``EXODUS, MOVEMENT OF JAH PEOPLE`` (Bob Marley) Lampedusa

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``EXODUS, MOVEMENT OF JAH PEOPLE`` (Bob Marley) Lampedusa
‘’EXODUS, MOVEMENT OF JAH PEOPLE’’ (Bob Marley)
Lampedusa.
Continuano gli sbarchi di immigrati nel porto dell’isola. La situazione è ormai degenerata: è palpabile la tensione in
tutta la zona. La prima sensazione che si ha è che il nostro sia un Paese di razzisti. E forse è vero. Non vogliamo gli
stranieri per i più svariati motivi: per paura del diverso, per paura di non trovare lavoro, per paura della criminalità,
per paura di confrontarci con altre culture, religioni e tradizioni. Eppure, a partire dagli anni ’60 e anche prima, gli
immigrati eravamo proprio noi, noi che oggi disprezziamo ed emarginiamo gli stranieri. Proviamo quindi per un attimo
a metterci nei panni di un immigrato, costretto dalla necessità ad abbandonare la propria terra, la propria famiglia, la
propria vita e ad emigrare in una Paese che non gli appartiene e che lo discrimina. Solo a pensarci, siamo pervasi da un
grande senso di solitudine. Ci sentiamo soli contro un mondo sconosciuto, abbiamo paura del domani, di non farcela,
di sprofondare nella disperazione totale. Ecco, questo è quello che ora sta provando un Tunisino qualsiasi a
Lampedusa e quello che ha provato un Italiano qualsiasi quando è arrivato in un altro Paese. Sicuramente anche gli
Italiani all’epoca sono stati trattati nello stesso modo in cui noi trattiamo gli immigrati tunisini ma questo non
giustifica il comportamento adottato. Cosa fare dunque? Se per una volta si mettesse da parte l’orgoglio nazionale,
che noi usiamo solo per danneggiare gli altri, si vivrebbe meglio. Nessuno pensa che i nostri avi emigranti siano stati
criminali, ma tutti pensano che quelli che vengono in Italia lo facciano solo per rubare e per violentare le donne.
E’ facile pensare agli altri come il male e a noi come il bene. E’ facile pensare agli altri come il problema e a noi come la
soluzione. Semplicemente, siamo pieni di pregiudizi. E’ una malattia fin troppo ben radicata nella nostra società che
opprime le menti e le rende apatiche, prive di ogni capacità di formulare pensieri. E’ quello che siamo diventati. Però
quando si emigrava in America l’Italia non era così. Era comodo pensare di andare in un Paese pronto ad accoglierci ‘’a
braccia aperte’’, a darci un lavoro e una casa, a farci vivere meglio di come si viveva prima. E poi? Cosa è cambiato?
Siamo diventati così ricchi e importanti da permetterci di essere superiori ad un popolo in fuga dall’inferno in cui il
proprio Paese è finito? Ma non siamo ridicoli! Bisogna rimboccarsi le maniche e darsi da fare per una popolazione che
ha un problema umanitario anche se il resto del mondo sembra essere indifferente e non disposto ad aiutare, come
sarebbe giusto che fosse. Se al posto di fare inutili discriminazioni considerassimo ognuno come cittadino del mondo e
non solo di una o di un’altra nazione, riusciremmo a migliorare la vita di tutti. Ma questa è pure utopia.
Roberta Gatta