FLOTTIGLIA MAS-R.S.I. - Sito Ufficiale dell`Associazione
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FLOTTIGLIA MAS-R.S.I. - Sito Ufficiale dell`Associazione
NOVEMBRE 2013 ASSOCIAZIONE COMBATTENTI FLOTTIGLIA MAS-R.S.I. In questo numero - Campo della Memoria - La testimonianza di Franco Grazioli - La mascotte del Barbarigo INDICE IN QUESTO NUMERO Lettera del Presidente ......................................................... pag.3 Direttore Responsabile Dott. Maurizio Gussoni Direzione e Redazione Via Soderini, 36 - 20146 Milano Tel. e Fax 02 4151571 [email protected] Stampa Tipografia Triestina s.n.c. Via Valdirivo, 30/A - 34132 Trieste Campo della Memoria ....................................................... pag. 4 Testimonianza ................................................................................ pag. 6 La mascotte del Barbarigo ............................................ pag. 9 Lutti............................................................................................................... pag. 10 Nostri Soci............................................................................................ pag. 11 Edito da Associazione Combattenti Xª Flottiglia MAS-R.S.I. Sede legale: Largo Don Chiot, 27/A - 37172 Verona Tel. 333 9535879 Fax 045 8302533 Segreteria operativa: Via Carlo Ghega, 2 - 34132 Trieste Tel. 040 215865 [email protected] www.xflottigliamas.it In copertina: Un particolare del dipinto del Maestro Alberto Parducci raffigurante il Btg. Bargarigo Pubblicazione registrata presso il Tribunale Civile e Penale di Milano al n. 752 in data 3 dicembre 1999 SEI IN REGOLA CON IL PAGAMENTO? Ricordati che per poter continuare a ricevere il nostro notiziario devi essere in regola per l’anno 2013. -2- LETTERA DEL PRESIDENTE IL CONSIGLIO DIRETTIVO ASSOCIAZIONE COMBATTENTI Xª FLOTTIGLIA MAS – R.S.I. PRESIDENTE Carlo Alfredo Panzarasa VICE PRESIDENTE Fiamma Morini DIRETTIVO Umberto Schiavon (veterani) Marcello Lama (veterani) Roberto Pulli (ordinari) Marina Marzi (ordinari) Ingebord Goedecke (ordinari) Piero Liva (ordinari) Alberto Indri (ordinari) PROBIVIRI Paolo Teoni Minucci Mario Trovisio C ari commilitoni, ausiliarie volontarie e soci tutti, come promesso nello scorso numero, troverete nelle seguenti pagine rassicuranti notizie sullo stato di avanzamento dei lavori di ripristino al “Campo della memoria” di Nettuno, vergognosamente deturpato la notte dello scorso 15 marzo. Inutile soffermarci sul significato del gesto di chi, complice l’oscurità, ha così voluto colpire la memoria dei nostri Caduti. Oggi come ieri, tali azioni vigliacche e irose gettano solo fango su chi le ha portate a termine, mosso esclusivamente dalla paura che ancora oggi incute il significato del nobile gesto di sacrificio sostenuto dai nostri morti. Preferisco invece soffermarmi a ringraziare gli artefici dell’intervento riparatore: ovviamente Alberto Indri, Presidente del Campo della Memoria, poi il Senatore Aldo Di Biagio, per la repentina interrogazione parlamentare presentata dopo l’increscioso fatto e, certamente non ultimo, Giuseppe Fedegari, che si è preso l’onere di incidere e ricollocare le targhe commemorative asportate. Sono altresì felice di comunicarvi il successo ottenuto dallo stand della nostra associazione al “Militalia” di Novegro. Come ogni anno, grazie all’opera organizzativa e di presenza della nostra sempre attiva Vice Presidente, l’Ausiliaria Volontaria Fiamma Morini, e della nostra insostituibile Consigliera Ingebord Goedecke Albero, con l’aiuto del commilitone Gigi Farina, del giovane camerata Luciano Basoni di Lugano e di Francesco Russo, il banchetto con il materiale prodotto dall’associazione e i cartelloni esplicativi sulla Xª Flottiglia MAS sono stati visitati da centinaia di persone, che si sono così avvicinate alla nostra realtà associativa potendone interpretare il profondo significato memorialistico. Complice anche la posizione privilegiata rispetto agli altri anni, il nostro stand è stato certamente uno dei più visitati e apprezzati durante la due giorni milanese di novembre, ripagando così la disponibilità di tutti i nostri collaboratori presenti. Voglio inoltre comunicarvi che la città di Genova ha voluto intitolare un molo del suo porto con tanto di targa commemorativa alla nostra compianta MOVM nonché ex - Presidente Luigi Ferraro per l’impegno portato avanti sul finire del conflitto in difesa dell’impianto portuale ligure. Un riconoscimento ufficiale a lungo atteso che premia indirettamente anche tutti gli uomini della Xª Flottiglia MAS che si impegnarono a difendere gli impianti industriali in previsione della ricostruzione. Senza il loro intervento, il boom economico degli anni Cinquanta sarebbe certamente partito in ritardo. Infine, desidero ricordare a tutti l’appuntamento annuale di gennaio a Gorizia, quando andremo a commemorare gli eroici difensori del confine orientale e, in particolare, i marò del Battaglione Fulmine che si immolarono a Tarnova della Selva per difendere il capoluogo isontino dall’accerchiamento titino. Spero di ritrovarvi numerosi! Sempre Decima! Carlo Alfredo Panzarasa -3- CAMPO DELLA MEMORIA L’associazione “Campo della Memoria” L ’Associazione “Campo della Memoria” nasce a Firenze il 4 dicembre 1989 con lo scopo di ricordare tutti i Caduti della Xª Flottiglia MAS, primi nel tempo i marò del Btg. Barbarigo morti sul fronte di Nettuno. Proprio nella cittadina del litorale laziale dove si combattè nel 1944 la Battaglia di Roma si perpetua il ricordo di tutti i soldati della Repubblica Sociale Italiana caduti su questo e su altri fronti in difesa della Patria e dell’Onore. Come raggiungere il “Campo della Memoria” I l Campo della Memoria è situato a Nettuno in via Rocca Priora, traversa di via dei Frati. In auto da Roma: dal GRA (Gran Raccordo Anulare) prendere l’uscita 26 (SS 148 Pontina). Dopo la città di Aprilia prendere l’uscita Campoverde nord - Nettuno e quindi seguire le indicazioni per Nettuno. L’uscita Campoverde nord - Nettuno vi immette direttamente sulla SP 87/bis conosciuta come via Velletri-Nettuno. Dopo 5,6 km si giunge al semaforo della località Piscina Cardillo. Continuare sempre dritto. Dopo 3,1 km sulla vostra destra compare un grande ristorante-pizzeria, girare a sinistra in via dei Frati. Dopo circa 500 metri sulla vostra sinistra trovate via Rocca Priora (la terza a sinistra di via dei Frati), una strada che costeggia una grande villa munita di mulino a vento. Dopo 100 metri sulla destra si apre il Campo della Memoria. In auto da Nettuno: arrivati al piazzale John Fitzgerald Kennedy, di fronte al Cimitero Militare Americano, prendere via Santa Maria direzione Cimitero Civile di Nettuno. Dopo il cimitero la strada cambia nome in SP 87/bis conosciuta con il nome di via Nettuno-Velletri. Partiti dal Cimitero Americano dopo 1,7 Km girare sulla destra in via dei Frati. Dopo circa 500 metri sulla vostra sinistra trovate via Rocca Priora (la terza a sinistra di via dei Frati), una strada che costeggia una grande villa munita di mulino a vento. Dopo 100 metri sulla destra si apre il Campo della Memoria. Il Campo della Memoria può essere visitato nelle mattine di sabato e domenica. L’ausiliaria volontaria Fiamma Morini apre il corteo all’interno del Campo della Memoria La lapide a ricordo dei Caduti RSI -4- CAMPO DELLA MEMORIA Iniziati i lavori di ripristino al “Campo della Memoria” I l 21 ottobre 2013 sono iniziati i lavori di ripristino al “Campo della Memoria”. avvio alla riqualificazione del sito sacro per renderlo nuovamente decoroso e quindi visitabile. Finalmente, dopo una spiacevole impasse burocratica che impediva ogni nostro intervento per rimediare ai danni arrecati dai soliti ignoti all’interno della struttura che ricorda i nostri valorosi Caduti, è stata trovata una soluzione al problema: Onorcaduti e il Comune di Nettuno, responsabili rispettivamente del mantenimento dei cimiteri di guerra italiani e della manutenzione ordinaria dei cimiteri presenti sul suolo comunale, dietro nostra ferma sollecitazione hanno preso atto dei loro doveri e così hanno potuto dare A breve, grazie alla generosa opera del nostro socio Giuseppe Fedegari, verranno riposte anche le targhe in acciaio a ricordo dei Caduti, vergognosamente rubate la notte del 15 marzo 2013. Seguirà la posa di cartelli stradali per indicare come raggiungere il sito sacro e, presumibilmente, la messa in funzione di un impianto di videosorveglianza atto a scoraggiare altre eventuali incursioni vandaliche. Venerdì 15 novembre presso la Sala Pietro da Cortona dei Musei Capitolini in Campidoglio a Roma si è svolto il IV Premio "Associazione Campo della Memoria - Xa Flottiglia MAS R.S.I." intitolato alla memoria di Raffaella Duelli e Bartolo Galitto. Tra i tanti convenuti erano presenti il principe Andrea Scirè Borghese, la signora Annamaria Mussolini e la signora Jolanda Muti. Nel prossimo numero del notiziario daremo ampio spazio all'evento. Il Campo della Memoria a Nettuno -5- TESTIMONIANZA A lla data dell’8 settembre 1943 mi trovavo nella caserma del 50° RGT Fanteria a Macerata in attesa di essere trasferito ad un altro reparto. Voci tante. Un bisbigliare confuso, esitazioni del discorrere, dubbi e domande senza alcuna risposta. Non un cenno esauriente sul dramma che la Nazione stava vivendo. Il dramma politico militare, al momento, senza alcun spiraglio umano. Dopo un paio di giorni, il comando del 50° Fanteria ordinò lo scioglimento di tutti i battaglioni comunicando alla truppa: “Tutti a casa!?!...”. A quest’ordine, scaturito da sentimento di codardia, di opportunistica scelta, non si poteva opporsi. Tornare a Roma è stato un tormento. Le strade provinciali o i viottoli comunali ci erano preclusi; dovevamo procedere per campi, vigne, fossati, brevi tratti di linea ferroviaria per procedere verso Roma. Il ritorno a casa era desolante: al momento io ignoravo tutto, solo voci. Giunto a Roma provai un senso di vuoto. Ancora ignoravamo come fossero andate le cose. Notammo da parte dei tedeschi un comportamento diverso nei nostri confronti. Inoltrandomi per le strade della mia città, provai dolore nel vedere in quale stato di abbandono stesse vivendo la capitale. Ogni folata di vento sollevava polvere ed un lezzo pesante... Quartieri vecchi passati alla storia... Roma, un’eterna gloria con le insegne del Potere abbandonate lungo le strade. Cumuli di divise stracciate alla rinfusa agli angoli delle vie. Nelle ville comunali, nei giardini di piazza Vittorio, sul lungotevere carcasse di camion, autoblindo, piccoli carri armati del fu Regio esercito giacevano abbandonati. Nasceva, giorno dopo giorno, quel sentimento disperato: il tradimento, una resa senza onore, una fuga delle Istituzioni goffa e vigliacca. Dal nostro cuore scaturì un sentimento di ribellione. Non volevamo condividere il disonore per aver tradito il nostro alleato, per aver accettato una resa disonorevole per una Nazione con una storia millenaria, senza sparare un colpo di fucile, magari ritirandosi ancora con il fucile in mano, contrastando l’avanzata del nemico. Mi sono arruolato in Campidoglio. Una corsa tutta in salita per la scalinata. Dopo uscii con una manciata di carte; tessera annonaria con i bollini per l’acquisto di viveri, foglio di viaggio e attestato di arruolamento volontario nella Xa Flottiglia MAS. La Spezia, bella sotto un sole invernale, sembrava vuota. Provai una sensazione viva di accoglienza. La caserma San Bar- tolomeo a Muggiano era stracolma di uomini di ogni età, ma in maggioranza giovani. Alcuni indossavano ancora la divisa dei reparti di appartenenza. I volti avevano un’espressione determinata d’una vivacità unica. Che entusiasmo! Le giornate non finivano mai. Lunghe ore di addestramento in ordine chiuso, breve libera uscita. Consumavamo il rancio sui bastioni di roccia della caserma proprio davanti al mare. Guardando tutta la rada, Le Grazie, il Varignano, ci tormentava il ricordo visivo della nostra flotta arresasi al nemico senza colpo ferire, ora alla fonda del porto di Malta, con il drappo nero issato sul pennone. Disonore: solamente a notte fonda, dopo il silenzio che il trombettiere infondeva come una serenata, trovavamo un po’ di pace. Verso la metà del mese di aprile il Battaglione Lupo partì per raggiungere la Toscana, in provincia di Pisa, dove lo aspettava un periodo di addestramento molto impegnativo con istruttori della Divisione H. Goering. In quel periodo, due mesi di lavoro intenso, apprendemmo quanto necessario per diventare autentici soldati. Lo sfondamento della testa di sbarco di Anzio richiamò al fronte la H. Goering. Quando gli americani avanzando raggiunsero Grosseto, il Lupo dovette spostarsi verso nord. Con marce forzate notturne il reparto raggiunse la costa del Tirreno. Sulle Apuane il Lupo ebbe il battesimo del fuoco contro la banda comunista comandata da un partigiano chiamato “lupo”. La terza compagnia in azione ebbe un ferito. Autocarrati, raggiungemmo il Piemonte. A Torino eravamo accasermati alla Monte Grappa. In Piemonte in varie occasioni e in estrema necessità abbiamo percorso tutte le sue valli. Nel mese di agosto ad oltre tremila metri di quota abbiamo liberato dall’occupazione dei partigiani la Centrale elettrica di Rocciamelone. Per la liberazione della città di Alba, il Lupo mise in pratica quanto appreso nel rigoroso addestramento con la divisione H. Goering. Ormai eravamo consapevoli della nostra preparazione militare per cui ogni nostra aspirazione, direi unica, era quella di andare a combattere al sud contro l’Ottava Armata. La Xa nelle splendide valli e montagne piemontesi agì con velocità ed aggressività. Il giovane esercito della R.S.I. rappresentava qualcosa di nuovo rispetto alla vecchia struttura del fu Regio esercito. Una delle numerose disposizioni del Comandante Borghese: 1. Rancio unico per ufficiali, sottufficiali e marinai. Il Lupo nella caserma di San Bartolomeo La parata a Milano -6- 2. Panno della divisa uguale per tutti. 3. Sospensione di ogni promozione sino alla fine della guerra, fatta eccezione per le promozioni per merito di guerra sul campo. 4. Reclutamento esclusivamente volontario. 5. Pena di morte per i militari della Xa che vengano riconosciuti colpevoli di furto o saccheggio, codardia di fronte al nemico. Dopo la conquista di Alba contavamo i giorni per essere avviati al Fronte. Il battaglione fu premiato con l’elogio del Comandante Borghese e con l’annuncio della prossima partenza per il Fronte. Tale annuncio ebbe un immediato entusiasmo: i corridoi, le camerate, il grande cortile della Monte Grappa echeggiavano delle grida di gioia. Prevaleva su tutti l’impegno e la promessa di combattere per l’Onore d’Italia contro il nemico invasore anglo-americano. La sera del 4 dicembre il Lupo partì per la grande avventura del Fronte contro l’Ottava Armata inglese. Destinazione Emilia Romagna. Oggi il ricordo di quelle giornate mi riprende tutto, nel cuore, nell’animo: cantavamo, non per incoscienza o perché ignorassimo il momento drammatico in cui si trovava la nostra Patria, ma perché in noi viveva quello stato d’animo simile ad una rinascita spirituale. Una presenza unica, viva, consapevole di ogni sacrificio fino alla morte per coprire l’infamia in cui era stata travolta la Nazione. Sia benedetto quell’ardire di tanti uomini e donne, giovani e giovanissimi. Il battaglione traghettò sul Po nella notte dal 4 al 5 dicembre 1944. Finalmente arrivò l’ordine di schieramento per il Lupo nel settore compreso fra gli abitati di Alfonsine e Fusignano, alle dipendenze della 16ª divisione corazzata Panzer Granadier der SS. Il battaglione entrò in azione dal 27 al 30 dicembre 1944. All’inizio la vita al fronte fu piena di imprevisti a cominciare dalla sistemazione delle “buche”. Lo facemmo con quanto era possibile racimolare: legname, pietre, tegole, mattoni e... sudore. Vigili di giorno, di notte, quando non eravamo di pattuglia nella terra di nessuno, ci assalivano i ricordi delle donne conosciute, degli ottimi pasti consumati nelle amene trattorie di Torino, ma oltremodo a Milano. Erano sorprendenti gli spettacoli teatrali: la compagnia di Nuto Navarrini e Vera Roll e quella di Lia Origoni. Costei era un’artista con una voce incantevole da soprano leggero. Donna sensibile e affidabile: eravamo diventati amici: c’era tanta umanità nel suo comportamento. Con le nostre amiche ballerine andavamo ovunque in giro per Milano. Con una di costoro, Ada, avevo preso una camera fissa in pensione. Ada, l’amica cara di quelle giornate milanesi allietava l’attesa della partenza per il fronte. Ogni giorno sentivamo che il giorno della partenza si avvicinava inderogabilmente. Una sera al Biffi stabilimmo che l’appuntamento rimaneva fissato alla solita ora in Galleria. Se poi... Ada prontamente disse: “Se non ti vedo arrivare, capirò che sei partito e allora avrò un pensiero grande per te”. Quella notte per noi fu diversa da tutte le altre... Le pattuglie si susseguirono quotidianamente: la stanchezza, la fame, il gelo ci attanagliavano. I nostri nemici, dall’altra parte, avevano ogni bene da consumare: viveri, sigarette, coperte di lana soffice australiana: il tormento dei cecchini e delle mine era sempre presente. Dovevamo toglierci dalle “palle” i cecchini canadesi. In qualche azione ci si riuscì, minando i “casoni” dove si ricoveravano i canadesi per la notte. Quando i casolari saltavano in aria pensavamo subito: “d’ora in poi qualcuno si salverà!” Nel frattempo moltissimi indizi ci fecero capire che l’Ottava Un passerella sul Senio Armata avrebbe ripreso l’avanzata, disponeva di mezzi e uomini in notevole quantità. Da notizie avute dai nostri servizi segreti questi riferivano che gli anglo-americani disponevano di circa 5.000 aerei, mentre noi disponevamo di un centinaio di aerei perlopiù caccia. Questa era la situazione del fronte italiano. Alla fne di febbraio avvenne l’avvicendamento. Tanti morti non furono recuperati, scomparsi nella terra patria. Vicenza, Marostica per il periodo di riposo. Tutti i marò si alternavano nelle licenze. Eravamo più maturi, molte illusioni s’erano disperse nella moltitudine di tanti avvenimenti. Ogni senso ricomponeva una realtà. Noi guardavamo, assistevamo, al tramutarsi di un orizzonte burrascoso, senza più sogni ma con una fede incrollabile per poter proseguire. La primavera cominciava a sorgere con un sole più caldo con i suoi infiniti richiami. A Marostica i marò del Lupo trascorsero un periodo sereno. La popolazione era cordiale. Le licenze ordinarie o di convalescenza si susseguivano felicemente, anche a rischio della pelle, perché la situazione stava cambiando, in particolare nei grandi centri dove operavano i “gap” partigiani che si nascondevano nell’ombra della notte protetti dall’anonimato e dall’abito civile. Il Lupo ripartì ancora per il fronte. Una colonna autocarrata tedesca trasporterà il Lupo verso le valli di Comacchio, dove già si trovavano altri reparti della Xa. Il Lupo si attestava sul Po. Il solito lavoro di approntamento delle postazioni situate nel soprargine. Il Po, un fiume grande, sembrava indifferente a tutto ciò che lo stava attraversando, gli uomini lo scrutavano con un timore premonitore. Ormai era questione di giorni, di ore, forse anche meno e il nemico sarebbe apparso, dall’altra parte del fiume. Sull’argine boscoso di un verde cupo, i rami in certi punti toccavano l’acqua e altri dondolavano sullo sfondo burrascoso dell’orizzonte. Di fronte, in quel tratto d’argine, dov’erano schierati gli uomini della II Compagnia del Btg. Lupo, solo terra gialla, pochi e miseri cespugli. C’erano persino due vaste secche, fra l’argine verde e quello brullo, rasate e tenere come fossero di velluto. Subito dopo prese a piovere. La pioggia non ci avrebbe più lasciato fino all’epilogo della nostra grande avventura. Non sapevamo in quali giorni cadeva la S. Pasqua. Comunque l’atmosfera , l’aria, il cielo, erano diversi da quelli del Senio. Quel fiumiciattolo che nel lontano 1797, il 2 febbraio vide vinta la -7- TESTIMONIANZA battaglia, durante la campagna di Napoleone contro lo Stato pontificio, da parte delle truppe francesi e della Legione Lombardia. Così le milizie pontificie si ritirarono da Roma, sconfitte. Non c’era più la bruma della terra di Romagna, il filare allucinante della terra sconvolta dalle bombe, il gelo intenso ma anche il tormento delle pattuglie notturne. Il tracannare vino bollente per riscaldare il corpo e accendere gli occhi per la notte. Sul Po, in attesa dello scontro finale, gli uomini pescavano. Poi improvvisamente, come se fosse sceso sulla terra un demonio maligno. Tutto cessò. Traghettate le ultime retroguardie stremate dalla fatica, dalle esplosioni, la vita si era fermata. Vigeva il silenzio rispettato per la vita, per la morte. Qualcuno andava mormorando Anzio, Appennino, Comacchio, Senio. La bocca rossa delle donne, dei tanti baci appassionati, ora venivano assimilate dalla bocca della mitragliatrice, pronta a sputare fuoco. Una strana somiglianza fra un sogno e una catarsi di morte. Cavarzere. Il trasferimento dal Po avviene con mille difficoltà. Marce forzate, notti insonni, fame, continue pattuglie di retroguardia per ritardare a colpi di panzerfaust le pattuglie corazzate dell’Ottava Armata britannica. Allora la resistenza sull’Adige pareva possibile? Ma no! Vorticava nell’aria un ironico “che famo?”... A Cavarzere c’era la fine del mondo. Un continuo carosello di cacciabombardieri non risparmiava neanche le nostre ombre. Il ponticello traballava, pareva gareggiare con gli aerei che lo bombardavano con l’intento feroce di abbatterlo e lui a resistere quanto più poteva. Trasudava sangue e pioggia. Trascorsero ore eterne sotto quell’inferno di fuoco, di morte, di grida dolorose. L’Adige ingoiava di tutto: carri, animali, uomini: il vortice delle sue acque in piena prendeva ogni cosa e alla fine quanto era rimasto del ponte. Si era pensato che sulle sponde dell’Adige fosse possibile combattere, ma il Comando non lo riteneva fattibile, visto come procedevano gli ultimi avvenimenti. Eravamo tallonati dall’Ottava Armata. Ognuno di noi rammentava la partenza da Marostica, quando alle 18.40 del 21 aprile la colonna si mise in movimento: la folla dei civili pareva uscire dal torpore e salutò con entusiasmo quei ragazzi che tornavano a combattere. Effettivamente il diavolo sprizzava fuoco da tutte le parti: fuoco per Dio sui barbari, fuoco nelle nostre budella, fuoco nel nostro cuore palpitante. I cacciabombardieri mitragliavano persino l’aria, i bovi impazziti dal terrore, ammucchiati con la merda dei cavalli sventrati dalle bombe sull’argine del fiume. Una nostra batteria antiaerea 90/53 della GNR – Gruppo Etna – teneva testa agli attacchi furiosi degli aerei, che in picchiata tentavano di ridurla al silenzio. Lentamente ebbe inizio il ripiegamento. Poi un senso di calma. Pioveva leggero; la colonna del 1° Gruppo Combattimento Xa procedeva in ordine di combattimento verso Padova. In uno spiazzo fra cespugli e alberi ad Albignasego i marò del Barbarigo avevano preparato un pasto caldo. Gli americani erano oltre Verona, gli inglesi avevano superato Rovigo. Le pattuglie avanzate riferirono che Padova era in mano ai partigiani. La formazione della Divisione Xa procedeva su due colonne lungo il fianco della rotabile. Giunti nei pressi del ponte di Bassanello, una pattuglia del plotone arditi del Barbarigo, che procedeva in avanscoperta, ebbe un breve scontro a fuoco con i partigiani. Poi arrivò un’automobile scoperta con bandiera bianca ed a bordo alcuni tizi in borghese. Uno degli occupanti chiese di conferire con il Comandante. Il G.M. Posio condusse loro dal Comandante De Giacomo. Il nostro Comandante accettò la resa con l’onore delle armi solo dinanzi ad un alto ufficiale neozelandese della Ottava Armata. Ordinò l’adunata e nel frattempo era ritornato l’ufficiale dello Stato maggiore della Divisione neozelandese. Le parole del Comandante furono: “A nome dell’Italia e a nome del Comandante Borghese vi ringrazio per il vostro valore e per la vostra fedeltà alla Patria e alla Xa. Avete fatto il vostro dovere e per voi la parola “onore” è stara religione. Xa marinai!”. Il grido “Xa Comandante” si alzò possente. L’ufficiale nemico salutò i soldati vinti, mentre due riflettori, incrociandosi nel cielo plumbeo dell’alba, formarono un’immensa X. La primavera era finita, sembrava tornato l’inverno. Dopo le brevi soste nei campi di concentramento di Forlì e Palombina, giungemmo ad Afragola, dove eravamo stati contrassegnati con la dicitura “recalcitrant”. C’era il sapore amaro del recluso guardato a vista e rinchiuso in una rete di filo spinato. La permanenza nel campo si protrasse per circa un mese. Il calvario e il trasferimento non era finito. Dopo due interminabili giorni, chiusi, stipati in vagoni piombati, arrivammo a Taranto. Sembrava che gli inglesi avessero una fretta incredibile di allontanarci dall’ultimo teatro di guerra. Giorno dopo giorno, con una sbobba d’acqua colorata d’un marroncino pieno di corpuscoli neri. Giorni di meditazione sotto le anguste tende: i cervelli ancora carichi di troppi ricordi di guerra. Una mattina piena di sole, dopo la “conta”, un plotone di soldati negri ci spinse brutalmente verso gli autocarri. Nervosi al massimo, ma sempre disciplinati, eseguimmo gli ordini. Vicino al porto trovammo uno spiegamento di forze eccezionale. Ci avevano tolto tutto dalle tasche, anche le limette pulisci unghie, oltre agli orologi ed ai pochi soldi rimasti. La commiserazione per come andavano le cose, per noi, per la Nazione che si stava imbastardendo. Nessuna pietà! Dopo due perquisizioni e tanti spintoni, un barcone a motore della Regia Marina più volte fece la spola per imbarcarci sulla Duchess of Richmond. Alcuni marinai del barcone avevano gli occhi lucidi e guardavano come affascinati il distintivo della Xa cucito sulla manica sinistra della lacera divisa. Giunti a bordo, ci domandavamo quale potesse essere la nostra destinazione? Franco Grazioli prigioniero di guerra matricola B929958 al P.O.W. Camp di Algeri, di seguito al Campo “S” di S. Andrea – Taranto. Le buche sugli argini del Senio -8- LA MASCOTTE DEL BARBARIGO Pubblichiamo di seguito un articolo anonimo pervenutoci in redazione La mascotte del Barbarigo Franco Grechi Per i giovani d’oggi i coetanei di cinquant’anni fa sono meno conosciuti dei marziani, meno capiti dei boscimani, meno interessanti delle termiti, più lontani della via Lattea. A titolo sperimentale ne presentiamo un esemplare, che per la verità mezzo secolo fa non era tanto un giovane quanto un bambino. Aveva, infatti, dodici anni quando, presentandosi nei primi giorni di febbraio 1944 alla caserma di San Bartolomeo, alla Spezia, chiese di essere arruolato nella Xa MAS. Il capitano preposto agli arruolamenti si arrabbiò e gli intimò di filarsene a casa, dove certamente madre e padre lo attendevano in ansia. Franco Grechi, questo il nome del birichino, rispose che non poteva recarsi a casa da papà e mamma per la semplice ragione che non aveva né casa né genitori. Era una bugia integrale, perché Franco la casa l’aveva avuta distrutta, per ben tre volte, dai bombardamenti “alleati” (strani alleati, quelli che bombardavano le città) ma in buona sostanza un tetto lo attendeva, e una madre anche, mentre il padre Ottavio, ufficiale di Marina di complemento e richiamato allo scoppio del conflitto era sì vivo e vitale, ma in servizio di guerra chissà dove. Di fronte alla bugia del dodicenne gli ufficiali rimasero senza parole. I tempi erano infami, come lasciar andar via, solo e abbandonato, questo orfanello? Lo tennero, lo vestirono con una divisa, lo incorporarono in un’unità destinata a diventar famosa: il battaglione Barbarigo, che proprio in quei giorni stava partendo per il fronte di Nettuno, da dove in molti, in troppi, non sarebbero tornati. Franco divenne la mascotte del battaglione e fece il suo servizio militare fino alla fine della Rsi; fino al disastro e si portò appresso, come centinaia di migliaia di giovani sovente con pochi anni più di lui, il peso della sconfitta e le umiliazioni inflitte dai vincitori. Tenuto conto che la guerra venne perduta da chi l’aveva combattuta e vinta da quelli che erano rimasti nascosti al caldo, infischiandosene di tutto. Franco subì il dolore, l’offesa vigliacca di veder sua madre rapata dai vincitori perché colpevole di essere stata sposa e madre di due combattenti. Ebbe la casa saccheggiata, ma infine si ricongiunse con il padre ritornato alla vita civile. Tutti e tre, dunque, ebbero la grazia di sopravvivere e ricominciare, insieme, un’esistenza marcata per sempre dal peso della sconfitta. Però la coerenza anche se non aiuta negli affari e nella politica, offre una patente importante: quella che consente di guardare in faccia chiunque, dritto negli occhi, senza il bisogno di abbassare il capo. Franco Grechi assieme ad altre due mascotte del Barbarigo a Roma, prima della partenza per il fronte di Nettuno -9- LUTTI L ’Associazione Combattenti Xa Flottiglia MAS inchina abbrunati i propri stendardi e vessilli: è mancato il capitano dott. Walter Jonna del Btg. N.P. Tre croci al merito di guerra (M.A.V.M. per i combattimenti a Nicolajewka per riconoscimento del C.te Generale Gabriele Gherardini); volontario a diciassette anni sui fronti Francia – Grecia – Russia (corpo d’Armata Alpino); gravemente ferito a Nikolajewka, catturato dai russi, miracolosamente sopravvive alla fucilazione. A Milano viene ricoverato al Centro Mutilati e Invalidi di Guerra. Rifiuta l’armistizio dell’8 settembre 1943. Raggiunge con le stampelle La Spezia e si arruola volontario il 13 settembre 1943 nella Xa Flottiglia MAS. Il 28 aprile 1945 si salva da una seconda fucilazione a Milano. Viene quindi nominato Presidente Onorario dell’Associazione Combattenti Xa Flottiglia MAS dal suo stesso Presidente, la M.O.V.M. Luigi Ferraro, assumendo in seguito la guida del notiziario associativo quale Direttore. Con scritti e discorsi (Inseguendo un sogno, il suo libro) continua a esortare i giovani ad amare la Patria nell’unità e concordia di tutti gli italiani. Le sue ultime parole sono state: “... ho amato la Patria più della mia anima”. I l 1° marzo 2013 è mancato il marò Mario Fusco. Arruolatosi nella Xa Flottiglia MAS a 16 anni appena compiuti, venne assegnato alla IV Compagnia del Battaglione Barbarigo quale mortaista. Il Barbarigo fu inviato a fronteggiare lo sbarco degli alleati ad Anzio e Nettuno, in quell’inferno di sangue e fango Mario si guadagnò una medaglia. Alla fine del 1944 si ritroverà nel Goriziano a fronteggiare il IX Korpus di Tito e poi nuovamente sul fronte del Po contro l’VIII Armata inglese. A Padova la resa con l’onore delle armi. Ma Fusco non è uomo da arrendersi facilmente. Sul “merci” che lo trasporta al campo di concentramento di Afragola, sfonda alcune assi di legno e si getta dal treno in corsa. Dopo giorni arriverà a piedi dai parenti di Capua e raggiungerà, più tardi, la famiglia a Parma. Sposato, con due figlie, le vicissitudini della vita non l’hanno mai abbattuto. Ha sempre vissuto e affrontato tutto con lo spirito della Decima. Uomo dai molteplici interessi, amante del mare, scrittore, poeta e fotografo, anche nello sport ha lasciato il segno quale abile schermitore, podista, marciatore e atleta dal fisico possente. Come già sul campo, ha combattuto contro la malattia con il solito ardimento fino all’ultimo. Alfiere del Barbarigo per tantissimi anni, sulla bara ha voluto il tricolore ed il basco della Xa. Marò Mario Fusco, una forza della natura! BONACINA GIOVANNI LAZZARIN ECCLESIANO MUSSI NANDO REPETTO GIOVANNI FABRIS LUCIANO JONNA WALTER SCHINETTI GIOVANNI ZANETTI CLOTILDE Btg. Fulmine “Volontari di Francia” Btg. Fulmine “Volontari di Francia” Btg. Fulmine “Volontari di Francia” Btg. Fulmine “Volontari di Francia” Btg. Nuotatori Paracadutisti Btg. Nuotatori Paracadutisti Btg. Fulmine II Compagnia S.A.F. - 10 - NOSTRI SOCI Riportiamo di seguito un articolo a firma Gian Ugo Berti apparso su Il Tirreno di Livorno del 3 aprile 2011 riguardante il nostro socio Aldo Giuliano Monterverde, cui va tutto il nostro plauso per il coraggio e l’umanità dimostrata nell’aiutare disinteressatamente il prossimo. I o medico in pensione in Africa con mia moglie fra i bambini senza niente. “Medico missionario in Africa, io, classe 1932, alla mia età? Mai avrei pensato di poterlo fare. Quando venni a lavorare come anestesista all’ospedale di Livorno, quasi trent’anni fa, tutto mi sarei aspettato per dare una svolta alla mia vita dopo la pensione, ma non certo questa scelta”. Eppure è così. Per Aldo Monteverde, genovese, trapiantato in città dopo un lungo curriculum professionale in diversi nosocomi italiani, la vita ha cambiato percorso. “L’ozio – racconta – non fa per me. Mi ero iscritto alla facoltà di Teologia, fino a che non ha chiuso i battenti, continuo a leggere libri su libri, nuoto e vado in bicicletta, ma non basta. E così un giorno, mia moglie, instancabile spirito sindacale (40 anni in un istituto bancario cittadino) entra in contatto con Shalom: sede toscana a San Minato e impegno d’assistenza umanitaria in Burkina Faso”. Monteverde spiega che “quando c’è da fare del bene la burocrazia non pesa”: nel giro di pochi mesi lui e la moglie si trovano, “entusiasti come bambini”, sacco in spalla alla partenza per una missione in Africa. Non è un modo di dire: “Per qualità di vita è al 174° posto (su 177) nella lista delle Nazioni Unite”. “Devo ammettere – aggiunge – che, per cultura occidentale, un po’ di presupponenza aleggiava soprattutto in me. Andiamo a vedere, dissi a mia moglie. Ci siamo invece trovati davanti a una realtà talmente scioccante da sentirci in dovere di offrire la nostra opera per oltre un mese: presto lo rifaremo per la quinta volta”. Agghiaccianti sono le statistiche: si vive con mezzo dollaro al giorno, si muore prima dei 50 anni (in Italia la media è di 81 anni), il 20% dei bambini non arriva ai 5 anni (nel nostro paese siamo allo 0,4%). Malaria, Aids, denutrizione e tubercolosi falcidiano migliaia di persone all’anno. Metà della popolazione è analfabeta e c’è un medico ogni ventimila abitanti (da noi uno ogni 238). E’ raccapricciante solo sentirlo parlare. “Queste sono le statistiche – sottolinea – ma quando in ospedale si entra nel reparto dei denutriti e si osservano gli occhi innocenti dei bimbi, dall’addome gonfio e gli arti esili, colpisce la percezione che entro un paio di mesi quasi tutti saranno morti”. Si riprende dalla commozione. “Allora la statistica va a farsi benedire: quelli sono bambini, non numeri. Esseri umani come noi, come i nostri figli, i nostri nipoti”. “Prima di ripartire l’ultima volta – interviene la mo- glie Rosellina Chiavalon – avevo raccolto una gran quantità di pannoloni per i neonati del villaggio. Ero contenta di fare un dono realmente concreto ed utile. Sono rimasta esterrefatta, invece, quando la suora del burkinabè mi disse che le mamme non li avrebbero mai usati. La ragione è semplice, mi spiegò: portando i piccoli sulla schiena, avvertono che si sono bagnati per il contatto della pipì con la loro pelle e quindi provvedono. Se usassero i pannoloni, non li cambierebbero mai, facendoli impiagare. “Poi bisogna far fronte – spiega Aldo – anche a drammatici e crudeli pregiudizi. La casa delle streghe è un luogo dove vengono chiuse le donne in odore di stregoneria, a volte lasciate morire. Quasi sempre la legge tribale è più forte delle leggi civili, per cui è il capo del villaggio a decidere anche della salute dei suoi compaesani”. “Il nostro impegno – prosegue Rosellina – è soltanto una goccia nel mare. Al villaggio, giungono circa 200 bambini, anche dopo un lungo percorso a piedi, per ricevere il loro unico pasto giornaliero. Non disponiamo di gas e tutto deve essere cotto a legna, con temperature che oscillano tra i 35° e i 45°. Un’attività che inizia alle 6 di mattina e va avanti fino a pomeriggio. I piccoli arrivano con fratelli maggiori o le loro madri, se le hanno. Persone che si mettono in disparte e, silenziosamente, attendono e sperano che avanzi qualcosa, così che anche loro possano mangiare. Un inciso: la domenica il servizio è sospeso e non si mangia nulla”. Per non parlare dell’ospedale: pochi letti con materassi di plastica, niente lenzuola per cui i pazienti si portano i teli da casa. “Le sale operatorie – affermano – hanno le porte di compensato per dividerle dal passaggio della gente ed il personale è dotato di scopette per allontanare scorpioni, ramarri, lucertoloni e salamandre. Macchinari obsoleti dal funzionamento estemporaneo e discontinuo consentono all’anestesista di aiutare i chirurghi. I medici, quasi tutti laureati in Francia, sono giovani di quel Paese che rientrano lavorando quasi gratis, a sostegno della propria gente”. In Italia qualcuno dà loro una mano. “Sono gli amici del Club 41 Round Table per la raccolta d’indumenti, farmaci, presidi sanitari, offerte. Questo ha condotto a risultati decisamente buoni, qualora si consideri che la nostra attività si svolge in maniera rigorosamente gratuita”. A chi legge lasciano un solo messaggio: “È entrato ormai nel nostro uso comune per indicare i Paesi sottosviluppati, parlare quasi con naturalezza di Terzo Mondo. Andateci, vedrete che ne esiste almeno un Quarto”. - 11 - ASSOCIAZIONE COMBATTENTI Xª FLOTTIGLIA MAS – R.S.I. GORIZIA 18 e 19 gennaio 2014 Raduno combattenti Xa Flottiglia MAS Ricordo della battaglia di Tarnova della Selva SABATO 18 GENNAIO ore 11.00 Omaggio floreale al Lapidario dei dipendenti comunali deportati in Jugoslavia. Incontro con il Sindaco di Gorizia presso la Sede municipale. ore 16.00 Santa Messa presso la Chiesa dei Cappuccini in Piazza San Francesco. DOMENICA 19 GENNAIO (corriera a disposizione per tutto il percorso) ore 10.00 Deposizione corone al Monumento ai Caduti ed al Lapidario dei deportati civili in Jugoslavia, presso il Parco della Rimembranza. ore 11.00 ore 13.00 Onoranze presso il Cimitero civile: - alzabandiera presso il Cenotafio della Xa Flottiglia MAS; - Monumento ai volontari Giuliano-Dalmati; - Cripta ove riposano i resti dei nostri caduti; - Cippo in ricordo dei giovani della G.N.R., trucidati in località Poggio Poggino; - Stele dedicata ai martiri cittadini ed ai soldati tedeschi rinvenuti nelle foibe; - Ossario dei Bersaglieri del Battaglione Mussolini. Pranzo conviviale presso l’Hotel Internazionale Al fine di quantificare le presenze è necessaria la prenotazione anticipata. Roberto Pulli tel.: 0481489951. Email: [email protected] Il “Quartier Generale” viene stabilito presso l’Hotel Internazionale, Gorizia - Via Trieste 173 tel. 0481.524180 - 0481.525105 – 0481.523049 - e-mail: [email protected] 50 euro camera singola, 70 euro camera doppia, compresa prima colazione. Alla prenotazione dichiaratevi del Gruppo Decima.