Vera, il futuro è molto più dolce

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Vera, il futuro è molto più dolce
Vera Carrara, a destra nella foto, durante la gara su pista di Pechino (foto LaPresse)
Dopo l’Olimpiade La campionessa di ciclismo prova a dimenticare le amarezze dei Giochi
Vera, il futuro è molto più dolce
La Carrara: «Faccio il corso da gelataia. Pechino? Non c’ero. Ho sbagliato io»
■ «Hai mai visto gente triste in una gelateria? Io no, chi ci entra ha il sorriso
stampato in faccia». Certo, a pensarci bene è più facile vedere gente allegra sbafarsi un cono al cioccolato che, nel parterre di una corsa, leccarsi le ferite di una
sconfitta. Per questo Vera Carrara, dopo
la più grande delusione della sua vita agonistica, una delusione a cinque cerchi,
per non dire stellare sta pensando ad un
nuova vita. Stop, si chiude con il ciclismo e si pensa ad altro, ad una nuova casa tanto per cominciare («ne sto cercando una dalle parti di Albino, è una zona che mi piace molto, ho fatto per 21 anni la vagabonda, valigie e fusi orari…»),
ad una nuova attività, la gelateria («sono
golosa di natura, adesso devo però fare il
corso da gelataia») e un centro di pet therapy, con tanti animali che potranno fornire un sostegno terapeutico ai bambini affetti da particolari patologie.
Grintosa e determinata è lontana anni
luce da quel disgraziatissimo lunedì di
pianti e lacrime, il giorno in cui si è
«spenta la luce», Vera fa appello a tutte
le sue risorse, al temperamento forgiato
da tanti anni su due ruote, temprato alla
fatica e alla sofferenza, per superare questo momento che lei sintetizza con quattro parole in croce: «E’ arrivato il momento di crescere». Vera Carrara, tanti giri in
bici e pochissimi (giri) di parole: «La medaglia era l’obiettivo, inutile nasconderlo» racconta «centrarlo avrebbe significato dare un senso alle fatiche di questi
anni non solo i miei, ma anche quelle di
chi mi è stato vicino, ed anche un ritorno economico, perché no?».
Avrebbe spostato di qualche mese anche il ritiro dall’attività agonistica, probabilmente di un paio di annetti, nei quali avrebbe continuato a mulinare chilometri e sudore sui pedali e invece la parola fine, complice Pechino, verrà scritta il prossimo ottobre quando, in Colombia, Vera disputerà la sua ultima gara,
prima di concedersi proprio da quelle
parti, un periodo di riposo. La Cina, comunque, non è già più vicina e le lacrime di quel giorno, quel maledetto 18 agosto si sono asciugate anche grazie all’affetto di molti: «Non ho scusanti, non c’ero punto e basta. Avevo impostato la gara sugli ultimi cinque sprint, poi la Vos
è partita quando nessuno se lo aspettava. A quel punto forse ho mollato troppo». Però tutti la tenevano sotto controllo: «Dovevo pensare a una medaglia, ma
la marcatura su di me era incredibile, e
poi c’è da considerare che su pista tutto
è diverso, anche la bici; non puoi frenare né calibrare in modo diverso la pedalata, né puoi smettere di pedalare».
Non era facile smarcarsi, anche perché tutti temevano Vera; e come non aver
paura di una che in carriera ha vinto l’oro ai Mondiali di Los Angeles 2005 e Bordeaux 2006, l’argento a Melbourne 2004
e il bronzo a Copenaghen 2002? Ma Vera non accampa scuse: «Ho sbagliato io,
e il mio dispiacere è per chi mi è stato vicino, per tutto il tempo buttato via, anche se ho ricevuto un mare di attestazioni di stima e di sostegno: è proprio vero che riconosci gli amici veri, quando
le cose non girano per il verso giusto».
Ma non è il rimpianto, il sentimento che
traspare dall’abbandono: «Il ciclismo è
stata una scuola di vita, ti insegna a mollare solo quando stai per morire, è uno
sport che mi ha dato tantissimo e mi sono divertita tantissimo. Forse adesso non
mi divertivo più, ecco un altro motivo
per cui lascio. Del resto, in tanti anni, ne
ho viste di tutti i colori». Uno pensa al
doping, il vero cancro
del ciclismo, ma Vera
butta il cuore oltre l’ostacolo: «Sul doping si
possono fare mille discorsi, ma la realtà è
che tutto dipende dai
valori che uno ha. Io
non mi sono mai dopata; ho sempre desiderato diventare mamma e
l’idea che mio figlio potesse manifestare qualche malattia per via di
una madre che voleva
correre più forte in bici
è una cosa che mi ha
sempre fatto rabbrividire. I casi eclatanti, i
Riccò e i Basso, ci sono sempre stati e ci
saranno sempre, anche se poi basterà
confessare di essersi dopati per ritornare bianchi e immacolati come lenzuola. Questa è una cosa che non capisco
e che mi fa rabbia». Il discorso diventa
ampio, ma non per questo meno doloroso: «E’ che anche l’ambiente del ciclismo, in generale, manca di etica, di fair
play, come se farsi le scarpe fosse la co-
sa più naturale del mondo. L’idea di rimanerci non mi piace, meglio pensare
ad altro». Pechino ormai è solo una cartolina: «Una città simbolo delle mille
contraddizioni della Cina, che adesso
è tornata quella di sempre; si è infiocchettata bene per le Olimpiadi, ma ha
sfruttato poco questa formidabile occasione che aveva per aprirsi al mondo»,
dalla quale spuntano i nomi di Phelps
«Uno che si commuove alla settima medaglia
è un grande», della Cainero «bella medaglia, figlia dell’impegno che
non fa clamore» e della
Guderzo: «So che cosa
significa pedalare, ecco
perché il suo bronzo
merita il mio applauso».
E così, i riflettori si
spengono e cala il sipario sulla Vera in bici
pronta ad affrontare a
braccia alzate nuovi
traguardi. Quando
Vera Carrara
sarà in gelateria a far
coni e coppette (non
ha ancora pensato al nome del locale,
ma suggeriamo «le biciclette» non sarebbe carino?) non le mancheranno le luci
della ribalta? «Macchè, noi cicliste non
siamo mica dive come le pallavoliste, le
nuotatrici o leggiadre come le ginnaste.
Loro sì che sono ragazze-copertina, mica noi che abbiamo il segno della maglietta sulle braccia».
■
LA SUA CARRIERA
TANTI TITOLI MONDIALI
DA CUBA 1998 UNA COLLEZIONE DI MEDAGLIE SU PISTA - Vera Carrara è nata il 6 aprile 1980 ad Alzano Lombardo. Agente di polizia penitenziaria, dal 2002 vive a Cumiana (Torino). Dal 2004 è tesserata per le
Fiamme Azzurre. La collezione di titoli iridati su pista comincia nel 1998 a Cuba (juniores), ma il primo successo da senior arriva ai Mondiali del 2005 a Los Angeles dopo l’argento a Melbourne 2004 e bronzo a
Copenaghen 2002. Oro iridato bissato nel
2006 a Bordeaux. Conquista la Coppa del
Mondo 2003, ed è quinta classificata all’Olimpiade di Atene 2004 nella corsa a
punti Open. Quest’anno bronzo ai Mondiali di Manchester.
ARGENTO AGLI EUROPEI DI BERGAMO NEL
2002 - Medaglia d’oro agli Europei su pista Open omnium, a Cottbus 2007, medaglia d’oro agli Europei su pista U23 inseguimento individuale di Buttgen 2002,
medaglia d’argento agli Europei su strada U23 a cronometro di Bergamo 2002,
medaglia di bronzo agli Europei su pista di
Brno 2001, medaglia di bronzo agli Europei su strada U23 di Kielce 2000. Campionessa italiana di corsa a punti Open e nella cronometro Open 2007, titolo italiano
nella corsa a punti Open 2002, nell’inseguimento individuale Open 2002, nella cronometro U23 nel 2001 e corsa a punti Open
1999. Ha iniziato a correre con il Gs Valoti Arredamenti. Il suo portafortuna è un
centesimo di dollaro.
Donatella Tiraboschi
L’umbro di Arzago: resta l’amarezza per il risultato, è mancato solo quello
Chiappa: «Nulla da rimproverarmi»
■ «Le mie Olimpiadi? Un
avvenimento grandissimo.
L’avervi partecipato è stato motivo di soddisfazione. Certo, se penso al risultato avverto la stessa sensazione del dopo gara di
Pechino: profonda amarezza. Mi è mancato quello,
sono il primo a riconoscerlo e a rammaricarmene:
penso comunque di non
avere nulla da rimproverarmi».
Parole e musica di Roberto Chiappa, 35 anni il
prossimo 11 settembre,
umbro di Arzago d’Adda,
da una ventina di anni leader della velocità. A Pechino gli è andata decisamente storta, tanto che se n’è
ritornato a mani vuote.
«Sono partito per la Cina spiega - convinto delle mie
possibilità, desideravo coronare la mia carriera, e
non l’avevo nascosto, con
una medaglia che ritenevo mi hanno squalificato inalla mia portata. Le cose giustamente, aggiungo con
purtroppo sono andate di- obiettività che nella veloversamente, ma le respon- cità, pur affrontando l’imsabilità non sono tutte pegno con i miei parametri standard, non avemie».
vo la gamba adatCioè? «Avevo
ta per la medapuntato tutto
glia».
sul keirin, ma
Chiappa si
nella semifiaddentra
nale contro
poi nell’imil giappomediato funese Nagai
turo: «Si
sono stato
chiude il
ingiustamio rappormente squato con la
lificato per
Nazionale
essermi appogRoberto Chiappa
ma non con
giato all’avversail ciclismo.
rio. Non è andata così, è stato l’avversario che Sicuramente l’attività agomi ha ostacolato: episodio nistica continuerà sino al
evidente a tutti, non ai gennaio: ho già sottoscritcommissari che hanno to contratti che mi vedono
chiaramente favorito l’av- impegnato in più parti del
versario». Nella velocità? mondo, al rientro valuterò
«Esattamente come ho af- la situazione». Un impefermato che i commissari gno con la Federciclismo?
«Non conosco i loro programmi. Comunque per ottenere risultati non sono
sufficienti i sacrifici degli
atleti, e vi assicuro che ne
fanno tanti, ma bisogna
creare le condizioni, realizzare cioè nuove e adeguate strutture».
Rimane sempre il gruppo forestale di cui fa parte:
«In effetti - conclude Roberto - hanno chiesto la
mia disponibilità nel ruolo di tecnico. Ogni decisione è rimandata a gennaio,
le alternative sono due: o
smettere definitivamente e
dedicarmi al ruolo di tecnico oppure rimanere in
sella per gli appuntamenti
annuali tradizionali, come
i campionati italiani».
Occasione opportuna
per aggiungere un altro tricolore alle 44 maglie già riposte nel cassetto.
Renato Fossani