L`integrazione degli immigrati nel ceto medio: un
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L`integrazione degli immigrati nel ceto medio: un
L’integrazione degli immigrati nel ceto medio: un nuovo fronte per le politiche? di Davide Donatiello* Paper for the Espanet Conference “Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa” Milano, 29 Settembre — 1 Ottobre 2011 *Dipartimento di Scienze Sociali - Università di Torino Via S. Ottavio 50 10124 Torino [email protected] 1 1. Introduzione Questo articolo si propone di contribuire al dibattito sulle politiche dell’integrazione considerando la crescente differenziazione dei percorsi migratori. Studi recenti, infatti, affiancano alle indagini sulle situazioni di marginalità, disagio e subalternità – che riflettono tradizionalmente le preoccupazioni sull’integrazione degli stranieri – anche ricerche che guardano oltre e individuano le dinamiche connesse all’ingresso di lavoratori immigrati in occupazioni stabili e di reddito più elevato. L’analisi del fenomeno migratorio in una prospettiva di ceto medio1 si allontana quindi dall’assunto implicito del migrante povero e isolato, confinato nei gradini inferiori della scala occupazionale, per considerare invece le modalità e il ritmo di accesso agli strati intermedi della nostra società. Questa prospettiva sottolinea la specificità di processi destinati, nel lungo periodo, a trasformare gli assetti preesistenti: si tratta di percorsi che si sono già rivelati in altri paesi, storicamente negli Stati Uniti e più di recente nel contesto europeo. In secondo luogo, l’accesso degli immigrati agli strati intermedi può essere considerato un segnale positivo di integrazione e di coesione che rimanda all’idea di piena cittadinanza sociale (cfr. Bagnasco 2008): il senso di appartenenza al ceto medio è generalmente dato dalla mancanza di incongruenze tra situazione occupazionale, condizione economica e status sociale, nonché dalla solidità e stabilità del loro equilibrio. Al contrario, un sistema di stratificazione appiattito su presunte dimensioni etniche e poco poroso alla mobilità dei lavoratori immigrati potrebbe generare conflitti ed essere alla base di tensioni sociali, così come alimentare una sorta di frustrazione delle aspettative e non riuscire ad attrarre e trattenere i flussi di migranti qualificati (cfr. Brandi 2010). Una tendenza delle migrazioni contemporanee è la crescente eterogeneità dei tipi di immigrati e dei percorsi in cui sono coinvolti (cfr. Castles e Miller 1993), con implicazioni dal punto di vista delle urgenze e delle difficoltà di regolazione del fenomeno. Su scala internazionale la progressiva differenziazione della composizione interna dei flussi ha evidenziato due mutamenti particolarmente rilevanti: il livello di capitale umano degli immigrati è più spesso medio-elevato (Iredale 1999; Mahroum 2001) ed è aumentata la quota di donne primo-migranti (Kofman 1999). Questi e altri cambiamenti hanno interessato anche il nostro paese: alcuni recenti riscontri offrono sufficienti ragioni per credere che il numero di immigrati che accedono a posizioni tipiche di ceto medio sia meno esiguo del previsto (Allasino e Eve 2008; cfr. anche CNEL 2009, 2010; Ministero dell’Interno 2009) e primi segnali testimoniano il passaggio dal pian terreno al primo piano della società italiana (Zincone 2009). Nel dibattito accademico così come in sede di progettazione delle politiche (cfr. Tognetti Bordogna 2004) è quindi venuta meno l’immagine degli immigrati quali 1 Con ceto medio si intende la parte centrale della scala sociale facendo riferimento non solo alla posizione degli individui sul mercato del lavoro, ma anche alla dimensione dello status e degli stili di vita (cfr. Bagnasco 2008). 2 persone omogenee per condizioni e orientamenti, ed è sorto un maggior interesse per la molteplicità delle traiettorie sociali, delle dinamiche relazionali e delle circostanze che influenzano i processi di integrazione. In uno scenario in cui la presenza straniera esprime una domanda di servizi più ampia e articolata, gli assetti regolativi e gli orientamenti delle politiche condizionano l’integrazione in maniera incisiva e in varie forme. Tuttavia, si tende a trascurare il fatto che l’erogazione di risorse e servizi, così come l’acquisizione formale di diritti e doveri, pur nella sua rilevanza, non sancisce automaticamente inclusione: piuttosto, al fine di valutare l’integrazione dell’immigrato, è opportuno tenere conto della maturazione e dell’acquisizione di stabilità del processo migratorio in relazione alla posizione nelle principali strutture sociali, dal mercato del lavoro al sistema educativo. Prendendo spunto da queste riflessioni, l’articolo si inserisce nel dibattito sulle politiche dirette all’integrazione degli immigrati esponendo i risultati di una ricerca condotta nel contesto torinese sulle traiettorie lavorative di alcuni romeni attualmente in posizioni occupazionali tipicamente di ceto medio. Dato lo stretto rapporto tra la posizione occupata da un individuo nel mercato del lavoro e nella struttura di stratificazione2, la ricostruzione di tali traiettorie ha permesso di osservare la definizione in progress della collocazione sociale nella società d’arrivo, evidenziando i complessi equilibri tra progettualità, capacità di indirizzare e di ridefinire attivamente il proprio percorso di fronte a ostacoli e opportunità dei contesti d’azione. I casi considerati, in quanto storie di successo, costituiscono una realtà minoritaria nel più ampio fenomeno migratorio verso l’Italia e, in particolare, rispetto agli arrivi dalla Romania. Tuttavia, appare ancor più significativo che in un modello di inclusione quasi esclusivamente rivolto a colmare i vuoti nella fascia bassa del mercato del lavoro sia rintracciabile un flusso di immigrati indirizzato verso il centro della scala sociale. Nel seguito dell’articolo viene approfondita, in riferimento al caso italiano, la questione relativa ai canali di ingresso degli immigrati nelle file del ceto medio. Si descrivono quindi le traiettorie delle due categorie di lavoratori romeni considerati nell’indagine: la prima costituita da professionisti e dipendenti; la seconda rappresentata da alcuni imprenditori di un consorzio edile romeno, unico nel suo genere nell’area di Torino. Dalla ricostruzione delle tappe significative emerge una certa eterogeneità: infatti, immigrati romeni accomunati da una posizione simile sul mercato, nei termini di appartenenza alle classi medie, hanno alle spalle traiettorie piuttosto differenziate sia per quanto riguarda il primo inserimento sia per il successivo percorso lavorativo. Infine, si propone una lettura di questa eterogeneità considerando il grado e le forme di organizzazione dei percorsi sino a delineare una possibile area di intervento in cui sviluppare politiche di welfare. 2 Il lavoro è un elemento imprescindibile per l’integrazione economica, ma è altrettanto importante sul piano delle relazioni sociali poiché l’accesso a determinati livelli di reddito e la frequentazione di certi ambienti orientano i consumi, lo stile di vita e, più in generale, molti comportamenti sociali (cfr. Crompton 1993, trad. it. 1996). 3 2. Gli immigrati e i canali di accesso al ceto medio Le dinamiche migratorie interagiscono con gli assetti regolativi e istituzionali della società d’arrivo definendo una struttura di opportunità entro cui si collocano le traiettorie degli immigrati. L’inserimento nel mercato del lavoro e le chance di mobilità non sono immuni dalle fonti di vulnerabilità specificamente legate alle migrazioni. Le strategie e il grado di libertà associati ai diversi canali di accesso alle classi medie vanno infatti interpretati in relazione alle difficoltà di essere un lavoratore immigrato: una delle principali conseguenze del trasferimento in un altro paese è la disintegrazione delle reti di riferimento e il drastico impoverimento del proprio capitale sociale, non sempre compensati dalle forme di redistribuzione e di solidarietà comunitaria tra connazionali. A questa debolezza relazionale si aggiunge spesso l’impossibilità di darsi tempo, l’urgenza di riorganizzare i ruoli familiari, la necessità di tessere nuovi legami: tutte condizioni che possono limitare la capacità di fronteggiare gli ostacoli, di raggiungere forme compiute di integrazione, di accedere a risorse e ricompense sociali. La condizione di vulnerabilità è quindi legata al venir meno delle reti di appoggio e della loro capacità di tenuta di fronte ai rischi di integrazione subalterna, esclusione e isolamento (cfr.Ranci 2002). In questo quadro, una delle principali sfide delle politiche di welfare è proprio quella di supportare l’accesso degli immigrati agli strati intermedi della nostra società, sia per evitare la strutturazione di conflitti sociali su linee etniche – come è avvenuto nel caso francese – sia per favorire e consolidare il passaggio dal ruolo di soli beneficiari a quello anche di contribuenti del sistema (cfr. Goodin e Le Grand 1987). Considerare congiuntamente l’integrazione degli immigrati e le dinamiche di stratificazione sposta quindi l’attenzione sui processi di formazione e sulla soglia di permeabilità delle classi e, nello specifico, sulle vie d’ingresso al ceto medio. In un recente saggio sul caso italiano Allasino e Eve (2008) mostrano che anche se il reclutamento di lavoratori immigrati continua a indirizzarsi per la maggior parte verso posizioni di basso livello, sta emergendo una presenza ancora minoritaria ma sempre più evidente in occupazioni di status più elevato in conseguenza della crescita numerica degli immigrati sul territorio e dell’insediamento stabile di comunità socialmente articolate. Di fatto, il sistema occupazionale è aperto all’ingresso di nuovi membri dall’esterno: sebbene gli ingressi alimentino soprattutto le classi inferiori, il centro può ricevere direttamente flussi oppure diventare meta di traiettorie successive. Le strategie degli immigrati in molti casi sono guidate dal desiderio di conservare un certo status o di promuoversi professionalmente, e queste finalità strutturano le aspettative rispetto a una varietà di aspetti. In questa ottica, la migrazione può allora essere considerata un meccanismo di regolazione attraverso il quale le persone cercano di migliorare o mantenere determinate prospettive di vita. 4 Per quanto riguarda i processi di approdo nelle classi medie possono essere chiamati in causa fenomeni diversificati: inserimenti occupazionali che presentano i caratteri tipici della high skilled migration oppure percorsi di mobilità sociale ascendente intrapresi da immigrati inizialmente collocati sui gradini inferiori della scala delle occupazioni. Nel caso italiano è più probabile la seconda opzione: come è noto, nel nostro paese non sono state promosse politiche selettive di attrazione di lavoratori qualificati (cfr. Brandi 2010) e quindi risultano più probabili percorsi di mobilità dal basso o casi specifici di inserimento diretto, come in effetti avviene per gli infermieri. Allasino e Eve (2008) circoscrivono le vie d’accesso alle classi medie in Italia a quattro canali: l’assunzione nel pubblico impiego a livelli medio-elevati; l’ammissione in professioni o corporazioni; l’assunzione nelle imprese industriali e terziarie in posizioni medio-elevate; l’attività autonoma o imprenditoriale. La ristrettezza dei primi tre canali di mobilità spiegherebbe la propensione degli immigrati al lavoro autonomo e lo sviluppo della cosiddetta imprenditorialità etnica, anche come rifugio e reazione a situazioni bloccate del mercato occupazionale (cfr. Ambrosini 2005). Gli spazi di inserimento dei lavoratori immigrati non sono affatto casuali ma sono regolati e circoscritti dagli assetti istituzionali e organizzativi, così come dall’azione di corporazioni professionali e di lavoratori autoctoni: sono note le difficoltà legate al riconoscimento dei titoli di studio (cfr. Ricucci 2010), le problematiche burocratiche, le restrizioni per l’accesso al pubblico impiego basate sul possesso della cittadinanza, le resistenze all’inserimento di lavoratori stranieri in ambienti specifici. Il grado di apertura dei canali di accesso al ceto medio avrà conseguenze rilevanti sulla configurazione della struttura di classe e sulle possibilità di combinare sviluppo economico e coesione sociale. 3. La ricerca La ricerca ha indagato l’integrazione di lavoratori stranieri nelle posizioni intermedie della struttura sociale del contesto di arrivo ed è stata guidata dalla seguente domanda: quali sono le caratteristiche e le tappe significative dei percorsi lavorativi degli immigrati romeni di ceto medio? Data la scarsa disponibilità nel nostro paese di studi sul tema, la ricerca ha avuto un carattere prevalentemente esplorativo e ha fatto ricorso a metodi qualitativi. Sono state somministrate 41 interviste semistrutturate a due gruppi di immigrati romeni3: 28 tra professionisti e dipendenti; 13 imprenditori dell’edilizia appartenenti ad un consorzio di ditte romene che operano nel ramo delle costruzioni. 3 La ricerca descritta è stata condotta nell’ambito del Dottorato in Ricerca Sociale Comparata svolto dall’autore presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino. Le interviste sono state somministrate nel periodo intercorso tra marzo e settembre 2009. 5 La rilevanza degli immigrati romeni rispetto agli interessi dell’indagine riguarda molteplici aspetti. In Italia la comunità romena è quella più numerosa: sono 887.763 i residenti al 1° gennaio 2010, di cui il 53,8 per cento donne (Istat 2010), un dato impressionante se si considera che essi erano appena 8.000 nel 1990 e 50.000 nel 1999 (Caritas-Migrantes 2008). Si tenga conto che nel 2007 è stata ratificata l’adesione della Romania all’Unione Europea e l’acquisizione della cittadinanza comunitaria ha consolidato lo status giuridico di molte persone già presenti irregolarmente sul territorio. Tuttavia, già in precedenza i flussi verso il nostro paese si erano nettamente intensificati (cfr. Diminescu 2003; Cingolani 2009): l’esodo è infatti cresciuto sensibilmente dal 2002, anno in cui è venuto meno l’obbligo del visto d’ingresso nell’area Schengen per soggiorni al di sotto dei tre mesi (cfr. Pittau, Ricci, Silj 2008). Come ha osservato Cingolani, subito dopo questo provvedimento sono emersi abbastanza in fretta elementi che "testimoniano una progressiva stabilizzazione dei romeni sul territorio: l’aumento dei coniugati, l’aumento degli studenti nelle scuole, il crescere dell’età media dei soggiornanti, l’acquisto di case" (2009, p. 52). I cambiamenti hanno interessato anche la composizione interna della popolazione migrante e si è aperto il campo a nuove strategie di inserimento lavorativo. Per esempio, la componente femminile, ora maggioritaria, è cresciuta a partire dalla metà degli anni Novanta con una sensibile accentuazione proprio dopo il 2002. La progressiva femminilizzazione dei flussi dalla Romania è stata sostenuta dall’apertura di canali di reclutamento preferenziali in precise nicchie di mercato, in particolare per la crescente domanda di lavoro domestico e di cura (cfr. Vianello 2007). Sempre per quanto riguarda la condizione lavorativa, nonostante i romeni siano mediamente più istruiti delle altre collettività immigrate4 (cfr. CNEL 2008) la collocazione prevalente è in attività di medio-bassa specializzazione. Tuttavia si rileva una significativa e minoritaria presenza di romeni in posizioni tipiche di classe media5, ben distanti dalle condizioni di integrazione subalterna (cfr. Ambrosini 2005; Golini 2006): si pensi all’elevata intraprendenza e al dinamismo imprenditoriale dei romeni, principalmente nel settore edile6. Inoltre, dal punto di vista residenziale i romeni non presentano le caratteristiche di un gruppo segregato: anzi, la distribuzione sul territorio si è evoluta mostrando una capacità di compenetrazione decisamente superiore a quella di altre comunità straniere e un grado elevato di interazione con gli italiani (cfr. Cingolani 2009). 4 La percentuale di romeni occupati che ha conseguito i titoli di studio più alti – diploma o laurea – è superiore a quella riferita al complesso degli altri stranieri (cfr. CNEL 2008). 5 Osservando la composizione dell’occupazione romena in Italia nel 2008 si può notare quanto segue: nel 28,4 per cento dei casi si tratta di occupati senza qualifica, manovali, braccianti, collaboratori domestici; il 48,9 per cento sono operai o artigiani; il 17,3 per cento impiegati o addetti alle attività commerciali; il 5,4 per cento sono qualificati come dirigenti, imprenditori o tecnici (cfr. Caritas-Migrantes 2009 su dati Inail). 6 Quasi otto titolari d’impresa romeni su dieci sono attivi nel ramo delle costruzioni (cfr. Caritas-Migrantes 2009 su dati InfoCamere). 6 Sulla base di queste considerazioni, il contesto dell’indagine è stato individuato nella città di Torino, in quanto si tratta di un’area che ha esercitato una forte attrazione nei confronti dei flussi di migranti romeni, i quali hanno stabilizzato la propria presenza esprimendo forme mature e articolate7 di insediamento e di radicamento sul territorio (cfr. Ponzo 2005). Un dato interessante è quello relativo alla zona di provenienza: la maggior parte dei romeni dell’area torinese provengono dal nord-est della Romania8, cioè da zone rurali con situazioni problematiche di disoccupazione e povertà, carenza di infrastrutture e di centri produttivi e commerciali (cfr. Cingolani 2009). Rispetto al mercato del lavoro, i romeni replicano nell’area torinese il modello di inserimento più diffuso a livello nazionale, con una concentrazione di figure legate alle attività edili tra gli uomini9 e una maggior presenza di operaie industriali, addette ad attività di cura, sia domestica sia socio-sanitaria, tra le donne. In genere prevalgono le occupazioni operaie e poco qualificate ma emergono storie di integrazione di successo nelle file del ceto medio (cfr. CCIAA Torino 2008; Allasino e Ricucci 2010). Per l’individuazione dei due gruppi su cui si è svolta l’analisi si è fatto riferimento allo schema analitico di Allasino e Eve (2008) relativo ai canali di accesso al ceto medio in Italia, in particolare alla distinzione tra lavoratori dipendenti e autonomi. Per il gruppo di lavoratori dipendenti sono stati considerati soprattutto casi di immigrati romeni assunti nelle imprese industriali e terziarie in posizione di tecnici, impiegati o quadri. Sono inclusi anche casi di inserimento nel pubblico impiego e in posizioni professionali regolamentate. La molteplicità delle situazioni atipiche nel mercato del lavoro unita agli ostacoli che tengono gli stranieri al di fuori di alcune professioni – dai divieti formali di accesso ai problemi di riconoscimento dei titoli di studio – ha spinto a intendere la categoria dei dipendenti e professionisti in modo sfumato, selezionando anche casi di immigrati in posizioni del tutto assimilabili a quelle dipendenti ma con forme contrattuali di altro tipo10. Per quanto riguarda gli imprenditori11, invece, l’interesse è stato rivolto a figure del settore dell’edilizia12. Tuttavia, i soggetti selezionati si riferiscono a un caso specifico: il Consorzio di 7 Quella romena è la collettività immigrata principale non solo a Torino ma anche nella provincia e in tutta la regione Piemonte. Al 31 dicembre 2009 risultavano iscritti all’anagrafe torinese 51.017 cittadini provenienti dalla Romania, di cui 26.316 donne e 24.701 uomini, vale a dire il 41,4 per cento degli stranieri e il 5,6 per cento della popolazione totale (Istat 2010). 8 Più in generale, la Moldavia romena è la regione che con l’intensificarsi dei flussi ha presentato i più alti tassi di migrazione verso l’Italia (cfr. Lazaroiu 2001; Cingolani e Piperno 2005). 9 Al 31 dicembre 2009 le posizioni imprenditoriali intestate a romeni nel comune di Torino erano 3.796, di cui ben 2.681 riferite al settore delle costruzioni (Fonte InfoCamere). 10 Per esempio appartiene a questo gruppo di intervistati una donna che è vicepresidente di una cooperativa sociale. 11 Con il concetto d’imprenditorialità non si vuole intendere qui in modo esclusivo l’attività imprenditoriale in senso stretto, quanto anche il lavoro indipendente, inteso in termini più generali, ossia attività autonome, anche di carattere artigianale. 12 Tale scelta ha permesso di puntare l’attenzione su un tipo particolare di imprenditoria immigrata: l’impresa aperta (cfr. Ambrosini 2005). Come è stato fatto notare in una ricerca svolta a Torino (CCIAA 2008), non si può fare 7 imprenditori Edili Romeni di Torino (C.e.r.To). Si tratta di un consorzio artigiano senza scopo di lucro – fondato da tre soci, due romeni e uno italiano, nel dicembre del 2006 – che rappresenta un caso unico nel panorama torinese. L’ideatore e fondatore è Julian Frincu, titolare della principale impresa consorziata. Il progetto C.e.r.To è nato con l’intenzione di dare la possibilità alle ditte che vi appartengono di formare sinergie, di accedere collettivamente a importanti interventi di edilizia e di ridistribuire il carico di attività garantendo continuità lavorativa ai singoli consorziati13. Per molti di essi il fare impresa ha avuto come precondizione proprio l’esistenza di C.e.r.To: l’organizzazione del consorzio ha previsto fin dal principio modalità di accompagnamento e di consulenza alla creazione d’impresa, agevolando la transizione al lavoro autonomo di romeni precedentemente occupati in posizioni subordinate o para-subordinate. La scelta di rivolgersi a C.e.r.To ha consentito quindi di rintracciare immigrati con un’attività di lavoro autonoma stabile e solida. 4. Le traiettorie lavorative dei dipendenti e professionisti I percorsi lavorativi dei romeni identificati come dipendenti e professionisti, corrispondono ai primi tre canali di accesso alle classi medie identificati dallo schema di Allasino e Eve (2008). I dipendenti e i professionisti intervistati sono 28, di cui 18 donne e 10 uomini. I due più anziani sono nati nel 1958 e la più giovane nel 1982. Prendendo come riferimento il 2002, anno spartiacque della recente dinamica dei flussi migratori provenienti dalla Romania, 19 intervistati sono arrivati in Italia negli anni precedenti e nove in quelli successivi. In relazione alla zona di provenienza la composizione del campione di dipendenti e professionisti risulta abbastanza differenziata: infatti, sono inclusi nel gruppo di analisi immigrati che arrivano non solo da realtà rurali e periferiche, come avviene per gran parte dei flussi dalla Romania, ma anche da centri del potere politico oppure da più vivaci poli commerciali, produttivi e turistici14. Prendendo in considerazione il livello dei titoli di studio come indicatore del capitale umano, i dipendenti e professionisti sembrano rispecchiare un carattere tipico dei lavoratori romeni presenti in Italia, cioè essere mediamente più istruiti delle altre comunità immigrate. All’interno del gruppo 21 sono laureati, sei hanno un diploma di scuola media superiore e una sola intervistata ha il riferimento all’imprenditoria edile romena in termini né di mercato etnico, né di ethnic business, né di ethnic enclaves: si tratta di un mercato tradizionale e maturo, in cui non sono stati osservati segnali di spiazzamento con effetti di espulsione dal mercato di imprenditori autoctoni. 13 Al fine di garantire la sopravvivenza delle imprese consorziate il numero delle ditte iscritte è limitato: al momento dell’indagine erano 35, in gran parte Ditte Individuali. 14 Tra gli intervistati 18 provengono dal nord-est della Romania, cinque dalla capitale Bucarest, quattro da Braşov e uno da un piccolo centro della più occidentale Transilvania. 8 diploma di scuola media inferiore. Tra i laureati15 13 hanno ottenuto in Italia il riconoscimento legale del titolo di studio, in genere dopo una doppia, lunga e costosa trafila burocratica16. Le ragioni che hanno spinto a emigrare sono diversificate ma spesso legate a motivazioni di carattere strettamente economico, riconducibili a fattori di tipo push, dovute ai sintomi di un processo di impoverimento, alla sensazione di vulnerabilità e di diminuzione del potere d’acquisto dei salari percepiti, talvolta in seguito a situazioni di disoccupazione o sottoccupazione. La migrazione è inevitabilmente legata alle rilevanti differenze economiche tra i due paesi e alle opportunità di accoglienza e occupazione proprie del contesto d’arrivo. I motivi economici sono quasi sempre presenti ma spesso non sono gli unici. Anche quando sono preminenti, emergono altri fattori, questa volta di tipo pull: in particolare è emersa una spiccata volontà di sperimentare una realtà differente in termini di ritmi e condizioni di lavoro, modelli di consumo e stili di vita. Talvolta il progetto di partire ha acquisito una valenza simbolica più radicale ed è stato vissuto come passaggio verso un contesto di emancipazione in cui sono forti gli stimoli all’autonomia e alla realizzazione individuale. In diverse interviste è riscontrabile il desiderio di andare più in alto, a conferma della centralità delle aspirazioni di mobilità sociale nell’orientare le scelte. Quella romena è spesso stata descritta come una società ingessata, dove ancora permangono nette disuguaglianze sociali, dalle difficoltà di ottenere ricompense adeguate all’ostruzione dei canali di accesso a posizioni lavorative e mansioni rilevanti. Un fattore fondamentale è stato il desiderio di autorealizzazione e di valorizzazione del proprio capitale umano: l’insoddisfazione per le deludenti prospettive di carriera e di crescita professionale offerte dalla società romena si è abbinata alla ricerca di un contesto competitivo in cui il successo premia le competenze, il merito, la dedizione al lavoro. Sotto questo punto di vista la decisione di partire è in parte una reazione di sconforto al tradimento delle aspettative e in parte un tentativo estremo di riappropriarsi del proprio destino lavorativo. Data l’incertezza, il percorso migratorio inizialmente viene spesso vissuto nei termini di un soggiorno esplorativo, anche grazie alla vicinanza geografica e alla prossimità culturale dei due paesi, oltre che alla possibilità di sfruttare contatti con amici e familiari già emigrati per ricevere informazioni, appoggio e ospitalità. Infatti, al di là dell’effetto congiunto di fattori push e pull, la scelta di partire è inevitabilmente stata mediata dalle reti di relazione con persone arrivate in precedenza nel nostro paese17. Il supporto delle reti amicali e parentali comunque non è stato 15 Su 21 laureati due hanno conseguito il titolo presso un’università italiana. Nessuno dei diplomati ha invece chiesto e ottenuto il riconoscimento del titolo. 17 In genere, i romeni giunti in Italia negli ultimi anni sono inseriti in filiere migratorie basate sulla connazionalità e compaesanità, e hanno ereditato un’ampia parte dei network di chi li ha preceduti (cfr. Ponzo 2005). 16 9 l’unico: alcuni intervistati si sono avvalsi della mediazione di agenzie di reclutamento o di istituti universitari. Rispetto alle motivazioni iniziali, l’esperienza migratoria è evoluta a seconda delle contingenze e i progetti sono stati continuamente revisionati in base al grado di libertà di ogni soggetto, a sua volta derivato dalla differente dotazione di risorse attivabili, dalla personale propensione al rischio, dalla presenza di obblighi verso familiari o amici. Di fronte a situazioni inattese, alle motivazioni originarie ne sono talvolta subentrate altre. Eventuali conquiste, anche se piccole, hanno innalzato le aspirazioni degli immigrati. Tuttavia, i progetti sono stati ridefiniti non solo in direzione virtuosa ma anche al ribasso, sotto i colpi delle difficoltà e degli imprevisti che hanno ostacolato il percorso. Gli intervistati sono immigrati che ce l’hanno fatta e che si sono integrati nel ceto medio: sappiamo in quale posizione sono arrivati, ma è ancora più interessante osservare come ci sono arrivati. Il primo inserimento nel mercato del lavoro rappresenta l’appuntamento prioritario e maggiormente significativo anche se non sempre si rivela predittivo rispetto agli sviluppi successivi. Tra questi percorsi non si è osservata una one best way ma piuttosto diverse combinazioni di successo di quei fattori che nelle narrazioni appaiono elementi cruciali: lo status giuridico, i canali di reclutamento, le reti e il capitale sociale, il riconoscimento formale dei titoli, il riconoscimento sostanziale di abilità e competenze, le opportunità di carriera e di crescita professionale, l’aggiornamento e la specializzazione. Ogni percorso individuale è stato disarticolato in sequenze in base alla semplice successione delle esperienze lavorative avute dopo l’arrivo in Italia. Le traiettorie di questi immigrati si differenziano per il modo e il moto18 attraverso cui sono approdati nel ceto medio: i percorsi si differenziano per essere stati più o meno accidentati, più o meno rapidi, più o meno frammentati. Non per tutti si è trattato di un processo lineare e incrementale: come era prevedibile, esiti simili sono stati ottenuti attraverso strade differenti. In certi casi, poi, le molteplici esperienze lavorative si sono succedute secondo un moto oscillatorio con spostamenti verso l’alto e verso il basso prima che la traiettoria finale si assestasse in posizioni da classi medie. Il confronto tra i percorsi mostra che dieci intervistati hanno avuto accesso a posizioni di ceto medio attraverso una via d’ingresso diretta. Una differenza evidente rispetto agli altri diciotto per i quali invece si è riscontrato un inserimento indiretto. Questi ultimi sono partiti da qualche gradino più in basso: alcuni hanno continuato a gravitare in prossimità di posizioni occupazionali intermedie mentre altri – la maggior parte – per la necessità immediata di lavorare hanno accettato da subito 18 Nel primo caso, la distinzione corrisponde alle modalità di ingresso nelle posizioni attuali: per via diretta o per via indiretta, di risalita. Nel secondo, si tratta dell’andamento del percorso, lineare o oscillatorio, e del ritmo di avanzamento nella direzione raggiunta. 10 posti di livello inferiore e da lì sono riemersi verso le classi medie attraverso percorsi più lenti e impervi19. Ad aver indirizzato le traiettorie dei nostri migranti – dirette o indirette – hanno contribuito in varia misura i fattori cui si è fatto riferimento poco sopra. Un elemento di primaria importanza è il possesso del permesso di soggiorno, ma anche la durata variabile del periodo di permanenza irregolare è sintomatica delle differenze tra i percorsi individuali in termini di moto e di ritmo della fase di risalita. La possibilità di proporsi e darsi visibilità è infatti un potente incentivo all’intraprendenza e all’autonomia. La conquista dello status di regolare è un punto di svolta nelle traiettorie dei nostri immigrati perché si rivela un tipico trigger event, fornendo al progetto migratorio quell’impulso decisivo e dando il là a un effetto domino che innesca altri eventi potenzialmente positivi. Dal combinarsi di molteplici elementi sono dipese le concrete opportunità di carriera degli immigrati intervistati, ma spesso le nuove chance di affermazione si sono concretizzate soprattutto per il fatto di essersi inseriti in reti all’interno delle quali è più probabile intercettare offerte di lavoro per posizioni qualitativamente superiori: contano molto le strategie individuali volte a migliorare le condizioni di accesso al lavoro e i contatti con persone che posseggono informazioni potenzialmente decisive. Il capitale sociale si è rivelato in una risorsa preziosa soprattutto nei percorsi indiretti, in quanto è stato utile a compiere percorsi di risalita verso posizioni intermedie. Nel tentativo di sistematizzare le diverse configurazioni assunte dalle traiettorie si propone la seguente tipologia. Percezione di un cambiamento di status Inserimento lavorativo in posizioni tipiche di ceto medio No Sì Diretto MANTENIMENTO ASCESA Indiretto RIPRESA TRAMPOLINO Traiettorie di dipendenti e professionisti: una tipologia Da una parte le traiettorie sono ordinate a seconda della modalità, diretta o indiretta, di inserimento lavorativo in occupazioni riconducibili a quelle tipiche di ceto medio. Dall’altra esse sono distinte in base alla percezione o meno, da parte degli attori, di un cambiamento positivo di status rispetto al contesto di provenienza: se questo é percepito il percorso migratorio si è risolto in un’esperienza di 19 La prospettiva di accettare lavori dequalificanti, anche se in via transitoria, non ha rappresentato per tutti una soluzione accettabile. Muovere anche solo un passo verso il basso ha fatto temere il rischio concreto di cadere in una spirale negativa di cui un possibile effetto è il processo di deskilling, ossia la perdita delle capacità professionali. 11 mobilità sociale ascendente, in caso contrario le condizioni attuali sono assimilabili a quelle del paese di origine. Il primo tipo, del mantenimento, rappresenta traiettorie prive di oscillazioni. Identifica quei progetti migratori definiti in gran parte ancor prima della partenza, che seguono uno sviluppo atteso e pianificato. Si tratta di percorsi all’insegna della continuità che non alterano la percezione della propria collocazione sociale e si caratterizzano per la facilità di adattarsi e valorizzarsi nei nuovi contesti relazionali. Nelle traiettorie di questo tipo, le condizioni per l’inserimento diretto e immediato nelle classi medie sono garantite da istituzioni quali, per esempio, le università. In riferimento all’opera di mediazione e di accompagnamento svolta da tali istituzioni questo tipo di traiettorie appaiono piuttosto robuste: i protagonisti non hanno dovuto misurarsi con il problema di inserirsi nel mercato del lavoro contando solo sulle proprie forze o sulle reti dei connazionali, ma sono stati accompagnati verso concrete prospettive lavorative. Tra le storie analizzate, rientra in questo tipo quella un ingegnere informatico trasferitosi da Bucarest grazie a una collaborazione tra i politecnici delle due città. Fin dal primo momento, ha ricevuto assistenza e sostegno dal dipartimento presso cui è stato distaccato20. Attraverso i contatti creati durante il periodo iniziale ha cominciato subito a lavorare in qualità di consulente esterno per alcune aziende, ha accumulato esperienza, ha fatto carriera e oggi è dirigente di una grande impresa che sviluppa sistemi informatici. La sua traiettoria ha seguito un avanzamento lineare ma, tuttavia, dichiara di aver mantenuto sempre lo stesso stile di vita e, in questa continuità, non ha percepito un cambiamento di status significativo. L’ascesa è una traiettoria di mobilità monotòna crescente, senza correzioni né cambi di rotta verso il basso. E’ il percorso tipico di chi riesce subito a inserirsi nel mercato del lavoro trovando, come nel caso del mantenimento, un’occupazione di ceto medio coerente con il proprio profilo formativo. Diversamente dal tipo precedente, però, porta le persone a un miglioramento di status. Tra gli intervistati, gli infermieri inclusi nel campione ben rappresentano questo modello: essi hanno realizzato un inserimento diretto e immediato nella professione grazie alla mediazione delle agenzie che hanno guidato il loro percorso reclutandoli direttamente, provvedendo al disbrigo delle pratiche burocratiche e alla prima soluzione abitativa. In termini lavorativi, la situazione di questi immigrati è cambiata rapidamente e in positivo, anche attraverso strategie di carriera orizzontali, grazie alle opportunità date dall’elevata domanda di figure infermieristiche sia nel settore pubblico sia nel settore privato. Il ritmo della risalita verso posizioni sociali più elevate è stato infatti accelerato da frequenti cambi del posto di lavoro. Nel tempo si sono svincolati da cooperative e agenzie, hanno ottenuto prima contratti a termine presso strutture ospedaliere importanti e dopo il 2007, diventati 20 Ha addirittura ricevuto una lettera di referenze con il timbro dell’ateneo per facilitare la ricerca di un’abitazione. 12 comunitari, hanno avuto la possibilità di accedere ai concorsi e di essere assunti a tempo indeterminato come dipendenti pubblici. Hanno così ottenuto contratti più vantaggiosi e tutele più estese, compiti di maggior responsabilità e opportunità di carriera. Tutti gli infermieri intervistati hanno percepito un cambiamento di status e ora considerano la situazione attuale nettamente migliore di quella passata e avvertono un maggior riconoscimento del loro ruolo professionale. Il terzo tipo, la ripresa, indica traiettorie indirette, frammentate in esperienze lavorative di diverso genere, con fasi di oscillazione anche verso il basso. La caratteristica di questi percorsi è che tendono a unire – considerando il punto di partenza e di arrivo – posizioni sociali giudicate molto simili, come nel caso del mantenimento. Nel mezzo, però, le traiettorie tendono a flettere: a seconda dei singoli casi le flessioni verso il basso possono essere più o meno accentuate. Per esempio, una impiegata di un importante istituto di credito ha optato per una strategia attendista di risalita: ha scelto di rinviare l’inserimento lavorativo vero e proprio, dedicandosi ad attività secondarie e saltuarie, rifiutando opportunità di lavoro come baby-sitter o cameriera nel timore che scelte dequalificanti potessero vincolare negativamente la futura carriera, compromettendo le possibilità di valorizzarsi. Questa giovane donna ha dunque trovato soluzioni lavorative transitorie senza spostarsi troppo verso il basso – commessa in una libreria e impiegata d’ufficio – continuando a gravitare in prossimità delle posizioni intermedie. Oggi è soddisfatta perché ha ottenuto un’occupazione adeguata alla sua formazione – è laureata in giurisprudenza – e dichiara di avere aspirazioni di carriera. Inoltre, ritiene soddisfacente il reddito percepito ma non ha avvertito un vero e proprio cambiamento di status né il suo stile di vita è mutato rispetto alla sua situazione in Romania. Una flessione più accentuata verso il basso, invece, si può osservare nella storia lavorativa di un delegato sindacale. La decisione di emigrare nel suo caso è stata dettata da una scelta di vita e dalla volontà di fare nuove esperienze lontano da casa; originario di una buona famiglia di Bacău, prima di arrivare in Italia ha lavorato come deejay e istruttore di ballo, con livelli di reddito sopra la media. Giunto a Torino con un visto turistico ha iniziato a lavorare in nero per una ditta edile ed è rimasto clandestino per qualche mese prima della regolarizzazione del 2002. Nel tempo ha accumulato diverse esperienze lavorative poco qualificate – imbianchino, operaio nei cantieri edili – fino a quando, anche per circostanze fortuite, ha conosciuto un delegato sindacale italiano più anziano che ne ha apprezzato le qualità caratteriali e l’esperienza maturata in ambienti in cui sono tipicamente collocati molti immigrati: in seguito, ha ricevuto la proposta di lavorare per il sindacato. Dopo le difficoltà ha recuperato gli standard di vita precedenti la partenza – ha acquistato un’abitazione – e dichiara di «stare bene come allora»: la sua risalita si è compiuta e lo ha ricondotto, in termini di posizione sociale, a livelli di ceto medio. 13 Infine, le traiettorie trampolino sono quelle che configurano le oscillazioni più ampie tra il punto di partenza e quello attuale. Si tratta di percorsi che nella prima fase, successiva all’arrivo in Italia, sono caratterizzati da esperienze lavorative frammentate e decisamente dequalificanti. Esperienze che in genere vengono accettate perché vissute dagli attori come transitorie. In questi casi gli immigrati non possono permettersi strategie attendiste, hanno urgenza di lavorare e guadagnare uno stipendio, perciò si inseriscono nelle posizioni immediatamente disponibili anche se corrispondono ai gradini più bassi della gerarchia occupazionale. Tuttavia, le aspirazioni alla base del progetto migratorio non vengono abbandonate, anzi il desiderio di autorealizzazione e di valorizzazione del proprio capitale umano è un incessante produttore di motivazioni. L’aspetto curioso di queste traiettorie è che durante le fasi di maggiore difficoltà gli immigrati trovano lo slancio per una risalita notevole, talvolta improvvisa e vertiginosa: proprio come i tuffatori sulla pedana del trampolino, affondando trovano la spinta verso l’alto. Lo slancio verso l’alto, in queste traiettorie, può dipendere da diversi fattori. L’acquisizione di uno status giuridico certo e il capitale sociale accumulato con le prime esperienze sono risorse che possono imprimere una svolta alla propria carriera e posizione sociale. Un altro fattore che può incidere notevolmente sul ventaglio di opportunità è il riconoscimento formale del titolo di studio, che arriva in genere dopo un iter burocratico lungo e faticoso. In riferimento al percorso un’assistente sociale si è visto che la possibilità di iscriversi all’albo e di partecipare ai concorsi pubblici è giunta improvvisamente, quasi inattesa, grazie a un accordo interministeriale tra Italia e Romania sul riconoscimento immediato della professionalità in luogo del lento procedimento per il titolo. Un provvedimento che ha cambiato radicalmente le prospettive di questa giovane romena. Tra gli intervistati sono diversi quelli con una storia migratoria che segue traiettorie di questo tipo. Per citare degli esempi, possiamo richiamare il caso di un avvocato che ha lavorato nei cantieri stradali per la posa di cavi in fibra ottica e il caso di un consulente informatico che ha cominciato in nero come cameriere. Un esempio ancor più sorprendente è quello di una giovane donna diventata conduttrice del telegiornale locale in lingua romena avendo un trascorso di lavori in attività agricole e prime esperienze in Italia come baby-sitter. Tutte queste persone provengono da famiglie modeste, la loro traiettoria è caratterizzata da processi di mobilità sociale ascendente verso posizioni di ceto medio. Considerando il livello di reddito, la desiderabilità sociale connessa alla loro occupazione e lo stile di vita intrapreso sono giunte a un livello di benessere economico e personale superiore a quello di partenza nonostante le oscillazioni interne al percorso e la fase di discesa in cui hanno svolto anche più attività dequalificate. Le traiettorie trampolino e ripresa mostrano che per salire non bisogna per forza andare avanti poiché le storie di successo non sono necessariamente lineari e non seguono sempre una logica 14 incrementale. Nonostante cadute e scivolamenti verso il basso alcuni attori sono riusciti a compiere pronte e lunghe risalite, anche se sono stati protagonisti di percorsi più sofferti, incerti e travagliati. 5. Gli imprenditori di C.e.r.To Questo gruppo di indagine è più omogeneo del precedente per composizione ed evoluzione dei percorsi migratori. Gli imprenditori intervistati sono tutti uomini, svolgono attività simili – salvo la differente specializzazione edile – e appartengono allo stesso consorzio, per cui hanno sviluppato sinergie, coesistono negli stessi cantieri, condividono i clienti. Questa omogeneità è anche effetto di una migrazione più vincolata al meccanismo della catena migratoria e ad alcuni suoi effetti tipici. Il più giovane ha 26 anni, i due più anziani 47. Soltanto tre sono giunti in Italia prima dell’abolizione del visto del 2002; il dato interessante è che solo due sono arrivati nel nostro paese dopo l’avvio di C.e.r.To, a fine 2006. Pertanto, le ragioni della partenza non sono legate all’opportunità di far parte del consorzio21. Il fatto di avere formato una famiglia nella società di arrivo accomuna la maggior parte degli imprenditori ed è un segnale della volontà di mettere radici e indirizzare il progetto migratorio verso forme più stabili. Relativamente al titolo di studio, anche questo gruppo conforta la tesi che i romeni siano mediamente più istruiti rispetto ad altre collettività: hanno tutti assolto l’obbligo scolastico in Romania e nove hanno conseguito un titolo equivalente al diploma di scuola secondaria superiore22. Tuttavia, non avendone avuto bisogno nessuno ha richiesto il riconoscimento. Un indicatore del grado di omogeneità del gruppo è la zona di provenienza della Romania. Su 13 intervistati 11 sono originari della Moldavia romena, regione rurale del nord-est: di questi, cinque – tra cui Julian – provengono dallo stesso villaggio. Si tratta di persone che si conoscevano tra loro prima di partire: qui si sono ritrovate e grazie al senso di appartenenza condiviso manifestano uno spirito cooperativo e forme di mutua assistenza non trascurabili, rispolverando vincoli fiduciari e di reciprocità propri delle comunità originarie. Il successo di C.e.r.To e i progetti dei consorziati fanno leva proprio su questo tipo di legami, la cui forza è stata riconvertita nel nuovo contesto in opportunità lavorative e chance di mobilità. Una caratteristica che distingue questi intervistati dai precedenti è quindi il fatto di avere un’estrazione sociale simile. La provenienza da realtà rurali ha avuto un peso fondamentale sulla scelta di partire. Se, infatti, si analizzano le motivazioni che conducono all’emigrazione ci si rende conto che sono quasi esclusivamente economiche e riferite a fattori push. Inoltre, gli intervistati mostrano una spiccata propensione allo spostamento poiché la cultura dell’immigrazione è diffusa da tempo nelle loro zone d’origine e vi sono stati socializzati. Rispetto 21 22 L’imprenditore con la permanenza più lunga sul nostro territorio è Julian, ideatore e fondatore del consorzio. Tra questi, c’è anche un laureato: si tratta proprio di Julian, che ha conseguito il titolo in Italia nel 2004. 15 ai dipendenti e professionisti, non hanno deciso di venire in Italia per valorizzare il proprio capitale umano né per l’ambizione di svolgere una determinata occupazione. I più giovani, per esempio, sono arrivati subito dopo la fine della scuola o del servizio militare, interessati soltanto a trovare un lavoro ben pagato che potesse garantire un certo benessere nell’immediato. Alla base della scelta migratoria prevalgono pertanto ragioni riconducibili al bisogno di lavorare e alle preoccupazioni per il mantenimento della famiglia. L’unica eccezione è Julian, il fondatore di C.e.r.To, partito perché fortemente attratto dalle opportunità offerte dalla società d’arrivo. Tuttavia, in nessuno dei casi considerati il progetto migratorio è nato come progetto imprenditoriale: la decisione di partire è maturata come soluzione a situazioni di disoccupazione o sottoccupazione. La partenza ha sempre rappresentato per quasi tutti un’opzione molto concreta. Questo è dovuto alla relativa facilità di attivare la propria rete per reperire risorse economiche e un appoggio nel contesto d’arrivo: i contatti con familiari e conoscenti precedentemente emigrati hanno costituito un canale d’approdo, garantendo sostegno e una prima soluzione abitativa. Il supporto di questi network è stato prima di tutto materiale e logistico; in secondo luogo ha fornito risorse informative, utili per orientarsi e indirizzare i tentativi di trovare lavoro. Mentre il sostegno materiale è stato temporaneo, il sostegno informativo, invece, si è mantenuto e sviluppato nel tempo. Questo secondo tipo di risorsa è stata un elemento cruciale per entrare in contatto con C.e.r.To e quindi per la svolta imprenditoriale del progetto migratorio. L’unico a non essersi avvalso dell’appoggio di parenti o conoscenti è Julian, che infatti è un pioniere e appartiene alla prima ondata di immigrati giunti dalla Romania (cfr. Ponzo 2005). Nel caso di Julian un certo fare imprenditoriale esisteva già, poiché aveva un’attività autonoma in Romania, nel ramo sartoriale. Tra gli altri romeni del gruppo soltanto uno svolgeva un lavoro artigiano prima di emigrare e appena due erano occupati nell’edilizia in qualità di operai: pertanto, in Italia, quasi tutti hanno dovuto riconvertire le proprie competenze o apprenderne di nuove per imparare a lavorare e specializzarsi in edilizia. Data la differente posizione socioeconomica è opportuno tenere separata la storia di Julian da quella degli altri immigrati del gruppo. Julian è l’unico che può essere definito imprenditore in senso stretto se si considera la presenza di lavoratori dipendenti come criterio che distingue l’imprenditore dal lavoratore autonomo (Ranci et al. 2008)23. Inoltre, volendo descrivere le modalità attraverso cui gli intervistati sono arrivati a fare impresa non si può fare a meno di tenere conto del ruolo fondamentale di C.e.r.To e dei risultati imprenditoriali del suo promotore. Il supporto di Julian, 23 La sua ditta conta attualmente 39 dipendenti, di cui due italiani. Gli altri intervistati sono titolari di ditte che hanno eguale forma giuridica – Ditta Individuale – e non hanno alcuna persona a libro paga. A rigore, quindi, dovremmo considerarli lavoratori indipendenti, tuttavia distinzioni rigide e tradizionali delle diverse componenti del lavoro autonomo non riescono a cogliere le trasformazioni e le sovrapposizioni che si registrano oggi tra tali figure (Ranci et al. 2008). 16 attraverso il progetto del consorzio, è la condizione che ha permesso agli altri di mettersi in proprio: tale evento si è manifestato come punto di svolta rispetto ai trascorsi lavorativi degli intervistati. In poche parole, Julian si è fatto da sé e poi ha fatto anche gli altri. Il suo è un percorso esemplare di immigrazione di successo: in pochi anni, infatti, è stato capace di transitare dalla clandestinità alla guida di un impresa che fattura diversi milioni di euro24. Appena giunto in Italia ha lavorato in nero come operaio edile e in seguito, spinto dal desiderio di emancipazione professionale e da motivi di ordine economico, ha tentato il grande salto insieme a un socio italiano: il successo è stato repentino, sono partiti con sei dipendenti ma ne sono subito stati assunti altri, quasi tutti amici e parenti. L’utilizzo di questo network come principale bacino di reclutamento si spiega con l’aspettativa che la forza dei legami, in ambito lavorativo, potesse tradursi in comportamenti cooperativi. I contatti personali hanno permesso a Julian di puntare su persone vicine, quindi con caratteristiche altrimenti difficilmente osservabili, quali la voglia di lavorare, l’affidabilità e la capacità di integrarsi senza problemi in un gruppo già affiatato ed efficiente. La figura del migrante Julian è quella di un attore sociale dinamico, intraprendente e ricco di iniziativa, capace di promuovere mutamenti che hanno un considerevole impatto sulla propria traiettoria di vita e potenzialmente su quella delle persone che gli stanno attorno. L’idea di istituire a Torino un consorzio di imprenditori edili romeni né è la prova. Infatti, gli altri artigiani, pur senza seguire la progressione accelerata della carriera di Julian, compiono un percorso di mobilità ascendente trovando lo slancio decisivo nell’opportunità imprenditoriale offerta da C.e.r.To. Per tutti, dopo una prima fase frammentata in diverse esperienze lavorative come operai o manovali la transizione al lavoro autonomo costituisce un passo significativo verso posizioni sociali intermedie. Il progetto C.e.r.To, nelle intenzioni di Julian, mirava a mettere in piedi una sovrastruttura efficiente nell’ambito della gestione delle varie attività edili svolte dalla sua e da altre aziende satelliti. Il consorzio, pur innestandosi su una rete di scambi e di collaborazioni informali preesistenti, ha offerto a tutti maggiori garanzie sulla continuità lavorativa, la possibilità di avere consulenze per la gestione di impresa, l’assistenza in lingua romena, la mediazione per i contatti con i fornitori, l’ottimizzazione nell’utilizzo di attrezzature e strumenti, l’opportunità di specializzarsi on the job. Le traiettorie degli altri artigiani possono riassumersi in due tipi. Da una parte abbiamo sei intervistati che, subito dopo l’arrivo, hanno lavorato per conto di ditte edili25 e, in un secondo momento, sono entrati a far parte di C.e.r.To: questi soggetti si sono fatti le ossa in cantiere e, acquisite le tecniche, hanno poi compiuto il passaggio al lavoro autonomo – senza altre esperienze 24 L’impresa edile di Julian essendo specializzata in coperture industriali e nello smaltimento dell’amianto si è inserita in un mercato di nicchia con pochi competitor. L’impresa di Julian è ora una realtà affermata con committenti di un certo spessore e un raggio d’azione piuttosto esteso, come testimonia la recentissima espansione nel vicino mercato lombardo e il carattere transnazionale di alcune sinergie con ditte attive in Romania. 25 Cinque di questi sei hanno lavorato come dipendenti della ditta di Julian. 17 lavorative – entrando a far parte del consorzio. Dall’altra ci sono cinque immigrati per cui l’inserimento lavorativo è avvenuto sempre nel settore edile ma in realtà lontane dall’orbita di C.e.r.To: hanno lavorato come dipendenti e svolto diverse attività nel tempo, anche per più datori, fino a quando sono venuti a contatto con Julian e hanno fatto il doppio salto, diventando simultaneamente imprenditori e consorziati. In rapporto al loro coinvolgimento all’interno del progetto C.e.r.To, è possibile definire i primi i promossi e i secondi i reclutati. Nel caso dei promossi l’imprenditorialità è una scelta compiuta da individui già ben integrati in posizione di dipendenti in una delle realtà che poi confluiranno in C.e.r.To e, quindi, la transizione al lavoro autonomo non è una soluzione dettata da difficoltà economico-lavorative. A fronte dei modesti investimenti iniziali si sfrutta la possibilità di conquistare margini di indipendenza e allo stesso tempo essere tutelati dal consorzio. Questi immigrati perseguono una strategia adattiva, si adeguano al mutamento della struttura di opportunità e intraprendono un percorso di mobilità ascendente che li promuove di grado: tuttavia, il passaggio avviene nel segno della continuità con l’attività svolta alle dipendenze e si mantiene la specializzazione edile acquisita. I reclutati, invece, sono selezionati dall’esterno e inclusi nel sistema C.e.r.To. La loro è una strategia reattiva, tentano un percorso di lavoro autonomo come forma di auto-impiego in risposta alla difficile e precaria stabilità lavorativa. I reclutati si sono rivolti a Julian dopo essere stati lasciati a casa dalle ditte per cui lavoravano: hanno mobilitato il proprio capitale sociale per trovare una soluzione a una situazione di crisi. Due conoscevano Julian dai tempi della Romania, gli altri hanno agito attraverso la mediazione di conoscenti. Questi immigrati sono stati selezionati per colmare dei vuoti presenti nello spettro di servizi offerti da C.e.r.To con l’idea di mettere le loro specializzazioni e competenze al servizio degli altri consorziati. Per tutti, promossi e reclutati, il progetto migratorio è ridefinito dal sopraggiungere della svolta imprenditoriale. Le situazioni individuali, lavorative ed extralavorative, sono migliorate in seguito alla decisione di mettersi in proprio. Le conquiste più importanti riguardano l’indipendenza e l’autonomia decisionale, ma soprattutto la continuità lavorativa e la regolarità dei pagamenti garantite dall’efficienza del consorzio. Poiché ne possono godere solo i consorziati – tutti in ugual misura – questi vantaggi si configurano come tipici beni di club. Tuttavia, alcuni hanno anche propri clienti mentre altri sono in regime di monocommittenza rispetto al consorzio, una condizione che tende a quella tipica di un rapporto di subordinazione. Questo risultato è prodotto da una forma implicita di lealtà verso la propria squadra, lealtà che in qualche modo genera effetti di chiusura verso l’esterno. D’altra parte, fedeltà e dedizione alla causa erano obbiettivi che Julian intendeva raggiungere reclutando dipendenti e nuovi consorziati tra parenti, amici e conoscenti. 18 6. Percorsi organizzati, disorganizzati, autorganizzati Gli intervistati sono collocati in posizioni tipiche di ceto medio, nelle quali sono giunti con modalità e tempi differenti in considerazione della capacità iniziale di inserimento nel mercato del lavoro e delle successive strategie e opportunità di affermazione. Tuttavia, nonostante l’approdo comune in posizioni da classi medie è emersa una certa eterogeneità delle traiettorie. La maggior parte ha cominciato dai gradini inferiori della scala occupazionale prima di risalire e sono pochi, tra quelli considerati, gli inserimenti che mostrano i caratteri delle migrazioni qualificate. Sono emerse nette differenze tra chi ha avuto un inserimento immediato in posizioni di livello intermedio e chi invece ha avuto una storia più lenta e accidentata – frammentata in molteplici esperienze – in cui l’occasione del salto di qualità si è presentata solo dopo aver costruito relazioni e aver allacciato contatti con nuovi ambienti. Per quanto riguarda i dipendenti e professionisti i percorsi si differenziano per il modo e il moto di approdo all’interno dello spazio sociale del ceto medio. Queste traiettorie si sono rivelate più o meno rapide e accidentate e sono state classificate in quattro tipi – mantenimento, ascesa, risalita, trampolino – in considerazione delle modalità di inserimento nel ceto medio e della eventuale percezione di un cambiamento di status nel corso di questo processo. I percorsi degli artigiani di C.e.r.To mostrano una minore varietà e differiscono unicamente rispetto al timing della transizione al lavoro autonomo26: i promossi erano precedentemente integrati in posizione di dipendenti in una delle realtà consorziate; i reclutati hanno trovato nell’opportunità di fare impresa offerta da C.e.r.To una risposta a una situazione di difficile e precaria stabilità lavorativa. Presi nel loro insieme, i percorsi lavorativi dei due gruppi di romeni intervistati sono differenti per i complessi equilibri tra progettualità e capacità di indirizzare e ridefinire attivamente la propria traiettoria di fronte a ostacoli e opportunità dei contesti d’azione. Pertanto, in base al grado di strutturazione delle traiettorie descritte i percorsi possono essere distinti in organizzati, disorganizzati, autorganizzati. I percorsi organizzati sono quelli dei dipendenti e professionisti che hanno seguito traiettorie mantenimento e ascesa, ai quali è corrisposto un inserimento diretto in posizioni di livello medioelevato. In questi casi gli immigrati sono stati messi fin da subito nelle condizioni di accedere a occupazioni coerenti con il proprio profilo formativo e professionale, e per questo motivo le loro traiettorie appaiono lineari, senza alternanza di alti e bassi, per nulla frammentate. I progetti migratori in questione sono stati definiti prima della partenza e hanno seguito uno sviluppo nelle 26 Il percorso di Julian, ideatore di C.e.r.To, segue una traiettoria diversa da quella degli altri artigiani: la sua è una storia di notevole successo che lo ha portato ad essere un operatore storico e un leader economico del settore. 19 direzioni attese. Si tratta infatti, di traiettorie mediate dall’operato di istituzioni – agenzie di reclutamento o università – che hanno gettato un ponte tra il contesto di partenza e quello di arrivo, tutelando gli attori sotto più punti di vista: disponibilità immediata di un impiego adeguato e coerente, supporto logistico, prima soluzione abitativa e altre varie forme di assistenza. Tali istituzioni hanno guidato gli immigrati all’inserimento nel mercato del lavoro locale e hanno certificato le skills in loro possesso, consolidando il profilo professionale e agevolando il riconoscimento di titoli e competenze: questa forma di accompagnamento ha sostenuto l’integrazione nel ceto medio, ha ridotto sensibilmente il rischio di brain waste e ha generato un forte senso di autorealizzazione. Si tratta quindi di percorsi ordinati e regolati da istituzioni che conferiscono stabilità al progetto migratorio, garantiscono l’acquisizione di risorse e potenziano le capacità individuali. Gli immigrati coinvolti in queste traiettorie non sono stati disorientati da eventi spiazzanti, sono riusciti a perseguire le alternative preferite e hanno sviluppato carriere virtuose imparando ben presto a programmare e gestire il proprio percorso in autonomia. I percorsi disorganizzati caratterizzano le traiettorie trampolino e ripresa dei dipendenti e professionisti, quindi si riferiscono a storie di risalita, frammentate e non progressive, dopo un inserimento su livelli inferiori della gerarchia occupazionale. Gli intervistati che hanno seguito tali percorsi sono persone che si sono fatte da sé, esperendo forme di mobilità partendo dal basso, talvolta da lavori dequalificanti. Questi soggetti sono stati abili a tessere relazioni, anche extralavorative, che poi nel lungo periodo si sono rivelate decisive. Le reti in cui si sono inseriti sono eterogenee e non connotate etnicamente, quindi hanno veicolato informazioni e ampliato in maniera significativa le opportunità di impiego. Tuttavia, nella maggior parte dei casi hanno fatto molta fatica a risalire: ci sono riusciti navigando a vista, tra difficoltà e resistenze, talvolta in condizioni di clandestinità, rendendosi disponibili ad accettare il lavoro dequalificato come passaggio necessario, non come destino, e mettendo a frutto ogni piccola opportunità. Il successo è stato ottenuto da alcuni in seguito a sforzi protratti per anni – con costi personali elevati – grazie all’abilità di modellare attivamente il proprio percorso e di accreditarsi su più piani, combinando processi di apprendimento sul campo, capacità di tessere e arricchire relazioni personali, di dimostrarsi persone serie e affidabili. Determinazione e perseveranza di queste persone sono alimentate da un forte desiderio di riscatto, nonché da aspirazioni di autorealizzazione e di mobilità sociale. Questi immigrati si sono dovuti attivare individualmente, hanno accumulato capitale sociale, hanno accettato soluzioni di compromesso nell’attesa che si manifestassero condizioni e opportunità lavorative più favorevoli, correndo il rischio di rimanere intrappolati verso il basso. Le traiettorie hanno seguito sviluppi disordinati, contingenti e imprevedibili con il susseguirsi di fasi di mobilità ascendente e discendente fino alla risalita risolutiva verso posizioni tipiche di classe media. 20 L’avanzamento e il processo di integrazione nel ceto medio è stato dominato dalla fatica e dall’incertezza. I percorsi autorganizzati sono quelli osservati nel caso di C.e.r.To. Per questi intervistati il salto di qualità è coinciso con il passaggio al lavoro autonomo, subordinato all’esistenza di una realtà organizzativa: il consorzio. Essi intraprendono un percorso di mobilità ascendente garantito da C.e.r.To. Questo caso particolare descrive una situazione in cui alcuni immigrati si pongono esplicitamente il problema dell’inserimento lavorativo dei connazionali e si organizzano dotandosi di una struttura di coordinamento che promuove l’accesso al lavoro autonomo ed eroga notevoli risorse economiche e di capitale sociale. I legami forti sono alla base del patto di cooperazione tra i membri del consorzio e sono il principale canale di reclutamento degli artigiani. Si tratta di strategie organizzate e mature di inserimento, che dispensano gli attori dal doversi accreditare partendo da zero. Pur non possedendo titoli o un capitale umano elevato si sono integrati in posizioni di ceto medio grazie al buon funzionamento del meccanismo di promozione e mobilità sociale costituito dal consorzio ideato da Julian. Nel concreto, sono transitati al lavoro autonomo secondo modalità agevolate, potendo contare su una serie di beni di club destinati esclusivamente ai consorziati. Si tratta di traiettorie in cui è risultata decisiva la possibilità concreta di beneficiare di risorse di vario genere come conseguenza della loro partecipazione a reti di rapporti interpersonali o strutture organizzative più ampie. Le strategie individuali sono state vincolate e strutturate entro schemi d’azione forniti dal consorzio stesso sulla base di meccanismi di reciprocità e cooperazione che hanno generato opportunità altrimenti inesistenti. In sintesi, considerando il grado e le forme di organizzazione dei percorsi osservati risaltano sia le disuguali condizioni di partenza sia le differenti difficoltà che hanno ostacolato e rallentato il processo di integrazione nel ceto medio. Le singole traiettorie si sono sviluppate in modo più o meno strutturato in base all’influenza di più fattori e alla combinazione tra risorse, stabilità delle reti e capacità di agency di ciascun immigrato. 7. Conclusioni L’ingresso di lavoratori romeni nel mezzo della scala sociale rivela che le linee di stratificazione non sono nette e, anzi, si intravede un certo grado di porosità e permeabilità degli strati intermedi all’accesso di immigrati. Tuttavia, i percorsi tortuosi e le difficoltà incontrate dalla maggior parte dei nostri intervistati non consentono di essere troppo ottimisti: essi sono rimasti a lungo confinati in lavori a basso salario fino a che, anche grazie a circostanze in parte casuali, sono riusciti ad avere accesso a risorse importanti per la mobilità sociale. Uno degli aspetti più problematici nelle storie indagate è relativo alla mancanza di politiche di accompagnamento dei lavoratori immigrati. Nei 21 casi in cui organizzazioni e istituzioni hanno svolto un’attività di mediazione – traiettorie mantenimento e ascesa – i soggetti sono stati messi subito nelle condizioni di accedere a occupazioni coerenti con il proprio profilo e anche per questo motivo l’integrazione nel ceto medio è stata più lineare. Per gli artigiani – promossi e reclutati – dopo un primo periodo di incertezza il percorso si è strutturato instradandosi nel canale di mobilità garantito da C.e.r.To. Invece, i processi di integrazione più sofferti e logoranti sono stati quelli di coloro che sono risaliti da situazioni di fragilità e vulnerabilità potendo contare principalmente sulla riuscita di strategie individuali. È in riferimento a questi casi – caratterizzati da traiettorie ripresa e trampolino – che si delinea un’area in cui rafforzare le politiche di inclusione. Si tratta di percorsi in cui permane costante il rischio di subalternità, deskilling e brain waste. Inoltre, percorsi così sconnessi e accidentati rallentano la transizione degli immigrati dal ruolo di beneficiari anche a quello di contribuenti del welfare, con effetti diretti sulla tenuta del sistema, sulla competizione con gli autoctoni per l’acquisizione di risorse e quindi sul livello di coesione sociale. Percorsi inclusivi possono essere guidati da politiche che potenzino la capacità di agency degli immigrati di fronte alla struttura di opportunità del contesto di insediamento. Non sembrano sufficienti provvedimenti formali che favoriscono il riconoscimento di titoli e competenze, ma potrebbe risultare utile l’introduzione di qualche forma di accompagnamento e orientamento che riduca l’isolamento dell’immigrato, l’incertezza e i vincoli di scelta favorendo l’integrazione in network lavorativi significativi. Di fatto, i romeni con traiettorie di risalita hanno sofferto la carenza di organizzazione del proprio progetto, da cui sono derivate difficoltà di gestione strategica e di autodeterminazione. Gli ostacoli non sembrano essere originati dalla scarsa disponibilità di risorse materiali quanto piuttosto dal mancato o ritardato inserimento in determinate reti di relazione. Pertanto, il rischio di esclusione non riguarda l’ammontare delle risorse ma la solidità di meccanismi di integrazione sociale e di acquisizione delle medesime (cfr. Ranci 2002). Proprio per questo motivo potrebbe risultare opportuno il potenziamento di interventi orientati più all’enabling che al providing (cfr. Ponzo 2009). In riferimento ai casi di integrazione indagati emerge un’ulteriore riflessione che rafforza queste conclusioni. I percorsi organizzati e autorganizzati hanno evidenziato meccanismi di accesso pieno e stabile a posizioni e ricompense sociali da ceto medio, mentre i percorsi disorganizzati sono evoluti in tale direzione in assenza di dispositivi di integrazione e hanno fatto leva soprattutto su strategie individuali. Il maggior grado di strutturazione dei primi due tipi di percorsi e le minori difficoltà connesse sembrano indicare che la stabilità dei canali di integrazione nel ceto medio conti anche più della connotazione etnica delle reti. Sotto questo punto di vista, C.e.r.To costituisce un meccanismo di mobilità sociale che, seppur basato sull’appartenenza a reti di immigrati, struttura i percorsi migratori in direzione di una piena cittadinanza sociale (cfr. Bagnasco 2008) e consolida il 22 ruolo di contribuenti del welfare. Un obbiettivo delle politiche potrebbe essere quello di incentivare forme simili di autorganizzazione in ambiti e contesti differenziati. 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