Vera Vano Quando Federico Leoni mi propose di partecipare

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Vera Vano Quando Federico Leoni mi propose di partecipare
PSICAGOGIA E IL TRAGHETTARSI VERSO L'ALTROVE.
Vera Vano
Chi di tremila anni
non riesce a rendersi conto,
rimanga ignaro nelle tenebre
e viva di giorno in giorno.
(J.W. Goethe, in Il mondo di Sofia di Iostein Gaarder)
Quando Federico Leoni mi propose di partecipare al gruppo di lavoro sulla
Psicagogia accettai immediatamente, senza neanche chiedermi che cosa volesse
prospettare. Poi abbiamo iniziato e devo dire che, per diversi motivi, ho avuto
difficoltà a dare voce ai miei pensieri. Richiami di una voce materna che mi fa
pensare di essere sempre l'eterna bambina; i saluti affettuosi di alcuni compagni
del gruppo (“ciao bimba bella!”) non fanno altro che rivificarla in me. E forse
questo mio scrivere é un modo per lavorare su quegli antichi richiami e
autorizzarmi a elaborare queste catene per oltrepassare i miei stessi limiti: con il
gruppo ma anche con me stessa e con i miei pazienti.
Mi sembrava di vivere l'esperienza, già provata con Paola Ronchetti nel corso
della mia formazione in SGAI, di essere nuovamente davanti a un acquario. Era
come se mi sentissi al di fuori, come se vedessi gruppi di pesciolini affaccendati
nei loro aspetti più osservanti, quasi a dimostrare che le parole che usavano per
parlare di Diego erano le più esatte!
Devo dire che ho fatto fatica a entrare nelle dinamiche del gruppo proprio
perché la sensazione era che tutti mi sembravano appunto gli esclusivi depositari
di una sapienza ultima, quasi “divina”, come se fossero gli unici intermediari fra
la natura umana e Diego, per mezzo di formule magiche ch'essi solo
conoscevano, di testi che solo loro capivano. Pensieri del tipo “ma io mica
conosco così bene le teorie di Diego, non so a memoria le parole che usava”,
non mi aiutavano certamente a sentirmi dentro, a sentirmi parte. Solo nell'ultimo
incontro riuscii ad avvertire che queste mie sensazioni erano solo legate alla
paura di autorizzarmi a dire del mio pensiero.
Un altro aspetto che mi ha messo un po' in difficoltà nel gruppo è che la
tematica principale era quella dell'evocazione e del congedo dei morti, ma avevo
come la sensazione che si parlasse soprattutto della morte. Il concetto di morte
può assumere vari significati: dalla fine di tutto quale ultimo atto dell’esistenza
senza altra possibilità di proroga, a trasmutazione, attraverso la migrazione
dell’anima, verso la rinascita a una nuova vita, una vita spirituale che si protrae
verso l’eternità.
Certamente sappiamo poco della morte. Non so se fra le innumerevoli teorie
a riguardo, qualcuna abbia colto più nel segno delle altre; quello che so è che
Antropoanalisi. Rivista della Società Gruppo-antropoanalitica Italiana
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Vera Vano
intorno al concetto sono state costruite numerose e complesse ideologie e lo
sviluppo delle culture dell'uomo si è accompagnato alla ricerca costante di
risposte più o meno plausibili su ciò che ci sia dopo la morte.
Filosofi, scienziati, religiosi, ciascuno a modo suo ha ipotizzato una propria
visione dell’Aldilà, adducendo le motivazioni più diverse. Sono così stati creati
dogmi, ovvero precetti che si pretendono discesi direttamente dalle divinità ai
propri rappresentanti terreni, oppure teorie scientifiche, o pseudo tali, mai
categoricamente dimostrabili e sperimentabili, sino a costrutti logico-filosofici che
cercano di integrare la razionalità scientifica con le istanze spirituali.
Così si è giunti alla via “iniziatica” psicoanalitica che ha compreso e voluto
sommare al puro razionalismo la capacità squisitamente umana dell’intuizione
trascendente.
In questa concezione, i temi della morte e della rinascita vengono incontrati più
e più volte durante il percorso psicoterapeutico, assumendo via via significati
diversi.
Per crescere dobbiamo lasciare andare quel qualcosa che sentiamo che non è
più vitale, far morire quella nostra parte, dobbiamo salutare i nostri fantasmi e
aprire al nuovo, il che ha a che fare con il processo della evocazione e del
congedo. Certo è che moriamo ogni giorno, incominciamo a morire dal
momento in cui nasciamo; e certamente la dipartita di Diego ha lasciato tutti a
naufragare nella solitudine del nostro mare senza più una bussola di
orientamento e una stella polare da seguire.
Nell'ultimo periodo della sua vita Diego si definiva appunto uno psicagogo; lo
era davvero, perché solo nel suo traghettarsi verso un suo “altrove” di morte,
traghettava nello stesso tempo noi verso un nostro diverso futuro. In una mia
lettera a Diego scrissi che avevo scelto di intraprendere un nuovo percorso di
analisi con lui dopo un sogno, dove io “nascevo” a nuovi rapporti attraverso un
tunnel che mi faceva capitare a una festa; nel sogno, il rumore della festa però mi
dava fastidio. Diego, pronto e lucido come sempre nelle sue interpretazioni, me
ne diede un suo rimando dicendomi che non era sicuro che avrei “sopportato” il
rapporto con lui che andava configurandosi come il rapporto con l'estraneo, il
diverso, come il lasciarsi pungere da un tafano, indicando in questa puntura
qualcosa di fastidioso. Ma oggi so che il lasciarsi “pungere” dall'estraneo è la più
straordinaria esperienza che l'essere umano possa fare, perché proprio con
l'estraneo ci si prende ancora cura del rapporto, che è cosa diversa da un “intimo”
che invece è già dato come scontato. Nell'intimità si arriva a dover davvero
sopportare gli odori e le “puzze estranee” dell'altro, e l'altro dovrà arrivare a fare
altrettanto con noi. Spesso penso che i rapporti dovrebbero sempre conservare
questo senso di “estraneità” che ho imparato nel rapporto con Diego; eppure il
rapporto con lui è stato uno dei più intimi che ho avuto e che ho...Il farsi toccare
dall'altro è cosa non semplice da accettare, a volte è talmente pungente da non
poter essere sopportato. Ma è proprio un rapporto così che cambia la vita.
Sotto questo aspetto, l'incontro con Diego è stato fin da subito un incontro
con un estraneo, con uno straniero, con un non-appartenente alla mia tribù.
Da qui l'incanto, lo smarrimento, l'imparare pian piano nuovi linguaggi, nuovi
significati, nuovi modi di stare insieme, sempre con una totale accettazione e
tenerezza d'amore. Potrei dire un incontro con uno straniero accolto in ospitalità,
Psicagogia e il traghettarsi verso l'altrove.
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come nel bel racconto che ci fece Maria Giovanna Campus della donna che si
spinge a ospitare addirittura il suo nemico.
Per amore di Diego ho iniziato a studiare e apprezzare l'etimologia delle
parole, e mi è difficile in questa occasione non pensare al rapporto etimologico
che intercorre tra i termini latini hospes, che indica indifferentemente l’ospitato e
l’ospitante, e hostis, il nemico esterno. In questo desiderio di ricerca ho anche
scoperto che l'origine del termine è di area mediterranea, quindi concetto legato
anche alla parola araba che indica lo straniero: al ajnabi/ al aja’nib che fa
intendere l’ospite come “quello di fianco” anziché “quello dal di fuori”. Diego
quindi per me è stato colui che è arrivato “dal di fuori”, dall'esterno del mio
mondo, estraneo, certamente straniero ma che mi ha camminato a fianco nel
viaggio che è questa vita, la mia vita, la sua vita, la vita di tutti e che mi ha
traghettato verso l'altrove.
Lo psicagogo acquista, proprio sotto questo aspetto, il suo significato più alto
di “traghettatore di anime”. Credo di aver capito, attraverso questa esperienza,
che il concetto di psicagogo, di traghettatore sta proprio nella capacità di stare nel
mezzo o meglio di essere “tra” e di avere la capacità di passare al di là e al di qua;
forse è per questo che, in queste mie considerazioni, mi sento più attratta dal
termine “traghettatore d'anime” che dal “congedo”. È ovvia l'associazione a
Caronte, che tuttavia non era uno psicagogo ma un semplice traghettatore di
anime che dovevano pagare per essere trasportate sull'altra sponda del fiume
Acheronte. In questa azione retribuita iniziava e si concludeva il suo compito, la
sua funzione si esauriva, il suo dovere era concluso.
Invece, il traghettatore della Favola di Goethe, oppure come è emerso in un
incontro a Torino il traghettatore nel Siddharta di Hesse, hanno un'altra funzione,
direi effettivamente psicagogica. Ma in special modo Favola è più vicina al
concetto di psicagogia su cui sto riflettendo, anche alla luce di tutta l'ingarbugliata
rete di legami, associazioni e nodi che la mia stessa vita e la mia professione
rappresentano.
Favola di Goethe sembra rappresentare un viaggio iniziatico, un viaggio verso
la comprensione della morte e della sua insita circolarità. È però un’impresa
molto difficile da affrontare in solitudine, non tanto per il confronto ma per
procurarsi ulteriori strumenti:
L'ora felice ci trova insieme, ognuno adempia il suo compito, ognuno faccia il suo
dovere e una felicità generale dissolverà in sé i singoli dolori, così come una generale
infelicità distrugge le gioie del singolo.1
Potremmo quindi dire che una persona sola non è di aiuto, bensì lo è colui
che all’ora giusta si riunisce con molti. Ma per capire il concetto di tempo, di ora,
Goethe apre la sua storia con due viaggiatori che hanno bisogno di essere
traghettati dall'altra parte del fiume, dando in cambio dell'oro: “ora” e “oro”
fanno da motore all’azione e l’oro è il simbolo di ciò che è giusto e perfetto.
Siamo sulla riva di un fiume che rappresenta proprio il cambiamento: essere
sulla riva del fiume e apportare un cambiamento nella propria vita significa fare
un salto per passare dall’altra parte. Ma la paura può essere duplice: quella di
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Goethe W., Favola, Adelphi, Milano, 2001(pag. 49).
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non riuscire a fare il salto e di cadere nel fiume facendosi trascinare via dalla
corrente (vale a dire dai condizionamenti o gli influenzamenti della società, del
mondo, della famiglia), oppure, se si riesce a saltare dall'altra parte e divenire
esploratori, di non avere più bussola o mappa, nessuna stella polare che guidi.
Spesso allora le persone preferiscono stare sulla propria sponda, quella che
meglio conoscono benché arida e desertica, piuttosto che cambiare e muoversi
alla ricerca di un nuovo lido, che potrebbe essere splendido ma è sconosciuto.
Favola è piena di simboli e proprio per questo non è di facile lettura, ci sono
molti personaggi e i racconti di ognuno di essi si intreccia agli altri, creando, solo
alla fine, un ponte tra una sponda e l'altra; cessa quindi il bisogno di essere
traghettati perché uno spazio, un ponte, collega tutto. Favola inizia con due
viaggiatori che volevano essere traghettati sull’altra sponda; il vecchio,
traghettatore verso il mondo nuovo, sembra proprio Caronte che veniva ripagato
con due monete d’oro. Qui però il vecchio non vuole l’oro, il fiume, che ha
un’anima, non lo aiuterebbe più nel suo compito; egli non vuole oro ma i frutti
della terra, presentando così il secondo elemento naturale, la terra, dopo l’acqua,
e come questa è viva e possiede un'anima. È significativo poi che i frutti richiesti
siano sempre tre. Ragionare sul significato del numero tre ci può aiutare a
comprendere uno dei punti cardine del racconto e cioè trovare un punto di
unione, rappresentato dal ponte, tra diverse parti. Sappiamo che Goethe era
massone e il numero tre è un numero importante per la massoneria. Il tre è il
simbolo del ternario, la combinazione di tre elementi; il ternario è uno dei
simboli maggiori dell’esoterismo, è il simbolo della conciliazione per il suo valore
unificante. Infatti tanto il due separa quanto il tre riunisce. La sua espressione
geometrica è il triangolo, simbolo esemplare del ritorno del multiplo all’unità. È
il primo numero di armonia, di soluzione del conflitto dualistico, ed è per questo
considerato un numero perfetto. Il tre apre la strada della mediazione e permette
di uscire dall’antagonismo, superando la visione parziale e riduttiva del dualismo,
poiché due elementi non possono essere conciliati che con l’ausilio di un terzo
elemento. Pensiamo a una situazione in cui abbiamo un dubbio tra due elementi,
sarà solo un terzo elemento che ci permetterà di visualizzare la risoluzione del
problema.
Nella Favola i tre frutti della terra sono: cavoli, carciofi, cipolle, tutti elementi
con più strati, che fanno pensare al bisogno di levare veli o strati per arrivare alla
parte più autentica, più profonda, in una sorta di spirale. Simbolicamente infatti ci
viene presentato un ulteriore elemento, quello di elaborare i propri aspetti,
andando sempre più in profondità, togliendo appunto gli strati superflui per
arrivare alle proprie parti più autentiche e profonde. Dal punto di vista massonico
si dice “squadrare la pietra grezza”. Nel libro di Manlio Maradei La spada dei
trenta. Dinamiche di gruppo tra liberi muratori viene rappresentato molto bene
questo concetto: un ragazzo va a vivere in una sorta di comune dove il maestro gli
chiede di squadrare una pietra grezza; il giovane allora, con martello e scalpello
inizia a squadrarla, ma si rende conto subito che togliere strati non è cosa semplice,
non solo per la fatica, ma per il pericolo: infatti le schegge della pietra potrebbero
ferirlo, il che significa, trasportando l’episodio nel nostro ambito clinico, che anche
dal punto di vista psicoterapeutico dobbiamo stare molto attenti a “levare veli” o
strati, perché bisogna aspettare il momento giusto, l'ora giusta.
Psicagogia e il traghettarsi verso l'altrove.
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Ma torniamo al numero tre. Nella storia il numero tre ritorna sempre: unità,
binario, ternario. Cerchiamo di semplificare i concetti. Ogni essere pensante ha
la sensazione di essere “uno” e questo, a esempio, lo vediamo nel bambino
molto piccolo, quando, nella sua fase egocentrica e autocentrata, sembra esistere
solo lui e i suoi bisogni. È in questa fase che il bambino inizia a conoscere il
mondo, a pensare, agire, sentire. Le nostre idee e le nostre sensazioni creano in
noi la nozione del Vero. I nostri atti riferiti a una nostra legge interna, si regolano
su quella unità morale che corrisponde al Giusto. Infine le nostre sensazioni
generano il Bello. La differenziazione però è indispensabile alla conoscenza
attraverso il numero due. La vita stessa risulta un perpetuo conflitto: due è il
numero del discernimento, del procedere per analisi e distinzioni. Ma se ci
fermassimo qui cadremmo nel dubbio eterno; abbiamo bisogno di un terzo, e il
ternario non è che un aspetto più intellegibile dell’unità: tesi-antitesi-sintesi.
Ma torniamo alla nostra Favola. All’inizio sono le monete gettate nel
crepaccio a risvegliare dal sonno il serpente, probabilmente il vero protagonista
della Favola; dopo aver mangiato l’oro, il serpente riesce a scorgere le statue dei
re. Il serpente è un simbolo potente e complesso, ricco di sfaccettature e
significati ambivalenti: da sempre presente nei miti e nelle leggende come
rappresentazione di vita, di morte e rinascita viene raffigurato a volte mentre si
morde la coda, a formare un cerchio perfetto: è l’Uroboros. E così il serpente
mette in evidenza la circolarità dell’esistenza senza inizio e senza fine e suggerisce
la conservazione dell’energia vitale che trae nutrimento dalla propria sostanza. Il
serpente cambia pelle, questa é un’immagine di un potente motore di
rinnovamento e rigenerazione, di salute e potenza fisica, e questa è la ragione per
cui è stato adottato anche come simbolo di cura e guarigione (il bastone di
Esculapio); il suo colore verde è il più diffuso sulla Terra, legato al dare
incondizionato e quindi al ricevere. Esprime il sentimento e l'amore, la ricerca
dell'equilibrio; rappresenta la fermezza, la costanza, la resistenza ai mutamenti.
L’Uroboros è Uno-Tutto. Il serpente fa da ponte fra le due rive, unisce ciò che è
separato; segna anche un passaggio alla spiritualizzazione quando, come
Uroboros, forma un cerchio intorno al principe morto: qui la fine e l’inizio
sembrano ricongiungersi nel cerchio. È l’opposizione binaria tenebre-luce a
caratterizzare la Favola (“ero nelle tenebre e desideravo la luce”): è quindi un
viaggio iniziatico per recuperare la saggezza, per riscoprire la legge individuale
che combacia con quella universale delle cose. Da una fase di partenza di
confusione e inversione delle leggi naturali, nella quale impera il dualismo che
culmina nella morte del principe, si giunge, attraverso un percorso iniziatico che
segue la rinascita, alla conoscenza della legge universale, che coincide con il
definitivo risveglio e il ritorno in superficie dei re, la consacrazione del principe e
le nozze con Lilie. Ma il principe a questo punto non è ancora pronto, deve
ancora affrontare l’iniziazione. Qui sembra crollare il tempio, crolla l’impalcatura
fittizia delle teorie personali: il principe ha scalato con difficoltà un’altezza da cui
sarebbe caduto in un abisso, se un braccio protettore (dell’uomo con la lampada)
non l’avesse trattenuto. Ciò indica come isolati, dediti alle proprie risorse
individuali e unicamente preoccupati di riuscire nella vita, spesso ci affanniamo
per non raccogliere che rovine e illusioni. L’uomo che si esercita a pensare
dapprima cammina ciecamente.
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Ogni personaggio della Favola aspira a una condizione di libertà e di
contemplazione che possa riscattarlo dalla propria personalissima sofferenza:
Lilie, incarnazione della Bellezza soprasensibile, abitatrice dell’altra sponda del
fiume, condannata a uccidere chiunque la sfiori, persino coloro che ama; il
giovane triste, morto per averla toccata; la moglie dell’uomo con la lampada,
vittima di un incantesimo che le sta gradualmente facendo scomparire una mano;
il gigante, capace di agire solo attraverso la propria ombra, che funge da
collegamento con la riva abitata da Lilie; i due fuochi fatui, capaci di ingoiare
l’oro e restituirlo sotto forma di monete, desiderosi di contemplare la bella
prigioniera; il barcaiolo, vincolato al volere impetuoso del fiume e il fiume stesso,
che non può tollerare l’oro; i tre re d’oro, d’argento e di bronzo, costretti ad
abitare un regno sotterraneo finché l’ “ora” non sarà venuta. I re sono tre, una
triade che sembra di spirito, anima e corpo; inoltre hanno tre attributi: saggezza,
forza, bellezza. Il re dell’oro rappresenta la Saggezza, quello d’argento la Bellezza
e quello di bronzo, la Forza. La Saggezza crea, la Forza sostiene e la Bellezza
adorna: Saggezza, Forza e Bellezza quindi come ben pensare, ben dire, ben fare
o come libertà, uguaglianza e fratellanza nel pensiero di Goethe. Esiste nella
Favola un quarto re che è una mescolanza dei tre metalli: è di una materia prima
che non ha ancora subito un processo di raffinamento, di trasformazione in oro,
e rappresenta il quaternario: terra, aria, acqua, fuoco. Lilie invece è in grado di
far morire e insieme rinascere: la sua capacità mortifera è causata dalla
separazione delle due rive, a est il giardino di Lilie, a ovest gli altri. Le due donne,
Lilie e la Vecchia, sembrano avere tristi destini. È l’uomo con la lampada, il
marito, una volta avveratasi la profezia e riunire le due rive (il basso e l’alto) a
condonare i debito della vecchia. Un battesimo dell’acqua spetta alla vecchia che
si rigenera e ringiovanisce: questo battesimo indica l’importanza di saper resistere
all’impeto delle correnti, cioè il saper pensare da soli senza essere schiavi delle
opinioni altrui. L’uomo raggiunge l’alto attraverso il basso e attraverso il principio
femminile. Il principe dovrà toccare il fondo, il basso della morte per poter
risalire.
Il terzo viaggio è rappresentato dal velo rosso di Lilie, è la prova del fuoco
che ci indica il bisogno di non lasciare mai spegnere nel nostro cuore il fuoco
dell’amore profondo per i propri simili. Dopo aver superato queste prove ora
sono davvero tutti liberi e degni del nome di iniziati.
Sulla ricerca più o meno ansiosa di questi personaggi e sulle loro azioni
finalizzate alla propria salvezza, sembra vegliare l’attesa sapiente del Vecchio,
proprietario di una piccola lampada luminosa con la “miracolosa proprietà di
trasformare in oro tutte le pietre, in argento tutto il legno, in pietre preziose gli
animali morti e di distruggere ogni metallo”, ma che tuttavia doveva trovarsi “tutta
sola”, senza altre luci, per esercitare il suo potere. Il Vecchio della lampada,
come Lilie, sa che presto sarebbe nato un nuovo millennio di gioia, armonia,
bellezza, appena qualcuno avrebbe rivelato il “quarto segreto”. A farlo sarà il
serpente, che scoprirà di poter divenire sempre più trasparente e luminoso
inghiottendo le monete d’oro disseminate dai fuochi fatui, e di poterle
trasformare in gemme. L’animale splendente sussurrerà al Vecchio di essere
pronto a trasformarsi in un magnifico ponte intarsiato di pietre preziose per
congiungere finalmente le due sponde del fiume e rendere la Bellezza a tutti
Psicagogia e il traghettarsi verso l'altrove.
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accessibile. Sarà proprio merito del suo sacrificio se il giovane triste potrà
risorgere e divenire sovrano al fianco di Lilie, dopo essere stato incoronato dai
tre re sotterranei di potere, bellezza e sapienza. Grazie alla reciproca
collaborazione e all’azione decisiva del serpente, ciascun personaggio ritroverà la
liberazione dal dolore nella nuova età, la cui nascita è sancita dall’innalzarsi di un
magnifico tempio dal sottosuolo. “L’ora felice ci trova insieme”, esclama il
vecchio della lampada, “e ognuno adempia il suo compito, ognuno faccia il suo
dovere e una felicità generale dissolverà i singoli dolori, come una generale
infelicità distrugge le gioie della singolarità”. Nella Favola arriva un momento in
cui l’ora è giunta per portare alla luce il Tempio, la pietra segreta. Il Tempio esce
dalle tenebre e si illumina di un repentino chiarore.
La Favola finisce con un inizio, si chiude il cerchio, nasce una città con al
centro il Tempio e il ponte che ci collega al mondo. Nulla comincia e nulla
finisce in senso assoluto. Tutto ciò che si realizza in atto in precedenza, è esistito
in potenza.
Lo psicagogo quindi, sotto questa luce, non è solo colui capace di stare “tra”,
nel mezzo e di passare al di qua e al di là, ma soprattutto rappresenta la capacità
di essere terzo.
Avendo perciò compreso cosa sia uno psicagogo, è giunto il momento di
chiederci chi o quale potrebbe essere il nostro accompagnatore nel simbolico
viaggio alla riscoperta di noi stessi…ed è qui che dobbiamo ben scegliere: sarà
proprio lo psicagogo a dover assolvere il compito di indicarci la rotta da
mantenere o noi stessi? In questo senso è difficile poter fornire una risposta
univoca che possa soddisfare universalmente ciascun uomo, ognuno dovrà
scoprirlo pian piano nel corso della propria progressione. Ciò che vi posso
riportare è la mia personale esperienza, fatta di molteplici figure, di traghettatori,
di volta in volta ritenuti più adatti al mio percorso fin qui fatto. Ma sempre ci
saranno traghettatori nella vita di tutti noi e auguriamoci di incontrarli per poter
sempre superare i propri limiti e gettare ponti, per oltrepassare le sponde degli
innumerevoli fiumi che attraverseremo. Proprio come un marinaio, se si vuole
compiere un percorso di evoluzione, si devono operare minuscoli e progressivi
aggiustamenti in modo che la propria linea di condotta non parta per la tangente,
allontanandoci così dal percorso. Sembriamo il marinaio che corregge la sua
rotta ora da una parte, ora dall'altra, con un moto continuo: il marinaio sa bene
che non è possibile mantenere la rotta perfettamente diritta perché inevitabili
forze, come la corrente o il vento, lo insidiano. A causa di questo, si è sempre un
po' fuori rotta, si ha quindi sempre la necessità di correzioni. Saper correggere la
propria rotta è l'inizio di un buon percorso.
BIBLIOGRAFIA
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hospes e hostis), Klincksieck, Paris, 1967.
Chantraine P., Dictionnaire étymologique de la langue grècque, Klincksieck, Paris, 1977 (pag.
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De Martino E., Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Bollati Boringhieri,
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Vera Vano
Goethe W., Favola, Adelphi, Milano, 2001.
Napolitani D., La psicoanalisi ha compiuto il tempo della sua vita , in Rivista Italiana di
Gruppoanalisi n. 1, Franco Angeli, Milano, 2000.
Web www.Mainikka.altervista.org/etimologia-dello-straniero
www.mitiemisteri.it/esoterismo/numeri/tre.html
Vera Vano
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