una mostruosità grottesca

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una mostruosità grottesca
UNA MOSTRUOSITÀ GROTTESCA
Modernità e ambivalenza in Francisco Goya e Francis Bacon
Susanne Schlünder
Davanti alla straordinaria complessità e al carattere talvolta contraddittorio dellʹarte di Goya, risulta impossibile ridurre lʹinfluenza/potere della sua opera a un solo aspetto, poiché tanto i temi e i generi sviluppati dallʹartista quanto il suo approccio e gli stili adottati furono molto diversi: i dipinti realizzati come pittore di corte sono differenti da quelli eseguiti nellʹambito dellʹattività privata. Nei tanti aspetti da studiare e sottolineare soltanto uno potrebbe apparire incompatibile pur non essendolo: la sua modernità, segnalata già da diversi autori (Licht, Bozal) e dallʹultima mostra allestita a Berlino (1). In effetti, la diversità, la discontinuità e la molteplicità dei punti di vista tanto caratteristica di Goya – tutti elementi tipici della modernità – si erano imposte nellʹarte già dal 1800(2). Intendiamo la modernità come un campo di forze contrarie, di correnti antagoniste che plasmano un tutto ambivalente(3), e lʹidea di dispersione, disseminazione di forme e contenuti è in questo senso la più adeguata per avvicinarci esteticamente allʹessenza di questo momento. Considerare Goya come una figura chiave, nella cui opera si manifesta il carattere specifico della modernità significa soprattutto due cose. In primo luogo implica la ripresa dei temi principali dellʹartista aragonese, quelli su cui si basa la concezione della mostra: soggettività, irrazionalità, fisicità e sensualità, violenza e terrore, paura e dignità, per citarne solo alcuni. In secondo luogo, presuppone lʹanalisi delle strategie estetiche di Goya, che ci portano allʹambiguità e alla polivalenza: non solo i suoi temi sono moderni, ma lo è principalmente il suo approccio. 1. Sotto questo profilo, lʹopera Volo di streghe (GW 659) (Cat. 26), presente nella mostra, è un buon esempio per la nostra analisi. In essa compaiono temi e procedimenti «moderni» destinati a esercitare una forte influenza sulle generazioni successive. La tela fa parte di una serie di sei piccole opere vendute ai duchi di Osuna nel 1798 (4). Si tratta di scene con streghe realizzate su commissione nello stesso periodo dei Capricci, che attualmente vengono considerate vicine ai dipinti da salotto con i quali Goya iniziava nel 1793 la sua attività privata (5). Le opere che decoravano lo studio della duchessa nellʹAlameda de Osuna compongono un importante repertorio di esempi di cultura popolare e la loro disposizione rivela il tono ludico che lʹartista esprimeva quando lasciava volare la sua fantasia. La maggior parte di queste tele di piccolo formato – ciascuna misura circa 43 x 30 cm – presenta soggetti immersi nellʹoscurità, raffigura rituali sanguinosi ed è popolata da tetre figure femminili, perlopiù emaciate e senza denti che, tuttavia, non suscitano timore. Il tema delle opere si configura come un gioco spensierato ambientato in scenari assurdi, accentuati dai toni chiari che lʹartista oppone deliberatamente allʹoscurità cromatica della sua tavolozza. Elementi grotteschi come lʹasino che va a ballare di La lampada del diavolo, lʹallegro e vigoroso baccante caprone con tanto di corona raffigurato nel Sabba, oppure i pipistrelli di Esorcismo che per la loro prospettiva, aggrappati al mantello di una strega, ci ricordano la piuma del cappello di un buffone, conferiscono alle scene un accento comico‐assurdo. Il cromatismo rococò del Sabba rimanda alle opere di genere dellʹartista aragonese – per esempio La prateria di San Isidro o i disegni preparatori dei cartoni per arazzi – piuttosto che ai rituali minacciosi in cui vengono offerti in sacrificio neonati o immaginari scheletri di bambini. 1
La stessa ambiguità si percepisce anche in Volo di streghe (Cat. 26). Nella parte superiore della tela osserviamo tre figure seminude che emergono dallo sfondo scuro. Sono sospese in aria e reggono un uomo nudo che sembrano voler toccare con la bocca. Questo gruppo centrale è disposto a triangolo; la forma dei copricapo appuntiti conferisce allʹimmagine un forte dinamismo, a cui fa da contrappunto la linea orizzontale delle braccia nude e aperte dellʹuomo. Nella parte inferiore, sotto il gruppo di streghe, compaiono altre tre figure: una si butta per terra e si tappa le orecchie, unʹaltra dà le spalle alla scena e si copre con un telo come se rinnegasse gli esseri che le volano sopra e la terza, visibile in basso a destra, è in realtà la sagoma di un asino. Ad attirare lʹattenzione sono in particolare le diverse tecniche usate da Goya per le varie parti dellʹopera. La zona centrale armonica composta dal rosso, dal verde chiaro, dalla gradazione dorata degli indumenti – che ricorda la SantʹApollonia di Zurbarán – e soprattutto dal color carne del gruppo centrale di figure, sembra essere stata dipinta a strati, applicati lʹuno sullʹaltro. Lʹasino e lʹuomo che si copre con il telo bianco, che poi sparisce nello sfondo scuro, danno lʹimpressione di essere stati eseguiti ʺalla primaʺ, direttamente sulla base umida della tela. Nella figura distesa a sinistra e nella zona dellʹangolo inferiore destro, invece, traspare la preparazione della tela. A questo punto, è opportuno sottolineare il caratteristico sfondo dellʹultimo Goya, con la catena montuosa che si perde in lontananza, come pure il singolare trattamento della luce, che dà luogo a un gioco di chiaroscuro: i corpi plastici delle streghe e il telo bianco, che la luce rende splendenti e quasi palpabili, si oppongono con fermezza alla piatta uniformità dello sfondo nero intenso. Tutti questi aspetti, uniti alla struttura dellʹopera, creano una tensione formale adeguata alla vaghezza tuttʹaltro che rassicurante dellʹevento, accentuata dal titolo stesso del dipinto. I voli notturni a cui allude Goya riprendono la credenza, molto diffusa in Europa fino allʹinizio dellʹEtà Moderna, secondo cui quando un individuo andava in estasi la sua anima abbandonava il corpo per entrare nel mondo dei morti. I voli, pertanto, sono uno stereotipo delle notti delle streghe, di quel sabba a cui rimanda il tono enigmatico e cerimoniale dellʹopera6, benché in nessun momento si capisca con esattezza di quale rituale di stregoneria si tratti: una messa nera, lʹinvocazione del diavolo, lʹiniziazione alla stregoneria o un atto di antropofagia? I rituali menzionati – Leandro Fernández de Moratín li descrisse nei particolari negli atti processuali di Auto de Fe de Logroño – possiedono un tratto in comune, un carattere ambiguo da rito sacrificale intessuto di violenza, sacralità ed erotismo (7). A un primo sguardo lʹuomo sottomesso alle streghe sembra una vittima; tuttavia, e malgrado ciò, la figura acquisisce una connotazione di sacralità per il modo in cui la luce lo mette in risalto, evocando lʹimmagine di Cristo. Lʹambiguità si estende anche alla posizione del corpo, che ci consente diverse letture: il busto incurvato, le braccia aperte e la testa piegata allʹindietro si possono interpretare come reazioni alla tortura, ma anche come un momento di estasi, proprio quella che si raggiungerebbe nei sabba e nei voli notturni. In tal modo lʹambiguità va di pari passo con lʹenigmaticità del comportamento delle streghe: non sappiamo se vogliono toccare lʹuomo con la bocca per succhiarlo o mangiarlo, o se stanno soffiando sul suo volto per accoglierlo nel loro gruppo. I termini succhiare e soffiare, che non a caso si trovano anche nei titoli di alcuni Capricci – il n. 45 Cʹè molto da succhiare; il n. 48 Spioni, e il n. 69 Soffia –, denotano azioni opposte che, tuttavia, nellʹambito della stregoneria possono essere considerate complementari, poiché in tutti e due i casi il momento cruciale dellʹazione è lʹavvicinamento, lʹunione. Nel primo caso si tratta di unʹincorporazione, nel senso originale del termine, nel secondo siamo davanti a un atto simbolico; in entrambi, comunque, si manifesta una forte carica di erotismo. Come afferma Caro Baroja, il mondo della magia nera è sempre un mondo di desiderio (8), contiene in sé la tensione erotica di fondo di coloro che lo abitano. Del corpo seminudo della strega a sinistra scorgiamo non solo la vita stretta, ma anche il seno rotondo scoperto. Questʹultimo elemento rende ancora più ambigua la sua posizione tra le gambe dellʹuomo. 2
Il gruppo centrale di Volo di streghe, i cui componenti sembrano fondersi in un unico corpo, richiama alla mente lʹerotico e grottesco scontro fisico del Capriccio n. 62 intitolato Chi lʹavrebbe creduto, o gli enigmatici personaggi del disegno Non dicono niente (Album C, n. 70), direttamente collegato a Queste streghe lo diranno (Album C, n. 69), come pure la coppia ambigua del disegno n. 38 dellʹAlbum H. In modi diversi, tutte queste opere presentano una fisicità mostruosa che allude ai modi di un erotismo grottesco e premoderno in cui non sono stati rispettati i limiti del corpo e si è prodotta lʹunione tra violenza ed Eros (9). Parte del disagio provocato dalle opere appena citate – e da molte altre dal carattere ambiguo e dal significato molteplice realizzate dallʹartista aragonese – ha a che vedere con la visione premoderna del corpo e dellʹerotismo, aspetto essenziale del mondo della stregoneria che Goya riprende nella sua opera. Nel momento in cui anche in Spagna si fa strada un concetto più moderno della sessualità così come la intendeva Foucault – sulla base del quale possiamo già parlare di aspetti come «norma» e «patologia» – le immagini configurano scene erotiche trasgressive il cui contenuto sarà più avanti considerato anomalo e perverso (10). Il rito sacrificale raffigurato nellʹimmagine fa pensare al rapporto tra vittima, santità e sessualità, un rapporto complesso teorizzato da Bataille, che appare strano agli occhi dellʹosservatore moderno perché nellʹambito dei processi di secolarizzazione si produce una svolta fondamentale che interessa direttamente la fisicità (11): in un mondo in cui la promessa cristiana della salvezza è sempre meno rilevante, il corpo perde il suo carattere trascendente, che prima era servito per giustificare la tortura, le sofferenze e persino la figura stessa della vittima. 2. Lo spiccato senso di disagio suscitato da Volo di streghe non si limita soltanto allʹindeterminatezza tematica della tela, alla mostruosità dei corpi o alla componente sacrificale; molto più interessante dei riferimenti al contenuto delle immagini risulta il processo dʹambiguità che in essa si realizza in modo esemplare: Goya ricorre allʹiconografia e alla tradizione cristiana ed estrapola i vari elementi dal contesto per poi ricombinarli secondo il suo gusto, eliminando qualsiasi riferimento che possa consentirci di giungere a unʹinterpretazione precisa. È sorprendente che la struttura dellʹimmagine si avvicini alla tradizione della pittura visionaria, tanto diffusa in Spagna nel Cinquecento e nel Seicento, in cui la parte superiore delle opere raffigurava sempre una scena di carattere visionario o religioso (12); ne sono un buon esempio lʹAssunzione della Vergine di Pedro Orrente (anni trenta del Seicento); lʹImmacolata Concezione con san Giovanni Evangelista di El Greco (1580‐1585), e soprattutto la Visione di SantʹAntonio da Padova di Bartolomé Esteban Murillo (1656). Proprio come accade nelle opere di questi tre artisti, il gruppo di streghe di Goya occupa il centro della composizione, si distingue dal resto per la luminosità con cui si proietta sul primo piano e possiede un chiaro movimento verso la parte superiore della tela, allusione al suo carattere metafisico. Tuttavia, e a differenza di quanto accadeva nella pittura religiosa barocca, le altre due figure di Goya non rimandano allʹapparizione della parte superiore dellʹimmagine, ma si allontanano o si nascondono, come quella che si copre con un telo, elemento che ci ricorda il velo della Madonna nella sepoltura di Cristo. Lʹaura religiosa caratteristica delle immagini visionarie che provoca lʹidentificazione dellʹosservatore con il soggetto subisce in Volo di streghe un capovolgimento: lʹoggetto della «visione» non è lʹascesa o personificazione di Dio, ma piuttosto la superstizione, e la luce, in quanto simbolo cristiano, non allude a qualcosa di sacro. Tuttavia, interpretare questa inversione come una mera critica nei confronti del culto della superstizione significa non tener conto dellʹestrema complessità e del significato dellʹapproccio estetico di Goya, e neppure della sua virtuosistica e insolita ars combinatoria. Oltre che nella struttura generale dellʹimmagine e nellʹeffetto della luce, lʹapproccio si manifesta nella struttura e concezione del gruppo centrale a cui è assegnato un evidente 3
carattere simbolico. Come sostiene Manuela B. Mena Marqués, le tre figure sospese rimandano allʹiconografia cristiana: «Il gruppo presenta un chiaro nesso visuale con la Trinità, un riferimento allʹAscensione di Cristo resuscitato nella luce tra la braccia del Padre e dello Spirito Santo» (13). Benché tale affermazione non possa essere applicata in forma letterale, perché solitamente le opere sul tema mostrano il corpo verticale di Cristo nellʹatto di salire al cielo e per di più qui le figure sono quattro e non tre, possiamo comunque individuare alcuni paralleli che ci riportano alla Passione di Cristo. Il «succhiare/soffiare» delle streghe capovolge lʹatto del bacio nella sepoltura di Cristo, e lʹambigua posizione orizzontale dellʹuomo può alludere allʹimmagine invertita del corpo di Cristo deposto dalla croce. Tutti questi elementi, insieme ai cappelli a cono delle streghe facilmente collegabili alle mitre degli onorevoli membri della Chiesa e ai cappucci indossati dagli imputati dei processi dellʹInquisizione, assumono una chiara valenza simbolica. Tuttavia, nella loro nuova disposizione non si configurano come unʹallegoria – perché ciò avvenga mancano punti di riferimento quali la tomba o la croce – e il gioco di inversioni non rimanda in modo diretto e preciso a un mondo «al contrario». Sotto questo profilo, lʹapproccio artistico di Goya, lʹeffetto di autentica modernità, può essere definito in termini di ambiguità e polivalenza: la straordinaria maniera di coniugare elementi di diverse tradizioni artistiche dà luogo a un enigma che crea confusione. Attraverso la reintroduzione della magia in un mondo demistificato, Volo di streghe ci conferma la perdita di significato nella modernità. 3. Il rapporto tra Francisco Goya e Francis Bacon, presente nella mostra con Tre studi per un ritratto di Peter Bear (Cat. 237), si basa – oltre che sulla dichiarata ammirazione dellʹinglese per il pittore spagnolo e su alcuni motivi presenti in entrambi – su due aspetti fondamentali. Da una parte la fisicità mostruosa e violenta a livello subliminale, che ci fa pensare alle parole di Baudelaire su Goya, un monstrueux vraisemblable, e lascia intravedere tratti umani dietro i volti bestiali e le smorfie diaboliche (14); dallʹaltra la modalità goyana di combinare tradizione artistiche diverse. Un breve sguardo allʹopera di Bacon ci mostra le contorsioni dei corpi, il loro intrecciarsi, amalgamarsi, lʹunione di elementi animali e umani che infrange qualsiasi canone o tradizione interpretativa. Non solo è risaputo lʹinteresse di Bacon per le tradizioni artistiche, che conosceva a fondo, ma soprattutto lo è quello per la rivisitazione delle opere antiche attraverso fotografie e incisioni, che poi raffigurava in serie (15). In questo senso i lavori più importanti di Bacon sono i dipinti che hanno per tema le crocifissioni e i circa cinquanta ritratti eseguiti tra il 1949 e il 1971, tutti indicativi del suo trasporto per la pittura religiosa barocca in generale e per Velázquez in particolare. La prima serie eseguita nel 1950, intitolata Studi dal ritratto di Innocenzo X di Velázquez, prende come punto di riferimento la celebre immagine del pontefice che lʹartista spagnolo dipinse in due occasioni nel 1650. La serie di Bacon, a metà tra il pastiche e la decostruzione, rivela lʹintensità con cui lʹartista inglese si dedicava allʹopera originale che conosceva soltanto dalle riproduzioni. A dispetto della tecnica di Bacon – caratterizzata da incisioni, graffi, combinazioni, come pure da significativi cambiamenti dello sfondo, dei gesti e della rappresentazione delle figure – i riferimenti al dipinto spagnolo risultano sempre individuabili. Una delle rotture più evidenti rispetto allʹoriginale è rappresentata dalle bocche spalancate di Head IV (1949), Untitled (Pope) (1950) e Pope II (1951), nelle quali la figura del Papa è circondata da un intreccio di linee che, come in altri ritratti di Bacon, forma una sorta di gabbia di vetro trasparente. Particolarmente interessante è il concetto spaziale, ripreso da Giacometti, che Bacon applica a Pope II, in cui la figura si staglia su uno sfondo indefinito che ricorda quelli goyani: il trono ridotto a una linea da cui si innalza uno schienale carico di ornamenti dorati si duplica e allude alla prigione. Le linee nella parte inferiore della tela 4
suggeriscono, invece, lʹimmagine di uno scenario o di unʹarena – unʹaltra costante nellʹopera di Bacon – e alludono a un momento opposto, quello in cui ci si espone. Questʹultimo aspetto determina la dialettica dellʹopera e ci riporta alla tensione latente in molte scene di Goya in cui sono raffigurati manicomi e prigioni. Appare significativo il fatto che il trono papale ridotto a mera intelaiatura abbia portato la critica dellʹepoca ad affermare che Bacon avesse fatto sedere il papa su una sedia elettrica. Per quanto lʹimmagine non contenga elementi sufficienti per una simile ipotesi, lʹinterpretazione è indicativa dellʹeffetto suscitato dallʹopera: nel momento in cui elimina tutti i riferimenti alla dignità e al potere presenti nel dipinto di Velázquez – il ricco trono papale, il camauro, la mozzetta, lʹanello – e raffigura il suo soggetto in modo tale che il volto si dissolve in una massa biomorfica, lʹartista annulla lʹaura che circonda il dignitario ecclesiastico, che si presenta quindi come una vittima in una scena teatrale. Lʹaura che secondo la Chiesa cattolica è propria di tutti i rappresentanti di Dio fu resa da Velázquez in modo eccellente, nel pieno rispetto dei canoni, e senza eliminare la tensione tra il desiderio di potere terreno e la spiritualità di questa personalità ambigua. La riflessione compiuta da Bacon, di cui lui stesso non era soddisfatto, fa riferimento al concetto ʺdellʹessere presenteʺ, un momento che lʹartista inglese individuava con chiarezza nellʹopera del pittore barocco e che nelle sue si riduce alla presenza fisica di corpi danneggiati ma al tempo stesso vitali. La presenza immanente del corpo, della sua fisicità che, a differenza dellʹalto carattere metafisico del papa dipinto da Velázquez, non possiede un valore atemporale, allude alla perdita di funzione del corpo che si rifletteva già nelle opere di Goya (16). In Figura con carne (1954), in cui il dignitario appare seduto tra due enormi pezzi di carne, questo approccio diventa ancora più chiaro. Da una parte, lʹopera fa riferimento alle immagini di buoi scuoiati della pittura fiamminga del Cinquecento e Seicento e alle tele di Chaïm Soutine, molto ammirato da Bacon; dallʹaltra, riprende una foto dello stesso artista realizzata da John Deakin per la rivista ʺVogueʺ nel 1952, in cui Bacon posava davanti a un maiale sventrato (17). La carcassa dellʹanimale riporta alla mente le parole dellʹartista il quale affermò che gli sembrava strano entrare in una macelleria e non vedersi appeso a un gancio (18), e accentua lʹambiguità di una rappresentazione corporale, della carne che può essere memento mori, senza la necessità di trasmettere la certezza consolatrice della salvezza tipica del barocco. In tal modo, viene messo ulteriormente in risalto un altro dei principi sviluppati da Bacon, affine allʹambiguità e ai molteplici significati a cui allude lʹapproccio goyano: si tratta di una struttura dialettica, presente già in Pope II, che sovrappone elementi opposti a moʹ di «indovinello» allo scopo di far risaltare in modo categorico le differenze. Nel già commentato Volo di streghe erano in gioco i parametri della vittima e del sacro, come pure della violenza e dellʹEros – e con essi lʹambivalenza tra sessualità animale e divina –, in Figura con carne si tratta, soprattutto, della sovrapposizione dei concetti di santità e vittima, di animale e di umano. Quelle che in un primo tempo sembrano categorie completamente diverse – da un lato la figura del papa e la santità, dallʹaltra il cadavere dellʹanimale e la condizione di vittima – nellʹopera di Bacon si trasformano alla fine in una sola per effetto di un processo analogico: per quel che concerne il cromatismo, le due metà della carcassa, parzialmente bianche grigie e azzurre, si collegano al volto del papa; per quanto riguarda la concezione dellʹopera, le profonde orbite degli occhi così come la smorfia della bocca spalancata, quasi stia emettendo un urlo, rimandano direttamente alle concavità delle costole dellʹanimale morto. Se ci atteniamo alle parole di Leiris, che nei denti dipinti da Bacon vedeva la continuazione a moʹ di stalagmiti dello scheletro umano, questi denti trasmettono alla figura del dignitario il carattere di vanitas proprio delle ossa coperte di sangue del cadavere, riducendola a effimera corporeità. La mostruosità che deriva dalla sovrapposizione del ritratto del papa sulle due metà appese della carcassa rimanda non tanto a Velázquez quanto 5
piuttosto al Goya delle Pitture nere, al brutale Saturno che divora un figlio, che tiene tra le mani un corpo mutilato appena riconoscibile. Tale aspetto si intravvede anche nel poco gradevole Fragment of a Crucifixion (1950), che, come fosse un palinsesto, trasforma lʹuomo crocifisso in un cadavere non identificabile: la figura che si sporge sopra la croce termina con un moncone sanguinante che, non fosse altro per il titolo dellʹopera, siamo portati ad associare direttamente allʹessere crocifisso, la cui morte implica la vita per il credente. In Fragment si evidenzia un approccio inverso a quello osservato in Volo di streghe. Se in questʹultimo Goya utilizza lʹiconografia tradizionale (per esempio la sepoltura di Cristo o la deposizione dalla croce) senza offrirci punti di riferimento come la tomba o la croce, Bacon rafforza tutti questi elementi – fa un uso del concetto di spazio analogo a quello della croce di Cimabue – ma ne introduce anche di nuovi, figure scomode come la civetta che emerge dal volto con la bocca aperta al centro del dipinto e, soprattutto, i passanti che camminano indifferenti tra le auto (scarabocchiati, abbozzati con semplici linee). Il risultato è un insieme impreciso che giustifica le parole di Bacon quando afferma che per lui lʹimmagine della croce è una specie di «struttura» allʹinterno della quale si possono evocare determinati sentimenti e idee. Infine, vogliamo ricordare Triptych, unʹopera in cui tale approccio risulta condensato. In modo diverso rispetto alle tele appena commentate, qui Bacon colloca al centro dellʹimmagine alcune coppie, che egli stesso definì «copulanti » o «gay». Sullo sfondo bianco sporco, senza contorni, in ognuna delle tre parti dellʹopera si stagliano figure maschili: nelle due allʹestremità compaiono un uomo vestito e uno nudo su una specie di altalena, mentre nel pannello centrale si osserva una forma ovale fluttuante. Sopra questa si distingue la figura biomorfica di una coppia, i cui componenti si intrecciano fino a fondersi lʹuno nellʹaltro, su cui pende una lampadina elettrica. Questʹultimo elemento simboleggia la quotidianità e stabilisce una chiara distanza sia dallʹevento enigmatico raffigurato al centro sia dal carattere di dipinto da altare proprio di un trittico. Al tempo stesso allude al chiaroscuro dellʹimmagine, in cui le figure acquisiscono plasticità grazie allʹopposizione di luce e ombra. Gli studiosi hanno già sottolineato la similitudine del motivo dellʹaltalena in questʹopera e in Vecchio in altalena (Album H, n. 58 e acquaforte GW 1825) di Goya (19), ma senza giungere a una conclusione definitiva al riguardo. In entrambi i casi il motivo dellʹaltalena deriva dal contesto iconografico del rococò. Il dondolio, che in Watteau aveva una valenza erotica, perde il carattere ludico e leggero e acquisisce adesso una connotazione chiaramente esistenziale che in Goya è accompagnata da una risata carnevalesca mentre in Bacon assume il tono di unʹacrobazia. Nel dipinto del pittore inglese il movimento implicito nellʹaltalena scompare e lʹopera improntata a una relativa staticità si focalizza sulla coppia del pannello centrale, rendendo lʹimmagine unʹistantanea, vera costellazione dellʹopera facendo dellʹimmagine la vera e istantanea costellazione dellʹopera. Per la loro forma evocatrice di una sessualità violenta, i corpi ricordano i già citati scontri fisici di Goya, erotici e grotteschi al tempo stesso. Queste figure determinano il rapporto tra vittima e santità, tra violenza ed eros che abbiamo già analizzato dalla prospettiva della ricezione estetica intesa come aspetto scomodo di Volo di streghe. Fino a che punto questo rapporto costituisce un punto centrale dellʹopera di Bacon lo si può dedurre dallʹinfluenza reciproca tra lʹartista inglese e Georges Bataille, che incluse una delle celebri immagini di coppie baconiane nel suo ultimo libro, Le lacrime di Eros. Dopo una breve disanima delle opere di Goya e Bacon, le equivalenze tra i due possono essere ascritte alla categoria del monstrueux vraisemblable. Con questʹespressione Baudelaire si riferiva soprattutto alla qualità delle figure goyane, che indica la violenza come caratteristica della condition humaine. Per quel che concerne Bacon è opportuno ampliare il concetto: oltre al rapporto tra vittima, violenza ed erotismo, i suoi corpi mostruosi evocano il «puramente figurale», nel senso di Deleuze (20), spogliandosi di ogni elemento figurativo e illustrativo, così come di ogni valenza narrativa. Per poter sviluppare il figurale senza doversi basare su una storia già data, lo si 6
deve far emergere da esempi correnti e tradizioni artistiche, nientʹaltro che ʺintelaiaturaʺ e veicolo, che servono per suscitare sentimenti e impressioni, un processo in cui Goya, con le sue strategie artistiche, è maestro indiscusso. 1 Vedi Fred Licht, Goya: The Origins of the Modern Temper in Art, New York, Universe Books, 1979. Valeriano Bozal, Goya y el gusto moderno, Madrid, Alianza, 1994. Peter‐Klaus Schuster, Wilfried Seipel, Manuela B. Mena Marqués (a cura di), Goya. Prophet der Moderne, Köln, DuMont, 2005. 2 Sul concetto di molteplicità dei punti di vista e il corrispondente cambiamento di paradigmi nellʹarte, vedi Werner Hofmann, Das entzweite Jahrhundert. Kunst zwischen 1750 und 1830, München, C. H. Beck, 1995. 3 Zygmunt Bauman, La ambivalencia de la modernidad y otras conversaciones, Barcelona, Paidós, 2002. 4 Sabba (GW 660), Esorcismo (GW 661), La lampada del diavolo (GW 663) e le opere oggi scomparse La cucina delle streghe (GW 662) e Il convitato di pietra (GW 664). 5 Vedi Werner Hofmann, Goya. Vom Himmel durch die Welt zur Hölle, München, C. H. Beck, 2005, p. 94. 6 Vedi Carlo Ginzburg, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Torino, Einaudi, 1995; dello stesso autore: I benandanti, Torino, Einaudi, 2002. Secondo Ginzburg gli atti processuali dellʹInquisizione devono essere letti come unʹaccumulazione dellʹimmaginario popolare ed erudito; in nessun modo essi ci restituiscono soltanto le fantasie dellʹaccusato. 7 Lʹamico di Goya pubblica per la prima volta questi atti allʹinizio dellʹOttocento, vedi Leandro Fernández de Moratín, Auto de Fe celebrado en la ciudad de Logroño en los días 6 y 7 de noviembre de 1610, in Nicolás y Leandro Fernández de Moratín, Obras, Madrid, Biblioteca de Autores Españoles, vol. 2, 1944, pp. 617‐631. 8 Vedi Julio Caro Baroja, Las brujas y su mundo, Madrid, Revista de Occidente, 1961. 9 Vedi Jutta Held, Groteske Erotik. Zu Goyas frühen Karikaturen, in Ekkerhard Mai (a cura di), Das Capriccio als Kunstprinzip. Zur Vorgeschichte der Moderne von Arcimboldo und Callot bis Tiepolo und Goya, Milano, Skira, 1996. 10 Per uno sviluppo equivalente del tema in letteratura vedi ¿Erotismo grotesco o discursos de la sexualidad? ʺEl arte de las putasʺ de Leandro Fernández de Moratínʺ, in Christian von Tschilschke/Andreas Gelz (a cura di), Literatura‐Cultura‐
Media‐Lengua: Nuevos planteamientos de la investigación del siglo XVIII en España e Hispanoamérica, Frankfurt am Main, Lang, 2005, pp. 105‐121. 11 Vedi Manfred Tietz (a cura di), La secularización de la cultura en el Siglo de las Luces, Wiesbaden, Harrassowitz, 1992. 12 Vedi Victor I. Stoichita, Visionary Experience in the Golden Age of Spanish Art, London, Reaktion Books, 1995. 13 Manuela B. Mena Marqués (a cura di), Goya en tiempos de Guerra, Madrid, Ediciones el Viso, 2008, p. 161. 14 Vedi Charles Baudelaire, Quelques caricaturistes étranges, in Charles Baudelaire, Curiosités esthétiques, Paris, 1946, p. 430. 15 Vedi in particolare, Martin Harrison, In Camera –Francis Bacon. Photography, Film and the Practice of Painting, New York, Thames & Hudson, 2005. 16 Vedi Susanne Schlünder, Karnevaleske Körperwelten Francisco Goyas. Zur Intermedialität der Caprichos, Tubinga, Stauffenburg, 2002. 17 Vedi Arnim Zweite, Bacons Schrei. Beobachtungen zu einigen Gemälden des Künstlers, in Arnim Zweite, Maria Müller (a cura di), Francis Bacon. Die Gewalt des Faktischen, München, Hirmer, 2006, p. 77. 18 David Sylvester, Gespräche mit Francis Bacon, München e New York, Prestel, 1983, p. 46. 19 Martin Harrison, Francis Bacon: Extrempunkte des Realismus, in Arnim Zweite, op. cit., pp. 37‐55, in particolare p. 43. 20 Vedi Gilles Deleuze, Francis Bacon‐Logique de la sensation, Paris, Editions de la différence, 1984. 7