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Celiachia
Gli anticorpi anti-actina nella
malattia celiaca: un nuovo studio
La malattia celiaca e le patologie
neuropsichiatriche
Rischio di autoimmunità correlata
alla celiachia ed epoca di
introduzione del glutine nella dieta
di lattanti ad elevato rischio di
malattia
Risk of celiac disease autoimmunity and
timing of gluten introduction in the diet of
infants at increased
risk of disease
16
ws
New
Antonio Carroccio, Giuseppe Pirrone, Giuseppe Iacono, Lidia Di Prima e Ignazio Brusca
Divisione di Medicina Interna, Università di Palermo, Divisione di Pedatria, Ospedale “Di Cristina” di
Palermo, Laboratorio Centralizzato, Osp “Buccheri La Ferla” di Palermo
Gli anticorpi anti-actina nella malattia celiaca:
un nuovo studio
L
a Malattia Celiaca (MC) ha un'alta
prevalenza nella popolazione generale (frequenza riportata negli USA e in Europa intorno a 1:100 e 1:250) 1 - 4, motivo per
il quale è raccomandato un largo uso delle
metodiche sierologiche per la sua diagnosi
5, 6
. Infatti, sia il dosaggio degli anticorpi anti-endomisio (EmA) che degli anticorpi anti-transglutaminasi (anti-tTG) hanno un elevato valore predittivo nella diagnosi di celiachia 7-9 e la positività di questi test indica
la necessità di eseguire una biopsia intestinale per valutare lo stato della mucosa duodenale, accertare la possibile atrofia dei villi e conseguentemente confermare la diagnosi di MC. Nonostante la loro accuratezza diagnostica, è stato più volte evidenziato
come né gli EMA nè gli anti-tTG siano correlati con il grado di severità del danno dei
villi intestinali 10-13. In altre parole, non sembra che nei pazienti con danno intestinale
lieve (per es. una atrofia dei villi parziale) vi
siano valori di anti-tTG più bassi che nei pazienti con danno intestinale più severo
(atrofia totale dei villi). Dunque né gli antitTG, né gli EmA possono essere indicativi
della gravità delle lesioni intestinali del celiaco.
Recentemente, tuttavia, la presenza nei
sieri dei pazienti celiaci di un altro autoanticorpo, l'anti-Actina (AAA), è stato indicato come marker diretto di atrofia severa
dei villi intestinali 14. Gli studi effettuati a riguardo sembrano indicare che, nella MC,
questi anticorpi (dosati con una tecnica di
immunofluorescenza, IF), contribuiscano
al danno citoscheletrico dei villi ed alla patogenesi delle lesioni intestinali 15.
Il nostro gruppo ha pubblicato uno studio, volto a valutare la relazione tra la presenza nel siero degli AAA e la severità del
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3
Pazienti e metodi
Sono stati arruolati nello studio un totale di 150 soggetti, di cui 58 celiaci, la cui diagnosi era stata posta per la presenza di uno o
più dei seguenti quadri clinici: diarrea cronica (28), anemia (25), ritardo della crescita
o calo ponderale (18), dolore addominale
(8), osteoporosi (6), familiarità di primo grado per MC (5). In tutti i pazienti, la diagnosi
di MC era basata sulla positività del siero
per gli EMA e gli anti-tTG, associata ad una
evidenza di danno intestinale (rapporto fra
altezza dei villi e profondità delle cripte <
3); in ogni caso, dopo l'avvio della dieta priva di glutine, si assisteva alla scomparsa dei
sintomi ed alla negativizzazione degli
EMA e degli anti-tTG.
Lo studio prevedeva l'inclusione di un
gruppo di controllo formato da soggetti
esenti da patologie gastroenterologiche: sono stati così arruolati 64 pazienti, di cui 34
adulti (15 M e 19 F, età media 35 anni, range
18 - 56 anni) in occasione del prelievo ematico per sospetta ipercolesterolemia e 30
bambini (14 M e 16 F, età media 3 anni, range 1 - 12 anni) con episodi ricorrenti di faringo - tonsillite. Nessuno di questi soggetti
di controllo presentava sintomi o segni di laboratorio suggestivi di MC e tutti erano negativi per EMA e anti-tTG. Sono stati inoltre arruolati 28 soggetti adulti, affetti da patologie su base autoimmune o di tipo gastro
intestinale diverse dalla MC; questi hanno
rappresentato i “controlli malati” per il dosaggio degli AAA. Le principali patologie
da cui erano affetti questi pazienti erano:
4
epatite autoimmune (10), lupus eritematoso sistemico (4), malattia di Sjogren (3), cirrosi biliare primitiva (2), malattia di Crohn
(4), intolleranza alimentare (3), enteropatia
autoimmune (1), sprue refrattaria (1).
Risultati
Gli anticorpi IgA anti-actina (IgA AAA)
valutati con la tecnica di IF sono risultati positivi in 54 dei 58 pazienti con MC in fase
florida (93%); soltanto tre bambini ed un
adulto sono risultati negativi. Il titolo (cioè
il livello degli anticorpi nel sangue) per la
positività degli IgA AAA è stato classificato
tra 1:20 e 1:640, con una mediana di 1:80.
Gli IgA AAA valutati con la metodica
ELISA sono risultati positivi in 51 dei 58 pazienti celiaci (86%); gli stessi quattro pazienti negativi alla determinazione mediante tecnica di IF sono risultati negativi anche
con tecnica ELISA ed altri tre bambini MC
sono risultati negativi. Dunque, benché la
metodica di IF abbia dimostrato una più frequente positività, anche quella ELISA ha dato risultati positivi nella maggior parte dei
pazienti; non differenze statisticamente significative sono state osservate per quanto
riguarda la differenza nella frequenza di positività tra IF ed ELISA. La correlazione tra
i risultati degli AAA ottenuti con IF ed
ELISA era elevata; in altre parole, in ogni
paziente con MC il dosaggio degli AAA
con il metodo IF dava un risultato di grandezza simile a quello che si otteneva con la
IgA AAA (DO)
danno della mucosa intestinale nei pazienti
celiaci; tale studio si proponeva inoltre di
comparare la metodica in immunofluorescenza (IF) con una nuova metodica ELISA
per la determinazione degli AAA.
Quest'ultima metodica, infatti, offrirebbe,
rispetto all'immunofluorescenza, una maggiore riproducibilità ed una minore dipendenza dall'operatore. Nell'esposizione che
segue riportiamo i risultati ottenuti nel suddetto studio.
4
3,6
3,2
2,8
2,4
2
1,6
1,2
0,8
0,4
0
0
160
320
480
640
IgA AAA (titolo)
Figura 1. Correlazione tra i valori individuali
di IgA AAA mediante IF (asse delle ascisse)
ed ELISA (asse delle ordinate).
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tecnica ELISA (fig 1).
Quest'ultima, inoltre, ha mostrato
4,2
4
3,8
3,6
3,4
3,2
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2,6
2,4
2,2
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0,2
0
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10
Celiaci
20
30
Controlli sani
40
50
60
Pazienti non celiaci
Figura 2. Valori individuali degli IgA AAA
saggiati tramite ELISA in 58 celiaci non
trattati, in 64 controlli sani ed in 28 pazienti
con malattie autoimmuni o gastrointestinali
diverse dalla MC (“controlli malati”). La
linea orizzontale indica il limite normale.
di proteine che solitamente sono nascoste
e/o considerate da non “aggredire”. Tra queste proteine vi è l'actina, la quale ha un ruolo
importante nella struttura dei microvilli intestinali. Una volta che l'actina è esposta al
sistema immunitario, si formano gli AAA,
venendosi cosi ad innescare un processo
che contribuisce al danno della mucosa intestinale. Comunque, l'importanza clinica e
la possibile utilità degli AAA nell'iter diagnostico della MC non sono ancora chiare.
È stato ipotizzato che il dosaggio degli
AAA potrebbe dare un'indicazione sulla severità del danno di mucosa 14, ma tale aspetto non è ancora confortato da sufficienti indagini.
Nel nostro studio abbiamo analizzato la
correlazione tra il comportamento degli
AAA e la severità delle lesioni della mucosa intestinale; inoltre, abbiamo voluto valutare l'accuratezza della nuova tecnica
ELISA per la determinazione degli AAA e,
successivamente, confrontare tali risultati
4
3,6
IgA AAA (OD)
3,2
2,8
2,4
2
1,6
1,2
0,8
0,4
0
0
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2
3
Rapporto villo/cripta
Figura 3. Correlazione tra i valori di AAA
ottenuti in ELISA ed il rapporto villo/cripta
in 58 celiaci non trattati.
con la tecnica tradizionale di IF precedentemente descritta 14. I risultati ottenuti hanno
mostrato che, nei celiaci, gli AAA correlano
con la gravità del danno dei villi intestinali;
infatti, gli AAA determinati con tecnica
ELISA sono risultati positivi in 51 dei 58 pazienti con MC esaminati (86%) e tutti i pazienti con un danno severo della mucosa intestinale sono altresì risultati positivi per gli
AAA. Soltanto 7 celiaci, peraltro tutti con
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5
quadro istologico di lieve atrofia dei villi,
sono risultati negativi per gli AAA. Un'altra
6
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Anna Maria Magistà, Elena Lionetti, Teresa Francavilla*, Angela De Canio, Gilda Leone, Stefania Fico,
Luciano Cavallo e Ruggiero Francavilla.
Dipartimento di Biomedicina dell'Età Evolutiva e *Clinica Neurologica I - Università degli studi di Bari
La malattia celiaca e le patologie neuropsichiatriche
L
a malattia celiaca (MC), inizialmente descritta come una enteropatia glutine-dipendente, è attualmente riconosciuta
come una malattia autoimmune sistemica
multiorgano con prevalenti manifestazioni
extraintestinali 1. Diverse condizioni neuropsichiatriche quali l'atassia cerebellare,
l'epilessia e la neuropatia periferica, venivano storicamente descritte come complicanza di una MC già diagnosticata. Tuttavia
studi più recenti hanno evidenziato che un
ampio spettro di manifestazioni cliniche e
di segni neurologici coinvolge sia il sistema
nervoso centrale (SNC) che periferico con
una temporalità spesso indipendente dalla
durata di malattia e dal suo grado di coinvolgimento del tratto gastroenterico, tanto
da poter costituire manifestazioni di esordio extraintestinali della reazione avversa
al glutine 2, 3. L'esatta prevalenza delle manifestazioni neurologiche associate alla MC è
difficile da stimare; i dati relativi a tale associazione emergono per lo più da osservazioni aneddotiche, mentre pochi sono gli
studi condotti su casistiche numericamente
importanti. Da analisi di prevalenza in gruppi selezionati di soggetti afferenti a centri
terziari di riferimento emerge che, in media, il 10% dei pazienti celiaci sviluppa una
complicanza neurologica 4, 5. La natura di
questa associazione non è completamente
definita; inizialmente descritte come secondarie al malassorbimento di alcune vitamine ed oligoelementi, nella genesi delle
manifestazioni neurologiche ampio spazio
è attualmente riconosciuto ad un meccanismo autoimmune 5, 6.
In questo articolo illustriamo i principali quadri neuro-psichiatrici associati alla
MC, riportando i risultati di una esperienza
personale nel caso della cefalea.
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9
Sindromi cerebellari ed atassiche
L'atassia cerebellare rappresenta storicamente uno dei primi esempi di manifestazioni neurologiche riportate in pazienti con
MC. Nel 1966, Cooke e Smith descrivevano un gruppo di 16 pazienti celiaci con una
varietà di reperti neurologici tra i quali il
più frequente era rappresentato da una atassia sensoriale, espressione di un danno alle
colonne dorsali del midollo spinale, associata in alcuni casi a segni di disfunzione cerebellare 7. Più recentemente il quadro ha assunto una identità precipua al punto da parlare di "atassia da glutine" 8. Nei casi riportati viene descritta una atassia dell'andatura
e degli arti, la cui gravità sembra essere correlata alla durata di malattia, in assenza di
tremore e di altri segni extrapiramidali; il
quadro è prevalentemente associato a segni
di coinvolgimento neuropatico documentabile elettrofisiologicamente e ad atrofia cerebellare. Il danno sembra essere
l'espressione di un'infiltrazione linfocitica
del cervelletto, dei cordoni posteriori del midollo e dei nervi periferici, reperti per i quali è stato ipotizzato un meccanismo immunomediato. L'associazione tra la MC e
l'atassia cerebellare idiopatica presenta una
tale caratterizzazione epidemiologica e fisiopatogenetica da giustificare attualmente
lo screening per la celiachia in questi soggetti. Rimane invece controversa l'ipotesi
che l'ipersensibilità al glutine, condizione
caratterizzata dalla presenza di alti livelli
sierici di anticorpi anti-gliadina (AGA) in
assenza di un danno intestinale, possa considerarsi la causa di una degenerazione cerebellare o semplicemente un suo epifenomeno 5, 6, 9, 10. È stato infatti dimostrato che gli
AGA (di classe IgG) si legano ad epitopi
presenti sulle cellule di Purkinje, potendo
pertanto intervenire nella patogenesi del
danno cellulare, ipotesi suffragata dal riscontro di alti livelli di AGA in soggetti con
altri disordini neurodegenerativi quali
l'atassia spinocerebellare ereditaria e la corea di Huntington. Controversi restano gli
12
effetti della dieta priva di glutine (Gluten
Free Diet, GFD) sulla evoluzione
dell'atassia.
Epilessia
Studi epidemiologici riportano, rispetto
ai controlli sani, una maggiore prevalenza
di epilessia (3.5 - 5.5%) in pazienti con MC e
di celiachia in soggetti epilettici (0.8-2.5%)
11 - 13
. L'epilessia ed altre manifestazioni neurologiche convulsive in soggetti celiaci storicamente vengono inquadrate come una entità sindromica se associate alla presenza di
calcificazioni occipitali radiologicamente
identiche a quelle riscontrate nella sindrome di Sturge-Weber, per quanto tale reperto
non sia sempre documentabile. Nei casi descritti, si tratta di crisi a semeiologia focale
con manifestazioni cliniche localizzate a livello occipitale, farmacoresistenti 14. Data
la maggiore prevalenza in alcune etnie quali l'italo-spanica, nella patogenesi della sindrome si ritiene che intervengano fattori genetici ed ambientali e, tra questi ultimi,
l'assunzione di glutine in soggetti geneticamente predisposti. La formazione delle calcificazioni potrebbe essere secondaria ad
un processo immunologico mediato da citochine secrete dai linfociti T attivati, mentre
altre ipotesi richiamano a bassi livelli di folati, dovuti ad un malassorbimento e ad una
tossicità da silicio. Resta non definita la causa della localizzazione preferenziale delle
lesioni a livello occipitale. Alcuni studi
avrebbero documentato che una GFD contribuisce alla completa remissione delle crisi anche dopo sospensione della terapia antiepilettica, con una probabilità di risposta
inversamente proporzionale alla durata
dell'epilessia prima della diagnosi e all'età
all'inizio della restrizione dietetica 14, 15.
Neuropatia periferica
Ampiamente descritta in pazienti con
MC, è più frequentemente distale, simmetrica e di tipo sensoriale per quanto siano state riportate associazioni con neuropatie
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esclusivamente motorie, autonomiche, motoneuriti multiple e quadri simili alla sindrome di Guillan-Barrè 7, 16. Tradizionalmente veniva descritta come una complicanza naturale della celiachia in quanto malattia da malassorbimento e quindi espressione di una sofferenza del nervo periferico
di tipo carenziale (vitamina B12, folati, vitamina E); in realtà, tale meccanismo patogenetico è stato recentemente ridimensionato
ipotizzando invece una genesi immunologica dato il riscontro di anticorpi antigangliosidi diretti contro le cellule di
Schwann, i nodi di Ranvier e gli assoni dei
nervi periferici 16. Risultati contrastanti sono disponibili relativamente alla sua evoluzione in corso di GFD.
Cefalea
Per quanto siano scarsi i dati epidemiologici relativi a questa associazione, in un
recente studio condotto su di una popolazione pediatrica la cefalea costituisce il disturbo neurologico più frequentemente associato alla MC (29.7% dei celiaci vs 8.1%
dei controlli sani) 3. Un dato simile emerge
da una esperienza recentemente condotta
presso il nostro Centro. Nello studio sono
stati arruolati 275 pazienti pediatrici [88 maschi (32.5%); età media 8.4 anni (range: 3.2
- 18 anni)] con diagnosi di MC formulata da
almeno 12 mesi, seguiti per il follow-up
presso l'ambulatorio di Gastroenterologia
ed Epatologia pediatrica del nostro Dipartimento nel periodo tra gennaio 2004 e gennaio 2005. Ai pazienti e ai loro genitori è stato somministrato un questionario validato
per la definizione del tipo, caratteristiche e
severità della cefalea; la sintomatologia è
stata indagata prima della diagnosi di MC e
in corso di GFD. Della popolazione in studio, 106 pazienti riferivano una storia di cefalea, dato significativamente superiore rispetto ad un gruppo controllo omogeneo
per età e sesso (39.1% vs 10.8%; p < 0.001).
Il quadro più frequentemente riscontrato
era quello di una emicrania (52.8%), seguito dalla cefalgia (32.1%) e da forme miste
(15.1%). La durata media del singolo episodio era inferiore a 30 minuti in 26 pazienti
(24.5%), compreso tra 30 minuti e 4 ore in
50 (47.2%), tra 4 e 24 ore in 16 (15.1 %) e superiore a 24 ore in 9 (8.5%). La cefalea era
intermittente in 41 pazienti (38.7 %) e continua in 58 (54.7%). Le crisi erano di intensità prevalentemente moderata (45 pazienti, 42.4%) e, meno frequentemente, lieve
(30 pazienti, 28.3%) o severa (25 pazienti,
23.6%). Un fattore scatenante era identificabile in 65 casi (61.3%) e, tra i più frequenti, venivano riportati stress psicofisico, assenza di riposo e ciclo mestruale;
un'aura veniva riferita da 38 pazienti
(35.8%). Una familiarità per cefalea era presente nel 30% dei casi. La GFD, correttamente seguita da almeno 12 mesi, comportava una completa remissione della sintomatologia nel 25% dei casi, mentre un miglioramento riguardo alla frequenza degli
episodi e/o alla loro intensità era presente
nel 50%. Nella esperienza riportata in letteratura la cefalea sembrerebbe prevalere nelle forme clinicamente silenti o con esordio
tardivo della MC. Sulla base di questo dato,
pertanto, nella genesi del disturbo un ruolo
non andrebbe riconosciuto al malassorbimento quanto a meccanismi autoimmunitari ed infiammatori. È stata infatti recentemente descritta la possibilità che gli attacchi cefalgici siano secondari ad un processo
autoimmune diretto contro strutture vascolari e mediato da anticorpi di classe IgA presenti nel siero di soggetti celiaci 17. La GFD,
sopprimendo il processo autoimmune e pertanto regolarizzando il flusso sanguigno, potrebbe indurre un miglioramento sintomatologico, come mostrato con l'uso della
SPECT, in particolare in pazienti celiaci
con emicrania preceduta da aura 18.
Altre associazioni neuro-psichiatriche
Risale agli anni '50 la descrizione di una
potenziale associazione tra MC e depressione, confermata da osservazioni successive che riportano nel soggetto celiaco un di-
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13
stinto "stato psico-vegetativo" di esaurimento con l'aspetto di un quadro depressivo. Sintomi comunemente descritti nei celiaci comprendono apatia, ansia eccessiva
ed irritabilità 19, 20, disturbi questi che potrebbero essere la causa di una riduzione sia
della qualità della vita che della compliance
al trattamento dietetico. Tra i meccanismi
patogenetici verosimilmente coinvolti ricordiamo l'associazione con altre malattie
autoimmuni (tireopatie), il malassorbimento con deficit di nutrienti (vitamina B6 e triptofano) e la riduzione dei livelli sierici di
triptofano e di altri precursori di monoammine, oltre che dei livelli liquorali di neurotrasmettitori riscontrate in soggetti geneticamente predisposti alla MC in corso di assunzione di glutine. Questi dati sembrerebbero confermati dalla maggiore severità del
quadro in soggetti con MC misconosciuta o
in pazienti scarsamente complianti alla
GFD. Restano comunque controversi i dati
relativi agli effetti della restrizione dietetica
sul quadro neuro-psichiatrico; non è infatti
da trascurare la possibilità che la depressione ed i disturbi di ansia si instaurino secondariamente, potendo essere scatenati dalla
reazione emotiva ai sintomi della malattia e
alle limitazioni imposte dalla GFD che spesso influenzano negativamente la qualità della vita di questi pazienti. Complessa rimane
l'associazione proposta tra MC ed autismo.
Al pari della schizofrenia, l'ipotesi di un coinvolgimento della celiachia in queste condizioni era prevalentemente basato sul ruolo potenziale di alcuni peptidi (gliadina, ßlactoglobulina, caseina), derivati da una abnorme permeabilità intestinale e/o dal deficit di una peptidasi 21. Tali peptidi agirebbero sul SNC sia direttamente, come esorfine,
che indirettamente, inducendo una reazione
immunologica con conseguente inibizione
della maturazione delle strutture encefaliche. Le ipotesi sono comunque supportate
da scarse evidenze, così come controverso
rimane l'effetto della dieta sull'evoluzione
clinica. Disturbi dell'apprendimento e sindrome da deficit di attenzione iperattività
(ADHD) sono stati recentemente descritti
in associazione alla MC 3. Sembrerebbero
interessare in egual misura soggetti con MC
ad esordio precoce e tardivo, indipendentemente dal sesso ed associarsi prevalentemente ad altri disturbi neurologici. Resta
tuttora da chiarire se gli effetti cumulativi di
fattori nutrizionali, immunologici o infiammatori possano svolgere un ruolo nel compromettere le facoltà cognitive o tale compromissione sia invece dovuta ad effetti
non specifici di una malattia cronica.
Considerazioni conclusive
Un ampio spettro di manifestazioni neuro-psichiatriche è stato descritto come potenzialmente associato alla MC per quanto,
allo stato attuale delle conoscenze, non possano essere formulati dati conclusivi a causa dell'eterogeneità delle popolazioni studiate, dell'inconsistenza dei reperti patologici e dell'assenza di adeguati dati controllo. Pazienti con disfunzioni neurologiche altrimenti inspiegabili costituiscono comunque una popolazione che potenzialmente
potrebbe beneficiare dello screening sierologico mentre, nei casi di celiachia neodiagnosticata, una attenta ricerca delle alterazioni neurologiche dovrebbe costituire
un aspetto importante della valutazione clinica sistematica iniziale. Ulteriori studi saranno necessari per valutare gli effetti della
GFD su questi disordini e per investigare i
complessi meccanismi patogenetici alla base del coinvolgimento neurologico associato alla celiachia.
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JM Norris, K Barriga, EJ Hoffenberg, et al. JAMA 2005; 293: 2343 - 51.
Rischio di autoimmunità correlata alla celiachia ed epoca di introduzione
del glutine nella dieta di lattanti ad elevato rischio di malattia
Risk of celiac disease autoimmunity and timing of gluten introduction
in the diet of infants at increased risk of disease
G
li Autori di questo lavoro hanno voluto indagare se l'epoca di esposizione
al glutine nella alimentazione del lattante
sia associata allo sviluppo di autoimmunità
correlata alla malattia celiaca (MC). Si è
trattato di una indagine prospettica condotta a Denver (Colorado, USA) nel periodo
1994 - 2004 e che ha riguardato 1560 bambini a rischio elevato di celiachia o di diabete di tipo 1 (1307 seguiti fin dalla nascita
perché con storia familiare di diabete tipo 1
individuata ai controlli e mediante screening HLA e 253 seguiti dal 2° al 3° anno di
vita). La definizione di soggetto a rischio dipendeva dall'essere portatore degli aplotipi
HLA DR3 o DR4 oppure familiare di primo grado di un soggetto con diabete di tipo
1. Una parte di questi bambini sono stati individuati attraverso uno screening genetico
nell'ambito dello studio cosiddetto DAISY
(Studio della Autoimmunità correlata al
Diabete nell'Età Giovanile).
L'interesse primario dello studio è stato
quello di valutare, dal momento della introduzione degli alimenti contenenti glutine
nella dieta, il tempo di sviluppo della autoimmunità correlata alla MC, definita come
positività per gli anticorpi anti-transglutaminasi (anti-tTG) a due visite successive
oppure positività isolata per gli anti-tTG e
quadro istologico compatibile con una MC.
Quale obiettivo secondario gli Autori hanno selezionato i casi di autoimmunità celiaca includendo solamente quei bambini con
biopsia positiva per celiachia (quadro pari o
superiore a 2, secondo la classificazione di
Marsh).
I risultati emersi dallo studio hanno evidenziato lo sviluppo di una autoimmunità
correlata a MC in 51 bambini; in particolare, nei soggetti geneticamente predisposti,
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l'esposizione al glutine durante i primi 3 mesi di vita determinava un rischio di sviluppare una autoimmunità correlata alla MC di
cinque volte superiore rispetto a coloro che
avevano introdotto il glutine tra il 4° ed il 6°
mese di vita. Tale rischio era invece aumentato soltanto marginalmente nei bambini
non esposti al glutine fino all'età di 7 mesi
od oltre, se confrontati con quei coetanei in
cui l'introduzione era avvenuta da 4 a 6 mesi. Considerando soltanto i 25 soggetti con
celiachia comprovata da biopsia ed autoimmunità ad essa correlata, è stato osservato
che l'introduzione di glutine nel primo trimestre oppure al 7° mese o oltre si associava ad un aumento significativo del rischio
di autoimmunità di celiachia rispetto ad una
esposizione avvenuta a 4 - 6 mesi. Sulla base di quanto sopra, dunque, gli Autori concludono che l'epoca di introduzione del glutine nell'alimentazione del lattante può influenzare la comparsa di autoimmunità di
MC nei soggetti a rischio elevato per tale affezione e, in particolare, che esiste un periodo finestra di esposizione al glutine prima e
dopo il quale sembra esserci, negli individui geneticamente predisposti, un aumentato rischio della suddetta autoimmunità celiaca.
Commento
Gli Autori di questo studio pongono alla ribalta una tematica divenuta negli ultimi tempi particolarmente cara sia agli
esperti del settore che, soprattutto, alle famiglie dei celiaci, ovvero se esista e quale
sia l'epoca migliore e più “sicura” per introdurre gli alimenti contenenti glutine nella alimentazione del lattante, specie in quelli a rischio (in quanto familiari di celiaci).
Alcuni studi, soprattutto quelli condotti
in Svezia, hanno evidenziato un effetto “protettivo” dell'allattamento materno sullo sviluppo della MC, ovvero una maggiore incidenza di celiachia nei bambini non alimentati al seno o per un breve periodo rispetto
ai coetanei non celiaci. Lo stesso gruppo di
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ricercatori ha altresì osservato che
l'introduzione del glutine quando
l'allattamento materno è già stato sospeso
si associa ad una aumentata incidenza di celiachia. Sebbene tali evidenze suggeriscano un possibile ruolo importante della alimentazione infantile nella eziologia della
MC, tuttavia alcuni limiti nel disegno di
queste indagini e la presenza di bias di selezione non hanno consentito fino ad ora di
giungere a conclusioni definitive e generalizzabili.
Il riscontro di una correlazione positiva
tra una precoce introduzione di glutine (primi 3 mesi di vita) e lo sviluppo di celiachia
nei soggetti predisposti si può facilmente
spiegare per l'esistenza, in tale epoca della
vita, di una certa immaturità della funzione
barriera della mucosa intestinale, con conseguente passaggio di gliadina anche in piccole quantità. Meno chiaro è invece il motivo per cui l'esposizione al glutine tardiva
(al 7° mese o anche oltre) si associ anch'essa allo sviluppo di celiachia. È verosimile
pensare che, nei bambini più grandi, il glutine venga introdotto in quantità e frequenza superiori, con conseguente maggiore disponibilità di gliadina in grado di attraversare la mucosa intestinale e quindi di attivare la cascata di eventi responsabili poi
delle alterazioni istologiche. È tuttavia necessario precisare che, quanto osservato
dagli Autori americani, non è estensibile ad
altri Paesi dove i tempi e le modalità per il
divezzamento possono essere differenti.
Il ruolo della alimentazione durante il
primo anno di vita quale fattore ambientale
potenzialmente in grado di influenzare lo
sviluppo della celiachia è divenuto ormai
argomento sul quale si sta focalizzando
l'interesse scientifico. A questo proposito, è
attualmente in corso in Italia (in collaborazione con i vari centri specialistici, la Associazione Italiana Celiachia che sta in parte
finanziando lo studio e la Società Italiana
di Gastroenterologia e Nutrizione Pediatrica) una indagine multicentrica, prospettica
e controllata volta a verificare, in un grup-
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po di lattanti a rischio (familiari di primo
grado di soggetti celiaci), se l'epoca di introduzione degli alimenti contenenti glutine nella dieta del lattante influenzi il rischio di sviluppare la celiachia.
Il disegno dello studio prevede, dopo il
4° mese e previa randomizzazione, la suddivisione dei lattanti arruolati in due gruppi in relazione al tipo di divezzamento:
1) gruppo A con glutine;
2) gruppo B con alimenti privi di glutine
fino all'età di 12 mesi compiuti.
A partire dal primo anno di vita, entrambi i gruppi seguono uno schema dietetico simile, comprendente anche i cereali
contenenti glutine. All'età di 15 mesi, tutti i
soggetti arruolati eseguono un prelievo
ematico per la ricerca dei geni di predisposizione per la celiachia (HLA-DQ2 e DQ8),
il dosaggio dei marcatori sierologici di celiachia (anticorpi antigliadina AGA-IgG
ed IgA ed anticorpi antitransglutaminasi
anti-tTG di classe A) e delle immunoglobuline sieriche. I soggetti con anti-tTG positività (o IgG-AGA positività e deficit delle immunoglobuline sieriche di classe A) sono invitati a sottoporsi alla biopsia intestinale
per confermare la diagnosi di celiachia.
Dato il notevole interesse che tale argomento ha suscitato sia nel mondo scientifico che “laico”, lo studio consentirà sicuramente di ottenere informazioni sufficientemente esaustive sul possibile ruolo della alimentazione nei familiari di primo grado dei
celiaci presenti nel nostro Paese.
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A cura del prof. Carlo Catassi
Consulente Scientifico di Celiachia Notizie
I.R.
Associazione Italiana Celiachia