Zinaida Gippius - Poesie in Versi

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Zinaida Gippius - Poesie in Versi
Zinaida Nikolaevna Gippius: fra realtà e trasfigurazione
fantastica nella Russia del primo Novecento.
La letteratura è sicuramente una delle espressione più vive e complete della cultura russa e non a caso i
grandi poeti e scrittori russi erano spesso non solo letterati, ma anche filosofi e teologi.
Un tipico esempio di questa fusione fra letteratura e pensiero filosofico-religioso in Russia è rappresentato
da Zinaida Nikolaevna Gippius (1969-1945), poetessa e scrittrice del periodo decadente-simbolista, figura centrale
nell’ambiente letterario della Pietroburgo dell’epoca per le riunioni filosofico-religiose ed i salotti letterari da lei
organizzati nella propria abitazione.
Sebbene fosse maggiormente nota come moglie del filosofo Dmitrij Sergeeviè Merežkovskij, sposato nel
1889, Zinaida Nikolaevna era sicuramente una persona fuori dal comune, dotata di una personalità che attirava
immancabilmente l’attenzione di coloro che la conoscevano, producendo in loro un’impressione indimenticabile.
A tale proposito G. Adamoviè scrive: “Ogni volta che devo parlare o scrivere di Zinaida Nikolaevna
Gippius, discutere con loro che hanno nei suoi confronti un atteggiamento negativo, e non sono in pochi, ogni volta
mi viene in mente un’annotazione laconica nei diari di Blok, non seguita da alcun chiarimento:
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la unicità di Zinaida Nikolaevna”i .
L’immagine di Zinaida Nikolaevna che ricorre di solito nei ricordi dei contemporanei è estremamente
negativa: viene descritta come una persona cattiva, egoista, fredda ed insensibile, dura nei suoi giudizi sugli altri e
dispotica nei confronti di chi sosteneva opinioni diverse dalle sue. Dava l’impressione di una persona estremamente
sicura di sé, anche se dal suo pensiero filosofico traspaiono insicurezza e profonde lacerazioni interiori.
L’unicità della Gippius appariva immediatamente attraverso il suo aspetto. Secondo Nadežda Teffi la
Gippius era stata da giovane una donna molto bella, alta e magra; aveva i capelli rossi, che portava arricciati in
modo strano, gli occhi verdi ed era sempre truccata accuratamente. Anche il modo di vestire, fin dal periodo
giovanile, era decisamente fuori dal comune: “… portava un vestito da uomo, un abito da sera con ali bianche, si
cingeva la testa con un nastro dal quale le pendeva sulla fronte una spilla. Con il passare degli anni questa originalità
trapassò nell’assurdo. Al collo si metteva un nastrino rosa, ad un orecchio metteva un laccio dal quale dondolava
proprio sulla guancia un monocolo”ii . Tutto questo non faceva che rafforzare nei contemporanei l’opinione che
Zinaida Nikolaevna fosse una persona “strana”, che si compiacesse dell’effetto negativo che produceva sugli altri:
vedevano in lei, proprio a causa dell’aspetto originale e del comportamento a volte stravagante, qualcosa di
diabolico, di “decadente”, tanto che nell’ambiente letterario dell’epoca veniva addirittura chiamata “diavolessa
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bianca”. E’ possibile effettivamente riscontrare un elemento di compiacimento, o per lo meno un gioco consapevole,
nell’effetto che Zinaida Nikolaevna produceva nei suoi contemporanei con il suo comportamento. Nei Contes
d’amour, diario tenuto dalla Gippius dal 19 febbraio 1883 al 16 febbraio 1904, leggiamo: “Mi piaceva il mio ruolo,
quello di résignee. Non so dove finisse la sincerità e cominciasse la bugia. Ero preoccupata”iii .
Dai ricordi delle persone che la conobbero da vicino, soprattutto da quelli di Vladimir Zlobin, che fu
segretario dei Merežkovskij nel periodo dell’esilio parigino, appare una Zinaida Nikolaevna completamente diversa.
Accanto alle “trovate” originali ed all’aspetto eccentrico della Gippius, accanto alla lunga tunica nera, dotata di ampi
spacchi che lasciavano intravedere una sottoveste rosa quando camminava, accanto alla papirosa (la sigaretta) con il
lungo bocchino ed al make-up marcato che usava, esisteva una Zinaida Nikolaevna completamente diversa, sensibile
ed intelligente, capace di ascoltare e di consigliare, spoglia di ogni posa e di ogni velleità letteraria decadente, a
volte addirittura estremamente insicura.
Alla base di questo carattere scontroso ed instabile dobbiamo vedere secondo Zlobin un profondo conflitto
interiore e per capire fino in fondo questa personalità, unica in ogni suo aspetto, dobbiamo ricercare le motivazioni
di questo dissidio nel pensiero metafisico della poetessa. Il problema della morte e del percorso che l’uomo deve
compiere nel corso della sua esistenza terrena per poter trovare la salvezza spirituale sono al centro dell’interesse di
Zinaida Nikolaevna e del marito Dmitrij Sergeeviè Merežkovskij. L’amore, unica forma di vera comunicazione
umana, è il solo mezzo attraverso il quale l’uomo può giungere a Dio e di conseguenza riuscire a salvarsi. La
Gippius era però convinta che l’essere umano fosse incapace di tale sentimento, di conseguenza anche lei ne era
incapace. Il suo dramma interiore derivava, per Zlobin, dal conflitto fra la necessità di amore e calore umano,
indispensabili per la salvezza spirituale dell’umanità, e la freddezza interiore che la Gippius si sentiva dentro. La
freddezza interiore era per lei peggiore della morte stessa: la morte era infatti “non essere”, mentre la freddezza era
il freddo dell’anima e dell’essere e significava per l’individuo un’esistenza simile a quella dell’inferno dantesco.
Questo non era però esclusivamente un suo dramma. Zinaida Nikolaevna viveva personalmente quello che secondo
lei era il vero dramma dell’umanità intera, lo viveva in prima persona in quanto essere umano lei stessa. L’uomo
vive infatti nella condizione descritta dallo starec Zosima, sa cioè che l’unica fonte di salvezza per la sua anima è
l’amore, lo capisce, lo vede, ma non può averlo. Da tutto questo deriva l’eterna sofferenza dell’uomo. “Ci si può
solo sorprendere che non sia impazzita”iv .
Secondo Georgij Adamoviè, invece, la sofferenza interiore della Gippius sarebbe derivata dalla sua
incapacità a cogliere la musica, i suoni dell’armonia universale, incapacità che la faceva soffrire perché sapeva che
gli altri, al contrario, erano in grado di percepirli. Zinaida Nikolaevna era secondo G. Adamoviè una personalità
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“completamente terrena, agitata però da un qualche tormento fisso, anche se astratto – e in questo stava il suo
dramma – sull’aldilà”v .
La concezione metafisica del mondo della Gippius, la sua aspirazione alla sintesi del “pane della carne” e
del “pane dello spirito”, la ricerca della verità e della libertà in Cristo, visto come incarnazione delle Spirito stesso,
la avvicinano al pensiero del Dostoevskij maggiore, ovvero alle opere del periodo successivo al il ritorno dalla
Siberia. Dostoevskij viene del resto considerato il precursore della nuova sensibilità del primo Novecento,
l’anticipatore della rinascita spirituale che ebbe come sua manifestazione più evidente il movimento decadentesimbolista. In Dostoevskij infatti troviamo già personaggi che vivono in prima persona l’esperienza dell’isolamento,
dell’alienazione e che si trovano in un perenne stato di angoscia, originata dai loro tentativi, continui ma privi di
risultati, di giungere alla verità, e combattuti da due principi opposti che coesistono nel loro animo. La sofferenza
umana non deriva altro che dalla natura dualistica dell’uomo, microcosmo che riproduce la struttura dell’universo in
ogni suo aspetto. Come quelli dostoevskiani, i personaggi delle opere della Gippius vivono in pieno questa
inquietudine esistenziale, sono frustrati dalla noia, dalla mancanza di passioni e dalla loro incapacità di amare. A
differenza degli scrittori decadenti, l’insegnamento di Dostoevskij non suscitò nella Gippius il semplice interesse per
gli aspetti macabri dell’esistenza umana o per la natura demoniaca che è nell’uomo. La Gippius mantenne infatti una
forte nota idealistica (“ho bisogno di ciò che non è di questa terra” scriveva in una poesia riportata nei Contes
d’amour nel 1893vi ), una profonda fede in Dio e nella sua misericordia, fattori questi che mitigarono il suo iniziale
decadentismo e fecero sì che il suo pensiero, e ovviamente le sue opere, fossero percorse da una costante vena di
ottimismo, o per lo meno da un sentimento profondo che faceva della lotta per il miglioramento spirituale, proprio e
dell’umanità intera, un dovere verso Dio e verso gli uomini. Si può quindi affermare che la Gippius abbia accolto la
lezione di Dostoevskij e l’abbia capita nel suo significato più profondo, ovvero che la vita è sofferenza e dolore e
l’unico modo per uscire da questa situazione di sofferenza è l’amore per gli altri nel nome di Cristo, che permette di
superare e portare ad una sintesi armonica i due principi costitutivi dell’universo (per Dostoevskij il bene ed il male,
per la Gippius i principi opposti della Carne e dello Spirito), perennemente in lotta fra loro.
Ai grandi classici della letteratura russa si devono probabilmente anche quel gusto, quella raffinatezza e
quella semplicità della forma, quel sapiente uso delle sperimentazioni linguistiche (attraverso le allitterazioni, il
gioco dei colori e di un’ampia gamma di sfumature musicali) che portarono Zinaida Nikolaevna a rifiutare la perdita
di significato e l’assurdità a cui giungevano spesso le sperimentazioni dei poeti decadenti e dell’avanguardia del
primo ‘900. La Gippius se ne distanziava non soltanto dal punto di vista formale, ma anche da quello del contenuto
della propria arte. Se una delle principali fonti d’ispirazione dell’arte decadente era l’eros, se gran parte di questi
poeti vedeva nell’amoralismo la propria filosofia di vita, introducendo di conseguenza nelle loro opere immagini
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raccapriccianti che disgustavano il lettore, Zinaida Nikolaevna era sostenitrice di un’arte eticamente impegnata
ottimista, fiduciosa nella possibilità di miglioramento spirituale dell’uomo, proponitrice di valori positivi.
Sebbene la Gippius più matura si distingua nettamente dal gusto e dalla sensibilità decadente, le sue prime
opere, quelle degli anni ’90, possono essere inquadrate nella cornice dell’individualismo e dell’estetismo decadente.
“Gli stati d’animo in lei predominanti e cioè la malinconia, un desiderio di solitudine ed un acuto sentimento di
alienazione dagli altri uomini divennero particolarmente evidenti verso la fine del secolo”vii . In seguito invece, negli
anni 1899-1905, compare nella Gippius un nuovo interesse per la religione e per i primi vent’anni del XX secolo fu
impegnata nel progetto di sviluppare una nuova coscienza religiosa nei suoi contemporanei per far sì che l’uomo
trovasse finalmente la libertà, ovviamente in Dio.
Il ruolo, la missione che la Gippius sentiva di dover portare avanti come poeta, tratto sicuramente tipico
dell’artista decadente, ricorda l’impegno sentito come dovere del poeta romantico a portare e diffondere fra gli
uomini comuni quello che egli era riuscito a cogliere per mezzo della propria intuizione artistica del mondo
trascendente. La funzione didattica del poeta fu sentita dalla Gippius con forte convinzione, come dimostrano le
attività di rinnovamento culturale e religioso di cui la poetessa si fece promotrice sia in Russia che nel periodo
dell’esilio dopo il 1919. Secondo quanto si ricava dalle pagine di Contes d’amour e O byvšem , le cui annotazioni
vanno dall’autunno del 1899 al 1 maggio del 1914, gli anni a cavallo fra i due secoli videro un’intensa attività della
poetessa e, dietro di lei, del marito e di Dmitrij Filosofov per il conseguimento della fusione fra la Carne e lo Spirito,
unico modo per raggiungere uno stato armonico di esistenza. La storia di questa attività religiosa, definita dalla
Gippius stessa “la Causa”, cominciò nel 1899, nel momento in cui i Merežkovskij giunsero alla conclusione che per
arrivare alla religione della Carne e dello Spirito era indispensabile riformare la Chiesa Ortodossa russa e creare una
nuova Chiesa di tipo ecumenico, una Chiesa cioè che non fosse solo un’istituzione, ma una vera Chiesa di tutti gli
uomini: “L’ultimo nostro sogno non è la creazione di un Tempio, ma la creazione di una Chiesa. […] E la nostra
idea assunse precisamente tale forma: creare un’associazione di persone aperta, ufficiale (che comprendesse le
condizioni di vita) di religione e filosofia per discutere liberamente sui problemi della Chiesa e della cultura”viii .
Nel periodo precedente alla rivoluzione del 1905 i Merežkovskij vissero in pieno l’atmosfera decadentesimbolista russa, partecipando assiduamente ai numerosi incontri organizzati dall’intelligencija per discutere del
ruolo della Chiesa ortodossa nella società e della posizione che essa doveva assumere rispetto al potere politico.
L’accusa che l’intelligencija di fine ‘800 muoveva alla Chiesa russa era incentrata sulla necessità di un’istituzione
religiosa più attiva nella società, una chiesa che si riformasse e si evolvesse cercando di superare quella scissione fra
spiritualità e vita terrena che si tramandava nella tradizione religiosa russa da secoli e che era alla base del
comportamento della chiesa ufficiale. Il problema della conciliazione fra “carne” e “spirito”, fra terra e cielo, fu
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infatti al centro delle discussioni nei circoli dell’intelligencija e costituì il punto intorno al quale si muovevano le
speculazioni religioso-filosofiche di quasi tutti gli intellettuali russi di questo periodo. Lo stimolo principale fu senza
dubbio la filosofia nietzschiana, che attecchì bene nel clima di forte inquietudine delle coscienze degli anni ’90 “e,
stranamente, proprio Nietzsche suggerì a molti l’idea di una sintesi religiosa, di una cultura religiosa”ix. Da
Nietzsche Merežkovskij ricavò “la sua fondamentale antitesi: ellenismo e cristianesimo, il principio ‘olimpico’ e
quello ‘di Galilea’, la ‘santità della carne’ e la ‘santità dello spirito’” x.
I concetti fondamentali del pensiero metafisico della Gippius comp aiono nelle sue speculazioni a partire dal
primo periodo, quello decadente degli anni ’90. L’universo aveva per lei una struttura duale che poteva essere
ritrovata in ogni aspetto della vita. Le coppie di opposizione duale che la Gippius concepiva sono numerosissime, a
partire da quella fra paradiso e terra, fra amore spirituale e sesso, fra luce e tenebre, fra le componenti maschile e
femminile che coesistono nella personalità umana, fino ad arrivare a Dio stesso, visto come essere duale in quanto
allo stesso tempo padre e madre dell’umanità. Il dualismo è indubbiamente una concezione gnostica, ripresa ed
ampliata dalla filosofia manichea che considera il male elemento costitutivo, insieme al bene, della realtà. Il mondo,
di conseguenza, è dominato dalle due forze opposte del bene e del male, che coesistono anche nella natura umana,
microcosmo che riflette la struttura dualistica dell’universo. Il male non si oppone al principio divino, non nasce da
un abuso di volontà da parte dell’uomo ma è anch’esso creato da Dio esattamente come il bene ed è parte costitutiva
del mondo. Sebbene l’uomo non sia responsabile dell’esistenza del male, deve tuttavia cercare di combatterlo per
purificare la propria anima e raggiungere uno stato di armonia con Dio, i suoi simili ed il creato. Per realizzare
questo obiettivo, meta finale del cammino dell’uomo in questo mondo, l’uomo deve per la Gippius, come del resto
per Dostoevskij, passare attraverso la sofferenza. Anch’essa è parte della natura umana e l’uomo non deve perciò
cercare di eliminarla, ma deve capire che il significato della sofferenza è provare l’esistenza della giustizia divina.
L’emancipazione spirituale dell’uomo ed il raggiungimento dell’armonia con Dio possono verificarsi
soltanto quando l’uomo è libero. Il 15 dicembre 1893 Zinaida Nikolaevna scrive nei Contes d’amour: “Dio mi darà
[…] la forza di essere come Lui: un unico essere. Libertà, tu sei il più bello dei miei pensieri. Ucciderò il dolore
degli insulti, consumerò, brucerò la mia anima. Allora potrò emergere dalla cenere, invulnerabile e forte”xi . Al 17
novembre 1893 troviamo: “I pensieri sulla libertà non mi abbandonano. Conosco addirittura il modo per arrivarvi.
Senza una verità, una verità diretta come una linea matematica, non si può avvicinarsi alla libertà. Libertà dalla
gente, da tutto ciò che è umano, dai miei desideri, dal destino… E’ necessario amare se stessi come si ama Dio. E’
lo stesso amare se stessi o amare Dio”xii. La libertà quindi può essere raggiunta nella sua forma più perfetta soltanto
all’interno della fede cristiana, ovvero quando l’essere umano riesce ad usufruire del proprio libero arbitrio
rimanendo allo stesso tempo obbediente a Dio. Quando la Gippius afferma che essere liberi significa amare se stessi
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come si ama Dio non dà prova, come pensarono i suoi contemporanei, di egocentrismo, di eccessiva stima di sé e di
arroganza, non vuole affatto mettersi sullo stesso piano con Dio, ma vuole soltanto ricordare agli uomini la loro
origine, il fatto di essere stati da Lui creati a propria immagine e somiglianza. Temira Pachmuss afferma infatti che
“i gridi di scalpore degli indignati contemporanei della Gippius, che l’accusavano di paragonare con arroganza se
stessa a Dio, non sono giustificati. La Gippius fu sempre modesta per quanto riguarda i suoi successi personali, la
sua fama ed il suo posto nella letteratura russa”xiii.
Il concetto di libertà era per Zinaida Nikolaevna strettamente legato, se non addirittura fuso, con quello di
uguaglianza. L’uomo poteva infatti vivere libero soltanto in un ambiente che si reggesse su rapporti di tipo
ugualitario, a partire dalle relazioni personali, per passare alla società e giungere infine alla religione stessa. Sul
piano personale l’uguaglianza aveva la sua espressione specifica nel bacio, durante il quale si verificava per la
Gippius la fusione delle due persone in un corpo unico, simbolo di amore ed amicizia. I suoi diari, in particolare i
Contes d’amour, sono pieni di annotazioni dove la poetessa esprime tutto il valore che attribuiva al bacio: “No, nel
bacio, sebbene senza amore dell’anima, c’è la scintilla divina. Parità, uguaglianza, unità dei due. E, anche se in
questo momento esiste una persona, formata da due, le due persone continuano tuttavia ad esistere”xiv. Il bacio si
presenta così come momento di sintesi fra due elementi separati, dimostrando come la concezione dualistica della
struttura del creato avesse per la Gippius continue manifestazioni concrete. Per quanto riguarda la natura duale
dell’essere umano, si può dire che il valore del bacio è di significativa importanza, perché la santificazione del bacio
può essere vista come il primo passo verso la glorificazione dell’amore in tutte le sue forme, compresa la sua
espressione fisica, il sesso, che veniva così elevato e messo su di un unico piano accanto all’amore inteso come
sentimento puro.
Infatti, se inizialmente la Gippius rifiutava completamente il sesso, verso l’inizio del secolo il suo
atteggiamento cambiò notevolmente. “Ho cominciato ad aver paura. Come sto parlando? Qui, nei Contes d’amour,
in questa “fossa”… E la questione è che tutto è cambiato e il posto dove scrivo del mio corpo, della lussuria, del
sesso, del fuoco dell’amore esaltato non è più per me, per la mia coscienza, maledetto, non è più una fossa”xv . L’atto
sessuale doveva culminare non nell’altro, ma in Cristo ed in questa dimensione permetteva all’uomo di avere
un’esperienza diretta del divino, aveva la stessa funzione della preghiera. Il sesso rappresentava la discesa del Logos
sulla terra, il concretizzarsi del mistero della Trinità nella vita dell’uomo, l’affermazione dell’esistenza stessa.
L’unico vero modo per amare Dio era allora amarlo attraverso un’altra persona, ossia attraverso l’amore fisico nel
nome di Cristo.
Quando due essere umani di sesso opposto riescono a provare l’esperienza conoscitiva dell’atto sessuale in
Cristo si uniscono in un matrimonio di tipo personale, nettamente distinto e contrapposto a quello legale. L’armonia
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dello spirito che si deve creare all’interno di un rapporto di amore, anche fisico, è qualcosa che va al di là degli
schemi legislativi creati dall’uomo, anzi, poiché il matrimonio legale può essere anche costruito esclusivamente
sull’attrazione fisica, esso è addirittura di ostacolo alla vera armonia ed è una delle cause dell’alienazione da Cristo e
da Dio. “Nel matrimonio tuttavia il più forte di spirito conduce dietro di sé il più debole, e là dove c’è la deviazione
del matrimonio lo spirito del più forte vede gelarsi il sangue nelle vene e su di lui domina colui che è debole e
volgare. E’ terribile guardare questo gelo e questa mancanza di volontà dello spirito, ma non si piò non vedere”xvi. Il
matrimonio legale di per sé non garantisce neppure una vera comunicazione fra i coniugi, indispensabile per vivere
in armonia. “Soltanto con il corteggiamento reciproco è possibile la vita in comune. […] Il matrimonio, cioè
qualcosa che si basa sul sesso, non è una vita (vera) in comune […] poiché all’inizio il marito corteggia la moglie.
Poi smette e la moglie inizia a corteggiare il marito. (Prendo come esempio un matrimonio felice)” xvii.
Neppure la procreazione può essere considerata una risposta esauriente al problema del sesso nella
Cristianità. L’amore, quindi anche il sesso, è indipendente dalla procreazione, che ha anzi un effetto negativo
sull’essere umano, perché lo priva della propria individualità e limita il valore assoluto dell’atto sessuale. In
contrapposizione all’insegnamento tradizionale del Cristianesimo, la famiglia non rappresenta per la Gippius la
massima realizzazione dell’individuo, non deve costituire il suo scopo di vita. Dato che le forme di comunicazione
umana, nonostante gli sforzi che vengono compiuti per raggiungere una piena comprensione, rimangono diverse da
individuo a individuo, i vincoli familiari non sono espressione di armonia, ma si riducono piuttosto ad una barriera,
ad un ostacolo per la vera realizzazione di se stessi e per la comunicazione fra le persone.
L’amore come sentimento era accettato da Zinaida Nikolaevna in tutte le sue forme, compresa
l’omosessualità, mentre l’atto sessuale esclusivamente “fisico” le era ripugnante in qualsiasi sua manifestazione. Nel
caso in cui fosse compiuto da individui dello stesso sesso arrivava a toccare livelli di bestialità ancora più bassi,
perché l’atto sessuale mistico doveva portare infatti alla perfetta fusione delle due componenti, maschile e
femminile, coesistenti nella natura umana: “O Taormina, Taormina, città bianca e azzurra della forma più ridicola
fra tutte le forme di amore, l’omosessualità! Sto parlando ovviamente della forma esteriore. […] L’amore fra due
uomini può essere infinitamente bello, divino come qualsiasi altro. Sono ugualmente attratta da tutte le creature di
Dio, quando sono attratta. […] No, la perversione, la specializzazione dell’amore sono un atto ancora più primitivo
del matrimonio. La perversione è ridicola anche per gli animali… E l’omosessualità come atto deve essere
terribilmente ridicola”xviii.
Tenendo in considerazione la concezione di libertà della Gippius, non sorprende che la scrittrice non fosse
solidale con il movimento per l’emancipazione della donna. Zinaida Nikolaevna concepiva il problema della libertà
come problema del genere umano nel suo complesso e per questo non era interessata a questioni che riguardavano
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soltanto gruppi ristretti di persone. Insensati ed assurdi le apparivano infatti i cortei per le strade di Pietroburgo
organizzati dal movimento per l’emancipazione della donna. Esso non necessitava a suo parere di una lotta specifica
finalizzata a questo scopo, ma doveva essere vis to nell’ottica della generale emancipazione dell’uomo da ogni forma
di oppressione, come del resto anche la questione ebraica e quella delle nazionalità. Una volta superato il problema
della libertà dell’uomo in generale, quello dell’emancipazione della donna si sarebbe risolto automaticamente: “Le
donne che si sono specializzate su questo problema dimostrano male la propria “umanità ”. […] No, per essere
uguali le donne devono diventare uguali. Rendere esteriormente meno gravoso il processo del divenire (se esso è
effettivamente possibile) è un’altra cosa. Alle donne questo possono darlo gli uomini, ed io naturalmente sono per
questo dono. […] Se le donne impiegassero le cure e le forze che vengono spese per la libertà “della donna” nella
lotta per la libertà di tutta l’umanità, esse otterrebbero contemporaneamente la propria, e non la riceverebbero dagli
uomini, ma la conquisterebbero accanto a loro”xix. La questione femminile, quindi, non era per la Gippius di alcun
interesse, la considerava faziosa, perché riguardava soltanto un gruppo ristretto di persone, mentre lei si concentrava
sui problemi dell’umanità nel suo complesso, principalmente perché si sentiva lei stessa non tanto donna, quanto
essere umano.
Il concetto di libertà elaborato dalla Gippius, trasportato dal piano metafisico-religioso a quello della realtà
storica, porta la scrittrice a confrontarsi con la situazione socio-politica della Russia di fine ‘800 inizio ‘900.
Il suo pensiero religioso-metafisico assume in questo caso un aspetto decisamente concreto, liberandosi
completamente dell’astrattismo e del misticismo riscontrabili nella sua poesia e nelle speculazioni filosoficometafisiche. L’ostacolo principale alla realizzazione degli ideali di libertà e di emancipazione dell’uomo in cui
credeva la Gippius era rappresentato dall’autocrazia. In particolare, l’autocrazia costituiva la fonte principale di
oppressione e di negazione della libertà.
La Gippius aveva superato l’idea che l’autocrazia avesse origine divina e credeva al contrario che fosse
espressione del maligno, del demonio, dell’Anticristo. “Ero impotente contro l’idea dell’autocrazia come, tuttavia,
idea più religiosa di qualsiasi altra idea sociale. Non potevo trovare contro di essa argomenti metafisici. Avevo però
cominciato a sentire che dovevo trovarli, poiché essa era una menzogna. Dima la ripudiava senza motivazioni.
Utilizzando il suo sentimento andai oltre. Ed insieme capimmo che l’idea stessa di personalità e di teocrazia per
come la intendevamo noi la negavano. Dima ancora non capiva. Mi ricordo le discussioni al crepuscolo, sul viale di
betulle. Poi una sera all’improvviso capì in modo definitivo e irrevocabile […]: “L’autocrazia viene
dall’Anticristo!””xx.
Riferendosi all’interesse di Zinaida Nikolaevna per la politica Temira Pachmuss scrive: “Nel periodo fra il
1914 ed il 1920 la Gippius dimostrò un particolare interesse per i problemi sociale e politici. Ella vedeva nella
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società e nella cultura ordinaria borghese i principali ostacoli al lavoro che intendeva realizzare”xxi . La scrittrice
disprezzava infatti la moralità piccolo-borghese, il suo culto dei beni materiali, del denaro, della proprietà privata e,
ovviamente, l’istituzione del matrimonio legale e la procreazione, che erano i fondamenti su cui si reggeva la società
borghese. Il suo legame con lo spirito individualista e aristocratico della filosofia nietzschiana la rendeva
completamente estranea all’atmosfera neopositivista del nuovo secolo e l’avanzare di un futuro che muoveva da
presupposti antitetici al suo lodo di vedere la vita fu perciò sentito dalla Gippius come una terribile minaccia che
incombeva sulla Russia e sull’umanità intera. Gran parte della popolazione russa le sembrava non rendersi conto di
questo imminente pericolo, era come intorpidita e priva di ogni capacità di analisi della situazione. Con lo scoppio
della prima guerra mondiale, Zinaida Nikolaevna avvertì in modo ancora più pressante il problema della cecità
dell’ambiente intellettuale russo verso quello che accadeva e, ritenendosi l’unica in grado di vedere e capire fino in
fondo il momento storico che si stava compiendo, sentì ulteriormente rafforzato in lei il senso di responsabilità nei
confronti dei suoi incoscienti contemporanei. Il clima politico generale in quei giorni era però in netto contrasto con
il punto di vista della Gippius. A causa delle incomprensioni e perfino dell’opposizione di molte delle persone che le
erano vicine e che stimava profondamente, fu presa da un profondo stato di angoscia, come si avverte chiaramente
in ogni pagina dei suoi diari di quegli anni. Gli avvenimenti politici dei primi due decenni del XX secolo senza
dubbio esercitarono su di lei un’attrazione fortissima, come testimoniano i Diari di Pietroburgo, che vanno dal 1914
al 1919. Quest’opera si distingue nettamente dai diari tenuti in precedenza, perché l’argomento sul quale la scrittrice
si concentra in questo momento è decisamente di tipo socio-politico, mentre passano in secondo piano i problemi
filosofici, metafisici e religiosi, che sono utilizzati soltanto come strumenti per a capire e spiegare gli avvenimenti in
corso e a prevedere i loro possibili sviluppi futuri.
I Diari di Pietroburgo sono indubbiamente di grande interesse dal punto di vista storico e sociale. Essi
infatti costituiscono un interessantis simo specchio della vita culturale russa nei primi due decenni del XX secolo e
sono per questo di grande importanza per lo studio dell’ambiente culturale dell’intelligencija, delle sue attività e
della sua ideologia in questo periodo.
E’ necessario tenere presente però che il quadro fornito dalla scrittrice non va considerato come il giudizio
di uno storico sull’epoca a lui contemporanea. I Diari di Pietroburgo (i più interessanti da questo punto di vista fra
tutti i diari tenuti dalla Gippius, poiché gli eventi storici, la prima guerra mondiale e la rivoluzione del 1917, ne
rappresentano l’argomento principale) appariranno infatti faziosi e non del tutto corrispondenti alla realtà agli occhi
di uno storico, a causa del continuo mescolarsi della dimensione fantastica con il piano della realtà.
I Diari di Pietroburgo non costituiscono infatti soltanto un interessante documento storico, ma sono prima
di tutto un’opera letteraria, e possono per questo essere anche sottoposti ad un’analisi dal punto di vista stilistico,
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linguistico e strutturale, considerando in primo luogo che l’obiettività ed il distacco razionale nei confronti degli
avvenimenti, indispensabili nel giudizio storico, vengono spesso violati e sostituiti, in quanto opera d’arte,
dall’emotività e dalla trasfigurazione fantastica della realtà. La Gippius era infatti perfettamente consapevole del
fatto che la sua opera era prima di tutto un’opera letteraria e non un resoconto storico sulla prima guerra mondiale e
sulla rivoluzione russa. Il fatto stesso di aver scelto il diario come genere letterario dimostra la volontà da parte della
scrittrice di lasciare alle generazioni future una testimonianza di tipo diverso da quella che potevano dare i testi di
storia oppure i libri di ricordi. Il diario era per lei qualcosa di unico, in quanto conservava le emozioni, gli stati
d’animo, l’atmosfera del momento, la durata degli avvenimenti non nella loro dimensione reale, cronologica, ma in
quella soggettiva delle persone che li avevano vissuti. Nel diario i fatti non venivano così soltanto ricordati, ma
continuavano effettivamente a vivere ed il ricordo aveva di conseguenza una funzione creativa: “Dirò ancora
soltanto una cosa: non si aspettino che questo sia un “Libro per una facile lettura”. Non è affatto per una lettura
facile. Il diario non è un ordinato “racconto sulla vita”, dove chi descrive l’oggi conosce già il domani, sa come tutto
andrà a finire. Il diario è il corso stesso della vita. E’ questa la differenza degli “Appunti contemporanei” da tutti gli
altri “Ricordi”, ed in questo stanno i suoi particolari meriti: resuscita l’atmosfera, resuscitando particolari scomparsi
dalla memoria. I “Ricordi” possono dare un’immagine del tempo. Ma solo il Diario può rendere il tempo nella sua
durata”xxii.
La Gippius nel corso della sua vita tenne moltissimi diari. Il genere diaristico si presenta come un tipo di
scrittura particolare rispetto agli altri e permette all’autore una libertà completa, sia nel contenuto che nello stile: è il
luogo dove l’io può esprimersi e mo strarsi in ogni suo aspetto, senza il timore del giudizio altrui, senza restrizioni di
tipo formale e letterario, superando in questo modo la tradizionale frattura fra l’arte, con le sue regole formali, e la
quotidianità. Per quanto riguarda Zinaida Nikolaevna, si può affermare che i diari costituiscono veramente il luogo
dove il suo spirito eccentrico, la sua personalità forte, esteriormente prepotente ma soggetta anche a momenti di
sconforto ed insicurezza, poteva esprimersi nel modo più sincero e schietto in tutta la sua profondità. E’ dai diari
infatti che si riesce a penetrare nei segreti e nei sentimenti più reconditi della scrittrice, mentre nelle opere
prettamente letterarie, nella poesia in modo particolare, è il suo intelletto che prevale e tiene sotto il suo controllo
attento e razionale tutto il materiale del testo, evitando che l’aspetto emotivo abbia il sopravvento.
E’ stato spesso detto che la poesia della Gippius dava un’impressione di grande freddezza, quasi di aridità
interiore, e non a caso essa suscitava nei suoi contemporanei reazioni negative, perché il totale controllo formale del
testo, sebbene desse vita ad opere di indiscutibile raffinatezza, non riusciva a coinvolgere emotivamente il lettore. G.
Adamoviè, ad esempio, era addirittura convinto che Zinaida Nikolaevna fosse completamente incapace di provare
sentimenti profondi e che non avesse alcuna sensibilità per la musica. Certamente va tenuto presente che la Gippius,
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in quanto poeta simbolista, riproponeva forse l’immagine elitaria del poeta separato ed alienato dalla folla e che
probabilmente non era nemmeno una sua aspirazione essere capita ed apprezzata dal volgo, per tradizione passivo
ed ignorante, per natura attratto solamente dagli aspetti materiali della vita. Se il processo creativo prevedeva per la
poesia, secondo Zinaida Nikolaevna, due fasi distinte, prima quella dell’esperienza emotiva ed in un secondo tempo
quella della razionalizzazione di questa emozione, con la sua successiva trascrizione in versi, il diario era invece una
scrittura del momento, dove la mancanza di una distanza temporale fra il fatto e la narrazione faceva sì che la
ragione non avesse modo di riorganizzare il materiale secondo categorie logico-razionali. Lidija Ginzburg sostiene
che la letteratura documentaristica, a partire dalle lettere e dai diari fino alle memorie e all’autobiografia, nasce
dall’azione contrastante di due principi opposti, quello dell’invenzione e quello dell’attendibilità fattuale.
Nonostante la sua esigenza di autenticità, i testi di questo tipo sono comunque ben lontani dall’identificarsi con la
precisione fattuale. Non si tratta perciò di informazione pura e semplice, perché vi è sempre un certo grado di
“inaffidabilità” e vi entrano in gioco scelta, giudizio e punto di vista. Nel contesto documentaristico esteticamente
inteso, quindi, il fatto della vita reale subisce sempre profonde trasformazioni, che non cancellano tuttavia “né
l’orientamento verso l’autenticità come principio strutturale dell’opera, né le possibilità cognitive ed emotive che ne
derivano”xxiii.
La posizione che la Gippius assume nei Diari di Pietroburgo per quanto riguarda il rapporto fra realtà ed
immaginazione all’interno del testo convalidano il giudizio della Ginzburg sulla letteratura documentaristica. Nelle
parti introduttive, aggiunte dalla scrittrice al testo originario per la pubblicazione, Zinaida Nikolaevna afferma che,
sebbene all’epoca della stesura dei diari non avesse intenzione di narrare grandi avvenimenti (questo era compito
degli storici) perché il suo centro di interesse era costituito dall’essere umano, i fatti reali avevano tuttavia costituito
sempre il suo punto di riferimento: “Non mi inganno: chi non sa superare la paura, neppure del più piccolo
frammento di verità, diventerà mio nemico. Succede sempre così. E un frammento di verità nel mio Diario c’è; solo
lei mi interessa, e sono certa: qualcuno ne ha bisogno”xxiv. Accingendosi alla descrizione delle principali classi
sociali in Russia immediatamente dopo l’avvento del potere bolscevico, la Gippius scrive: “Ecco qual è il mio
intento. Voglio definire sommariamente come si divide adesso tutta la popolazione della Russia in generale in
rapporto al potere “sovietico”. Gli ultimi anni ci hanno dato molto; abbiamo visto parecchio da ogni angolazione e
penso di non sbagliarmi molto nel mio resoconto. Lo faccio seguendo le linee principali e in modo assolutamente
obiettivo”xxv .
Nonostante la frequente trasfigurazione dei fatti reali, molte delle intuizioni della Gippius sul possibile
sviluppo dei cambiamenti che si stavano verificando in Russia si sono in seguito dimostrate esatte.
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All’inizio del XX secolo era ormai chiaro che la Russia aveva bisogno di imboccare una nuova via di
sviluppo per superare i secolari problemi sociali la cui gravità, se fosse aumentata ulteriormente, non sarebbe stata
più risanabile. La Gippius era tuttavia convinta che la via delle riforme non fosse attuabile in Russia: ottenere una
costituzione democratica, ad esempio, non avrebbe eliminato il potere coercitivo dello stato sull’individuo. Il solo
modo per realizzare lo stato teocratico, che per Zinaida Nikolaevna rappresentava l’unica forma di stato che
garantiva la libertà del singolo, era la rivoluzione. La rivoluzione sarebbe stata l’inizio di un’ecumenicità universale,
di un’unione di tutta l’umanità: era cioè fusa con il concetto di religione, ne era sinonimo. “Abbiamo capito là [a
Parigi, n. d. t.] l’anima della vecchia rivoluzione russa e ce ne siamo innamorati. Abbiamo capito la sua verità e la
sua menzogna. Sentii interiormente il suo oscuro legame con Cristo. La sua possibilità di far luce e quindi la sua
forza”xxvi. La rivoluzione avrebbe visto la discesa del divino fra gli uomini, avrebbe realizzato cioè la tanto agognata
sintesi dei principi costitutivi dell’universo, la Carne e lo Spirito.
La Gippius aveva una concezione estremamente dinamica del principio rivoluzionario. La sua caratteristica
primaria era di essere determinata e guidata da una forza primordiale, irrazionale, che trascendeva ogni tradizionale
categoria temporale. “Nel significato veritiero della parola, si deve definire rivoluzione non quello che di solito
chiamiamo con questo nome, ma il momento rivoluzionario. In esso (ovvero proprio nella “rivoluzione”) lo spirito
divino di libertà si unisce per un istante alla carne terrena. […] La rivoluzione non ha durata (la durée, secondo
Bergson), e quando noi parliamo di “rivoluzione”, parliamo in sostanza dei tempi che circondano questo istante; del
tempo “post-rivoluzionario”, delle “epoche” rivoluzionarie…”.xxvii
Sul fatto che in Russia ci sarebbe stata una rivoluzione la Gippius non aveva dubbi. Dopo i primi momenti
di confusione e smarrimento, seguiti allo scoppio della prima guerra mondiale, ebbe sempre di fronte in modo chiaro
ed inequivocabile lo spettro di una qualche ineluttabile sciagura che minacciava il futuro del suo paese. La guerra
non sarebbe stata breve, non avrebbe portato alla caduta dell’autocrazia, né poteva in alcun modo terminare da sola
come invece speravano quasi tutti i membri del partito liberale e gran parte di quelli dell’intelligencija, ma si
sarebbe conclusa sicuramente con un capovolgimento sociale e politico, qualcosa che non si era mai visto nella
storia della Russia.
Zinaida Nikolaevna in realtà sperava nella rivoluzione, la desiderava come unico mezzo per realizzare una
nuova società in nome della libertà spirituale dell’individuo. Con il passare del tempo si era però resa conto che le
forze moderate, in particolare l’intelligencija, non avevano la forza d’animo e la determinazione necessarie per
assumere la responsabilità della direzione del paese: “[…] così in Russia la guerra non finirà lo stesso! Comunque
sarà un fallimento! Ci sarà una rivoluzione oppure una rivolta folle: tanto più folle e terribile, quanto più
caparbiamente voltano le spalle all’evidenza coloro che sono gli unici in grado, dopo aver preso in mano quello che
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sta succedendo adesso, di trasformarla in una “rivoluzione”. Far sì che sia una lei e non un Esso capace di travolgere
tutto” xxviii. Sentiva in modo forte e sicuro che il popolo stava crescendo e si stava facendo sempre più agguerrito,
cosicché l’idea di una rivoluzione soltanto dal basso, senza il controllo delle forze secondo lei più evolute e
consapevoli, la terrorizzava, credeva che una rivoluzione di questo tipo avrebbe significato soltanto caos, distruzione
e, alla fine, il riemergere di un sistema di oppressione sull’individuo: “Quello che perciò avverrà sarà qualcosa di
nudo, cioè dal basso. Sarà la rovina, l’anarchia… per quanto ne so io! Ho paura, poiché durante la guerra una
rivoluzione soltanto dal basso è particolarmente terribile. Chi le imporrà dei limiti? Chi cercherà di porle fine?”xxix
Non esisteva ormai più per la Russia la possibilità di scegliere se fare la rivoluzione in quel momento o aspettare la
fine della guerra. Questo i politici della Duma non sembravano capirlo e continuavano a temporeggiare, ad
appoggiare il governo autocratico, senza avere la minima percezione di quali fossero le azioni da intraprendere in
quel momento della storia.
La Gippius rimase scettica nei riguardi del partito liberale anche in seguito agli avvenimenti del febbraio
1917. Questa prima rivoluzione fu comunque da lei salutata con grande entusiasmo, fu come una rinascita dopo gi
anni bui seguiti all’inizio della guerra, fu la rinascita della speranza per il futuro della Russia: “La luminosità
mattutina è oggi l’ubriacatura della rivoluzione, è l’amore per la libertà conquistata (non “ricevuta in dono”) e
questo si avverte sia nei reggimenti con la musica, sia sui visi luminosi della strada, sui visi del popolo. E questa
serenità non la hanno (e non la capiscono neppure) coloro che dovrebbero occupare adesso il primo posto. Devono,
ma non ne sono capaci, e non lo occuperanno, e inganneranno..." xxx. Zinaida Nikolaevna non si faceva però illusioni
e non si lasciava trasportare dall’entusiasmo fino al punto di perdere la capacità di giudicare razionalmente quello
che avveniva. Certamente sperava che quello che stava succedendo in quei giorni potesse essere trasformato in una
rivoluzione per la libertà della persona, ma questo sarebbe stato possibile solo se la rivoluzione fosse stata contenuta
ed indirizzata nel modo giusto, altrimenti si sarebbe potuto assistere addirittura al ritorno di un sistema autocratico.
La Russia era stata infatti per il momento liberata, ma le sue piaghe, le ferite, che avevano reso la vita nello stato
zarista non più sostenibile, erano ancora presenti e dovevano necessariamente venire curate. Per Zinaida Nikolaevna
la rivoluzione di febbraio costituiva proprio per questo l’ultima prova che la storia concedeva al partito liberale, la
sua ultima occasione per salvare la Russia dalla catastrofe: “E’ l’ultima misericordia. Essi possono ancora… no, non
credo che possano, dirò potrebbero, salvare qualcosa, salvarsi in qualche modo. Oggi potrebbero ancora, domani
sarà già tardi. E’ necessario però rischiare subito, proprio oggi, riconoscere senz’altro questo istante
prerivoluzionario. Poiché soltanto grazie a questo riconoscimento accetteranno la rivoluzione di domani, la
attraverseranno, vi introdurranno il loro spirito severo. Non potranno farlo, poiché all’ultimo momento ciò sarà
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ancora più difficile di prima, quando non erano già più in grado. Sono però obbligata a constatare che non è ancora
tardi. Senza accusare nessuno, con terrore, vedo che non ce la faranno. E’ troppo difficile”xxxi .
L’esito fallimentare della rivoluzione di febbraio e la presa di potere da parte dei bolscevichi segnarono per
la Gippius la fine di ogni speranza in un futuro di libertà ed uguaglianza e determinarono l’inizio della morte
spirituale della sua personalità così vitale ed eccentrica. L’unico modo per non essere distrutta rimaneva la fuga
dalla Russia sovietica.
Nel dicembre 1919 Zinaida Nikolaevna ed il marito lasciarono Pietroburgo per recarsi in Francia, dove
rimasero per il resto della vita. E’ comunque probabile che la Gippius credesse che il regime sovietico non sarebbe
durato a lungo e che il suo esilio all’estero non sarebbe stato per sempre. Nella nota conclusiva dei Diari di
Pietroburgo infatti leggiamo: “Il primo cambiamento avverrà soltanto dopo l’unico avvenimento che tutta la Russia
aspetta. Il rovesciamento dei bolscevichi. Quando? Non ne conosco né i tempi né il termine. Ho paura delle parole.
Ho paura delle profezie, ma la mia anima, alla terribile domanda: “quando”?, risponde: presto”xxxii.
i
G. Adamoviè, Zinaida Gippius, in Dal’nye berega (Portrety pisatelej emigracii), Moskva, 1994, pag. 125.
N. Teffi, Zinaida Gippius, in Dal’nye berega (Portrety pisatelej emigracii), cit., pag. 130.
iii
Z. Gippius, Contes d’amour, “Vozroždenie”, 1969, n° 211, 20 settembre 1893.
iv
V. Zlobin, Tjaželaja duša , Washington, 1970, pag. 24.
v
G. Adamoviè, op. cit., pag. 128.
vi
Z.Gippius, Contes d’amour, cit., 19 marzo 1893.
vii
T. Pachmuss, Zinaida Hippius. An intellectual profile, Southern Illinois University Press, 1971, pag. 22.
viii
Z. Gippius. O byvšem , “Vozroždenie”, 1970, n° 218, 25 dicembre 1901.
ix G. Florovkij, Alla vigilia, in Movimenti religiosi in Russia prima della rivoluzione (1900-1917), a cura di P. C.
Bettiolo,Queriniana, Brescia, 1978, pag. 24.
x
G. Florovskij, ibid., pag. 28
xi
Z. Gippius, Contes d’amour, cit., 15 dicembre 1893.
xii
Z. Gippius, Contes d’amour, cit., 7 novembre 1893.
xiii
T. Pachmuss, op. cit., pp. 58-59.
xiv
Z. Gippius, Contes d’amour, cit., 17 ottobre 1898.
xv
Z. Gippius, Contes d’amour, cit., 14 settembre 1900.
xvi
Z. Gippius, Contes d’amour, cit., 7 febbraio 1901.
xvii
Z. Gippius, Koriènevaja tetrad’, “Vozroždenie”,1970,n° 221, 26 marzo 1921.
xviii
Z. Gippius, Contes d’amour, cit., 16 agosto 1899.
xix
Z. Gippius, Peterburgskie dnevniki. 1914-1919, Tbilisi, 1991, pag. 318.
xx
Z. Gippius, O byvšem , cit., Parigi, 9-23 febbraio 1908.
xxi
T. Pachmuss, op. cit., pag. 179.
xxii
Z. Gippius, Peterburgskie dnevniki. 1914-1919, cit., pp. 232-233.
xxiii
L. Ginzburg, La prosa psicologica, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 20-21
xxiv
Z. Gippius, Peterburgskie dnevniki. 1914-1919, cit., pag. 232.
xxv
Z. Gippius, Peterburgskie dnevniki. 1914-1919, cit., pag. 171.
xxvi
Z. Gippius, O byvšem , cit., 14 marzo 1911.
xxvii
Z. Gippius, Opravdanie svobody, “Okt’jabr’”, 1992, n° 8, pag. 181.
xxviii
Z. Gippius, Peterburgskie dnevniki. 1914-1919, cit., pag. 272.
xxix
Z. Gippius, Peterburgskie dnevniki. 1914-1919, cit., pag. 273.
xxx
Z. Gippius, Peterburgskie dnevniki. 1914-1919, cit., pag. 293.
xxxi
Z. Gippius, Peterburgskie dnevniki. 1914-1919, cit., pp. 284-285.
xxxii
Z. Gippius, Peterburgskie dnevniki. 1914-1919, cit., pp. 2.
ii
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