Strumenti amplificatori di risonanze emotive nel

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Strumenti amplificatori di risonanze emotive nel
Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
I “DIAPASON EMOZIONALI”
Strumenti amplificatori di risonanze emotive nel contesto delle
relazioni di aiuto
Scuola di Specializzazione Triennale in: ARTI TERAPIE
Relatore: dott.ssa Roberta Frison
Tesista specializzanda: dott.ssa Patrizia Savani
Anno di corso: secondo
Modena, 6 giugno 2009
Anno accademico 2008-2009
Istituto MEME s.r.l.- Modena Associato Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. - Bruxelles
PATRIZIA SAVANI – Scuola di Specializzazione Triennale in ARTI TERAPIE (2° anno) A.A. 2008/2009
Indice dei contenuti
1. Introduzione
1.1 Il linguaggio delle emozioni……………………………….3
1.2 Descrizione dei contenuti della tesi………………………..6
2. Pensiero paradigmatico e pensiero narrativo…………………..8
3. La trasformazione delle trame narrative a scopo
terapeutico………………………………………………………...12
4. I Diapason Emozionali ………………………………………….16
4.1 Fiaba Terapia……………………………………………...18
4.2 Poesia Terapia…………………………………………….26
4.3 Cinema Terapia…………………………………………...29
5. L’utilizzo dei diapason emozionali nei setting
di arte terapia …………………………………………………... 34
5.1 Mondi invisibili e mondi possibili
Laboratorio di Arte Terapia con utilizzo della fiaba………36
5.2 C’era una volta…me!
Laboratorio Arte Terapia con utilizzo della narrazione…...40
5.3 Oceano orizzonte
Laboratorio Arte Terapia con utilizzo della poesia……….43
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6. Considerazioni finali ……………………………………………46
7. Bibliografia ……………………………………………………...47
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1. Introduzione
1.1 Il linguaggio delle emozioni
Le
comportano
emozioni
sono
l’attivazione
esperienze
di
processi
multidimensionali,
fisiologici,
che
cognitivi,
motivazionali, espressivo-comunicativi e sociali. Esse organizzano il
mondo cognitivo-affettivo del soggetto, mediando il rapporto tra
organismo ed ambiente.
Le emozioni non sono separate dall’attività cognitiva, al contrario, le
più recenti acquisizioni in campo delle neuroscienze, tendono a
confermarle come aspetto particolare dell’atto cognitivo.
Il neuroscienziato A. Damasio (1995), sostiene nel suo celebre testo
L’errore di Cartesio, Emozione ragione e cervello umano, che esiste
un
continuum
di
momenti
emotivi,
linguistici
e
percettivi
nell’esperienza umana, un sistema interagente non riconducibile a
qualche ordine lineare.
Egli affida alle emozioni una funzione essenziale ai fini dell’attività
cognitiva razionale, ipotizzando addirittura un blocco del processo
decisionale nel caso di loro assenza o disequilibrio.
Processi emotivi e processi cognitivi sono attivati d’altra parte in un
contesto relazionale.
G. Bateson (1976), a questo proposito, sostiene che “le emozioni ci
parlano non di cose, ma di relazioni”, sottolineando questa loro
grande valenza comunicativa, fungendo da elemento di condivisione
nel contesto in cui vive il soggetto, la popolazione di appartenenza, la
sua cultura: esse abitano lo spazio transizionale (Winnicott, 1974)
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delle relazioni, essendo condivise da gruppi di individui all’interno di
matrici culturali diverse.
Il linguaggio delle emozioni è l’universo non verbale, simbolico, delle
immagini, che danno voce ai nostri vissuti, ai ricordi, alle paure: è il
linguaggio analogico dei colori, delle sinestesie, dei gesti e delle
azioni, che esprimono l’emozione del singolo ed insieme il sentire di
gruppi di individui interagenti in un determinato contesto di
riferimento.
Ogni percezione proveniente dall’ambiente o da uno stato interiore
dell’uomo o emergente dai suoi stati affettivi, viene rielaborata e
rappresentata in immagini.
J. Hillmann (1983), afferma che “non è l’uomo che va curato, ma le
immagini del suo ricordo, perché il modo in cui ci raccontiamo e
immaginiamo la nostra storia, influenza il corso alla nostra vita”.
W. Bion (1950), sostiene d’altra parte che l’immagine sia “l’unica
traduzione possibile dell’emozione”, donandole infatti una figurabilità
e rendendo pensabili dei patterns altrimenti taciti, inconsci.
Emozione ed immagine sono dunque profondamente interconnesse,
l’una alimenta l’altra, permettendo all’uomo di vivere l’esperienza del
“pensare per immagini”, che rappresenta una modalità metaforica di
elaborazione
delle
informazioni,
così
come
sperimentiamo
quotidianamente nei sogni.
L’uomo pensa usando immagini che emergono dal gioco relazionale,
dalle interazioni e dalla loro valenza emotiva. Esse vanno a costituire
dei veri e propri “schemi per immagini”, ossia delle strutture cognitive
ed affettive che alimentano le personali immagini mentali, rendendole
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prima visualizzabili e poi verbalizzabili.
Nell’immagine convivono d’altra parte forma, contenuto, processo,
archetipi, metafore e simboli delle dinamiche personali e relazionali
dei soggetti, assurgendo al ruolo di fondamentali mediatori di processi
emotivi nel contesto di una relazione d’aiuto.
Risulta ora chiaro come emozioni ed immagini siano a loro volta
indissolubilmente connesse ai concetti di consulenza e di terapia. Ciò
risulta tanto vero, che lo psicoterapeuta Antonino Ferro (1996) arriva a
dichiarare di vedere nelle immagini portate dai pazienti in seduta o
descritte nei loro sogni, dei veri e propri “pittogrammi”, ossia degli
affreschi della realtà così come loro la stanno vivendo nel qui ed ora
del contesto terapeutico.
La consapevolezza della profonda interconnessione esistente tra
processi cognitivi, emozioni, immagini, arte, processi trasformativi
consulenza e terapia, unitamente al desiderio di esplorare nuove
possibili risorse da utilizzare nel contesto di progetti arte terapeutici,
mi ha motivato ad approfondire la ricerca di quelli che ho liberamente
definito i “diapason emozionali”, ossia di tutti quegli strumenti
espressivi, fiabe, sequenze cinematografiche, poesie, biografie, che
possono diventare detonatori ed amplificatori di emozioni.
Oggetto del mio studio riguarda dunque l’approfondimento delle
potenzialità e peculiarità di tali strumenti terapeutici e delle tecniche
ad essi connesse, al fine di poterli utilizzare creativamente all’interno
di setting di arte terapia.
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1.2 Descrizione dei contenuti della tesi
Nelle pagine introduttive sono state descritte le emozioni,
insieme alla loro stretta connessione ai processi cognitivi e decisionali
dell’individuo ed è stato esplorato il linguaggio con cui esse vengono
espresse, che è il linguaggio analogico, non verbale, delle immagini.
Esse costituiscono, come descritto, fondamentali strumenti di
significazione e di intermediazione all’interno delle relazioni d’aiuto.
Nel
capitolo
2,
l’orizzonte
si
allarga
alla
descrizione
e
all’approfondimento teorico delle due coesistenti ed interagenti
modalità di pensiero: il pensiero narrativo, mediato dalle immagini e
dalla loro connessione con la matrice relazionale e sociale dell’uomo,
ed il pensiero paradigmatico, tipico del ragionamento razionale,
scientifico, a-temporale e lineare.
Si enunciano inoltre le più recenti teorie che descrivono il rapporto tra
realtà, narrazioni e vita mentale dell’individuo, nonché le nove
proprietà del pensiero narrativo, così come postulate da uno dei suoi
più famosi studiosi, Jerome Bruner (1991).
Nel capitolo 3, viene approfondito il ruolo del pensiero narrativo e
delle immagini, connesso ai concetti di trasformazione e di
cambiamento, legati a loro volta in modo stretto, secondo il modello
sistemico-relazionale, al concetto di apprendimento.
Dall’interconnessione di tali elementi, si approda all’utilizzo della
trasformazione delle trame narrative a scopi terapeutici, con la
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descrizione degli approfondimenti teorici e metodologici di C. Sluzki
(1991) e di M. White (1992).
Nel capitolo 4 si esplicitano ruolo e funzioni dei cosiddetti diapason
emozionali, denominazione fantasiosa attribuita a tutti quegli
strumenti e a quelle tecniche utilizzabili allo scopo di facilitare
l’attivazione di risonanze emotive e sinestesiche, utili a fini
trasformativi all’interno di setting di Arte Terapia o più in generale di
contesti terapeutici.
Nelle pagine a seguire, si approfondisce poi lo studio dei riferimenti
teorici e storici e delle possibili applicazioni pratiche dei principali
diapason emozionali, la fiaba, la poesia, il cinema.
Il capitolo 5 raccoglie il frutto delle considerazioni e delle premesse
precedentemente descritte, per ipotizzare l’uso dei diapason
emozionali all’interno di setting arte terapici, fornendo la descrizione
di alcune proposte di laboratori esperienziali.
Nelle considerazioni finali (capitolo 6) si esplicitano i miei futuri
programmi di intervento e di applicazione dei diapason emozionali ed
eventuali spunti di ricerca ad essi collegati.
Nel capitolo 7 si elencano tutti i riferimenti bibliografici utilizzati per
lo sviluppo della tesi.
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2. Pensiero paradigmatico e pensiero narrativo
L’interconnessione tra emozioni, immagini e terapia, è resa
possibile dalla facoltà della nostra mente di attingere fisiologicamente
alle risorse del pensiero narrativo. Esso rappresenta una forma di
narrazione mentale spontanea di eventi, una sorta di rielaborazione
della realtà, utilizzata sin da bambini e dagli adulti, per far fronte a
compiti adattivi connessi al mondo delle relazioni sociali, al fine di
dare un senso agli eventi, di riorganizzare le memorie ed il proprio
quotidiano, adattandolo ed integrandolo ai propri vissuti ed al proprio
contesto emozionale e cognitivo.
Il pensiero narrativo può anche essere definito un pensiero sociale,
perché si attiva soprattutto in contesti e situazioni sociali; i suoi
contenuti sono le azioni, caratterizzate da un dinamismo spaziotemporale, e le intenzioni, mediate da aspettative, credenze e
convinzioni personali e che rappresentano una vera e propria chiave di
lettura della narrazione, permettendo una concatenazione causale degli
eventi ai quali dona senso e significato.
A. Smorti (1994), insiste su questa valenza sociale del pensiero
narrativo,
sottolineandone
lo
scopo
di
fornire
al
soggetto
un’interpretazione ai fatti umani, attraverso la creazione di una storia
basata sull’intenzionalità degli attori e sulla sensibilità al contesto.
Secondo lo studioso, il pensiero narrativo è “linguisticamente
sintagmatico, nel senso che l’asse del suo linguaggio è orizzontale e
riguarda tutte le possibili opzioni sintattiche per concatenare le parole
o le frasi tra loro. Il pensiero narrativo è inoltre ideografico, nel senso
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che ricerca le leggi relative al caso singolo” (Smorti A., 1994).
Jerome Bruner (1986, 1990, 1991; cit. in Boscolo e Bertrando, 1993),
grande studioso del pensiero narrativo, lo distingue dal pensiero
paradigmatico, caratterizzato dall’uso di argomentazioni logiche, di
categorizzazioni e di un linguaggio coerente e non contraddittorio per
delineare e descrivere una realtà empirica.
Il pensiero paradigmatico è tipico del ragionamento scientifico e,
secondo la definizione di Smorti (Smorti A., 1994), esso “implica la
costruzione di classi di equivalenze, di gerarchie, di categorie con
rapporti di inclusività, di proposizioni libere dal contesto, formali,
astratte dal tempo. È nomotetico e paradigmatico. Fa uso di categorie
e di costrutti prestabiliti, generali e depositati in memoria…”.
Il pensiero narrativo utilizza invece il linguaggio metaforico,
simbolico, della similitudine, per descrivere racconti possibili, anche
se
non
necessariamente
scientificamente.
Il
pensiero
verificati
narrativo
logicamente
accoglie
o
tali
testati
racconti
immaginari in un orizzonte più ampio di possibilità o di punti di vista,
fino a creare e proporre nuovi mondi, ove siano sperimentabili,
almeno emotivamente, soluzioni differenti al proprio esistere.
Pensiero narrativo e pensiero paradigmatico non sono tuttavia in
contraddizione, ma si adattano e si attivano in contesti differenti.
Le narrazioni, permettono di passare da una logica predicativa, più
coerente con il pensiero paradigmatico, che analizza e contempla un
solo mondo per volta sviluppato in modo lineare, ad una logica
modale, che propone varie e sempre nuove soluzioni creative al
proprio vivere quotidiano. Esse rendono possibile la costruzione di
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una realtà al congiuntivo, contrapposta ad una realtà all’indicativo (J.
Bruner, 1991).
Lo studioso ci offre un’importante sintesi del rapporto esistente tra
realtà, narrazioni e vita mentale dell’individuo:
□ Egli sostiene anzitutto che il confronto con il quotidiano genera
narrazioni
mentali
(definite
implicite),
o
narrazioni
interpersonali (definite esplicite);
□ Tali narrazioni determinano il personale significato attribuito al
quotidiano stesso;
□ Il significato attribuito agli eventi modula a sua volta gli effetti
sulle future esperienze e sulle relazioni, in un processo ricorsivo
circolare in cui sono le storie raccontate piuttosto che gli eventi
oggettivi, a determinare significato ai propri vissuti;
□ Le narrazioni rappresentano cornici delle esperienze vissute dal
soggetto. Esse valorizzano alcuni aspetti e nel contempo ne
tralasciano altri in modo arbitrario;
□ Le storie di ogni individuo sono fortemente influenzate dai
racconti precedenti e dai cosiddetti temi predominanti nella vita
del singolo;
□ Le storie di ogni individuo possono essere influenzate anche
dalle narrazioni collettive del gruppo costituente il proprio
tessuto sociale.
Secondo J. Bruner (1991), la narrazione influenza significativamente
la percezione di Sé e guida atteggiamenti e comportamenti,
proiettando i suoi effetti sul futuro.
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Narrazioni ed identità del soggetto intrecciano dunque una relazione
profonda che si consolida nel rapporto con gli altri e nella produzione
delle cosiddette narrazioni cooperative.
Esse sono alla base di quella che G. Mantovani (1999) descrive come
costruzioni narrative dell’identità.
Approfondendo lo studio della narrazione, J. Bruner (1991) ne
identifica 9 proprietà. Esse sono:
1. La sequenzialità: ogni evento narrato è organizzato secondo una
sequenza spazio-temporale;
2. La particolarità: il contenuto della narrazione è un episodio
specifico;
3. L’intenzionalità: le intenzioni umane guidano le azioni;
4. L’opacità referenziale: le narrazioni non sono vere, bensì
verosimili e descrivono eventi possibili, più che reali;
5. La
componibilità
ermeneutica:
l’interpretazione
fornita
attraverso la narrazione delinea il legame tra i singoli eventi
della storia ed il tutto;
6. La violazione della canonicità: si presentano spesso eventi
inattesi che rompono lo schema della routine;
7. La composizione pentadica: in ogni narrazione si distinguono 5
elementi: attore, azione, strumento, scopo, contesto;
8. L’incertezza: essa deriva dall’espressione di uno dei mondi
possibili, quello risonante con il qui ed ora del narratore;
9. L’appartenenza ad un genere: il modo personale di narrare le
proprie storie rientra in alcune categorie letterarie.
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3. La trasformazione delle trame narrative a scopo
terapeutico
Le premesse appena descritte permettono di connettere più
approfonditamente i concetti di emozioni, immagini, pensiero
narrativo, con quello di consulenza e di terapia.
Nell’approccio sistemico-relazionale, in particolare, il processo
terapeutico è profondamente connesso a quello di trasformazione e di
cambiamento.
Il
concetto
di
trasformazione,
implica
dal
punto
di
vista
epistemologico, un mutamento più o meno vistoso della forma, che è
“il principio attivo di distinzione dell’essenza, dinamicamente
contrapposto a materia, sia nei dati esteriori che nei dati strutturaliorganizzativi” (Frison R., Bassoli F., 1998, pag.25)
Il cambiamento si innesta invece in un processo sostitutivo che
riguarda, in tutto o in parte, sia la sostanza che l’aspetto (Frison R.,
Bassoli F, op.cit.).
Secondo il modello sistemico, entrambi i concetti di trasformazione e
di cambiamento sono a loro volta interconnessi a quello di
apprendimento, che si realizza secondo un processo non lineare, bensì
circolare, in un contesto di deuteroapprendimento. Esso rappresenta il
livello due di apprendimento secondo la concezione di G. Bateson
(1976) ed implica una continua e dinamica co-costruzione della realtà.
I suoi ingredienti sono la costruzione, lo scambio e la negoziazione,
ossia elementi relazionali che non prescindono mai dal contesto
sociale in cui vive il soggetto.
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La terapeuticità dell’intervento deriva proprio dal saper innestare nel
paziente un processo di cambiamento, che nasce dalla co-costruzione
di storie alternative al proprio copione bloccato, attivando una
trasformazione terapeutica delle trame narrative.
Per fare questo, il terapeuta entra insieme al paziente, all’interno della
sua narrazione, agendo sui fattori tempo e linguaggio insiti nella
storia, al fine di poter co-costruire nuovi spazi, nuove esperienze e
nuovi significati al suo esistere, sbloccando la situazione patologica e
permettendo il recupero del dinamismo ad eventi cristallizzati non più
vitali e funzionali al benessere psicologico del paziente.
La trasformazione terapeutica implica dunque lo sblocco del nodo
conflittuale e la sperimentazione, a livello emotivo, sinestesico e
cognitivo, delle nuove immagini e trame narrative, partorendo la
propria “storia meglio formata”(C. Sluzki, 1991).
In queste situazioni il problema centrale del paziente può talvolta
trasformarsi in un problema secondario, o addirittura, in un nonproblema; in altri contesti può addirittura rivelarsi una risorsa
inaspettata.
Secondo C. Sluzki (1991), grande studioso del potere terapeutico delle
narrazioni, la trasformazione delle trame narrative in un progetto di
terapia o di consulenza, può riguardare due aspetti:
1) le trasformazioni nella natura delle storie:
In questo caso si fa leva sui fattori chiave della natura delle narrazioni,
che Sluzki identifica nel tempo, spazio, causalità, interazioni e valori.
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Le trasformazioni nel tempo, si ottengono a seguito del passaggio
terapeutico da una condizione statica, a-storica, ad una dinamica,
reintrodotta nel flusso vorticoso della vita. L’uso da parte del terapeuta
di un linguaggio appropriato e di domande circolari, permette lo
sblocco di queste situazioni di stallo del paziente.
Le trasformazioni nello spazio sono conseguenti al passaggio da una
situazione non contestuale, ad una cornice di accadimento
maggiormente definita e collocata.
Le trasformazioni nella causalità, derivano da un percorrere insieme
un cammino fino alle cause dei problemi, per ricercare una soluzione
creativa.
Le trasformazioni nell’interazione, permettono di modificare le
percezioni stabili e cristallizzate all’interno di relazioni fondamentali
del paziente, in valutazioni maggiormente sfumate e dinamiche, in cui
sono progressivamente abolite le etichette con le quali vengono
raffigurate mentalmente ed emozionalmente le persone e le interazioni
dominanti.
La trasformazione nei valori della narrazione implica il cambiamento
di attributi ed intenzioni.
2) le trasformazioni nella narrazione della storia:
Tali trasformazioni attivate dal terapeuta permettono di mutare
strategicamente la percezione del protagonista della storia da vittima
ad attore. Tale processo, che attiva il senso di responsabilità del
soggetto, può essere ottenuta attraverso l’applicazione della strategia
dell’esternalizzazione.
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M.White (1992, a cura di U. Telfener), propose per primo tale
approccio,
che
consente
la
trasformazione
del
sintomo
in
caratteristiche esterne, materializzate in un personaggio autonomo,
contro cui poter combattere ed interagire.
In questo modo si separa la persona dal suo problema, riducendo la
tensione emotiva del paziente e permettendogli in questo modo di
allargare le possibilità di trovare una soluzione al nodo conflittuale ora
esternalizzato.
A partire dagli studi di C. Sluzki (1991) e di M. White (1992), l’uso
del racconto biografico, definito anche metodo narrativo-biografico,
o terapia narrativa, è diventato un metodo oggi molto utilizzato in
ambito terapeutico e nei contesti di relazione d’aiuto, a fini
trasformativi e di sviluppo della consapevolezza (insight).
All’interno di sedute, preferibilmente di gruppo, il soggetto diventa
narratore e nel contempo attore del proprio Sé, offrendo continuità e
coerenza ai propri descritti vissuti.
Lo scambio e l’incontro con le narrazioni altrui, stimola poi la ricerca
di soluzioni creative al proprio vissuto, vivendo direttamente l’effetto
prodotto dal cambiamento dei propri schemi.
Oltre alla narrazione spontanea di vissuti attraverso la tecnica del
racconto biografico, sono nate nel tempo diverse microtecniche
trasformative, che attingono alle immagini e narrazioni prese in
prestito al mondo artistico.
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4. I Diapason Emozionali
La terapeuticità dell’arte consta nel permettere all’uomo,
attraverso le immagini e le narrazioni alle quali rimanda, l’apertura di
una finestra su un mondo altro, nel quale prendono forma diverse
alternative al proprio esistere e dove diventa possibile sperimentare
come alcune doti, quali ad esempio la volontà, il coraggio,
l’innovazione, possano determinare significative e quasi magiche
modificazioni nelle storie umane.
L’attivazione di tali processi, realizza l’esperienza di quella che
Bruner definisce una “colonia di Sé possibili”.
Non esiste un mondo oggettivo, bensì co-costruito attraverso la rete
delle relazioni, filtrato dalla personale osservazione, dalle esperienze
soggettive pregresse e dalle interconnessioni con ogni elemento
interiore od esteriore entri a far parte del contesto.
D’altra parte, come disse Nelson Goodman (1968), “scienza ed arte
sono due sistemi di costruzione del mondo”, non contrapposti, bensì
interagenti sinergicamente tra loro.
Nell’arte, le immagini parlano attraverso il linguaggio dei simboli che
veicolano, intrecciati in rapporti complessi e mediati dal contesto biopsico-sociale specifico di ogni individuo.
Esse occupano lo spazio transizionale del regno della fantasia, della
creatività, dell’arte e della vita simbolica, creando nuovi ponti
comunicativi utilizzabili a fini terapeutici, o promuovendo, come
abbiamo visto, lo sviluppo del benessere individuale, attraverso
l’attivazione di inaspettate soluzioni creative e trasformative delle
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storie personali.
Allargando ora l’orizzonte all’ambito applicativo, risulta facilmente
comprensibile come immagini prese in prestito a varie forme di
espressione artistica ed opportunamente selezionate da arte terapeuti,
psichiatri, psicologi o psicoterapeuti, possono essere utilizzate
all’interno di mirati progetti terapeutici e di setting arte terapici, quali
attivatori ed amplificatori di emozioni a scopo trasformativo,
assurgendo a ruolo di veri e propri “diapason emozionali”.
Le immagini emergenti dalla lettura di fiabe o di poesie, o quelle
evocate dal paziente all’interno di sedute di scrittura creativa, oppure
le immagini in movimento tipiche delle narrazioni filmiche, con il loro
intrinseco
potere
evocativo,
toccano
intensamente
la
sfera
dell’emotività, entrando in risonanza con esperienze, conflitti, desideri
e paure personali.
Si analizzano qui di seguito alcune tra le più rappresentative e
conosciute forme artistiche del nostro tempo, che possono essere
utilizzate a fini riabilitativi, terapeutici o come promotori di processi
stimolanti il benessere psicologico dei fruitori.
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4.1 Fiaba Terapia
“La fiaba agisce da ponte tra realtà ed immaginazione, tra corpo e pensiero, tra
materia e spirito, tra emisfero destro e sinistro. Gli archetipi contenuti nelle fiabe
agiscono su tutti i sensi”. (M. R. Parsi, Riza Scienze, 1990, n.38)
La storia della fiaba ha origini molto antiche. In Egitto sono
state ritrovate favole incise su papiri e stele; nelle opere di Platone si
legge che le anziane raccontassero ai bimbi seduti davanti al fuoco,
storie simboliche, o mythoi, connesse con la loro educazione alla vita.
Di certo, almeno fino al XVII e XVIII secolo, esse hanno
rappresentato una forma preziosa di intrattenimento e di occupazione
spirituale.
L’interesse scientifico per le fiabe inizia tuttavia a partire dalla fine del
XVIII secolo con gli studiosi Hamann e Herder (cit. in Le fiabe
interpretate M. L. Von Franz, 1980), che le ritennero portatrici di
simboli di una fede antica a lungo sepolta. Al tempo dei fratelli
Grimm nacque poi la scuola simbolica con Christian Heyne e Joseph
Gorres (cit. in M. L. Von Franz, 1980), i quali ipotizzarono che i miti
fossero l’espressione simbolica di realtà e pensieri filosofici o di
insegnamenti mistici su Dio ed il mondo.
Ludwig Laistner (1889), avanzò la tesi che i temi delle fiabe
derivassero dai sogni; vent’anni prima, un altro studioso, Adolf
Bastian (1868), correlava fiabe e miti con i pensieri elementari
dell’umanità, idea molto vicina a quella junghiana degli archetipi.
Da C. G. Jung in poi, fiorirono tante scuole basate per lo più
sull’interpretazione psicoanalitica delle fiabe e la fiaba-terapia.
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Si ricorda a questo proposito il lavoro di B. Bettelheim (1978), che
ripropone la visione della fiaba secondo il punto di vista junghiano,
attribuendole valore proprio, al pari dei sogni.
Ne Il mondo incantato, Bettelheim (1978), educatore e psicoterapeuta
infantile, riconosce alla fiaba il potere di recare importanti messaggi
alla mente conscia, preconscia ed subconscia, assurgendo ad archetipi
universali e offrendo nuove dimensioni all’immaginazione del
bambino, dimensioni che egli non potrebbe scoprire da solo.
Secondo lui, la forma e la struttura della fiaba suggeriscono al
bambino immagini per mezzo delle quali egli può strutturare i propri
sogni ad occhi aperti e con essi fornire una migliore direzione alla
propria vita.
Egli ricorda come miti e fiabe possano assurgere a questo compito, ma
in modo sostanzialmente diverso: i miti offrono soluzioni confezionate
e statiche, mentre le fiabe sono allusive, ossia propongono possibili
scenari di svolta, mai esplicitati in modo chiaro, ma permettendo al
bambino di lavorare liberamente con la propria fantasia , decidendo se
e come applicare a se stesso quanto viene rivelato dalla storia circa la
vita e la natura umana.
Anche le terapeute Verena Kast (2006) e Marie-Louise Von Franz
(1980), seguono questo modello teorico di riferimento.
Al di là delle correnti di pensiero ed oltre i modelli del filone
tipicamente interpretativo, appare certo che la lettura di brani di fiabe
popolari, oppure le narrazioni fantastiche liberamente inventate dal
paziente nel contesto di sedute di fiabazione e di scrittura creativa,
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possono diventare all’interno di un progetto terapeutico, come
abbiamo visto, potenti strumenti di evoluzione personale e di
trasformazione interiore, in grado di esprimere tutto il loro prezioso
potenziale nella cornice e nello spazio rappresentativo e specifico del
racconto fantastico.
Tuttavia, mentre l’immaginario e la fantasia non specificamente
indirizzate rappresentano un mare illimitato e senza confini con cui
arricchire il quotidiano in modo piacevole, ma senza valenza
terapeutica, la fiaba opportunamente scelta dal terapeuta ed inserita
all’interno di un articolato progetto, veicola simboli e contatta
archetipi più definiti e contenenti temi-chiave spesso condivisi dagli
individui, che consentono di indirizzare attenzioni specifiche e
conseguentemente di donare una finalità all’immaginario stesso,
incanalando e circoscrivendo la fantasia all’interno di una specifica
area d’azione, fonte preziosa di informazioni con cui poter formulare
ipotesi nel contesto terapeutico.
Come afferma P. Santagostino (2006), “la fiaba è un materiale di cui
siamo fatti: il nostro corpo è fiaba, la nostra immagine esterna, i
nostri interni sono fiabe. E fiaba è l’odio e l’amore, gli incontri e gli
addii… Fiaba è il tema, come motivo musicale conduttore, delle
nostre vite… sono strade nel viaggio della vita, della conoscenza,
della consapevolezza”.
La fiaba è un’immagine in movimento, che esprime le forze in gioco e
le sue relazioni e permette di rivelare al terapeuta ogni elemento che
non passa attraverso il linguaggio digitale. È una sorta di prodotto
intermedio tra una comunicazione verbale ed un sogno.
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Nella struttura della fiaba è possibile riconoscere la composizione
pentadica della narrazione (Bruner, 1991), cui si faceva cenno nel
paragrafo precedente:
attore (protagonista, eroe); azione (l’evento specifico); strumento (la
bacchetta magica, ecc.); scopo ( viene sempre esplicitato l’obiettivo
dell’eroe,
come
il
conquistare
la
principessa
e
liberarla
dall’incantesimo, o vincere draghi, ecc.); contesto (il luogo ed il
contesto sociale in cui si iscrive la storia, come la foresta incantata,
oppure la corte del re, ecc.). Elemento comune a tutte le narrazioni
fiabesche è rappresentato dall’apparire di una situazione imprevista
(principio della violazione della canonicità, Bruner, 1991), che porta
inevitabilmente il personaggio a vivere il passaggio da una condizione
di quiete, ad un’altra migliore, attraverso il superamento di una serie
di ostacoli ai quali fa fronte con coraggio e determinazione.
Anche il racconto libero del paziente segue più o meno queste
proprietà della narrazione, tuttavia, mentre la narrazione classica di
una fiaba conduce, attraverso il superamento delle mille peripezie e
colpi di scena, generalmente ad un lieto fine, la storia “malata” del
paziente si è fermata ed inceppata nel nodo critico, non riuscendo più
ad evolvere.
È a questo punto che il terapeuta entra in azione, conducendo per
mano il paziente non tanto per suggerirgli soluzioni confezionate,
quanto per offrirgli gli strumenti attraverso i quali giungere
autonomamente al superamento dell’impasse e permettere alla sua
storia di procedere oltre, orientandosi verso una qualunque forma
positiva.
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L’arte del fiabare (l’action fabuleux) all’interno di sedute di fiabaterapia, significa dunque “agire la fiaba”, ossia viverla sia a livello
personale che relazionale, per conseguire l’insight, che prelude ad una
trasformazione della narrazione a scopo evolutivo.
La potenzialità terapeutica della fiaba risiede anzitutto nel suo potere
evocativo e nel suo collocarsi in un “altro spazio” e in un “altro
tempo”, che consente al paziente di esprimere senza paura le proprie
emozioni e conflitti, allontanando il timore del giudizio e l’urgenza di
una loro risoluzione pratica.
Nel “c’era una volta”, che tanti studiosi di mitologia definiscono
l’illud tempus, si può giocare la possibilità di vivere in libertà e con
sano distacco le situazioni suggerite dalla narrazione fantastica,
restando fuori dalla realtà ordinaria, ma rendendo al contempo la
nostra mente testimone delle tematiche inconsce emerse e dei processi
profondi di trasformazione innescati.
Un altro importante elemento di terapeuticità della fiaba è
rappresentato dall’induzione spontanea di processi psicologici di
proiezione e di identificazione con l’eroe, che porta il soggetto ad
essere testimone di una realtà illusoria giocata da un terzo, ma
comunque sperimentabile direttamente con i sensi, una realtà in cui
alla fine tutto diventa possibile e magicamente realizzabile, a fronte
del superamento dei peripéteia (peripezie), assimilabili alle difficoltà
del quotidiano, risolte attraverso la messa in atto di soluzioni creative
inaspettate e sempre nuove.
All’interno della cornice della storia fiabesca, il paziente sperimenta
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attraverso la sua identificazione con l’eroe o il protagonista del
racconto, che ogni situazione può cambiare rapidamente, che
l’apparente unica realtà si trasforma in uno degli infiniti mondi
possibili, arricchendosi all’improvviso di nuove alternative da giocare,
magari al semplice tocco di una bacchetta magica, oppure al rituale
rintocco di un orologio.
D’altra parte, il ricco mare di simboli e di azioni metaforiche
contenute nelle fiabe, costituisce già di per sé per il paziente un
“andare oltre” ai propri presunti limitati confini e questo potrà essere
successivamente sperimentato anche nella sua realtà quotidiana, grazie
alla traduzione metaforica dei contenuti simbolici della narrazione.
Nelle sedute di fiaba-terapia è possibile selezionare e leggere alcune
sequenze di fiabe classiche contenenti simbolicamente il nodo
conflittuale del soggetto e successivamente invitare il paziente a
fissare e tradurre le immagini evocate dalla lettura, attraverso i mezzi
espressivi più vicini a lui, quali la pittura, il disegno o tramite la loro
drammatizzazione; in alternativa, si può chiedere al paziente di
riscrivere nuovamente la fiaba, ripercorrendola, trasformandola e
modificandola liberamente secondo il proprio sentire, donandole un
nuovo titolo, sigillo della personale possibilità di elaborare
creativamente le proprie emozioni e di trasformarle all’interno del
contesto narrativo.
Tante sono le possibilità applicative a scopo terapeutico delle fiabe.
P. Santagostino (2006), psicoterapeuta specializzata in medicina
psicosomatica, utilizza l’arte della fiabazione spontanea per arrivare
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alle radici del disturbo fisico del paziente e sbloccarne l’energia
attraverso il ri-raccontarsi in forme nuove.
In altri contesti terapeutici, se la situazione di stallo narrata permane e
la fiaba non può procedere spontaneamente verso un finale gradevole,
la Santagostino (2006), utilizza la tecnica del fare ripercorrere a
ritroso la storia dei singoli personaggi-attori compresenti nel momento
critico o drammatico, aiutando il soggetto a trovare autonomamente le
radici dell’impasse ed a superarle in modo creativo, attraverso una
rilettura giocosa delle relazioni tra i protagonisti della storia.
In tutti i modelli e casi descritti in bibliografia, l’inventare, il creare, il
costruire nuove storie, rappresenta in ogni caso per il paziente il
presupposto per attivare un profondo cambiamento interiore e per
sviluppare un’intelligenza emotiva e creativa (D. Goleman, 1996).
Attraverso l’atto dello scrivere la propria fiaba, si assiste infatti
all’attivazione dell’emisfero destro del cervello, che proietta il
paziente in una dimensione di rilassatezza, di creatività, di
disponibilità e di apertura, che lo aiuta a dar voce alla propria
interiorità, creando un privato spazio rappresentativo in cui attivarsi e
sperimentarsi in modo nuovo.
La fiaba-terapia è indirizzata soprattutto agli adulti, sia in ambito
preventivo o terapeutico di stati ansiosi, che in ambito di sviluppo
personale e di promozione e terapia del benessere emotivo e
psicologico dei soggetti.
Nei bambini e negli adolescenti può essere invece un valido ausilio
educativo all’interno di progetti più ampi di arti terapie volti a
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stimolare l’espressività, il riconoscimento e l’accettazione delle
proprie emozioni con finalità evolutive e di aumento della
consapevolezza.
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4.2 Poesia Terapia
La poesia, sia essa espressa in versi sciolti, o in rima, o in
sonetti, o in forma libera, o recitata su una musica, con il suo naturale
potere liberatorio, rappresenta sin dalla notte dei tempi la forma più
pura e spontanea di narrazione dell’anima, utilizzata per esprimere le
profonde emozioni personali e sociali e trasformarle in immagini
mentali condivise.
È l’espressione corale dei sentimenti che albergano nel cuore degli
uomini veicolati dall’utilizzo del pensiero narrativo, tanto importante
come abbiamo visto, ai fini di riorganizzare le memorie e di conferire
un senso alle emozioni universalmente riconoscibili.
La poetry-therapy, o poesia-terapia, o psicopoetry, è una metodologia
creativa facente capo a precisi riferimenti teorici e fondata su
specifiche tecniche idonee, che utilizza versi poetici selezionati dal
terapeuta con finalità di incrementare la consapevolezza e di
supportare stati emotivi e cognitivi importanti per il recupero del
benessere psicologico delle persone.
Tale metodologia applicativa, orientata ad adulti ed adolescenti, deve
essere condotta da terapeuti esperti, formati in modo specifico ed
accurato su aspetti di psicologia applicata, di comunicazione e di
poesia.
Nella Poesia Terapia si parte dal colloquio motivazionale e
dall’assessment, volto ad indagare la situazione psicologica del
paziente, con l’ausilio di una seduta di lettura o di scrittura poetica;
dopo la sottoscrizione del contratto terapeutico, si prosegue con un
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percorso a progetto condiviso, che utilizza tecniche di autoosservazione guidata e si conclude con una rielaborazione finale del
lavoro svolto e dei risultati ottenuti, fino all’esplorazione poetica autovalutativa di fine percorso.
Come nella Fiaba Terapia, così anche nella Poesia Terapia il paziente è
sollecitato ad esprimere le emozioni scaturite dai versi poetici,
attraverso
tecniche
varie
artistico-creative,
letterarie
o
di
drammatizzazione, di canto o di danza.
Uno dei programmi di Poesia Terapia più conosciuti è il metodo Ten
Poetry di M. Monaco (2006), che prevede un percorso in dieci fasi: si
parte da sedute di auto-percezione e di rilassamento, per poi
svilupparsi attraverso tecniche di esplorazione dei vissuti più
importanti dei pazienti. Nelle varie fasi di questa metodologia, la
poesia può essere via via affiancata alla cromoterapia, alla danza, al
canto e all’uso di rituali simbolici di passaggio che sanciscono i
processi trasformativi in atto.
Nel percorso di Poesia Terapia, si utilizza spesso efficacemente la
compilazione di diari di bordo da parte dei pazienti, con l’obiettivo di
fissare e di documentare i risultati terapeutici e di esplorare insieme al
terapeuta le tappe del percorso vissuto e delle trasformazioni
osservate.
Le principali tecniche psico-poetiche utilizzabili all’interno di percorsi
individuali o di gruppo, sono:
□ La scrittura poetica primitiva, che ricostruisce in chiave
poetica, la situazione emotiva iniziale e finale del paziente
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attraverso l’uso di alcune “parole chiave” che inneschino il
processo introspettivo e narrativo;
□ La poesia simbolica, utilizzata soprattutto in momenti critici di
passaggio e di cambiamento per il paziente: si chiede al
soggetto di comporre una creazione poetica in grado di
descrivere in forma simbolica e metaforica le emozioni provate
nel momento delicato vissuto;
□ La poesia immaginativa, utile per affrontare situazioni
ansiogene o di paura, propone letture di poesie in grado di
promuovere una rilettura del Sé in chiave positiva;
□ L’eco poetico, è una tecnica mediante la quale viene proposta al
paziente la scrittura libera di poesie, sull’onda emotiva scaturita
dalla precedente o contestuale lettura di selezionati brani poetici
da parte del terapeuta;
□ La poesia biografia, utilizza la libera narrazione in versi di
situazioni molto rappresentative del Sé del paziente, attraverso
tecniche
di
auto-percezione
ed
etero-percezione:
tale
metodologia sembra risultare molto utile nel migliorare alcune
situazioni di conflitto tra coniugi o tra genitori e figli.
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4.3 Cinema Terapia
Il Cinema è un’arte relativamente moderna con caratteristiche
peculiari, ma è soprattutto un’arte corale tra le più forti ed evocative,
ricca di codici iconografici (Casetti e di Chio, 1991), ossia di modalità
comunicative, che “… regolano la costruzione di figure complesse,
ma fortemente convenzionalizzate e con un significato fisso”. Le
narrazioni realizzate attraverso le immagini filmiche, intensamente
simboliche, ci parlano attraverso il linguaggio metaforico del come se,
spalancando all’osservatore i cancelli su nuovi mondi possibili.
Secondo Leonardo Ancona (1977), nell’inconscio dell’uomo “ciò che
è rappresentato fantasticamente è uguale come se fosse avvenuto
realmente. La realtà è uguale alla fantasia per l’inconscio; la fantasia
la protagonista inconscia che ci fa agire, ricordare e che ci fa
percepire le cose così come non sono”.
Cinema e fantasia, cinema e sogno, hanno d’altra parte avuto da
sempre legami molto forti.
Georges Méliès, pioniere della regia francese, già nel 1902 con il suo
“Le Voyage dans la Lune”, aveva inaugurato un uso del cinema come
macchina dei sogni, differenziandolo nettamente dalla fruizione
meramente documentaristica che aveva connotato i suoi albori.
P. Pancheri (2000) spiega che durante la proiezione filmica, si verifica
una terza condizione di attivazione neurofisiologica della coscienza,
oltre a quella di veglia e di sonno sognante, che lui definisce di
“veglia sognante”; essa conduce lo spettatore fuori dalla realtà
quotidiana, in modo molto simile a ciò che può sperimentare ogni
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notte durante le fasi REM di sonno sognante.
Il buio della sala cinematografica, la polarizzazione dell’attenzione
dello spettatore sul tema dominante della storia, i meccanismi
psicologici spontaneamente attivati di regressione, di amplificazione,
di interiorizzazione e senso di connessione e appartenenza alla
vicenda narrata, di proiezione e di identificazione con il protagonista
della trama, la passività e la scarsa possibilità di interferenza da parte
di stimoli esterni, sono tutti fenomeni ulteriormente esaltati dal codice
iconico, ossia dal sofisticato linguaggio per immagini in movimento e
dalle precise tecniche di montaggio e dei primi piani.
Come sostiene A. Mercurio (1995), “i caratteri di questo nuovo
alfabeto non sono più le lettere o le singole immagini, ma funzioni
psicologiche
trasfigurate
nel
nuovo
lessico
del
montaggio:
selezionare, scomporre, assemblare, tagliare ed incollare”. E,
aggiunge M. Vinella (2002), “il vedere multimediale non solo unifica
parole, suoni, immagini, ma introduce nel visibile le realtà simulate e
le realtà virtuali”.
Tali effetti indotti dalla visione cinematografica, nel loro complesso,
innescano dunque nello spettatore, un potente effetto catartico, che
ricorda alcuni processi di guarigione arcaici, come le cosiddette
guarigioni per incubazione, che si svolgevano in speciali grotte sacre,
sia in Africa, che in antico Egitto o in Grecia, o negli antichi villaggi
nuragici in Sardegna, in cui veniva indotto al paziente un “sonnoincubatore”,
da
parte
di
sacerdoti
solitamente
preposti
all’oniromanzia, con il fine di generare in lui fenomeni di catarsi,
liberazione e guarigione.
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Nell’intento di applicare la potenza simbolica dell’immagine
cinematografica a contesti di psicoterapia, l’équipe del prof. Vincenzo
Maria Mastronardi (2005) inizia a strutturare, a partire dal 1989, una
ricerca
sistematica
delle
immagini
filmiche
potenzialmente
terapeutiche, dando vita agli albori della “Film Terapia”.
Essa si struttura tuttavia in modo compiuto ed articolato a partire dai
primi anni ’80, ad opera del prof. Antonio Mercurio (1995), che
insieme a Paola Mercurio e successivamente ai collaboratori
Gianpiero Ciappina e Paola Capriani (2007), danno vita ai laboratori
di
Sophia-Art e di Cosmo-Art della Sophia University of Rome
(S.U.R.),
fondati
sui
principi
teorici
della
Antropologia
Personalistica Esistenziale. Essa utilizza l’arte del Cinema, con la sua
peculiare grammatica per immagini, a fini evolutivi e terapeutici,
stimolando i soggetti a diventare artisti della propria vita.
Approfondendo la sintesi tra linguaggio dell’arte e linguaggio della
creatività, la Cinema Terapia si discosta dunque nettamente
dall’utilizzo del cinema a fini ludici o di intrattenimento, per assurgere
a valido strumento terapeutico con funzione di aiuto e di sostegno per
tutti coloro che desiderino realizzare un percorso evolutivo e di
crescita personale.
La Cinema Terapia utilizza le emozioni grezze emergenti dalla visione
di determinate sequenze filmiche, selezionate dagli esperti in funzione
del loro carico evocativo, simbolico ed allegorico, per attivare un
percorso di elaborazione, espressione e trasformazione delle immagini
scaturite, innescando processi di cambiamento interiore profondo e di
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acquisizione di nuove competenze.
In tale percorso di gruppo, di tipo seminariale ed esperienziale, i
partecipanti vengono stimolati ad esprimere le emozioni evocate dai
film selezionati in funzione di una ben precisa tematica centrale, o
chiave di lettura, attraverso le varie tecniche derivate dalle arti terapie,
come la danza, il teatro, il canto, la musica, la pittura o il disegno. Con
l’aiuto del gruppo, si lavora sulla lettura trasversale dei contenuti
narrativi del film e sulla successiva trasformazione delle difficoltà e
del disagio in atto creativo ed artistico, al fine di realizzare una nuova
forma di bellezza, la cosiddetta bellezza seconda (A. Mercurio, 1995),
che scaturisce da atti di consapevolezza che portano alla produzione
concreta di emozioni liberatorie ed appaganti.
La metodologia seguita dalla Cosmo-Art e Sophia-Art fa riferimento,
come detto, ai fondamenti teorici dell’Antropologia Personalistica
Esistenziale ideata dal prof. A. Mercurio; essa segue il filone delle
scuole esistenziali e sistemiche, fondate sul pensiero intuitivo e
qualitativo, piuttosto che su quello razionale-quantitativo.
Durante i seminari esperienziali di Cinema-Terapia, si fa largamente
uso dell’ironia, del paradosso, dell’auto-ironia, per esasperare e
simbolizzare in tono bonario i propri percepiti limiti e per trovare poi
una originale ed ironica ridefinizione del Sé, all’interno di una cornice
accogliente e protetta, di uno spazio potenziale non giudicante, ove, in
un clima ludico di leggerezza e di condivisione, l’impossibile viene
gradualmente sostituito dal possibile.
La Cinema Terapia si iscrive nell’ambito degli strumenti utili nella
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prevenzione del disagio e nella psicologia del benessere dell’adulto e
dell’adolescente, intervenendo soprattutto sull’area relazionale e
sviluppandosi principalmente come percorso di auto-conoscenza, di
consapevolezza e di trasformazione interiore.
L’interesse crescente nei confronti di questa recente metodologia, ha
portato negli ultimi anni vari autori a redigere articoli o testi di
filmografia e di psicofilmografia, con l’intento di orientare il lettore
alla selezione delle pellicole cinematografiche in funzione delle
tematiche affrontate (bullismo, violenze in famiglia, conflitti
coniugali, ecc.), o dei significati simbolici in esse rappresentati.
Nella bibliografia sono citati alcuni riferimenti interessanti di
filmografia e di psicofilmografia.
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5. L’utilizzo dei diapason emozionali nei setting di arte
terapia
Descrizioni di possibili laboratori.
L’approfondimento teorico descritto nelle pagine precedenti mi
ha suggerito l’elaborazione di possibili progetti e laboratori arte
terapici, con utilizzo dei diapason emozionali, che mi propongo di
mettere in pratica nei prossimi mesi all’interno di contesti terapeutici
condivisi in équipe.
Nelle pagine a seguire si descrivono metodi, tecniche e modelli
relativi a progetti di futura applicazione e quindi passibili di
cambiamenti ed aggiustamenti a seguito delle necessarie verifiche in
itinere.
Per tutte le sotto descritte ipotesi di laboratorio di arte terapia, farò in
ogni caso ricorso alle procedure generali di seguito elencate:
Schema delle procedure:
a) presentazione del caso in équipe;
b) condivisione con gli operatori in équipe delle ipotesi relative al
caso;
c) elaborazione progetto arte terapia;
d) condivisione della rete di interventi sul caso descritto;
e) esplicitazione progetto al paziente e consenso al trattamento;
f) allestimento setting e materiali in funzione dei casi trattati e delle
tecniche utilizzate;
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f) sedute di arte terapia: numero: variabile da caso a caso; tempo:
generalmente un’ora e mezza per seduta; cadenza: di norma una
volta la settimana.
g) sedute di verifica con supervisione all’inizio, in fase centrale ed al
termine del percorso;
h) verifiche del progetto in rete in corso all’interno di riunioni di
équipe e poi con il paziente ed eventuale abbandono della ipotesi, con
riformulazione e ricondivisione delle nuove ipotesi;
i) dimissioni;
l) incontri catamnestici.
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5.1 Mondi invisibili e mondi possibili
Laboratorio di arte terapia con utilizzo della fiaba
Modello di riferimento: il modello generale di intervento è quello
sistemico-relazionale. La produzione dell’oggetto artistico come
mediatore di processi trasformativi attinge al modello di D. Winnicott.
Ambito di intervento: area della prevenzione del disagio e del
benessere, contesto terapeutico dei disturbi somatoformi e dell’ansia
generalizzata.
Possibili fruitori: adulti e adolescenti.
Obiettivi di intervento: aumentare la consapevolezza di Sé, liberare,
riconoscere e gestire le emozioni, trasformare le trame narrative
individuali a fini terapeutici o preventivi.
Procedure generali e di conduzione: descritte sopra.
Allestimento del setting:
1) il laboratorio: spazio accogliente, ben organizzato con carrelli dei
materiali disposti ordinatamente al centro della stanza;
2) Materiali: materiali di recupero vari, plastilina, tempere, acrilici,
pennelli
di
varie
dimensioni,
spugne,
accessori
(piatti,
bicchierini,ecc.), matite colorate, gessetti, pennarelli di vari colori,
coline, carta e cartoncini tipo Bristol di vari colori e dimensioni.
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Metodo: laboratorio di gruppo (una decina di partecipanti) con
compresenza del conduttore e di un osservatore partecipante;
descrizione consegna; lettura del brano di una fiaba selezionata;
laboratorio espressivo; restituzione di gruppo.
Tecniche e procedure operative: desunte dalla Fiaba Terapia:
accoglimento dei partecipanti in una cornice empatica ed accogliente;
rituale di inizio con breve fase di rilassamento facilitato da un
momento
di
riduzione
della
intensità
dell’illuminazione
nel
laboratorio; lettura di un brano di una fiaba selezionata, che funge da
catalizzatore ed attivatore di risonanze emotive e sinestesiche;
successivo laboratorio espressivo con utilizzo mezzi pittorici e
materiali di recupero messi a disposizione; dopo la fase espressiva è
possibile proporre una eventuale riscrittura individuale della fiaba con
assegnazione nuovo titolo; oppure è possibile proporre una
drammatizzazione dei vissuti con lavoro di gruppo.
Brano selezionato utilizzabile:
Fedora
Al centro di Fedora, metropoli di pietra grigia, sta un palazzo di metallo
con una sfera di vetro in ogni stanza. Guardando dentro ogni sfera si vede
una città azzurra che è il modello di un'altra Fedora. Sono le forme che la
città avrebbe potuto prendere se non fosse, per una ragione o per 1'altra,
diventata come oggi la vediamo. In ogni epoca qualcuno, guardando
Fedora qual era, aveva immaginato il modo di farne la città ideale, ma
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mentre costruiva il suo modello in miniatura già Fedora non era più la
stessa di prima, e quello che fino a ieri era stato un suo possibile futuro
ormai era solo un giocattolo in una sfera di vetro. Fedora ha adesso nel
palazzo delle sfere il suo museo: ogni abitante lo visita, sceglie la città che
corrisponde ai suoi desideri, la contempla immaginando di specchiarsi
nella peschiera delle meduse che doveva raccogliere le acque del canale
(se non fosse stato prosciugato), di percorrere dall'alto del baldacchino il
viale riservato agli elefanti (ora banditi dalla città ), di scivolare lungo la
spirale del minareto a chiocciola (che non trovò più la base su cui sorgere).
Nella mappa del tuo impero, o grande Kan, devono trovar posto sia la
grande Fedora di pietra sia le piccole Fedore nelle sfere di vetro. Non
perché tutte ugualmente reali, ma perché tutte solo presunte. L'una
racchiude ciò che è accettato come necessario mentre non lo è ancora; le
altre ciò che è immaginato come possibile e un minuto dopo non lo è più.
da: Le Città Invisibili di Italo Calvino, 1972
Motivazioni della scelta del brano:
L’opera Le città invisibili di Italo Calvino (1972), può essere definita
un romanzo metanarrativo, poiché spinge il lettore a riflettere sulla
narrazione stessa, il suo linguaggio e le sue modalità espressive,
fortemente evocative.
Protagonista della raccolta di narrazioni è Marco Polo alla corte
dell’imperatore dei Tartari, Kublai Khan, al quale egli fornisce,
attraverso i suoi dispacci, descrizioni minuziose ed intense di città
esistenti solo nella sua fantasia. Marco Polo riesce a guardare dove
tutti gli altri non guardano, evoca dettagli che ad altri paiono invisibili.
Fedora, tratto dal romanzo, è una di queste città invisibili ai più, la cui
descrizione
rimanda
al
lettore
una
matrioska
di
immagini
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rappresentanti gli innumerevoli ed infiniti mondi possibili all’interno
dello stesso mondo. Fedora è stata pensata e voluta da Marco Polo,
solo per questo essa è da considerarsi vera. Nel centro della città, c’è
un museo delle possibilità, che ospita innumerevoli immaginate città
alternative a Fedora, mille versioni di essa, ciascuna delle quali si
trova racchiusa in una sfera di vetro.
Ognuno è creatore del proprio mondo, così come lo scrittore lo è dei
suoi romanzi: la metafora suggerita dall’opera permette quindi di
evocare e di vivere nell’espressività tali molteplici ed alternativi
contesti di esistere e di presentarsi al mondo. Essa può dunque
risultare una esperienza fortemente liberatoria, che suggerisce il
grande potenziale trasformativo insito in ognuno di noi.
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5.2 C’era una volta… me!
Laboratorio di arte terapia con l’utilizzo della libera narrazione
Il laboratorio, riferito al medesimo ambito ed obiettivi di
intervento e di possibili fruitori di quello precedentemente descritto,
utilizza le stesse procedure generali e propone anche la scelta degli
stessi materiali.
Tempo: 2 ore
La tecnica qui utilizzata prevede la libera narrazione creativa, in un
contesto di gruppo, della propria personale favola, scritta e poi
verbalizzata a turno. Il racconto della storia è stimolato dal potere
evocativo suggerito da un avvio attivato dal conduttore.
L’arte terapeuta legge solo poche righe iniziali di una fiaba selezionata
od inventata, ricca di connotati molto evocativi, del tipo: “ C’era una
volta il magico paese di Serendipity, ove tutto ciò che era solo pensato
dai suoi abitanti, si materializzava per incanto…”.
I fase: Si chiede ad ogni partecipante di mettere per iscritto
individualmente il prosieguo della storia, in modo libero e creativo
(tempo concesso: 20 minuti).
Per facilitare l’espressione libera e creativa, è possibile inserire una
musica di sottofondo con volume basso, con caratteristiche di apertura
(tipo Pat Metheny, The Map of the world, o altri similari).
II fase: Al termine del tempo consentito, ognuno legge a turno la
propria composizione libera, descrivendo al gruppo le sensazioni
provate prima, durante ed al termine dell’esperienza creativa.
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III fase: A coppie, ogni partecipante esprime, con l’ausilio dei mezzi
pittorici messi a disposizione, o in alternativa con la voce o il canto,
l’emozione e le sensazioni evocate dalla narrazione del compagno.
IV fase: restituzione di gruppo dell’esperienza.
Una variante del laboratorio, che prevede la scelta e la lettura da parte
del conduttore di un brano di una fiaba che contenga un linguaggio più
consono all’infanzia, può essere validamente proposta all’interno di
sedute individuali di un’ora circa, con bambini per i quali sia stata
precedentemente formulata una ipotesi di abuso.
A questo proposito possono essere utilizzati brani di favole classiche
con simboli collegabili alla sfera della sessualità, come Cappuccetto
Rosso.
A. Oliverio Ferraris e B. Graziosi (2001), nel loro testo Pedofilia: per
saperne di più, hanno infatti ipotizzato che l’uso della fiaba in un
contesto terapeutico, possa aiutare il bambino abusato a verbalizzare i
propri vissuti traumatici, con maggiore libertà e senza paura del
giudizio.
Un elemento facilitante la libera narrazione in questo contesto
potrebbe essere offerto dall’utilizzo della tecnica dell’esternalizzazione, che consiste nel far apparire in scena nel momento topico, un
personaggio esterno, sul quale il bimbo possa riversare tutti i contenuti
ed i vissuti temuti e paurosi.
In questa proposta di laboratorio, dopo la lettura del brano-avvio da
parte del conduttore e la successiva verbalizzazione da parte del
bambino, potrebbe risultare molto utile trasformare il vissuto in
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momento di gioco creativo e trasformativo, invitando il piccolo a
disegnare e dipingere con colori il suo personaggio-salvatore, oppure
un qualsiasi oggetto liberatorio (ad esempio una bacchetta magica o
un altro elemento simbolico) che gli permetta di uscire per incanto
dalla situazione di disagio.
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5.3 Oceano orizzonte
Laboratorio di arte terapia con utilizzo della Poesia Terapia
Modello di riferimento: modello generale di tipo sistemico.
Ambito di intervento: area della prevenzione del disagio, della cura
di stati ansiosi, del supporto a stati emotivi e cognitivi importanti per
il recupero del benessere psicologico.
Possibili fruitori: adolescenti ed adulti.
Obiettivi generali di intervento: aumentare la consapevolezza di Sé
e delle proprie emozioni; aiutare a gestire momenti di crisi e di
transizione importanti; stimolare l’espressione creativa; incrementare
il benessere psicologico; sperimentare il potere trasformativo delle
trame narrative.
Procedure generali e di conduzione: come precedentemente
descritto. In genere si prevedono una decina di sedute della durata di
un’ora e mezza ciascuna.
Allestimento del setting: vedere laboratori precedenti.
Metodo: laboratorio di gruppo, con una decina di partecipanti;
presenza di conduttore ed osservatore partecipante; lettura di un brano
poetico da parte del conduttore; laboratorio espressivo; restituzione
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gruppale.
Tecniche: Poesia Terapia: Accoglimento empatico; avvio con breve
momento di rilassamento con musica selezionata a volume basso;
lettura di un brano poetico selezionato da parte del conduttore;
laboratorio espressivo con uso mezzi pittorici, o canto o danza, o
scrittura libera; restituzione di gruppo.
In una seduta successiva si può chiedere ai partecipanti di realizzare a
piccoli gruppi un totem, che riproduca le emozioni vissute in un
rituale simbolico di passaggio che suggelli le trasformazioni in atto.
Poesia selezionata: Oceano Orizzonte (anonimo)
Oceano orizzonte
Oceano di versi
oceano di parole
e di tempo senza tempo
laddove soffia
solo emozione
che sprigiona aliti
d’arcani destini
scivolati piano
come sabbia tra le dita
d’un mago che vede
sempre lontano
Oltre il silenzio
ed i sospiri
d’una luna
arcana e complice
della notte.
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Motivazione della scelta della poesia: di un artista anonimo, la
poesia è fortemente evocativa e rimanda ad infinite possibilità da
esplorare con la propria immaginazione e fantasia; contiene inoltre
numerosi rimandi simbolici, che ogni partecipante potrà giocare
liberamente e creativamente.
Una possibile variante del laboratorio potrebbe essere rappresentata
dalla proposta ai partecipanti, al termine della lettura del brano, di
proseguire liberamente la poesia ed il suo possibile evolversi,
utilizzando la tecnica dell’eco poetico (M. Monaco, op. cit.).
Al termine, le composizioni sono poi lette a turno a voce alta nel
momento della restituzione finale.
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6. Considerazioni finali
Lo studio e gli approfondimenti teorici descritti nei capitoli di
questa tesi, hanno rappresentato per me un viaggio nella terra dei
colori, dei gesti, delle risonanze emotive, dei profumi, degli incanti,
delle infinite sfumature che compongono il regno della fantasia.
La porta di accesso ai “mondi possibili”, di cui parla Nelson
Goodman, ha una chiave preziosa, che si può conquistare solo se si è
pronti ad aprire la propria mente alle infinite possibilità solo dischiuse,
ma sempre presenti, ed a rompere gli schemi del copione di cui siamo
registi ed a volte inconsapevoli attori, accettando di navigare nel mare
infinito della creatività.
Nei prossimi mesi mi dedicherò alla verifica sul campo di questi
preziosi strumenti appresi.
Desidero inoltre approfondire la ricerca delle potenzialità ancora
inesplorate dei diapason emozionali nei contesti di laboratori arte
terapeutici, ad iniziare dall’ambito dei disturbi del comportamento
alimentare, già oggetto di studio della precedente tesi in cui si
ipotizzava l’uso delle sequenze cinematografiche quali attivatori di
risonanze emotive nelle ragazze affette da questo grave disturbo.
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