2013-03.04 I-04 OST RUOLO DEL GIUDICE

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2013-03.04 I-04 OST RUOLO DEL GIUDICE
François Ost
IL RUOLO DEL GIUDICE. VERSO DELLE
NUOVE FEDELTÀ? *
Sommario: Introduzione. Le tappe di un’evoluzione. 1. L’etica della comunicazione e il giusto processo. - 2. Dalla disciplina (corporativa) della magistratura alla deontologia (cittadina) della giustizia. - 3. Depoliticizzazione della
magistratura e ri-politicizzazione del processo. - 4. L’auto-limitazione, una
nuova interpretazione della collaborazione tra i poteri. - 5. Rispettare le legittime aspettative degli altri attori, e nuova interpretazione della fiducia. - 6. Il
ritorno del «governo degli uomini»?
INTRODUZIONE. LE TAPPE DI UN’EVOLUZIONE
Il ruolo del giudice è cambiato profondamente negli ultimi decenni e ciò è un segno rivelatore dei cambiamenti che investono la
società e lo stesso diritto. Nell’introduzione di un’importante ricerca collettiva condotta nel 1983 presso la Facoltà universitaria di
Saint-Louis, ho potuto identificare in tal senso la figura del giudice-arbitro e del giudice-coach 1.
L’arbitro è il giudice classico, che, secondo la definizione canonica «compone in decisione, secondo diritto, le controversie che
coinvolgono i diritti individuali applicando la volontà della legge alla fattispecie litigiosa». Come l’arbitro sportivo sul campo, segnala
i falli senza preoccuparsi della qualità del giocatore o dell’esito del*
Traduzione dell’Avv. Martina Barcaroli.
F. OST, «Juge-pacificateur, juge-arbitre, juge-entraîneur. Trois modèles de justice», in Fonction de juger et pouvoir judiciaire. Transformations et déplacements, a cura di Ph. Gérard, F. Ost e
M. van de Kerchove, Bruxelles, Publications des Facultés universitaires Saint-Louis, 1983, pp. 1-70;
ID., «Quelle jurisprudence pour quelle société?», in Archives de philosophie du droit, n. 30, 1985,
pp. 9-34.
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la partita. La legge conforma la sua azione e conferisce al suo ragionamento un connotato deduttivo o sillogistico. Adito dalle parti,
che, almeno in ambito civile, conservano la gestione del processo
in base al principio dispositivo, il giudice si limita ad un atteggiamento piuttosto passivo e diviene custode prudente della separazione dei poteri. Il giudice che coltiva la sua neutralità e la sua
azione nell’ambito della legalità è in perfetta sintonia con l’ideologia dello Stato liberale classico che si esprime nella vita sociale
dove la maggior parte dell’iniziativa è lasciata agli attori privati.
La nascita dello Stato sociale, il cui stadio più acuto si può individuare a metà degli anni settanta, è stato accompagnato dalla figura del giudice-coach. Oltre ad essere un uomo di legge egli è
anche un ingegnere sociale. Il giudice-coach si occupa della gestione degli interessi minacciati, guidato delle politiche proprie dello Stato sociale e che quest’ultimo adotta in tutti i settori della vita
sociale, economica e culturale. Decide ancora, come il suo predecessore, all’ombra del codice, ma svolge allo stesso tempo molti
altri compiti. Nella fase pre-contenziosa, egli consiglia, orienta,
avvisa, nella fase post-contenziosa, il giudice-coach segue gli sviluppi della pratica, adatta le sue decisioni alle circostanze e alle
esigenze, e controlla l’esecuzione delle sentenze. È interessato soprattutto alla qualità e all’esito della vicenda più che al rispetto del
diritto per il diritto. Dunque, ad esempio, il giudice cerca di salvare
il lavoro in un’impresa in difficoltà, improvvisando soluzioni ai
margini della legge fallimentare; è il paladino dell’«interesse del
minore» coinvolto dagli effetti nefasti della separazione coniugale
dei suoi genitori che impone una moratoria affinché l’impresa inquinante possa preservare l’equilibrio ecologico; egli assolve, in
base al principio di precauzione, la madre accusata di aborto volontario poiché in stato di grande difficoltà e in tal modo contribuendo a depenalizzare parzialmente il reato dell’aborto sancito
dalla legge del 1993.
Gli esempi sono innumerevoli: con il giudice-coach l’attenzione
si sposta dalla maestosità dei codici alla realtà delle pratiche; il
ragionamento diventa induttivo e pragmatico, allo stesso tempo si
fa più attenzione all’efficienza pratica più che alla coerenza logica.
Quando, nel 1991, su richiesta dell’Istituto (francese) di Studi
Superiori sulla giustizia ritornai sul tema dell’evoluzione della fun-
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zione giurisdizionale, ho potuto elaborare due modifiche alla tipologia del giudicante 2. Il primo cambiamento, minore, è stato quello di rinominare i due modelli: il precedente giudice-arbitro è stato ribattezzato «giudice-Giove», con riferimento alla trascendenza
dei Codici di cui si avvaleva e all’imperium dello Stato di cui era la
spada davanti a certi conflitti. Invece, il giudice-coach è stato ribattezzato «giudice-Ercole» a causa del lavoro titanico che ha affrontato nell’ambito del nuovo Stato interventista.
Ma il cambiamento principale è avvenuto con l’introduzione di
una terza figura - ovvero il «giudice-Ermes» - reso necessario dalla comparsa di una nuova forma di Stato e di un nuovo modo di
produrre il diritto: lo Stato e il diritto sono in rete. Ermes, dio dei
viaggiatori e delle comunicazioni, infatti, illustra perfettamente il
fenomeno di una nuova regolamentazione propria di una società
dove le regole e i governi istituiti gerarchicamente lasciano il posto
ad una moltitudine di reti e di poteri in costante interazione. Lo
Stato di oggi è oramai modesto («Stato moderno, Stato modesto»): questo tipo di stato rinuncia alle grandi politiche di welfare
e diventa riflessivo e procedurale, preferendo affidare ai partner
interessati lo sviluppo di un diritto concordato, flessibile, regolabile
e fluido. Situato nel cuore dell’interazione di queste diverse fonti
del diritto, al crocevia di tutti questi poteri che spesso si accavallano e competono, il giudice cambia ancora una volta il suo metodo, sostituendo la spada dei codici e delle politiche pubbliche con
la bilancia degli interessi. Non è più il caso di risolvere una controversia sulla base di una legge o di un programma specifico, ma
occorre comporre una serie virtualmente infinita di interessi che si
trovano in competizione. La sentenza non è più deduttiva o induttiva, ma diventa comparativa e adattabile, attenta all’osservanza
della legge della relatività, dei principi di proporzionalità e di sussidiarietà, di cui si riconosce oggi l’importanza.
Oggi, dieci anni dopo, come proseguire quest’analisi? Si potrebbe prendere atto di una nuova metamorfosi del giudice sulla scia
del recente fenomeno di creazione di tribunali penali internazionali, come quelli ad hoc dell’Aia o di Arusha o la creazione di una
giurisdizione strutturata come quella della Corte penale internazionale il cui statuto è stato adottato a Roma nel luglio 1998, o di
2
F. OST, «Jupiter, Hercule, Hermès; Trois modèles du juge», in La force du droit, a cura di P.
Bouretz, Parigi, Éditions Esprit, 1991, pp. 241-272.
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iniziative, come quelle che hanno caratterizzato la saga dell’ex dittatore Pinochet, in cui giudici nazionali esercitano la loro giurisdizione secondo una nuova logica di competenza universale.
Di questo giudice, che potremmo battezzare Sirius per la sua
coscienza sovranazionale, non parlerò perché non è oggetto della
nostra conferenza. Vorrei quindi tornare alla figura del giudiceErmes, l’interfaccia delle reti, crocevia di scambi giuridici moderni,
e approfondire il suo studio sotto l’angolo visuale dei valori, della
deontologia, e, più in generale, della cultura giudiziaria che egli è
chiamato ad esercitare.
Senza alcun dubbio il potere dei giudici è aumentato negli ultimi
dieci anni. Tuttavia, è necessario misurare tale potere: il suo ruolo
non è più quello di una figura autoritaria (come invece per i predecessori Giove e Ercole), ma piuttosto quella di un personaggio
paradossale il cui potere si concretizza in un sorta di non-potere,
caratteristico di un approccio conciliativo più che assertivounilaterale. Lungi dal volersi posizionare ai vertici della nuova piramide (come per esempio, quella del «governo dei giudici»), il
giudice-Ermes incarna un potere invisibile, diffuso e collettivo tipico dell’esercizio dell’autorità in rete.
Ma allora, come si possono ridefinire i compiti dei giudici quando non sono più solo gli anelli di una catena o il livello di una piramide, ma anche, e sempre di più, i nodi di una rete multipolare
in ricomposizione permanente? Potremmo già dare una primissima
e sommaria risposta: ovvero che la nuova cultura giudiziaria sia
connotata da uno spostamento dai valori dell’obbedienza a quelli
della collaborazione.
Legati all’eredità dell’organizzazione napoleonica dei grandi corpi dello Stato, lo status e la funzione della magistratura sono impregnati da un modello gerarchico. Il giuramento dei giudici - previsto da un decreto del 20 luglio 1831 - ne è un esempio: «Giuro
fedeltà al Re, obbedienza alla Costituzione e alle leggi del popolo
belga». L’organizzazione giudiziaria conferma l’impronta di questo
modello: alla gerarchia delle corti e dei tribunali corrispondono, infatti, rigide regole di precedenza gerarchica all’interno di ogni giurisdizione. Vi sono per esempio «liste di titoli», istituite dal Codice
giudiziario (artt. 310-315: «Del titolo e delle cariche 3») che si ap3
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Qui il termine «préséance» significa letteralmente posizione di privilegio.
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plicano anche al personale della cancelleria e al segretariato4. Isolato dal mondo e allo stesso tempo confortato dal rafforzamento
del suo potere dovuto all’appartenenza ad un grande corpo gerarchico, il Giudice conserva gelosamente questo suo isolamento
come pegno della sua indipendenza. Custode scrupoloso della separazione dei poteri, arbitro passivo della querelle tra i difensori,
almeno nel processo civile (per il principio del dispositivo), avendo
cura di non interferire nelle questioni di economia dei contratti,
qualche volta per salvare lo sfortunato debitore (per il principio
della volontà delle parti), il giudice coltiva da sempre la sua fedeltà al legislatore. La sua funzione, radicata nel modello gerarchico - come quello ecclesiastico e familiare - è stata in passato
definita una «missione sacerdotale», mentre la sua organizzazione
è stata qualificata di tipo «famigliare» e la sua disciplina di tipo
«paternalistico»5.
Questi tempi sono ovviamente cambiati, senza che per questo
sia stata abolita la gerarchia giudiziaria, né aver messo in discussione l’indipendenza fondamentale dei giudici. Il suo inserimento
nel cuore della rete giuridica (e non alla base della piramide) esige
nuove qualità: immaginazione, responsabilità sociale, coraggio politico. Ci si domanda quindi se il giudice possa oggi accontentarsi
della sua obbedienza al Re, alla legge e alla Costituzione quando
invece ha il potere di stravolgere regi decreti che ritiene illegali,
leggi che ritiene contrarie agli accordi internazionali, e quando la
Corte Costituzionale riscrive tutti i giorni (applicandola e interpretandola) la Carta fondamentale6?
Ma come si può dunque, in queste condizioni, allontanare
l’incertezza del diritto, la «guerra diei giudici» 7, «il governo dei
giudici» o ancora «la Repubblica dei giudici» 8? Oppure, per dirlo in
altri termini: come assumere in modo esplicito una responsabilità
sociale e politica senza rinunciare alla fedeltà alla legge, al4
K. MOENS, «Démocratie interne: rang, préséance, hiérarchie», in Statut et déontologie du magistrat, Bruxelles, La Charte, 2000, pp. 113-114.
5
P. MARTENS, «Le Conseil supérieur de la justice et la discipline des magistrats», in Le Conseil
supérieur de la justice, a cura di M. Verdussen, Bruxelles, Bruylant, 1999, p. 187. L’autore cita le
Pandectes belges, v° «discipline judiciaire».
6
P. MARTENS, «Sur les loyautés démocratiques du juge», in La loyauté, Bruxelles, De Boeck &
Larcier, 1997, p. 249.
7
J. VAN COMPERNOLLE - M. VERDUSSEN, «La guerre des juges aura-t-elle lieu?», in Journal des tribunaux, 8 aprile 2000, pp. 297 ss.
8
La République des juges, Atti del colloquio organizzato dalla Conférence libre du jeune barreau
di Liegi, Liegi, Editions du jeune barreau de Liège, 1997.
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l’indipendenza e all’imparzialità? Queste sono le sfide della magistratura di oggi.
1. L’ETICA DELLA COMUNICAZIONE E IL GIUSTO PROCESSO
Con l’esigenza di un giusto processo (il due process of law previsto dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo),
reinterpretato come «etica della comunicazione» (Appel, Habermas), la magistratura è tenuta al rispetto di un solido nucleo di
valori e principi attraverso la deontologia dei giudici. Tale nucleo di
solidi valori e principi presuppone un’etica dei giudici. A dire il vero, il rispetto del principio del contraddittorio, della parità delle
armi, della pubblicità, della trasparenza e della motivazione sono
esigenze sostanziali nell’opera della giustizia.
Ma nessuno potrà negare che questi valori hanno assunto negli
ultimi anni, in gran parte su iniziativa della giurisprudenza estremamente volontaristica della Corte europea dei diritti umani, una
radicalizzazione ed un rilievo inaspettati, che hanno prodotto numerevoli contenziosi amministrativi periferici e disciplinari con un
impatto considerevole sull’intero sistema giuridico. Non potendo
analizzare in questa sede tutte queste trasformazioni, vi riporto di
seguito solo alcuni aspetti di questo fenomeno.
La questione della motivazione è un esempio. Essa infatti sta
diventando sempre più importante nella rete del diritto. Per soddisfare i requisiti di legittimità di una decisione non è più sufficiente
oggi rinviare semplicemente ad una norma di legge. Dal momento
che l’interpretazione dei testi di legge è lasciata ad un ampio margine di discrezione e il legislatore rifiuta di scegliere un valore unico e definitivo, i dibattiti diventano «postlegislativi» 9, e giudici non
possono sottrarsi all’obbligo di chiarire la gerarchia degli interessi
e dei valori che li porta a favorire un testo rispetto ad un altro.
Non è più possibile ritrovare nel processo di oggi riferimenti incontestabili, prove perentorie, necessità ineludibili, significati chiari di
norme tali da poter confermare un ragionamento in forma di sillogismi. In una società pluralista, colui che decide è costretto ad assumere in modo argomentato tutte le fasi del discorso processuale
che porterà alla decisione - e, in questo esercizio, il rispetto della
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P. MARTENS, «Sur les loyautés démocratiques du juge», cit., p. 268.
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procedura contribuisce alla legittimità della decisione così come la
scelta delle norme sulle quali essa si basa.
Ci si chiede a questo proposito se sia opportuno accompagnare
alla pubblicazione delle sentenze le opinioni c.d. «dissenzienti». Le
idee si evolvono, su questo aspetto: esiste oggi una garanzia della
trasparenza delle deliberazioni, un modo efficace per incoraggiare
i giudici a motivare in modo più rigoroso le loro decisioni, e per le
parti un’opportunità di anticipare al meglio le loro probabilità di
successo in appello o in cassazione 10. Alcuni autori, pur sostenendo questa idea, si riservano sulla pratica del giudicato della Corte
di Cassazione, la cui missione, ci ricordano, è quella di garantire
l’unità nell’interpretazione della legge11. Paul Martens fa addirittura
un passo in avanti: volendo capovolgere il vincolo (la «dittatura»)
dell’apparenza - in base al quale un magistrato non può lasciar
trapelare alcun pregiudizio -, egli ritiene che la chiarezza del dibattito migliorerebbe se, prima della decisione, i giudici potessero
comunicare alle parti la direzione che seguiranno nella pronuncia.
Astenendosi dal formulare un’opinione definitiva prima della pronuncia (a pena di ricusazione), i giudici arricchirebbero in tal modo
il dibattito presentando le proprie intuizioni che potrebbero guidare la loro decisione 12.
Anche la pubblicità del processo è oggetto di rivisitazioni in base al diritto in rete: oltre all’apertura al pubblico delle udienze e
della pronuncia della sentenza, sarebbe utile una circolazione migliore di informazioni tra i membri delle giurisdizioni, tra le giurisdizioni stesse, e, infine, tra la magistratura e gli altri attori del
mondo giuridico e sociale. A questo proposito, il problema non è
tanto l’uso delle più moderne tecniche di comunicazione, quanto
piuttosto la trasformazione culturale della magistratura, impregnata della cultura del segreto e della gerarchia, alla quale oggi viene
chiesta più democrazia interna e trasparenza verso l’esterno. Ne
deriva che, rompendo con una cultura da «torre d’avorio», il mondo giudiziario comunica e si consulta con i suoi partner dalla rete
giuridica: pensiamo per esempio ai rapporti tra la giustizia e il settore sociale (compresa la protezione dei giovani), ai legami, spes10
B. BOUCKAERT, Hoe gemotiveerd is cassatie?, Thorbecke-Colleges, Kluwer, 1997, p. 25.
X. DE RIEMAECKER - G. LONDERS, «Déontologie et discipline», in Statut et déontologie du magistrat, cit., p. 316; E. KRINGS, «Aspecten van de bijdrage van het Hof van cassatie tot de rechsvorming», in R.W., 1990-91, pp. 319 ss.
12
P. MARTENS, «Sur les loyautés démocratiques du juge», cit., p. 266.
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so tumultuosi, tra giustizia, pubblici ministeri e polizia, al rapporto
tra magistratura e avvocatura (protocolli di accordo sperimentali
possono aiutare a migliorare sostanzialmente la collaborazione), o
ai rapporti tra il potere giudiziario e il potere legislativo (la relazione annuale della Corte di Cassazione, per esempio, contiene al
riguardo suggerimenti utili di modifiche legislative). Non bisogna
infine dimenticare l’importanza del rapporto tra giustizia e media
che apre a tutto un insieme di nuove questioni deontologiche.
Internamente, una migliore circolazione di informazioni garantisce una maggiore partecipazione alla gestione delle giurisdizioni.
A tal proposito, l’Associazione sindacale dei magistrati 13 ha sostenuto un dispositivo introdotto dalla legge del 22 dicembre 1998
che attribuisce alle «assemblee generali» di ogni giurisdizione e
alle «assemblee dei corpi» della magistratura inquirente il ruolo di
organizzare degli incontri e dei luoghi di scambio tra i giudici interessati. La legge riconosce loro, inoltre, un potere di controllo sulla gestione della giurisdizione con la possibilità di formulare delle
proposte al Consiglio superiore della giustizia. Il potere gerarchico
tradizionale dei responsabili del corpo - il cui mandato è diventato
a tempo determinato - è così ponderato dal controllo orizzontale
dei loro pari 14.
2. DALLA DISCIPLINA (CORPORATIVA) DELLA MAGISTRATURA ALLA
DEONTOLOGIA (CITTADINA) DELLA GIUSTIZIA
È sempre stato richiesto al giudice di rispettare i «doveri della
sua funzione», la competenza, l’onestà, l’obiettività, la discrezione, e una vita personale irreprensibile 15. Ma questi valori tradizionali assumono oggi un significato nuovo e più ampio: rivolti ieri alla difesa dell’immagine corporativa della professione e agli interessi di coesione interna dei tribunali, questi valori appaiono oggi
come la garanzia di una funzione giurisdizionale consapevole dei
suoi doveri nei confronti della società. Poiché la giustizia è ora
13
C. MATRAY, «Justice et transparence», in La République des juges, cit., p. 49.
Cfr . artt. 340 ss. del Code judiciaire (K. MOENS, op. cit., pp. 124 ss.).
X. DE RIEMAECKER - G. LONDERS, «Déontologie et discipline», cit., pp. 308 ss.; E. KRINGS, «Plichten en dienstbaarheden van de leden van de rechterlijke macht», in Moniteur belge, Bruxelles,
1998, n° 2.
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15
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concepita come un servizio pubblico e un’autorità16, è importante
che essa sia «socialmente giustificata». Due giudici alla Corte Suprema spiegano che in passato vi era «una confusione tra
l’interesse generale e l’interesse delle istituzioni giudiziarie» e ciò
era segno un «corporativismo inopportuno» facendo così prevalere
una domanda legittima di controllo esterno17.
Improvvisamente accelerata dagli eventi drammatici che hanno
toccato in Belgio nel 1996 (sottrazione di minori nell’ambito del
caso Dutroux, enorme mobilitazione dei cittadini, la c.d. «marcia
bianca»...), questa domanda di controllo esterno, già chiesta da
tempo dall’Associazione sindacale18, ha condotto finalmente
all’adozione dalla legge del 22 dicembre 1998 (in applicazione
dell’art. 151 della Costituzione) che ha costituito un Consiglio Superiore della Giustizia. Ovvero giustizia e non magistratura - a differenza di Francia e Italia - per sottolineare l’importanza
dell’interesse del servizio pubblico della giustizia al di sopra delle
questioni proprie alla magistratura. Per molto tempo, in effetti,
questa idea era ostacolata dall’Alta Magistratura, ancora legata ad
una concezione troppo rigida di indipendenza. Alla fine l’idea di
una indipendenza illimitata era apparsa incompatibile con i principi
di una democrazia costituzionale.
Poiché la giustizia è resa in nome del popolo, ci appare logico
che l’esercizio della funzione giurisdizionale sia sotto il controllo,
almeno indiretto, dall’opinione pubblica 19. Ci si dovrebbe sorprendere se l’autorità investita del potere di controllare sfugga a qualsiasi forma controllo esterno? Oggi nessuno di loro rimane incontrollato e questo è proprio del sistema dell’equilibrio dei poteri20.
È chiaro che il Consiglio Superiore non interferisce nell’esercizio
diretto della funzione giurisdizionale: il Consiglio non potrà né criticare le decisioni né punire i magistrati. Al contrario, esso è investito del controllo esterno dell’istituzione: ovvero di un compito di
controllo permanente che gli permetta di individuare le disfunzioni
16
Cfr. al riguardo i contributi raccolti nel volume Le service public de la justice, Parigi, Odile Jacob, 1998.
17
X. DE RIEMAECKER - G. LONDERS, «Déontologie et discipline», cit., p. 301.
18
C. MATRAY, «Les magistrats et le Conseil supérieur de la justice», in Le Conseil supérieur de la
justice, cit., p. 77.
19
M. VERDUSSEN, «L’origine et la légitimité du Conseil supérieur de justice», in Le Conseil supérieur de justice, cit., p. 25.
20
M. CAPPELLETTI, «Who watches the watchmen? A comparative study on judicial responsibility»,
in American journal of comparative law, 1983, vol. 31, pp. 61-62.
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strutturali dell’apparato giudiziario e proporre proposte per rimediarvi. Composto per metà da magistrati e per l’altra metà da rappresentanti della società civile, tale Consiglio appare, grazie alla
sua composizione e alle sue funzioni, un esempio di istituzione sui
generis del diritto di rete. Il Consiglio Superiore della Giustizia non
ha funzioni legislative, né esecutive, né giudiziarie (e non occupa
nessuna posizione nella gerarchia dei tribunali, non avendo nessuna funzione giudicante neanche sul piano disciplinare) 21; «egli è
tenuto alla preservazione, nel settore della giustizia, dell’equilibrio
dei potere» 22. Il Consiglio, in quanto autorità «costituita» (prevista
dalla Costituzione e dalla legge) e «indipendente» (non riceve ordini né a monte né a valle), si trova «all’intersezione di tre grandi
poteri costituzionali» 23.
Occorrerà, ovviamente, chiarire progressivamente il contenuto
di questa nuova Deontologia di servizio pubblico della giustizia teso a tutelare l’interesse generale. Si osserva, a tal proposito,
un’oscillazione significativa tra esigenza di umanità e bisogno di
efficienza, etica della dignità e logica manageriale. Una delle rivendicazioni più frequenti del «movimento bianco» era proprio
quello di dare alla giustizia una funzione di «umanità». J.D. Bredin
esprime questa preoccupazione quando scrive: «L’etica della dignità umana spinta alle estreme conseguenze, spinta verso la perfetta cortesia dei rapporti sociali, verso la puntualità, verso il rigoroso rispetto della presunzione di innocenza, verso l’ascolto, e alla
ricerca di tutte le precauzioni necessarie per non umiliare nessuno, è probabilmente una prospettiva essenziale che il cittadino
moderno ha il diritto di aspettarsi. Che la giustizia non sia mai
sprezzante o umiliante!»24.
Al di là di questo discorso umanista, si può comprendere quanto
sia stato folgorante il progresso di un’ideologia di gestione che ha
pervaso l’intero servizio pubblico.
Sostituendosi poco a poco ad una rappresentazione «legalerazionale» (Max Weber), che da tempo strutturava l’apparato sta21
La funzione disciplinare è devoluta, dalla legge del 7 maggio 1999, ad un Consiglio nazionale
di disciplina: cfr. C. MATRAY, «Le nouveau régime disciplinaire des magistrats. Arcanes et dédales de
la procédure», in Journal des tribunaux, 2000, pp. 133 ss.
22
F. DELPEREE, «Le statut et la composition du Conseil supérieur de la justice», in Le Conseil supérieur de la justice, cit., p. 43.
23
Ivi, pp. 40-41.
24
J.D. BREDIN, «Déontologie et responsabilité du juge», in Le service public de la justice, cit., p.
170.
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tale, il discorso manageriale, ancorato ai valori d’iniziativa, di responsabilità, di efficienza e di flessibilità 25, si sta affermando oggi
anche nelle aule dei tribunali. Così, durante i lavori preparatori
della legge del 22 dicembre 1998 si è affermato che «la funzione
dei responsabili del corpo [giudiziario] non è più una carica onoraria, ma una funzione di gestione» 26. Allo stesso modo il Consiglio
Superiore della Giustizia è responsabile di elaborare «profili generali» dei responsabili del corpo [giudiziario] facendo riferimento,
oltre che ai tradizionali criteri di anzianità e di rispettabilità, anche
alle qualità specifiche di gestione e di «leadership». Inoltre, la
domanda di candidatura per accedere alla funzione di responsabile
del corpo [giudiziario] deve essere oggi accompagnata da un
«piano di gestione» 27.
Inoltre, tutti i giudici, e non solo i magistrati-manager, sono
soggetti ad una «valutazione periodica»: l’audit è in tal modo reso
permanente investendo tutto il servizio pubblico della giustizia
che, come qualsiasi altra attività d’impresa, è alla ricerca della
«qualità totale» 28. E. Guigou, ex ministro della Giustizia, ha voluto
di recente interrogarci sui «criteri di qualità della produzione giudiziaria». Invocando una «modernizzazione» della giustizia affinché possa essere «al servizio degli utenti», il ministro ha voluto
sottolineare la necessità di dare maggiore importanza alla «gestione delle risorse umane» 29. Un altro ex ministro della giustizia,
H. Nallet, invocava «un miglioramento della produttività di giustizia», tra cui una migliore «regolamentazione della domanda» per
evitare che la giustizia sprofondi a causa dell’enorme «flusso del
contenzioso» 30. Anticipando queste evoluzioni, la Procura generale
di Amsterdam si vanta di avere ottenuto il certificato di qualità
ISO 2000.
Queste evoluzioni non possono lasciare invariate le idee in merito alla responsabilità dei giudici. Fino a poco tempo fa, questo
argomento era ancora considerato tabù: si rischia di pregiudicare
l’indipendenza dei magistrati se si domanda loro un rendiconto
25
J.L. GENARD, «Introduction: management ou État de droit?», in Pyramides, n.2, autunno
2000, Management et état de droit, Bruxelles, ULB, p. 19.
26
Resoconto analitico, Sénat, 19 novembre 1998, p. 3883.
27
Code judiciaire, art. 259 quater § 2 al. 3.
28
K. MOENS, «Démocratie interne: rang, préséance, hiérarchie», cit., p. 127.
29
E. GUIGOU, «La justice au service du citoyen», in Le service public de la justice, cit., pp. 1820.
30
H. NALLET, Organisation de la justice et service public, ivi, pp. 138-139.
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delle loro colpe professionali? Al di là della questione giuridica, si
credeva non fosse opportuno sospettare il giudice, una persona
fuori dal comune: è stato ricordato che la sua funzione era di tipo
sacerdotale e che «non si chiedono i conti né a Dio né ai suoi santi» 31. Allo stesso tempo è anche vero che se il giudice era considerato la «bocca della legge», il portavoce fedele della legislatura, si
poteva immaginare che il suo potere fosse nullo e che quindi la
sua responsabilità senza consistenza.
Ai nostri tempi, la funzione del giudice è lontana da queste rappresentazioni mitiche, essa è stata ridotta a proporzioni più ragionevoli. Il suo campo d’azione è anche molto più ampio ed era prevedibile che la questione sarebbe stata all’ordine del giorno.
Dovremmo quindi impegnarci a perseguire la strada della responsabilità personale del giudice? Indubbiamente esistono alcune
procedure, come la «prise à partie» che permettono di mettere in
causa il magistrato per colpe importanti, come il diniego di giustizia, frode o dolo nella decisione o nell’istruzione della causa 32. Ma
oltre a questi casi gravi, è opportuno smettere di vedere il giudice
come l’organo o l’agente dello Stato, l’interprete autorizzato della
legge, e di vederlo invece come una persona responsabile nei confronti dei cittadini? Numerosi sono i progetti che vanno in questa
direzione. M.-A. Frisone Roche nota giustamente che un tale approccio potrebbe dare adito a tre tipi di rischi: personalizzazione
eccessiva della giustizia con la creazione di un sistema tipicamente
stellare di una società senza politica e senza Stato33, il diffondersi
di un regime di sospetto sistematico, che potrebbe servire come
arma politica contro i giudici ritenuti troppo intraprendenti, e, infine, una moralizzazione eccessiva della responsabilità che si basa
essenzialmente sull’autodisciplina e non tanto sui principi e sulle
procedure dello Stato di diritto 34.
Questo ragionamento non conduce tuttavia ad un sistema
d’impunità. Da una parte, la motivazione della decisione - rappresentazione pratica della responsabilità del giudice - è oggetto di
dibattito e di modifica grazie alla procedure disponibili. D’altra parte, come per qualsiasi organo o agente dello Stato, il giudice è re31
M.A. FRISON-ROCHE, «La responsabilité des magistrats. L’évolution d’une idée», in La semaine
juridique, 20 ottobre 1999, p. 1869.
32
Artt. 1140-1147 del Code judiciaire.
33
L’autore parla di «société désinstituée».
34
M.A. FRISON-ROCHE, «La responsabilité des magistrats…», cit., pp. 1872-1873.
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Parte Prima - Dottrina
Il ruolo del giudice. Verso delle nuove fedeltà?
sponsabile degli atti di quest’ultimo. Noi crediamo che questa ultima via sia quella che si debba preferire per far emergere nuove
soluzioni più adatte a risarcire i danni subiti dai cittadini. La Corte
di Cassazione belga, cambiando l’orientamento giurisprudenziale,
ha così sancito con una sentenza del 19 dicembre 1991 il principio
della responsabilità dello Stato per gli atti commessi da organi della magistratura nell’esercizio delle loro funzioni previste dalla legge 35. La Corte ha inoltre precisato che, al fine di salvaguardare
l’autorità del giudicato, qualora la colpa fosse ravvisabile nella
sentenza stessa, la responsabilità dello Stato potrà essere invocata solo fino a quando la sentenza non acquisisca forza di giudicato.
Possiamo dedurne quindi che oggi una sentenza o una decisione
dichiarata contraria alla legge possa dare adito ad un diritto al risarcimento in base ai principi di responsabilità civile? Questa deduzione ci appare logica, anzi, essa ha il merito di essere coerente
con il criterio dell’identità dell’illegalità e della colpa quando viene
applicata al caso della responsabilità dello Stato-legislatore e Stato-amministrazione36. Tuttavia, ci sembra che in questo caso la
coerenza possa essere una cattiva consigliera: come non rendersi
conto, infatti, che questa tesi possa dare adito ad un’interpretazione estremamente restrittiva del diritto e del «significato letterale del testo di legge» e che ciò provocherebbe inevitabilmente
una atrofizzazione della creatività giurisprudenziale37? Una certa
giurisprudenza, sostenuta dalla dottrina maggioritaria, riconosce
la responsabilità dello Stato qualora la seguente condizione sia rispettata: che «l’errore nell’interpretazione o nell’applicazione di
una norma potrà dare adito ad una responsabilità civile solo se esso si concretizza in un comportamento che possa essere giudicato
secondo il criterio della normale diligenza e prudenza di un organo
dello Stato che si trovi nelle stesse condizioni» 38.
35
Cass., 19 dicembre 1991, J.T., 1992, pp. 142 ss. e R.C.J.B., 1993, p. 285 con commento di
F. RIGAUX e J. VAN COMPERNOLLE.
36
È la posizione sostenuta, ad esempio, da R. DALCQ in diverse note a sentenza: cfr. i commenti
alla decisione della Cassazione del 19 dicembre 1991(J.T., 1992, p. 499), alla decisione della Corte
d’Appello di Liegi del 28 gennaio 1993 (J.T., 1993, p. 479) ed alla decisione della Corte di cassazione dell’8 dicembre 1994 (J.T., 1995, p. 497).
37
In questo senso, cfr. F. RIGAUX e J. VAN COMPERNOLLE, cit., R.C.J.B., 1993, p. 32; B. DUBUISSON,
«Faute, illégalité et erreur d’appréciation en droit de la responsabilité civile», in R.C.J.B., 2001, p.
66; J. LAENENS, Responsabilité professionnelle, in Statut et déontologie du magistrat, cit., p. 398.
38
Cass. 26 giugno 1998, n. 677.
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Parte Prima - Dottrina
François Ost
È questa la tesi da sostenere: l’idea secondo la quale la riforma
della sentenza sia la condizione necessaria e sufficiente per ravvisare la colpa dell’organo giudiziario rischia di promuovere una visione «meccanica» dell’atto di giudicare, tale da ravvisare una sola interpretazione possibile dei testi di legge e la rigorosa subordinazione del giudice all’intenzione del legislatore e all’autorità del
precedente. Senza dubbio i diritti dei cittadini lesi sono meritevoli
di considerazione; tuttavia questo sarà possibile, a nostro avviso,
se si adotta un meccanismo oggettivo di garanzia da parte dello
Stato, piuttosto che un sistema di colpa imputabile al giudice (poi
costretto a trovare un rimedio). Per quanto riguarda l’esistenza di
un paradosso in base al quale il giudice, considerato il miglior conoscitore della legge, beneficerebbe di un più ampio margine di
manovra rispetto a quello del legislatore e dell’amministrazione
(contro i quali è previsto un ricorso per risarcimento danni qualora
sia constatata l’illegittimità della loro attività), va detto che esso
ha il merito di evidenziare l’esistenza di un rapporto molto speciale
tra il giudice e la legge: egli è sicuramente un interprete leale, ma
anche un portavoce delle più ampie esigenze di diritto e di equità.
Detto questo, è ovvio che la nuova deontologia del magistrato
comporta un aggiornamento continuo delle sue conoscenze giuridiche. Non c’è dubbio che la competenza rappresenta da sempre
un requisito fondamentale della funzione giurisdizionale. Ma dobbiamo riconoscere che se, in passato, il giurista poteva far valere
nel corso della sua carriera le conoscenze acquisite all’università,
questo non è più possibile ai giorni d’oggi. Le continue modifiche
legislative, la proliferazione delle decisioni giudiziarie, l’intreccio
dei sistemi giuridici, sono tra i tanti fenomeni attuali che richiedono il costante aggiornamento del proprio sapere giuridico. In un
contesto dove il diritto si produce in rete gli operatori devono rimanere «connessi» in ogni momento e essere in grado di integrare quasi istantaneamente un numero considerevole di informazioni
provenienti dalle fonti più disparate. Inoltre, questo aggiornamento della conoscenza non è limitato ad un solo settore giuridico:
due giudici della Corte di cassazione hanno scritto che «il magistrato deve anche tenersi al corrente di importanti sviluppi sociali
e socio-economici. Finché terrà conto del mondo circostante e delle questioni che riguardano i cittadino, egli sfuggirà al pericolo di
714
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Parte Prima - Dottrina
Il ruolo del giudice. Verso delle nuove fedeltà?
una disumanizzazione39» 40. Eppure quest’obbligo di formazione
permanente ha un senso solo se i giudici sono disposti a evolvere,
ad accettare le critiche della dottrina e, talvolta, quello
dell’opinione pubblica, e si dimostrano aperti a rimettere in discussione, se necessario, le loro opzioni e metodi.
Una cultura dell’informazione e del confronto, molto lontana
dalla tradizione del dogma giuridico, dovrebbe condurci a rivalutare periodicamente le soluzioni acquisite.
3. DEPOLITICIZZAZIONE DELLA MAGISTRATURA E
RI-POLITICIZZAZIONE DEL PROCESSO
Merita ricordare un altro aspetto dell’evoluzione dalla cultura
giudiziaria: il rapporto che essa ha con la politica (e il politico). Si
tratta di un tema tradizionalmente tabù essendo il giudice tenuto
a evitare qualsiasi interazione con il mondo politico. Sappiamo,
tuttavia, che tale preconcetto nasconde un’ipocrisia, per esempio
si sa che in Francia esiste un legame molto stretto tra la Cancelleria e la Procura generale (Parquet), nonché il peso del potere esecutivo all’interno del Consiglio superiore della magistratura. Sappiamo inoltre a che punto il sistema di nomina e promozione dei
giudici è stato politicizzato in Belgio. I partiti politici hanno preso il
sopravvento su queste nomine permettendogli così di insinuarsi
nell’apparato statale 41.
Da qualche anno, sono stati intrapresi sforzi che si sono concretizzati in alcune evoluzioni legislative finalizzate a garantire una
maggiore indipendenza delle funzioni della magistratura giudicante e inquirente, nonché una maggiore oggettivazione del processo
di reclutamento dei magistrati. La mancanza di tempo non ci permette di approfondire questo punto, ma ci limitiamo ad osservare
che questi tentativi sono ancora incompleti e probabilmente sono
da rinvigorire, tanta è la tentazione dei governi di controllare i
giudici.
È inoltre opportuno parlare di un altro aspetto della trasformazione del rapporto con la politica nell’ambito del diritto in rete: la
39
L’autore utilizza l’espressione «disincarnazione».
X. DE RIEMAECKER - G. LONDERS, «Déontologie et discipline», cit., p. 331.
41
B. FRYDMAN, «La participation citoyenne au Conseil supérieur de la justice: le pari de Protagoras», in Le Conseil supérieur de la justice, cit., p. 94.
40
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François Ost
necessità di prevedere nuove procedure per garantire una migliore
rappresentanza degli interessi che si manifestano nei processi - interessi spesso di natura collettiva o diffusa. Quindi, da una parte si
vuole depoliticizzare la magistratura (nel senso di allontanarla dalle politiche partigiane), dall’altra si cerca di garantire le condizioni
per politicizzare il processo (nel senso della promozione della politica, intesa come comune sentire degli interessi cittadini).
Si sta progressivamente prendendo coscienza del fatto che molte controversie riguardano non solo il conflitto tra diritti individuali
opposti, ma anche la composizione di interessi più ampi, collettivi
o diffusi. È importante che in queste circostanze il giudice, prima
di prendere una decisione, sia adeguatamente informato di tutti gli
aspetti più ampi che investono la controversia, per esempio chi
sono esattamente le persone coinvolte, i gruppi o le categorie?
Come si presentano i loro interessi? Come equilibrare le prerogative che vantano?
Ora ci rendiamo conto che le procedure convenzionali, ereditate
da una società di commercianti del XIX secolo, migliorerebbero se
adattate al nuovo ruolo, più politico, dei giudici di oggi. Non c’è bisogno di prevedere udienze (hearings) all’americana o audizioni
specifiche come le commissioni di inchiesta parlamentari. Occorrerebbe invece individualizzare, almeno nei casi più sensibili, il gioco
dei ruoli che si svolge davanti al giudice42. È opportuno riconoscere
l’utilità dell’amicus curiae che ha il ruolo di testimoniare (come per
esempio un’associazione o un’associazione non governativa) e apportare al giudice elementi importanti in merito agli interessi in
gioco nella controversia, tale amicus a volte subentra nel processo
come parte interveniente. Un altro suggerimento è quello di abbandonare la tradizionale diffidenza dei tribunali (almeno per la
magistratura belga) nei confronti delle azioni collettive promosse
da collettività di attori o associazioni per difendere cause che non
riguardano direttamente il loro patrimonio o l’integrità fisica. Tale
riserva, che si può spiegare da un approccio malthusiano al controllo giurisdizionale (grande paura di far scattare l’actio popularis), e da un’eredità rousseauviana dello Stato (paura di cabale e
fazioni, diffidenza per gli organi intermedi) ha perso molta della
sua logica oggi, in una società in cui al danno di massa occorre ri42
O. DE SCHUTTER, «Les cadres du jugement juridique», in Annales de droit de Louvain, 1998/2,
pp. 177 ss.
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Il ruolo del giudice. Verso delle nuove fedeltà?
conoscere un’azione di massa (per esempio la class action negli
Stati Uniti) e dove proliferano un grande quantità di nuovi argomenti di interesse collettivo.
4. L’AUTO-LIMITAZIONE, UNA NUOVA INTERPRETAZIONE DELLA
COLLABORAZIONE TRA I POTERI
Il modello tradizionale di organizzazione giudiziaria, ispirato all’ideale burocratico «legale razionale», coltivava il sogno dell’annullamento del fattore umano, come se l’intero potere fosse contenuto nella meccanica di norme generali e astratte e che il significato delle norme fosse incluso nei testi stessi. Il giudice non era
quel «robot che pronuncia le parole della legge»? L’uomo è stato
allontanato da questo sistema che al contrario riconosce forme di
responsabilità solo nel «regno delle norme» e che riduce a nulla
tutto ciò che corrisponde alla soggettività - soggettività accusata
di essere arbitraria e irrazionale. Posto che questo ideale di razionalità non è mai stato raggiunto, è chiaro che in un sistema di reti, l’operatore si ritrova nel mezzo dispositivo con nuove responsabilità 43.
Utilizzando una metafora sportiva, ci sembra che nel modello
della piramide tradizionale il comportamento del giudice (l’ethos
condiviso dai magistrati) fosse quello di partecipare ad una staffetta: quando è il suo turno ciascun atleta dovrà proseguire la sua
strada in linea retta - è il caso della staffetta in una catena ininterrotta (simile alla celebre metafora del prof. Dworkin sui giudici
«romanzieri a catena»). Tuttavia, nell’ambito di una rete, occorre
uno spirito di squadra che richiede ai giocatori di condividere come nel caso del gioco del calcio, dove la riuscita della partita dipende dalla capacità del calciatore di assumere le proprie responsabilità sfruttando «aperture» di gioco, pur preservando un’attitudine di squadra e non personale.
In questa nuova configurazione, dove occorre essere pronti ad
intervenire in maniera repentina e creativa in ogni momento, è
essenziale conoscere il perimetro d’azione degli altri giocatori.
43
M. VOGLIOTTI, «La «rhapsodie»: fécondité d’une métaphore littéraire pour repenser l’écriture
contemporaine. Une hypothèse de travail pour le champ pénal», in Revue interdisciplinaire d’études
juridiques, 2001, n. 46, pp. 141-187.
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Quando i vincoli meccanici dei sistemi gerarchici si allentano, i
giocatori possono scegliere di adottare comportamenti strategici e
individualistici, creando un’atmosfera di sfiducia competitiva, o al
contrario avere un atteggiamento responsabilmente etico di autolimitazione al fine di creare un clima di collaborazione e fiducia.
L’idea originaria della separazione dei poteri assume quindi un
significato differente: essa s’intenderà come una separazione dei
poteri meno rigida regolata da un’attitudine di cooperazione e di
auto-limitazione (l’autocontrollo). Occorrerà quindi, nel pieno
esercizio dei loro poteri, non compromettere gli interessi essenziali
e la flessibilità d’azione degli altri poteri. Dovremo quindi evitare
questi «colpi di diritto», intesi come atti unilaterali che mettono i
giocatori della rete davanti al fatto compiuto o che impediscono un
minimo di iniziativa necessaria per esercitare la propria missione.
Principi di leale collaborazione (sul modello della «lealtà federale», per esempio) si basano su questo requisito, così come i meccanismi ispirati dalla regola di sussidiarietà (l’intervento è ammesso solo in casi eccezionali quando vi è una mancanza di regolamentazione e quando tale intervento sia più efficiente) o ancora la
dottrina del «margine di apprezzamento» elaborato dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo per valutare la legittimità della discrezione degli Stati nel limitare le libertà sancite dalla Convenzione. Il principio di proporzionalità, grande regolatore della vita
normativa della rete, si ispira anch’esso a questa etica della «misura». Paul Martens invita tutti a «ponderare le proprie azioni»
poiché ciò permetterà di «scoraggiare il cittadino dall’abusare dei
suoi diritti, l’amministrazione dall’abusare dei propri poteri, il legislatore dal ledere le libertà, il giudice dall’esasperare il proprio potere di controllo, il politico dall’esacerbare i suoi rancori, il professore dall’esagerare le sue critiche, il giornalista dall’infuocare gli
animi» 44.
In questo contesto, non è inopportuno, come suggerisce Paul
Martens, egli stesso membro della Corte Costituzionale belga 45,
fare appello alla modestia o all’umiltà del giudice proprio perché
il potere attribuito ai giudici costituzionali è diventato «immode44
P. MARTENS, «L’irrésistible ascension du principe de proportionnalité», in Présence du droit
public et des droits de l’homme, Mélanges offerts à Jacques Velu, tomo 1, Bruxelles, Bruylant,
1992, pp. 65-66.
45
In Belgio la Corte Costituzionale è definita «Cour d’arbitrage».
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Il ruolo del giudice. Verso delle nuove fedeltà?
sto» (essi hanno forse la «reggenza» del potere normativo a
causa delle deleghe sempre più frequenti da parte legislatore?) 46.
Ecco perché disapproviamo la proposta del Consigliere di Stato
belga, Michel Leroy, di inserire un nuovo articolo nella Costituzione che recita come segue: «Le corti e i tribunali applicano le
disposizioni legislative e regolamentari fino a quando queste non
avranno conseguenze irragionevoli o effetti contrari alla volontà
di una forte maggioranza delle parti interessate» 47. Se è legittimo
che il giudice «moderi» i rigori della legge mettendola alla prova
della ragionevolezza, è tuttavia contrario all’etica della rete (e
all’aspetto pragmatico rapporti di potere che vi si sviluppano) affidargli un potere illimitato per fare giustizia alla legge - tra
l’altro questo creerebbe un nuovo tipo di piramide, alla cui sommità troneggerebbe il giudice stesso auto-investito della suprema
potestas.
Numerosi sono i casi che illustrano il principio dell’autolimitazione: essi corrispondono all’insieme delle comunicazioni che
si stabiliscono tra i diversi nodi della rete. Quando, per esempio, le
giurisdizioni, considerate supreme a seconda dei livelli, come la
Corte di Cassazione e il Consiglio di Stato, si rifiutano di formulare
una questione pregiudiziale di costituzionalità davanti alla Corte
Costituzionale sostenendo come motivazione che la risposta a tale
questione è già nota, pur sapendo che tali giurisdizioni superiori
tendono a discostarsi dall’interpretazione del giudice costituzionale, in queste circostanze si è in presenza di una «guerra dei giudici» 48 che non lascia adito ai principi di gerarchia o anche di indipendenza tra le giurisdizioni. Dal momento che la complessa struttura di uno stato regolatore federale ha conferito una funzione legislativa alla Corte Costituzionale, è ovviamente inammissibile che
la Corte di Cassazione e il Consiglio di Stato agiscano da «cavalieri
solitari», a scapito di una coerenza d’insieme; questo perché le
esigenze di progresso giuridico e di una elaborazione collettiva
46
P. MARTENS, «Sur les loyautés démocratiques du juge», cit., pp. 260 e 257.
M. LEROY, «Balance des intérêts, démocratie et mégalomanie», in La république des juges,
cit., p. 31.
48
J. VAN COMPERNOLLE - M. VERDUSSEN, «La guerre des juges aura-t-elle lieu? À propos de
l’autorité des arrêts préjudiciels de la Cour d’arbitrage», in J.T., 8 aprile 2000, pp. 302 ss.; cfr.
Cass., 24 giugno 1998, J.L.M.B., 1998, p. 1286; Cass., 24 novembre 1998, J.L.M.B., 1999, p.
1193; C.E., decisione n. 75955, 28 settembre 1998, J.T., 1999, p. 410. Per ulteriori esempi, (Cass.,
1 febbraio 1996, «Inusop»), cfr. M. UYTTENDAELE, «Les robes éclaboussées», in La République des
juges, cit., p. 12.
47
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della norma giustificano una revisione della legge attraverso la
procedura della questione pregiudiziale davanti alla Corte Costituzionale tale da poter modificare una giurisprudenza che si rivela
inadatta. Non esiste invece ragione alcuna, per queste giurisdizioni superiori, di rifiutare il dialogo e di rinchiudersi in un atteggiamento di «resistenza», continuando ad applicare l’interpretazione
di una norma che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima
nelle sue sentenze precedenti.
Molte altre questioni meritano di essere affrontate dal punto di
vista di un’etica di collaborazione necessaria tra gli operatori della
rete. Per esempio, dovrebbe essere affrontata in quest’ottica la
questione del consumo eccessivo del sistema giudiziario che è
causa di ritardi nella giustizia 49. Se le parti non fossero alla ricerca, a volte oltre ogni limite ragionevole, di far valere i propri diritti prima di far valere il diritto, se gli avvocati non abusassero, almeno in alcuni casi, degli espedienti processuali che la legge mette a disposizione delle parti, se i legislatori non fossero tentati
dall’approvare norme criptiche investendo così i giudici del ruolo
di arbitri, se i giudici tentassero più sistematicamente di risolvere
i conflitti con la mediazione... se tutte queste condizioni venissero
soddisfatte, la giustizia avrebbe certamente la possibilità di affrontare meglio e più tempestivamente le pratiche che le sono
sottoposte.
Quest’ultima osservazione ci conduce ad osservare che la
pragmaticità del principio dell’auto-limitazione non riguarda solo
l’etica individuale ma vale anche per i poteri intesi nella loro dimensione globale, macro-sociologica. Si potrebbe in tal senso
pensare che l’aumento macroscopico del contenzioso potrebbe essere accompagnato da uno squilibrio nella ripartizione dei poteri;
questo perché l’eccessivo affidamento fatto alla magistratura, con
il conseguente aumento delle aspettative, non è correlato ad un
aumento proporzionato delle risorse che gli sono attribuite o della
fiducia a lui impartita. Una tale situazione, a nostro avviso, mette
il sistema giudiziario in una posizione di potenza paradossalmente
fragile.
49
F. OST, «Excès de droits, abus de procédures?», in J.T., 2000, pp. 3 ss.; L. KARPIK,
«L’avancée de la justice menace-t-elle la République?», in Le débat, maggio-agosto 2000, pp. 238
ss.
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Il ruolo del giudice. Verso delle nuove fedeltà?
Come giustamente osserva Marc Verdussen: «un valido sistema
di collaborazione tra i poteri richiede che le funzioni attribuite a tali organi non siano sproporzionate rispetto al livello di fiducia riposto in tale organo e ai mezzi che gli sono attribuiti. Ogni democrazia dovrebbe aspirare ad un sistema di fiducia da parte dei cittadini nelle istituzioni e di rispetto reciproco dei suoi poteri» 50.
5. RISPETTARE LE LEGITTIME ASPETTATIVE DEGLI ALTRI ATTORI, E
NUOVA INTERPRETAZIONE DELLA FIDUCIA
Un altro aspetto chiave della nuova cultura giudiziaria che richiede un tipo di lavoro in rete è la creazione e il mantenimento
della fiducia reciproca. Senza dubbio si può dire che la fiducia è
alla base di ogni sistema istituzionale: essa è, come notava
l’economista K. Arrow, «l’istituzione invisibile» 51. Tuttavia in un
modello di gerarchia dei poteri che prevede una integrazione verticale degli attori, la fiducia può essere rilegata ad una posizione
implicita; mentre nei modelli di interazione orizzontale, senza la
preimpostazione delle cariche o comportamenti prestabiliti, la fiducia assume un ruolo centrale. La fiducia, come si osserva oggi,
si «tematizza» quando si verifica una situazione d’incertezza 52. In
sostanza, essa trova le sue fondamenta nei codici impliciti, dei
non-detti condivisi, nell’implicito culturale, che, per l’appunto, diventa assai problematico in un contesto multiculturale. Lo stesso
potrebbe dirsi per la reputazione: questa si guadagna con la moltiplicazione delle esperienze nel contesto delle reti strutturate e
stabilizzate, mentre essa è più incerta quando le maglie della rete
si allargano e la sua dimensione cresce.
Ma è anche in questi tempi di incertezza che la fiducia è più necessaria: in assenza di codici prestabiliti, ci si deve assicurare che
il partner agisca in conformità con le aspettative che il suo comportamento precedente ha sollevato 53. Dobbiamo quindi costruire
un rapporto di fiducia - come avviene in materia contrattuale54. In
50
M. VERDUSSEN, «L’origine et la légitimité du Conseil supérieur de la justice», cit., p. 18.
K. ARROW, Les limites de l’organisation, trad. fr., Parigi, P.U.F., 1996, p. 40.
R. LAUFER, «Confiance, esthétique et légitimité», in La confiance en question, a cura di R. Laufer e M. Orillard, Parigi, L’Harmattan, 2000, p. 204.
53
G. VAN WIJK, «Confiance et structure», in La confiance en question, cit., p. 265.
54
X. DIEUX, Le respect dû aux anticipations légitimes d’autrui. Essai sur la genèse d’un principe
général de droit, Parigi, L.G.D.J., 1995.
51
52
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questa società basata essenzialmente sugli scambi transazionali,
la fiducia si costruisce attraverso l’esperienza e assumendo una
serie di rischi che confermeranno progressivamente le sfide che
sono state assunte.
Questa «crisi di fiducia» si estende ovviamente anche alla funzione giurisdizionale. In un modello gerarchico, la fiducia in realtà
era «tematizzata» solo nelle relazioni a monte tra il giudice e legislatore: la cosa più importante era garantire la fedeltà del giudice
alla legge. Ogni tentativo di interferenza nella funzione legislativa
veniva punito e a tal fine veniva creata una Corte di cassazione
per bloccare orientamenti giurisprudenziali eterodossi. Tuttavia
non è possibile oggi sottovalutare l’importanza della fiducia che si
crea a valle da parte dei cittadini nei confronti della giustizia
quando il giudice materializza la volontà legislativa iscritta nei testi
di legge. Tuttavia, il problema della fiducia dei cittadini si presenta
quando ci si rende conto che i testi di legge non possono, da soli,
rispettare le promesse e il giudice è co-autore della legge. Il problema classico della fiducia viene così riformulato: ovvero quanto
debba essere il grado di fedeltà del giudice rispetto al testo della
legge: l’imputato non si aspetta, infatti, che il giudice applichi la
legge? Come quindi possiamo rielaborare questo problema in termini deontologici - che poi è l’oggetto di questo studio - dopo la
«svolta del pragmatismo», l’era del decostruzione sospettosa, la
messa in discussione della figura dell’autore, e la perdita definitiva
dell’illusione del «significato letterale del testo»? L’interpretazione,
nella sua ricerca di oggettività, non è così irreparabilmente disqualificata, e non ci troviamo di fronte ad un decisionismo radicale (la legge è quella che il giudice dirà che sia)?
Forse è proprio qui che l’etica della buona fede ha un ruolo decisivo: non è, infatti, perché il significato delle leggi è plurimo, volubile, e perfettamente indimostrabile che il lettore [della norma]
ha tutti i diritti sul testo. Le interpretazioni in «malafede», ostative
di qualsiasi fiducia, rimangono a tutti gli effetti, meno rilevanti,
meno accettabili rispetto ad altre interpretazioni (cfr. in particolare
gli artt. 30 e 31 della Convenzione di Vienna sui trattati: un trattato s’interpreta in «buona fede»). George Steiner parla a questo
proposito di «ermeneutica della responsabilità»: una interpretazione che risponde alle esigenze del testo di legge e soddisfa le
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Parte Prima - Dottrina
Il ruolo del giudice. Verso delle nuove fedeltà?
aspettative dell’autore55. Una tale concezione è mille miglia lontana da ogni servilismo; è una risposta creativa e originale, è una
scommessa puntata sull’intelligibilità del testo, sulla presunzione
che esso abbia una coerenza narrativa, è una maniera per carpire
i suggerimenti e le probabilità contestuali. Con questa «etica della
ricezione», che si basa sulla fiducia reciproca, il lettore interagisce
con la rigenerazione del lavoro 56. Senza ricadere nelle pseudocertezze di un’applicazione meccanica di testo, è possibile ottimizzare in termini di contesti applicativi sempre variabili. In mancanza, ormai indiscussa, di qualsiasi certezza in merito alla rilevanza
della ricostruzione effettuata, le categorie etiche di responsabilità,
cortesia, ospitalità, accoglienza e fiducia forniscono il filo di Arianna, fragile e forte, per i labirinti interpretativi.
La «questione della fiducia» posta al giudice assume un secondo connotato, legato alla sua capacità di prendere delle decisioni
che «fanno giurisprudenza». In realtà, questa questione è in gran
parte nascosta oggi quando ci vantiamo di voler valorizzare la
flessibilità delle sentenze e delle decisioni, la loro capacità di sposare, secondo equità, le particolarità del caso di specie e la loro
capacità di procedere, come la scienza moderna, per «tentativi e
errori» e con fini aggiustamenti. Ma ci rendiamo conto che così valorizzando la casistica si toglie alla decisione ogni «effetto pedagogico»? Se la decisione vale solo per il caso di specie, quale messaggio possiamo rivolgere alle parti in causa e ai giuristi? Ora,
dobbiamo ricordare che l’atto di giudicare ha un duplice scopo: «di
dire il diritto applicabile a tutte le ipotesi simili» 57. Si tratta di dire
il diritto enunciando una norma di portata individuale facente parte del dispositivo decisorio finalizzato a comporre concretamente
la controversia, ma si tratta anche di dire il diritto applicabile a
tutte le ipotesi simili, formulando in tal modo nelle motivazioni
della decisione la regola generale e astratta applicabile a quasi
tutte le ipotesi simili che si presenteranno nel futuro. Sébastien
Van Drooghenbroeck ha dimostrato che, rinunciando troppo spesso a questo secondo aspetto della funzione giurisdizionale, gli Stati Membri si sono fatti sanzionare dalla Corte europea dei diritti
55
G. STEINER, Réelles présences, trad. di R. de Pauw, Parigi, Gallimard, 1989, p. 118.
Ivi, pp. 178 ss., 252 ss.
57
G. MARTY, La distinction du fait et du droit, tesi, Paris, Sirey, 1929, cit. da F. RIGAUX, La nature du contrôle de la Cour de cassation, Bruxelles, Bruylant, 1966, p. 363.
56
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dell’uomo per non avere stabilito una giurisprudenza lineare58. Il
giudice dovrà quindi districarsi in questo delicato equilibrio tra
l’equità del caso di specie e la funzione pedagogica del «fare giurisprudenza».
Naturalmente, nessuno ha diritto di mantenere una giurisprudenza invariata, e sarebbe ingiusto che l’effetto del precedente
possa sterilizzare le evoluzioni necessarie. Le interpretazioni evolutive e le inversioni giurisprudenziali fanno parte integrante della
jurisdictio. Forse sarà necessario, per non deludere le «legittime
aspettative» dei cittadini, che questi cambiamenti giurisprudenziali
avvengano tempestivamente e che siano accompagnati da motivazioni convincenti. È chiaro che, come abbiamo già osservato, la
retroattività è insita nella norma giurisprudenziale: essa è destinata a pronunciarsi su situazioni che si sono verificate ieri. Non c’è
nulla di male quando questa norma giurisprudenziale è prevedibile
(ad esempio, perché essa applica una legge prestabilita e precedente al sorgere della questione che sarà composta dalla decisione). Tuttavia, nel caso di un cambiamento di orientamento giurisprudenziale il giudice si basa su una norma «nuova», la retroattività suscita imbarazzo e richiede ulteriori giustificazioni59.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha potuto offrire alcune
precisazioni in merito a queste situazioni in una decisione inglese
in merito ad un caso di stupro coniugale. Un cittadino inglese faceva valere la violazione dell’art. 7 della Convenzione (irretroattività della legge penale) per il fatto che i giudici inglesi l’avevano
condannato per aver violentato sua moglie violando un precedente
del 1736, tuttora in vigore, che stabiliva «l’immunità coniugale» in
questo tipo di casi. La Corte europea ha respinto la richiesta del
cittadino inglese adducendo come motivazione «che l’articolo 7
non interdice all’interpretazione giurisprudenziale di chiarire gradualmente le regole di responsabilità penale di un caso all’altro, a
condizione che il risultato sia coerente con la sostanza del reato e
sia ragionevolmente prevedibile» 60. In questo caso, i costumi si
58
S. VAN DROOGHENBROECK, La proportionnalité dans le droit de la Convention européenne des
droits de l’homme. Prendre l’idée simple au sérieux, Bruxelles, Publications des Facultés universitaires Saint-Louis, 2001.
59
F. OST, «L’heure du jugement. Sur la rétroactivité des décisions de justice. Vers un droit
transitoire de la modification des règles jurisprudentielles», in Temps et droit. Le droit a-t-il pour
vocation de durer?, a cura di F. Ost e M. Van Hoecke, Bruxelles, Bruylant, 1998, pp. 91 ss.
60
Decisione S.W. c. Regno Unito del 22 novembre 1995, § 36.
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Il ruolo del giudice. Verso delle nuove fedeltà?
erano evoluti rispetto al 1736 e il principio di uguaglianza tra uomini e donne nel matrimonio aveva permesso l’elaborazione di
numerose eccezioni giurisprudenziali, così riducendo la portata
d’applicazione della vecchia regola dell’immunità coniugale.
La «crisi di fiducia» raggiunge tuttavia il suo apice quando il
cambiamento di orientamento giurisprudenziale riguarda un contenzioso a portata oggettiva, come nei casi - oggi numerosi - in
cui il giudice è in grado di annullare o invalidare una norma legislativa o regolamentare di portata generale. In tal caso il cambiamento giurisprudenziale avrà un effetto devastante se l’effetto
della nullità è retroattivo, ex tunc. È chiaro che le giurisdizioni
non sono indifferenti alle conseguenze pratiche che tali decisioni
produrranno. Consapevoli del bisogno di contemperare le regole
della legalità (che prevede un annullamento con effetto retroattivo) con la certezza del diritto, i giudici hanno elaborato varie
tecniche di modulazione della portata retroattiva delle decisioni
d’annullamento, creando così una sorta di «diritto transitorio» per
regolamentare gli orientamenti giurisprudenziali. In tali casi, il
giudice formulerà un principio «innovativo» che non avrà alcuna
incidenza sul caso che gli è stato sottoposto: così egli riuscirà a far
progredire il diritto senza intaccare allo stesso tempo la fiducia dei
cittadini.
In altri casi, il giudice lascerà intendere («à bon entendeur salut!») che potrebbe ben presto rivedere la sua posizione. Ispirandosi al vecchio modello americano del «prospective overruling»
l’organo giudicante potrà anche decidere che, a partire dalla data
della sentenza, esso adotterà questa nuova soluzione per il futuro
(in alternativa: la nuova soluzione si applicherà al caso in corso e
altri casi pendenti, ma in alcun modo il passato sarà messo in discussione). In altri casi - che sono i più frequenti - le leggi organiche delle giurisdizioni competenti per un tale controllo di legalità
prevedono delle clausole che consentono al giudice di modulare gli
effetti retroattivi relativi alla sua decisione: sarà così possibile,
nonostante l’annullamento (retroattivo) della norma contestata,
che tutti o parte dei suoi effetti (per esempio le norme derivate,
ovvero adottate in base tale decisione) sopravvivono in modo
permanente o per un periodo determinato. Non c’è dubbio che le
giurisdizioni, impegnandosi in tal modo, si aprono ad un esercizio
politico (inteso come «pianificazione legislativa») e il problema
non si nasconde più dietro l’ipocrisia dichiarativa lasciando appari-
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Parte Prima - Dottrina
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re lo sforzo cosciente di conciliare le due dimensioni temporali nelle quali il diritto si esprime 61.
Cerchiamo così di trovare dei modi nuovi e talvolta molto creativi
per ripristinare la fiducia della jurisdictio e questo quando gli si riconosce un ruolo normativo veramente creativo nella rete giuridica.
6. IL RITORNO DEL «GOVERNO DEGLI UOMINI»?
Si credeva che il modello piramidale classico potesse contenere
il potere dei giudici attraverso un sistema di regole disciplinari per
uso interno e un insieme di limiti normativi che funzionano con un
meccanismo formale di regolazione interna: il «regno delle norme» avrebbe dovuto eliminare la minaccia del «governo degli uomini». La funzione giurisdizionale, garantita nella sua autonomia
dalla separazione dei poteri, è stata poi delimitata da una fitta rete di confini formali: distinzione tra creazione del diritto e applicazione della legge, distinzione tra un testo intellegibile (che il giudice non è in grado di interpretare) e un testo oscuro, distinzione
tra fatto (che è al di fuori della portata della Corte di Cassazione)
e diritto, distinzione tra il merito del diritto e la sua verisimiglianza
(che è proprio del giudice dei référés), distinzione tra controllo di
legalità e controllo sull’opportunità (vietato ai tribunali amministrativi), distinzione tra contenzioso oggettivo e contenzioso soggettivo... da questa serie di dicotomie binarie, questo sistema di
rigidi confini e di rigorose distinzioni ci si aspettava la certezza del
diritto e l’obbedienza dei giudici alla legge.
Si credeva in tal modo di poter contenere il rischio di megalomania 62 e di assicurare la loro fedeltà alla volontà del legislatore e
alla lettera della legge. Oggi questi miti si sono dissipati e le dicotomie sono state profondamente relativizzate permettendo al fattore umano di venire alla ribalta63. Siamo consapevoli del fatto che
qualsiasi meccanismo regolamentare non potrà, di per sé, scongiurare la minaccia di super-individualismi. Quindi facciamo bene a
preoccuparci di una nuova cultura giudiziaria incentrata su una
deontologia da ripensare. I concetti di fiducia, di auto-limitazione,
di collaborazione leale, d’umanità, di trasparenza e di comunica61
62
63
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Per maggiori dettagli, cfr. F. OST, «L’heure du jugement», cit.
Non è chiaro qui se l’autore volesse dire «megalomania» o «eccesso di potere».
M. VOGLIOTTI, «La “rhapsodie”…», op. loc. cit.
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Il ruolo del giudice. Verso delle nuove fedeltà?
zione rappresentano solo alcuni degli elementi essenziali. Tutti
ruotano intorno al concetto originario di aidos (che qui intendiamo
come «rispetto»), che è stato, insieme alla dike (giustizia), il dono
di Zeus agli uomini per evitare la discordia nelle città. Con una
buona dose di saggezza, Zeus non offrì agli uomini la legge stessa
(che varia da una città all’altra), ma il rapporto con la legge, più
essenziale, espressa dalla giustizia (diké) e il rispetto reciproco
(aidos) 64.
64
PLATON, Protagoras, trad. di E. Chambry, Parigi, Flammarion, 1967, cap. XII (322d), pp. 5354; M. VOGLIOTTI, «Faut-il récupérer aidos pour délier Sisyphe?», in L’accélération du temps juridique, a cura di F. Ost, P. Gérard et M. van de Kerchove, Bruxelles, Publications des facultés universitaires Saint- Louis, 1999, pp. 702 ss.
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