indagini e nasi - Igea centro promozione salute

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indagini e nasi - Igea centro promozione salute
INDAGINI E NASI
IMPRONTE OLFATTIVE,
RICONOSCIMENTO OLFATTIVO
E CINO CRIMINOLOGIA
E-BOOK GRATUITO
Edizioni IGEA cps
Introduzione
INDAGINI E NASI. IMPRONTE OLFATTIVE, RICONOSCIMENTO OLFATTIVO E CINO-CRIMINOLOGIA
E-BOOK GRATUITO
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A cura della Dott.ssa ESTER BELFATTO
In copertina: illustrazione per il racconto Il naso di Gogol
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Introduzione
INDICE:
INDAGINI E NASI. IMPRONTE OLFATTIVE, RICONOSCIMENTO OLFATTIVO E CINO-CRIMINOLOGIA
INTRODUZIONE ................................................................................................................................................ 4
LE SCIENZA FORENSI, LE IMPRONTE E LA SCENA DEL CRIMINE ......................................................................... 5
LA PROVA SCIENTIFICA IN TRIBUNALE ............................................................................................................12
L’INCONTRO TRA L’OLFATTO E L’INVESTIGAZIONE ..........................................................................................14
L’ODORE DEL RESPIRO E L’ODORE DEI REATI ..................................................................................................18
IL SENSO DELL’OLFATTO DEL CANE ..............................................................................................................20
DETECTIVE A QUATTRO ZAMPE ......................................................................................................................23
ODOROLOGIA FORENSE ........................................................................................................................................... 25
CANI DA MANTRAILING ........................................................................................................................................... 26
CANI DA CADAVERE ................................................................................................................................................ 27
CONCLUSIONE ................................................................................................................................................29
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ..........................................................................................................................30
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Introduzione
INTRODUZIONE
Il naso ha sempre la funzione di una sentinella avanzata
che grida: Chi va là?
Anthelme Brillat-Savarin
Per lungo tempo, l’odorato è stato collocato in una posizione secondaria rispetto agli altri
quattro sensi, forse per l’aura di “animalit{” che porta con sé, ed il mondo dell’olfatto, degli
odori e dei profumi è stato preso in considerazione molto più dagli artisti, dai poeti e dai
romanzieri (oltre che dai profumieri e dai pubblicitari) che dai filosofi e dagli scienziati. Solo
negli ultimi decenni si è assistito ad una rivalutazione del senso dell’olfatto, ad una
proliferazione di studi su di esso ed anche ad applicazioni inconsuete di questi ultimi, compresa
la loro introduzione nel contesto identificativo e forense; il «fugace regno degli odori»
(espressione utilizzata da Patrick Süskind nel suo celebre romanzo Il profumo) entra nelle
scienze forensi e nella criminalistica quando, ad esempio, si rilevano e si comparano tracce
olfattive lasciate dal reo sulla scena del crimine (una scena che a tutti gli effetti può essere
considerata anche olfattiva), con l’aiuto di cani appositamente addestrati.
Sono numerosi i modi in cui le conoscenze che abbiamo acquisito fino ad oggi sull’olfatto,
sui ricordi olfattivi e sull’odore individuale si stanno insinuando nel contesto giudiziario e
nell’ambito della sicurezza: nasi naturali (umani e non) e nasi artificiali possono dare il loro
contributo nella risoluzione di casi (anche solo nell’indirizzare gli inquirenti verso nuove piste
investigative) e nella limitazione degli accessi. Nel primo caso, il bagaglio scientifico accumulato
entra a far parte della vasta gamma di scienze forensi di cui attualmente si avvalgono gli
investigatori; nel secondo caso, l’odore individuale viene considerato un tratto distintivo,
avente quindi potere identificativo, al pari delle classiche impronte digitali.
Prima di trattare questi argomenti è però doveroso procedere ad una dissertazione più
generale sulle scienze forensi, sulla scena del crimine, sulla biometria e sull’utilizzabilit{
processuale della prova scientifica, poiché è da considerarsi scientifica ogni deduzione
derivante dall’applicazione di conoscenze scientifiche, anche di quelle “a tema olfattivo”.
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Le scienze forensi, le impronte e la scena del crimine
LE SCIENZE FORENSI, LE IMPRONTE E LA SCENA DEL
CRIMINE
La scienza offre tutte le risposte, basta sapere dove cercare
X-Files (Stagione 1, episodio 1, Al di là del tempo e
dello spazio)
Le scienze forensi costituiscono «l’applicazione di un ampio spettro di discipline
scientifiche al campo della legge»1, l’impiego di tecniche e metodologie scientifiche nelle
tradizionali investigazioni di carattere giudiziario, e sono innumerevoli: antropologia,
archeologia, entomologia, odontologia, patologia, tanatologia, psicologia, psichiatria,
tafonomia2, tossicologia, biologia, genetica, informatica, botanica, micologia3, palinologia4,
zoologia, geologia, esplosivistica, meteorologia, grafologia, balistica, dattiloscopia, chimica e
così via. Oltre che parziale, l’elenco appena stilato è aperto, poiché ogni disciplina scientifica
può diventare forense, qualora ci si trovasse in una situazione in cui essa potrebbe fornire
elementi utili per arrivare ad una verità processuale.
Sono annoverabili nello sterminato gruppo delle scienze forensi anche la criminologia e la
criminalistica, entrambe non concepibili come discipline autonome ed unitarie. La prima ha
come oggetto di studio il crimine – che, tra l’altro, è tale per una questione formale e non
sostanziale (è criminale solo una condotta che il Codice prevede come tale) –, un fenomeno
complesso, bio-psico-sociale, che coinvolge quindi diversi livelli di analisi, ognuno facente capo
ad un gruppo diverso di discipline scientifiche. Similmente, la seconda, definita come
«l’applicazione delle scienze fisiche alle investigazioni criminali» 5 , è un corpo dottrinale
interdisciplinare con nozioni su più campi scientifici, che ingloba buona parte dell’insieme delle
scienze forensi (ma che non si sovrappone perfettamente ad esso), riguardando appunto
1
M. PICOZZI, A. INTINI, Scienze forensi. Teoria e prassi dell’investigazione scientifica, Torino, UTET Giuridica,
2009, p. 2.
2
Scienza che studia le modalità di formazione dei fossili.
3
Scienza che studia i funghi.
4
Scienza che studia il polline e le spore.
5
M. PICOZZI, A. INTINI, Scienze forensi, cit., p. 2.
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Le scienze forensi, le impronte e la scena del crimine
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soltanto le discipline relative alle cosiddette scienze naturali (matematiche, fisiche e naturali)6
ed escludendo quelle relative alle scienze sociali/umane; in particolare, la criminalistica si dedica
all’individuazione, al repertamento ed all’analisi delle tracce presenti sulla scena del reato.
Comunemente, quando durante un’indagine ci si avvale del contributo di discipline
scientifiche fisiche, si parla di indagini o investigazioni scientifiche.
Il termine investigazione deriva dal latino vestigia, che vuol dire orma, impronta, poiché
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rimanda al nostro passato filogenetico, in cui i nostri scimmieschi progenitori dovevano seguire
le impronte degli animali per cacciarli e poter sopravvivere. Curiosamente, l’investigazione
odierna, condotta dalla polizia e dalla magistratura, è ancora, letteralmente, una questione di
impronte, si pensi all’importanza cruciale che negli ultimi anni hanno assunto le impronte
genetiche nella risoluzione dei casi di cronaca nera, anche freddi (i cosiddetti cold case).
Il noto principio di interscambio, formulato dal criminologo francese Edmond Locard,
enuncia che ogni contatto lascia una traccia, quindi che l’autore del delitto inevitabilmente
lascia qualcosa di sé Le scienze forensi costituiscono «l’applicazione di un ampio spettro di
discipline scientifiche al campo della legge»7, l’impiego di tecniche e metodologie scientifiche
nelle tradizionali investigazioni di carattere giudiziario, e sono innumerevoli: antropologia,
archeologia, entomologia, odontologia, patologia, tanatologia, psicologia, psichiatria,
tafonomia8, tossicologia, biologia, genetica, informatica, botanica, micologia9, palinologia10,
zoologia, geologia, esplosivistica, meteorologia, grafologia, balistica, dattiloscopia, chimica e
così via. Oltre che parziale, l’elenco appena stilato è aperto, poiché ogni disciplina scientifica
può diventare forense, qualora ci si trovasse in una situazione in cui essa potrebbe fornire
elementi utili per arrivare ad una verità processuale.
Sono annoverabili nello sterminato gruppo delle scienze forensi anche la criminologia e la
criminalistica, entrambe non concepibili come discipline autonome ed unitarie. La prima ha
come oggetto di studio il crimine – che, tra l’altro, è tale per una questione formale e non
sostanziale (è criminale solo una condotta che il Codice prevede come tale) –, un fenomeno
complesso, bio-psico-sociale, che coinvolge quindi diversi livelli di analisi, ognuno facente capo
6
Le scienze naturali si occupano degli aspetti fisici, chimici e biologici della Terra, dell’Universo e delle varie forme di
vita, uomo incluso.
7
M. PICOZZI, A. INTINI, Scienze forensi. Teoria e prassi dell’investigazione scientifica, Torino, UTET Giuridica,
2009, p. 2.
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Scienza che studia le modalità di formazione dei fossili.
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Scienza che studia i funghi.
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Scienza che studia il polline e le spore.
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ad un gruppo diverso di discipline scientifiche. Similmente, la seconda, definita come
«l’applicazione delle scienze fisiche alle investigazioni criminali» 11 , è un corpo dottrinale
interdisciplinare con nozioni su più campi scientifici, che ingloba buona parte dell’insieme delle
scienze forensi (ma che non si sovrappone perfettamente ad esso), riguardando appunto
soltanto le discipline relative alle cosiddette scienze naturali (matematiche, fisiche e naturali)12
ed escludendo quelle relative alle scienze sociali/umane; in particolare, la criminalistica si dedica
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all’individuazione, al repertamento ed all’analisi delle tracce presenti sulla scena del reato.
Comunemente, quando durante un’indagine ci si avvale del contributo di discipline
scientifiche fisiche, si parla di indagini o investigazioni scientifiche.
Il termine investigazione deriva dal latino vestigia, che vuol dire orma, impronta, poiché
rimanda al nostro passato filogenetico, in cui i nostri scimmieschi progenitori dovevano seguire
le impronte degli animali per cacciarli e poter sopravvivere. Curiosamente, l’investigazione
odierna, condotta dalla polizia e dalla magistratura, è ancora, letteralmente, una questione di
impronte, si pensi all’importanza cruciale che negli ultimi anni hanno assunto le impronte
genetiche nella risoluzione dei casi di cronaca nera, anche freddi (i cosiddetti cold case).
Il noto principio di interscambio, formulato dal criminologo francese Edmond Locard,
enuncia che ogni contatto lascia una traccia, quindi che l’autore del delitto inevitabilmente
lascia qualcosa di sé sulla scena criminis e sull’eventuale vittima e che, allo stesso modo, egli
porterà con sé qualcosa di queste ultime.
«Parliamo così di tracce biologiche (costituite da sangue, saliva, sperma o altro materiale
corporeo) e non biologiche (impronte digitali, impronte dentarie, reperti balistici, residui
chimici e così via), quindi di impronte nel senso più lato che si possa immaginare.
I proiettili esplosi e i bossoli eventualmente espulsi recano tracce caratteristiche
riconducibili alla pistola che ha sparato; singoli attrezzi lasciano impronte assolutamente
distintive – chiamate toolmarks – sugli oggetti con cui vengono a contatto o sulla scena (e
possono far stabilire se la sega x ha tagliato la trave y o se le forbici x hanno reciso la lamiera y);
dalle impronte dei pneumatici vengono ricavati il disegno del battistrada – e quindi il tipo di
ruota –, il grado di usura delle gomme, eventuali riparazioni o sostituzioni delle stesse, il tipo di
macchina che può averle montate e addirittura difetti di meccanica dell’auto; dalle orme delle
scarpe possiamo risalire, oltre che al numero calzato ed al tipo di scarpa, al grado di usura ed
11
M. PICOZZI, A. INTINI, Scienze forensi, cit., p. 2.
Le scienze naturali si occupano degli aspetti fisici, chimici e biologici della Terra, dell’Universo e delle varie forme di
vita, uomo incluso.
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Le scienze forensi, le impronte e la scena del crimine
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alle eventuali riparazioni subite delle suole, ai difetti di postura, alla velocità ed al modo in cui il
soggetto stava camminando (se egli era, ad esempio, ferito o barcollante o se era appesantito
da qualcosa che stava trasportando); anche tracce, per quanto minime, di tessuto lasciate da
indumenti, tappeti, moquette, coperte e coprisedili e residui di particolari tipi di terriccio
possono essere determinanti per ricostruire il fatto criminoso.
Ancora, se dilatiamo ulteriormente il significato di impronta, ci imbattiamo nelle
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cosiddette impronte elettroniche, in particolare quelle informatiche, ovvero le informazioni ed i
dati conservati o trasmessi dalle apparecchiature digitali che testimoniano le nostre attività nel
cyberspazio, per esempio i siti che abbiamo visitato in Rete; tali tracce immateriali – e, appunto
per questo, particolarmente precarie e corruttibili – sono anche chiamate impronte digitali,
risultando omonime a quelle lasciate dai dermatoglifi. L’equivoco lessicale è dovuto al fatto che
l’aggettivo digitale deriva dall’anglosassone digit che significa cifra, a sua volta derivante dal
latino digitus (dito, da cui è derivata direttamente l’altra accezione dell’aggettivo digitale)
perché originariamente l’uomo contava con le dita.
È proprio in questa costellazione sterminata e caotica di tracce che la scienza interviene
aiutando gli inquirenti e, successivamente, i giudici»13.
Attualmente, quindi, in ambito investigativo, il significato del termine impronta si è
notevolmente ingrandito rispetto al passato, andando ad indicare non solo impronte vere e
proprie (in grado di far arrivare gli inquirenti al dermatoglifo, alla dentatura, alla scarpa,
all’attrezzo, alla pistola, ai pneumatici che le hanno lasciate) ma anche tracce che propriamente
non sono impronte ma possono essere etichettate comunque come tali, grazie alle loro
proprietà identificative (impronte genetiche) oppure al fatto che esse costituiscono tracce che
indicano un’attivit{ che il soggetto ha compiuto (impronte elettroniche ed informatiche). Le
impronte, di qualunque natura siano, sono oggetto delle indagini tecniche14.
13
E. BELFATTO, La biometria applicata alla sicurezza ed al contesto forense, Mantova, FDE Institute Press, 2015,
pp. 29-30.
14
«Nell’ambito dell’investigazione giudiziaria, (…) la prima fondamentale distinzione è quella fra indagini dirette e
indagini indirette. Le indagini dirette, che costituiscono le “indagini tecniche”, sono dette anche indagini di
acquisizione probatoria oggettiva, dal momento che si svolgono direttamente su cose, luoghi o situazioni pertinenti al
reato e comportano una analisi degli elementi ritrovati sulla cosiddetta scena del crimine, per esempio i rilievi
planimetrici, fotografici, gli esami balistici, analisi di laboratorio sui reperti e così via. Le indagini indirette invece, o
indagini di acquisizione probatoria soggettiva, (…) sono quelle che riguardano persone o atti che non promanano
direttamente dalla scena del crimine, si pensi all’acquisizione di informazioni, alle sommarie informazioni, agli
accertamenti presso pubblici registri ecc.». Da S. BOZZI, A. GRASSI, Il sopralluogo tecnico sulla scena del delitto, in M.
PICOZZI, A. INTINI, Scienze forensi, cit., pp. 27-44, p. 27.
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Le scienze forensi, le impronte e la scena del crimine
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Tutte le indagini tecniche si compongono di due momenti: la fase del rilevamento, che
consiste nella ricerca e nell’individuazione degli indizi, e la fase – successiva ed eventuale –
dell’accertamento, in cui gli indizi sono sottoposti a specifiche analisi.
È la scena del crimine il luogo che principalmente custodisce le impronte cercate dal
criminalista; ma non dimentichiamo che essa non è solo questo, poiché «rappresenta l’ideale
punto di congiunzione tra la criminalistica, che attraverso l’individuazione, il repertamento e
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l’analisi delle tracce presenti sul luogo, si propone l’identificazione dell’autore di reato, e la
criminologia, scienza multidisciplinare che, sulla scorta di varie teorie e scuole di pensiero
succedutesi nell’ultimo secolo (in particolar modo di natura antropologica e psicologica), cerca
di fornire un proprio contributo allo studio della personalità del reo e delle motivazioni che lo
hanno condotto all’agito posto in essere, nonché agli eventuali rapporti tenuti con la vittima»15.
«Ogni scena del crimine, intesa come il luogo in cui è stato commesso il delitto o i luoghi in
qualche modo riconducibili a questo, è “unica”. Nel senso che non esistono due scene del
delitto uguali. (…) La sola coerenza delle scene del crimine è rappresentata dalla loro
incoerenza e dalla costante evanescenza dei loro confini. Questo fa sì che molto spesso lo
sforzo di trovare classificazioni realmente utili in merito alle scene del delitto si risolva
esclusivamente in un tentativo accademico di organizzare concettualmente il bagaglio delle più
svariate esperienze operative.
(…) La verit{ è che nessuna di queste classificazioni sar{ mai in grado di calzare
perfettamente a una scena particolare, e la situazione su cui staremo lavorando sarà piuttosto
una “variazione sul tema” (…) oppure un insieme di combinazioni delle scene del delitto
comunemente classificate sui manuali. Appare molto più interessante la distinzione, cara alla
cultura investigativa anglosassone, tra scena del crimine primaria e secondaria. Questa
classificazione non deriva dall’ordine di importanza della scena ma connota semplicemente la
sequenza dei siti coinvolti dal delitto. La scena del delitto primaria infatti è quella relativa al
luogo o ai luoghi in cui ha avuto origine l’attivit{ criminale. La scena secondaria è invece in
qualche modo semplicemente collegata al delitto. (…) In linea di principio la scena del delitto
primaria è in grado di fornire gli indizi più significativi, ma non sempre»16.
15
A. DI MASCI, S. MARASCIO, La psicologia investigativa e la criminalistica sulla scena del reato, in Profiling. I
profili dell’abuso. Giornale scientifico a cura dell’O.N.A.P., Anno 2, N. 4, dicembre 2011, <http://www.onapprofiling.org/la-psicologia-investigativa-e-la-criminalistica-sulla-scena-del-reato/>.
16
S. BOZZI, A. GRASSI, Il sopralluogo tecnico sulla scena del delitto, in M. PICOZZI, A. INTINI, Scienze forensi, cit.,
pp. 27-44, pp. 29-30.
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Le scienze forensi, le impronte e la scena del crimine
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La scena del crimine va osservata attentamente e descritta accuratamente. Nel 1903
Salvatore Ottolenghi, fondatore della Scuola Italiana di Polizia Scientifica, ebbe l’idea di
applicare il metodo identificativo ideato dal francese Alphonse Bertillon per gli individui (il
bertillonage) agli ambienti, mettendo così a punto la tecnica di esame della scena criminis
ancora oggi universalmente accettata. Applicati all’analisi della scena del crimine, il
segnalamento antropometrico (ottenuto misurando determinate distanze corporee) diventa il
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rilievo planimetrico del luogo, il segnalamento descrittivo (il cosiddetto ritratto parlato) diventa
il rilievo descrittivo ed il segnalamento fotografico diventa il rilievo fotografico. Questi tre
elementi assieme vanno a comporre il fascicolo di sopralluogo. È consigliabile eseguire anche
riprese video le quali, oltre che permettere di compiere valutazioni criminologiche a distanza di
tempo, consentono una migliore visione d’insieme. Oggi, è anche possibile avvalersi dell’aiuto
dei sofisticati scanner 3D.
Il sopralluogo giudiziario è quindi quel complesso di attività, a carattere scientifico,
finalizzato a conservare lo stato dei luoghi di reato (quadro materiale) e ad individuare le cose e
le tracce utili per l’identificazione del reo e/o della vittima, nonché per la ricostruzione della
dinamica dell’evento e per l’accertamento delle circostanze in cui esso è avvenuto. Esso deve
necessariamente essere tempestivo, asettico (nel senso che il fascicolo non deve contenere
opinioni o ipotesi dell’operatore circa l’accaduto) ed oggettivo. Inoltre, fondamentali per la
stesura del fascicolo sono il metodo (che deve necessariamente essere standardizzato e che gli
operatori devono scrupolosamente applicare), la completezza e la precisione dei dettagli. Si
dice che il sopralluogo ha il compito di fissare o congelare la scena del delitto.
Segue la fase del sopralluogo quella del repertamento, in cui vengono prelevati ed
assicurati gli oggetti e le tracce che potrebbero costituire fonte di prova (elementi che, una
volta raccolti, prendono il nome di reperti). Anche questa fase non è priva di criticità, poiché gli
oggetti ma soprattutto le tracce potrebbero venire compromessi da un repertamento
scorretto (si pensi, ad esempio, al caso in cui determinati campioni siano posti – per essere
conservati e poi trasportati in laboratorio – in contenitori assolutamente inadatti che ne
causano la degradazione).
Come è pacifico, le attività di sopralluogo e di repertamento (entrambe preliminari alla
vera e propria analisi delle tracce) costituiscono due momenti delicatissimi e cruciali per la
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Le scienze forensi, le impronte e la scena del crimine
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raccolta delle fonti di prova e per la loro utilizzabilità processuale17. La loro riuscita, ovviamente,
dipende anche da quanto la scena era intatta prima dell’arrivo degli operatori; la messa in
sicurezza, l’isolamento e la delimitazione della scena, infatti, sono fondamentali. A
compromettere l’integrit{ della scena possono essere il tempo trascorso (da qui l’importanza
della tempestività), i parenti della vittima, i curiosi, i giornalisti, gli operatori sanitari intervenuti,
fattori meteorologici, le azioni del reo, che può decidere, ad esempio, di appiccare fuoco alla
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scena per eliminare tracce, ma anche, durante il sopralluogo ed il repertamento, l’eventuale
imperizia dei rilevatori.
Quando, per la risoluzione di casi giudiziari, ci si avvale della ricerca e dell’analisi di segni
peculiari che la persona ha lasciato sulla scena criminis si parla di biometria forense (non mi
riferisco solo al caso in cui il reo lascia dietro di sé impronte digitali o tracce biologiche
contenenti DNA, ma anche all’eventualit{ in cui, dall’esame del girato di una telecamera di
sorveglianza, si possa risalire alla sua altezza o si possano apprezzare le peculiarità delle sue
orecchie). La biometria – traducibile con “misura della vita” – è genericamente definibile come
la disciplina scientifica che studia le variabili umane, sia fisiologiche (dati antropometrici,
dermatoglifi, profilo genetico, dentatura ecc.) che comportamentali; essa, oltre a consentire
agli inquirenti, in determinate circostanze, di risalire all’identit{ degli autori di reato, è
eccellente per limitare gli accessi degli individui ad ambienti fisici e logici.
17
Si pensi, ad esempio, all’importanza della cosiddetta catena di custodia dei reperti.
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La Prova Scientifica In Tribunale
LA PROVA SCIENTIFICA IN TRIBUNALE
Le due forze più potenti e influenti della società moderna,
diritto e scienza, cercano sempre di influenzarsi
reciprocamente.
Lee Loevinger18
Per quanto riguarda l’utilizzabilit{ processuale delle indagini condotte con l’ausilio delle
scienze forensi, bisogna sempre tenere a mente che nell’ordinamento giudiziario italiano, in cui
vige il principio del libero convincimento del giudice, sarà il magistrato giudicante (definito
peritus peritorum, ovvero il perito dei periti) a prendere una decisione riguardo al peso degli
elementi di prova emersi. Tuttavia, indipendentemente dalla necessità per le parti di impiegare
personale qualificato durante le operazioni di rilevamento e di seguire scrupolosamente la
procedura per non essere contestate in dibattimento, la prova scientifica per risultare
ammissibile in tribunale deve essere ancorata alla generale accettazione da parte della
comunità scientifica di riferimento (principio Frye) e – quando si tratta di un metodo scientifico
nuovo o di alta specializzazione o controverso – deve rispettare i cosiddetti criteri Daubert. Per
questi ultimi, occorre che il giudice in sede di ammissione della prova valuti la ripetibilità
dell’esperimento mediante fatti, la possibilit{ di conferma della regola individuata, la sua
sottoposizione al tentativo di smentita (falsificazione), l’aver reso noto il metodo alla comunit{
scientifica ed il tasso di errore che deriva dall’applicazione della legge scientifica.
I suddetti vincoli provengono da due emblematiche sentenze statunitensi: la sentenza
Frye (1923) e la sentenza Daubert (1993).
Nel caso Frye VS United States, l’imputato, accusato di omicidio, aveva chiesto di essere
sottoposto al test della macchina della verit{. All’epoca la validit{ scientifica dell’uso del
poligrafo appariva discutibile ed era la prima volta che qualcuno chiedeva di essere sottoposto
al test, perciò i giudici si rivolsero alla comunità scientifica di riferimento per verificare se il
metodo godesse dell’accettazione generale da parte degli scienziati (alla fine emerse
l’inammissibilit{ del test perché esso non risultava sufficientemente accettato). Con la sentenza
18
Lee Loevinger (1913-2004) è stato un magistrato e avvocato statunitense. A lui si devono le prime riflessioni, già nel
1949, sul rapporto tra diritto e tecnologie informatiche.
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La Prova Scientifica In Tribunale
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Frye venne quindi stabilito il criterio fondamentale che rende una prova scientifica ammissibile,
ossia il fatto che essa deve essere generalmente accettata dalla comunità scientifica.
Il caso Daubert VS Merrell Dow Pharmaceuticals riguardava tutt’altro: i presunti effetti
collaterali che un farmaco contro la nausea in gravidanza (Benedectin) aveva sul feto. La casa
farmaceutica aveva dalla sua parte alcuni lavori scientifici sottoposti a peer review19, quindi
generalmente accettati, che dimostravano l’assenza di prove che il farmaco incriminato
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provocasse malformazioni al nascituro. I genitori dei bambini nati malformati, di contro,
chiesero ai giudici di sentire anche altri esperti, in grado di sostenere tesi contrarie alle
risultanze presentate dalla casa farmaceutica, basate su dati non ancora pubblicati. La Merrell
Dow, sulla base del principio Frye, si oppose, poiché le prove presentate dalla controparte,
essendo state prodotte con metodologie nuove, non erano ancora state accettate dalla
comunità scientifica. La Corte, inaspettatamente, si espresse a favore dell’ammissibilit{ dei
testimoni dell’accusa, eludendo il principio Frye ed applicando la più generale regola 702 delle
Federal Rules of Evidence, relativa ai criteri di ammissione della testimonianza esperta, secondo
cui un testimone esperto deve presentare fatti e dati sufficienti, fondarsi su principi e metodi
affidabili ed applicare in modo affidabile i principi e i metodi al caso. Sostanzialmente, il
principio Frye rimase ma perse il suo valore assoluto, poiché i giudici riservarono a se stessi la
facolt{ di valutare criticamente l’affidabilit{ delle metodologie tecnico-scientifiche adottate
dagli esperti e, quindi, di avere l’ultima parola sulla validit{ e sull’ammissibilit{ delle teorie e
delle ipotesi presentate (praticamente, un ordinamento fondato sul principio della prova legale
fece un passo verso il principio del libero convincimento del giudice).
In Italia, la situazione è assimilabile a quella statunitense, poiché l’articolo 189 del nostro
Codice di Procedura Penale (Prove non disciplinate dalla legge)20 lascia al giudice la libertà di
accettare o meno le prove che non siano state regolamentate in altra sede.
19
Il processo di peer review (revisione paritaria) è una forma di controllo della qualità scientifica in cui gli scienziati
aprono la loro ricerca alla valutazione di altri esperti nel loro campo (pari).
20
L’unico comma dell’art. 189 CPP così recita: «Quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il giudice
può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della
persona. Il giudice provvede all’ammissione, sentite le parti sulle modalità di assunzione della prova».
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L’Incontro tra L’Olfatto e L’Investigazione
L’INCONTRO TRA L’OLFATTO E L’INVESTIGAZIONE
Esistono almeno settantacinque tipi di profumi che un
criminologo esperto deve saper distinguere tra loro, e più di
una volta ho sperimentato personalmente come la soluzione di
un caso potesse dipendere dall’abilità nel riconoscerli
all’istante.
Arthur Conan Doyle, Il mastino di Baskerville
Eccoci finalmente giunti alle applicazioni criminologiche e criminalistiche che hanno
avuto, stanno avendo ed avranno le ricerche che indagano il pianeta degli odori e dell’olfatto.
Lo “strumento” che conduce da tali acquisizioni scientifiche a risultati investigativi può essere
un operatore che esamina la scena del crimine, la vittima, il testimone del reato oppure un
“naso artificiale” in grado di rilevare e riconoscere impronte olfattive (in fase di
sperimentazione), o anche un cane appositamente addestrato.
L’utilizzo delle conoscenze relative agli odori e all’olfatto nell’investigazione ha
consentito perfino di coniare e di utilizzare la suggestiva espressione di scena del crimine
olfattiva.
Escludendo per ora i casi in cui ci si avvalga dell’aiuto di un cane (eventualità di cui si
parler{ ampiamente nel prossimo paragrafo), l’odore può risultare determinante per accertare
l’identit{ preventiva o giudiziaria21 degli individui, o comunque essere d’ausilio alle indagini,
nelle seguenti situazioni.

Rilevazione soggettiva dell’odore sulla scena del crimine
Esistono due elementi della scena che in sede di sopralluogo non vengono
automaticamente fissati e la cui rilevazione e documentazione sono affidate soltanto
all’attenzione ed alla diligenza degli operatori che li riportano, descrivendoli, negli atti. Il primo
è la temperatura, il secondo è l’odore (come un profumo particolare, un odore di bruciato, di
fumo, di gas, di alcool, di candeggina e così via). La rilevazione e l’annotazione di entrambi può
risultare in seguito importante per la ricostruzione della dinamica del delitto.

Riconoscimento olfattivo del reo da parte delle vittime e/o dei testimoni
21
Il concetto di identità preventiva è legato all’identificazione un soggetto a prescindere dal compimento di un reato,
al fine di poterlo sempre individuare successivamente, mentre l’accertamento dell’identità giudiziaria entra in gioco
dopo la commissione di un reato e si riferisce all’autore dello stesso.
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L’Incontro tra L’Olfatto e L’Investigazione
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Secondo un recente studio22, nel caso in cui la condotta delittuosa sia stata posta in
essere in un momento in cui l’illuminazione era carente o nulla, oppure nel caso in cui le vittime
o i testimoni abbiano avuto gli occhi bendati o chiusi per la paura, potrebbe essere possibile
l’identificazione del reo attraverso l’odore; ciascun individuo, infatti, ha un odore caratteristico
e unico, così come per le impronte digitali.
Nell’esperimento, a dei volontari è stato fatto vedere un video, che poteva presentare
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contenuti neutri oppure mostrare qualcuno compiere un crimine, ed allo stesso tempo è stato
fatto annusare loro un campione di odore che è stato detto essere del protagonista (o del
colpevole). Successivamente, ai volontari è stato chiesto di riconoscere l’odore sentito tra
cinque campioni; è così emerso che il riconoscimento veniva eseguito con successo ed anche
che chi aveva assistito al crimine aveva una probabilità più alta di riconoscere il campione
corretto (questo avverrebbe per una sorta di “codifica emotiva” dell’odore, che rimane
maggiormente impresso quando è abbinato ad emozioni forti).

Uso del ricordo olfattivo nell’intervista cognitiva
«In linea generale (…), collegare odori ad episodi favorisce migliori prestazioni nel
ricordo: gli aspetti affettivi ed emotivi del fatto ricordato possono essere collegati a particolari
odori»23.
L’intervista cognitiva, sviluppata dagli psicologi Fisher e Geiselman nel 1992, «è una
procedura sviluppata per aiutare i funzionari di polizia o altri professionisti ad ottenere
resoconti più completi e accurati da un testimone, ed è basata sui principi psicologici che
regolano il ricordo ed il recupero di informazioni dalla memoria. Vari lavori hanno dimostrato
che i poliziotti addestrati a usare questa tecnica sono stati capaci di ottenere da un testimone il
40% in più delle informazioni rispetto agli investigatori che hanno utilizzato i loro tradizionali
metodi di interrogatorio (…). Questa tecnica di intervista si basa su due principi teorici. In
primo luogo sul fatto che vi sono più modi per recuperare dalla memoria un evento, per cui
informazioni che risultano non accessibili – e che quindi non verranno ricordate – utilizzando
una data tecnica possono diventare accessibili se si impiega una tecnica diversa. In secondo
luogo la tecnica si basa sull’assunto che una traccia di memoria sia composta da numerosi
elementi, e che un suggerimento, un aggancio per il recupero (cue) è effettivo a patto che ci sia
22
L. ALHO, S. C. SOARES, J. FERREIRA, M. ROCHA, C. F. SILVA, M. J. OLSSON, Nosewitness Identification: Effects of
Negative Emotion. Nosewitness Identification: Effects of Negative Emotion, in PLOS ONE, 22 gennaio 2015,
<http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0116706>.
23
E. TIZZANI, Percezione e memoria nella vittima, in A. M. GIANNINI, F. CIRILLO, Itinerari di vittimologia, Milano, Giuffrè
Editore, 2012, pp. 107-118, p. 115.
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una sovrapposizione tra l’informazione codificata e il cue stesso: in altre parole, quando il cue
corrisponde ad una parte dell’informazione che è stata messa in memoria»24.
Uno dei metodi che si utilizzano durante le interviste cognitive è quello di indurre il
testimone a ricreare mentalmente il contesto in cui è avvenuto il fatto in esame; in questo caso,
praticamente, «l’intervistatore può aiutare il testimone chiedendogli di recuperare un’immagine
o un’impressione delle caratteristiche ambientali della scena originale (per esempio la
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disposizione degli oggetti nella stanza), e suggerirgli di commentare le reazioni emozionali, le
sensazioni avute in quel momento (sorpresa, rabbia, ecc.), e poi descrivere qualsiasi suono,
odore e condizioni fisiche (caldo, umido, fumo, ecc.) che fossero presenti nel contesto in cui si
è svolto il fatto»25.
Evidentemente, evocare il ricordo dell’odore percepito durante l’esperienza che ci si
sforza di ricordare può essere utile per ottenere una testimonianza migliore.

Uso dell’odore corporeo per identificare gli individui
Come affermato in precedenza, le grandezze biometriche consentono di accertare
l’identit{ degli individui e di limitare gli accessi, in quanto, essendo parte integrante della
persona, non possono essere cedute, perse, rubate o dimenticate.
L’odore corporeo si va ad inserire nell’ambito della biometria applicata alla sicurezza
poiché inizia ad essere considerato come un potenziale parametro identificativo, un inedito
elemento per una futura carta di identità.
L’impronta o firma olfattiva è stata proposta in tal senso e resa scientificamente valutabile
dall’Universidad Politécnica di Madrid, in collaborazione con l’azienda hi-tech iberica Ilía
Sistemas. Tale impronta, più che dall’odore individuale, è costituita dallo schema stabile di
odori che permea e caratterizza la persona durante tutta la sua vita. Il metodo messo a punto
dai ricercatori ha ottenuto risultati che lasciano ben sperare, poiché nell’associazione dei vari
schemi (pattern) odorosi ai legittimi proprietari è stato riscontrato un tasso di errore del 15%
soltanto.
Per effettuare il riconoscimento olfattivo di un individuo, e quindi poterne confermare o
disconfermare l’identit{, è necessaria unicamente l’apparecchiatura in grado di identificarne
l’odore; tra l’altro, tale strumentazione è molto meno ingombrante rispetto allo scanner per la
retina e fornisce risultati più precisi rispetto ai dispositivi per il riconoscimento facciale.
24
G. MAZZONI, Si può credere a un testimone? La testimonianza e le trappole della memoria, Bologna, il Mulino, 2003,
pp. 202-203.
25
G. MAZZONI, Si può credere a un testimone?, cit., p. 203.
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Il riconoscimento olfattivo risulterebbe utile soprattutto in quei contesti, come i controlli
di sicurezza ad esempio negli aeroporti, in cui si volessero evitare manovre troppo invasive sui
soggetti da identificare.
Ovviamente, prima di essere adottato, il riconoscimento automatizzato degli individui
basato sull’odore dovr{ essere portato dai ricercatori ad un livello di accuratezza superiore
all’attuale
85%; inoltre, rimangono aperte le questioni relative all’immutabilità ed alla
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collezionabilità26 della variabile presa in esame: l’odore emanato dal corpo, infatti, potrebbe
variare nel corso del tempo (a causa dell’et{, del clima, dell’insorgenza e del decorso di
patologie, di variazioni di regime alimentare, di cambiamenti dell’umore e così via) e – al di là
del problema relativo alla tutela della privacy che le banche dati sollevano – dei database
affidabili e sufficientemente inclusivi saranno di difficile realizzazione.
26
Le qualità che rendono una variabile biometrica efficiente sono l’universalità (tutti i soggetti la devono avere),
l’unicità (non devono esistere due soggetti che la possiedono allo stesso modo), la stabilità, intesa sia come
inalterabilità che come immutabilità nel tempo, e la collezionabilità (o classificabilità).
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L’odore del Respiro e L’odore dei Reati
L’ODORE DEL RESPIRO E L’ODORE DEI REATI
– Parmi, Sancio, che tu abbia gran paura. – Per l’appunto,
diss’egli; ma donde arguisce vossignoria ch’io tema più adesso
che prima? – Perché adesso più che prima mandi un odore che
non è d’ambra, rispose don Chisciotte.
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Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia
Da cosa scaturisce l’odore individuale? E cosa lo rende assolutamente peculiare ed utilizzabile
per eventuali riconoscimenti, identificazioni ed anche diagnosi?
Si dà il nome di volaboloma all’insieme di sostanze olfattive secrete dal corpo umano,
rilasciate cioè dalla pelle, dalle mucose, dalle ghiandole, dallo stomaco, dai genitali, dai polmoni
ed anche dal cervello, poiché l’attivazione encefalica produce un cambiamento nelle sostanze
olfattive espirate27. Il volaboloma è formato da composti sia biotici che abiotici (questi ultimi
sono semplicemente le sostanze chimiche con cui veniamo in contatto). I composti biotici
possono essere corpuscolati (capelli e cellule epiteliali) o volatili (residui della sudorazione,
della respirazione, urinari); i composti biotici volatili sono costituiti da molecole dotate di
piccole dimensioni e presenti in concentrazioni ridotte che ricadono nella categoria dei VOC –
acronimo che sta per Volatile Organic Compounds –, ovvero dei composti organici volatili
(molecole che possono essere anche molto diverse tra loro per composizione e conseguente
comportamento chimico-fisico ma che sono accomunate da una certa volatilità).
Il bouquet di sostanze emanato dalla totalità del corpo umano è in grado di offrire
numerose informazioni, tra cui la vicinanza genetica e lo stato di salute. Le malattie, infatti,
conferiscono caratteristiche particolari al volaboloma, tanto è vero che ad alcune diagnosi si
giunge anche attraverso valutazioni olfattive (effettuate soprattutto sul respiro); si pensi,
banalmente, al diabete ma anche al fatto che patologie agli organi interni provocano la
comparsa di odori caratteristici nel fiato (problemi epatici odore di pesce, problemi ai reni
odore di urina e così via). Anche la malattia mentale influisce sul volaboloma, poiché è associata
27
Attualmente, sul volaboloma e, in particolare, sulla componente odorosa dell’aria espirata, si stanno conducendo
ricerche presso l’Università d’Annunzio di Chieti-Pescara (Sezione di fisiologia e fisiopatologia, Dipartimento di
neuroscienze, imaging e scienze cliniche).
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L’odore del Respiro e L’odore dei Reati
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ad un metabolismo neuronale particolare: esistono l’odore dell’Alzheimer, l’odore della
schizofrenia ecc. ma il volaboloma potrebbe anche essere utilizzato per rilevare, ad esempio, il
tasso di stress.
Il volaboloma è foriero di molte informazioni poiché dipende da numerose variabili,
pensiamo alle caratteristiche della cute (glabra o meno), all’et{ (infanzia, pubert{, et{ adulta e
senilità sono periodi olfattivamente molto diversi), al sesso e – se il soggetto è femmina – alla
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fase del ciclo mestruale, all’etnia e all’alimentazione, all’igiene personale (e quindi ai batteri che
ricoprono la cute e le mucose), al fumo e all’inquinamento.
Ciò che potrà portare ad una vera rivoluzione, in campo sia diagnostico che identificativo,
è la possibilit{ data dall’attuale tecnologia di rilevare le molecole del volaboloma attraverso
l’impiego di sensori.
L’odore delle persone, che abbiamo constatato essere estremamente peculiare, viene
depositato sugli oggetti con cui vengono in contatto e nei luoghi in cui transitano, da qui la
possibilità di rilevare profili olfattivi lasciati ad esempio su una scena del crimine.
Sul luogo di un delitto, però, non troveremo solo il profilo olfattivo del reo e della sua
vittima ma anche un’indicazione olfattiva riguardo al reato commesso. Ogni scena del crimine,
infatti, è olfattivamente connotata, a volte anche in modo pesante (tanto è vero che negli USA
esistono aziende specializzate nella rimozione degli odori negli ambienti in cui sono stati
commessi delitti): può essere rilevato odore di sangue, di liquido seminale (in caso di stupro), di
spari, di bruciato (se il reo ha dato o cercato di dare fuoco a qualcosa), di detergenti come la
candeggina (se l’autore ha cercato di ripulire la scena) e di sostanze tossiche e veleni (il cianuro,
ad esempio, possiede il classico odore di mandorle amare).
Il sangue, in particolare, presenta un odore tipico – dato dal ferro contenuto
nell’emoglobina – che però è soggetto ad una certa variabilità: la sua degradazione e la sua
interazione con altre sostanze ne modificano, infatti, le caratteristiche olfattive (si pensi anche
solo all’odore dell’aglio, che rimane diverse ore nel sangue dopo l’ingestione).
Infine, sta nascendo una scienza che si propone di investigare, principalmente a scopo
tanatocronologico, i marcatori olfattivi della decomposizione – “l’odore della morte”,
potremmo dire –, poiché ogni stadio della putrefazione di un corpo è caratterizzato dalla
produzione di composti specifici, aventi caratteristiche olfattive particolari e riconoscibili.
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IL
Il senso dell’Olfatto del cane
SENSO DELL’OLFATTO DEL CANE
I cani hanno bisogno di annusare il terreno: è il loro modo
di tenersi aggiornati sui fatti d’attualità. Il terreno è un
gigantesco giornale per cani, contenente tutti i tipi di notizie
canine dell’ultima ora, che, se sono particolarmente urgenti,
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proseguono nel terreno successivo.
Dave Barry
Benché l’olfatto abbia un ruolo importante nella vita degli esseri umani, è innegabile
come negli altri animali sia (o sia rimasto) molto più sviluppato. In alcune specie di farfalle
l’odore della femmina può attirare il maschio da molti chilometri di distanza e i salmoni usano
l’olfatto per ritrovare le acque in cui sono nati attraversando centinaia e centinaia di chilometri,
ma nel nostro immaginario l’emblema della capacit{ olfattiva è il cane, il cui fiuto può essere
sfruttato a nostro vantaggio, anche per scopi investigativi.
Ma perché l’olfatto di Fido e il nostro sono così diversi? In primis, nel patrimonio genetico
sia dell’uomo che del cane esistono 900 geni che codificano recettori olfattivi, ma nella nostra
specie la maggior parte di essi è silente, spenta e non va a maturazione (pseudogeni). In
secondo luogo, i neuroni olfattivi umani in media hanno 10 ciglia, quelli del cane 100. In terzo
luogo, come è intuibile, la canna nasale del cane (col relativo epitelio olfattivo) è molto più
estesa di quella umana.
Il cane si ritrova quindi dotato di 300 milioni di recettori olfattivi e l’uomo solo di 6
(parallelamente, la corteccia olfattiva canina occupa il 12,5% della massa totale del cervello
dell’animale mentre quella umana ne ricopre appena l’1%).
L’incisivit{ dei numeri potrebbe far apparire quantitativa la differenza tra i nasi delle due
specie ma non è affatto così, poiché tra le straordinarie capacità olfattive del cane e le nostre
sussistono differenze sia quantitative che qualitative, che rendono il tartufo – è questo il nome
esatto del naso del cane – un congegno davvero straordinario. Si pensi anche solo alla sua
“architettura”: la forma del tartufo fa sì che l’aria inspirata e l’aria espirata seguano percorsi
diversi, per evitare reciproche contaminazioni (l’aria espirata viene convogliata lateralmente
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Il senso dell’Olfatto del cane
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rispetto ad ogni narice, mentre l’aria inspirata viene convogliata al centro) e la canna nasale è
strutturata in modo da percepire odoranti a diversa volatilità. Inoltre, per quanto riguarda la
capacità del cane di seguire le tracce (di una preda in movimento ma non solo), essa è dovuta al
fatto che ogni narice canina è deputata alla percezione di una distinta regione spaziale (la
destra e la sinistra), per cui il cane localizza immediatamente la provenienza un odore e
modifica continuamente la direzione del suo percorso di ricerca in base ad essa (tale attitudine
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è resa possibile dal fatto che ciascuna delle narici del cane è più piccola della distanza che la
separa dall’altra).
In buone condizioni ambientali, un cane riesce ad identificare odori “depositati” fino a sei
settimane prima, specialmente nelle prime ore serali28.
La razza influenza la capacità olfattiva ed anche la modalità con cui il cane annusa. I cani
col muso schiacciato (carlini, pechinesi, boxer, bulldog ecc.) – avendo le vie respiratorie
schiacciate – olfattivamente sono meno dotati dei cani equipaggiati di musi più lunghi ed
esistono razze a teleolfatto e razze a megaolfatto.
Le razze a teleolfatto (i cani da caccia, ad esempio) annusano, inspirando profondamente,
grandi quantit{ d’aria (i loro seni frontali sono più ampi rispetto a quelli di altre razze) e si
addentrano nell’immaginario “cono” dell’odore di interesse, ne seguono l’intensit{ sempre
maggiore e riescono alla fine a localizzare la sua origine (che coincide col punto in cui l’intensit{
dell’odore è massima). Le razze a megaolfatto (per esempio i famosi bloodhound) effettuano
invece annusate brevi e ritmiche alla ricerca di particelle olfattive (sono dotate di seni frontali
più piccoli)29.
Le straordinarie capacit{ olfattive del cane lo rendono l’aiutante ideale in numerose
circostanze, ad esempio nella ricerca di dispersi o di prodotti particolari, si pensi agli
stupefacenti, alle banconote o agli esplosivi. Alcuni studi affermano che i cani sono in grado di
percepire la presenza di tumori colon-rettali e di altre patologie (sulla base del già citato
volaboloma) e questa capacità in futuro potrebbe essere usata proprio a scopo diagnostico.
Oggi abbiamo la possibilit{ di servirci dell’olfatto del cane nei contesti più vari ma
dobbiamo anche ammettere che il lupo – addomesticato in tempi antichissimi, parallelamente,
in diverse regioni del globo e diventato così Canis lupus familiaris – ha ricoperto un ruolo molto
28
All’inizio della sera la temperatura del terreno è lievemente più alta della temperatura dell’aria e gli odori “salgono”
più agevolmente dal terreno.
29
Si dice che i cani a teleolfatto intercettano nell’aria le particelle olfattive come se usassero un telescopio e
che i cani a megaolfatto captano a terra le particelle olfattive come se usassero un microscopio.
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Il senso dell’Olfatto del cane
veterinario e scrittore triestino Alessandro Paronuzzi, mi preme aggiungere che, proprio per
questo, la nuova civilizzazione auspicata alla fine dell’Ottocento da Victor Hugo («Per prima
cosa, fu necessario civilizzare l’uomo in rapporto all’uomo. Ora è necessario civilizzare l’uomo
in rapporto alla natura e agli animali») dovrebbe partire proprio dal cane.
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importante nell’intero corso della civilt{ umana. Condividendo pienamente il pensiero del
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Detective a quattro zampe
DETECTIVE A QUATTRO ZAMPE
…l’antica amicizia,
la gioia
di esser cane e di esser uomo
tramutata
in un solo animale
che cammina muovendo
sei zampe
e una coda
intrisa di rugiada.
Pablo Neruda, Ode al cane30
Il cane accompagna l’uomo in molte delle sue attivit{ da quasi 15.000 anni. Dalla fine del
XIX secolo, si è assistito ad un sempre più massiccio ricorso ai cani nel supporto ai servizi
pubblici, specialmente nelle attività di sicurezza, di difesa e di soccorso; in particolare, l’uomo
ha scelto i cani come stretti collaboratori anche nell’ambito della criminalistica (nel 1896 il
criminalista austriaco Hans Gross dimostrò le grandi potenzialità dei cani in questo settore), da
qui la nascita della materia denominata cino-criminalistica, disciplina che, sulla scorta delle più
recenti ricerche scientifiche universitarie sulle capacit{ olfattive del cane, prevede l’impiego di
unità cinofile sulla scena del crimine.
L’espressione unità cinofila indica il binomio formato dal cane e dal suo conduttore (e
non, come spesso erroneamente si sente dire, il reparto che utilizza i cani); tuttavia, in realtà
sarebbe più corretto usare l’espressione unità cinotecnica, in quanto il cane non è solo oggetto
d’affezione ma rappresenta effettivamente anche uno strumento di lavoro e di espansione
delle capacità umane.
Si può ricorrere alla cino-criminalistica (che, se svincolata dalla scena criminis, sconfina
nella materia più generale denominata cino-criminologia) quando si indaga su:

crimini nei quali si può utilizzare una traccia olfattiva lasciata dall’autore, per
l’identificazione successiva di uno o più sospettati (odorologia forense),

omicidi singoli o seriali, in cui sono da cercare resti cadaverici o tracce biologiche
cadaveriche latenti (cadaver dogs),
30
Traduzione di Roberto Paoli.
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
Detective a quattro zampe
reati a sfondo sessuale, in cui sono da ricercare tracce biologiche latenti per poi
confrontarle con uno o più sospettati (sex offender search dogs o sos dogs),

atti di piromania o incendi dolosi, per ricercare tracce di acceleranti di incendio sul
luogo del reato o su abiti ed oggetti di proprietà di uno o più sospettati (arson
dogs),

attentati dinamitardi, per ricercare e riscontrare la presenza di esplosivi e polvere
INDAGINI E NASI. IMPRONTE OLFATTIVE, RICONOSCIMENTO OLFATTIVO E CINO-CRIMINOLOGIA
da sparo in luoghi o su persone presumibilmente coinvolte nei reati (bomb-sniffing
dogs),

crimini nei quali, attraverso la tecnica del prelievo della traccia olfattiva, è possibile
individuare e seguire il percorso effettuato da una persona (mantrailing).
Come si vede da questo esaustivo elenco, Fido può fare molto di più che cercare e rilevare
sostanze (stupefacenti, banconote od anche esplosivi), poiché è in grado di riconoscere e
seguire l’odore di una persona specifica e di dare risposte affidabili ma semplici – affermative o
negative – alle nostre “domande”, ad esempio possiamo “interrogarlo” sulla presenza di
quell’impronta olfattiva (e quindi di quella persona) in quell’ambiente o su quella vittima.
L’addestramento di questi straordinari animali esalta le loro doti naturali e lo fa in modo
assolutamente ludico. La gratificazione finale (che viene concessa quando il cane ha svolto
bene il suo compito) è sicuramente un incentivo, ma gli allenamenti ed il lavoro vero e proprio
costituiscono già di per sé un divertimento ed una soddisfazione per il cane, oltre che la
possibilità di sfogare il suo naturale istinto. Sarà compito del conduttore interpretare al meglio i
segnali del segugio.
Colgo qui l’occasione per sottolineare come l’espressione cane molecolare (che potrebbe
anche sembrare il titolo di un’opera futurista o surrealista), benché abusata dai giornalisti, sia
scientificamente scorretta, poiché tutti i cani (anzi, tutti gli animali) sono molecolari, nel senso
che gli organi olfattivi di tutti loro sono programmati per reagire a molecole.
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ODOROLOGIA FORENSE
L’occhio può essere ingannevole, non l’odorato.
Philippe Sollers
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L’Unione Sovietica fu il primo Paese a sviluppare un progetto di ricerca, nel 1964, al fine di
creare un metodo affidabile per l’impiego, a scopo criminalistico, delle impronte di odore
umano.
L’odorologia forense, che negli ultimi anni sta prendendo piede anche nel nostro Paese (il
termine odorologia non figura ancora nei nostri vocabolari), ha lo scopo di rintracciare e
utilizzare tracce olfattive lasciate dagli autori di reato per la loro successiva identificazione (si
raccolgono le impronte olfattive lasciate sulla scena del crimine, si immagazzinano e si
sottopongono a perizia con l’impiego dei cani, per stabilire la presenza di determinate persone
sul locus commissi delicti). Come è pacifico, tale matching risulta possibile solo se abbiamo già
uno o più sospettati con cui confrontare la traccia; oltre a questo, l’intervento dell’unit{ cinofila
(in grado di coprire rapidamente ampie superfici da esaminare) dovrà essere tempestivo,
poiché la scena crimins è facile alla contaminazione.
Il processo succitato funziona anche all’inverso. Possiamo prima far annusare al cane il
sospettato ed in seconda battuta portarlo sulla scena del delitto per capire, attraverso la sua
risposta comportamentale, se il nostro uomo è stato presente sul luogo; similmente, la nostra
seconda mossa potrà anche essere far annusare al cane un oggetto sicuramente contestuale al
delitto (mezzi di aggressione e/o di immobilizzazione) o altro.
Meno olfattivamente contaminata e più “fresca” è la scena, maggiori sono le probabilit{
di successo.
È quasi pleonastico specificare che, analogamente al ricorso alla rilevazione ed all’analisi
del DNA, il fiuto del cane può confermare o disconfermare la presenza di quella persona in quel
contesto ma ovviamente non è in grado di dirci altro (il quando la traccia olfattiva è stata
depositata e, soprattutto, il come).
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La comparazione fra l’odore personale lasciato dal criminale e l’odore prelevato dalla
persona o dalle persone indiziate si basa sull’esistenza di un odorotipo umano, unico in ogni
individuo, e sulla capacit{ del cane nel discriminare e differenziare l’odorotipo di ciascuno.
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CANI DA MANTRAILING
Il naso di un cane è un prodigio di ingegneria, e ci
rammenta che là fuori esiste un mondo che non ci sarà mai dato
di conoscere, almeno non come esseri umani.
Roger Caras
Il cane da mantrailing, quello che viene comunemente – e scorrettamente – indicato dai
media come cane molecolare, viene utilizzato per individuare e seguire il percorso effettuato da
un determinato soggetto; si usa, quindi, quando una persona è scomparsa e si presume sia
ancora viva. Esso si differenzia dal cosiddetto cane da ricerca perché è addestrato per seguire la
specifica traccia olfattiva di una singola persona, mentre un cane da ricerca segue tracce
olfattive umane in genere.
La disciplina del mantrailing, oggi applicata al settore della protezione civile per la ricerca
di persone scomparse e a quello delle indagini forensi, non è nuova, si pensi alla ricerca degli
evasi condotta dalla polizia statunitense.
Il cane da mantrailing, quando non ci consente di arrivare allo scomparso, almeno ci indica
il mezzo e la direzione che ha preso per allontanarsi (si pensi al caso in cui il cane fiuti la pista
fino a fermarsi al binario di una stazione ferroviaria).
Nella maggior parte dei casi, al cane da mantrailing (chiamato anche mantrailer) viene
presentato un input olfattivo, che può essere costituito da un oggetto o un indumento
impregnato dell’odore della persona da localizzare ma anche dalla traccia che quest’ultima ha
lasciato all’interno di un luogo chiuso (l’abitacolo di un’auto, ad esempio) o in un punto in cui è
sicuramente transitata.
Ovviamente, più l’intervento dell’unit{ cinofila è tempestivo, più sar{ possibile ottenere
risultati; dopo le 48 ore, infatti, cercare lo scomparso è ancora possibile, ma la probabilità di
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successo si riduce del 60-70%. Inoltre, le condizioni ambientali (clima e temperatura, vento ma
soprattutto forti piogge) influenzano la qualità e la resistenza della traccia.
Per il mantrailing possono essere impiegati cani di ogni tipo con eccellenti risultati,
tuttavia il cane più utilizzato per questo genere di ricerca è il bloodhound, conosciuto anche col
nome di cane di Sant’Uberto (razza canina di origine belga, impiegata nell’attivit{ venatoria fin
dall’epoca medioevale); questo perché i bloodhound possiedono ben 4 miliardi di recettori
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olfattivi, dote che rende il loro fiuto eccezionale ed anche più accurato per gli odori meno
“freschi” rispetto a quello degli altri cani.
I mantrailer non seguono la traccia di calpestamento o un qualsiasi odore umano, bensì le
cellule epiteliali perse dalla persona che stiamo cercando, la scia che il decadimento cellulare di
quella specifica persona in movimento ha lasciato nell’ambiente (ognuno di noi dissemina
svariate migliaia di cellule epiteliali al minuto, accompagnate da altri residui – della sudorazione,
della respirazione e di sostanze chimiche, ad esempio cosmetici o detergenti – creando una
traccia, un’impronta olfattiva, assolutamente unica, al pari di quella genetica). Come il lettore
ricorderà, le cellule epiteliali rilasciate dal corpo umano fanno parte del volaboloma
corpuscolato.
CANI DA CADAVERE
Il cane è il sesto senso dell’uomo.
Friedrich Hebbel
I cani da cadavere (cadaver dogs) vengono impiegati dove e quando siano da localizzare
resti o tracce, anche latenti, di cadavere (un qualsiasi cadavere, non il cadavere di una persona
precisa). Nonostante l’accumularsi di ricerche in questo campo, non si è ancora riusciti a
trovare un degno sostituto del cane da cadavere, impiegato fin dagli anni settanta in questo
genere di ricerca.
L’addestramento è molto lungo e prevede che al cane si insegni (usando resti di animali –
specialmente maiali – oppure composti chimici appositamente sintetizzati) a rintracciare gli
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odori tipici dei vari stadi della decomposizione, in modo che poi possa essere in grado di
localizzare corpi e resti umani in qualunque fase putrefattiva si trovino.
Esistono anche varie specializzazioni: ricerca cadaverica dei dispersi in superficie, dei
dispersi nei boschi, dei dispersi sotto le macerie, dei dispersi annegati, dei dispersi sepolti e
delle vittime di incendi o esplosioni.
Il doberman si chiama Luna ed è un cane da cadavere; il bloodhound invece è Artù Le Roi, un cane da mantrailing. Di
questi splendidi quadrupedi, che la scrivente ha avuto modo di vedere all’opera durante un’esercitazione, si avvale NEMESI,
un’associazione impegnata nella ricerca delle persone scomparse, attraverso la costituzione di unità cinofile e la formazione di
volontari a piedi per la ricognizione di superficie (sito internet: www.nemesi.co).
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Conclusione
CONCLUSIONE
Tutto il mio genio è nel mio naso…
Friedrich Nietzsche, Ecce homo
Gli studi che trattano molti degli argomenti affrontati in questo breve saggio sono ancora
in itinere. Certo è che, se concentrarsi sul «fugace regno degli odori» può costituire un nuovo
strumento per aiutare gli inquirenti a rispondere alle famose 5 W e 1 H, è auspicabile che l’Italia
non rimanga indietro, anche per non perdere il prestigio di cui ha sempre goduto in ambito
investigativo.
Sebbene sia opportuno che l’indagine scientifica si affianchi soltanto a quella
tradizionale, senza pretendere di sostituirla, il perfezionamento della sensoristica
finalizzata anche all’identificazione 31, l’introduzione dell’analisi olfattiva del reato e della
scena del crimine e la diffusione dell’impiego di cani addestrati per la ricerca di scomparsi
presumibilmente ancora in vita e di cadaveri potrebbe ro essere di grande aiuto al mondo
della sicurezza e della giustizia.
Per quanto riguarda l’utilizzo di cani, ad esempio, la realtà italiana è ancora allo
stadio embrionale, per nulla regolamentata e molto confusa. Mettere ordine in questo
campo e potenziarlo consentirebbe anche di evitare gli errori che di solito vengono
commessi, ad esempio che i cani da mantrailing vengano portati sul luogo della
scomparsa quando già troppi giorni sono trascorsi.
Rischiando di andare fuori tema, voglio qui precisare che il cane, che sia un cane da
cadavere, da mantrailing o da ricerca oppure un qualsiasi meticcio non addestrato, non è
un oggetto di cui l’uomo si serve per le sue attività bensì un essere senziente c he richiede
assoluto rispetto; adottando le parole di Konrad Lorenz, «La fedeltà di un cane è un dono
prezioso che impone obblighi morali non meno impegnativi dell’amicizia con una creatura
umana».
Più in generale, tornando a parlare dell’olfatto degli esseri umani, si spera che la nostra
specie, microsmatica e segnata da una mentalità visivo-acustica, non perda del tutto il contatto
ed impari a valorizzare quello che è il più diretto ed immediato dei sensi32.
31
Da anni la ricerca scientifica si adopera per creare nasi artificiali (nasi elettronici si utilizzano già da anni
nell’industria e sono in fase di sperimentazione nel settore medico e del monitoraggio ambientale), ma la verit{ è
che per ora nessuna macchina riesce ad imitare l’organo olfattivo dell’uomo, tantomeno quello di specie più
dotate di lui.
32
Le strutture cerebrali in cui viene convogliato lo stimolo olfattivo – che vengono indicate col nome di
rinencefalo (cervello del naso) – appartengono all’area filogeneticamente più antica del cervello (il cosiddetto
cervello rettile) e fanno anche parte del sistema limbico, che è coinvolto in molti aspetti delle emozioni e della
memoria. Il collegamento – che unicamente nel caso dell’olfatto è diretto – con il sistema limbico spiega la
coloritura emozionale e viscerale che le percezioni olfattive possono assumere, nonché il potere degli odori di
rievocare ricordi altrettanto carichi emotivamente.
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