Marcialonga atto quarto 42195 metri a Berlino

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Marcialonga atto quarto 42195 metri a Berlino
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Runner’s Post
STRADA
dicembre 2010
Vivendo (e godendo) di stage
di M. Rita Caruso
Ultima domenica di luglio 2010.
E’ pomeriggio, siamo a Livigno in hotel, e inizia la vacanzastage con Orlando Pizzolato. E’
un modo diverso per trascorrere
una vacanza, vivendo della passione per la corsa e in una location immersa nella natura.
Penso proprio che per me che ho
iniziato a correre da un anno o poco
più, uno stage sulla corsa, che mi
faccia capire cosa vuol dire allenarsi, non possa che farmi bene.
A inizio d’anno con mio marito
guardiamo sul sito di Orlando Pizzolato ai vari programmi di stage:
ci attrae così l’idea di trascorrere
una settimana di allenamenti e di
relax all’aria aperta alla quota di
1.800 metri nella stupenda cittadina di Livigno. Stabiliamo per l’ultima settimana di luglio; tra l’altro
mio marito scopre che coincide
con una gara, la nota Stralivigno,
così è fatta: è lui che si occupa dei
contatti e dell’iscrizione allo stage,
a me tocca solo chiedere il periodo
di ferie al lavoro. Ed è meglio che
sorvoli sui commenti dei colleghi
e delle colleghe, quando ho detto
loro che sarei andata in vacanza in
montagna per… correre!!! Io, che
fino ad un anno e mezzo prima non
resistevo a corricchiare per più di
un chilometro!
A inizio luglio veniamo a sapere
che anche un altro socio del Club,
Lorenzo, si è iscritto allo stage nel
nostro stesso periodo: bene, c’è
qualcuno che conosciamo, a me resta il timore di essere sola in mezzo a tanti appassionati della corsa,
gente che va forte, e che mi ritrovi
alla fine a correre in solitaria.
In realtà, quando incontriamo
gli altri partecipanti alla prima riunione pomeridiana domenica 25,
vedo che ci sono delle signore che
accompagnano i rispettivi consorti che non sembrano proprio delle
campionesse, e scoprirò nel corso
dei giorni che lo stage è veramente
aperto a tutti, professionisti e non;
c’è addirittura una intera famiglia,
papà, mamma e due figli adolescenti, tutti iscritti allo stage, e la
“mamma” evidentemente è lì per
seguire la passione del marito. Gli
stessi Ilaria e Orlando ci accolgono con molta cortesia e cura, sono
affabili, e dimostreranno grande
competenza e dedizione in questo
che per loro è “lavoro”. La prima
riunione è sull’analisi dell’appoggio del piede, e ci viene illustrato il
programma della settimana: si corre tutti i giorni la mattina, mentre il
pomeriggio sul tardi prima di cena
è dedicato alle sedute in aula.
Così lunedì mattina, appena finito colazione, l’appuntamento è
per la plicometria, la misurazione
della massa grassa (io grassa? Ma
quando mai!), e successivamente ci
rechiamo in macchina fino alla pista
di Bormio per il test più temuto, il
test Conconi. Il tutto è organizzato
con dovizia: Ilaria e Orlando si suddividono i compiti, una grida nel
megafono di schiacciare un pulsante sull’orologio al passare di ogni
minuto, l’altro segna il ritmo con un
fischietto e… seguo quello che fa
il mio gruppetto, ogni 20 metri c’è
un cono, e tutti al fischio di Orlando
dobbiamo arrivare al cono successivo, sempre più velocemente, fino a
quando Ilaria non mi urla che è meglio che mi fermi… sulla pista sono
rimasti in pochi a correre, compreso
Attilio, e nel giro di qualche minuto,
Marcialonga atto quarto
di Marco Frattini
consegnati gli orologi con il cardio
e i dati registrati a Ilaria ci ritroviamo alla partenza dei 200 metri, che
fortunatamente fila via liscia, poi è il
momento delle riprese della tecnica
di corsa: è la prima volta che vengo
filmata mentre corro, vengo ripresa
davanti, di dietro e di lato.
Rivedrò questo filmato dopo un
paio di giorni, quando si parla della
tecnica di allenamento, e della postura nella fase di corsa, motivo per
cui siamo stati tutti ripresi; i giorni
si susseguono tra le diverse misurazioni la mattina (il test di flessibilità
con le misurazioni angolari, la plicometria e la misurazione dell’appoggio del piede come già detto)
seguiti dagli allenamenti (corsa
lenta un giorno, corsa lunga un altro sul percorso della Stralivigno,
Interval Training con le variazioni
di ritmo l’ultimo giorno).
Livigno è il posto ideale dove
svolgere gli allenamenti: tutta la
cittadina, situata in una conca, è
contornata da una doppia pista
pedonale e ciclabile: sono tanti
gli sportivi che si allenano, suddivisi tra runners, mountainbikers,
skaters, e anche solo passeggiatori; tutt’intorno tanto verde, in
mezzo il fiume e ruscelli, e se sei
fortunato riesci anche a vedere le
marmotte. Terribile il giorno della
corsa lenta, nel percorrere il percorso della Stralivigno, conclusa tre giorni prima: qualcuno ha
anche perso la rotta, Orlando che
ci seguiva sempre in bici, andava
avanti e indietro per recuperare i
dispersi, ed è stato forte quando
uno di questi, nel chiedere la strada ad un passante (Mi scusi, dove
devo andare per la Stralivigno?) si
è sentito rispondere: “La Stralivigno? Ma lei sta ancora correndo la
Stralivigno? Oh Signur! Puveret!”
Poi c’è il pranzo, il momento
dedicato al relax con visita al centro benessere dell’hotel (e alla comoda vasca idromassaggio), piuttosto che alla passeggiata in centro
a Livigno, shopping compreso, per
ritrovarsi nel tardo pomeriggio con
Orlando, Ilaria e gli altri stagisti in
sala per la spiegazione dell’argomento del giorno: alimentazione,
programmazione e tecniche di allenamento, i test in atletica, ecc.
A Livigno non abbiamo incontrato bel tempo: la temperatura
si è mantenuta sempre sotto i 20
gradi di giorno, il mio compagno
mi spiega che è stato meglio così,
evitando il caldo abbiamo potuto
allenarci per il meglio.
L’ultimo giorno ci vengono consegnati i risultati dei test e le tabelle
di allenamento: 3 paginette dense di
numeri, tabelle, andature, con varie
terminologie; assieme ai risultati
c’è il diploma di partecipazione e
un bel CD con le foto scattate da
Ilaria mentre corriamo: “Stage di
Allenamento e Vacanza” recita il
diploma, adesso non ho più scuse:
è ora di fare sul serio, e cominciare
ad allenarmi come si deve!
Sarebbe troppo facile raccontare la bella sensazione di centrare un obiettivo. Al grido di “campione del mondo” io me la rido
e qualcuno potrebbe fare una
pernacchia, come già è successo,
del resto, ma non cambierebbe di
nulla la mia vittoria.
Il campionato del mondo
medici e odontoiatri è obiettivamente una manifestazione di
nicchia e di per sé simbolica,
non perché non sia valida o poco
competitiva, anzi. Ma quel “del
mondo” dà un valore universale.
Cosa è che rende allora così bella
questa vittoria? La gara perfetta,
quella che ti permette di dire una
volta arrivato al traguardo, “caspita che corsa che ho fatto!”.
Parto da due settimane fa,
quando al termine di una settimana di allenamenti massacranti
a Livigno torno nella mia umida
ma sempre bella Brianza. Decido
per un allenamento di una ventina di chilometri per vedere come
stanno le gambe.
Le gambe non girano, dopo
12 faticosissimi km, finisco la
benzina e come se non bastasse il tendine della caviglia destra, che in montagna per tutta la settimana si lamentava,
decide di mettersi in sciopero.
Piede bloccato e altri 10 km per
rientrare a casa camminando. La
mia caviglia domina sulla mia
volontà.
Mi prendo uno stop di 10 giorni, rilassanti e goduti, perché
finalmente mi sento giustificato
nel mio gozzovigliare. Ma sappiamo tutti come funziona: basta
un giorno senza correre e ci si
domanda se tutto quello che si è
fatto non andrà a farsi benedire.
Persevero nella mia tranquilla
scelta di godermi il riposo. Il tendine si sfiamma e tuttavia continua a pizzicare.
Conclusi i 10 giorni, riparto
con l’allenamento. Ritmo serrato, ma quantitativamente meno
intenso.
Giovedì, dopo tre giorni, decido dunque di iscrivermi alla
marcialonga.
Due i motivi: non correrla
mi avrebbe escluso dalla possibilità di rinnovare la sfida al
campionato “del mondo”. A tre
settimane dalla maratona di
Bergamo, ho bisogno di acclimatarmi alle sensazioni di gara.
Sabato arrivo a Moena, la tensione c’è: “E se non fossi preparato?
Se mi piantassi a metà strada?
E soprattutto se non riconfermo
i miei ritmi e tempi?” Noi podisti sappiamo come esaltarci, ma
anche come demolirci a fuoco
lento.
Opto per una serata ultrasoft.
Mi carico di tre filmati: vittoria
di Bordin a Seul, vittoria di Baldini ad Atene, vittoria di Cassina
alla sbarra ad Atene. Brividi ed
emozioni a non finire, chissà perché e cosa gioca in quelle imma-
gini con la mia testa. Emozioni,
sogni e che altro?
Domenica mattina: si parte.
I primi 4 km sono conflittuali,
mi faccio trainare dalla Carlin, o
dopo che mi saluta faccio da lepre a Donatella Vinci?
Non voglio rischiare, ma le
gambe vanno e come.
A quel punto rimango con me
stesso e con il pensiero di Antonio che dice: “E come dico sempre a ogni gara: a tutta!” E a tutta
sia.
I chilometri passano veloci, che bella sensazione, chi
mi aveva superato all’inizio
lo riprendo e lo lascio dietro.
“Sono io che corro o sto ancora
dormendo e sognando?” Non c’è
tempo per perdersi d’animo, la
salita sta per arrivare. Lo sguardo ricerca la strada, ma no, non
si può.
La gara incomincia qui e rivedo Bordin che supera il suo
avversario senza degnarli di uno
sguardo compassionevole, da
totale automa proiettato verso il
suo traguardo.
Concludo la mia fatica, tanto
fisica quanto mentale.
Mi ero promesso di pensare
alle cose belle nei momenti di
difficoltà e l’ho fatto. È stata una
gara emozionante dall’inizio alla
fine, non perché l’ho corsa, ma
perché l’ho vissuta intensamente
a ogni passo e a ogni respiro.
“Campione del mio mondo”,
per una volta mi sento tale.
42195 metri a Berlino
di Diabolik Pistis
Svegliarsi la mattina e vedere
che sta diluviando non è il massimo della vita sapendo che dopo
qualche ora bisognerà correre una
maratona. Sinceramente ho anche
pensato di girarmi dall’altra parte
del letto e non correre, ma è durato solo un attimo, ed eccomi in
piedi a iniziare la vestizione per
la gara.
Nella hall dell’hotel, il discorso comune è la pioggia, fortunatamente l’intensità è diminuita,
l’appuntamento con i compagni
di “merende” è alle 7,15, la metropolitana che ci porta verso la
partenza è a 150 metri, e si inizia
ad assaporare la fresca mattina
berlinese; nel frattempo incomincia ad entrarmi quella voglia di
correre che mi prende talmente
tanto che nemmeno mi accorgo
di quanto piove ancora. In zona
partenza, migliaia di maratoneti sono alla ricerca della propria
tenda per depositare la borsa, le
file ai bagni sono chilometriche,
la pioggia continua a scendere e
mi incammino verso la mia “gabbia” di partenza. Ero nella prima
“gabbia”, la A, quella con i top
runners, tanto che davanti a me
partono i pacers del passaggio
alla mezza in 1h02, da paura, da
brivido vedersi un cartello così
davanti.
Alle 9,03 precise il colpo di
pistola; con il mio staff, che mi
ha seguito in questi mesi, si era
deciso di partire a 3’48/3’50/km.
Il percorso è scorrevole, bisogna
solo stare attenti alle migliaia
di pozzanghere, i km scorrono
uno dopo l’altro, mi sembra di
far girare le gambe abbastanza
bene, non guardo intorno, sono
molto concentrato, tanto da non
accorgermi neanche di passare
in Alexanderplatz. Intorno al 20°
km vedo un’amica romana, Patty,
che è in attesa del fidanzato pe r
accompagnarlo per la seconda
mezza, mi incita e mi scatena una
forte adrenalina, anche perché so
che alla mezza ci sono i miei supporters. Passo alla mezza in 1h20,
più o meno in tabella come da
programma, e fino al 25° km tutto
procede bene, ma dietro l’angolo
in una maratona si nasconde sempre qualcosa, una spia si accende,
incomincio a rallentare di qualche
secondo, le gambe non girano più
bene, continua a piovere e inizio a sentire freddo; al 27° circa
vedo una metro, la tentazione di
prenderla e ritirarmi mi viene, ma
mi convinco ad andare avanti. Il
km successivo lo corro in 4’07,
un’altra fermata della metro: la
vedo ma riesco a non prenderla,
vado avanti, mi riprometto di andare al 30° e poi fermarmi, ma la
crisi come è arrivata se n’è anche
andata, la testa ha lavorato benissimo, torno a correre sotto i 4/km,
le gambe si riprendono, al freddo
sopraggiunge una sensazione di
benessere e i km scivolano via
abbastanza velocemente. Al 40°
riesco ancora ad andare a 4, ormai mi dico manca poco, continuo a parlarmi, penso a chi ancora ha tanti km da fare dietro di
me, continuo a credere nel risultato. 41° km: si entra nel vialone
di arrivo, la porta di Brandeburgo
si vede in lontananza, passarci
sotto a 400 metri dall’arrivo è
molto emozionante. Rettilineo
finale, vedo il crono a 2’44’40,
provo a “sprintare” per stare sotto
le 2’45, ma sono ancora lontano;
le gambe reggono, sembrano volare dopo 42 km, una sensazione
unica, ma non ci riesco e chiudo
in 2h45’02. Peccato, ma la gioia
supera ogni cosa: è fatta, un telo
per coprirmi, la medaglia, il bacio alla stessa, il recupero della
borsa, lo spogliatoio, tutto viene
fatto con un’emozione fortissima,
aver vinto la crisi mi ha dato una
carica eccezionale.
Sembra banale, ma posso sicuramente concludere dicendo,
Berlino: muro abbattuto.