Il ruolo dell`Italia nella raffinazione- Edgardo Curcio

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Il ruolo dell`Italia nella raffinazione- Edgardo Curcio
Il ruolo dell’Italia nella raffinazione
di Edgardo Curcio
(Bollettino "Energia ed Economia" - Maggio 2009)
Presentando i dati consuntivi e le previsioni sulle attività del Gruppo Eni, l’amministratore delegato Paolo Scaroni ha
così commentato la posizione del suo Gruppo nel settore downstream:
"per noi la divisione R&M è relativamente piccola, basta guardare i conti". Peraltro si prospettano "tempi difficili",
conseguenza del "calo vistoso dei consumi in tutta Europa, in particolare a due cifre nei paesi dell'Est Europa, e in
prospettiva le cose andranno anche peggio". Anche perché, "gli Usa progressivamente compreranno sempre meno
prodotti e, grazie a enormi investimenti, stanno entrando in funzione nuove raffinerie nei paesi produttori e nel Far
East". Per l'Eni "vogliano una capacità di raffinazione piccola ma iperefficiente, per benzina, gasolio e jet fuel e sempre meno olio combustibile". Comunque, "vogliamo guadagnare quote di mercato e soprattutto in Italia, continuiamo
a guadagnarle".
Questa dichiarazione, accanto ad altre notizie che vengono dalla Cina e da altri Paesi del Medio Oriente che parlano
di progetti per “megaraffinerie” di petrolio in costruzione per soddisfare la domanda crescente di carburante in queste
Regioni, mi spinge a fare alcune considerazioni sul ruolo che il nostro Paese ha avuto, fin dal dopo guerra, nel settore
della raffinazione e di quello che potrebbe avere nel nuovo scenario di offerta-domanda petrolifera, soprattutto nel
settore dei carburanti.
Iniziamo da un quadro generale per osservare che in quasi tutti i Paesi (incluso la Cina) la recessione economica ha
portato ad una forte contrazione della domanda petrolifera, anche nel settore dove più alta era la sua penetrazione e
cioè nel settore dei carburanti.
La crisi dell’auto che è stata fortissima in tutti i Paesi (soprattutto negli USA) sta provocando un terremoto su tutti i
fronti, compreso quello dei consumi di carburanti, ma più che altro sta provocando una serie di interrogativi su quale
sarà il futuro dell’auto negli Stati Uniti, ma anche in Europa, in dipendenza di alcuni fattori .
Il primo, la necessita di ridurre i consumi di carburante per km, per migliorare l’efficienza del settore automobilistico e
dei trasporti (il 40% dei consumi di energia va in questo settore). Il secondo di rendere meno dipendenti i Paesi
consumatori (in particolare gli USA e l’Europa) dal petrolio e dai paesi produttori.
Il terzo fattore è la necessità di ridurre le emissioni nocive, sia per l’uomo e sia per l’ambiente (gas serra) che l’auto
produce nel suo ciclo motoristico (sia con motori a scoppio sia diesel).
L’Unione Europea ma anche il Senato USA e vari Stati americani, hanno a tal riguardo già messo a punto legislazioni
che prevedono obblighi per riduzioni di emissioni auto nel tempo, che tendono a modificare le caratteristiche dei
carburanti utilizzati, ma anche a cambiare, migliorandole, le “performance” dei motori auto.
Queste nuove legislazioni metteranno progressivamente fuori mercato percentuali sempre più elevate delle attuali
auto, con la conseguenza che, da un lato si ridurrà il consumo di carburante per km percorso, perché le nuove
automobili saranno sempre più efficienti in termini di potenza, resa e consumo e, all’altro lato, cambieranno i modelli
e le caratteristiche delle nuove auto che potrebbero usare carburanti diversi da quelli tradizionali (biofuel, elettricità,
metano, etc.). Quindi avremo percentuali crescenti di bioetanolo e biodiesel (o in generale biofuels) nel mix dei
carburanti di origine fossile, spiazzando così quote di mercato del settore petrolifero con notevoli conseguenze anche
sul sistema di raffinazione.
Secondo recenti studi sull’impatto delle nuove direttive europee sia sul settore auto e sia su quello della raffinazione,
la situazione si presenta per i prossimi anni molto incerta e preoccupante.
Un primo approssimativo calcolo valuta in circa il 20% la riduzione della domanda di prodotti petroliferi (soprattutto
carburanti) in Italia al 2020, a seguito della nuova politica energetica europea che mira a ridurre i consumi e
migliorare le emissioni di CO2, con la diretta conseguenza di un minor utilizzo dell’attuale capacità di raffinazione
oggi esistente superiore ai 100 milioni di tonnellate che presenta un tasso di sfruttamento del 90%.
Ma questo rischio si aggiungono altri pericoli quali:
a) la possibile riduzione delle attuali quote di esportazione di prodotti finiti dalle raffinerie italiane (benzina e distillati
medi) sia verso l’Europa e sia verso gli Stati Uniti a causa di analoghe riduzioni di consumi di prodotti in queste
Regioni ed anche a causa di una maggiore concorrenza sui mercati internazionali (oggi coperti da prodotti delle
nostre raffinerie) da parte di raffinerie del Medio Oriente ed Asia in grado di fare prezzi più bassi;
b) il differente mix di prodotti richiesti dal settore trasporto in funzione del cambiamento del parco autovetture e dei
relativi motori;
c) il maggior costo delle lavorazioni in raffineria per standard ambientali più severi.
A tal proposito non è chiaro verso quali tipi di carburanti andrà l’industria automobilistica europea e statunitense.
Quest’ultima sembra sempre orientata verso le benzine con caratteristiche diverse per tenere conto del diverso tipo di
auto che verranno prodotte (es. monovolumi più piccoli ma con buona potenza e prestazioni). Non è però escluso
che una quota più consistente di biodiesel e sopratutto di bioetanolo sarà immessa sul mercato dei carburanti nei
prossimi anni negli USA e ciò anche a seguito della nuova politica energetica americana più autarchica e più
“risparmiosa” adottata dalla nuova amministrazione di Obama, spiazzando così
parte del mercato attuale della
benzina.
In Europa le case automobilistiche si attendono forti riduzioni dei consumi di carburante per chilometro e per auto,
e quindi più efficienza e migliori prestazioni dei motori che verranno costruiti.
La motorizzazione a benzina peraltro, in questo contesto avrà più possibilità di recuperare spazio rispetto al diesel
per avere più margine di efficienza.
Al riguardo le recenti statistiche sulla vendita dei carburanti in Italia confermerebbero che il fenomeno
“dieselizzazione” sta terminando e l’andamento delle vendite dei due prodotti si stia allineando.
Rimangono però tutte le incertezze sul futuro del nostro parco auto, vecchio e non molto efficiente che ora punta sulla
rottamazione e sugli incentivi per le auto ibride o con carburanti a basso impatto ambientale, per recuperare quote di
mercato.
Non dimentichiamoci infine il diverso livello di tassazione sui nostri carburanti che penalizza la benzina rispetto ai
prodotti concorrenti e che potrebbe essere un freno alla crescita del settore auto nel nostro Paese.
Il quadro quindi è quanto mai incerto e pieno di incognite per il settore della raffinazione in Italia per i prossimi 10
anni.
Consumi petroliferi in flessione; caratteristiche dei carburanti diverse a seguito delle norme europee; ed, infine, un
mix di prodotti provenienti dal barile di greggio (quale greggio non è facile dirlo) diverso da quello attuale (forse più
distillati medi e meno benzina) che porta ad un ciclo di lavorazione più severo e più caro per la necessità di nuovi
investimenti; tassi di utilizzo delle capacità di raffinazione più bassi o chiusura di impianti (vedi Livorno).
Molte, forse troppe, le incognite per ritenere che ci saranno ancora ampi margini per le compagnie petrolifere così
come verificatosi nel corso degli ultimi decenni.
Ma, accanto al reale pericolo di veder ridotta la domanda interna di prodotti petroliferi e di dover cambiare, anche con
nuovi investimenti, gli attuali sistemi ed impianti di raffinazione per venir incontro alle nuove specifiche ed ai nuovi mix
di prodotti richiesti dal mercato, c’è anche un altro rischio per la raffinazione italiana: quello di perdere il ruolo di
grande industria con forti percentuali di lavorazioni per c/estero riducendosi a semplice industria dedicata a
lavorazioni per il mercato interno.
In tal caso, il maggior danno lo subirebbero le grandi raffinerie costiere, nate essenzialmente per sfruttare le
economie di scala e di trasporto per competere sui mercati internazionali, lavorando greggio per c/ committenti
esteri.
Se il mercato sarà sempre più quello nazionale, le raffinerie più baricentriche e meglio organizzate con impianti
secondari più sofisticati, saranno quelle che più si avvantaggeranno rimanendo probabilmente con buoni margini,
mentre le altre raffinerie avranno costi logistici e di trasporto più elevati che ridurranno i loro margini.
Naturalmente in questo scenario va considerata anche la dinamica dei prezzi del petrolio e dei prodotti derivati.
Se quest’ultimi rimarranno, come già accaduto, più elevati dei prezzi del greggi in funzione dei rendimenti di
raffinazione e dell’andamento del mercato, allora i raffinatori potranno godere ancora di buoni margini di lavorazione.
Altrimenti la situazione potrebbe essere deludente e l’Italia potrebbe perdere un altro pezzo del proprio settore
industriale rimasto finora abbastanza competitivo e cioè quello della lavorazione del petrolio e dei suoi derivati.
In questo quadro, ancora pieno di ombre e di incertezze, sembrerebbe che la scelta dell’Eni di ridurre la propria
presenza nel settore della raffinazione in Italia sia opportuna e valida in quanto dettata da significative ed adeguate
valutazioni di natura economica e strategica sul futuro del mercato petrolifero downstream nel nostro Paese.
Edgardo Curcio