di una cella, nella
quale secondo le normative della
UE non potrebbero vivere 4 maiali e viceversa vivono, nei gironi
infernali di Poggioreale e dell’Ucciardone, 16 esseri umani 23 ore
su 24 ed invitare altrettanti cittadini ad entrarvi e a rimanerci non 1
anno, non 10 anni, non fine pena
mai, ma soltanto un’ora.
Achille della Ragione
4
Contro
il Jobs Act e
la legge di stabilità
e per la difesa
dell'art.18
il bolscevico / studenti
P
Stampato in proprio
V
R
E
E
R
E
N. 45 - 19 dicembre 2014
C
NI
o
o
n
n
r
r
e
e
v
v
o
o
gg nii
n
l
o
l
o
i
c
i
c
s
s
u
a
ivvia Beerrllu ano
B
o
i
l
o
t
l
e
s
e
i
m
d
r
m
d
c
a
a
i
o
i
z
m
z
e
z
i
z
d
a
z
a
p
n
p
SS
e
R
Sede centrale:
Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]
PARTITO
MARXISTA-LENINISTA
ITALIANO
www.pmli.it
fatti di parigi / il bolscevico 15
N. 3 - 22 gennaio 2015
L’azione di guerra al settimanale satirico islamofobico “Charlie Hebdo”
Un attacco
all’imperialismo
francese
I governanti dell’Unione imperialista europea e il nazisionista Netanyahu marciano uniti contro
gli islamici antimperialisti. Renzi pronto ad andare in armi in Libia e nello Stato islamico
Uniamoci contro l’imperialismo, per la libertà dei popoli,
per l’indipendenza e la sovranità dei Paesi, per il socialismo
Nel rivendicare l’attacco al
settimanale satirico islamofobo
“Charlie Hebdo” a Parigi uno dei
responsabili di Al Qaeda nella penisola arabica (Aqap) ha affermato: “la Francia smetta di attaccare
l’Islam, i suoi simboli e i musulmani o ci saranno nuove operazioni. Alcuni dei figli di Francia sono
stati irrispettosi con i profeti di Allah. Non sarete in sicurezza fino
a che combatterete Allah, il suo
messaggero e i credenti”. “Sono
un componente dello Stato islamico”, affermava il combattente
islamico antimperialista che aveva
fatto irruzione all’interno del supermercato kosher della Porte de
Vincennes a Parigi in una conversazione con l’emittente BfmTv,
“voi attaccate il Califfato, voi attaccate lo Stato Islamico, e noi attacchiamo voi”. Affermazioni che
chiariscono il significato politico
degli attacchi nella capitale francese, un attacco all’imperialismo
francese che tutela in armi i suoi
interessi in Afghanistan, Iraq, Libia, Yemen, Siria, Mali, Ciad e altrove. Una politica che si è sviluppata recentemente senza soluzione
di continuità dalla presidenza del
destro Sarkozy, protagonista tra
l’altro dei bombardamenti sulla
Libia, a quella della presidenza
del socialista Hollande che è intervenuto in Costa d’Avorio e Mali
e ha sviluppato la cooperazione
di intelligence in Nigeria con gli
Stati Uniti e voleva, ancora più di
Obama, bombardare la Siria per
distruggere anche il regime di Assad.
La valanga di notizie e commenti generata dagli organi di informazione che ha accompagnato e seguito gli attacchi di Parigi,
imbastita dalla destra come dalla “sinistra” borghese salvo rarissime voci contrarie, ha teso a dimostrare che i paesi imperialisti
occidentali sono i “buoni”, quelli dalla parte della ragione, colpiti
dalla “immotivata furia terrorista”
di matrice islamica. Mentre fascisti e razzisti di ogni paese europeo
hanno fatto a gara per accreditare
l’equazione Islam uguale terrorismo e dare sostanza a una campagna islamofoba che continua con i
ricattatori inviti a tutti gli islamici
perché si dissocino dal terrorismo.
Ma nessuno ha chiesto ai cristiani di dissociarsi dopo la strage di
Utoya in Svezia compiuta dal fanatico integralista cristiano Anders Breivik né agli ebrei dopo che
il sionista Baruch Goldstein uccise
a raffiche di mitra 29 musulmani
che andavano a pregare alla Grotta
dei Patriarchi a Gerusalemme, per
non citare Gaza.
Il coro reazionario islamofobo
ha l’obiettivo di generare paura
nelle masse popolari europee, giustificare nuove misure repressive
all’interno dell’Unione europea
e preparare il terreno per dare un
consenso di massa a possibili nuove aggressioni militari. Come ha
evidenziato il comunicato del 10
gennaio dell’Ufficio politico del
PMLI, “È in atto da anni una guerra tra gli islamici antimperialisti e
l’imperialismo che saccheggia e
domina, o cerca di dominare con
le armi, i loro Paesi. (…) Ormai,
dall’11 settembre di New York, la
guerra di resistenza all’imperialismo, sotto forma di azioni terroristiche, è portata fin dentro i Paesi
imperialisti, ed è impensabile fermarla se gli imperialisti non si ritirano dai Paesi che occupano o che
controllano”.
Quelli di Parigi sono atti di una
guerra che usa il terrorismo come
strumento. Iniziati la mattina del
7 gennaio quando il commando
di due franco-algerini ha colpito
il settimanale satirico islamofobico “Charlie Hebdo” uccidendo il
Direttore eundici redattori; i due
in fuga sono stati intercettati e uccisi il 9 gennaio dopo che si erano
rifugiati nella sede di una tipografia nella cittadina di Dammartinen-Goele, nella regione Seineet-Marne a Nord Est di Parigi. In
contemporanea la polizia aveva
fatto irruzione nel negozio ebraico della Porte de Vincennes a Parigi dove si era barricato il terzo
componente del commando uccidendolo. All’interno del negozio
gli agenti trovavano altre quattro
persone morte. La sua azione era
iniziata il giorno precedente, l’8
gennaio, con l’uccisione di una vigilessa nel quartiere Montrouge
nel sud di Parigi.
Contattati
per
telefono
dall’emittente BfmTv gli assalitori
del settimanale dichiaravano di far
parte di Aqap, ossia di Al Qaeda
e affermavano: “non siamo killer.
Siamo difensori del profeta. Noi
non ammazziamo donne, non ammazziamo nessuno. Noi difendiamo il profeta. Se qualcuno offende
il profeta allora non c’è problema, possiamo ucciderlo. Ma noi
non uccidiamo donne. Non come
voi. Siete voi che uccidete i bambini dei musulmani in Iraq, Siria e
Afghanistan. Siete voi. Non noi”.
Aqap accusa da tempo la Francia
di perseguire con il suo interventismo in politica estera una rinnovata volontà coloniale, di voler occupare terre islamiche imponendo
i propri valori e le accuse si erano
intensificate a partire dall’inizio
del 2013, contestualmente all’intervento militare dell’imperialismo francese in Mali.
Dal negozio circondato dalla
polizia il terzo assalitore dichiarava di appartenere allo Stato islamico e tra l’altro dichiarava “l’ho
fatto per tutte le oppressioni. L’ho
fatto per difendere tutti i Paesi
dove sono oppressi i musulmani.
Come la Palestina”. In un video
postumo pubblicato l’11 gennaio sulla rete spiegava: “tutto quello che facciamo è legittimo. Non
potete attaccarci e pretendere che
non rispondiamo. Voi e le vostre
coalizioni sganciate bombe sui civili e sui combattenti ogni giorno.
Siete voi che decidete quello che
succede sulla Terra? No. Non possiamo lasciarvelo fare. Vi combatteremo”.
Nell’annunciare i riusciti blitz
dei corpi speciali e l’uccisione degli assalitori il presidente francese Hollande lanciava il 9 gennaio la manifestazione di due giorni
dopo a Parigi con un “appello a
tutti i francesi per dimostrare con
la marcia di domenica i valori della democrazia e del pluralismo, e
tutti i principi che l’Europa rappresenta”.
La marcia alla quale partecipavano una cinquantina di capi
di Stato e di governo era aperta
da uno schieramento che conferma quali siano i “valori” cui aveva fatto riferimento Hollande. Accanto agli interventisti Cameron e
Renzi erano presenti tra gli altri il
nazisionista Benjamin Netanyahu
accompagnato dal suo ministro
dell’Economia Naftali Bennett
che, come ricordava Le Monde, si
era detto orgoglioso di aver ucciso
“molti arabi”; il presidente reazionario ucraino Petro Poroshenko, il
premier turco Ahmet Davutoglu
che ha appena incarcerato giornalisti dell’opposizione, il ministro degli Esteri egiziano Sameh
Choukryou in rappresentanza dei
militari golpisti egiziani.
Quando i governanti imperialisti invitano all’unità nazionale
per difendere la libertà e i “valori” dell’Europa e dell’Occidente invitano in realtà a difendere
il capitalismo, la dittatura della
borghesia, le loro istituzioni antipopolari e la loro politica imperialista e interventista. Se ce ne
fosse bisogno lo confermano varie dichiarazioni di Renzi fra le
quali quella relativa al possibile intervento in Libia: “L’inviato
delle Nazioni Unite sta tentando
quello che credo sia l’ultima carta, e cioè recuperare il Parlamento di Tripoli e quello di Tobruk
– affermava - ma se quella missione non porterà frutti, l’Italia è
pronta a un protagonismo innanzitutto diplomatico e poi anche
di peacekeeping” in territorio libico, come già anticipato dal mi-
nistro degli Esteri Paolo Gentiloni in un’intervista a Repubblica.
Per l’imperialista Renzi la Libia
è “una priorità” e per il suo ruolo
strategico “non può essere lasciata nelle condizioni in cui è”.
Lo aveva preceduto con un discorso interventista il ministro
Gentiloni che nell’intervista affermava che “nell’area del Medio
Oriente per la prima volta si è insediato un gruppo terroristico che
non ha precedenti in quanto a capacità militare, economica, organizzativa e direi soprattutto propagandistica, perché penso agli
effetti moltiplicatori che si riverberano in Europa. Quello che è
accaduto in Francia è la spia di
questa minaccia nuova; illudersi
che questa minaccia possa essere fronteggiata senza intervenire,
astenendosi, credendo di poterci chiudere nelle nostre frontiere
è un’idea pericolosa”. Calzando
l’elmetto il bellicista ministro affermava che “noi dobbiamo colpire, sradicare, estirpare la minaccia nel luogo in cui è più radicata,
quello del Daesh (il nome arabo
dello Stato islamico, ndr): in luglio/agosto la minaccia era incomparabilmente maggiore di
quanto non sia adesso sul terreno in Iraq. Ma le onde di ritorno,
i movimenti di vari combattenti colpiscono in Europa e proseguiranno a colpire, a prescindere
dal fatto che a Kobane o altrove ci
possano essere delle vittorie militari per la coalizione a cui partecipiamo. Quella minaccia va estirpata, fronteggiando anche le altre
che provengono da Al Qaeda, da
Boko Haram e dagli altri focolai
di terrorismo”. Per questo, concludeva Gentiloni, “il Governo
chiede unità al Parlamento non
solo per rafforzare e riorganizzare il dispositivo che contrasta
il terrorismo all’interno del Paese, ma per combatterlo fuori. (…)
Qui siamo di fronte a uno scontro
frontale, anche militare. Non conta la parola, contano i fatti. Chiaramente senza metterci a fare delle crociate idiote”.
Invece di iniziare dal cessare
gli interventi militari e rispettare la
sovranità degli altri paesi, Gentiloni lancia la crociata “intelligente” che è comunque imperialismo
allo stato puro e indica quanto sia
tanto più necessaria la lotta contro l’imperialismo, primo fra tutti
quello italiano guidato dal governo del Berlusconi democristiano Renzi, che è in prima linea sul
fronte contro gli islamici antimperialisti, e contro l’Unione europea
imperialista così come si è confermata nelle vicende di Parigi.
LAVORO
2 il bolscevico / documento dell’UP del PMLI
SCIOPERO
GENERALE DI
8
N. 23 - 12 giugno 2014
ORE
Giù le mani dall'articolo 18
e dallo Statuto dei lavoratori
Abolizione del precariato e
assunzione di tutti i precari
Rinnovo dei contratti di lavoro
del Pubblico impiego
Spazziamo via il gove
rno
del Berlusconi democris
tiano Renzi
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]
www.pmli.it
Stampato in proprio
IL PROLETARIATO
AL POTERE
ITALIA UNITA, ROSSA
E SOCIALISTA