L`arroganza del potere mediatico - Partito di Alternativa Comunista

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L`arroganza del potere mediatico - Partito di Alternativa Comunista
Partito di Alternativa Comunista - Progetto Comunista - Lega Internazionale dei Lavoratori - LIT
L'arroganza del potere mediatico
martedì 11 aprile 2006
L’arroganza del
potere mediatico
La guerra Israele-Libano raccontata a senso unico
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Ingmar Potenza
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"Da
quando l'uomo ha la dote di pensare prima di agire, l'avvocatismo che si annida
in ogni essere pensante è ricorso sempre alle distinzioni per sfuggire al
mantenimento degli impegni, alle conseguenze concrete delle astratte
affermazioni. Così oggi ci rigetta tra capo e collo la distinzione tra guerra
di offesa e guerra di difesa. In realtà la borghesia di tutti i paesi è
egualmente responsabile dello scoppio del conflitto o, meglio ancora, ne è
responsabile il sistema capitalistico, poiché non è che formale e scolastica la
tesi che sia stata preparata e voluta da una specifica parte".
Così scriveva Amadeo Bordiga nel
1914, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, rispondendo con un’analisi
puramente marxista alle ridicole argomentazioni di guerrafondai reazionari e
socialsciovinisti alla deriva; così si può parlare ancora oggi davanti al
rinnovato scenario di guerra in Medio Oriente, che continua a seguire invariabilmente
le leggi del capitale, difeso mitizzato e alimentato da squallidi “avvocati―
politici e mediatici.
Se può apparire quasi inutile e
ridondante continuare ad accusare l’informazione borghese di non essere altro
che lo strumento di propaganda dei capitalisti − del resto è noto che “la
pubblicità è l’anima del commercio―, quindi nella società assoggettata al
mercato il controllo dell’informazione è essenziale − rimane evidente che,
seppure con argomentazioni clamorosamente fallaci e faziose, questa è capace di
irretire il suo pubblico, dunque è sempre bene non trascurarne la forza.
Lasciando da parte la carta stampata, non più il principale strumento
informativo ormai da anni, ma comunque luogo dei più argomentati e precisi
approfondimenti di politici, intellettuali e professionisti dell’informazione,
è il giornalismo televisivo che qui ci interessa analizzare. In particolare ci
soffermiamo sui principali canali cosiddetti pubblici − poiché dai privati, che
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già per definizione sono vincolati al committente, non ci si può certo
aspettare nulla − per mostrare l’assoluta arroganza di chi usa questo mezzo
capace di comunicare con milioni di persone, soprattutto con i lavoratori, che
non hanno spesso il tempo e la pazienza di leggere i lunghi arzigogoli
intellettualoidi di tante grandi firme, impegnate a “prenderli per il naso―.
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Una forza dirompente senza contraddittorio
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Parlando del racconto
telegiornalistico della recente guerra in Libano, vediamo che i provetti avvocati
degli eserciti in movimento hanno addirittura scavalcato il concetto di guerra
di aggressione e conseguente difesa, giacché ormai, grazie ad un secolare
“lavoro ai fianchi― sulla cultura popolare, questo è assodato e difficilmente
sradicabile. In questa situazione si è fatto di più, dicevamo: per cominciare
si è descritto come attori di pari entità un esercito regolare, quello
israeliano, oltretutto il meglio armato della regione, e un gruppo paramilitare
– non l’esercito regolare di un altro Stato – con appoggio popolare, il
“braccio armato― di Hezbollah, magari anche abile, preparato e non del tutto
sprovvisto di mezzi, ma certo mal messo di fronte al proprio nemico. Si è poi
dato tutto il risalto possibile al solito casus
belli, che definirei offensivo dell’intelligenza delle persone, rimarcando
in ogni occasione il termine falso del “rapimento― di due soldati, al posto del
più corretto “cattura― di due soldati – in una zona di confine, in situazione
di conflitto appena latente – con l’evidente intento di colpire le coscienze su
queste due povere vittime, armate di tutto punto e con compiti presumibilmente
offensivi; andrebbe inoltre ricordato che già prima dell’ultimo conflitto le
truppe israeliane di cui facevano parte i “rapiti― non presidiavano il confine
del loro Stato, ma una zona del territorio libanese occupata irregolarmente.
Infine, la totale inversione della realtà , nel momento in cui si affrontano le
motivazioni “idealistiche― alla base del conflitto: con convinzione, quasi con
commozione, l’invasione del sud del Libano con relativo massacro della
popolazione civile è descritta come una giusta e doverosa operazione di
autodifesa per Israele, che avrebbe addirittura favorito un progresso
democratico per i libanesi, grazie all’eliminazione di pericolosi terroristi
islamici. Questo passaggio merita una breve spiegazione di contorno: Israele è
uno Stato confessionale che pratica una delle più spietate apartheid, non solo
contro i mussulmani dei territori che occupa illegalmente, ma anche contro
alcuni gruppi di stessi ebrei, di etnia o confessione considerate di secondo
ordine; in Libano invece, di fronte alla continua crescita della popolazione
islamica negli ultimi decenni, i cristiano-maroniti, forti della predominanza
politico-economica e dell’appoggio degli Stati arabi confinanti, non hanno
esitato a portare a termine vere e proprie mattanze dei “pericolosi
integralisti islamici―, non ultimo ma certo di maggiore impressione il massacro
di Sabra e Shatila nel 1982, proprio a fianco dei militari israeliani comandati
dall’allora Ministro della Difesa Ariel Sharon.
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Il mestiere di mistificare
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I giornalisti della Rai utilizzano le tecniche più
spregiudicate e grossolane per veicolare il messaggio sionista, senza neanche
preoccuparsi di mascherare la propria faziosità . Continuando a seguire giorno
per giorno le cronache da Haifa e da Tiro, salta velocemente all’occhio la
differenza di “stile― del racconto: dal Libano i servizi sono abbastanza
asettici, descrittivi e tecnici, poco spazio è lasciato al sentimentalismo
verso le vittime e a velocissimi interventi diretti della popolazione, giusto
per curare il senso di pietà cristiana tanto caro al giornalismo nostrano - o a
chi lo comanda, più che altro; l’inviato da Haifa invece è sempre più in
pericolo, dopo qualche giorno si mostra costantemente in giubbotto
antiproiettile e registra i servizi sempre con una colonna di fumo alle spalle.
Gli interventi dal “fronte― israeliano vengono poi estesi in diversi modi: non
ci si limita alla cronaca riportata dall’inviato, ma questi mostra tutto quello
che può dei − ben pochi − danni causati dai fantomatici razzi di Hezbollah,
enfatizzando il numero delle vittime - che sono sempre madri, bambini o
innocenti a vario titolo; tante anche le immagini emblematiche, dove un centro
commerciale vuoto diventa il simbolo massimo della paura per la barbarie della
guerra. E poi le interviste: il giornalista visita i bunker del centro
commerciale e dell’ospedale e si dilunga su quanta tristezza e paura ci si
possa trovare; intervista soprattutto madri con bambini, ben vestite e pettinate
ma tanto spaventate dall’allarme che è suonato, a vuoto; fa vedere soldati nei
bunker che giocano amorevolmente con i bambini “per rallegrarli in questi
momenti di terrore―; tra le madri intervista quella di uno dei soldati
“rapiti―, una lunga intervista commovente, ma non straziante, che mostra anche
forza d’animo. Nel frattempo la sua voce è quella del governo di Tel Aviv:
parla di Hezbollah come di sanguinari assassini, acriticamente accetta la
versione secondo cui i guerriglieri si farebbero
scudo con le popolazioni civili, soprattutto bambini, userebbero palazzi
abitati come basi missilistiche, istigherebbero i mussulmani di Haifa a
ribellarsi, senza però riuscire, dato che questi, cresciuti in un paese di
mentalità occidentale, sono ormai lontani dalle barbariche divisioni religiose…
La differenza di trattamento è fin
troppo palese: da un lato gli israeliani, umanizzati all’inverosimile, fatti
apparire come fossero i nostri vicini di casa, così da suscitare tutti i
possibili sentimenti di “fratellanza―; dall’altro dei morti indistinti, dei
palazzoni in macerie, qualche bambino morto o ferito giusto per non staccarsi
troppo dalla realtà e in generale una tremenda spersonalizzazione di un popolo,
questo sì aggredito arbitrariamente − non il suo Stato − per le necessità economiche e gli equilibri
geopolitici del capitalismo, unico a pagare per i giochi di potere della
borghesia tanto locale quanto confinante e di qualsiasi religione.
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