Collio Sauvignon 2013

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Collio Sauvignon 2013
Divinis® Bar à Vins è lieto di proporvi
“DI...VINO, MA NON SOLO…”
Martedì 10/3/2015
Il Sauvignon Italiano,
ma con l’Intruso
Alto Adige Sauvignon Lafoa 2009
Cantina Produttori Colterenzio ~ Cornaiano (BZ)
Alto Adige D.O.C. ~ Sauvignon ~ 14° ~ Euro 25,00
Alto Adige Sauvignon Quarz 2010
Cantina Terlano ~ Terlano (BZ)
Alto Adige Terlano D.O.C. ~ Sauvignon ~ 13,5° ~ Euro 30,00
Collio Sauvignon 2013
Franco Toros ~ Cormons (GO)
Collio D.O.C. ~ Sauvignon ~ 14° ~ Euro 22,50
Collio Sauvignon 2013
Tiare di Snidarcig Roberto ~ Dolegna del Collio (GO)
Collio D.O.C. ~ Sauvignon ~ 13,5° ~ Euro 21,50
Collio Sauvignon Segrè 2012
Castello di Spessa ~ Capriva del Friuli (GO)
Collio D.O.C. ~ Sauvignon ~ 14,5° ~ Euro 24,00
Vulcaia Fumé 2011
Inama ~ San Bonifacio (VR)
Veneto I.G.T. ~ Sauvignon ~ 15° ~ Euro 28,00
Esclusivamente in occasione della serata a chi desidera acquistare i vini per l’asporto, riserviamo uno sconto del 10%.
Le nostre iniziative sono dirette a favorire un consumo moderato e consapevole del vino. Qualità e non quantità.
Sauvignon Blanc
Varietà vivacemente aromatica e fragrante con cui si producono alcuni dei bianchi secchi più
popolari e tipici del mondo: Sancerre, Pouilly-Fumé e una quantità di Sauvignon e Fumé Blanc
non francesi. Inoltre, conferisce nerbo e fragranza, in molti grandi bianchi sia secchi sia dolci,
all'uva con cui è più spesso mescolato, il Sémillon. Al pari della famosa e affatto distinta varietà
a bacca scura Cabernet Sauvignon, il Sauvignon Blanc sembra essere originario di Bordeaux,
dove gode di rinnovata popolarità. La varietà è spesso chiamata semplicemente Sauvignon,
specie in etichetta, ma esistono Sauvignon Jaune, Noir, Rosé e Violet, a seconda del colore
degli acini. Il Sauvignon Gris è un altro nome del Rosé e presenta bucce visibilmente rosa. Può
dare vini più corposi di tanti Sauvignon Blanc e ha un certo successo a Bordeaux e in Loira. La
caratteristica più tipica di quest'uva è l'aroma penetrante, che si riconosce immediatamente. Le
descrizioni parlano di note «erbacee, di muschio, di frutti verdi» (in specie l'uva spina), di
«ortiche» e perfino di «pipì di gatto». Gli scienziati spiegano che i composti aromatici interessati
sono le metossipirazine. Le viti troppo produttive di Sauvignon piantate su terreni pesanti
possono produrre vini che esprimono appena questi aromi, ma il Sauvignon coltivato
amorevolmente nelle vigne centrali della Loira, non coperto dal rovere, può raggiungere
l'apogeo del suo frutto nei bianchi secchi, dandoci alcuni dei vini bianchi secchi più puri,
aromatici e rinfrescanti del mondo. I migliori Sancerre e Pouilly-Fumé hanno rappresentato un
modello per i primi produttori di Saùvignon Blanc del Nuovo Mondo, anche se negli anni
Ottanta sono stati i vignerons della Loira a copiare i colleghi californiani, australiani e
neozelandesi (diventati rapidamente famosi con questa varietà) sperimentando la
fermentazione e la maturazione in rovere. I vini affinati in legno hanno bisogno di uno o due
anni di più per esprimersi al meglio, ma quasi tutti i Sauvignon secchi e non tagliati vanno
bevuti giovani, anche se non mancano in Loira e a Bordeaux prodotti che dimostrano di
durare, se non di evolvere, fino a 15 anni in bottiglia. Invece, come ingrediente dei grandi vini
dolci di Sauternes insieme con Sémillon e a volte Muscadelle, il Sauvignon ha un ruolo
secondario ma importante in uno dei vini più longevi del mondo. La vite è particolarmente
vigorosa, il che ha provocato più d'un problema in alcune zone della Loira e della Nuova
Zelanda. Se la sua vegetazione sfugge al controllo, le uve non giungono a piena maturità e il
vino risulterà erbaceo in eccesso, quasi fastidiosamente pungente (il Sémillon non maturo
presenta caratteristiche molto simili, così come il Cabernet Sauvignon immaturo può ricordare
il Cabernet Franc). Un portinnesto poco vigoroso e la potatura verde aiutano a risolvere il
problema. Il Sauvignon germoglia dopo ma fiorisce prima del Sémillon, con cui è di solito
mescolato a Bordeaux e in misura crescente in altre regioni. Fino alla creazione di cloni adatti
come il 297 e il 316 e alle irrorazioni per combattere la sensibilità della vite alle malattie
fungine, le rese erano irregolari tanto da risultare antieconomiche. Nel 1968, per esempio, il
Sauvignon era la tredicesima varietà di uva bianca per superficie vitata, ma in vent'anni è
passato al quarto posto. Insieme con il Sémillon, suo tradizionale compagno, il Sauvignon è
piantato in tutta la Francia sudoccidentale, in particolare a Bergerac. A Bordeaux il Sémillon è
ancora molto più diffuso del Sauvignon Blanc, concentrato in Entre-Deux-Mers e Graves e
nelle zone di produzione dei vini dolci di Sauternes e dintorni. Forse non è un caso che il
Sauvignon medio della Loira esprima le caratteristiche dell'uva più del Bordeaux Blanc medio
prodotto con sole uve Sauvignon, dato che le rese massime autorizzate per il primo sono di 10
hl/ha inferiori ai 65 hl/ha consentiti a Bordeaux. In Loira il vitigno si esprime nella sua forma
più pura e schietta. Nelle vigne spesso calcaree di Sancerre e Pouilly-sur-Loire (i cui
Sauvignon, a giudizio di alcuni, sono fumés per via del terreno siliceo) e nelle zone satelliti di
Quincy, Reuilly e Menetou-Salon a Est, costituisce uno degli argomenti più convincenti a
favore del matrimonio tra la varietà e il terroir adatto. Il vitigno è detto qui Blanc Fumé e
fortunatamente ha rimpiazzato molte delle varietà minori prima presenti, in specie gran parte
dello Chasselas a Pouilly-sur-Loire. I vini vanno bevuti, ben freddi, generalmente nell'arco di
due anni e non per questo sono meno buoni. Da questa concentrazione di vigne, che si
potrebbe considerare la capitale mondiale del Sauvignon (un titolo contestato dagli abitanti di
Marlborough nella South Island neozelandese), l'influenza della varietà si propaga verso
l'esterno: a Nord-Est verso Chablis nel Sauvignon de Saint-Bris, a Sud a Saint-Pourgain-surSioule, a Nord e a Ovest ai Coteaux du Giennois e Cheverny, oltre a un buon numero di
prodotti della Loira orientale etichettati in genere Touraine, vini che sono solitamente leggeri,
racés e naturalmente aromatici. Insieme con lo Chardonnay, è stato autorizzato anche nelle
vigne di Anjou, dove è mescolato sovente con l'autoctono Chenin Blanc.
In altre regioni francesi, il Sauvignon Blanc è stato una scelta ovvia ma non sempre felice dei
produttori della Languedoc che aspiravano a proporre vini internazionali (spesso però le rese
erano troppo alte per estrarre a sufficienza il carattere varietale dalla vite) e se ne trova qualche
piccolo impianto in alcune denominazioni provenzali.
In Italia il Sauvignon ha trovato la sua espressione migliore in Friuli, e in Alto Adige e nel
Collio alcuni vini esprimono un frutto davvero fine e un aroma varietale puro. Negli anni
Ottanta la superficie vitata è raddoppiata, toccando i 3.000 ha. Anche la Slovenia e la Stiria, in
Austria sudorientale, hanno saputo valorizzare questo vitigno, estraendone frutto e aroma. Il
«Muskat-Silvaner» (così è chiamato in tedesco) è poco presente in Germania, dove a detta di
molti il giovane Riesling può dare un bianco non meno vivace e aromatico. È piantato in una
certa misura più a Sud, anche se i vini tendono a essere via via più pesanti e più dolci. Alcune
zone della Serbia, il distretto di Fruska Gora in Vojvodina e parte della Slovacchia hanno
certamente buone potenzialità. All'inizio degli anni Novanta la Romania ne coltivava 5.000 ha.
Nelle repubbliche dell'ex Unione Sovietica, l'Ucraina e soprattutto la Moldova coltivano in
buona misura questa varietà. Il vitigno è stato importato nella Penisola Iberica solo dai più
convinti fautori delle varietà internazionali, ma certo in Portogallo e in Spagna nordoccidentale
non mancano le varietà autoctone in grado di produrre tipologie simili. Il Sauvignon Blanc
tende a diventare pesante se è allevato in climi troppo caldi, come dimostra qualche prodotto
di Israele e altri vigneti mediterranei, dove chi guarda all'esportazione ne ha voluto
sperimentare la qualità. È quanto si è riscontrato in molti dei primi tentativi fatti in Australia,
anche se all'inizio degli anni Novanta era ormai evidente la necessità di riservare alla varietà le
località più fredde come le Adelaide Hills. La superficie vitata di Chardonnay è più di quattro
volte superiore a quella del Sauvignon Blanc. In Nuova Zelanda solo Müller-Thurgau e
Chardonnay sono più piantati, e l'industria vinicola, relativamente piccola, può vantare una
superficie vitata di Sauvignon Blanc (800 ha nel 1992) quasi pari a quella australiana. È questa
varietà che ha fatto conoscere il vino neozelandese nel mondo, grazie a uno stile proprio:
profumi intensi, asprigni, con un frutto più pronunciato dei Sauvignon della Loira, un accenno
di effervescenza e di dolcezza. Questo stile si è diffuso nel Sud America e nelle zone più
fredde del Nord America e in Francia meridionale, e tra breve si diffonderà senz'altro ancora
più lontano. Il «Sauvignon» è il bianco più esportato del Cile, ma secondo le statistiche ufficiali
all'inizio degli anni Novanta il Sauvignon Blanc rappresentava meno del 5 per cento della
produzione vinicola totale del paese (mentre il Sémillon costituiva più del 26 per cento).
Buona parte del «Sauvignon» cileno è Sauvignon Vert, anche se si stanno facendo strenui sforzi
per sostituirlo con il vero Sauvignon Blanc, che si è dimostrato molto adatto alla Casablanca
Valley raffreddata dall'oceano. In Cile sono stati largamente utilizzati cloni californiani di
Sauvignon Blanc, che però tendono a esprimere eccessiva vigoria. Anche le alte rese smorzano
gli aromi tipici della varietà in altri vini sudamericani etichettati Sauvignon, compresi quelli
prodotti nei 600 ha vitati dell'Argentina (contro gli 800 di Tocai Friulano e i 2.000 di Sémillon
censiti nel 1989), quantunque le aziende argentine che puntano sull'esportazione stiano
guardando con una certa attenzione alla varietà. Il «Sauvignon» del Brasile, secondo Galet, è di
solito Seyval. Grazie a Robert Mondavi, il più cosmopolita produttore californiano, il Sauvignon
Blanc, da lui ribattezzato Fumé Blanc, ha riscosso un successo strepitoso in California negli
anni Ottanta, tanto che nel 1994 la superficie vitata di quest'uva nello Stato era di 4.800 ha, per
un terzo nella Napa, dove i problemi di vigoria della vite a fine anni Ottanta erano pressoché
risolti. Alcuni vini sono dolci e anche botritizzati, quasi dei Sauternes senza il contributo del
Sémillon. Come in altre regioni del Nuovo Mondo, si è anche diffusa la pratica di aggiungere
del Sémillon ai Sauvignon secchi per integrarne aromi e acidità con polpa e frutto. Come la
California, lo Stato di Washington produce sia Sauvignon Blanc sia Fumé Blanc nei 360 ha
(1994) vitati di questa varietà, meno di un terzo dello Chardonnay e del Riesling. Tra gli altri
Stati americani, il Texas ha conseguito particolare successo con la varietà.
Ma forse il Sauvignon ha celebrato il suo massimo trionfo in Sud Africa, dove, forse perché
manca il vero Chardonnay (si veda Auxerrois), gli appassionati locali si sono gettati sui primi e
più riusciti Sauvignon del Capo, la tipologia di moda acclamata a livello internazionale. Nel
1994 il vitigno occupava nel paese 4.000 ha, producendo un vino di stile leggermente più
morbido e più sapido rispetto alla tipologia classica del Nuovo Mondo. I sudafricani lo
mescolano regolarmente con Chardonnay (un taglio la cui riuscita può sorprendere) e altre
varietà più o meno attraenti.
Informazioni tratte da “Guida ai Vitigni del Mondo” di Jancis Robinson, edizioni Slow Food
Cantina Produttori Colterenzio
L'arciduca Sigismundo, residente a Castel Firmiano nel XV secolo, non fu il primo ad
apprezzare il buon vino di Colterenzio. Infatti, già attorno al 15 a.C. il colono romano
Cornelius riconobbe la straordinaria fertilità di questa terra e decise di stabilirsi qui, gettando
così le basi dell'attuale vocazione vitivinicola di Colterenzio. Il suo podere "Cornelianum" che
diede il nome al paese di Cornaiano, si ergeva su una collina poco distante. L'antica tradizione
fu rinnovata nel 1960, quando 28 vignaioli fondarono la Cantina Colterenzio. A questi, se ne
unirono altri nel corso degli anni, e ad oggi Colterenzio conta quasi 300 appassionati soci
viticoltori che conferiscono le uve provenienti da ca. 300 ha di vigneto di loro proprietà.
Colui che si appresti ad indagare sull'autenticità e originalità dei vini di Colterenzio, non può
che imbattersi in Luis Raifer, pioniere e precursore di Colterenzio dal 1979. "Ritornare alle
origini": così recita la sua massima preferita, sottolineando particolarità, tipicità e originalità dei
nettari di Colterenzio. A dare concretezza a questi principi ci pensa il figlio Wolfgang Raifer,
che fino al 2005 ha ricoperto l'incarico di enologo responsabile dei processi di vinificazione e
affinamento, per poi operare nel settore vendite: dal 2010 ha assunto la guida dell'azienda e,
insieme a Max Niedermayr (Presidente), e affiancato da Martin Lemayr (Enologo), Hubert
Dorfmann (Amministrazione), e Letizia Pasini (Responsabile Export) valuta tendenze di
mercato, prospettive future di sviluppo e offerte commerciali.
Colterenzio, da qualche anno, porta avanti un progetto di sostenibilità ambientale non solo in
campagna ma anche in cantina: nel 2009, la sede principale di Colterenzio è stata sottoposta ad
un'opera di ristrutturazione, ispirata a criteri di compatibilità ambientale e gli edifici che la
compongono sono stati attrezzati con pannelli fotovoltaici e solari. Circa il 55 % dell'energia
totale impiegata in cantina ora è generata da un impianto fotovoltaico ed il 70 % del
fabbisogno di acqua calda è prodotta dal sole attraverso pannelli solari ed un sistema di
recupero del calore: caldaie a gas, compressori per l'aria, e condizionatori sprigionano calore,
che viene riutilizzato per scaldare l'acqua, necessaria per le varie pratiche di cantina.
Se da una parte l'energia elettrica prodotta attraverso il fotovoltaico viene utilizzata per far
funzionare gran parte dei macchinari e dei computer nel reparto produzione ed in cantina,
tutto via il controllo della temperatura nei serbatoi e nei locali. L'acqua calda, prodotta
attraverso l'energia solare e la tecnica del recupero del calore è indispensabile per la pulizia
(linea di imbottigliamento e serbatoi in cantina) e per il riscaldamento dei locali. Questo nuovo
concetto di energia ha la sua origine nel fatto che i viticoltori di Colterenzio si sentono in
dovere di tutelare l’ambiente: in armonia con la natura crescono uve per la produzione di vini
di alta qualità. Così, attraverso l’uso di energie rinnovabili, la cantina Colterenzio cerca di
salvaguardare l’ambiente.
Sauvignon Blanc Lafóa.
Il paesaggio collinare della zona conferisce a questo Sauvignon uno stile inconfondibile,
caratterizzato da un delicato equilibrio tra frutta e acidità. Contrassegnato nella sua giovinezza
da una struttura duttile movimentata da una certa turbolenza, dopo un pluriennale affinamento
in bottiglia, il Sauvignon blanc “Lafóa” si dimostra armonioso ed equilibrato senza perdere la
propria caratteristica freschezza.
Zona: La tenuta Lafóa si trova a cavallo tra Cornaiano e Colterenzio ad un’altitudine di 430 m
s.l.m. con una eccellente esposizione al sole. Si tratta di una zona piuttosto secca con terreni
sabbiosi e ghiaiosi di origine morenica. I vigneti sono stati piantati nel 1989 con tre cloni
diversi, su impianti a guyot, con una densità di 5.000 piante per ettaro. Resa: 45 hl/ettaro.
Vinificazione: dopo una breve macerazione si passa alla pressatura delle uve perfettamente
mature. Il mosto fermenta per metà in acciaio per il resto in barriques. Solo quest’ultima parte
subisce la fermentazione malolattica. Dopo ca. 8 mesi di maturazione sui lieviti si procede
all’assemblaggio dei due vini ed all’accurato imbottigliamento.
Informazioni tratte dal Sito Ufficiale dell’Azienda
Cantina Terlano
Fondata nel 1893, la Cantina di Terlano è una delle cooperative di produttori più
all’avanguardia di tutto l’Alto Adige. I suoi 143 soci attuali coltivano 165 ettari di vigneti, pari a
una produzione annua totale di 1,2 milioni di bottiglie. Da anni, insieme ai nostri soci abbiamo
imboccato con impegno e perseveranza la strada della qualità, quella stessa qualità che ci è
valsa fama e riconoscimenti sul mercato vinicolo italiano e internazionale. Ecco perché, pur
essendo relativamente piccola, la cantina di Terlano è ormai un’istituzione consolidata nel
proprio settore.
Storia
Per conservare le tradizioni, spesso bisogna avere il coraggio e la coesione per imboccare
strade nuove. Due virtù che sicuramente non mancarono ai viticoltori di Terlano quando, nel
1893, decisero di fondare la cantina sociale. Quella scelta, allora quanto mai innovativa, si è
dimostrata valida fino ai giorni nostri, e oggi, grazie al suo vino, Terlano è un villaggio noto a
tutti gli appassionati del mondo.
Quando nacque la cantina — nel 1893 — l’agricoltura era uno dei fattori trainanti dell’economia
locale. Ma a parte alcuni sparuti pionieri che già un secolo prima, ispirandosi all’esempio della
Renania, avevano importato vitigni preziosi dalla Germania e dalla Francia, il comparto
agricolo languiva in uno stato di forte arretratezza, dominato da pochi latifondisti. Anche nella
viticoltura, quindi, erano i grandi proprietari terrieri a dettare le regole. Proprio per sottrarsi a
questa dipendenza, 24 piccoli viticoltori di Terlano decisero di mettersi insieme fondando la
cantina sociale. Benché alla fine dell’Ottocento in Alto Adige il rapporto tra i rossi e i bianchi
prodotti fosse di 80:20, Terlano già nel 1893 si era delineata come zona di produzione di vini
bianchi, e col tempo ha consolidato questa sua posizione. Oggi, alla Cantina di Terlano il 70
percento della produzione è costituito da vini bianchi, e il 30 percento da vini rossi.
I primordi della viticoltura
A Terlano, la produzione vinicola ha radici preromane. Grazie al clima favorevole e ai terreni
disposti in quota, al riparo da inondazioni, la zona di Settequerce, San Maurizio e Gries era
apparsa subito ideale per gli insediamenti umani. Diversi reperti archeologici (mestoli e
recipienti di bronzo) testimoniano una cultura vinicola che risale al 5° o 4° secolo avanti Cristo.
Ma la prova certa di una viticoltura preistorica giunse col ritrovamento della “roncola di
Settequerce”, della tarda età del ferro. La forma particolare di questa roncola, con l’estremità
molto ricurva della lama, suggerisce chiaramente la sua funzione per la potatura della vite,
anche perché quel tipo di utensile si è mantenuto pressoché invariato fino ai giorni nostri.
Oltre alla roncola, diversi altri reperti di datazione analoga testimoniano la presenza di notevoli
quantità di vinaccioli in quel periodo, a dimostrazione del fatto che a Terlano si praticava la
viticoltura già nella tarda età del ferro.
Terreno
Le rocce porfiriche rosse tra le quali i vigneti di Terlano si incuneano come tante piccole
terrazze al sole, traggono origine direttamente dal fuoco. La loro classe litologica fa parte del
porfido quarzifero di Bolzano, e si compone di una stratificazione di lave acide e lapilli
vulcanici con sedimenti intermedi. Prevalentemente si tratta di pietre quarzifere costituite da
minerali come il quarzo e i feldspati, su una matrice di base che va dalla grana fine alla
struttura vetrosa. La parete rocciosa subverticale di Terlano si compone di formazioni minerali
come ignimbriti (riolite e depositi piroclastici), tufi, conglomerati e colate laviche. I vari
smottamenti prodotti dal torrente San Pietro hanno trasportato a valle i sedimenti meteorici di
queste stratificazioni rocciose. Sul conoide detritico franoso che ne è scaturito, oggi sorgono i
vigneti di Terlano. Il terreno di Terlano ha una componente rilevante di pietre e sabbia di
origine silicatica, è molto scheletrico, e quindi accumula facilmente calore. La componente di
terra fine, relativamente bassa, è di tipo sabbioso o argilloso.
Clima
Le guglie svettanti delle Alpi proteggono l’Alto Adige dalle correnti atlantiche più fredde
provenienti da Nord, mentre verso Sud il territorio si apre agli influssi mediterranei. Queste
caratteristiche orografiche fanno sì che l’escursione termica fra il giorno e la notte sia molto
marcata, favorendo una maturazione elegante delle uve. Anche sul versante meridionale,
diverse catene montuose, come il gruppo dell’Adamello, svolgono una funzione di schermo
climatico, ed è per questo che le precipitazioni annuali sono solo un terzo di quelle registrate
nelle Prealpi meridionali, mentre l’irraggiamento solare è più elevato. Queste peculiarità
climatiche sono molto simili ad altre zone vinicole europee, come il Vallese in Svizzera. In
ciascuno dei trecento giorni di sole dell’anno, quando i primi raggi spuntano dietro le
montagne a Est di Terlano, il sole è già alto all’orizzonte, poiché tutti i nostri vigneti sono
orientati verso Sud e Sudovest. La bassa densità dell’atmosfera fa sì che l’irraggiamento solare
diretto sia più intenso, mentre l’irraggiamento diffuso è minore, e questo fattore accentua le
differenze fra i pendii soleggiati e quelli in ombra.
Sauvignon Quarz
Vendemmia e selezione delle uve manuali. Pigiatura delicata a grappolo intero e sfecciatura
per sedimentazione naturale. Fermentazione lenta a temperatura controllata e affinamento per
9 mesi sui lieviti fini, in parte in botti di legno grandi (50%) e in parte in fusti d’acciaio inox
(50%). Assemblaggio tre mesi prima di imbottigliare. Annata 2010. In ragione di un inverno
asciutto e freddo e di un’analoga primavera, l’inizio della vegetazione sulle colline di Terlano
ha ritardato sensibilmente in confronto agli ultimi anni. Ad un aprile relativamente mite è
seguito un maggio moderatamente più caldo e piovoso. Il mese di giugno ha costituito una
pagina positiva, mentre luglio si è presentato come estremamente asciutto e con un caldo
record. A queste particolari condizioni climatiche è attribuibile il fatto che l’uva delle diverse
qualità si è formata con acini piccoli. Inoltre in luglio si è rilevata una buona maturazione del
legno ad indicare un’annata promettente. Le condizioni climatiche durante il periodo di
maturazione non sono state delle migliori; in rapporto ad un raccolto piuttosto scarso, la
maturazione tuttavia è proceduta rapidamente e sono state raccolte uve molto sane e
perfettamente mature. Complessivamente la raccolta 2010 è stata una delle più scarse degli
ultimi 20 anni, ma la qualità dei vini si può vedere e apprezzare. Prima annata 1990. Bottiglie
prodotte: 59,300. Resa: 42 hl/ha.
Informazioni tratte dal Sito Ufficiale dell’Azienda
Franco Toros
I Toros sono sempre stati una famiglia numerosa, con tanti nomi ad essa legati, la cui storia
andrebbe raccontata dal principio. Noi, per una volta, faremo uno strappo alla regola,
iniziando da Franco, attuale titolare dell'azienda: viticoltore dei giorni nostri, ma vignaiolo di
un tempo, è colui che ha saputo trasformare l'azienda, prendendola per mano e portandola
all'attuale considerazione.Uomo dal temperamento schivo ama il silenzio e la compagnia della
vigna, aggirandosi sempre tra i filari per prendersi costantemente cura di loro: alla domanda
“Dov'è Franco?” la risposta sarà sempre la stessa: “E' in vigna.....” L'arte del vino e della vigna
gli è stata tramandata da papà Mario che, assieme allo zio Edoardo, imparò ad amare questi
luoghi cesellando i vini con il sapere di antiche generazioni.Ma fu il bisnonno di Franco,
Edoardo, negli inizi del Novecento a mettere le radici a Novali, nel cuore del Collio Friulano:
appena giunto in questa terra, con lungimiranza, seppe capire le sue vere potenzialità, e iniziò
a lavorarla in un epoca in cui le famiglie contadine coltivavano un po' di tutto, facendosi
conoscere dagli intenditori di Austria, Veneto e Friuli.E tutti gli altri nomi, chiederete voi!?
Appartengono al presente e al futuro della nostra famiglia: la moglie Rosanna, cuore della
famiglia (si sa che sono le donne a portare i pantaloni....); le ultime arrivate Eva, Cristina ed
Erika, figlie di Franco e future cesellatrici dei suo vini; e lo zio Renato (ottimo norcino!),
sempre pronto a dare una mano al fratello Franco.
E se veniste a trovarci? Sarebbe un ottima occasione per conoscerci e per visitare il nostro
territorio, il Collio Friulano: un area collinare situata nell'estremo nord-est dell'Italia, a cavallo
tra il nostro Paese e la Slovenia. Qui un susseguirsi ininterrotto di colline, che danno corpo ad
ampie superfici felicemente esposte al sole, è contornato da piccoli e caratteristici borghi,
ricchi di storia e di tradizioni locali; un terra di confine da vivere e da assaporare in bici, a
piedi o a cavallo. Questa zona è da sempre vocata alla coltivazione della vite, grazie al suo
favorevole microclima, unico per ventilazione ed escursione termica, e al suo particolare
terreno: elementi che hanno reso il binomio Collio-vini noto a tutti. A nord, la catena delle
Prealpi Giulie protegge i vigneti dai freddi venti settentrionali e, poco distante a sud, il Mare
Adriatico contribuisce a mitigare le escursioni termiche, favorendo l'instaurarsi di un clima
caratterizzato da inverni miti ed estati piuttosto fresche, contributo essenziale al perfetto
sviluppo A questi fattori positivi si aggiunge la “ponca”, il tipico terreno collinare di questa
zona, costituito da marne e arenarie stratificate che, nel corso dei secoli, sono state erose dagli
agenti atmosferici, creando un terra ideale per la viticoltura, ricca di nutrimento e di minerali.
La cantina si trova in località Novali a Cormons, nel cuore del Collio Friulano, ed è ricavata da
una struttura che nel corso degli anni ha avuto diverse funzioni d'uso e subito diversi
ampliamenti. Inizialmente bisnonno Edoardo la adibì a stalla, tenendovi i primi aratri che il
Signore regalò all'uomo (le mucche!), proprio dove oggi, se verrete a trovarci, potrete
degustare un calice del nostro vino. Quando poi arrivarono quelli di ferro, che noi tutti
conosciamo meglio, la stalla venne trasformata in cantina e ora, a ricordo di quei lontani
periodi e delle fatiche dei nostri avi, resta un vecchio pozzo, dal quale è ancora possibile
attingere acqua. Il tocco finale è stato dato da Franco, che ha voluto creare un angolo dove
collocare le botticelle, per far riposare il vino al riparo dagli sbalzi della temperatura,
scavandolo nel profondo delle colline di Novali. Tutta la cantina è completamente circondata,
come un amorevole abbraccio, dai nostri vigneti e, ancora oggi, noi ci chiediamo se sia stato
l'uomo a volere così, oppure se siano state le vigne stesse a prendere la decisione di
circondarci, come per controllare che nella penombra della nostra cantina ci prendessimo
degnatamene cura dei loro frutti.In ogni caso, che sia questo o quello il motivo, cantina e
vigneti formano un unico corpo dall'estensione di circa dieci ettari, dolcemente adagiato sulle
colline del Collio. ANNO DI IMPIANTO 1989. VENDEMMIA Manuale. VINIFICAZIONE In
bianco con pressatura soffice, temperatura controllata. AFFINAMENTO In vasche di acciaio
inox, batonnâge.
Informazioni tratte dal Sito Ufficiale dell’Azienda
Castello di Spessa
Sono gli anni Settanta quando inizia l’avventura di Loretto Pali nel mondo del vino con
l’acquisto prima della Boatina a Cormòns, in terra d’Isonzo, poi del Castello di Spessa a
Capriva del Friuli, storica Tenuta del Collio Goriziano. Con oltre 80 ettari di vigneti di
proprietà, un apparato produttivo dotato delle più moderne tecnologie e una produzione
annua di poco più di 450 mila bottiglie, l'azienda agricola Castello di Spessa è oggi un punto
di riferimento nell’enologia friulana. Impegnato in prima persona nella gestione della cantina,
Loretto Pali, grazie al suo spirito imprenditoriale di friulano “doc”, ha saputo creare attorno a
sé un team di lavoro appassionato e competente, avvalendosi della professionalità di esperti
del settore, che negli anni lo hanno aiutato a realizzare il suo sogno.
Le cantine di invecchiamento, le più antiche del Collio, sono scavate proprio sotto il castello e
si sviluppano su due livelli: il primo, il più antico, risale al periodo medievale: una volta
utilizzato per la produzione del vino, oggi viene utilizzato come barricaia; il secondo livello, a
circa 18 metri di profondità, è un vecchio bunker militare realizzato nel 1939 dall’ esercito
italiano e scoperto durante i lavori di ristrutturazione. Grazie alla temperatura costante di 14 è
utilizzato come cantina di affinamento per i prestigiosi rossi Cru del Castello, oltre che per la
celebrata Grappa Riserva Conte Ludovico, invecchiata più di 20 anni. Le cantine sono anche il
luogo ideale per i brindisi, le degustazioni e gli aperitivi di tutti gli eventi organizzati nel
Castello.
Segrè Sauvignon
La fermentazione avviene in vasche inox a temperatura controllata. Il vino viene mantenuto
sulle fecce nobili di fermentazione, affinché i profumi estratti risultino ben marcati ed
equilibrati. Colore giallo paglierino. Al profumo manifesta freschezza con i sentori vegetali:
sambuco assieme a salvia, foglia di pomodoro, una punta di rosmarino.
Informazioni tratte dal Sito Ufficiale dell’Azienda
Tiare di Roberto Snidarcig
Quella di Roberto Snidarcig per il Sauvignon è una passione coltivata fin da ragazzo. Proviene
da una famiglia contadina, con animali da allevare e campi da coltivare. In campagna fin
dall’adolescenza, Roberto aveva individuato fra le uve che suo padre acquistava da altri
contadini per vinificare, una vigna di Sauvignon dal carattere particolare, che spiccava sulle
altre, il cui vino si evolveva e migliorava in modo significativo e sorprendente di anno in anno.
E proprio da quella vigna è iniziato il suo amore per il Sauvignon (che rappresenta ora il 45 %
della sua produzione, complessivamente di 100.000 bottiglie annue): ne ha preso dei tralci, ne
ha fatto delle barbatelle, le ha piantate nel suo primo ettaro di vigneto, a Dolegna. Sempre a
Dolegna, fra le zone più pregiate del Collio, acquista poi altri terreni e vi impianta nuovi
vigneti di Sauvignon e, via via, di altre uve a bacca bianca, che qui trovano terreno e
microclima ottimali. Ma è soprattutto sul Sauvignon che si concentra, studiandolo, seguendone
con passione e perfezionismo tutte le fasi, dalla campagna alla vinificazione e all’affinamento.
Nel 2007 costruisce fra le vigne una modernissima cantina, di medie dimensioni, ma dotata di
tecnologia di ultima generazione. La progetta lui stesso in base alle sue esigenze e al suo
modo di fare vino e la fa dipingere di un delicato color viola. Sopra la cantina, gli spazi per
degustare i vini e per l’agriturismo ( per i quali ha scelto un vitale color arancio) si aprono con
un grande porticato sul verde delle viti di Sauvignon. Annessa alla cantina, la casa dove vive
con il piccolo Alessandro e la moglie Sandra, compagna di vita, avventure e lavoro, dalle cui
mani escono i genuini e saporiti piatti della tradizione friulana per i quali è noto il loro
agriturismo.
L’azienda e i vini - L’azienda Tiare si estende su circa 10 ettari vitati e abbraccia due delle zone
Doc più interessanti del Friuli Venezia Giulia, il Collio e l’Isonzo. Roberto Snidarcig interpreta il
terroir di queste due Doc (il Collio, per il suo terreno marnoso e il microclima
straordinariamente vocato alla produzione di Bianchi e l’Isonzo, le cui ghiaie sono habitat
ideale per i Rossi) per produrre vini di spiccata personalità, al cui carattere concorrono da una
parte la felice esposizione e la particolare composizione geologica dei terreni dove ha
impiantato le viti e dall’altra la passione, la cura e la metodologia del suo lavoro, sia in vigna
che in cantina. La produzione di circa 100.000 bottiglie annue di media.
Zona di produzione: Dolegna del Collio. Vendemmia: manuale prima e seconda decade di
settembre in funzione della posizione della vigna. Vinificazione e affinamento: criomacerazione
a freddo, pressatura soffice, decantazione statica e fermentazione in vasca di acciaio inox; il
20% svolge la fermentazione malolattica.
Informazioni tratte dal Sito Ufficiale dell’Azienda
Inama
Siamo una famiglia che produce vino da oltre quarant'anni come unica attività. Arrivati alla
terza generazione, abbiamo ben definito il nostro progetto: produrre vini diversi che
posseggano come unico fine quello di corrispondere alla nostra visione del territorio, al di
fuori degli stili e dai gruppi di tendenza. Lavoriamo in regime di agricoltura biologica perché
riteniamo ci dia un frutto migliore, ma non lo dichiariamo in etichetta. Crediamo nel vino che
genera emozioni, possibilmente "alla cieca" e per fare questo abbiamo sviluppato il nostro
saper fare interno, senza avvalerci di consulenti e wine guru. Ci affidiamo alla quotidianità e al
minimalismo enologico, rispettando le buone pratiche enologiche che hanno gettato le basi del
vino moderno.
Le prime bottiglie furono prodotte quasi per scherzo nel 1991: si trattava di Sauvignon, una
varietà nuova per l’area. Nacque così il Vulcaia Sauvignon. La spiegazione di questo approccio
è facilmente spiegabile. In quegli anni l’immagine del Soave era ancora molto appannata a
causa delle dissennate produzioni di vino di massa con uve di pianura, ottenute spesso in
quantitativi per ettaro spropositati. La nostra idea era quella di far conoscere il territorio del
Soave, non ancora attraverso il suo vino Classico, ma con una interpretazione del Sauvignon
che, cresciuto per la prima volta su questo terreno vulcanico, aveva dato origine ad una
versione del tutto nuova della varietà francese. Il vitigno risultava essere, fin dalle prime
vendemmie, fortemente “addomesticato” dal territorio, addirittura in modo inaspettato con
aromi e fragranze di frutta matura, e non vegetali, difficilmente riconducibili alle note varietali.
Si tratta pertanto di un vitigno che definiremmo come “ben adattabile”. La versione fermentata
in legno dello stesso vino, che abbiamo chiamato Vulcaia Fumé, ha ottenuto fin dall’inizio un
notevole interesse a causa della sua grassezza e della potente componente di frutta tropicale,
caffè ed agrumi. L’anno successivo è stato introdotto un vino, da vendemmia tardiva della
stessa uva, che abbiamo chiamato Vulcaia Après, ora non più prodotto. L'anno 1992 è stato
anche l'inizio della produzione degli altri bianchi: lo Chardonnay e finalmente il Soave Classico
Vin Soave. In alcune stagioni di prove (89-90-91) abbiamo sviluppato la tecnica tuttora usata.
Innanzitutto viene utilizzata al 100% uva Garganega di proprietà. L’idea era quella di rivisitare
le antiche pratiche, ora perlopiù abbandonate, che avevano a nostro parere, valorizzato
positivamente le caratteristiche dell’uva. In particolare la breve macerazione sulle bucce (2-10
ore, a seconda dello stato dell’uva e della temperatura) senza aggiunta di prodotti enologici.
Poi il naturale imbrunimento dei mosti ottenuti e la fermentazione del decantato non solfitato.
Il risultato ha prodotto un Soave Classico molto ben caratterizzato a causa della cessione delle
sostanze aromatiche e fenoliche dalle bucce al mosto, ma anche dallo sviluppo in macerazione
della microflora spontanea con la conseguente “tipicizzazione” derivata dalla sua attività in
queste condizioni. Questa tecnica è poi stata applicata alla produzione di tutti gli altri bianchi
secchi. Per il Soave Classico Vigneti di Foscarino, le uve vengono selezionate dalle parcelle
migliori e dalle viti più vecchie. La fermentazione avviene, come un tempo, in vecchie barrique
(2-5 anni di età). Il vino rimane sulle fecce per 6-7 mesi e viene poi travasato in tini di acciaio
dove riposa per altri 6 mesi prima dell’imbottigliamento. Crediamo ciò sia la massima
espressione di quanto si possa tradizionalmente intendere come Soave Classico. Probabilmente
l’esempio più vicino a quel Soave medioevale che ha generato la fama del vino e del territorio:
aroma di fiori di campo che evolve nel tempo verso il miele, forte mineralità che, assieme ad
acidità e tannino moderati, rende il vino di piacevolezza “classica”. Nel 1996 abbiamo voluto
introdurre un’altra versione del Soave. Avendo piantato alcune parcelle allevate a filare con viti
innestate su di un vecchio piede chiamato Rupestris du Lot, è stato ottenuto un mosto di
notevole concentrazione che abbiamo poi fermentato in barrique nuove. Questo Soave
Classico è stato chiamato Vigneto du Lot ed ha ottenuto fin dall’inizio notevoli riconoscimenti.
Oggi la quantità di legno nuovo è scesa intorno al 30% per non prevaricare le note aromatiche
ottenendo sempre un’ottima forza ma maggior eleganza.
Cenni biografici
Giuseppe Inama, originario di Sarnonico (nell’Alta Val di Non in Trentino), frequenta il corso
di studi triennale presso l’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige, diplomandosi a vent’anni, nel
’46, causa la chiusura della scuola nell’ultima fase del secondo conflitto mondiale. Seguiranno,
inoltre, 18 mesi di laboratorio intensivo dedicato alla frutticoltura. Di quegli anni giovanili, del
grande valore di quell’esperienza maturata in tempi difficili per il susseguirsi degli eventi
storici, Giuseppe Inama ha un grato ricordo. La memoria va al senso della solidale fraternità
con i compagni, giunti da ogni parte del nord Italia, alla fattiva collaborazione con docenti ‘alte
schule’ estremamente qualificati, alla presenza interagente quale uditore nelle varie discipline
didattiche, al fine d’acquisire molteplici informazioni e formulare una variegata, più vasta
conoscenza, infine, ai tanti impegni di un’agenda che già da allora accomunava, senza limite
d’orario, studio teorico, applicazione di laboratorio - con testificazione, ad esempio, delle
diverse campionature e la completa analisi (secondo una procedura obbligatoria per Svizzera,
Austria e Germania ) e, conseguentemente, la vera pratica: nei campi, in vigna, negli alveari,
come nelle stalle. Un rodaggio laborioso per una preparazione a schema universitario, che si
rifletteva ad ampio raggio in ciascuna delle molteplici branche appartenenti al mondo agricolo.
Giuseppe Inama, nel ’47, entra nell’operatività diretta del settore presso Biscardo di Bussolengo
(una sola vendemmia). Inizia, l’anno seguente, a collaborare con un altro storico produttore,
Anselmi. Una lunga carriera, ben 35 anni, conclusa nel 1983, che ha consentito un totale
sodalizio con il mondo del vino. Quindici gli anni come tecnico e venti anni in veste di
dirigente, hanno assommato sulla sua persona ruoli importanti, oggi peraltro ben distinti in
qualsiasi realtà aziendale — da responsabile per gli acquisti, alla determinazione dei carichi per
il trasporto nelle varie sedi dei mercati italiani, al contatto con i clienti -. Inama è l’unico
enologo di Verona e provincia, peraltro è anche il più anziano, che ha fondato una cantina
mentre nel frattempo lavorava a tempo pieno e in piena correttezza nel suo ruolo dirigenziale
in una azienda vinicola. Un uomo che ha sacrificato notti, feste comandate, tutto il tempo
libero possibile per realizzare il suo sogno, con rinunce inimmaginabili oggigiorno. Spirito di
sacrificio, capacità di rischio, passione e amore per “la seconda famiglia”, ovvero il vigneto,
una naturale inclinazione al vivere il ciclo della natura, hanno portato quest’uomo determinato
e volitivo a fondare una realtà imprenditoriale diventata nel tempo famosa internazionalmente.
Stefano Inama, quarantonove anni, dopo gli studi classici, consegue la laurea in scienze delle
preparazioni alimentari a Milano. Successivamente, in Gran Bretagna, completa la
specializzazione in biologia applicata presso il Cranfield Institute of Technology, iniziando ad
operare nel settore delle bio-trasformazioni. Contemporaneamente, a partire dal biennio 199091, la sua passione per il vino vede nascere le prime prove di vinificazione sperimentale
all’interno dell’azienda paterna.
Gli esordi. “Le prime bottiglie sono del ’91. A seguire, altre, nel triennio 92/93/94. Ma l’esordio
della prima annata, per la prima produzione visibile, presentata al grande pubblico, segna il
1995. “Un’avventura dall’avvio divertente, - ci descrive Stefano Inama - quando, nel 1991, per
‘scherzoso intento’, ho presentato in azienda un primo imbottigliamento di Vulcaia e una mini
produzione di Sauvignon (per entrambi, circa due-tremila bottiglie). E’ stato un tentativo della
cui efficacia, in cuor mio, ero profondamente convinto. Una mossa commerciale che non
sarebbe passata inosservata, suscitando subito attenzione ed entusiasmo tra gli appassionati,
per la produzione unica del Sauvignon, diversificata, quasi una follia, senza dubbio una sfida
nella zona padrona del Soave Classico, vino la cui reputazione ‘storica’ già viveva una fase
critica. L’interesse per l’opzione prima del Sauvignon riporta ad una mia ben voluta intuizione,
per ottenere i primi importanti risultati anche per una varietà, per quel vitigno che, allora, non
era certamente adattato e non sapevamo se potesse essere adattabile. Soltanto, si
presupponeva potesse esserlo... Però commercialmente, il Sauvignon era un’idea nuova che, in
qualche misura, poteva attrarre l’attenzione del mercato sull’azienda (interesse che, nonostante
tutti i vini che avremmo potuto fare a quell’epoca, il Soave in modo particolare, non sarebbe
stato mai possibile suscitare). Abbiamo fatto di necessità virtù. Questa è l’unica vera mossa di
marketing che abbiamo concepita all’interno dell’azienda. Una mossa senz’altro vincente. Da
qui è nata quasi tutta la gamma dei nostri vini, i due Soave, il Foscarino (’92), gli Chardonnay
(lo Chardonnay fresco, nei primi anni ’90, e il Campo dei Tovi di produzione limitata) e il Vino
Dolce, frutto degli appassimenti sulla vigna, secondo un procedimento a fronte di varie
tecniche lavorative. Concettualmente, avevo già messo a punto la formula, subito tradotta, per i
bianchi. E’ chiaro che, a fronte dei risultati ottenuti, della competenza, dell’esperienza, via via,
maturata, si viene a sottolineare l’importanza di saggiare il vino a distanza di tempo, valutando
nel rapporto di confronto l’evoluzione del proprio gusto, sempre più decisamente affinato. Un
vino fatto tre/quattro anni fa non accontenta più, può senza dubbio essere fatto meglio... Da
qui è nata la crescita, poi si è allargata la famiglia, con Michele Wassler, ed è arrivata la
squadra con Emiliano Manfro e Riccardo Monteverdi per la parte operativa-tecnica, con
Roberta Fratusco e Maria Rosa Niero per la parte amministrativa... Mio padre, Giuseppe, è
sempre stato, per tutti noi, l’eminenza grigia. Ed è nata, nel 1995, la fase di sviluppo
commerciale.”
La crescita
In termini di crescita, va annotata la consacrazione per il Vulcaia Fumé che ha conseguito
numerosi premi. È un vino di fortissima personalità che, pur piacendo o meno, porta precise
connotazioni, derivate anche dalla fermentazione in barrique. “Un vino - spiega Stefano Inama
- per la nostra filosofia, deve esprimere in massimo grado la territorialità, la naturalità, rilasciare
le note di un contesto unico, a forte connotazione particolare. Poi, credo che l’Uomo possa
ottenere risultati interessanti, lavorando ed instaurando uno stretto contatto con la Natura e
rispettandola profondamente (soprattutto in quest’ambito dovremmo attenerci ad essere
esclusivamente dei ‘controller’, ovvero osservatori). Esiste un’evoluzione all’interno della nostra
filosofia che intende continuare a promuovere il mantenimento della forte personalità del vino.
Con la crescita, sia in termini qualitativi sia per l’estensione d’insediamento dei vigneti,
abbiamo acquisito un sempre più variegato sistema di competenza, che consente d’interferire
sempre meno in vigna, applicando le modalità e i sistemi più idonei, secondo le leggi del
minimalismo. Da questo ‘modus operandi’, quindi, per noi e per ogni buon viticoltore, ha
origine la grande scommessa, il rischio di valutare costantemente il confine tra risultato degno
e fasulla naturalità. Occorre avere il giusto metro della bontà della vite, occorre sapere, ad
esempio, che cosa stia realmente succedendo, in ogni momento, all’interno dei diversi
fenomeni organolettici. E’ fondamentale cercare d’imparare ad interferire il meno possibile in
quei vini che dovrebbero avere caratteristiche di pulizia, di piacevolezza, di resistenza. Dietro
questa nostra scelta, questa nostra vocazione, ci sono stati (com’è accaduto per la nuova
magnifica produzione di quel ‘rivisitato’ Soave Classico, che ha ottenuto, ovunque, vastissimo
consenso) anni ed anni di fasi di studio e il rodaggio di laboriose, intense esperienze di
applicazione. Tutto,oltre e al di là dell’eventuale connaturata buona essenza del vino. Il vino
vero non s’improvvisa... E’ più difficile operare nella naturalità, fare cose semplici piuttosto che
complicate. Per quanto riguarda la produzione dei vini rossi, devo a Giuseppe Carcereri tecnico di grande valore - il merito di avermi fatto conoscere l’ambito territoriale dei Colli
Berici: un contesto dalla connotazione morfologica straordinaria (per il fenomeno del
bradisismo) dove si stavano facendo le prime prove su uve selezionate, destinate ad una
produzione d’eccellenza. Mi resi conto che era emozionante scoprire un territorio mai, prima
di allora, giustamente valorizzato. Mi sono buttato a capofitto in quest’operazione.
Un’operazione fortunata. La prima annata (’97) è stata straordinaria. Anche l’annata successiva
ha dato buoni risultati, nonostante l’imperversare di piogge torrenziali alla fine della
vendemmia che hanno, in qualche modo, ridotto il potenziale soprattutto nell’evoluzione dei
vini. Ciò non ha comunque impedito di ottenere dei vini interessanti. Un risultato notevole,
che ci ha persuaso dell’ottimo potenziale di questa zona. Infatti, in condizioni di avversità, le
grandi zone si vedono nelle piccole annate, dove comunque si formano vini interessanti.
Mentre, in analoga situazione, le zone meno vocate tendono a produrre vini di debole
personalità. Abbiamo capito che quella era la giusta strada e, dal 1999, abbiamo iniziato ad
acquistare terreni e vitigni nuovi. Ci siamo innamorati dell’insediamento naturale del
Carmenere, un vitigno che ci sta dando grande soddisfazione e che porterà vini unici al
mondo. Una produzione già in essere, di estremo interesse.”
CARATTERISTICHE DEI VIGNETI: COMUNE: Monteforte d'Alpone e Soave (monte Foscarino).
ALTITUDINE: circa 150 m slm. ESPOSIZIONE: Sud/ Sud-ovest. NATURA DEL SUOLO: basalto
lavico (vulcanico). SISTEMA DI ALLEVAMENTO: Pergola veronese. DENSITA': 4500 piante /
ha. SUPERFICIE: selezione su circa 4,5 ettari. Produzione annuale: circa 26.000 bottiglie, 520
magnum. VINIFICAZIONE. Diraspatura dell'uva e pigiatura. Macerazione pellicolare per 3 ore.
Pressatura. Decantazione del mosto a freddo per 12 ore. Fermentazione in barrique a tostatura
forte nuove al 30%. Batonnage ogni 6 settimane per 7 mesi. Travaso, leggera filtrazione,
affinamento in vasi d’acciaio per altri 6 mesi, imbottigliamento.
Informazioni tratte dal Sito Ufficiale dell’Azienda
I commenti di Maurizio Landi
Una serata di vero piacere. Il Sauvignon sa veramente soddisfare i palati degli appassionati.
Com'è ovvio, come la maggior parte dei vini bianchi italiani, è la componente varietale a farla
da padrone, ma non si tratta di poca cosa. Altrettanto ovvio che i vini passati in legno piccolo
fatichino a trovare spazio: piaceranno ad australiani, americani e neozelandesi, ma qui no!
Un piccolo incidente ha turbato la serata: per una mia distrazione il vino di Terlano era
sbagliato. Una delle due bottiglie non era il Quarz, ma il Winkl. Vino minore, la cui bottiglia è
identica all'altra a parte la scritta. È stato comunque apprezzato, ma mi è molto dispiaciuto
della svista.
Il Quarz di Terlano si conferma un vino magistrale, ben fatto e di grande fascino. Unico vino
di questa selezione, ma probabilmente anche allargando al panorama italiano, ad avere un
profilo non esclusivamente varietale, ma profondamente territoriale. Parte delicato, su sentori
erbacei sommessi, ma poi esplode con una forza prorompente, quasi violenta, e infine si
allunga in un finale interminabile sorretto da una mineralità prodigiosa. Vino di classe
internazionale!
Il celebratissimo Collio di Tiare è piacevole e correttissimo nella impostazione aromatica e
nella progressione. Purtroppo, manca un po' di complessità e di slancio, ma non pecca certo
di equilibrio.
L'intruso: il Sancerre la Moussière di Mellot. Se qualcuno ha dei dubbi sulla qualità dei vini vini
francesi, basterebbe un assaggio di un vino come questo per convincersi. Più delicato
nell'espressione aromatica, ma decisamente più vivo e dinamico nell'evoluzione progressiva
che è capace di sviluppare. Ovviamente sorretta da una mineralità impressionante. Io non
dubbi! Certamente, un vino meno immediato... ma per il resto!
Il Collio di Toros tiene fede alla sua leggenda. Un vino corposo, quasi opulento, pur
mantenendo freschezza. Solo una piccola mancanza di dinamica lo rende meno affascinante.
Avevo assaggiato il Segrè del Castello di Spessa qualche tempo fa e mi aveva convinto. In
questo caso l'ho trovato un po' in difficoltà a confronto con gli altri vini della stessa tipologia.
Chiuso e poco espressivo, non si smuove nemmeno dopo una suffuciente areazione. Forse la
magnum... forse una bottiglia non fortunata... chissà!
Il Vulcaia Fumé tiene fede a se stesso. È opulento, burroso e quasi dolce per la quantità di
glicerina, ma ha un fascino, proprio nella sua forma extra-large. Anche se non è un vino
accettabile oggi, mantiene un suo fascino. Anche perché, in mezzo a tutta questa materia,
possiede anche una piacevole profondità. Per palati “golosi”!
Il Lafoa di Colterenzio, invece, proprio non convince. Possiede la struttura del precedente, ma
manca completamente di articolazione e di fascino. Anche dopo una lunga ossigenazione, non
si esprime in niente e rimane di rinchiuso in una struttura imponente, ma sterile. Non possiede
nemmeno il pregio della dolcezza!
Indice di Gradimento dei Partecipanti alla Degustazione
7
6
2
5
4
3
1
Vino
Alto Adige Sauvignon Lafoa 2009
Vulcaia Fumé 2011
Collio Sauvignon 2013
Collio Sauvignon Segrè 2012
Collio Sauvignon 2013
Sancerre La Moussière 2012
Alto Adige Sauvignon Quarz 2010
Produttore
Colterenzio
Inama
Tiare
Castello Spessa
Toros
Alphonse Mellot
Cantina Terlano
1
2
3
4
5
6
7
2
1
3
5
4
7
6
2
1
6
4
7
3
5
2
3
1
4
6
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2
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6
5
1
2
3
4
7
5
6
1
2
6
3
4
5
7
5
2
1
6
4
3
7
2
3
5
1
6
4
7
1
3
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6
4
2
7
1
4
2
5
6
3
7
1
6
4
2
3
5
7
1
2
3
4
5
6
7
1
3
2
4
5
6
7
Totale
27
40
55
64
78
79
105