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LA PATAGONIA: ANALISI LETTERARIA PER UNA VALORIZZAZIONE PAESAGGISTICA Situata in America Latina e divisa tra Argentina e Cile, la Patagonia è una peculiare fascia di terra dalle caratteristiche singolari. I suoi infiniti paesaggi hanno mosso la fantasia di letterati e avventurieri, quali Bruce Chatwin e Francisco Coloane, smaniosi viaggiatori come Luis Sepúlveda e l’italoargentino Mempo Giardinelli, poeti come Pablo Neruda e Gabriela Mistral. Cominciamo con l’introdurre alcuni aspetti del territorio patagonico, utili a comprendere il punto di vista degli autori citati. Decisamente australe, la Patagonia gode di una posizione geografica che determina una grande varietà di climi, contribuendo a donare alla zona un aspetto naturalistico del tutto insolito. L’area è incorniciata dalla natura più difforme che, partendo dalle vette andine innevate e deserte, si estende verso fiumi perenni e antichi laghi verdi e blu, per incontrare l’immensità della steppa e dei ghiacciai, come il Perito Moreno, attrattiva del parco nazionale Los Glaciares; o le spettacolari formazioni granitiche del Parco Torres del Paine. I parchi e le riserve naturalistiche in Patagonia sono innumerevoli, vi sono infatti: Il Parco Nazionale Laguna San Rafael nella parte cilena; Il Parco Nazionale Los Arrayanes, il Parco Nazionale Laguna Bianca e il Lanìn nella provincia argentina di Néquen, Il Parco Nazionale Nahuel Huapì tra le province di Nequèn e Rìo Negro, il Parco Nazionale Lago Pueblo e il Los Alerces nella provincia del Chubut, il Parco Nazionale Perito Moreno nella provincia di Santa Cruz e infine il Parco Nazionale Terra del Fuoco nella provincia omonima. Attraverso le parole dei suoi narratori, la Patagonia appare come un territorio sospeso fra il silenzio del tempo e lo spazio immenso di foreste autoctone e millenarie. Essa viene presentata come una distesa di scenari differenti e contrastanti, immersi in una quiete che solo il vento, viaggiando a centinaia di kilometri orari nei mesi invernali, può disturbare. Un vento caldo e potente, a raffiche che risucchiano le gambe e premono sui corpi, un elemento così straordinario da meritare perfino un monumento: Non mi aspettavo un monumento al vento. Intendiamoci non un monumento al mitico Eolo, Dio del vento, non un monumento in onore delle quattro stagioni. No, proprio un monumento dedicato al vento, al suo continuo girovagare per l'immensa distesa patagonica, al suo canto continuo che assume tutti i toni della scala musicale, ai colori e dipinge nel cielo sollevando la polvere e i cespugli. (Barbini, 2006) Sono queste le parole che Tito Barbini, un viaggiatore come molti di noi, riporta nelle sue memorie di viaggio. Da elemento caratterizzante e forgiante, il vento acquisisce però anche un valore negativo, come ricorda Mempo Giardinelli in Finale di romanzo in Patagonia: Il vento, che è implacabile, fa volare i mucchi di rifiuti abbandonati nelle periferie e così sulle recinzioni dei campi limitrofi finiscono in mostra veri e propri campionari inquinati di cartacce e borse di plastica che pendono ovunque. Le parole dell’autore ci riportano nel mondo reale e ricordano che la Patagonia, come ormai la maggior parte dei luoghi del mondo, non è solo idillio e bellezza, non è un paradiso terrestre senza imperfezioni, nonostante sia ritenuto uno fra i pochi siti ancora incontaminati del globo e descritto come tale da guide turistiche e tour operator; è anzi un luogo che, raggiunto dalla “civiltà”, nasconde problemi e difetti talvolta un poco deludenti per i visitatori più esigenti e i più sognatori: la difficoltà dello smaltimento dei rifiuti ad esempio, e il fenomeno dell’abuso edilizio. Il furore edilizio non conosce ostacoli. A dire il vero, nessuno sviluppo urbano veloce è allo stesso tempo anche ordinato, ma qui la sventatezza è palpabile. […] La cosa che davvero non si riesce a capire è come possano vivere con tanta sporcizia intorno. Come è possibile che il sindaco non abbia mai visto tutti questi rifiuti ai bordi delle strade, abbandonati lì e poi spazzati via dal vento? Come pensano di incrementare il turismo in questo modo? […] La sporcizia si deve al fatto che questa gente crede che il sudiciume sia una cosa normale perché ci ha vissuto in mezzo tutta la vita. Non hanno viaggiato, non interessa imparare, e allora credono che succeda la stessa cosa anche nel resto del mondo. (M. Giardinelli, 2000) Si tratta comunque di questioni a prima vista irrilevanti per il turista di passaggio che, da quanto ho potuto constatare leggendone i racconti, riesce a cogliere dalla regione il meglio del suo patrimonio ambientale. Quest’ultimo consiste in una vasta area costituita da novecentomila chilometri quadrati che corrono dal Rio Negro, fiume che ha la propria foce in Argentina, fino a Punta Arenas, nel Cile meridionale, dove la terraferma e il mare si sfiorano, generando fiordi e arcipelaghi appartenenti all’Oceano Pacifico. Oltre lo stretto di Magellano, la Patagonia prosegue ancora più a sud con la Terra del Fuoco, a stretto contatto con l’Antartide e con Ushuaia, la città più meridionale del mondo. Sono quelli appena descritti i paesaggi che fanno da sfondo al più celebre romanzo dello scrittore britannico Bruce Chatwin, In Patagonia. Pubblicato nel 1977, il libro è composto da una serie di 1 racconti suddivisi in paragrafi, talvolta legati fra loro e capaci di evocare le caratteristiche di una terra oggi civilizzata, ma ancora troppo vasta e misteriosa per dichiararsi completamente conosciuta. Attraverso una narrazione frammentata cronologicamente e geograficamente, e servendosi di un linguaggio che si potrebbe definire giornalistico, Chatwin analizza la Patagonia sotto diversi profili: geografico, storico e politico. Il romanzo si presenta come un cammino autobiografico e avventuroso in Argentina e in Patagonia, costellato di personaggi reali e di fantasia, incontrati dall’autore durante il suo viaggio alla ricerca del fossile di un animale preistorico. Nella stanza da pranzo della nonna - scrive Chatwin - c'era un armadietto chiuso da uno sportello a vetri, e dentro l'armadietto un pezzo di pelle. Il pezzo era piccolo, ma spesso e coriaceo, con ciuffi di ispidi peli rossicci. Uno spillo arrugginito lo fissava a un cartoncino. Sul cartoncino c'era scritto qualcosa con inchiostro nero sbiadito, ma io ero troppo piccolo, allora, per leggere. «Cos'è questo?». «Un pezzo di brontosauro».[…]. Questo particolare brontosauro era vissuto in Patagonia, regione del Sud America all'estremo limite del mondo.(Chatwin, 1977) Il peregrinare di Chatwin ha Inizio nel dicembre del 1974 a Buenos Aires, con un tempo estivo e i negozi decorati per il Natale, per continuare su un treno per La Plata, città universitaria con le scritte sui muri echeggianti il '68, quindi verso il museo di storia naturale più importante del Sud America, proseguendo poi in direzione del sud: Presi il treno per La Plata per vedere il miglior museo di storia naturale del Sud America […]. La Plata è una città universitaria. La maggior parte delle scritte sui muri non erano che rimasticature del ’68, ma ce n'erano altre abbastanza insolite1. Gli spostamenti di Chatwin rappresentano il filo rosso della narrazione, in grado di relazionare universi fra loro lontanissimi: storie di esiliati politici, occidentali in cerca di fortuna, rivoluzioni fallite o sanguinarie, stermini di popoli indigeni, i quali invitano ad immaginare una terra lontana, che durante gli anni delle guerre risultava essere una fra le mete più sicure. A La Plata abitava Florentino Ameghino, solitario autodidatta figlio di immigrati genovesi, nato nel 1854, e morì direttore del Museo Nazionale […]. Suo fratello minore, Carlos, esplorava le ‘barrancas’ della Patagonia, mentre Florentino stava a casa a classificare i fossili2. 1 2 B. Chatwin, op. cit., p. 15. B. Chatwin, op. cit, p. 16. 2 Durante il corso della narrazione, i luoghi visitati dallo scrittore rappresentano, come già detto, un semplice sfondo per i racconti. Tuttavia sono fondamentali per definire silenziosamente i tratti dei personaggi, come se in qualche modo la natura, le tradizioni e le atmosfere contribuissero a lasciare un'impronta sulle loro vite. Ne è un esempio il seguente frammento: Un certo Florentino Solìs si offrì di accompagnarmi sulla montagna. La sua faccia bruciata era di un rosso acceso e quando si tolse il cappello c'era una linea netta dove il rosso finiva e cominciava il bianco. Era un vagabondo, senza moglie né casa, che non possedeva niente tranne due lustri pony di razza criolla, le loro selle e un cane. Pochi capi di bestiame, segnati col suo marchio, vagabondavano nei campi incolti lungo il confine, ma di solito non si curava di loro. Era sceso al piano per barattare una mucca con prodotti di drogheria e si era fermato per ‘l'asado’. In compagnia si comportava goffamente. Di giorno non beveva; sedeva lungo il fiume, stuzzicandosi i denti con dei fili d'erba […]. Per un'ora risalimmo una valle scoscesa, seguendo una pista tutta curve che, dopo aver oltrepassato una cresta di rocce rosse, si tuffò fra grandi alberi. Dopo un'altra ora giungemmo a un dirupo3. Nonostante la scelta di un linguaggio giornalistico apparentemente freddo nelle descrizioni, l'abilità narrativa di Chatwin è in grado di far cogliere al lettore il vero spirito della Patagonia: La Patagonia inizia sul Rio Negro. Lungo la riva del fiume i salici erano tutti germogliati e mostravano l’argento che brilla sotto le loro foglie. Gli indios avevano tagliato dei vincastri, lasciando sui tronchi delle bianche ferite e nell’aria l’odore della linfa. Il fiume, gonfio per lo scioglimento delle nevi sulle Ande, scorreva veloce, facendo frusciare le canne. […] La scogliera si elevava a picco sull’approdo di un traghetto […]. Vedevo il fiume scorrere lucente fra scogliere bianche come ossa, con strisce smeraldine di terra coltivata da ogni lato. Lontano dalle scogliere c’era il deserto. Nessun suono tranne quello del vento, che sibilava fra i cespugli spinosi e l’erba morta, nessun altro segno di vita all’infuori di un falco e di uno scarafaggio immobile su una pietra bianca4. Lo scrittore descrive nel suo romanzo una moltitudine di luoghi, ci parla di fiumi, di una vegetazione rigogliosa e selvaggia, di vette innevate, terreni addomesticati dall’uomo e addirittura del deserto: proprio questo è infatti la Patagonia, una successione ben distinta di fasce geograficoclimatiche che, procedendo idealmente da ovest verso est, dal Pacifico all’Atlantico, possiamo suddividere nel modo seguente: 3 4 - La costa del Pacifico - Il rilievo andino Ibidem, p. 81. B. Chatwin, op. cit., p.27. 3 - L’altopiano patagonico - Il litorale atlantico Ognuna di queste fasce è caratterizzata da una flora da una fauna assolutamente esclusive, ben descritte dallo scrittore cileno Francesco Coloane nella sua autobiografia Una vita alla fine del mondo5. La scuola si trovava sulla penisola sabbiosa circondata da cespugli costieri come il ‘quiscal’ che da un frutto dolcissimo da succhiare, la ‘peta’ che offre il ‘matache’, la ‘luma’, una mirtacea dal frutto simile a una nespola detto ‘cauchau’, e il ‘maquis’6. Coloane offre al lettore uno sguardo lucido sulle memorie della propria infanzia e sullo stile di vita dei patagonici, introducendo nella narrazione in modo quasi enciclopedico informazioni dettagliate sulla vegetazione e sugli animali caratteristici del suo paese natale: Ci addentravamo fra la vegetazione intricata degli isolotti per raccogliere uova di uccelli acquatici che costruiscono nidi simili a canestri di vimini galleggianti; sulle rive coperte di muschio e torba deponevano le tortore e le gallinelle d'acqua; gli stormi di anatre silvestri si lasciavano cadere formando ventagli dai colori cangianti o bruni. Quel grande specchio d'acqua, le cui estremità si spingono all'interno dei boschi, rifletteva tutte le tonalità del cielo della terra: bagliori ocra, dorati, svariate sfumature di verde della foresta, licheni e muschi, il seppia dei canneti e dei giunchi, delle diverse varietà di mirtacee, arbusti di ‘mechay’ e ‘calafate’7. In un'ora arrivavamo nella nostra casa di Tubildad. Per raggiungerla dovevamo arrampicarci per un arduo sentiero pietroso ricoperto da una fitta volta formata dai rami di ‘peta’, mirto, ‘pelù’, ‘tique’, felci e ‘pangue’, per citare soltanto alcune delle innumerevoli specie che compongono la flora boschiva8. Le creature del cielo e della terra si mescolano e confondono tra loro, pesci, uccelli, animali acquatici; nel fango si ritrovano insieme i ‘cuchivilos’, i ‘traucos’ della foresta, i ’camahuetos’ nei burroni […]9. 5 Francisco Coloane (19 luglio 1910 – 8 agosto 2002) è stato mozzo, pastore, cacciatore di foche, baleniere, giornalista e scrittore cileno. È ritenuto uno dei più grandi romanzieri latino americani del XX secolo. Diversi critici lo hanno paragonato ad autori come Conrad e Melville; nelle sue pagine, oltre al racconto della storia del Cile, si legge la vita semplice di esseri umani impegnati in una lotta senza tregua, in un'atmosfera misteriosa e magica, a metà strada tra leggenda e realtà. 6 F. Coloane, Una vita alla fine del mondo, Parma, Ugo Guanda Editore, 2001, p.22. 7 F. Coloane, op. cit., p.36. 8 Ibidem, p.21. 9 Ibidem, p.8. 4 Lo scrittore ci mostra dunque la natura della Patagonia senza trascinare il racconto sulla scia di una visione suggestiva ed estetizzante, che tuttavia la bellezza dei paesaggi australi suscita, bensì assimilando il proprio linguaggio alle caratteristiche della sua terra; quella di Coloane risulta perciò, come in Chatwin, una scrittura distaccata, spesso priva di ornamenti, dura come il clima patagonico e insensibile come la forza della natura adirata. Nonostante le analogie stilistiche con lo scrittore inglese, tuttavia, ciò che maggiormente risalta all'interno della narrazione è la differenza nell'approccio osservativo, elemento importante da considerare se si vuole scoprire con occhi propri quali siano i veri valori paesaggistici e culturali che appartengono alla Patagonia, aiutandosi appunto attraverso il confronto fra i differenti modi di leggere il territorio utilizzati dagli scrittori citati. Chatwin vede la Patagonia con gli occhi di un europeo, di un vero turista che per un certo periodo di tempo transita in un luogo, ne registra le impressioni e le fissa nel suo romanzo. Proprio al suo spirito e alla sua mente occidentale è infatti connessa l'immagine della Patagonia che ci viene trasmessa dalla sua opera, la quale comunica una particolare attenzione alla bellezza naturalistica e al valore delle tradizioni: Da Ushuaia all’estancia di Bridges, a Harberton, c’erano 35 miglia di cammino lungo il canale Beagle. All'inizio, per qualche miglio, la foresta scendeva fino alla spiaggia e attraverso i rami vedevi il verde scuro dell'acqua e i nastri violacei delle alghe che affioravano e fluttuavano con la marea. Più oltre, le colline si allontanavano dal mare facendo posto a pascoli d'erba tenera, punteggiata da margherite e funghi. Sulla battigia c'era uno spesso strato di frammenti di legno sbiancati dal mare, e a volte un relitto di nave o una vertebra di balena. Dagli scogli imbiancati dal guano si levavano in volo cormorani e oche marine, suscitando balenii bianchi e neri. Al largo volavano colombi e anatre e, lontano nello stretto, albatri fuligginosi che ruotavano senza sforzo, simili a coltelli volanti10. Al contrario, la visione di Coloane è quella di chi rispetta e teme la magia di una terra misteriosa e ostile, della quale si subisce il fascino sin da bambini, ma che ancora spaventa per l'irascibilità e l'imprevedibilità degli eventi ad essa legati. Nel suo romanzo, dunque, risaltano valori connessi all’unicità e allo spirito del luogo e del tempo. 10 B. Chatwin, op. cit., pp. 176-177. 5 Sono queste le ragioni principali per cui nel diario di viaggio di Chatwin la Patagonia rimane uno sfondo per i personaggi e le vicende narrate, mentre in Una vita alla fine del mondo essa è la vera protagonista del racconto con la sua anima e la sua cultura: Tutto questo non è facile da affrontare per un uomo che in un clima così inospitale comincia a dare briglia sciolta all'immaginazione. Direi che, comunque, non ci sono lavori facili a quelle latitudini. Ma si impara gradualmente a vivere immersi in una natura a dir poco singolare, con le praterie di alta erba ‘coiròn’ che agita i suoi pennacchi al vento, resistente alla neve e al ghiaccio. In mezzo a questa natura c'è l'uomo che l’affronta con la sua laboriosità. Alcuni, venuti da mondi tanto diversi, lì si sentivano improvvisamente rinati, come se fossero diventati altre persone, senza patria, senza famiglia, senza passato, senza ricordi11. Sia sul mare che sulla terra il passaggio di uccelli e animali era costante. Le maree ricoprivano e scoprivano i burroni tra le scogliere, dove i delfini ‘cahuel’ transitavano a branchi di dieci o dodici oppure in coppie solitarie. Una volta, dall'alto di uno scoglio, li vidi saltare avvitandosi su se stessi. Ci sono due specie di delfini, alcuni enormi e altri piccoli; ma gli isolani li chiamano genericamente ‘cahuel’. «Cahuelmo» vuol dire «luogo dove si riuniscono i Cahuel». Ricordo il giorno in cui un gruppo entrò saltando nell'estuario di Tubildad: a un certo punto le loro danze proseguirono in verticale nelle profondità. Mi avevano sempre impressionato con i loro spruzzi mentre costeggiavano la riva. Quando fendono l'acqua con i musi affilati è come se dialogassero e nelle giornate di calma piatta emettono brevi sospiri. Le foche mi facevano paura con quelle teste quasi umane. I delfini, invece, e non saprei dire perché, mi attiravano. In quel mattino assolato, con un mare trasparente, quattro o cinque si misero in verticale, a muso in giù e con le pinne caudali rivolte verso l'alto, sulla sponda sabbiosa di Tubildad. Cosa stavano facendo? Il vecchio Elìas si avvicinò per spiegarmelo: grufolano nel limo come i maiali, scovando molluschi, granchi, polipi e calamari.[…]. Mi mandava a prendere qualcosa e avevo paura di attraversare quel cortile al buio, per i pipistrelli che svolazzavano da una grondaia all'altra e, soprattutto, per il grosso albero da cui proveniva il grido di un ‘coo’, una civetta bianchiccia.[…]. Mi chiese perché avessi tanta paura. Gli risposi che il ‘coo’ era uno stregone che assumeva quella forma per venire a spaventarci. Mi spiegò che gli stregoni non esistevano, né i ‘trauco’, o i ‘camahueto’, e tanto meno gli ‘imbunche’; erano solo sciocchezze, dicerie, e non bisognava avere paura di ciò che non esiste, ragione per cui potevo benissimo attraversare il cortile al buio, senz’alcun timore12. Il genius loci13 di quella terra, l’insieme delle sue caratteristiche socio-culturali, architettoniche, linguistiche e le abitudini degli abitanti sembrano oggettivamente toccare l'intimità più profonda dell'autore, condizionandone la vita quotidiana e la visione stessa della realtà di quel mondo fatto di paesaggi estremi, luoghi leggendari e atmosfere talvolta surreali. Ma ora facciamo un passo indietro e torniamo al discorso delle fasce geografico-climatiche. 11 F. Coloane, op. cit., p.70. F. Coloane, op. cit., pp. 37-38-40. 13 Con la locuzione genius loci si intendono le caratteristiche proprie di uno spazio interlacciate con l'uomo e le abitudini con cui vive questo luogo. 12 6 La prima fascia, che si stende lungo tutto il litorale della Patagonia cilena, si presenta come una costa estremamente frastagliata, del tutto spopolata e quasi inesplorata. È qui che si aprono i canali e fiordi profondissimi annoverati in precedenza. La seconda fascia, longitudinale, corrisponde invece alla cordigliera andina14. In particolare la zona in questione è caratterizzata dalla presenza di due immense calotte glaciali che sviluppano un corridoio glaciale ininterrotto di oltre 400 km. La sezione settentrionale ha inizio nella conca idrografica del Rio Huemul e si prolunga fino al canale Martìnez, nel fiordo Baker. Più vasta è invece la sezione australe. Queste distese di ghiaccio sono dette Hielo Patagonico Norte e Hielo Patagonico Sur, entrambe coinvolte nel famoso fenomeno climatico dello Hielo Continentàl15, l’unico nell’emisfero australe. Lo Hielo Continentàl è paradossalmente circondato da boschi sempreverdi e colonie di uccelli tropicali come i colibrì, ma anche da otarie e pinguini che popolano insieme le rive della laguna San Rafael, territorio della Patagonia cilena. Dalle calotte si dipartono numerose “lingue” glaciali, i cui fronti vanno a frantumarsi in enormi iceberg nei grandi laghi presenti in zona o direttamente nell’Oceano. I torrenti che discendono da questi ghiacciai scorrono fra strette pareti rocciose di canyon o in mezzo ai boschi di conifere, formando cascate e rapide. Oltre a rendere il paesaggio estremamente suggestivo i torrenti alimentano i maggiori laghi dell’intero arco andino: Nahuel Huapì e Viedma, in Argentina, e sul versante atlantico la miriade di laghi pedemontani cileni. Il rilievo andino, inoltre, comprende alcune delle cime più note del mondo; picchi scoscesi dai profili sottili e coperti di neve, le cui pareti hanno messo a dura prova i migliori scalatori internazionali. Si tratta del monte Fitz Roy e delle già citate Torri del Paine, ai quali è opportuno dedicare successivamente alcuni paragrafi aggiuntivi. Infine, il clima tende ad essere più mite lungo i versanti orientali. I venti, a causa delle caratteristiche orografico-climatiche, sono particolarmente violenti con tendenza al rafforzamento in estate, ciò comporta il fatto che nella terza fascia, quella dell'altopiano patagonico, l'aridità del clima, insieme alla conformazione del terreno, influenzi drammaticamente l’idrografia del 14 Il paesaggio delle Ande è protagonista della poesia di Gabriela Mistral. Successivamente verrà dedicato un breve paragrafo all’argomento. 15 Lo Hielo Continentàl è un fenomeno di glacializzazione che si manifesta a latitudini poco più che mediterranee. Esso è imputabile ad una concomitanza di numerosi fattori: depressione polare, correnti marine antartiche e la particolare inclinazione dell’asse terrestre. Tutto ciò fa sì che la copertura nevosa venga costantemente rinnovata, al punto da mantenere temperature mai superiori agli 0°. 7 territorio e concorra all’esaurimento di molti corsi d’acqua che nascono dai ghiacciai e dai grandi laghi montani come quelli della zona dell’Aysén, prima di raggiungere l’Oceano Atlantico. I pochi fiumi che sboccano al mare sono il Rio Colorado, che segna il limite settentrionale della Patagonia, e il Rio Negro, formato dalla fusione tra il Neuquén, il Limay e il Rio Chubut, ingrossato nel suo tratto finale dal Rio Chico. Concludendo, la Terra del Fuoco, compresa nella zona del litorale atlantico e particolarmente mite grazie all’azione combinata dei due oceani vicini, accoglie la città di Ushuaia, situata sul canale di Beagle. La posizione geografica, la grande varietà di ambienti e condizioni climatiche, l’ancora scarsa presenza di insediamenti umani e di fenomeni di antropizzazione massiva, rendono la Patagonia estremamente interessante dal punto di vista naturalistico, non solo per il turista, ma anche per gli studiosi di botanica e zoologia. Numerose sono infatti le specie animali e vegetali non ancora completamente studiate e di cui non sono ancora perfettamente conosciuti l’evoluzione e i comportamenti. Paradigmatico è il caso dei rarissimi arrayanes, una mirtacea dalle foglie perenni e la cui corteccia liscia ha un inconfondibile color cannella e trasmette una viva sensazione di freddo. L'unico bosco puro di questa specie al mondo è protetto all'interno del Parco Nazionale Los Arrayanes, nei pressi del lago Nahuel Huapì. Un ulteriore esempio si trova negli alberi del genere Nothofagus, distribuiti in Patagonia, Australia, Nuova Zelanda e Nuova Guinea e i cui resti fossili sono stati rinvenuti in Antartide; lo stesso fenomeno interessa altre specie faunistiche, come alcuni anfibi della famiglia dei Leptodaptilidi, pesci del genere Galaxias, alcuni aracnidi e invertebrati. Significativa, soprattutto nelle zone insulari e peninsulari, è poi la presenza dei pinguini16. Delle numerose varietà che abitano l’emisfero australe va segnalato il singolare patranca, citato anche dalla penna di Francisco Coloane: La ‘patranca’ era la nostra principale attrazione. È una specie di pinguino conosciuto come «uccello bambino» per il petto bianco, il dorso nero e l'innocenza infantile. Emette un verso rauco, simile al rumore di un tric-trac che crepita nell’acqua17. Da non dimenticare, in conclusione, sono il guanaco, un camelide autoctono, e il pudu-pudu, il più piccolo cervide al mondo, oggi minacciato d’estinzione. 16 17 Cfr. A. Anania - A. Carri, op. cit, pp. 332-333. F. Coloane, op. cit., p. 23. 8 1. LA PATAGONIA CILENA Pur esistendo una continuità geografica e una stretta interdipendenza dal punto di vista storico e culturale al di là e al di qua dei confini tra Patagonia argentina e cilena, l’area che analizzerò di seguito è quella che comprende le regioni soggette dal 1997 alla sovranità politica del Cile. Si tratta in particolare delle Torri del Paine, l’arcipelago di Chiloé, Laguna San Rafael, Punta Arenas e la Terra del Fuoco cilena, luoghi tra i meno conosciuti del Paese e condizionati da un profondo isolamento storico e geografico, causa quest’ultima di inconsueti costumi, miti e tradizioni, nonché di una popolazione risultata da incroci secolari tra i coloni spagnoli e gli indigeni. In gran parte inesplorati, i territori sopracitati si affacciano sull’Oceano Pacifico, avvolti nel manto verdeggiante delle foreste subantartiche e incisi da fiordi, laghi e torrenti impetuosi, dominati dai vulcani e dai ghiacciai millenari dello Hielo Continentàl. La pressione tra lo zoccolo oceanico e lo zoccolo sudamericano conseguente al movimento delle zolle tettoniche ha dato infatti origine a fratture nella corteccia terrestre, generando nei periodi Terziario e Quaternario le valli dei laghi (lo Yelcho ne è un esempio) e fiordi come quello di Reloncavì e Comau. Inoltre, ha determinato la presenza di un’impressionante serie di vulcani, primo fra tutti il Chaiten18, eruttato di recente dopo millenni di inattività. Al ritirarsi dei ghiacciai il mare ha invaso la valle centrale e la fratturata cordigliera costiera ha dato origine all’arcipelago di Chiloé19. 18 Si tratta di un vulcano che sorge in una zona poco popolosa del Cile meridionale, incastonata nella cordigliera delle Ande. La sua ultima eruzione avvenne nel 7420 a.C, la più recente risale invece a maggio 2008. Dal sito http://www.patagonia.com, maggio 2009. 19 Cfr. A. Anania – A. Carri, op. cit., p. 283. 9 2.1 Le Torri del Paine e l’omonimo Parco Nazionale Avvalendomi ancora una volta di modelli espressivi prevalentemente arcadici, introduco un «gigante di pietra»20 ubicato tra le pendici occidentali della cordigliera delle Ande: le Torri del Paine, «spettacolari e svettanti colonne granitiche»21 che danno il nome al parco nazionale che le racchiude, il Parco Nazionale Torri del Paine appunto, creato nel 1970 e dichiarato Riserva della Biosfera dall’UNESCO nel 1978. Il primo decreto per la preservazione della natura di questo vasto territorio ubicato nell’estremo sud del Cile è invece del 192522. Il massiccio del Paine costituisce uno dei sistemi orografici più spettacolari del mondo per le esclusive conformazioni e l’attrattiva paesaggistica. I primi ad apparire alla vista del visitatore sono i caratteristici Corni del Paine, il cui riflesso è visibile sulle acque del lago Nordenskjöld. Più a est è possibile invece ammirare le tre guglie più note: Torre sud De Agostini, Torre Centrale, Torre Nord. Le acque di fusione dei ghiacciai e le frequenti piogge alimentano, inoltre, le conche di una serie di laghi posti a diverse quote, che formano un complesso sistema idrografico drenato dal Rio Paine: tale fiume, scendendo dal ghiacciaio Dickson, passa di lago in lago e dà origine a spettacolari cascate. Queste ultime, insieme a crinali, dirupi, fiumi e lagune concorrono a rendere il panorama «diverso a seconda delle varie fasi della giornata, della luce del sole, e affascinante di giorno per la vista delle sue montagne e di notte per il suo cielo stellato»23. Dal sito internet dell’UNESCO si apprende il motivo che, unitamente alla bellezza paesaggistica, ha spinto a dichiarare il Parco Torres del Paine Riserva della Biosfera. Il territorio in esso compreso è infatti caratterizzato da aree microclimatiche ben differenziate, legate alla loro diversa posizione geografica: la steppa patagonica fuegina include gli altipiani e le pianure; le foreste sempreverdi del Verano si estendono a ovest fino ai piedi delle Ande, mentre da qui si schiude una zona alpina priva di vegetazione. Ciò comporta la presenza di una molteplicità di specie faunistiche, elemento determinante per la classificazione del Parco quale oasi di protezione e conservazione. Riporto qui sotto una piccola parte del documento originale reperito su hhttp://www.unesco.org: There are about 106 species of birds, some of which are endangered, such as Coscoroba Swan (Coscoroba coscoroba) and Darwin-Nandu (Pterocnemia pennata). There are 24 species of mammals of which the puma (Felis concolor) found in well-protected wooded areas, is key in 20 Citazione dal depliant turistico Il Tucano, Patagonia, s.l, 2007-2009, p. 14. Citazione dal depliant turistico Kel12, Latinoamerica, s.l, 2007-2008, p. 24. 22 Tratto dal sito http://www.unesco.org, maggio 2009. 23 Tratto dal sito http://www.turistipercaso.it, aprile 2009. 21 10 controlling the population of smaller mammals. Some 570 guanaco (Lama guanicoe) are also found. Il sito, progettato e gestito dunque come un Parco Nazionale, non prevede l’insediamento permanente di abitanti, ma unicamente il passaggio di turisti, che ogni anno raggiungono il numero di circa ventimila a livello nazionale e quarantamila a livello mondiale24. Fra le opere di valorizzazione e conservazione ad oggi contemplate vi sono il ripristino dei terreni un tempo destinati all’allevamento e la reintroduzione di alcune specie autoctone in via di estinzione. 2.2 La cordigliera andina Nella Patagonia cilena la cordigliera, menzionata poco fa esaminando le Torri del Paine, si avvicina sempre più alla costa, si fraziona in una serie di brevi catene e di massicci, fra i quali si insinua il mare, formando isole e isolotti, frastagliate penisole e fiordi molto profondi. Mi è sembrato interessante arricchire la descrizione di questo particolare paesaggio con i versi della poetessa Gabriela Mistral25 al fine di esaltare, con maggiore forza, le caratteristiche estetiche e i valori dei paesaggi, mostrandoli da un punto di vista differente, seppure soggettivo, rispetto a quello degli autori già trattati. La poetessa cilena pone come sfondo della sua poesia la natura ostile e solitaria delle Ande, che sfida continuamente l’uomo e provoca in lui un sentimento di profonda desolazione, dolcezza, calore e dolore. La sua parola, carica di musicalità, esprime uno stato d’animo misto di sofferenza, d’amore, di tenerezza e rimpianto. I paesaggi della Patagonia, tra i quali si era rifugiata la donna, ferita dalla perdita del figlio, portano nuovo tormento al suo cuore e lo sconforto dell’animo si rispecchia nel paesaggio, di cui la Mistral canta le fitte nebbie, la terra senza primavera, la lunga notte, i venti che intorno alla sua casa simboleggiano singhiozzi e lamenti disperati. Nell’opera dal titolo Paisajes de la Patagonia (Paesaggi della Patagonia, 1922) la sua arte raggiunge il punto più alto, regalando al lettore immagini potenti e singolari: La bruma espesa, eterna, para que olvide dónde me ha arrojado la mar en su ola de salmuera. La tierra a la que vine no tiene primavera: tiene su noche larga que cual madre me esconde. El viento hace a mi casa su ronda de sollozos y de alarido, y quiebra, como un cristal, mi grito. 24 Tratto dal sito http://www.unesco.org, maggio 2009. L’ultimo aggiornamento dei dati da me ritrovato risale al 1999. Gabriela Mistral, pseudonimo di Lucila Godoy Alcayaga, (Vicuña 1889 – New York 1957), poetessa cilena, premio Nobel per la letteratura nel 1945 . 25 11 Y en la llanura blanca, de horizonte infinito, miro morir intensos ocasos dolorosos26. Del paesaggio, ciò che maggiormente colpisce la Mistral non sono tuttavia le zone pianeggianti, come si legge nei versi appena analizzati, bensì lo scheletro imponente della cordigliera, che nella sua smisurata struttura unisce tutte le terre americane. Nell’inno Cordillera (Cordigliera, 1922) la poetessa canta i rilievi andini personificandoli, paragonandoli ad una madre che giace distesa attraverso tutto il continente americano, e che come una creatura vivente cammina e pulsa nel suo cuore e in quello di tutti i popoli che vivono a contatto con essa: Andando va con nosotros como un sueño verdadero, casi tocando el costado la dueña de nuestros cuerpos, como una sola alma fiel y con semblantes diversos. Mirando recta hacia el niño, haciendo señas al Ciervo, y cerrándoseme a mí en un nudo que le entiendo, mi cordillera camina con sus carnes y sus huesos27. È nelle Ande che Gabriela Mistral sente la sua razza, quella india, misconosciuta e disprezzata, ed è proprio in quegli spazi vergini e refrattari, come si era detto anche per Francisco Coloane, che la scrittrice cilena giunge sempre più intimamente alla comprensione dell’anima della Patagonia. La geografia poetica della Patagonia della Mistral corrisponde alla necessità di fissare nella memoria, attraverso il linguaggio evocativo dei versi, i bellissimi paesaggi e le presenze umane del proprio paese lontano, rendendo partecipe anche il lettore dello spirito del luogo. 26 G. Mistral, «Gabriela Mistral» in P. Raimondi (a cura di), Scrittori del mondo. I Nobel, Torino, UTET, 1979, p. 237. La bruma spessa, eterna, affinché dimentichi dove/mi ha gettato il mare nella sua onda di salamoia./La terra nella quale venni non ha primavera:/ha la sua notte lunga che quale madre mi nasconde.//Il vento fa alla mia casa la sua ronda di singhiozzi/e di urlo, e spezza, come un cristallo, il mio grido./E nella pianura bianca, di orizzonte infinito,/guardo morire immensi tramonti dolorosi. 27 P. Raimondi (a cura di), op. cit., p. 243. Camminerà con noi/ reale come un sogno,/ quasi a toccare il costato,/ la madre dei nostri corpi,/come un anima fedele/ e con diversi volti.//Fissando dritta il fanciullo,/ indicavo il Cervo,/ chiudendomi a me stessa/ in un nodo che comprendo,/ la mia cresta cammina,/ con le sue ossa e la sua carne. 12 2.3 Chiloé, l’anticamera della Patagonia La maggior parte dei piccoli porti e dei villaggi dell’Isola di Chiloé furono fondati dai corsari, o per difendersi dai corsari, nel Cinquecento e nel Seicento. Corsari o idalghi, tutti erano costretti ad attraversare lo Stretto di Magellano e pertanto a passare da posti come Chonchi28. Di quei tempi è rimasto il carattere funzionale degli edifici: tutti assolvono a due funzioni, benché sia solo una la principale. I locali servono da bar e da ferramenta, da bar e da ufficio postale, da bar e da agenzia di cabotaggio, da bar e da farmacia, da bar e da onoranze funebri. È con queste parole che nel romanzo Patagonia Express Luìs Sepùlveda29 tratteggia l’isola natale di Chiloé, ed è lo stesso Sepùlveda a definirla “anticamera della Patagonia”, intendendola come una sorta di vestibolo che prepara il viandante a sopportare l’eccentricità del sud30. Un riscontro, più dettagliato, alla descrizione dello scrittore cileno, si può trovare nel documento UNESCO reperito sul sito internet ufficiale31. Vi si legge, infatti, che i navigatori spagnoli scoprirono l’arcipelago di Chiloè nella seconda metà del sedicesimo secolo. Nel 1567, quando Martin Ruìz de Gamboa fondò la città di Santiago de Castro e Chacao, sull’isola di Chiloè iniziò la colonizzazione. Fisicamente l’arcipelago, appartenente alla X° regione cilena de Los Lagos, è costituito dalla Isla Grande de Chiloé e da una ventina di isolotti vicini, separati dal continente americano tramite il Canale di Chacao. La Isla Grande ha una forma rettangolare orientata da nord a sud per una lunghezza di 180 km ed è la seconda isola per estensione del Sudamerica, dopo la Terra del Fuoco. Una catena montuosa, prolungamento della cordigliera della costa continentale, l’attraversa per tutta la sua lunghezza, interrotta nel mezzo dai bacini dei laghi Huilinco e Cucao, che separano i monti Pichué, a nord, dai Pirulillas, a sud. Le forti e frequenti precipitazioni caratteristiche dell’arcipelago favoriscono la crescita di fitte foreste di alerce e di roble (un albero molto simile alla quercia) la cui legna, durissima e resistente, è sfruttata fin dai tempi più antichi per la costruzione di edifici, mezzi di trasporto e pavimentazioni. 28 Cittadina fondata nel 1764, è degna di interesse in quanto costruita su vari livelli tanto da essere soprannominata “città dei tre piani”. 29 Luìs Sepùlveda, (Ovalle, 4 ottobre 1949) è uno scrittore e regista cileno. 30 Cfr. L. Sepùlveda, Patagonia Express. Appunti dal sud del mondo, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 16. 31 Documento No. 971, tratto dal sito http://whc.unesco.org. maggio 2009. 13 Unito a quello delle precipitazioni, un altro fenomeno importante è quello delle maree: nel mare interno, infatti, esso è così accentuato che i canali che separano le isole, profondi e stretti, durante la bassa marea sono percorribili a piedi, in particolare nella località di Quemchi dove, come narra lo scrittore Francisco Coloane, nativo del villaggio, ogni cosa viene sommersa dalle acque: Nella casa c’era una sorta di ponte di assi per andare dalla sala da pranzo alla cucina. Con l’alta marea, le onde arrivavano fin sotto alla camera da letto e così non ci avrei messo molto tempo a passare dal rumore della risacca a quello del mare aperto32. È questo il motivo principale per cui gli edifici dell’arcipelago, soprattutto nella capitale, Castro, hanno l’aspetto della palafitta: sono costruzioni coloratissime in legno, sorrette da pali conficcati nel bagnasciuga e lambite dai venti e dalle onde. Come già accennato, è proprio il legname l’elemento determinante che ha condizionato lo sviluppo dell’arcipelago, influenzando addirittura il lavoro, la mentalità e la vita sociale dell’uomo, tanto da poter parlare di una vera e propria “cultura del legno”. Ciò che più merita riflessione sono le chiese, interamente costruite con questo materiale. Delle oltre 150 presenti nell’arcipelago di Chiloé, ben 16 sono state proclamate nel 2000 dall’UNESCO patrimonio dell’umanità33. Per comprendere il vero valore di questi edifici e il loro ruolo all’interno della società occorre fare un passo indietro e riportare nuovamente alcune informazioni tratte dal documento dell’Unesco già citato in precedenza. I missionari, dell’ordine di San Francesco e della Madonna della Misericordia, arrivarono insieme ai primi coloni. Fu però dal 1608 che la relazione interculturale tra gli europei conquistatori e la popolazione indigena iniziò ad influenzare la cultura architettonica e sociale dell’arcipelago. Fu infatti da quell’anno che la compagnia di Gesù iniziò il processo di evangelizzazione, dando vita ai villaggi e portando gli europei a confrontarsi con un territorio sconosciuto, isolato ed ostile. La lontananza dalle grandi città e le difficili condizioni ambientali stimolarono gli spagnoli all’apprendimento dei costumi, delle conoscenze e delle tecniche dei popoli nativi. Adottarono 32 33 F. Coloane, op. cit., p. 9. UNESCO, Il Patrimonio dell’Umanità. Tesori salvati e da salvare, Milano, Touring Editore, 1999, p. 307. 14 quindi le loro pratiche agricole, ittiche e costruttive. Impararono la lingua locale, il veliche, prevalente nel rapporto tra i due gruppi a discapito dello spagnolo. L’architettura di Chiloè risulta così essere la sintesi di entrambe le culture, e sono proprio le chiese sopracitate a testimoniarne la commistione e farsi simbolo della più sentita tradizione culturale chilota. Esse rappresentano altresì un eccellente materiale espressivo dell’intera cultura dell’arcipelago; una cultura originata dall’evangelizzazione, dai valori cristiani, da una sensibilità comunitaria nei confronti dell’interraziale e da un forte desiderio di trascendenza, fondato sulla stretta conoscenza dell’ambiente patagonico. La relativa povertà di queste società contrasta pienamente con la loro ricchezza spirituale, con il notevole attaccamento alle tradizioni e l’orgoglio degli abitanti, tradotti non solo in pratica religiosa, ma anche in saggezza e creazione artistica. Tra la Isla Grande e la terraferma si trovano duecento isole, la maggior parte delle quali molto piccole e disseminate di edifici ecclesiali. La nomina Unesco si compone di sedici chiese appartenenti alla Diocesi di Ancud, sottoposta al controllo della Chiesa Cattolica Romana34. Si tratta di: Achao, Quinchao, Castro, Rilán, Nercón, Aldachildo, Ichuac, Detif, Vilipulli, Chonchi, Tenaún, Colo, San Juan, Dalcahue, Chelín e Caguach. 34 La Diocesi di Ancud è un ente di diritto pubblico e gode di uno status giuridico speciale nell’ambito del codice civile cileno. 15 Costruite su colline e sollevate da terra al fine di evitare inondazioni nei periodi intensamente piovosi, tutte le chiese sono adattate sapientemente alla natura che le circonda, rispettando il canone albertiano della concinnitas35. Esse sono caratterizzate da un tetto a spiovente e da una facciata dalla quale si staglia sempre una torre. Quest’ultima è il punto focale dello sviluppo urbano di Chiloè: essendo dominante e sviluppandosi in verticale funge da faro per i navigatori e da faro religioso, in quanto è proprio la sua struttura a sostenere la croce. La maggior parte delle torri ha base ottagonale o esagonale, in modo da ridurne la resistenza al vento. Una delle chiese più grandi dell’isola è la Iglesia de San Carlos De Borromeo, situata a Chonchi, una bella cittadina costruita su vari livelli lungo le pendici del monte Pinchué e chiamata anche ciudad de los Tres Pisos (città dei tre piani) poiché costruita su tre terrazze naturali. Fondata nel 1764 nel luogo dove dieci anni prima si era istallata una missione gesuitica, si è sviluppata grazie al porto e al commercio di legnami pregiati. L’architettura della chiesa è contraddistinta da un portale a cinque arcate e da una torre di tre piani che costituì appunto il nucleo intorno al quale si sviluppò il centro urbano. La costruzione iniziò nel 1754, ma, non ancora terminata, nel 1859 fu completamente ridisegnata in stile neoclassico. I volumi delle chiese variano, ispirandosi spesso al modello delle chiese tedesche, ma tutte sono accomunate dal fatto che la profondità vince sulla larghezza e la loro dimensione dipende dalla rilevanza delle feste religiose che vi si svolgevano al’interno. Data la carenza di chiodi, raro e prezioso bene d’importazione, l’assemblaggio degli edifici veniva completato con tipici cavicchi di legno chiamati tarugos. 35 Idea introdotta dall’architetto Leon Battista Alberti secondo cui una parte e il progetto stesso devono porsi in armonia con l’intorno e all’interno delle altre parti componenti. Il termine è utilizzato per indicare una particolare attenzione alla forma e all'ordine degli elementi naturali e architettonici. 16 L’architettura è tendenzialmente di influenza gotica, anche se rare eccezioni riconducono al Classicismo, come a Chonchi, o al Rinascimento, come a Nercón. L’aspetto di tutti gli edifici considerati è comunque determinato dalla presenza di tre navate, separate da colonne in legno e poggiate su basi di pietra; mentre la navata centrale è caratterizzata da una volta a botte e dipinta dalla scuola locale del Culto dell’Immagine, come nel caso della chiesa di Chonchi, colorata di blu con stelle bianche, o di Dalcahue, dove è stato imitato il marmo con colori naturali. Le chiese sono dunque distinte l’una dall’altra dai diversi stili pittorici e dalla quantità di decorazioni presenti, grazie alle quali è possibile riconoscere la maestria chilota nella lavorazione del legno di alerce, una particolare varietà di cipresso originario della Patagonia. Alcuni esempi si possono osservare nelle finestre, di forme e grandezze differenti. Curiosamente tutti gli edifici ecclesiali si trovano lungo la costa, posti ad una distanza di non più di dieci chilometri l’una dall’altra; la spiegazione è legata al fatto che ogni anno i gesuiti dedicavano un’intera giornata a celebrare messe e matrimoni nelle chiese di Castro e la massima distanza che il loro battello poteva percorrere quel giorno era appunto di dieci chilometri36. Lo strumento fondamentale per la tutela di questo patrimonio religioso è la legge n. 17/28837, mezzo principale per la protezione culturale dell’intero patrimonio culturale cileno, e la gestione è affidata alla già citata Diocesi di Ancud. La commissione delle opere di ristrutturazione delle chiese è stata invece attribuita ai Fiscales, membri laici della diocesi con una importante tradizione muraria. Dal 1988 la facoltà di architettura e sviluppo urbano cilena collabora con loro, offrendo scienza e tecnologie moderne per il mantenimento delle cappelle. L’autenticità delle opere di restauro e conservazione è verificata infine dalla società governativa ICOMOS38; il suo compito è quello di regolare lo sviluppo urbano cileno intorno alle chiese, oggi difficilmente controllato. 36 Cfr. A. Anania – A. Carri, op. cit., p. 295. La legge 17/288. Le chiese citate sono tutelate ai sensi delle disposizioni del presente statuto quali monumenti storici. 38 Organizzazione internazionale non-governativa di professionisti dedicata alla conservazione di siti e monumenti storici mondiali. 37 17 Le autorità governative e quelle non governative, come l’associazione Amici delle chiese di Chiloé, lavorano incessantemente dal 2000 con l’obiettivo di disciplinare il passaggio turistico internazionale39. 2. LA PATAGONIA ARGENTINA Oltre il Rìo Colorado, confine naturale con la Pampa, si apre allo sguardo lo spettacolo della Patagonia argentina, suddivisa politicamente in cinque province: Chubut, Nequén, Rìo Negro, Terra del Fuoco antartica e Santa Cruz. Spiagge, deserti, montagne, valli lussureggianti, laghi e boschi incontaminati contribuiscono a fare di queste zone un’ambita meta turistica, in particolare nella località cordiglierana di San Carlos de Bariloche, fra le province di Nequén e Rìo Negro. Degni di interesse da un punto di vista sia naturalistico che culturale sono però anche Chubut e Santa Cruz. La prima delle due province è infatti il punto di partenza per raggiungere la Penìnsula Valdés, riserva marina di importanza internazionale, dichiarata dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità (1999)40. Mentre la seconda, oltre ad accogliere le più inaccessibili vette della terra, è una meta indimenticabile per studiosi e amatori di geologia, etnologia e archeologia, in quanto vi si trovano testimonianze fossili e pitture indigene rupestri, come quelle della già ricordata Cueva de las Manos. 2.1 La Cueva de las Manos Il sito archeologico della Cueva de las Manos (Caverna delle Mani) si trova all’interno della’area naturale di Río Pinturas-Santa Cruz e dei confini del Parco Nazionale Perito Moreno. Le grotte e i rifugi naturali che lo compongono sono di rilevante interesse data la conservazione nel tempo. A tutt’oggi è possibile ammirare le pareti delle caverne dipinte ad affresco rappresentanti scene di caccia e di vita quotidiana. Questi sono i dati forniti da tutti i supporti da me consultati, senza riscontro di alcuna discordanza. Anche i turisti parlano della Cueva de las Manos in modo piuttosto didascalico, ma in ogni caso carico di entusiasmo e di stupore; riporto alcuni esempi di seguito: 39 Cfr. Documento No. 971, tratto dal sito http://whc.unesco.org. giugno 2009. Cfr. A. Anania – A. Carri, op. cit., p. 128. Non analizzerò dettagliatamente il sito in quanto si tratterebbe di esulare dal tema principale per entrare nel merito di un discorso fortemente legato alla biologia marina e alle specie animali protette. Basti ricordare che qui vivono specie in via di estinzione come la balena franca australe e l’orca. 40 18 I dipinti che si possono osservare sono vera arte rupestre. La visita non è solo artistica, è un‘esperienza con la natura: le grotte sono anche un rifugio naturale per uccelli e altri animali, e poi ancora il fiume e il suo verde canyon. Questa area è ricca di bellezze naturali e le mani dipinte con diversi colori e posizioni ci sfidano a capirne il senso, che però nonostante l’opinione personale che ognuno di noi può avere, rimane un mistero; nessuno sa, infatti, esattamente per quale motivo questi disegni sono stati eseguiti41. Un luogo di una bellezza e di un interesse sconvolgente42. Un posto magnifico fuori dalle grandi rotte del turismo. Un canyon spettacolare. Sono rimasta molto colpita dalle pitture rupestri43. Nessuna delle personalità letterarie da me introdotte finora ha parlato dettagliatamente della Cueva de las Manos, ma l’importanza culturale del sito mi impone di analizzarlo con particolare cura. Anche in questo caso mi servirò dell’archivio UNESCO. 41 Tratto dal sito http://www.Tour2000.it, giugno 2009. Tratto dal sito http://www.turit.it, aprile 2009, reportage di Giuseppe Rivalta e Dario Brignole. 43 Tratto dal sito http://argentinapatagoniafuego.spaces.live.com, maggio 2009, commento di una viaggiatrice anonima. 42 19 Si stima che i primi dipinti siano stati fatti a partire dal Decimo secolo avanti Cristo. Dal Documento Ufficiale dell’Unesco, che ne certifica il valore archeologico, si evince infatti che la Cueva de las Manos è uno dei pochi siti di arte rupestre appartenente all’era Olocene ancora ben conservato. Le indagini hanno dimostrato che le grotte sono state abitate fino al Settecento dopo Cristo e che proprio quegli abitanti sarebbero i possibili antenati dei Tehuelche (letteralmente: persone della Patagonia). La Cueva de las Manos è considerata dalla comunità scientifica internazionale un esempio eccellente di habitat preistorico di sapiens cacciatori ed agricoltori, tanto da essere dichiarato uno dei più importanti siti archeologici mondiali e da rappresentare una fondamentale testimonianza per il passato dell’Argentina. Le aree rinvenute su entrambe le sponde del Río Pinturas infatti, sono prove di occupazione da parte di popoli pre-ispanici, antenati degli argentini, che avrebbero usufruito per secoli delle risorse del canyon e dell’ambiente circostante. Gli abitanti attuali, tuttavia, non sono affatto a conoscenza del loro forte legame con la popolazione pre-ispanica, a causa della brusca interruzione dei rapporti con i nativi dovuta a periodi di colonizzazione e di conquista. Le caverne in cui si trovano i dipinti appartengono ad un paesaggio che appare quasi sospeso, cristallizzato nel tempo. Il fiume attraversa una profonda vallata, offrendo al un’incomparabile visitatore esperienza estetica. Le scene di caccia raffigurano animali ed umani che interagiscono in modo naturale e dinamico. Sono poi raffigurate diverse strategie di caccia come le imboscate e l’utilizzo di armi come le bolas44. Le analisi al radiocarbonio hanno istituito che il primo gruppo umano interessato all’arte rupestre si è insediato nel 9300 a.C., classificando l’arte come gruppo stilistico A. Del gruppo in questione fanno parte raffigurazioni di cacciatori a lunga distanza impegnati principalmente nella caccia del guanaco. Intorno al 7000 a.C. è stata invece individuata una diversa tipologia artistica, dominata da stencil e classificata come arte rupestre di tipo B. Le 44 Armi da caccia costituite da lacci di cuoio alle cui estremità sono legate delle piccole palle di pietra e delle maniglie. 20 uniche scene di caccia qui presenti rappresentano l’attività della cattura del ñandú45. Questo stile si protrae fino al 3300 a.C.. A partire da quel periodo l’arte diventa più stilizzata e vengono introdotte figure antropomorfe e zoomorfe. La fase finale della cultura insediata sulle sponde del Rìo Pinturas (gruppo stilistico C) inizia nel 1300 a.C.. Le rappresentazioni sono di colori vivi, particolarmente presente è l’utilizzo del rosso e si nota una ricorrenza di figure geometriche. L’astratto predomina nella raffigurazione umana e animale. Non vi è dubbio alcuno che l’Area Naturale Arqueológica di Río Pinturas-Santa Cruz abbia un valore altamente simbolico. Essa è situata nella pampa del fiume Pinturas, caratterizzata a tutt’oggi dalla forte presenza di ranch bovini (estancias). È un altopiano situato ad un altitudine variabile tra gli 800 e i 1000 metri, tagliato da canyon profondi delimitati da scogliere ripide come quella di Pinturas, luogo ospitale per una fauna vasta e diversificata, grazie all’esistenza di molti rifugi in pietra naturale. Il clima nei canyon è temperato, in quanto essi sono protetti dai venti della pampa. Le temperature miti ed il tasso elevato di umidità rispetto alla pampa rendono questa regione adatta al pascolo del bestiame. L’arte rupestre individuabile nella Cueva de las Manos, nonostante il clima umido, era rimasta in condizioni eccellenti fino all’arrivo dei primi visitatori nella seconda metà del XIX secolo. Il vandalismo del pubblico negli ultimi quarant’anni ha infatti deteriorato le opere, eseguite con pigmenti minerali naturali mescolati con terra ed un legante tuttora sconosciuto. I rilevamenti fatti tramite radiografia, oltre a scoprire la sovrapposizione delle raffigurazioni nel tempo, ha identificato parte dei materiali usati nelle pitture. Principalmente si tratta di ossidi di ferro (ematite e maghemite) per il rosso e il viola, di caolino per il bianco e ossido di manganese per il nero. La Cueva de las Manos è stata dichiarata dal Congresso Nazionale della Repubblica argentina monumento storico di valore nazionale nel 20 luglio 1993. Essa è in conformità con i valori richiesti dalla Commissione Nazionale dei Musei, Monumenti, e Aree di valore storico. L'area proposta per l'iscrizione ai Beni Culturali comprende 600 ettari e l’importanza del sito ha fatto sì che la città di Santa Cruz divenisse capitale Archeologica argentina. Dal 1997 l’Instituto Nacional de Antropología y Pensamiento Latinoamericano (INAPL) si sta occupando della conservazione dei dipinti e dell’analisi per la valutazione del loro deterioramento. Al fine di preservarli nel tempo ci si sta inoltre occupando di sviluppare un database. Dal 1998, insieme all’INAPL, diverse organizzazioni governative si stanno impegnando nella diffusione dell’informazione scientifica attraverso 45 Nome comune di due specie di uccelli sudamericani simili allo struzzo. 21 programmi di istruzione e comunicazione per il pubblico. Infine si stanno dedicando alla cura delle opere proteggendole da atti di vandalismo e ponendo barriere di sicurezza attorno ad esse. Recentemente la formazione di guide turistiche e una forte organizzazione logistica attorno alla Cueva de las Manos hanno permesso un sentito sviluppo turistico. La vigilanza delle opere viene svolta dal padrone delle terre cuscinetto delle caverne, il quale ha dichiarato la sua stessa proprietà come Patrimonio Mondiale a servizio della nazione. L’ICOMOS ha certificato l’autenticità delle opere rupestri nel gennaio 1999. Tuttavia la notevole crescita del numero di visitatori e la conseguente necessità di una più adeguata protezione del sito archeologico hanno impedito di concretizzarne la candidatura come Patrimonio Mondiale46. 3.2 Il monte Fitz Roy e il ghiacciaio Moreno Nel 1877 l’esploratore Carlos M. Moyano, ingannato dal pennacchio di nubi che quasi sempre corona la vetta del monte Fitz Roy, e dalle affermazioni degli indigeni Tehuelche, lo descrive come il nero cono di un vulcano, e lo battezza erroneamente Vulcano Fitz Roy, allo scopo di distinguerlo dai numerosi crateri che i Tehuelche usavano denominare genericamente chaltén. La scelta del nome Fitz Roy è legata ad un gesto di gratitudine nei confronti del sapiente e vigoroso ammiraglio inglese che permise di introdurre nelle mappe le coste dell'America australe. Il primo ad accorgersi dell’errore geografico fu proprio lo stesso Moyano che, ritornato sul posto nel 1884 e osservate le vette andine con cannocchiale, un potente non trovò nessuna traccia di eruzione. La vetta del Fitz roy dagli anni Cinquanta fu oggetto di conquista da parte dei più coraggiosi arrampicatori europei. Oltre alle difficoltà tecniche infatti, che rendono decisamente impegnativa e pericolosa la scalata di queste pareti erte e spesso 46 Cfr. Documento No. 936, tratto dal sito http://whc.unesco.org, maggio 2009. 22 scivolose, intervengono le condizioni climatiche particolarmente avverse, originate dallo scontro delle grandi masse d'aria provenienti dall'Atlantico al Pacifico, che scatenano nell’area tormente brutali e repentine. Per la prima volta la cima venne raggiunta nel 1952 dai francesi, i quali percorsero un’apertura lungo lo sperone sud, arrivata già da Bonacossa nel 1936. Dalla fine degli anni Settanta gli italiani cercarono quindi di eguagliare il successo francese47. L’importanza del monte Fitz Roy è legata però anche al nome del parco che lo ospita: il Parco Nazionale Los Glaciares, istituito nel 1937 e inserito dall’Unesco nella lista del patrimonio naturale mondiale nel 1981. Esso è infatti una fra le località più emblematiche dal punto di vista naturalistico e paesaggistico dell’intero pianeta. Al suo interno, unita alla grandiosità dei monti e all’incanto dei laghi (come il Viedma e l’Argentino), sorprende la magnificenza dei ghiacciai (Upsala, Perito Moreno, Spegazzini, Onelli), che contribuiscono ad accrescere l’effetto scenografico del paesaggio. Chiamo ancora una volta in aiuto Giardinelli per offrire un’idea di questi scenari: Per arrivare al ghiacciaio Perito Moreno bisogna fare un viaggio davvero eccitante. La strada è pessima e, dunque, il tragitto lentissimo. La Rossa avanza tra mille sobbalzi, dapprima per una specie di pampa dominata in lontananza da montagne che sembrano tagliate da un coltello mentre le sfumature di colore ne rivelano le diverse ere geologiche. Poi la strada si avvicina al lago Argentino e lo accompagna: le acque azzurre risplendono sotto il sole e sul ciglio della strada ci sono massi impressionanti, alcuni di circa due metri di diametro e sicuramente varie tonnellate di peso. Sono prodotti di esplosioni millenarie, giganteschi sputi della natura.[…]. Ci avviciniamo alla costa, superiamo il posto di controllo delle guardie forestali, paghiamo il biglietto d'ingresso al Parco Nazionale Los Glaciares, ma niente. Non si vede altro che un paesaggio indubbiamente suggestivo, di ‘lengas’ e ‘ñires’, mirti e migliaia di cipressi screziati che compongono un delizioso bosco da clima freddo. Sulla sinistra le acque mansuete, profonde del lago su cui galleggiano, alla rinfusa, lastroni di ghiaccio. Succede all'improvviso. Si esce da una delle tante curve del percorso, e ci si imbatte in tutto lo splendore di quella parete di ghiaccio che soltanto i secoli e il silenzio hanno potuto erigere. È vedendo quella mole che si comincia davvero a sentirsi testimoni di un prodigio. Quasi all'istante risuona da non so dove una specie di colpo di cannone, e si ripete, con eco perfetto, per monti e dirupi mentre le acque si agitano e si increspano come se una mano magica le muovesse da sotto: si è staccato un pezzo di ghiacciaio, ecco cos'è successo, è caduto un pezzo di ghiaccio di varie tonnellate di peso e di settanta, ottanta metri di lunghezza, ed è sprofondato nelle acque producendo così un altro degli innumerevoli, fantastici rutti della Natura.[…]. L'intero paesaggio è fantastico e mi riporta a immaginare i miei personaggi che vagano per questi luoghi: l'azzurro del lago, i lastroni belli e terribili che navigano come bianche isole abbandonati al proprio destino, di alberi che si arrampicano sui declivi delle montagne, il 47 Cfr. A. Anania e A. Carri, op. cit., p. 184 23 silenzio impeccabile spezzato solo dal ghiaccio che si rompe e dal volo costante di qualche condor, lassù nel cielo altissimo, compongono, ovunque si guardi, quadri di una bellezza dolorosa48. Il Perito Moreno, come si può apprendere da depliant, guide turistiche e siti internet, non è il più grande nel gruppo dei ghiacciai argentino-cileni, ma viene da tutti descritto come il più affascinante. Si tratta di una massa di centocinquanta chilometri di ghiaccio che cade a picco sul lago Argentino con un fronte di circa sei chilometri di larghezza e pareti che si innalzano fino a settanta metri sopra le acque e si nascondono per altri duecento sotto il livello del lago. Ciò che più sorprende è il costante, seppur impercettibile, movimento del ghiacciaio: avanza più di un metro e mezzo al giorno, dando origine a potenti slavine che provocano quelli che Giardinelli definisce “colpi di cannone”. Insieme alla bellezza esiste però un rovescio della medaglia: ad ogni sfaldamento c’è il rischio che le schegge di ghiaccio vengano sparate come lance affilate e, stando a quel che dicono alcune guide, è necessario fare moltissima attenzione, tenendosi ad una distanza di sicurezza. Nella sua narrazione lo scrittore pone tuttavia in primo piano il fenomeno della globalizzazione e del turismo, su cui si basa gran parte dell’economia patagonica, un turismo attualmente elitario, ma destinato a svilupparsi negli anni. Riporto di seguito alcuni frammenti tratti da Finale di Romanzo in Patagonia, al fine di mostrare l’immagine della regione nell’era del progresso, facendo luce su questioni più concrete rispetto a quelle connesse al puro aspetto estetico dell’ambiente; ovvero problemi politici legati, peculiarmente, al turismo e alla privatizzazione: Mentre camminiamo sul Perito Moreno, penso alle potenzialità turistiche di questo paese privilegiato […]. Penso al defunto Francisco Pascasio Moreno, a Carlos Moyano e ad altri esploratori che all'inizio del secolo passato (mi riferisco al secolo XX) aprirono nuove vie, tracciarono cartine, trattarono con gli indigeni nella lingua degli indigeni che furono capaci, come Moreno, di «donare alle generazioni future» territori ricchissimi che il governo aveva assegnato loro come ricompensa per le scoperte effettuate. Penso agli esempi etici, allo sforzo, al sacrificio, quelle colombe ormai perdute del nostro presente globalizzato, e penso anche al giorno in cui questo posto verrà scoperto dagli Stati Uniti.[…]49. Servizi eccellenti, bisogna riconoscerlo, ma forniti tutti da un'unica società: le passerelle, l'uso dei moli e delle barche; le guide per camminare sui ghiacci e anche la navigazione sul lago fino agli altri ghiacciai. Uno può rivolgersi a qualsiasi agenzia di viaggi tra le decine che ci sono nel paese, 48 49 M. Giardinelli, op. cit., pp. 135-136. M. Giardinelli, op. cit., p. 139. 24 ma solo questa compagnia monopolistica offre tutti i servizi e a prezzi nient'affatto popolari: tra i sessanta e i centotrenta pesos o dollari, a seconda dell'itinerario.[…]50. Durante la cena due giornalisti locali parlano dell'organizzazione alberghiera nella penisola di Magellano.[…]. Tutta la penisola è privata anche se c'è già un hotel molto discusso. La voracità immobiliare che si è scatenata ha provocato il ricorso alla magistratura da parte degli ecologisti della zona. È vero che al El Calafate gli alberghi sono per il momento piccole costruzioni a carattere familiare e non esistono ancora edifici di molti piani. Ma quando arriveranno le catene Hilton, Melià, e altre equivalenti e vorranno tirar su venti piani per poter «vedere il lago» o altre storie del genere, bisognerà vedere quale sarà l'amministratore o l’assessore che saprà resistere51. Grazie allo stile limpido, scorrevole, quasi tipico del linguaggio parlato, Mempo Giardinelli ci regala una visione inconsueta della Patagonia. Parallelamente all'entusiasmo espresso nella descrizione dei paesaggi incontrati si snoda una denuncia impietosa delle società argentina e cilena. In nessuna guida turistica, in nessuna brossura di viaggio e, soprattutto, in nessuna delle opere letterarie finora analizzate si scorge un esame tanto accurato ed oggettivo della realtà geografica e politica di questo paese, è quindi proprio questo scrittore che, più degli altri analizzati, mi ha offerto l’opportunità di aprire lo sguardo ad una lettura globale ed ampia della Patagonia, creandomi una personale opinione del suo paesaggio, dei suoi abitanti e della sua vera evoluzione, pur non avendola né visitata né vissuta. CONCLUSIONI E SINTESI CRITICA Se il romanzo di Giardinelli è quello che oggettivamente invita alla più completa osservazione della Patagonia, non va dimenticata l’opera di Pablo Neruda52, capace di riassumere, attraverso la soggettività della poesia, l’essenza più profonda del luogo e delle caratteristiche ambientali finora esaminate. I frammenti poetici con i quali intendo completare la mia analisi letteraria e paesaggistica della Patagonia sono tratti da Canto general, una tra le opere più ambiziose dello scrittore, pubblicata nel 1950 con l’intento di celebrare non solo la sua nazione, ma l’America Latina tutta. Essendo il mio obiettivo principale quello di valorizzare la patria del poeta, ho ritenuto fondamentale concludere il mio elaborato proprio con i suoi versi più intensi, affinché queste mie ultime righe 50 M. Giardinelli, op. cit, p. 140. Ibidem, p. 141. 52 Pablo Neruda, pseudonimo di Neftalì Ricardo Reyes (1904-1973), poeta cileno, premio Nobel per la letteratura nel 1971. 51 25 possano rievocare con maggior forza la bellezza dei paesaggi, la potenza del clima con cui gli abitanti patagonici sono costretti a combattere, le specie animali con le quali noi europei non siamo abituati a convivere, la storia di libertà e di ingiustizia che Cile e Argentina condividono, senza tralasciare lo stretto legame e il sentimento d’amore per la terra che accomuna Neruda alla maggioranza dei suoi connazionali e soprattutto ai popoli autoctoni. Las focas están pariendo en la profundidad de las zonas heladas, en las crepusculares grutas que forman los últimos hocicos del océano, las vacas de Patagonia se destacan del día como un tumulto, como un vapor pesado que levanta en el frío su caliente columna hacia las soledades. Desierta eres, América, como una campana: llena por dentro de un canto que no se eleva, el pastor, el llanero, el pescador no tienen una mano, ni una oreja, ni un piano, ni una mejilla cerca: la luna los vigila, la extensión los aumenta, la noche los acecha, y un viejo día, lento como los otros, nace53. Hombre, si el exterminio no bajó de los ríos de la nieve ni de la luna endurecida sobre el vapor glacial de los glaciares, sino del hombre que hasta en la substancia de la nieve perdida y de las aguas finales del Océano especuló con huesos desterrados hasta empujarte más allá de todo, y hoy más allá de todo y de la nieve y de la tempestad desatada del hielo va tu piragua por la sal salvaje y la furiosa soledad buscando 53 G. Bellini (a cura di), Duemila. Pablo Neruda, Firenze, Passigli, 1999. p. 83, canto VI, América no invoco tu nombre invano, poesia XII. Le foche stanno partorendo/nella profondità delle zone gelate,/nelle crepuscolari grotte che formano/le ultime prominenze dell’universo,/le mucche di Patagonia/si staccano dal giorno/come un tumulto, come un vapore pesante/che innalza nel freddo la sua calda colonna/fino alle solitudini.//Deserta sei, America, come una campana:/piena di un canto che non si eleva,/il pastore, l’abitante della pianura, il pescatore/non hanno una mano, né un orecchio, né un piano,/né una guancia vicino: la luna li veglia,/l’estensione li aumenta, la notte li spia,/e un vecchio giorno, lento come gli altri, nasce. 26 guarida del pan, eres Océano, gota del mar, y de su azul furioso, y tu raido corazón me llama como _increib_le fuego que no muere. Amo la helada planta combatida por el aullido del viento espumoso, y al pie de las gargantas, el diminuto pueblo lucernario que arde sobre las lamparas crustáceas del agua removida por le frío, y la antártica aurora en su castillo del pálido esplendor imaginario. Amo hasta las raíces turbulentas de las plantas quemadas por la aurora de manos trnsparentes, pero hacia ti, sombra del mar, hijo de las plumas glaciales, harapiento oceánida, va esta ola _acida en las rupturas, dirigida como el amor herido bajo el viento54. Ho riportato queste specifiche parole perché ritengo che proprio con esse il poeta riesca a mostrare tanto il fascino della Patagonia, quanto la fragilità e il carattere pericoloso che la contraddistinguono, esaltandone quindi sia i lati positivi sia quelli sfavorevoli. Nel corso della mia analisi ho trattato gli aspetti del Paese che emergono costantemente nelle narrazioni di tutti coloro che ne hanno avuto esperienza concreta, che si parli di turisti, scrittori o avventurieri. Ho cercato in questo modo di generare all’interno del testo una gerarchia personale e implicita dei valori legati al luogo, che ritengo fondamentali per la sua valorizzazione. Ad esempio ho aperto l’indagine descrivendo il silenzio e il vento, elementi che accomunano tutti i luoghi della regione, forgiandone paesaggi ed abitanti con loro spietatezza delicata, la loro capacità di caratterizzare gli spazi e gli animi di chi vive o transita, provocando sensazioni intense, 54 G. Bellini (a cura di), op. cit., p. 91, Canto XIV El gran Océano, poesia XII. Uomo, se lo sterminio/non scese dai fiumi della neve/né dalla luna indurita/sopra il vapore glaciale dei ghiacciai,/ma piuttosto dall’uomo che fino alla sostanza/della neve perduta e delle acque/finali dell’Oceano,//speculò con ossa esiliate/fino a spingerti più in la di tutto,/e oggi più in la di tutto e della neve/e della tempesta scatenata del ghiaccio/va la tua piroga per il sale selvaggio/e la furiosa solitudine cercando/rifugio del pane, sei Oceano,/goccia del mare, e del suo azzurro furioso,/e il tuo logoro cuore mi chiama/come incredibile fuoco che non muore.//Amo la gelata pianta combattuta/dall’ululato del vento spumoso,/e al piede delle gole,/il minuto popolo delle lanterne/che arde sopra le lampade crostacee/dell’acqua mossa dal freddo,/e la antartica aurora nel suo castello/del pallido splendore immaginario.//Amo perfino le radici turbolente/delle piante bruciate dall’aurora/dalle mani trasparenti,/ma fino a te, ombra del mare, figlio/delle piume glaciali, cencioso/oceanide, va questa onda acida nelle rotture, diretta/come l’amore ferito sotto il vento. 27 di pienezza interiore e disorientamento, di solitudine o di fervore. Il silenzio aiuta a riflettere, invita alla meditazione, a ritrovare se stessi, ma anche a perdersi nella grandezza dei paesaggi immensi; il vento trasporta gli odori, i profumi che ci consentiranno per sempre di ricordare, nel bene o nel male, i luoghi dai quali siamo passati, che si tratti del profumo del mirto e dell’asado, come accadde a Chatwin, o dei rifiuti abbandonati per le strade, come ci rammenta Giardinelli. Ho cercato successivamente di far comprendere quanto nell’intera Patagonia sia ancora fortemente presente un genius loci. Come si è appreso, dalle narrazioni di Coloane in particolare, le cultura tradizionale cileno-argentina, caratterizzata dalla presenza di gruppi indigeni, è animata tutt’oggi da un’interpretazione sacrale del territorio, il quale possiede una propria identità contemporaneamente irripetibile e universale, in quanto gli elementi naturali non hanno smesso di armonizzarsi con i segni dell’esistenza umana e delle trasformazioni sociali. Per i popoli nativi vivere un luogo significa permettere al suo spirito di manifestarsi in esso, di essere assorbito, assimilato e soprattutto rispettato. Gli abitanti nativi della Patagonia, e non solo gli indigeni, possiedono ancora oggi un rapporto intimo e cosciente con il loro luogo, spesso legato alle leggende e alla spiritualità, in forte contrasto con il popolo europeo. Dunque si evince che il genius loci non è ancora stato destabilizzato da azioni o gesti estranei alla sua identità da parte del turismo di massa, che comunque, come si è detto, non ha invaso completamente il territorio. Unitamente a quest’ultimo aspetto ho introdotto appunto il tema delle specie naturalistiche, della flora e della fauna a rischio di estinzione e non, tuttavia tipiche dell’ambiente patagonico e talvolta uniche, proprio perché il paesaggio è caratterizzato da aree completamente differenti l’una dall’altra e da situazioni climatiche irripetibili in un altro luogo, come nel caso dello Hielo Continentàl. Sommando le informazioni emerse dal mio esame, credo di poter dichiarare che il valore più alto che appartiene alla Patagonia sia quello della bellezza e dell’unicità, sia dal punto di vista naturalistico, per quanto riguarda gli spazi aperti, le specie animali e botaniche; sia dal punto di vista estetico e funzionale dell’architettura che, ad esempio nelle originali chiese di Chiloè, risulta integrarsi sapientemente con il paesaggio circostante e assolvere efficacemente alla funzione religiosa. Nonostante, dunque, alcuni problemi come l’abusivismo edilizio e la difficoltà di smaltimento dei rifiuti, la Patagonia non smette di essere, a mio parere, una regione ricca di qualità, di valori, che ne rappresentano la cultura, la tradizione, la storia e la tipicità architettonica, archeologica e paesaggistica. Pur non avendola esperita personalmente, il confronto fra le diverse fonti, dirette e indirette, consultate, in particolare i documenti scientifici dell’UNESCO in merito 28 alla Cueva de las Manos, ai parchi nazionali e agli altri beni analizzati, mi ha convinta del fatto che la Patagonia sia una terra assolutamente unica. Le descrizioni apparentemente accattivanti dei depliant di viaggio e dei siti internet inoltre, mantenendo una stretta analogia con quelle degli scrittori e dei turisti attuali, hanno contribuito a confermare la mia opinione. 29