francisco goya

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UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ
fondata dal Lions Club di Cinisello Balsamo
patrocinata dal Comune
ANNO ACCADEMICO 2012-2013
CORSO:
L’EUROPA NEL ‘400 E ‘500
FRANCISCO GOYA
UN GENIO A CAVALLO DI DUE SECOLI
Docente: Pinuccia Roberto Indovina
Lezione del 20 aprile 2015
Francisco Goya Y Lucientes
Francisco Goya nasce nel 1746 e muore ottantadue anni dopo, pertanto, con la
sua immensa produzione pittorica, attraversa gli anni nevralgici che traghettano
l’arte Europea dal Rococò, al neoclassicismo più puro, alle molteplici espressioni
del romanticismo ottocentesco.
Egli, però, pur essendo testimone attento del suo tempo, è certamente lontano
sia dalle frivolezze del Rococò che dal decoro minuzioso e dalla precisione
accademica dello stile neoclassico; lo affascinano, piuttosto, le tonalità
cromatiche dei pittori veneti del 500 e la pittura introspettiva di Velasquez e
Rembrandt, che egli considererà sempre i suoi maestri.
In effetti la sua straordinaria personalità pittorica si dimostrerà via via sempre più
estranea ad ogni corrente artistica e la sua libertà e originalità espressiva,
facilitata e sostenuta da spiccate doti tecniche, fanno di lui il pittore più nuovo,
poliedrico e rivoluzionario del suo tempo.
Goya nasce a Fuendetodos nei pressi di Saragozza, dove il padre, un modesto
doratore, ben presto si trasferisce portando con sé la sua numerosa famiglia.
A Saragozza Francisco frequenta la scuola degli Scolopi. Qui conosce Martin
Zapater col quale l’artista manterrà una fitta corrispondenza per quasi tutta la sua
lunga vita. Tale carteggio è stato fondamentale per documentare le tappe della
sua vita e tracciare il profilo umano e artistico del pittore.
Dal 1760 al 63 frequenta, a Saragozza, lo studio del pittore José Luzàn, modesto
seguace del Solimena e stringe amicizia con i fratelli Francisco e Ramon Bayeu.
Nello studio di Luzàn Goya si dedica a copiare stampe antiche di ogni genere,
passione che manterrà per tutto il resto della sua vita.
Nel 63 si trasferisce a Madrid dove l’amico Francisco Bayeu, di 12 anni più grande
di lui, divenuto, nel frattempo pittore di corte, lo chiama a far parte della sua
scuola di pittura.
Entrare a corte è un’occasione straordinaria per accedere alle collezioni private e
ammirare le opere di Rubens, Rembrandt e soprattutto Velasquez, pittore molto
amato dai reali di Spagna. Goya ha inoltre l’opportunità di visitare il cantiere di
Palazzo Reale dove Tiepolo con i figli e uno stuolo di pittori, sta ultimando gli
affreschi dei soffitti delle sale di rappresentanza.
Tenta per ben due volte, nel 63 e nel 66, di accedere ai corsi della Reale
Accademia di San Fernando ma senza successo.
Forse la delusione per il mancato ingresso in accademia, forse l’ammirazione per i
pittori Italiani spingono Goya ad intraprendere, alla fine del 1769, un viaggio in
Italia.
Visita Torino, Venezia, Milano, Siena e infine si ferma a Roma.
Nei quattordici mesi del soggiorno Romano egli trascorre intere giornate tra le
numerose rovine della Roma antica, ammira nelle chiese e nei palazzi patrizi le
testimonianze del nostro Rinascimento e partecipa attivamente alle nuove
proposte artistiche che animano la capitale.
Nel giugno del 1771, arricchito da questo straordinario bagaglio culturale, ritorna
a Saragozza, dove riceve l’incarico di affrescare la volta del coretto della cappella
della Madonna del Pilar, nella cattedrale cittadina.
L’affresco Adorazione del nome del Signore lungo 15 metri, molto gradito al
Collegio dei Canonici, gli procura, ben presto, fama e committenze tali, da fare di
lui il pittore più ricercato di Saragozza.
Nel 1773 sposa Josefa Bayeu, sorella del suo amico Francisco: sarà un matrimonio
sereno, allietato da sette figli dei quali, però, solo uno Javier, gli sopravvivrà.
Grazie all’interessamento del cognato, divenuto ormai uno dei pittori più influenti
di Madrid, Goya ottiene, nel 1774, l’incarico di disegnare i cartoni per la Real
Fabbrica di arazzi di Santa Barbara diretta da Anton Raphael Mengs l’artista più
quotato del tempo e pittore di corte di re Carlo III. Nello stesso anno l’artista
lascia Saragozza e si trasferisce con la famiglia a Madrid.
Nei 63 cartoni eseguiti tra il 75 e l’80 e poi ancora fino al 92 il suo linguaggio
pittorico si evolve e si perfeziona raggiungendo vette di estrema eleganza e
originalità.
Egli, alla maniera del rococò francese, tanto cara alla nobiltà del tempo,
rappresenta il mondo allegro e spensierato della gioventù madrilena e dei loro
divertimenti preferiti: i giochi, le feste, le passeggiate, le colazioni sull’erba.
Ma, se la varietà compositiva e gli spunti sono dei pittori francesi come Fragonard
e Watteau, i personaggi non sono svenevoli damine o ingenue pastorelle ma la
maja e Il majo, giovani dalla personalità prorompente, ricca di carica sensuale.
(Ballo dei Majos nei pressi del Manzanarre - Il mercante di porcellane)
Il Parasole del 1777 è la prima grande opera maestra di Goya. Nonostante la
leggerezza e la leziosità del soggetto, i colori, lontani dai madreperlacei e sfumati
acquarelli di Watteau, sono fulgidi, puri, netti, contrastanti e riescono a dare al
quadro un’intensità pittorica ricca di armonia e di luce.
Il bozzetto, destinato a un arazzo da mettere sopra a una porta, colloca i
personaggi sopra una collinetta, così il riverbero della luce illumina il volto della
maja e dà fisicità alle figure, creando la prospettiva con un fondale puro e
assolato.
Ma non in tutti bozzetti si trova questa esplosione di serena armonia. Man mano
che la produzione va avanti i quadri si riempiono di un velo di malinconia sia
nell’espressione dei personaggi che nei toni più tenui dei colori. Infatti, Goya,
distanziandosi delle grandi tradizioni pittoriche, introduce per la prima volta nei
suoi quadri situazioni di emarginazione sociale e personaggi disabili ai limiti del
grottesco. (Il chitarrista cieco)
Nel 1779 muore a Roma Mengs e lascia scoperto il suo posto di Membro
dell’accademia di S. Fernando. Goya ottiene la prestigiosa posizione presentando
Cristo in Croce, un’opera dallo stile levigato, secondo i dettami del Mengs, e dal
carattere declamatorio, carico di pietismo ma aderente ai canoni richiesti dagli
accademici e dalla Chiesa. Il nuovo incarico gli permetterà una vita più agiata, una
casa più comoda, una carrozza e amici potenti.
Nel 1780 è chiamato a Saragozza per affrescare la cupola della navata nord della
Chiesa del Pilar insieme con il cognato Francisco, incaricato di un lavoro analogo
nello stesso edificio. A Goya spetta l’incarico di decorare la cupola con l’immagine
della Vergine come Regina Martyrum.
Qui la pittura di Goya, si fa più libera e originale. Egli, lontano dagli schemi classici,
dà alla cupola una prospettiva aerea, ottenuta con una pennellata rapida e sottile
e dei colori cangianti e luminescenti. Il tutto rende la visione evanescente e dà
l’idea del non finito. Francisco Bayeu critica aspramente la sua pittura
giudicandola frettolosa e schematica. I contrasti sempre più frequenti porteranno
al definitivo allontanamento dei due cognati. Paradossalmente questa prova così
contestata servirà ad affermare la sua personalità e ad ottenere la benevolenza
del re e di conseguenza l’avvicinamento alle famiglie della nobiltà madrilena che,
desiderose di apparire, gli commissionano dei ritratti.
Il primo ritratto ufficiale è quello del Conte di Floridablanca segretario di stato e
primo ministro del re Carlo. Secondo i canoni più tradizionali del ritratto di corte,
l’artista privilegia l’aspetto adulatorio del personaggio, in posa con costumi fastosi
in un ambiente ricco e prestigioso. L’espressione del viso è statica e formale priva
di qualsiasi profondità interiore. La luce centra la figura lasciando nell’ombra la
sagoma del pittore e un ritratto del re che sovrasta il quadro.
Nel 1783 soggiorna nella residenza di Arenas de San Pedro ospite del fratello del
re Don Louis, allontanato dalla corte a causa del matrimonio morganatico con una
giovane donna di 31 anni più giovane di lui. Durante questo periodo realizza tele
di vario genere tra cui La famiglia dell’Infante don Louis, una delle opere più
pregevoli di questo primo periodo.
Il dipinto è un seguito di ritratti individuali raccolti insieme in una sorta di
conversazione notturna. Come nelle opere di Rembrandt, altra fonte di
ispirazione di Goya, il fulcro della luce sta sulla bianca camicia da notte della
giovane sposa attorno alla quale roteano dei vivaci e vividi ritratti di servitori,
bambini, cortigiani, visitatori caratterizzati da una fisionomia ben definita. La
tavolozza, tutta basata su toni bassi di marrone grigio e ocra, da unità e armonia
al quadro mentre qualche sprazzo di azzurro e verde vivacizza l’intera
composizione. Il pittore si ritrae ancora in ombra, come Velasquez, ma in una
posa disinvolta e interessata.
La ventata democratica Illuminista che pervade la Francia, raggiunge, intanto,
anche la Spagna. Goya è affascinato dalle nuove idee liberali e comincia a
frequentare ambienti in cui si promuovono teorie volte a contrastare il
malgoverno e lo strapotere della nobiltà e del clero. Intellettuali e illuministi, i
Duchi di Osuna, diventano sinceri amici del Pittore. Essi possiedono una biblioteca
vastissima e sono sempre impegnati in opere di grande valenza culturale e
sociale. La Duchessa, in particolare, s’interessa della condizione femminile nelle
carceri e nei quartieri degradati della città e ha, in passato, promosso una
campagna per la vaccinazione dei bambini. Goya fa di tutta la famiglia un ritratto
intenso e partecipato: I duchi di Osuna con i figli. Nel gruppo, sereno, si
osservano facilmente la disponibilità di carattere del Duca e la profonda
intelligenza e bontà della Duchessa. Qui la voluta inespressività dei volti rende
ancora più pura l’armonica realizzazione pittorica basata sul raffinato trapassare
di accordi cromatici ed eleganti sfumature opalescenti. Dolce e tenera
l’espressione dei bambini che per Goya rappresentano il simbolo dell’innocenza.
Per I duchi di Osuna realizza anche una serie di quadri per la loro dimora di
campagna, e due grandi tele da destinare alla cappella dedicata a s. Francesco
Borgia, un loro antenato, nella Cattedrale di Valenza. E’ proprio In una di queste,
San Francesco Borgia assiste un moribondo impenitente, che cominciano ad
apparire le figure grottesche e deformi che avranno tanto spazio nella futura
produzione pittorica dell’artista.
La sua coscienza morale e politica cresce dunque nel culto della dea ragione, ma,
come uomo, e soprattutto come artista, egli non disdegna né i favori che la corte
continua ad elargire né le committenze delle potenti famiglie madrilene.
Del 1788 è il ritratto del piccolo Manuel Osorio figlio del direttore del Banco di S.
Paolo. Il bimbo si staglia al centro del quadro con un vestito di un rosso squillante
lasciando nell’ombra gli animali, che grazie a sapienti tocchi di colore, rimbalzano
sulla tela con prepotente vitalità. Intanto per Goya sono anni di grande lavoro, di
successi, di denaro.
Nel 78 è nominato pittore di corte e consegna altri cartoni per arazzi destinati alle
stanze degli Infanti di Spagna: sono nella maggior parte descrizioni di giochi
infantili trattati con particolare tenerezza, il che rivela la nostalgia del pittore per i
suoi bimbi quasi tutti morti in tenera età.( la cavallina)
Di questa serie fa parte anche La prateria di S. Isidro che raffigura la festa del
Santo Patrono presso, appunto, la località di S. Isidro sulle rive del Manzanarre. La
scena, è descritta con immediatezza ed è esaltata da un rigoroso impianto
compositivo ottenuto con un sapiente gioco di piani paralleli che danno
profondità al quadro. Vi è nella tela un brulicare di persone e cose, in un vorticoso
rincorrersi di colori: il tutto reso sapientemente con brevi e rapide pennellate.
Sullo sfondo Madrid, con i suoi monumenti essenziali, si fa ammirare in
lontananza. La luminosità del quadro e l’immediatezza della visione en plein air
anticipano i temi della pittura dell’800.
Nel dicembre 1788 muore Carlo III e sale al trono di Spagna Carlo IV.
In occasione della loro Incoronazione, Goya viene incaricato di eseguire una serie
di ritratti del sovrano e della moglie Maria Luisa di Parma. I dipinti gli valgono, nel
1789, la nomina di Pittore di Camera, massimo raggiungimento degli artisti del
tempo. Carlo IV sebbene debole e inetto ama le arti e, e quindi, sotto il suo regno,
Goya potrà usufruire di favori e privilegi di ogni genere.
Ma il 1789 è anche l’anno della rivoluzione Francese. La vecchia Europa viene
scossa dalle fondamenta e le nuove idee riformiste serpeggiano veloci e trovano
terreno fertile tra gli strati più colti delle popolazioni europee. La monarchia
spagnola attraversa momenti di grave difficoltà. La nomina di Godoy, amante
della regina, a primo ministro crea tensioni all’interno della corte; la paura del un
crollo della monarchia terrorizza la nobiltà madrilena. Sono perseguiti gli
intellettuali che simpatizzano per le idee illuministe, e Goya, che spesse volte
aveva mostrato insofferenza per la gretta mentalità spagnola, cerca di frenare il
suo congenito liberalismo per mantenere la fiducia de Re e della corte. Pur
controvoglia, nel 1792, consegna alla famiglia reale l’ultima serie di otto cartoni
destinati all’Escurial. Questi sono di argomento paesano e agreste come i
precedenti, ma senza alcuna gioia o spensieratezza, anzi piuttosto intrisi di una
vena critica e melanconica e ricchi di elementi ironici e caricaturali. La frivolezza
delle scene non riesce a nascondere il disagio dell’artista di fronte
all’incongruenza tra la rappresentazione e la percezione emotiva. (Il Fantoccio Lo sposalizio).
Nel 1792, durante un viaggio a Cadice, dove è ospite di Sebastian Martinez,
raffinato collezionista, si ammala gravemente, e, alla fine di una lunga
convalescenza, si ritrova completamente sordo.
La malattia costituisce il doloroso spartiacque della sua esistenza; da ora in poi la
sofferenza e il dolore per la perdita dell’udito renderanno Goya più consapevole
delle scelte che sarà chiamato ad affrontare nella sua vita e nella sua arte.
Solo nell’estate del 1793, dopo quasi un anno di forzata inattività, riprende a
dipingere.
Nel gennaio del 1794 invia al vice direttore dell’Accademia, Bernardo di Yriarte,
undici piccoli dipinti su latta con scene di violenza ed episodi tragici che registrano
una sorta di inquietudine interiore da parte dell’artista e segnano un profondo
cambiamento nella sua pittura che, da ora in poi, esplorerà i lati più nascosti della
società rappresentandoli in maniera libera e originale. (Incendio notturno - Il
recinto dei pazzi)
Nel 1895 muore Francisco Bayeu e Goya prende il suo posto nella direzione
dell’Accademia. La carica agognata lo esalta ed egli si rituffa con rinnovato vigore
nella pittura. Realizza in questo periodo dei magistrali ritratti vividi e intensi, ricchi
di colori e carattere.
Nel ritratto di Maria del Rosario Fernandez detta La Tira(n)na, celebre artista
Spagnola del tempo, Goya, rinuncia ad ogni elemento accessorio e realizza
un’opera di una grande forza espressiva che si distingue per la sottile
penetrazione psicologica del personaggio e lo splendore delle tonalità cromatiche
dell’abito.
Nel 1795 irrompe nella sua vita Maria Teresa Cayetana, moglie del Duca D’Alba.
Sarà il grande amore, mai corrisposto, del pittore. Di lei ci restano due
straordinari ritratti ufficiali tra i più belli della produzione pittorica di Goya: uno
realizzato nel 95 e uno nel 97.
Il primo inquadra la figura eretta e maestosa della donna che indossa un sontuoso
vestito bianco arricchito da un’alta cintura dello stesso rosso cangiante del fiocco
e della coccarda poggiata su una folta chioma di capelli nerissimi. Il fondo, di
colore neutro con il sottile rilievo di un paesaggio, staglia in primo piano la figura.
Lo sguardo, anche se non grandemente espressivo, mostra una potente carica
erotica.
Nel secondo Goya ritrae la duchessa in uno splendido abito tradizionale di pizzo
nero. Quasi a suggellare un rapporto lungamente desiderato, ma mai appagato; fa
indossare alla dama un anello con inciso il nome, Goya, nome che ritorna tra la
polvere accanto ai piedi della donna che lo indica, quasi a voler dimostrare che
può calpestarlo da un momento all’altro. Anche qui l’espressione altera e
sprezzante non rileva particolari riscontri psicologici.
Resa più intollerabile dalla malattia, la delusione sentimentale diviene
frustrazione cocente ai limiti della misoginia e la figura della donna è spesso
ricorrente nelle sue incisioni in rappresentazioni che alludono alla seduzione, al
peccato, al male.
Chiusa la dolorosa parentesi personale o nel tentativo di archiviarla, Goya si
dedica a decine di altre opere con foga ed entusiasmo. Realizza ancora dei
magnifici ritratti di amici e illustri personalità politiche e otto meravigliosi dipinti
sulla stregoneria commissionati da i duchi di Osuna per la loro residenza di
campagna di Alameda. I quadri, destinati allo studiolo della duchessa, rispondono
ad una moda diffusa tra l’aristocrazia intellettuale del tempo; infatti i temi della
magia e del satanismo vengono trattati e irrisi dai letterati illuministi, quasi a
riprova di un superamento della razionalità sulle superstizioni e credenze da cui il
popolo è ancora fortemente impressionato. Goya trova il modo di dare libero
sfogo alla sua fantasia rappresentando il lato oscuro e macabro delle pratiche
demoniache con figure frutto di personalissima immaginazione che diventano
metafora della condizione umana universale.
Intanto al crollo della Francia corrisponde il disfacimento della monarchia
spagnola. Lo strapotere di M. Luisa e del suo amante Godoy, la debolezza e la
superficialità del sovrano, la corruzione dilagante in tutta la classe politica,
provocano il crollo economico del paese e la conseguente distruzione del tessuto
sociale.
Goya non può assistere immobile allo spettacolo desolante del popolo madrileno,
così usa l’unico strumento di sua competenza, la pittura, per esprimere questo
coacervo di rabbia, delusione, protesta. Ed ecco la serie di ottanta acqueforti
pubblicata, a sue spese, nel 1799 col titolo Capricci che costituiscono la più alta
espressione del suo pensiero critico e illuminista e contrassegnano una delle vette
più alte della sua arte. I capricci rappresentano, come lo stesso Goya dichiara nel
testo che ne annuncia la pubblicazione la censura degli orrori e dei vizi umani,
delle stravaganze e follie comuni a tutte le società civili, anche se in effetti si
rivelano un manifesto contro l’iniquità sociale, i vizi individuali, la stupidità, la
discriminazione, l’arroganza del potere dell’aristocrazia e del clero.
Uno per tutti il famoso capriccio N° 43 Il sogno della ragione genera mostri: una
metafora del pensiero illuminista che intorpidito e annebbiato da dissertazioni
fantastiche non si rende conto dei mostri che lo assalgono.
Ma la feroce critica dell’accademia, l’accusa di oscenità e blasfemia da parte
dell’Inquisizione, l’ostilità della corte, che vede nell’opera una esplicita critica alla
gestione dello stato, costringono Goya a ritirare i trecento esemplari dell’0pera e
consegnare le lastre al sovrano.
Alcune delle stampe vendute a mercanti e collezionisti stranieri contribuiranno a
far conoscere l’opera di Goya soprattutto in Francia e In Inghilterra, dove la satira
dei costumi aveva avuto in Hoghart un illustre rappresentante.
Inaspettatamente il clamore suscitato attorno ai Capricci gli procura importanti
commesse che Goya, oberato dai debiti, accetta senza discutere.
Alla vigilia di essere nominato Primo Pittore di Camera, Goya, viene incaricato di
affrescare l’eremo neoclassico di S. Antonio della Florida alle porte di Madrid.
L’affresco dovrà rappresentare S. Antonio nell’atto di resuscitare l’uomo che
scagionerà il suo stesso padre dall’accusa di omicidio. Questo diventa un pretesto
per una rappresentazione quanto mai ardita e originale. Il miracolo avviene per
strada tra una folla di mendicanti, majas, braccianti, popolani, bambini che si
affacciano dalla cornice di ferro che corre alla base della cupola, in uno spaccato
vivace e colorato della vita Madrilena di sapore essenzialmente profano. Il
miracolo di S. Antonio, illustrato al centro del quadro, è solo un pretesto per un
nuovo messaggio pittorico. Scompaiono nella cupola le figure mistiche, gli angeli, i
cieli, gli spaccati luminosi alla Tiepolo. La pittura è ricondotta a una narrazione
profondamente terrena, dove la religiosità fa parte della vita di tutti i giorni. Le
figure appena sbozzate, grazie ad una pennellata decisa e una tecnica consolidata,
acquistano espressione e tridimensionalità.
Come Primero pintor de càmara, nel 1800, realizza uno dei dipinti più importanti
della sua carriera: il Ritratto del re Carlo IV e di tutta la sua numerosa famiglia. Il
pittore, dopo aver studiato la psicologia di tutti i membri della famiglia reale con
una serie di bozzetti preparatori, realizza un quadro apparentemente formale e
realistico ma dal chiaro intento satirico. E’ proprio grazie al suo genio pittorico che
egli riesce nell’intento di attirarsi la benevolenza dei sovrani e allo stesso tempo
affrancarsi dai compromessi che, nella sua posizione, è costretto ad accettare. La
famiglia reale viene ritratta in pompa magna agghindata di gioielli e onorificenze
con al centro l’invadente sovrana Maria Luisa il cui abito è un capolavoro di
bagliori luminosi e toni cromatici. Di tutti i personaggi, però, pone in risalto, con
spietata crudezza, la volgarità, l’arroganza, la stupidità realizzando dei ritratti
vividi e fortemente espressivi.
Dal punto di vista pittorico il quadro è uno dei più grandi e sublimi dipinti dell’arte
spagnola, per lo splendore cromatico, l’armonia dei bruni e dei rossi e per i colori
chiari dalla trasparenza madreperlacea.
Goya, sebbene impegnato a corte, lavora a ritratti commissionati dalle ricche
famiglie madrilene. Nel Ritratto della Contessa di Chinchon, Goya, ci dà una
visione tenera della donna dipingendola con toni chiari basati sulla sola tonalità
del bianco perlaceo.
Degli anni attorno all’800 sono le due pitture gemelle più famose e note del
pittore La Maja Vestida e La Maja Desnuda. Le due pitture, dalle identiche
misure, erano senz’altro sovrapposte l’una all’altra. Attraverso un congegno di
saliscendi posto sulle cornici, la Maja vestida rivelava a pochi intimi la versione
senza veli per rendere più eccitante e sensuale la sorpresa.
Le due opere, furono probabilmente commissionate dal debosciato Godoy per il
suo gabinetto privato, e ritraggono quella che era la favorita del momento. La
Maja desnuda è, nella storia della pittura spagnola, il primo dipinto che mostra un
nudo di donna senza ipocriti avalli biblici o mitologici. E’ un inno alla liberazione
della donna che offre all’ammirazione di chi la osserva il suo corpo, fiera della sua
bellezza e conscia della seduzione che emana con la sua posa esplicita e diretta.
La Maja vestida assume toni ancor più voluttuosi della desnuda per l’opulenza
delle forme sottintese dal ricco abito e lo sguardo intenso e consapevole.
Ma Il degrado morale e l’ottusità politica dei sovrani spagnoli fanno sì che Goya si
allontani sempre di più dalla corte per dedicarsi ad una pittura privata ritraendo
amici e persone comuni quasi nella ricerca di scandagliare la varietà della natura
umana. Ritratto di Bartolomè Sureda -Ritratto di Dona Isabel de Porcel - Ritratto
di Teresa Luisa de Sureda sono tutti capolavori della ritrattistica dove ad una
pittura sicura e raffinata si aggiunge una profonda introspezione psicologica dei
personaggi.
Nel 1807 col pretesto di partecipare alla guerra contro il Portogallo, le truppe
Francesi invadono la Spagna. Per Goya è la fine del suo sogno illuminista! A
questo periodo si fa risalire Il colosso un dipinto che sembra dare una visione
apocalittica di quanto sta per abbattersi sulla Spagna: il gigante che sovrasta
l’orizzonte popolato di una moltitudine di minuscoli esseri atterriti è anche
simbolo dei fantasmi latenti nella psiche umana.
All’inizio del 1808 Madrid è invasa. Carlo IV è costretto ad abdicare in favore del
figlio Ferdinando VII, il quale però regna solo qualche mese perché Napoleone,
impossessatosi dell’intera Spagna, proclama re il fratello Giuseppe. Tra guerriglie,
sommosse e rappresaglie l’assedio francese durerà cinque lunghi anni.
Goya, nonostante si senta tradito dall’ideologia liberale che tanto l’aveva
entusiasmato nei primi anni della sua giovinezza, pur di non perdere il posto di
primo pittore di camera continua a lavorare alacremente adattandosi agli umori
delle forze che si alternano al governo della Spagna. Ma la sua pittura ha perduto
per sempre la leggerezza iniziale ed è sempre più permeata da un cupo
sentimento del male, che rende le visione crude e sferzanti. Majas al Balcone –
La Maja e la mezzana al balcone - Le vecchie.
La dura realtà della guerra, mette l’artista a contatto con l’aspetto irrazionale
della natura umana, con la crudeltà, la violenza, l’orrore, l’ingiustizia. I Francesi,
modello di quanto di positivo e di razionale si desiderasse in Spagna, diventano i
nemici, i violentatori, gli autori di assurdi soprusi. Egli traduce il suo strazio
profondo in una seconda serie di
acqueforti I disastri della guerra, che
rappresentano una delle denunce più intense ed espressive contro le calamità
causate dall’uomo: sono immagini di supplizi, di efferate crudeltà, di torture di
ogni genere narrate con uno stile dinamico e con feroce realismo.
Dopo il crollo definitivo dell’impero napoleonico, l’idea di un rinnovamento
democratico in Europa crolla miseramente.
Goya, finita la guerra, cerca di dimenticarne gli orrori e ricostruire la propria vita.
Nel 1812 muore la moglie Josefa ma accanto a lui rimane il figlio Javier e una
giovane donna Leocadia Zorrilla con la quale ha già intrecciato, prima della morte
della moglie, un rapporto sentimentale. Per farsi perdonare i suoi trascorsi filo
francesi e liberali, Goya, prima del ritorno di Ferdinando VII, realizza per il
Governo di Reggenza due tra le opere più significative e straordinarie della sua
produzione artistica. Entrambe rappresentano due fondamentali momenti della
ribellione del popolo madrileno contro gli oppressori francesi. 2 maggio 1808:
lotta contro i Mamelucchi e 3 Maggio 1808: fucilazione alla Montana del
principe Pio. Il primo rappresenta la sollevazione del popolo a Puerta de Sol,
contro i Mamelucchi, mercenari al soldo di Murat. Goya non esita a deformare la
realtà per intensificare il valore di ciò che rappresenta. I personaggi, pur non
essendo definiti nelle loro fisionomie, risultano fortemente comunicativi e la loro
presenza trasmette terrore e angoscia. Tutta la composizione si focalizza sul tocco
di rosso dei pantaloni del soldato Turco rovesciato sul dorso del cavallo. Attorno
ad esso ruota la massa cromatica dei combattenti che dà dinamicità e potenza
espressiva alla rappresentazione. I colori, distribuiti con grande sapienza e
veemenza, creano piani infiniti che contribuiscono a dare unità spazio-temporale
al dipinto. Il secondo descrive la fucilazione di quattrocento patrioti spagnoli da
parte delle truppe occupanti in seguito al ferimento di un soldato francese
durante una sommossa. Qui la scena si svolge di notte contro un fondale neutro.
La composizione è studiata secondo due piani plastici distinti: da una parte quello
compatto e statico del plotone di esecuzione, dall’altra quello più articolato e
mosso di coloro che andranno a morire. Anche in questo dipinto il fulcro della
scena è concentrato sul bianco della camicia del patriota che, con gli occhi
sbarrati dal terrore e le braccia allargate urla la sua estrema protesta. Questo
grido tragico e disperato contiene l’appassionato proclama dell’artista contro la
crudeltà degli uomini, i soprusi, la violenza.
Di questo stesso periodo è una serie di acqueforti sulla Corrida e un nuovo ciclo di
incisioni pubblicato col titolo di Proverbios.
Qui la sua psiche dà sfogo a immagini surreali dal significato indecifrabile. Tutto
appare lacerato dal caos che sovverte l’ordine delle cose.
Nel 1814 ritorna sul trono Spagnolo Ferdinando VII. L’illusione di costruire una
democrazia liberale dura poco. Ferdinando VII abolisce la Costituzione e riafferma
il potere monarchico con crudeltà e dispotismo colpendo principalmente le forze
liberali e coloro che le avevano appoggiato. Goya non ama il nuovo sovrano, ma,
in qualità di pittore di corte, esegue una serie di ritratti dello stesso re Ferdinando
e di personaggi della sua corte. Sono anche di questo periodo il celebre
autoritratto conservato al Museo del Prado e ritratti di amici e di membri della
sua famiglia tra cui quello delizioso e tenero del suo unico nipotino.
Nel 1819 Dopo un viaggio in Andalusia, dove realizza ancora dipinti di carattere
sacro, si ammala gravemente. Un emozionante dipinto mostra l’artista, tra le
braccia del medico Arrieta, con una espressione agonizzante di rara intensità.
Superata in parte l’infermità, acquista una casa in campagna, lungo le rive del
Manzanarre, dove si ritira con Leocadia e la loro figlioletta Maria Rosario. In
questa casa, chiamata dagli abitanti della zona, la Quinta del Sordo, si svolge
l’ultima ossessione pittorica dell’artista. Egli tappezza i muri del I° e 2° piano della
casa con dipinti in olio su intonaco che in base allo stile e ai colori scuri adoperati
vengono definite: Pinturas Nigras. Sono tra i lavori più misteriosi e inquietanti
dell’ultimo Goya. Sono esternazioni di un animo solitario che esprime la sua
angoscia esistenziale e la cocente disillusione politica. Ma ogni scena trascende il
suo significato iconografico e raggiunge il massimo della potenza espressiva con
pochi tratti essenziali come nel Cane interrato, dove la testa dell’animale appena
accennato trasmette terrore e angoscia. Il dipinto Saturno è forse la pittura più
drammaticamente espressiva di tutti i tempi. In Saturno che mangia i propri figli,
si racchiude tutta la crudeltà della natura che attraverso guerre, calamità, stragi
procura l’annientamento del genere umano.
La politica antiliberale e liberticida di Ferdinando costringe Goya ad abbandonare
la Quinta del sordo. Pertanto col pretesto di curare i suoi malanni alle terme di
Plombiers varca i confini della Spagna e si rifugia in Francia, prima a Parigi e poi a
Bordeaux, dove si stabilisce con la giovane compagna e la figlioletta. Ma la vena
pittorica dell’artista non è ancora esaurita.
Nel 1827 dipinge il suo ultimo capolavoro: La lattaia di Bordeaux che peraltro
testimonia la sua ritrovata serenità. Il volto dolcissimo della giovane donna
dall’incarnato roseo, il lampo di luce che colpisce la cuffia e lo scialle rendendo il
tessuto vaporoso, l’atmosfera impalpabile piena di bagliori anticipano certi grandi
risultati della pittura impressionista.
L’anno successivo colpito da paralisi, muore nella notte del 15 aprile a 82 anni.
Le sue spoglie tumulate inizialmente a Bordeaux nel 1919 furono riportate a
Madrid nell’eremo di S. Antonio della Florida sotto la cupola da lui stesso dipinta.
A cura di Giuseppina Roberto Indovina
20 aprile 2015