5 - Il Diario

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5 - Il Diario
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5 - Il Diario
Idrees e Rashid
correvano fra la folla del mercato nella periferia del Cairo,destreggiandosi
nell’evitare i passanti ai quali spesso pestavano i piedi. Avevano
fretta,i due ragazzini,di tornare al negozio del padre di Rashid,dove entrambi
lavoravano.
Erano usciti più di un ora prima per consegnare un pacco ad un cliente
e Khalid,il capo,sarà stato sicuramente già arrabbiato per
il loro ritardo. Quel giorno era dedicato all’inventario e Khalid
non aveva certo voglia di farselo da solo.
“Perché corri così?―chiese Rashid al compagno
ansimando―dieci minuti in più o in meno non cambieranno l’umore
di mio padre―
“Perché oggi arrivano di sicuro…―rispose Idrees.
“Arrivano chi?―
“Azibo e…i Kiwi…― Idrees si voltò facendo
l’occhiolino all’amico.
“Lo sai che mio padre non vuole che parliamo coi Kiwi,Idrees!―il
tono di Rashid era preoccupato,il suo amico troppo spesso contravveniva
agli ordini di Khalid,con ripercussioni a volte violente.
Entrambi i giovani egiziani avevano dodici anni ma Idrees era il più
sveglio e caparbio del compagno. La famiglia di Rashid,il padre Khalid e
sua moglie,l’avevano accolto in casa loro dopo che i genitori del
ragazzino erano morti in un bombardamento degli inglesi ad El Alamein,cinque
anni prima.
Idrees era stato subito messo al lavoro nell’emporio di Khalid,una
specie di magazzino dove si poteva trovare qualsiasi cosa,dagli alimenti
alle armi. Il ragazzino si era subito dimostrato un ottimo lavoratore,conosceva
bene l’inglese,avendo convissuto con l’esercito coloniale durante
la campagna d’Africa dei Fascisti italiani,e questo aiutava moltissimo
Khalid in quanto la maggior parte delle sue merci era di contrabbando e
recava etichette americane.
I due ragazzini svoltarono l’ultimo angolo giusto in tempo per vedere
tre uomini avvicinarsi all’emporio. Erano tre grossi uomini di colore,kenioti
o nigeriani a giudicare dalla scurezza della pelle,vestivano di pelli,senza
scarpe,non se ne vedevano molti così a nord ed ogni volta che arrivavano
in città sollevavano sempre agitazione e sospetto. La folla si aprì
al loro passaggio e li guardò sparire dentro al negozio.
Khalid era affaccendato dietro al bancone,imprecando contro
i ragazzi che tardavano,quando i tre negri entrarono e si avvicinarono
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a lui.
“Oh Azibo!―disse Khalid lasciando il suo lavoro―era
già da un po’ che non vi facevate più vedere―
Il più alto dei tre fece un breve cenno di saluto col capo,poi
poggiò un biglietto sul bancone.
“Ci servono queste cose―disse Azibo in un arabo molto stentato―in
fretta…―
Il negoziante prese il foglio,lo guardò qualche secondo,poi sgranò
gli occhi e accennò un sorriso.
“è roba difficile da trovare…―disse guardando
il grosso negro di sottecchi―ci metterò un po’…―
“Quanto tempo?―
“Almeno una settimana,l’amico tedesco che può fornirmi
queste cose non tornerà prima…―
Azibo rimase interdetto un attimo,come se valutasse la notizia poi rispose.
“Allora tornerò fra una settimana,ma deve esserci tutto―
“Certo,certo―disse Khalid accomodante―ti ho mai deluso?―
Khalid aveva fatto la sua fortuna durante la seconda guerra mondiale,stringendo
amicizie con soldati e fornitori di entrambe le fazioni,inglesi,tedeschi,italiani
e francesi. Ed ora,a pochi anni dal termine del conflitto molti di questi
avevano continuato a fare affari in nordafrica,avendo per le mani ancora
molte attrezzature ed armi di cui i vari eserciti non si ricordavano nemmeno,e
Khalid sapeva come e a chi rivenderle guadagnandosi la sua fetta.
Azibo impartì un ordine ai suoi due compagni in una lingua sconosciuta,questi
si guardarono,poi fecero spallucce ed uscirono dal negozio.
“C’è ancora qualcosa che posso fare per te?―chiese
Khalid notando che l’altro non accennava ad uscire.
Il negro si avvicinò al bancone ed estrasse qualcosa dalla sacca
che portava a tracolla,era un piccolo quaderno stropicciato,lo posò
davanti all’arabo.
“Mi hanno detto che vale molto―disse l’africano.
“E cos’è questo?―chiese Khalid prendendo il quaderno
e rigirandoselo fra le mani.
“Io non lo so…ma vale molto…―ripetè Azibo.
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Khalid lo aprì e scosse la testa.
“Dove lo hai preso?―chiese.
“l’ho trovato…cosa mi dai in cambio?―
“Ah ah!―l’arabo lo riappoggiò sul bancone “cosa
me ne faccio di un quaderno sgualcito e scarabocchiato?e per giunta in
inglese…io non voglio guai con gli inglesi,se hai ammazzato qualcuno
per averlo…―
“L’ho trovato!―Azibo cominciava a seccarsi―e mi
hanno detto che vale molto!―
“Beh ti hanno fregato amico mio,quella roba non vale niente…ed
ora se vuoi scusarmi…―
Khalid voltò le spalle al grosso uomo che,fremendo di rabbia,raccolse
il quaderno e si avviò a grandi passi verso l’uscita.
Idrees attese che i tre uomini di colore si allontanassero
un centinaio di metri dal negozio,poi,furtivamente,li raggiunse.
“Azibo!―chiamò timidamente il ragazzino,l’uomo
si fermò e si voltò verso di lui,salutandolo con un cenno
del capo.
“Ho visto che mostravi qualcosa a Khalid―continuò Idrees―ma
non mi sembra fosse molto interessato…―
“Pensavo di avere una cosa di valore da scambiare―rispose
Azibo badando a non farsi sentire dai suoi due compagni―ma così
non era,mi hanno preso in giro…―
“Magari non era nulla di interessante per lui…posso vedere?―
Azibo sorrise ed estrasse il quaderno dalla tracolla.
“Sei sempre molto curioso giovane Idrees―disse allungandoglielo―non
è salutare di questi tempi…―
Il ragazzino diede una rapida occhiata al quaderno,sembrò riflettere
qualche secondo.
“è scritto in inglese―disse infine―io so leggerlo,Khalid
no…me lo dai?―
Il grosso negro alzò le spalle.
“Tanto sembra che nessun’altro lo voglia…tienilo pure―finito
di parlare si voltò e fece per andarsene ma Idrees lo fermò.
“Aspetta!tieni―il giovane estrasse dalla tasca due barrette
di cioccolato fondente―le ho prese in magazzino―
“Ma il tuo capo…―
“Oh,lui non se ne accorgerà ,sono io che tengo i conti del
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magazzino,sarà un piccolo segreto fra di noi…―
Il sorriso di Azibo si allargò ancora,scompigliò i capelli
del ragazzo con fare gentile,infilò le barrette nella tracolla
e raggiunse i suoi compagni che lo aspettavano pochi metri più
avanti guardandosi interrogativi.
Idrees nascose il quaderno sotto la tunica e tornò di corsa al
negozio.
“Ma quanto ci avete messo?―sbottò Khalid
quando Idrees e Rashid entrarono nell’emporio―proprio oggi
che è giorno d’inventario,forza!tutti e due nel retro,io
ho ancora qualche affare da sbrigare,poi vi raggiungerò. Cominciate
senza di me forza!―
I due ragazzini non aspettarono un secondo ordine e corsero nel magazzino
nel retro del negozio.
“Bene―disse Idrees che si era ormai abituato a comandare nelle
faccende d’inventario―tu comincia dagli alimentari,io vado
nel reparto vestiario―.
Il ragazzo sapeva che Rashid ci avrebbe messo delle ore per compiere il
lavoro che lui avrebbe svolto in pochi minuti,così,tranquillo per
l’assenza del capo,si sedette su di un cumulo di coperte e aprì
il quaderno. In pochi istanti si rese conto che doveva trattarsi di un
diario e si immerse nella lettura.
IL DIARIO DI ANDREW FRENERS:
Ce l’ho fatta!Sono riuscito a convincere i miei
carcerieri che avevo bisogno di un quaderno sul quale registrare i miei
appunti. Ne ho strappato metà delle pagine e le ho nascoste nella
mia piccola cella,assieme a metà della matita,le altre metÃ
le userò per scarabocchiare qualche formula elementare,così
da convincerli che lo stò davvero utilizzando allo scopo patuito.
Non so se sarò io a portare questo diario all’esterno di
qui,ovunque siamo qui,ma in qualche modo troverò il sistema per
farlo arrivare fuori ed avvertire tutti dell’immane pericolo cui
andiamo incontro,e con noi intendo l’intera razza umana…
Dunque,io sono Andrew Freners,sono americano e sono stato rapito,non so
da quanto,mi trovo in una piccola cella con un letto e nessuna finestra,perciò
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non posso rendermi conto dello scorrere del tempo in base al sole,i miei
effetti personali,come l’orologio mi sono stati sottratti,perciò
non so nemmeno se ora sia giorno o notte.
In base alla lunghezza della mia barba non credo siano passate più
di due settimane da quando sono salito su quel taxi al Cairo.
Era il sei di aprile e mi trovavo nella capitale egiziana da una settimana,una
meritata vacanza dopo mesi di duro lavoro. Se avessi saputo cosa mi aspettava
sarei andato in Nebraska da mia madre come al solito,ma se ne avessi conosciuto
le conseguenze quante cose non avrei fatto nella mia vita!
Comunque la mattina del sei di aprile 1947 decisi di andare a visitare
le famose piramidi di Giza,si trovano ad una decina di chilometri dal
Cairo e non avevo nessuna voglia ne di affittare un automobile ne di aspettare
uno di quegli scomodissimi autobus puzzolenti e gremiti di gente. Così
ho chiesto al proprietario dell’albergo di chiamarmi un taxi,questo
è arrivato molto in fretta,anzi troppo in fretta,ma sul momento
la cosa non potè che rendermi felice anziché insospettirmi.
Il tassista,Samir,era un gentile ometto paffuto,tutto sorrisi e complimenti,ha
tenuto una piacevole conversazione per tutto il tragitto,parlandomi delle
piramidi,dei loro misteri e di quanto tutti gli egiziani erano grati a
noi americani per averli salvati dalle grinfie del nazi-fascismo. Quando
arrivammo a destinazione gli chiesi se poteva aspettarmi un paio d’ore
o se preferiva tornare in città per poi ripassare a prendermi e
lui si dimostrò molto affabile e disponibile per attendermi lì.
Cominciai dunque a girare attorno alla piramide di Cheope,la più
imponente,la coda di turisti per visitarla era talmente lunga che mi ci
sarebbero volute almeno due ore per entrare,così mi misi a scattare
fotografie,prima alla parte anteriore,c’era molta gente attorno
a me e molti mi intralciavano la visuale.
Decisi allora di svoltare l’angolo e mi ritrovai improvvisamente
solo,ripresi la strabiliante struttura da diverse angolazioni,ma dopo
pochi minuti mi accorsi di essere osservato. Samir mi aveva seguito lontano
dalla folla e stava parlottando con tre tizi avvolti in pesanti tuniche
che ne nascondevano i connotati. Per nulla turbato dalla cosa feci per
avvicinarmi al mio amico e i suoi compagni,sperando che questi fossero
degli esperti della zona e potessero illustrarmi magari qualche segreto
delle piramidi.
Quando giunsi vicino ai quattro uomini mi accorsi che Samir aveva uno
strano ghigno in volto,mentre guardavo lui tesi la mano al primo dei suoi
amici per presentarmi ma questo,fulmineo come un furetto mi afferrò
il braccio in una morsa ferrea.
Ricordo solo che emisi un gridolio di sorpresa,poi qualcosa di pesante
si abbattè sulla mia testa e tutto fu nero…
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Mi sono risvegliato in questa stanza,dopo non so nemmeno
quanto tempo,la prima cosa che ricordo di aver visto era il sorriso malevolo
di Samir a pochi centimetri dal mio naso.
“Ben svegliato―mi disse ridacchiando―lei sarÃ
nostro ospite per un po’,signor Freners―
Io mi alzai di scatto,senza sapere bene cosa avrei fatto,ma quattro forti
braccia mi ricacciarono sdraiato sul lettino,non me ne ero accorto ma
Samir era accompagnato da coloro che mi avevano catturato. Erano tre grossi
uomini di colore,nigeriani forse, a giudicare dalla scurezza della pelle.
“Se lei farà il bravo―continuò il tassista―non
le accadrà nulla di spiacevole,i miei padroni le rivolgeranno qualche
domanda,quando vorranno,e lei risponderà come essi desiderano e
tutto si risolverà per il meglio….altrimenti…―
Naturalmente,senza sapere dove mi trovavo e circondato dai tre energumeni
non avevo assolutamente voglia di sentire la continuazione di quell’―altrimenti―.
Alzai dunque le mani in segno di resa e rimasi seduto sul letto,cosa di
cui Samir sembrò enormemente soddisfatto.
“Cosa volete da me?―riuscii a dire con un groppo in gola.
“Lo saprà quando i miei Signori glielo vorranno far sapere,nel
frattempo si goda il soggiorno e non commetta stupidaggini…―
Detto questo Samir e i suoi tre compagni uscirono dalla stanza lasciandomi
solo con mille domande ed un solo,spaventoso,dubbio: cosa sapevano di
me,del mio lavoro e di ciò che avevo contribuito a costruire due
anni prima?
La risposta non tardò ad arrivare,naturalmente
non so quanto tempo dopo,ma non doveva essere trascorso più di
un giorno quando i tre grossi uomini di colore entrarono nella mia cella,senza
l’egiziano. Già mi chiedevo come avrei potuto comunicare
con loro,visto che dall’aspetto mi sembravano più dei selvaggi
dell’Africa nera che dei rapitori professionisti,quando uno di loro,il
più importante, pensai,dato che vestiva di pelli più ornate
degli altri,mi apostrofò in un inglese stentato ma fin troppo chiaro.
“I miei Signori vogliono il segreto del grande fuoco―disse
senza troppi fronzoli.
Io rimasi allibito per qualche secondo,dunque,seppur in maniera piuttosto
approssimativa,costoro sapevano chi ero e di cosa mi occupavo in America.
Cercai di sviare il discorso,sperando di convincerli che avevano sbagliato
persona.
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“Co…cosa?―dissi balbettando―quale grande fuoco?non
so di che parlate,io sono un impiegato,e non ho famiglia,non riscuoterete
riscatti per la mia vita…―
I tre uomini si guardarono l’un l’altro,poi il capo mi parlò
nuovamente come se non mi avesse nemmeno ascoltato.
“I miei Signori vogliono il segreto del grande fuoco!―ripetè
in tono quasi apatico.
“Allora voglio parlare direttamente coi tuoi Signori―dissi
cercando di darmi un tono risoluto―perché non vengono loro
a chiedermelo?così potrei spiegargli che ci deve essere stato un’errore,uno
scambio di persona…―
Il grosso negro accennò appena un sorriso,come se il mio tentativo
di impormi l’avesse divertito,poi si voltò e uscì
seguito dai suoi compagni.
In quel momento pensai d’averla fatta franca,almeno per un po’,ma
la consapevolezza che questi fantomatici “Signori―sapessero
per certo chi ero smorzò in fretta ogni mio sollievo.
“Il grande fuoco―…non c’erano dubbi su cosa volessero
costoro da me,carpirmi il segreto che aveva reso la mia Nazione vittoriosa
e temuta in tutto il mondo. Un segreto che perfino noi,il professor Fermi
ed io,se ci fossimo resi conto dell’utilizzo che se ne intendeva
fare,ci saremmo ben guardati dallo svelare al mondo ed ai suoi folli governanti.
Il tempo passò molto lentamente nelle successive…ore?giorni?chi
lo sa,comunque sia fui lasciato solo per molto tempo,forse per darmi modo
di accettare la mia situazione e decidere di collaborare o forse solo
perché nemmeno i miei carcerieri sapevano bene cosa chiedermi e
come farlo. Quando sentivo un certo languorino,come se il mio stomaco
interagisse telepaticamente con lui,il capo dei selvaggi mi portava da
mangiare e bere in abbondanza,come se io fossi non un prigioniero ma un
ospite di riguardo,e forse la cosa mi preoccupava più che se mi
avessero trattato in modo peggiore.
Col passare del tempo riuscii ad allacciare una sorta di rapporto con
il grosso negro,lusingandolo per il modo garbato in cui mi trattava,e
facendo risaltare la sua supremazia sulle altre guardie.
Fu così che conobbi Azibo,il quale,ogni qualvolta mi portava da
mangiare, si intratteneva per sempre più tempo a chiacchierare
con me.
Purtroppo però quando cercavo da lui delle risposte sul motivo
per il quale mi trovassi lì,l’uomo le evitava mostrandosi
più spaventato che irritato,e guardandosi attorno nervosamente,come
se qualcuno ci stesse perennemente spiando,qualcuno che lui temeva e adorava
al contempo.
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Generata: 17 March, 2017, 07:05
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“Tu non sei egiziano,Azibo―mi azzardai a chiedergli una volta―da
dove vieni?―
“Io sono nato qui―mi rispose―la mia famiglia vive qui
da generazioni,da sempre al servizio dei Signori…―
“Certo,ma non siete originari di queste terre,il colore della vostra
pelle,i vostri abiti…―
“Il mio popolo risiede nel cuore dell’Africa,il villaggio
dove nacquero i miei antenati è alle falde di un grande vulcano.
I miei avi seguirono i grandi Signori nella loro caccia e si stabilirono
qui con loro….questo è ciò che mi raccontò
mio padre,nessuno di noi è mai stato al villaggio dei Kiwi,questa
è ormai la nostra casa…―
Confortato dalla sua improvvisa voglia di parlare decisi di rischiare
ed approfittare del momento.
“E dove siamo qui?....―
Azibo si voltò di scatto verso di me,con un espressione truce,forse,nella
foga di scoprire dove mi tenevano prigioniero, mi ero tradito,perdendo
un alleato che avrebbe potuto dimostrarsi valido in futuro.
“Io…non posso dire….―fu la sua esitante risposta,dopodiché
si alzò e uscì in fretta dalla cella,e per un po’
di tempo si limitò a portarmi il cibo senza più intrattenersi
a discorrere con me.
Le prime parole che Azibo mi rivolse furono semplicemente
per avvisarmi che finalmente i suoi “Signori― volevano vedermi,notizia
della quale non seppi,e non so nemmeno ora,se rallegrarmi o meno.
Il grosso negro mi condusse fuori dalle cella,per la prima volta,e mi
guidò per una serie interminabile di corridoi ben illuminati,sebbene
io non notassi nessuna fonte di luce artificiale come del resto nella
mia cella,le pareti e il pavimento sembravano di cemento ben lisciato
anche se di un colore che non riconobbi come tale,tutto li dentro era
di foggia,materiali ed architettura a me alieni.
Giungemmo ad un grande portone,anch’esso costituito da materiali
sconosciuti,sul quale erano incisi strani segni,quasi dei geroglifici,raffiguranti
uomini al lavoro e,accanto a loro,degli esseri la cui forma ricordava
quella di enormi insetti,che sembravano comandarli,la cosa mi fece sorridere
sul momento ma quell’attimo di ilarità durò solo fino
a quando Azibo aprì il portone e si scostò per farmi passare.
La stanza in cui entrai era semicircolare,da una parte v’era una
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sorta di gradinata,come in un arena,e al centro un grosso scranno sul
quale Azibo mi fece cenno di sedermi. Rimasi lì ad aspettare qualche
minuto,Azibo si era fermato accanto alla porta e non aveva più
emesso suono,ad un tratto,sulla gradinata che stava di fronte a me scorsi,nella
penombra,delle figure che si andavano sistemando.
Quella parte della stanza non era ben illuminata e nei primi secondi non
riuscii a distinguere nemmeno le sagome di coloro che ero sicuro fossero
i “Signori―,sentii solo uno scalpiccio,come di decine di piccoli
piedini,o zampette e la cosa bastò già a farmi accapponare
la pelle,ma era nulla al confronto di ciò che vidi quando la zona
di fronte a me venne illuminata.
E qui comincia la parte di questa sorta di diario che
chiunque avrà la sfortuna di leggere troverà certamente
frutto di una mente disturbata,visionaria,eppure vi assicuro….è
tutto tremendamente vero…credeteci e portate questa storia al mondo,così
che vi troviate preparati per ciò che inevitabilmente accadrà ….quando
comincerà l’invasione….
Sto divagando….ma anche se ora sono un po’ più abituato
a vederli, la sensazione di brivido che mi percorse la spina dorsale durante
quel primo incontro,mi fa tremare ancora adesso.
Ebbene davanti a me,seduti,per modo di dire,sulla gradinata dell’arena
stavano una decina di enormi insetti,di varie forme e dimensioni,che mi
guardavano,ronzando. Capisco che l’idea che ci si potrebbe fare
della scena è estremamente ridicola,uno scarafaggio che ti guarda
e ronza non è certo ciò che si può definire un’immagine
terrificante (se non per qualche signora),ma ciò che mi scrutava
da quella gradinata non era un nugolo di semplici scarafaggi.
Alcuni di essi erano alti più di un metro e lunghi quasi due,sorretti
da sei zampe lunghe ed ossute,con la coda arrotolata sulla schiena e due
antenne che si muovevano in continuazione come a sondare la mia paura,questi
erano di un colore verde chiaro,quasi fosforescente.
Gli altri insetti erano leggermente più piccoli,ma non certo abbastanza
da non destare terrore,alcuni assomigliavano a scorpioni,altri a farfalle
ed altri ancora a mosche ma tutti avevano una caratteristica comune,degli
occhi enormi e straordinariamente intelligenti che mi osservavano e sembravano
leggermi dentro,come se dentro quelle grosse teste d’insetto albergassero
fior fior di encefali.
Mi voltai verso Azibo, che non si era ancora mosso dalla porta,cercando
in lui il minimo segno di paura o sconcerto ma la sua tranquillitÃ
mi diede la certezza che per lui quello era una spettacolo consueto,ad
un tratto l’uomo di colore si girò verso la gradinata,si
profuse in un rispettoso inchino ed uscì dalla stanza.
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Generata: 17 March, 2017, 07:05
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Quando Azibo fu uscito i ronzii provenienti dagli esseri che mi stavano
di fronte cessò ed uno di essi,uno di quelli verdi con sei zampe,scese
i gradini e mi si avvicinò.
Quando fu a poco meno di un metro da me fissò i suoi occhi nei
miei ed io non potei far altro che ricambiare lo sguardo,terrorizzato
ed affascinato al contempo,avrei voluto piangere ed implorare pietÃ
ma dalla mia bocca non uscì un fiato,ero completamente paralizzato
e fu allora che l’essere cominciò a ronzare,da solo.
Dapprima il suono si dipanò in modo soffuso,appena percettibile,poi
aumentò d’intensità e crebbe,crebbe fino a riempirmi
le orecchie e poi il cervello,fino a quando il rumore diventò immagine,il
frastuono un narratore e l’insetto mi raccontò la sua storia…
Ancora adesso non riesco a rendermi conto di cosa sia
veramente avvenuto quel giorno nella stanza-arena,ho solo ricordi confusi
di uno strano viaggio extracorporeo,brandelli di visione,una sconfinata
città su un altopiano in un periodo preistorico,migliaia di esseri
umani tutti uguali intenti a lavorare e migliaia di enormi insetti che
li osservavano,li guidavano…li comandavano.
E poi….il laboratorio…oh Dio mio…non passa attimo in
cui non preghi perché ciò che ho visto risulti essere solo
una semplice visione,il vaneggiamento di un folle che delira per la prigionia.
Ormai non posso far finta che gli insetti non siano reali,li ho visti
troppe volte,li ho toccati,ho interagito con loro…essi esistono.
Ma la loro storia,quella che mi hanno mostrato,a volte provo ancora a
convincermi che sia una menzogna ideata per distruggere tutto ciò
in cui credo,una bugia atta a ledere i miei nervi per farmi cedere ad
aiutarli nei loro loschi piani.
Perché se la visione dice il vero dovremmo bruciare tutti i libri
di storia,tutte le ricerche sulla genetica e tutti i nostri idoli. Quel
giorno io vidi la nascita del genere umano,creato in laboratorio dalle
menti superiori di questi straordinari insetti,al solo scopo di servirli
ed adorarli come dei.
Vidi anche la fuga dei primi uomini liberi e l’inseguimento di alcune
squadre di insetti che,curiosi di scoprire come se la sarebbero cavata
i loro “esperimenti― nel mondo,si acquattarono nell’ombra
per spiarli,osservarli.
Così nacquero le colonie come questa,piccoli distaccamenti di una
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civiltà ben più ampia che,da quel che sono riuscito a ricostruire
anche grazie all’involontario aiuto di Azibo,risiede nel centro
dell’Africa,nel cuore di un vulcano ed attende….
Dopo quel primo,angosciante,incontro fui lasciato in pace per un po’
di tempo,sicuramente anche loro dovevano aver capito quale shock fosse
stato per me. Nel frattempo ero riuscito a riallacciare un minimo di contatto
con Azibo,audacemente gli avevo fatto credere che la visione mi aveva
lasciato talmente scosso da indurmi quasi ad abbracciare il suo credo
e la sua riverenza nei confronti degli insetti.
Ed ora conosco persino i loro nomi…cioè non di ogni singolo
essere ma quantomeno della razza cui appartiene. Li elencherò nel
modo più semplice e descrittivo possibile,non che la cosa possa
servire a molto,anche nel caso che questo diario esca di qui e capiti
in mani sicure,ma in questo momento non ho null’altro da fare,e
forse condividere con queste pagine un po’ della mia angoscia può
giovarmi.
I grossi insetti dalle sei zampe vengono chiamati OLEVOLD,e sembrano i
più temuti e rispettati,dai rudimenti di arabo che ho imparato
in questo ed altri viaggi che ho fatto qui in nordafrica,questo nome mi
ricorda molto la parola “auolle wold― che significa “figlio
primogenito―,ne deduco che probabilmente i nomi sono stati dati
a questi esseri dagli arabi,chissà quando, e poi adattati dai Kiwi
nel corso degli anni.
A giudicare da come vengono riveriti suppongo che gli Olevold siano una
specie di casta privilegiata,come dei sacerdoti o gli anziani delle tribù
primitive.
Quelli che assomigliano a scorpioni sono gli ACHRAB,che significa per
l’appunto “scorpione― in arabo,sono i più nervosi,forse
i guerrieri degli insetti. Del resto non riesco ad immaginare un combattente
più pericoloso di uno scorpione lungo un metro con chele potenti
e coda aguzza.
Poi vi sono gli ACHRABANARA,come si può dedurre dal nome devono
essere parenti stretti degli Achrab,penso derivi dall’unione delle
parole Achrab (scorpione) e Bannara(cresta),essi sono un po’ più
piccoli dei loro fratelli,più miti e sono dotati di due curiose
creste che ornano il cranio. Penso che la loro funzione sia quella di
operai generici,usano le piccole chele come mani.
E infine,sperando che non ve ne siano altri oltre a quelli che ho giÃ
avuto la sciagura di conoscere,gli insetti volanti,gli SCHNEVER,che vuol
dire “ali―,con questo nome vengono indicati quelli che assomigliano
a grosse mosche,con lunghe cannucce al posto della bocca.
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Generata: 17 March, 2017, 07:05
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Da loro si differenziano i FARASHA che letteralmente significa “farfalla―,ed
appunto a queste assomigliano. Gli insetti volanti devono essere i messaggeri,probabilmente
intrattengono i contatti con il quartier generale posto,secondo quello
che mi ha detto Azibo,nel cuore dell’Africa nera,o con altre colonie
sparse chissà dove.
E così arriviamo ad oggi,stamattina Azibo è
venuto a prelevarmi nella mia cella dicendo che i suoi “Signori―desideravano
incontrarmi,in parte fui persino sollevato dalla notizia,era passato ormai
parecchio tempo dal nostro primo incontro e non sapevo bene se questo
per me potesse essere un buon segno,del resto esisteva una remota possibilitÃ
che gli insetti avessero creduto alla bugia sulla mia identitÃ
e che mi ritenessero inutile,e questo poteva voler dire anche….eliminabile.
Ho seguito il grosso negro per i soliti corridoi e mi sono ritrovato nuovamente
nella sala\arena della volta scorsa,Azibo mi ha fatto accomodare sullo
scranno posto in centro alla stanza e li ho atteso qualche minuto. Dopo
un po’ mi si è avvicinato un Olevold,forse essi sono gli
unici a poter interloquire con gli umani perché finora ho sempre
e solo visto loro farsi avanti,e i rappresentanti delle altre “famiglie―si
sono accomodati sulla gradinata.
L’Olevold ha attaccato con un flebile ronzio,ed io già mi
aspettavo che questo crescesse fino a stordirmi come nella precedente
occasione,invece è rimasto tenue e costante. Nella mia mente hanno
cominciato a prendere forma delle figure,non in maniera dirompente e terribilmente
reale come nella visione della loro storia,ma in modo più delicato,quasi
l’essere stesse intrattenendo con me un placido discorso formale.
Ho visto scorrere davanti a me scene della Grande guerra contro il nazismo
e mi sono chiesto come essi potevano esserne a conoscenza,e soprattutto
in quel modo così particolareggiato. La visione ha ripercorso tutta
la storia della seconda guerra mondiale fino al momento in cui io prendevo
parte al suo tragico epilogo. In quel momento ho finalmente realizzato
che sarebbe stato inutile mentire e continuare a fingere….loro sapevano!
Mi hanno mostrato ciò che volevano da me in tutta la sua mostruosa
chiarezza,l’ultima immagine che mi è passata davanti è
stata quella di quel maledetto aereo,col suo nome innocente scritto sulla
carlinga : ENOLA GAY,dopodiché un enorme nuvola di fumo ha coperto
tutto e ciò che rimaneva della visione era una frase chiara,intelleggibile
e decisa :―…insegnaci a creare il grande fuoco…―.
Sono sicuro che perfino l’Olevold di fronte a me si sia accorto
della mia espressione di stupore,ed è parso quasi riderne.
Ad un cenno delle fluttuanti antenne Azibo mi si è avvicinato,mi
ha preso sottobraccio e mi ha riaccompagnato alla mia cella,mi ha fatto
sedere sul letto e poi ha fatto per andarsene fermandosi però sulla
porta.
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“Ti conviene dargli ciò che chiedono―mi ha detto―perché
se no se lo prenderanno comunque a modo loro…―
“E come?―ho ancora avuto il coraggio di chiedergli.
“Loro ti prendono il cervello―ha detto mimando col braccio
un qualche arnese che entrava nel cranio―e tutti i tuoi ricordi….―
Detto questo è uscito mentre io cominciavo a piangere.
Nel pomeriggio Azibo è tornato per portarmi da mangiare ed è
allora che gli ho chiesto di procurarmi qualcosa sul quale poter scrivere,gli
ho detto che senza non sarei mai riuscito a descrivere tutte le formule
di cui i suoi Signori avevano bisogno,un pò di tempo dopo è
tornato con questo quaderno e la matita….e questo è tutto
ciò che è successo finora.
A questo punto mi sembra doveroso dare finalmente una
spiegazione sulla mia identità ,a chi leggerà questo diario
il mio nome non dirà certamente nulla,non appare nei libri di storia
ne negli elenchi dei premi nobel,forse solo su qualche rivista scientifica
di settore letta da non più di dieci persone al mondo. Ma il nome
della persona con la quale ho collaborato dal 1939 al 1945 è sicuramente
più famoso,il professor Enrico Fermi.
Nel 1935 mi laureai in fisica all’università del Nebraska
con una brillante tesi incentrata sulle teorie della fusione dell’atomo,tesi
che mi valse numerose onorificenze in campo scientifico e mi aprì
numerose strade nel mondo della ricerca sperimentale.
Nei primi mesi del ’39 venni contattato dal generale Lesile Groves
dell’esercito americano il quale mi proponeva di fare da braccio
destro ad uno dei più grandi scienziati del nostro secolo,l’italiano
Enrico Fermi,una persona che ,nell’ambiente,è considerato
un mito,una leggenda vivente.
Naturalmente accettai senza batter ciglio e senza nemmeno immaginare cosa
si proponeva di fare il governo americano con quello che avrebbe dovuto
essere il risultato dei nostri studi.
Naturalmente non mi soffermerò nella descrizione dei nostri esperimenti
che venivano condotti all’interno di quello che è conosciuto
come il “Manhattan project―,dirò solo che fu l’esperienza
più impegnativa e gratificante della mia vita,un emozione così
grande che è paragonabile solo all’orrore che provocò
la sua applicazione pratica.
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Nel frattempo la grande guerra continuava,il numero dei morti aumentava
di giorno in giorno e i governi alleati cercavano un modo decisivo per
dare una svolta alla situazione,in più la ferita inferta dal Giappone
a Pearl Harbor non si era ancora rimarginata nel cuore dell’orgoglio
americano…
Nel luglio del ’45 testammo il risultato delle nostre ricerche ad
Alamogordo,in Messico,e forse solo in quel momento,cioè troppo
tardi,mi resi realmente conto delle potenzialità delle nostre scoperte.
Il sei di agosto dello stesso anno vidi decollare l’Enola Gay alla
volta di Hiroshima,in Giappone…il resto è storia nota….
E così ora sapete,e lo sanno anche gli insetti,io sono stato uno
dei creatori della bomba atomica,non riesco ancora a capire come essi
siano venuti a conoscenza della mia persona e come hanno fatto a seguire
i miei spostamenti, ma dopo tutto quello che ho visto qui non me la sento
di stupirmi più di nulla.
Già il fatto di venire a conoscenza della vera storia della nascita
del genere umano sarebbe bastata a distruggere una mente più debole
della mia,ma io ho resistito.
Ora annoterò sul quaderno delle formule sbagliate,sperando che,una
volta ottenuto ciò che vogliono mi lascino andare,anche se non
sono sicuro di poter osare sperare tanto….
Poco dopo aver smesso di scrivere,prima,Azibo è
entrato nella mia cella e mi ha chiesto di seguirlo,mi ha condotto in
un'altra stanza,dove non ero mai stato.
“Questo è il magazzino―mi ha detto.
Stipate nella stanza c’erano centinaia di quelle che ,a prima vista,mi
sembrarono statue,poi ,ad un esame più attento,mi resi conto che
erano salme umane,alcune,mummificate,dovevano essere antichissime,legionari
romani,cavalieri crociati,colonizzatori del’700,tutte ordinatamente
sdraiate su delle mensole appese alle pareti come in un museo di storia.
“Tutti loro―continuò Azibo―sono stati interrogati
dai miei Signori,alcuni hanno ceduto subito,altri….―mi chiamò
a se lasciando la frase a metà e mi mostrò uno dei corpi,era
vestito da cavaliere templare,sulla fronte del poveretto si vedeva chiaramente
un foro che penetrava nel cranio.
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“Cosa gli hanno fatto?―chiesi con voce tremante.
“Lui non voleva parlare…così si sono presi la sua mente
ed hanno saputo ciò che volevano―
Detto questo Azibo mi ha riaccompagnato nella cella e mi ha lasciato solo.
Ho dormito a lungo,un sonno tormentato da mille incubi
e sensi di colpa,io ho visto ciò che ha causato la nostra scoperta
ad Hiroshima e Nagasaki,non solo l’esplosione nucleare in se ma
le terribili conseguenze che stanno già cominciando a manifestarsi
nei sopravvissuti e che,temo,non si esauriranno molto in fretta.
Nei prossimi sessanta o forse cento anni continueranno a nascere bambini
deformi e crescere colture infette,e tutto questo pesa molto sulla mia
coscienza.
Cosa potrebbe fare un arma del genere nelle mani di questi esseri senza
scrupoli ne remore?tremo al solo pensarlo,a loro non importa quanti uomini
moriranno,vogliono solo che i sopravvissuti tornino ad essere i loro schiavi,ciò
per cui sono stati creati milioni di anni fa.
Non me la sento di rendermi partecipe nuovamente di una stage di cotal
dimensioni,ma non posso nemmeno sottrarmi al loro interrogatorio perché
verrei subito smascherato,anche se dessi loro delle formule sbagliate
non farei altro che rimandare l’irrimediabile di qualche mese e
poi…ho visto la fine che fanno quelli che vengono “interrogati―contro
il loro volere…
E così ho preso la mia decisione,l’unico modo per non essere
costretto a rivelare ciò che so a quei maledetti insetti è
il suicidio. L’idea naturalmente mi disgusta,una vita di studi e
sacrifici,un successo scientifico senza paragoni ed ora mi vedo costretto
a togliermi la vita per non divulgare ciò che con tanta fatica
ho costruito…ma forse questa è una specie di punizione divina,per
pagare le milioni di vite che a causa mia sono state e saranno distrutte
in futuro.
È fatta,ho convinto Azibo a portare il mio diario
fuori di qui,naturalmente non gli ho rivelato la sua vera natura. Gli
ho fatto credere che nel mio paese questi fogli di carta scritti in un
certo modo hanno un grande valore economico e che,scambiandoli in qualche
mercato ne avrebbe avuto un guadagno personale all’insaputa dei
suoi Signori che,gli ho fatto notare,non tenevano nella giusta considerazione
il suo operato.
Era un mio regalo personale per avermi trattato così bene durante
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la mia permanenza li….grazie al cielo il povero ignorante ha abboccato
al mio tranello,quando sarà fuori e gli diranno che in realtÃ
non ha nessun valore mi auguro che lo getti via e che qualcun altro lo
trovi…qualcuno che conosca l’inglese,che sia interessato a
leggerlo e disposto a credere a tutto ciò che vi è scritto
sopra….ora che ci ripenso è davvero un piano idiota…dovrebbero
accadere troppe coincidenze….ma ormai è tardi,ciò
che dovrà accadere accadrà e io farò la mia parte,ho
già costruito un rudimentale cappio con il lenzuolo del letto…
Azibo starà ormai per arrivare,gli consegnerò la lista con
le cose che mi servirebbero,ne ho tralasciate naturalmente alcune fra
le più importanti,per costruire una bomba atomica fatta in casa,e
assieme gli darò il diario.
A te che leggerai queste pagine chiedo una cosa sola…credici!so
che ti sembrerà il delirio di un folle ma è di vitale importanza
che il mondo sappia che questi esseri esistono e insidiano la nostra libertà ,ci
spiano da millenni e si preparano alla riconquista di quelli che per loro
sono dei figli degeneri e traditori….addio…in fede Andrew
Freners
Idrees alzò gli occhi dal quaderno esterrefatto,si
sentiva come se gli avessero raccontato una di quelle fiabe assurde che
si utilizzavano per spaventare e tenere i bambini a casa,solo che questa
era terribilmente convincente.
Il ragazzino uscì dal magazzino senza sapere bene cosa fare,se
fosse andato da Khalid questi avrebbe scoperto che non aveva lavorato,e
che perdipiù aveva parlato coi Kiwi,ma con chi altri poteva parlarne?
Mentre camminava a testa china rimuginando sul da farsi andò a
sbattere contro qualcosa,alzò gli occhi spaventato e si trovò
dinnanzi Khalid che lo guardava con aria torva e le braccia conserte.
“Ho fatto un giro in magazzino e ho visto che la tua parte non è
ancora a posto Idrees―disse Khalid con tono minaccioso.
“Io…io―Idrees non riuscì ad inventarsi una scusa
abbastanza velocemente e lo sguardo del suo capo si abbassò sulle
sue mani.
“Cos’hai lì?―Khalid allungò la mano fulmineamente
ed afferrò il quaderno che il ragazzino stringeva―cos’è
questo?―chiese sventolandoglielo sotto il naso.
“è un diario…di un americano che è stato rapito…―
“Non mi prendere in giro ragazzino..―Khalid alzò la
mano pronto a menare uno schiaffone,poi,ad un tratto,si bloccò,come
se si fosse ricordato qualcosa di importante.
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Generata: 17 March, 2017, 07:05
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“Te l’ha dato Azibo vero?―chiese Khalid.
Idrees abbassò lo sguardo a terra―Sì…―rispose.
Khalid sbuffò,poi si sedette,prese il ragazzo per un braccio e
lo fece accomodare sulle sue ginocchia.
“Vieni qui―disse in tono benevolo―per stavolta di perdono,ma
sai che non voglio che parli con i Kiwi,sono gente strana,non sai mai
cosa puoi aspettarti da quei selvaggi…e ora dimmi,cosa c’è
scritto su questo diario?―
“è di uno scienziato americano,dice di essere stato rapito
da dei mostri che sembrano insetti e che vogliono fargli costruire una
bomba per uccidere tutti gli uomini…è vero sembra folle…ma
è così convincente…dovremmo avvertire la polizia…―
“Ah ah ah “rise Khalid―la polizia ha problemi ben più
importanti da risolvere,comunque vedrò cosa posso fare,ora torna
al lavoro,per questa sera voglio che sia tutto finito―
Idrees scese dalle ginocchia di Khalid e corse in magazzino senza voltarsi,quando
fu sulla porta Khalid lo chiamò.
“Idrees “disse―adesso dimentica questa storia,me ne
occuperò io e non voglio che tu ne parli con nessuno―
Con un cenno del capo Idrees assentì, sapeva di essere stato fortunato,la
disobbedienza di solito veniva punita con la frusta,ed era molto strano
che il suo capo si fosse dimostrato così disponibile nell’ascoltarlo
e capirlo. Ma ora non era più un suo problema,lui era solo un ragazzino,toccava
agli adulti risolvere certe situazioni,era già sopravvissuto ad
una guerra e non aveva certo voglia di infilarsi in un'altra.
Khalid si alzò e tornò al bancone del negozio con un espressione
torva in volto.
“Cosa c’è―chiese sua moglie―è successo
qualcosa?―
“No,ma stava per succedere…―rispose―telefona a
Samir,digli di venire a prendermi,dobbiamo andare di corsa alla piramide,quel
selvaggio di Azibo l’ha combinata grossa stavolta….―sul
viso di Khalid si aprì un sorrisetto malevolo―però,
grazie alla sua stupidità ,faremo un grosso favore ai nostri Signori…che
verrà ben ricompensato nel giorno della conquista….ah ah
ah “
Khalid cominciò a ridere mentre la moglie alzava la cornetta del
telefono.
Â
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