Il regno delle arance

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Il regno delle arance
sardegna
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
1
Cagliari
Dal Golfo al Campidano,
la chiave dei sapori
2
Baunei
Mare e bosco,
il regno dell’Ogliastra
3
Dorgali
Pane, olio, vino, caglio,
la cucina agropastorale
4
Orosei
I frutti del mare
e la forza dell’orto
5
San Teodoro
Le porte di Gallura,
regno di pesci e di formaggi
6
Siniscola
Mare da sogno,
nella patria del “pesce di terra”
7
Villaputzu
Le colline delle erbe
e dei pani profumati
8
Villasimius
Sardine, boghe, zerri...
il ritorno del pesce povero
s a rd e g n a
L’isola oltre il mare
La Sardegna è “il” mare. Affermazione che
non si presta a discussioni: qui il mare è trasparente, cristallino,
esotico per definizione. Ma la Sardegna è, contemporaneamente, anche “LA” terra. Una terra avvincente fatta di oasi naturalistiche, artigianato e sapori unici, come i suoi nuraghi. Un micro-continente all’interno di quel Mediterraneo di cui ha abbracciato tutte le civiltà conservando però allo stesso tempo
un’identità formidabile di isola dalle radici millenarie. Da questa identità scaturisce una forza che si apprezza non solo nei paesaggi.Anche in cucina, sintesi di differenze geografiche e culturali, si respira identità. E le due cose, ovviamente, viaggiano insieme, lungo i percorsi nella costa Sud-Orientale che vi proponiamo in questo tour alla scoperta delle “Perle dell’Alto Tirreno”, itinerari pensati per gourmet, ma non solo.
Un’isola grande, aperta. Questa è la Sardegna, una Regione
proiettata ben al di là del suo confine marino, verso l’Europa ad
esempio grazie ad un export sempre più consapevole proprio nel
comparto agroalimentare: è sorretto da dinamismo, cooperazione, investimenti mirati. Navigano e volano verso i mercati lontani,
infatti, non solo i formaggi e i vini, l’olio extravergine di oliva e i
prodotti della pesca; ma anche i pomodori e i carciofi sardi, senza
dimenticare il pane con le sue forme mirabili; e la pasticceria.
Questa Sardegna da Sud a Est, a tratti poco conosciuta, è
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
ricca di fascino, di cibi antichi, di ricette semplici, come quelle dei
culurgiones, i ravioli che mutano i loro ingredienti, impercettibilmente, chilometro dopo chilometro.
In altalena tra terra e mare, spuntano i segreti per preparare
le salsicce e i salami; o la bravura degli “artisti” della bottarga; e la
filologia del gusto che accompagna il gattuccio di mare, per fare la
burrida. E c’è lo zafferano, ad impreziosire la pasta ed i dolci che,
dalle mandorle e dagli agrumi, dalla ricotta e dal miele, regalano
profumi inimitabili.
L’itinerario si sposta dal cuore meridionale, dai dintorni di
Cagliari, per risalire il Sarrabus, la costa dell’Ogliastra e le Baronie, toccando le propaggini della Gallura e le località entrate nel
mito delle vacanze. Si attraversano luoghi e paesaggi che alternano
un fascino selvaggio a dimensioni moderne.Tutte da scoprire, tra
viuzze tortuose, ideali per il trekking e il fuoristrada, e direttrici
più frequentate, panoramiche e punteggiate da torri e monumenti
naturali, passando da pianure a montagne abitate da capre irriducibili; da coste pescose dove le peschiere abbondano di specie pregiate; a vallate, che ospitano greggi di pecore e maialini bradi.
Capretto, agnello, maialino: l’aroma di queste carni, impreziosito da una infinità di erbe spontanee, si diffonde dalle braci domestiche, dai falò delle mille feste patronali, o dai camini di ristoranti e agriturismi. Così, il cinghiale e la selvaggina di passo, dalle
pernici ai tordi infilati nello spiedo di mirto. S’incontrano i pastori
e i giovani imprenditori caseari; i vignaioli eroici e le aziende enologiche all’avanguardia; i testimoni di un’agricoltura familiare e
tante imprese di trasformazione dei prodotti dell’orto, del frutteto, delle serre. Realtà forti che partono dalla tradizione per aggiungere valore e tecnica e talento alle cose buone. E guardano
lontano.Verso il mare. E oltre...
s a rd e g n a
Cagliari
Dal Golfo al Campidano,
la chiave dei sapori
La porta della Sardegna, sintesi delle culture
mediterranee; di stili di vita, di architetture, chiese splendide, vestigia
archeologiche; di narrazioni folkloriche; di golosità semplici come il
pane, e di nomi del cibo che mutano nell’arco di pochi chilometri. Cagliari, con il suo territorio, si può leggere in mille modi. Per conoscerla un po’ meglio ci si deve abbandonare al suo calore, il primo maggio,
durante la sagra di Sant’Efisio: i carri addobbati con i fiori; i costumi
della festa indossati da uomini e donne; i cavalli della razza anglo-arabosarda che sfilano a testimoniare un’identità forte. Era un approdo sicuro, Cagliari, fin dall’epoca fenicia, poi cartaginese e romana: sempre al
centro di traffici e commerci di olio, vino, formaggi, grano, sale; oltre
che crocevia della lana e dei minerali.
Si va al Castello, quartiere simbolo voluto dai Pisani nel 1258, e
si intuisce che la città, protagonista dell’incontro di tante civiltà, è semp e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
Dall’Impero romano ai Bizantini, dagli Spagnoli ai Piemontesi, si notano i segni di fusione con il passato e,
contemporaneamente, dell’appartenenza orgogliosa a
se stessi. Accade anche in cucina...
pre proiettata verso gli spazi aperti delle fertili pianure agricole campidanesi; e verso il Golfo degli Angeli che sigilla un porto che è la finestra
su un futuro mercantile e turistico in crescita continua. Dall’Impero
romano ai Bizantini, dagli Spagnoli ai Piemontesi, si notano i segni di
fusione con il passato e, contemporaneamente, dell’appartenenza orgogliosa a sé stessi. Accade anche in cucina: gran parte delle direttrici
alimentari sarde portano al capoluogo, ed è scontato. C’è la possibilità
di acquistare praticamente tutto, ma basta andare all’asta del pesce, o al
mercato di San Benedetto per capire le differenze e fare un viaggio nei
sapori locali. Si diceva del pane, che per essere buono vuole l’olio di
spalla, ovvero “Su pane pro esser bonu, bi queret s’ozu de pala”: quello
campidanese è il Civraxiu (dal latino “cibarius”), compatto, dalle forme
di uno o due chili; il Modditzosu che qui ha la crosta croccante e la
mollica morbida. E poi c’è il Kokkoi, o Coccoi, esemplificazione delCagliari
Il Pecorino Sardo
un classico dop
GLI AUTORI LATINI, Columella,
Marrone, Plinio ed altri, già
raccontavano della diffusa
preparazione del formaggio
Pecorino Sardo, lavorato
ovviamente con latte di pecora. Si
produce in tutta la Sardegna e nel
1996 ha ottenuto la
Denominazione d’origine protetta.
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
Un po’ ovunque, a Cagliari, è
possibile acquistarlo. Si fa in due
tipologie: Dolce e Maturo. Si
distinguono in lavorazione e per
stagionatura: quando ha
raggiunto la consistenza
necessaria, la cagliata per il primo
tipo viene rotta a granuli grossi
quanto una nocciola; mentre, per
l’arte bianca: è liscio, ricamato in forme che hanno un valore estetico
e rituale, per i matrimoni (“de is sposus”), e la Pasqua, quando contiene
un uovo (Coccoi de anguli). Poi, gli altri: classici dalla sfoglia grossa
(Pistoccu) o sottile (Carasau). E non si può non osservare, ad esempio, la cura con la quale si acquista il Gattuccio di mare già spellato e
pulito, per preparare la Burrida: il pesce si taglia a pezzi, si lessa e si sistema in un vassoio. In un mortaio si pestano i suoi fegatini ed i gherigli
di una decina di noci: il composto si fa rosolare con aglio e prezzemolo,
e si bagna con l’aceto. Il sughetto si versa sui tranci di pesce. Prima di
servirlo si fa riposare qualche ora: c’è chi sostiene che l’attesa debba
durare un giorno e più, addirittura fino a quando anche le lische non
siano ormai disfatte. Gusti forti. Più semplici, quelli della Simbula, la
minestra condita con un soffritto di cipolle e salsa di pomodoro; dei
Culungionis de casu, i ravioli di formaggio; o dei Malloreddus cun
arrizzoni, gli gnocchetti con i ricci di mare. A proposito di ricci:
quando è stagione, bisogna mangiarli crudi tra la distesa di chioschi allineati sulla spiaggia del Poetto. Poi, i Malloreddus con la salsiccia fresca
spezzata, bagnata con la Vernaccia e condita con pomodoro e zafferano,
sono un vero must. E spingono il gourmet a spostarsi altrove. Fino a
San Gavino Monreale per lo zafferano e il riso che si produce
anche nella qualità Basmati. Ma anche più vicino,
a Monastir, per i salumi e a Selargius, famosa per le straordinarie cerimonie nuziali,
per il vino: il rosso da tavola, il Monica, che fa pendant con il Nuragus
bianco del campidanese e il Carignano del Sulcis, ma anche il
Una bella forma di
pecorino sardo Dop
il secondo, i granuli hanno la
dimensione di un chicco di mais.
Il Dolce stagiona per 20-60 giorni
e si abbina a vini come il
Vermentino. Il Maturo ha una
stagionatura da due a dodici
mesi, e un Monica di buona
tannicità viene indicato come un
ottimo... compagno.
Cagliari
Il mercato
di San Benedetto
una panoramica
di sapori e colori dell’isola
BRULICANTE come tutti i mercati, quello di San Benedetto è un centro
d’attrazione permanente, il cuore della spesa quotidiana dei cagliaritani
nonostante l’insidia di supermarket e centri commerciali. Al piano inferiore ci sono i prodotti del mare. Il pescato del giorno è un trionfo di specie
pregiate e non, secondo le stagioni, e le condizioni del tempo. Si compra
la bottarga, ovviamente, ma in tanti si dirigono verso le vasche dei granchietti, i Cavureddus, ottimi con la pasta, e crudi da novembre a febbraio,
quando hanno le uova; e i banchi del Cavuru Durmiu, il granchio addormentato: non ha una gran polpa, ma insaporisce i sughi. La Burrida, ovvero il Gattuccio di mare, è indispensabile per la Burrida, appunto, uno dei
piatti più tradizionali della città: c’è qualcuno che compra anche il Palombo o lo Zigrino, ma non è la stessa cosa. Al piano superiore ci sono carni:
maialetto, capretto, agnello; formaggi, verdure; dolci. La carne di cavallo
(quella d’asino è quasi impossibile trovarla), è molto richiesta per gli arrosti del fine settimana. Da novembre a gennaio è
tempo di agnello; mentre per la pecora si
aspetta il mese di maggio. Ed ecco la
Cordula, la treccia d’intestino d’agnello o di pecora che si fa bollire per un
paio di minuti, prima di arrostirla avvolta a spirale sullo spiedo: una
ghiottoneria.
Zafferano,
la rinascita di San Gavino
COSA SAREBBERO alcuni piatti,
e dolci, senza il “Croco”, lo
zafferano? Viene prodotto da
secoli, ed almeno a partire dal
1539 a giudicare dalle
testimonianze scritte, nel medio
Campidano, a San Gavino
Monreale che è diventata la
capitale italiana del “Crocus
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
sativus”. Si coltiva in pieno campo
con metodi tradizionali; la
fioritura, in genere, avviene tra il
15 ottobre ed il 30 novembre, e si
protrae per un paio di settimane.
Subito dopo la raccolta, si lavora
alla separazione degli stimmi dal
fiore, eliminando anche la parte
biancastra dello stilo che li
Moscato, il Vermentino e, ovviamente, sua maestà il Cannonau. Le
aziende vinicole mostrano tutte una grande attenzione per la qualità, e
il tour è senza soste. Nei paraggi, le salsicce con il finocchietto selvatico
(sa Matta Fallua) o con il mirto, a Maracalagonis. E si fa tappa a
Quartu Sant’Elena per i dolci delle feste, soprattutto il Candelau: la
pasta con le mandorle viene modellata a forma di vaschetta, scarpetta,
orlata di carta stagnola dorata. Le Sebadas, i dischi ripieni di formaggio, e ricoperte di miele, sono ovviamente una certezza. Si prosegue,
proprio in cerca di formaggi di pregio, ovini ma anche caprini (fresco,
caciotta, semicotto e cagliata acida) fino all’area di Santadi (c’è ottimo
olio e vino) nel Sulcis, dove abbondano le erbe officinali e aromatiche, funghi profumatissimi; ortaggi e carciofi spinosi (il Violetto, la
qualità senza spine, è meno apprezzato), la cui produzione è favorita da
un clima particolare: le gelate sono rarissime. Il carciofo c’è ovunque, e
fino a Samassi, passando per Decimoputzu e Serramanna: è molto tannico, e c’è chi non manca di abbinarlo alla bottarga. Notevole, poi, la
produzione del pomodoro Camone che ha un frutto tondeggiante, non
molto grosso, una discreta dolcezza, ed è apprezzato dai cuochi migliori per il sapore tipico quando mostra ancora la parte superiore di un colore verde carico. Si coltiva anche ad Assemini, il paese delle ceramiche
e della Panada con le anguille. Altre cultivar di pomodori, quali Cupido (leggermente pizzuto); il ciliegino Cherry, tipi come il Carson e
altri, da insalata, hanno mercato anche per l’export. A Dolianova, infine, si va per il formaggio, e soprattutto per l’olio extravergine prodotto dalle cultivar Tonda di Cagliari, Pitz’e Carroga e Ulieddu ; ed ancora,
per le olive in salamoia. Stuzzichino ideale, per ripartire, cercando
nuove sensazioni per il palato.
La burrida, un classico piatto
con il gattuccio di mare (in
alto). Qui sotto, lo zafferano
di S. Gavino
unisce: un’operazione lenta
che impone l’impiego di un
gran numero di persone.
Prima dell’essiccazione al
sole o davanti al camino, gli
stimmi vengono umettati di
olio, per migliorare le
possibilità di conservazione
e l’aspetto dello zafferano.
Cagliari
Baunei
Mare e bosco,
il regno dell’Ogliastra
Si va nel fascinoso
mondo dell’Ogliastra, con le sue
formidabili tradizioni che molto parlano anche di cibo. Da Sud, verso
Tertenia, nota per i suoi formaggi, c’è un incontro di rocce e spianate fertili, altipiani e laghetti artificiali, torrenti e boscaglia, massi solitari; “pirastru” (pero selvatico) e montagna, foraggiere, vigneti e oliveti collinari.
Spazi aperti, dalle variabili tonalità di verde, gustosissimi fichi d’india e
“quel” mirto del mito sardo, liquoroso e non solo: con i suoi rametti s’infilzano i tordi lessati (e coperti appunto di mirto) per prepararne spiedini, le deliziose Tacculas. C’è una sensazione d’inesplorato, tra aranci,
peschi, rilievi archeologici e pecore sul greto d’un corso d’acqua, mentre
lo sguardo corre già a esplorare le mille forme del carsismo e dei suoi
monumenti naturali, in lontananza. Terra antica anche di Cannonau, a
Jerzu, Città del Vino, dove già dal 1130 si parla di una donazione di vigne
in un atto notarile; di agricoltura e turismo in crescita esponenziale; di
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
Infine, si compie il salto verso Baunei, antico centro di
pastori e boscaioli, il cui nome potrebbe derivare dal greco “Bainos”, ovvero “fornace per fondere i metalli o per
cuocere la roccia calcarea per ricavarne la calce”.
pane Pintau (decorato) e Pistoccu, o Conciu perché cotto nel vino; e
dolci derivati dall’abbondanza di mandorli (gattou, amaretti) da Cardedu e dintorni, a Barisardo.
La salubrità del clima, a Lanusei, tappa del TreninoVerde che raggiunge le alture panoramiche di Pizzu Cuccu e Su Carmu, è un ulteriore
invito a conoscere la storia di questo centro importante, tra le culle della
cultura ogliastrina, sede pure dell’osservatorio astronomico, sulla cima
del Monte Armidda. Da qui, l’itinerario si lascia attrarre dal borgo di Villagrande Strisaili, con i suoi allevamenti di visoni e maiali, quaglie e
ovaiole; e la sua produzione di miele e notevoli formaggi caprini; oppure si guarda alla finestra sul mare di Tortolì. C’è Arbatax, con il porto e,
alle spalle del cantiere nautico, verso la spiaggia di ponente, le peschiere
che abbondano di vongole veraci, ostriche ricercate; orate, spigole,
mormore, ma anche di anguille e triglie; ed ancora, tutti i tipi di
Baunei
La capra...
servita in 200 spiedi
A SANTA MARIA Navarrese,
sbocco marino e portuale di
Baunei, il sabato dopo
Ferragosto, per la festa
dell’Assunta, accanto alla
chiesetta del 1050, si celebra una
sagra della capra (si preparano
200 spiedi), che è l’emblema di
una cultura pastorale
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
straordinaria che non ha subito
alcuna mutazione indotta dal
turismo ma che anzi dall’incontro
di culture diverse, ancorché
vacanziere, trae una maggiore
consapevolezza. Il “sacrificio”
collettivo degli animali bradi svela
un segreto... naturale. Sugli
impervi rilievi calcarei, per mesi,
muggine presenti nel Mediterraneo che, dunque, consentono la produzione di una bottarga di alto pregio. Per il resto, la pesca, qui come altrove sulla costa tirrenica, ha assorbito i mestieri degli uomini di mare arrivati dall’isola di Ponza, da un secolo e passa.Vi si pratica anche l’ittiturismo, opportunità che in pochi si lasciano sfuggire, non solo per godersi
un piatto di gamberi appena catturati nell’acqua cristallina. Orientandosi
verso l’entroterra, si diventa facile preda delle meraviglie del Supramonte con la sua roccia calcarea modellata dall’acqua e dal vento, che fa il verso alla porosità del sughero; e degli ogliastri millenari che inducono a
svoltare fino alle calette di Santa Maria Navarrese con il suo porticciolo
turistico, tra campi di fave e vigne, giardini. La cucina assorbe tutte le sollecitazioni di queste montagne sul mare pure nell’accostamento di vongole e funghi, con cozze, patate e bottarga. Infine, si compie il salto
verso Baunei, antico centro di pastori e boscaioli, il cui nome potrebbe
derivare dal greco “Bainos”, ovvero “fornace per fondere i metalli o per
cuocere la roccia calcarea per ricavarne la calce”. Un significato che racchiude uno stile di vita e, soprattutto, un territorio di falesie, bastioni e
guglie; di altipiani basaltici come il Golgo e voragini come Su Sterru, che
è la più profonda del continente europeo (290 metri). L’aquila reale e del
Bonelli; il falco pellegrino e della Regina: volano alti a scrutare i mufloni
e, in particolare, i cinghiali che, naturalmente, abbondano anche sulla...
tavola. Un patrimonio faunistico e naturalistico che è al cuore di sentieri
per il trekking, tracciati con assoluta precisione: guide specializzate accompagnano ogni anno migliaia di esploratori della meraviglia paesaggistica che non trascurano i 120 villaggi nuragici, le venti tombe dei giganti
ed i cinque templi d’adorazione, opere megalitiche che contribuiscono a
definire il carnet di emozioni. Scorci vertiginosi tra i quali saltellano inLa cordura di agnello allo
spiedo. Su in alto, Baunei
immersa nel verde
le capre non bevono acqua e si
cibano solo di germogli della
macchia mediterranea: il latte e le
carni mutuano così un sapore
unico. E, nell’arrosto, si sublimano
in profumi ineguagliabili. Come
per sa Tratalia, gli spiedini
preparati con le animelle coperte
con la retina (sa Nappa).
Baunei
Su cunfettu, mandorle e arance
per il matrimonio
È IL DOLCE DEL MATRIMONIO a Baunei. Un’icona del gusto, principe del
rinfresco nuziale, su Cumbidu, servito subito dopo la messa. Il mercoledì
prima della festa, si riuniscono le donne delle famiglie della sposa e dello
sposo: prima di procedere recitano una formula augurale, seguendo una
tradizione vivissima. Gli ingredienti? Mandorle, bucce d’arancia e miele.
La scorza d’arancia si fa essiccare dopo aver eliminato la parte interna
bianca. Le mandorle sbucciate, lessate brevemente e tagliate a spicchi
lunghi, si fanno tostare al forno. Le scorze si immergono in acqua bollente, si eliminano accuratamente i residui bianchi; macinate, si avvolgono in
un sacchetto di lino, che viene lavato, spremuto e cambiato più volte fino
a quando l’acqua perde l’agro e la tinta giallastra. Si strizza e si asciuga. Il
miele, in quantità uguale (come volume) alla scorza d’arancia, si versa
in una bacinella di rame pulita con aceto e sale. Nel recipiente,
con un pezzo di sughero, si evita che il verderame si sciolga e rovini l’impasto. A fuoco basso, si mescola senza
interruzione con un bastone tondo e lungo: in
piedi, perché occorre molta forza. Si aggiungono le mandorle rimescolando con
vigore. Su un tavolo di legno bagnato, si
stende l’impasto con un mattarello fino a
raggiungere lo spessore di un centimetro.
Si lascia raffreddare e, con un coltello, si incide formando rombi di cinque centimetri per
lato: si poggiano su foglie d’arancio e si servono con del vino bianco dolce.
Bottarga,
l’oro dello stagno
NELLA LAGUNA di Arbatax,
gestita da una storica cooperativa
di pescatori, si pescano tutte le
specie di pesce della zona. Dal
cefalo, il mugil cephalus, si
produce la famosa bottarga dello
stagno di Tortolì. I cefali adatti si
prelevano negli impianti di
cattura: si trovano in
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
corrispondenza del canale che
unisce il mare alla laguna, nel
periodo durante il quale i pesci
tentano di raggiungere il largo per
deporre le uova. I cefali sono
eviscerati, e le uova che si
trovano al loro interno, nella
sacca ovarica trasparente,
vengono asportate. La sacca
differenti le capre: forniscono latte, formaggi
e carni che caratterizzano da sempre l’alimentazione locale. La capra si fa arrosto o, oggi più
raramente, in panada, ed è il proseguimento
perfetto di primi piatti di pasta fresca, a cominciare dai culurgiones, ravioli salati che qui hanno una forma rotonda, e si preparano con il caprino, le patate, senza menta, e il sugo di pomodoro fresco.
Sul Golgo, l’area che ospita la chiesetta di
San Pietro (è della seconda metà del XVI secolo, e vi
si celebra una seguitissima festa campestre), c’è un ovilerifugio dove i culurgiones si fanno con il caprino freschissimo: si sciolgono letteralmente in bocca. Qui ci sono i resti della antica strada romana
orientale, tra piscine nuragiche basaltiche, abbeveratoi di asinelli, mucche e maiali bradi incrociati con i cinghiali. Se si decide di seguire altri
percorsi montanari, lungo i vecchi sentieri tracciati dai carbonai fino alla
riva del mare, a Cala Sisina, a Cala Biriola (e siamo già nel golfo di Orosei) si fanno ulteriori scoperte: quella, ad esempio, del forno dove si metteva a cuocere il pane di ghiande. Pesante, poverissimo, impastato con
l’acqua d’argilla: Lande cottu o Pan’ispéli. La memoria va ai tempi in
cui dominava l’essenzialità del cibo, e il pesce non veniva consumato: i
contadini non sapevano cosa farsene delle aragoste barattate con i pescatori in cambio di frutta, ortaggi. Dal mare, si prendeva solo ciò che aveva
un senso pratico: lo testimoniano gli ovili costruiti con i pezzi di un relitto negli anni’60...
In alto, una scultura di pane.
Qui sotto la bottarga di
Arbatax affettata col classico
coltello sardo.
A sinistra, su confettu.
viene messa sotto sale per un
paio d’ore, e quindi lavata.
Successivamente si sistema il
prodotto in una sala di
essiccazione per quindici giorni
circa ad una temperatura di 15
gradi. La bottarga è così pronta
per essere confezionata e
commercializzata.
Baunei
Dorgali
Pane, olio, vino, caglio,
la cucina agropastorale
Per i motociclisti
è un’esperienza unica. Da Baunei a
Dorgali, la “125” è la strada di un sogno su due ruote, a picco sulle vallate, definite e avvolte dal Supramonte. Si entra in un triangolo geografico-culturale tra Ogliastra, Barbagia e Baronia, in un mix di turismo,
agricoltura, artigianato e pastorizia; di produttori di vino, olio, pane e
tante tipologie di formaggio che (accanto agli arrosti di maialetto, capretto e agnello) in cucina è una presenza costante, dagli antipasti al dessert.A partire dalla cremosa Frue, acida o salata: è una cagliata di latte di
capra o di pecora, altamente digeribile, di origine nuragica. Si produce
solo in alta primavera o in estate, quando il latte coagula più facilmente.
Una volta la Frue coincideva con il periodo di tosatura delle pecore: si
faceva nei recipienti di terracotta o, più di recente, nelle pentole smaltate (non sbeccate!), e si raccoglieva con una schiumarola, sposandola al
pane Carasau “a traccheddu”, croccante e non bagnato. Gesti nobili e
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
È il regno delle formidabili “fachidoras”, le facitrici della
Frue, cagliata acida o salata, e dei pani di Taedda (peretta di formaggio a pasta filata) e di dolci, organizzatrici
della vita domestica.
misurati, segno della creatività di uomini e donne, formidabili “fachidoras”, le facitrici di pani di Taedda (peretta di formaggio a pasta filata) e
di dolci, organizzatrici della vita domestica. Del resto, l’originalità di ceramisti e intagliatori di legno; dei maestri dell’oro e della filigrana; della
tessitura, della pelletteria, del ferro battuto, qualifica una dimensione
sociale molto vivace.
Il centro di Dorgali è una mecca dell’Art&Craft, che affianca e
sostiene l’economia dell’accoglienza. Questa è esaltata, ad esempio, dalle pareti del Monte Bardia, emblema roccioso degli arrampicatori di tutto il mondo che arrivano qui perchè ci sono ben 2.500 vie tracciate sulla
roccia, e nessun luogo in Italia vanta tale peculiarità. E poi si va agli
splendori archeologici e naturali che si ammirano puntando all’interno,
verso Oliena per il Cannonau che qui si chiama Nepente; Orgosolo,
Nuoro: i villaggi nuragici della misteriosa Tiscali e di Serra Orrios; la
D o rg a l i
Vinìola, nella patria di grandi vini
nati oltre 2000 anni fa
DORGALI E DINTORNI: un’area ricchissima di vitigni autoctoni, da circa
3.500 anni. Nel 190 dopo Cristo i Romani la chiamavano Vinìola e, dunque,
il vino è parte integrante della storia, delle tradizioni, in una parola della
profonda cultura locale. La vite è allevata ovunque ad alberello classico o
a Guyot (per il 45 per cento). Vermentino, Sinnidanu e Panzale (cultivar di
uve bianche); alcuni vitigni internazionali e, soprattutto, il grande Cannonau, regnano incontrastati sul territorio. Il Cannonau è al centro di continue ricerche, anche dal punto di vista etnolinguistico. Secondo gli studi di
Salvatore Dedola, il nome potrebbe provenire addirittura dal
Sumero: da “Cannu”, giovane pianta e “Nau”, nostro in senso appropriativi. Teorie che fanno comprendere il grande
interesse complessivo di tecnici esperti ed attenti anche
alle sollecitazioni del mercato. Un esempio? La cantina
sociale di Dorgali ha anche prodotto un novello Igt da
un uvaggio con grande prevalenza di Cannonau, che
ha ottenuto numerosi consensi. Ci troviamo di fronte a
un codice d’identificazione tra il Cannonau e la sua
gente molto forte. Basti pensare al Rosato di Cannonau, il vino dolce che si fa comunque anche in casa:
dopo la pigiatura, le bucce restano solo per poco a
contatto con il mosto, va direttamente in botte, ed è
chiamato Vinu biancu. Ai matrimoni e durante le feste, si
offre con l’amaretto o con l’Aranzada, i rombetti di miele, buccia d’arancia e mandorle pelate intere.
Pistizzone chin frue,
un piatto per l’estate
QUESTO, RACCONTATO da
Giovanni Cossu del ristorante
“Ispinigoli” di Ispinigoli (Dorgali),
è un piatto tipico dell’estate
dorgalese, perché ricco di sali e
povero di grassi. In primavera
viene anche arricchito
abitualmente con verdure, fagioli,
zucchine, patate. Il Pistizzone
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
è sostanzialmente una fregola
senza uova. Per farlo, occorrono
tre etti di semola, acqua, sale e un
po’ di zafferano. Per la Frue (che
Giovanni fa in casa): un litro di latte
caprino, mezzo cucchiaio di caglio
e un bicchiere di fermenti. Il latte
si scalda a 36 gradi, si uniscono
caglio e fermenti e si lascia
tomba dei giganti di Thomes; il canyon della Gola del Gorroppu, con
strapiombi di 400 metri; le architetture rurali e le chiesette campestri
con le loro “cumbessias”, le stanzette monocellulari che ospitano i fedeli. Guardando alle atmosfere marinare, la grotta dei primati speleologici
di Ispinigoli (12 chilometri) con l’abisso delle vergini e la sua mega-stalagmite; le spiagge da leggenda di Cala Luna e le altre calette azzurro
turchesi; e le grotte del Bue marino (la foca monaca) con i suoi graffiti,
fermandosi ovviamente all’elegante Cala Gonone con il porticciolo e le
dimore per il buen retiro vacanziero, che si specchia in altissime falesie,
coperte dalle leccete che arrivano fin giù a Muravera. Danno vita ad
un’oasi verde lunga 200 chilometri, esplorata dagli appassionati del
trekking. Qui arrivarono i pescatori ponzesi, rinnovando il difficile baratto tra pesci e prodotti della terra.
Torna la voglia di sapori unici. Lo spuntino del relax? È un pezzo
di caciotta sulla brace, un “quarto” infilato in uno spiedo: si avvicina
con gesti misurati alla fiamma e, poco alla volta, si taglia a fette la parte
che comincia a sciogliersi. I pecorini più giovani si fanno arrostire, quelli più stagionati sono l’ideale dopo-pranzo. E che dire degli Anzelottos?
Ravioli ripieni di formaggio e mentuccia, o bietola o, ancora, delicatissimi nella versione con ricotta e finocchietti selvatici? I dadini di formaggi
freschi morbidi, non salati e fatti leggermente inacidire, sono il cuore
dei macarrones furriaos, gnocchi di semola, con o senza uova, fatti in
casa con un pizzico di zafferano e un’idea di salvia. Lo zafferano: secondo consuetudine, veniva coltivato in grossi vasi di terracotta, sistemati a
portata di... cuoca. Mani abilissime preparano la Casadina salata, un disco di pasta con formaggio vaccino fresco, lasciato un po’ inacidire,
Il Pistizzone, fregola senza uovo
con zafferano, condito con la Frue,
una cagliata acida.
A sinistra un grappolo di cannonau
riposare per 2-3 ore: il composto
si solidifica e si taglia a cubetti
di 4-5 centimetri. Dopo 24 ore si
travasa in salamoia. Una volta
cotta la fregola, si serve calda
con una abbondante grattugiata di
Frue che, nel frattempo, è stata
lavorata e asciugata.
Si può anche gustare freddo.
D o rg a l i
Su Coccone de Pistiddu
un dolce... lungo un anno
UN DOLCE RITUALE, che si fa a
tappe durante l’anno.
L’ingrediente essenziale è il Vini
cottu, con il mosto migliore di
Cannonau, al quale si aggiunge
cenere di legna di leccio, per
annullare l’acidità: è
un’operazione delicata, perché si
procede immediatamente dopo
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
aver spillato il mosto. Si attende
un giorno e si fa bollire per
quattro ore: si ottiene così il vino
cotto che si conserva fino a
Sant’Antonio, il 17 gennaio. Poi si
prepara il Pistiddu, facendo
cuocere per alcune ore quel vino
cotto con le bucce d’arancia
essiccate e fatte rinvenire
condito con mentuccia tritata: i bordi del disco si rialzano con la punta
delle dita, poi si inforna e dopo cinque minuti è pronta. L’impasto di semola, di farina, quindi il pane. Che è anche Carasau bianco, su Limpidu, o di crusca (su Chiarzu) che si mangiava bagnato; di orzo, ovvero
s’orzatu; e Modditzosu, morbido con le patate. E ancora, sa Coccone
grussa con l’aggiunta di strutto: è morbido, ma dura solo qualche giorno. Ed è sempre pane, acqua, formaggio, la triade della semplicità rurale: s’abba chin casu è l’acqua con il formaggio, bevuta molto calda come toccasana. Di fatto la produzione casearia è completa: il Pecorino
sardo Dop, stagionato almeno cinque mesi; la ricotta gentile o moderatamente salata; le caciotte ovine e caprine; il tradizionale pecorino sardo
dal sapore aromatico nei primi mesi, che si evolve con decisione con la
stagionatura; lo Joddu (yogurt) di latte di capra, e di pecora. E c’è su
Casu Muchidu, il “famigerato” formaggio di pecora andato a male, che
ospita una colonia di vermetti. Fa il paio con su Catzu, lo stomaco del
capretto che ha mangiato solo latte: viene svuotato, il contenuto si fa colare, si pulisce da eventuali pietruzze e viene rimesso nel suo involucro.
La “crema” si fa stagionare e, scaldata sulla brace, si usa per condire la pasta. Piccantissima. Ed è “formaggio ludico”, poi, quelle dei Zoccos (giochi) de casu, il caciocavallo vaccino lavorato con forme di animali, da regalare ai bambini. I piccoli giocano; le donne preparano i macarrones
chin lardu, orecchiette con cipolle verdi ammorbidite nel lardo; mentre il nonno
stuzzica l’appetito, vicino al fuoco, facendo sgocciolare la salsiccia calda sul pane Carasau bagnato...
Su Coccone, dolce rituale
col vino cotto.
In alto, Cala Cartoe.
nell’acqua: si ottiene
così una confettura che è
il ripieno del Coccone,
fatto con farina di semola di
grano duro, zucchero, uova e
lievito. Il “coperchio” del Coccone
viene traforato e intagliato con
maestria: è la straordinaria arte
del “pintare”.
D o rg a l i
O ro s e i
I frutti del mare
e la forza dell’orto
Cave profonde di marmo rosa,
con le sue
venature inconfondibili: ecco il marchio coloristico di Orosei, con il suo
golfo ampio e la sua storia agricola, delineata dagli orti a volte inondati
dal Cedrino, il fiume che attraversa una vallata densa di sedimenti preziosi per le colture. La foce, zona umida dove nidifica il Pollo Sultano (dal
piumaggio che sembra un inno al caleidoscopio), è il suggestivo teatro di
una processione di barche infiorate in onore di Santa Maria del mare: approdano alla chiesetta costiera, moltiplicando una devozione vissuta con
trasporto emotivo. La fortuna turistica di questo paese che vanta diciotto
chiese aperte al culto, e monumenti come la vecchia prigione, Sa Prejone
Vezza (ospiterà il museo paleontologico), incastonati in uno dei centri
storici meglio conservati della Sardegna, non ha cancellato i ricordi del
tempo lontano: delle vasche di salatura del Pecorino romano, i “Barchile”, esposti a nord della casa; e le scene dello scambio di galline e arance,
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
Non va trascurata la vicinanza della costa: oltre alle sublimi, enormi vongole veraci della zona, quando si pesca una spigola, si pensa alle cicoriette e alla bietola
selvatica, per avvolgere i tranci di pesce...
trasportate sul carro trainato dai buoi fino ad Orgosolo, Fonni, per integrare la dispensa con un po’ di formaggi ed insaccati. Salumi che caratterizzano il vicino centro di Irgoli, tra prosciutto, salsiccia, salame, coppa:
qui le famiglie continuano a fare il pane Carasau.
Aggirando il monte Tuttavista, si arriva fino a Galtellì, antica sede dell’arcivescovado, con la cattedrale romanica del XII secolo nota anche per i suoi dolci: non solo amaretti e pabassine, ma anche gueffus
e gattou. Una tappa d’obbligo: il museo etnografico di Casa Marras,
che vanta una collezione di 850 pezzi ed oggetti che risalgono fino al
Settecento. E c’è il parco deleddiano: qui Grazia Deledda ambientò il
suo capolavoro,“Canne al vento”. Scenario letterario che fa comprendere come in questo territorio ristretto non ci siano architetture rurali nel
senso delle case campidanesi o degli stazzi galluresi: si andava e veniva
dalla campagna e, di sera, si rientrava nel borgo. I campi abbondano di
O ro s e i
Minestra di verza e ricotta,
l’incontro di due dolcezze
QUESTO CHE CI RACCONTA Maria Loi del ristorante Su Barchile di Orosei, è un piatto tipico
della Baronia costiera, molto semplice e di facile preparazione. Se ci si sposta a Nuoro, già
non rientra più nelle consuetudini familiari. Si
prepara tradizionalmente quando la stagione
primaverile, da febbraio in poi, permette di acquistare la ricotta migliore. Va detto che la verza
coltivata negli orti di Orosei è davvero particolare,
molto grossa: per questa ricetta bisogna prendere
solo le foglie interne più morbide e bianche, che sono
dolcissime, ed ottime anche per una veloce insalata, mischiate con la rucola e i finocchi. Dolci, comunque, come la
ricotta, pertanto creano un connubio molto riuscito. Le foglie si lavano e si lasciano asciugare. A parte, in un mortaio, si fa un pesto con il
lardo, il cipollotto fresco e il prezzemolo. In una padella, con un filo d’olio
extravergine si fa rosolare il pesto, si aggiunge quindi la verza a foglie intere, si mescola, e si aggiunge un po’ d’acqua fino a coprire la verdura.
Deve cuocere al massimo per una ventina di minuti, facendo attenzione a
non spappolare le foglie, che devono restare a pezzi grossi. Quindi si aggiunge la fregola, che qui si chiama su Ministru, ma va bene anche un etto circa di pasta mista, o di spaghetti spezzati. Dopo la precottura, si aggiunge mezzo chilo di ricotta di pecora, che va schiacciata con un mestolo di brodo. Si fa riposare per cinque-dieci minuti ed è pronta.
Angurie, meloni e arance,
nel DNA di queste terre
C’È UN VECCHIO
DETTO, diffuso non
solo nelle zone limitrofe,
che recita così: “Orosei
matza ‘e mellone”. Quattro parole
che la dicono lunga sul prodotto
simbolo della campagna. La
“matza” è la pancia, in questo
caso piena di “mellone”, che va
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
inteso non solo come melone
bianco, ma anche come anguria,
che qui è enorme, possente, dolce,
succosa, saporita. Serviva a
combattere i morsi dell’appetito,
quando s’avvertivano gli effetti di
quella “fame” intesa come effetto
pratico di una povertà visibile, non
solo individuale. Un caposaldo,
carciofi spinosi; fave, piselli, cavoli, verza, lattuga e pomodori;
mandorli, fichi bianchi e neri e agrumi e, soprattutto, angurie, meloni nelle aree sabbiose. Le donne portavano nei campi i macarrones
de busa ovvero fatti con il ferro (quello che si usa per la calza), conditi
con il sugo di pomodoro e il pecorino. Ancora diffuso, tra chi non dimentica sapori frugali, era il piatto della mietitura del grano, a luglio, o
della raccolta delle angurie, appunto, pesantissime, che si eseguiva a mano: giornate scandite dalla fatica. Si stemperava con gli arrosti di carni,
maialetto, capretto, agnello. Nei casi fortunati, anche con un contorno,
su Corrotzolu, di favette prelibate, se l’abbondanza del raccolto lo consentiva. Si prendono i baccelli delle fave giovani (uno spreco, in tempi di
magra...) e si mettono a bollire, staccando i filamenti esterni, ma facendo attenzione a non rompere le punte, per evitare l’assorbimento di acqua in eccesso. Si fanno scottare per una decina di minuti, poi si prepara
un pesto di aglio fresco, lardo e prezzemolo, nel quale si spadellano le favette aggiungendo un po’ d’acqua ed un po’ di farina, per amalgamare.
Ottimo anche negli involtini di pane Carasau bagnato.
A proposito di involtini, non va trascurata la vicinanza della costa: oltre alle sublimi, enormi vongole veraci della zona, quando si pesca una spigola, si pensa alle cicoriette ed alla bietola selvatica, per avvolgere i tranci di pesce... Un’idea presa al volo, volgendo lo sguardo ai
quattro chilometri di arenile, all’antico approdo romano di Osala; allo
stagno Su Petrosu. Dal colle, il “Gollai”, e dal belvedere della chiesetta di
San Gavino, oltre la pianura, si scrutano gli uliveti di Bosana, la cultivar prevalente, ed i vigneti sui terreni argillosi in altura. Come dire, in
definitiva, che ad Orosei non mancano l’olio ed il vino rosso di Baronia,
che i ristoranti propongono con giusto orgoglio.
Murale con una donna nel tipico
costume sardo e una cesta d’arance.
In alto la minestra di verza.
insomma, dell’alimentazione.
Ancora oggi i “melloni”
gustosissimi dell’area di Orosei,
insieme agli agrumi (soprattutto
arance di tipo Tarocco e
Washington; e mandaranci), sono
una delle principali fonti di reddito
per non poche famiglie di
contadini.
O ro s e i
San Teodoro
Le porte di Gallura,regno
di pesci e di formaggi
Si lasciano gli antichi granai romani,
le
valli di Siniscola,Torpè e Posada, e si entra nella Gallura che una volta si
chiamava d’Oviddè, che comincia da Budoni e risale la costa settentrionale. Una distesa di storia e microstorie, dai confini molto precisi. Le
rotte marinare anche qui sono state tracciate dai pescatori ponzesi che,
alla fine dell’800, si stabilirono sull’isola di Tavolara, che oggi fa parte
della vasta area marina protetta di Capo Coda Cavallo che si prolunga fino alla spiaggia dell’Isuledda: sbarcavano a piedi scalzi con le ceste colme di pesce sulla testa, passavano tra i cardi con indifferenza e portavano
aragoste e granceole negli stazzi delle famiglie benestanti. Ottenevano
farina, agrumi, formaggio e ripartivano. Hanno lasciato fondamenti di
cultura gastronomica. In casa si è cominciato così a preparare anche lo
Ziminu (zuppa) di pesce, di capponi e scorfani, donzelle e gronchi,
grossi murici e cozze, serraine, verdoni, boghe, con pomodori e pepep e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
Il piatto più tipico è la Suppa Gaddhuresa, lo sformato di
pane rappreso, con strati di formaggio, erbe e brodo di
pecora. E gli anemoni di mare passati nella semola si
friggono nell’olio di lentisco...
roncino. La frittura? Ovviamente con l’olio di lentisco, che qualcuno usa
ancora per friggere la Bultigghjata, ovvero gli anemoni di mare passati
nella semola. L’anguilla si andava a pescare durante i temporali, con i
lombrichi, mentre nelle secche marine si catturano tuttora seppie, ricci e
patelle. Nei menu di oggi si ritrovano: il polpo c’è chi lo cuoce nella “sua”
acqua, e lo unisce poi a patate fritte nell’olio extra vergine d’oliva.
Ma torniamo agli stazzi, caratteristiche aziende a conduzione familiare che hanno segnato (prima dell’affermarsi dell’industria delle vacanze) l’economia in modo esclusivo, tra orti, pascoli, vigne, campi seminati a grano, lontano dai centri più grandi. Si coltivava di tutto, ed è
una dimensione che resiste: in primavera, ad esempio, oltre ai cavoli ed
alla lattuga, si raccolgono piselli e fave che si fanno essiccare per l’inverno. Le favette crude sono preda dei bambini. Senza sbucciarle, anche qui
come ad Orosei, finiscono in padella: si lessano in abbondante acqua saS a n Te o d o ro
Rujoli rare e divertenti
palline di ricotta
NEL VARIEGATO MONDO dei
dolci, è difficile che in pasticceria
si possano acquistare i Rujoli (da
ruj, “rosso”), tradizionali palline
fritte di ricotta. Alla ricotta fresca,
vaccina o di pecora, con una
frusta, ma senza lavorarla molto,
si aggiungono tre uova (per due
chili di ricotta) e la scorza tritata
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
di due arance grosse e di un
limone. Con le mani si formano
delle sfere dal diametro di circa
quattro centimetri, si passano
appena nella farina e si
immergono nell’olio (quello
leggero per le fritture) bollente: in
dieci minuti, gonfiandosi (ma
bisogna fare attenzione a non fare
lata i baccelli interi più teneri e, in padella, si saltano con burro, pancetta tagliata sottile, foglie d’aglio fresco, menta ed un po’ di panna. Le
fave si preparano anche con s’Ozzu Casu, l’olio di formaggio, e sono
davvero squisite. Il capretto (più capre che pecore, nei dintorni) si fa
con i carciofi o arrosto. E poi c’è il Figaretto, un delicatissimo antipasto, con la coratella di capretto, agnello e maialetto tagliata a listarelle
sottili, soffritte (il fegato si aggiunge per ultimo) con un pesto di porri, aglio fresco, prezzemolo, peperoncino, foglioline di salvia e rosmarino selvatico. Il profumo delle erbe è un invito a percorrere i sentieri
in zone aspre e selvagge alle spalle della costa. Si va in mountain bike,
in fuoristrada, passando per Buttidogliu, verso il Monte Nieddu, zona
di “scoddi”, spuntoni di roccia, e torrentelli che scorrono sulle “lascine”, le pietre lisce che riflettono il sole. Dalla vedetta della Guardia
Forestale, lo sguardo si perde sul golfo di Orosei e Budoni,Agrustos; e
l’Isuledda, poi l’ampio abitato di San Teodoro; e si distinguono La Cinta, Punta Aldia, la spiaggia de Lu Impostu, Cala Brandinchi, le isole di
Molara e Molarotto, fino a Tavolara.Territorio di funghi di cisto (“Lu
Mucchiu”) e di corbezzolo; macchie di tassi e ginepri, abitati da cinghiali, pernici, volpi, donnole, lepre sarda e germani reali. Per i chi
ama la selvaggina, un paradiso. Ma la sfida ulteriore è il trekking con
le sue variabili turistiche. Seguire il camminamento, la “Semita”, fino
alle cascate di Pittriolu con un laghetto invitante, vicino a una vecchia
carrettiera per Padru, significa immergersi in una dimensione che attira sempre più esploratori e viaggiatori non
convenzionali. Paesaggi di montagna, dai quali si rientra con il desiderio di cose buone.
I rujoli di ricotta fritta.
In alto un gruppo
di fenicotteri rosa.
bruciare il velo
esterno), girano su
stesse formando una
patina bruna-rossastra.
Si poggiano in una teglia e vi si
versa sopra il miele caldo
millefiori. Da provare
“bucherellati”, lasciandovi cadere
alcune gocce di acquavite.
S a n Te o d o ro
Miele e Abba Mele
elisir dei santi
SEICENTO QUINTALI, nelle annate buone, di miele: è la produzione delle
campagne di Berchiddeddu, un centro di 900 abitanti, nell’entroterra. Qui
si avverte un impegno diffuso per coniugare le qualità dell’agricoltura con
il turismo, in un contesto di usanze e tradizioni immutate nei rapporti sociali. Tutt’intorno, vallate, colline e montagne incontaminate, ed una storia di piccoli e medi produttori di miele davvero bravi. Producono quello di
lavanda selvatica, di cardo, eucaliptus, millefiori e, soprattutto, di corbezzolo: è il miele amaro che si fa in altura, dove si spostano le arnie
per la maggiore concentrazione di fiori, e al quale viene
dedicata da tempi lontani una festa, l’8 settembre, in
coincidenza con i riti per Santa Maria Immacolata. Gli
apicoltori si riuniscono sulla piazza per vendere la cera
ed il miele amaro, seguendo il cerimoniale. Delle api non
si butta niente: quando si fa la cera, nell’acqua di bollitura dei favi si raccolgono residui di miele, propoli, pappa
reale. Da questa acqua, aggiungendo buccia d’arancia
ed una spruzzatina di caffè, si ottiene un concentrato
che ha la stessa densità del miele: si chiama Abba Mele,
che impropriamente si può definire “miele d’acqua”.
Unico al mondo, si fa solo in Gallura. Si spalma anche
sul pane, e c’è qualcuno che lo definisce la Nutella dei
poveri. Ma l’Abba Mele si acquista e si utilizza anche per
preparare il ripieno delle Tiliccas votive, che si regalano
agli amici, e vengono offerte ai santi per Grazia ricevuta.
Capretto a Brudittu,
un piatto per le feste
ANCHE IN GALLURA c’è una
predilezione per la capra, per la
sua capacità estrema di adattarsi,
per il suo latte leggero e digeribile
e per la bontà della carne. Nelle
festività di Natale e Pasqua, in
tavola c’è sempre il capretto,
cucinato arrosto al profumo di
mirto, oppure a Brudittu. Per
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
prepararlo, come ci dice Luciana
Delitara del ristorante l’Esagono,
c’è bisogno di una casseruola
larga, dove si soffrigge in olio
extravergine il capretto tagliato a
pezzi, insieme ad un pesto di
cipolla, prezzemolo, peperoncino,
rosmarino tritato finemente, un
rametto di alloro, un pomodoro
Come la tipica, speciale MazzaVrissa, che si fa con la farina di grano
duro e Lu Piciu, la panna fresca: è il piatto di allevatori e agricoltori,
semplicissimo. Per ottenere Lu Piciu, la sera si mette il latte in un largo contenitore. Il mattino seguente si raccoglie lo strato denso (grasso) che si forma sulla superficie, e si versa in padella con un pizzico di
sale. Si fa cuocere spruzzando ogni tanto un po’ di farina, e mescolando con il cucchiaio di legno, aggiungendo un po’ d’acqua. Quando
raggiunge la consistenza di una frittata, è pronta: si aggiunge il miele.
Calda, buonissima, si prepara anche con il formaggio fresco, Casu
Furriatu. Un bel po’ di calorie le fornisce anche il Coccu de Jelda, il
pane schiacciato che si prepara con i pezzi piccoli di lardo (Jelda), i ciccioli, ottenuti quando si squaglia il lardo per ottenere lo strutto. Il
piatto più tipico è la Suppa Gaddhuresa, lo sformato di pane rappreso, con strati di formaggio, erbe e brodo di pecora. Si va sul mare, ad
ammirare migliaia di fenicotteri nello stagno di San Teodoro, quaranta
diversi tipi di uccelli tra i quali il Falco pescatore; o per annusare il
profumo di un’erba protetta, la “Buredda”, che cresce intorno alla
peschiera: le ostriche fanno compagnia ai muggini (si produce la bottarga); alle orate ed alle arselle, ai gamberetti ed alle sogliole; alle
mormore ed alle spigole. Qui l’ittiturismo si replica come un’occasione, riuscita, di diversificazione dell’offerta di ospitalità per chi è in
vacanza, senza dimenticare vecchie ricette dai sapori particolari, come quella del muggine fatto bollire con aglio, prezzemolo, cipolla e
pomodoro. Nel brodo si immerge il pane raffermo e, per il gourmet,
anche questa è felicità.
Capre al pascolo: il capretto,
qui, è un piatto prelibato
per le occasioni importanti.
secco anch’esso tritato, oppure
due pomodori freschi. Coprire la
carne con acqua e cuocere a
forno moderato, aggiungendo
acqua nel caso si consumi perché,
a cottura ultimata, si deve
ottenere liquido abbondante. Si
serve caldo con i crostini o pane
Coccu (schiacciata).
S a n Te o d o ro
Siniscola
Mare da sogno nella patria
del “pesce di terra”
Dall’oasi marina di Biderosa,
sotto la protezione dell’imponente cappellone calcareo del Monte Albo, si entra in un
vasto e multiforme territorio che mostra una sostanziosa tradizione culinaria di provenienza agropastorale. Di nuovo, un po’ a dispetto del fantastico mare, solo da pochi anni ha introdotto il pesce nel menu. Ci si limitava alla cucina delle trote (di taglia ridotta), delle anguille e del muggine. Il mare, quindi, era ed è, soprattutto, un corroborante dell’anima,
come la spiaggia di Berchida, considerata dai promotori turistici (e non
solo) una delle più belle del mondo. Da qui si va al faro abbandonato di
Capo Comino con le sue dune candide, patrimonio dell’Unesco, dove ci
si abbandona alla “turrata”, l’abbronzatura veloce: c’è un’insenatura minuscola che, grazie ad un ponte di Posidonia, si collega d’inverno ad uno
scoglietto, l’Isola rossa. Si procede verso il villaggio di pescatori ponzesi
di Santa Lucia, con la sua immancabile torre aragonese. Poi, si supera un
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
Ventotto chilometri di costa appartengono a Siniscola: alternanza di scorci da incorniciare, sabbie finissime e pinete, ginestre, ciottoli come confetti. Pianura e montagna,
e sapori di terra... La tradizione qui si legge nel pane...
rio che scorre dalla montagna, e si arriva al porto moderno di La Caletta.
Ventotto chilometri di costa appartengono a Siniscola: alternanza di scorci da incorniciare, sabbie finissime e pinete, ginestre, ciottoli come confetti. Pianura e montagna, e sapori di terra... La tradizione si legge nel
pane, perché l’abbondanza di grano era la fortuna dei luoghi, ai tempi di
Roma antica: Carasatu; o de simula per Loricas (pane cilindrato);
Pintatu (decorato a mano per le grandi occasioni); Chiarju (di crusca).
Cuocere, ovvero cochere su pane Carasatu, è una festa per tutti, soprattutto per i più piccoli: con sas Frichinitas (le briciole) biscottate nel miele, con l’aggiunta di mandorle sminuzzate finemente si fanno gli Ziddinos tagliati a rombi. Su pane indoratu è il perfetto spuntino: è pane Carasatu passato nell’uovo, poi fritto con olio extravergine d’oliva e spolverato di zucchero. La tavola quotidiana è riscaldata da minestre di lenticchie, fagioli, fave, piselli, mentre le occasioni di festa e le cerimonie
Siniscola
La ricetta
Sa Suppa
siniscolesa
LA CARNE DI VITELLO, di castrato e di maiale, per il brodo;
ed il pane cilindrato, Loricas, di
semola di grano duro, sono le
basi di una ricetta che è molto
diffusa da queste parti: ce la raccontano Ernesto Cotza e Maria Grazia
Cordazzu del ristorante “Sa Veletta”. Occorrono anche un po’ di concentrato di pomodori; dei pomodori pelati; e formaggi quali il Pecorino sardo
fresco, il Fiore sardo ed il Dolce del Montalbo. Poi, spezie e profumi della
Baronia: alloro, timo, erba cipollina, aglio selvatico; ed anche basilico,
prezzemolo, pomodori secchi; infine, naturalmente, del sale e del pepe.
La carne va sminuzzata a dadini e soffritta in olio extravergine con cipolla, aglio, carote e sedano; si fa rosolare bagnando poi con vino Cannonau. Aggiungere il concentrato e i pelati sminuzzati a coltello, salando,
pepando e insaporendo con le erbette preziose: deve cuocere per due
ore a fuoco lento. Poi, si passa al pane. Si unge a parte un tegame, dai
manici in ferro, con strutto di maiale nostrano: sul fondo si mette il sugo e
si sistemano le fette di Loricas dello spessore di un centimetro; versare
ancora sugo, quindi i diversi formaggi tagliati a dadini ed a rondelle, fino
alla formazione di tre strati. Dopo aver adagiato il tegame su un fornello a
tre piedi sulle braci ardenti, che vanno sistemate anche sul coperchio, si
aggiunge il brodo e si fa ancora cuocere lentamente per due ore. Prima di
servirla, è opportuno che Sa Suppa riposi una decina di minuti.
Sa Pompia, un frutto e un dolce
che si identifica con Siniscola
È UN AGRUME dall’origine
misteriosa: è il Citrus
Monstruosa, sorta di cedro
bitorzoluto dalla buccia spessa e
deforme che raggiunge i
settecento grammi di peso.
Forse è un ibrido naturale,
selezionatosi all’interno degli
agrumeti locali: è un albero molto
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
resistente, dai rami spinosi.
Il dolce caratteristico di Siniscola
che porta lo stesso nome
dell’agrume, molto ricercato (si
offriva ai notabili; al testimone di
nozze o al padrino di battesimo),
è un candito e impone una lunga
lavorazione (di almeno sei ore). Si
lavora così: si priva della buccia
impongono sa Suppa siniscolesa ma anche macarrones de busa, farina di semola di grano duro, acqua, sale, lavorati rigorosamente a mano
con sas busas, i ferri da calza, come a Dorgali. Per il minestrone e le frittelle c’è ancora chi utilizza Ozu de Listìnchinu, l’olio di Lentisco, intenso e molto profumato. E i formaggi? Pecorino sardo, caprino, ricotta, e
Ischidale, come viene denominato qui il formaggio acido di pecora o di
capra: se secco, va grattugiato nella minestra, altrimenti si mangia fresco
al naturale. Il Casu urriatu è il pecorino fresco arrostito, mentre il Catzu de Crapittu è il caglio di capretto allevato allo stato brado allattato solo naturalmente. Consuetudini baroniesi che si ripetono. Su porcu è il
maiale; la Petha chin Ajolu Pithutu è la carne di maiale con ceci, immancabili in sagre e feste paesane. Si prepara anche la Pecora in cappotto, che è d’impronta gallurese: carne di pecora bollita con aromi di stagione con l’aggiunta delle patate bollite a parte. Il maialino si serve sull’ajone, il vassoio di sughero anche qui e, ovviamente, l’agnello e il capretto sono rigorosamente cucinati allo spiedo o, altrimenti, seguendo la
stagione, con cardi selvatici e/o piselli. I dolci siniscolesi, oltre alla Pompia ed alla Aranzata de Pompia, si chiamano amaretti, gueffus e sa
Timballa, un flan di latte.
Verso il Monte Albo, entrano in cucina pernici, colombacci e tordi. Ci si ferma in paese, per una visita alla parrocchia di San Giovanni Battista o alla chiesa della Madonna dell’Assunta, si sosta nella piazza del
mercato. C’è un’atmosfera barbaricina, che si avverte tutta quando si dà
il via al “Canto a tenores”, con le quattro voci maschili senza strumenti
musicali: Sa oche (il solista) accompagnato da una base armonica (Su Bassu); poi Sa Contra (voce gutturale) e Sa Mesu Oche, voce più alta che accompagna il duo gutturale. Mito da ascoltare.
Il Citrus Monstruosa, agrume
simbolo di Siniscola.
In alto, la “Suppa” interpretata
dal ristorante “Sa Veletta”.
gialla e della polpa interna, molto
amara, praticando un foro sulla
sommità, e si fa sobbollire nel
miele millefiori. Si serve fredda a
intrea, (intera), o come sa pomp a
prena, riempita di mandorle
tritate. Per preparare s’aranzata,
con mandorle e confettini di
zucchero, è tagliata a filetti.
Siniscola
Villaputzu
Le colline delle erbe
e dei pani profumati
La statale 125
è la direttrice orientale: si raggiunge risalendo le spiagge incantate della Costa Rei, oppure si percorre da Cagliari attraversando la gola del Rio Cannas. Gli scorci mutano a ogni angolo, tra i monti del Sarrabus e del Gerrei, gli stagni e le torri costiere, i
pascoli; macchia e vigneti di Cannonau; e cartelli per la vendita delle
arance. Ci siamo: si entra nella regione che ha una storia agricola che fa
leva sugli agrumi, forse già dall’epoca della dominazione spagnola. Merito del clima e del terreno, che fanno dell’area alluvionale della foce
del Flumendosa - il fiume che si supera su un caratteristico ponte di ferro per raggiungere Villaputzu e la graziosa Porto Corallo - una zona vocata all’agricoltura e al turismo, in un continuo rincorrersi di bellezze
naturalistiche ed emergenze archeologiche e architettoniche, come le
rovine del castello di Gibas e quelle di Quirra, proseguendo verso i confini della provincia di Nuoro segnati dalla torre di Murtas.
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
I profumi costieri e della montagna si ritrovano insieme
nei ravioli con pomodoro fresco, arselle e funghi. Poi,
via libera ai malloreddus con bottarga e salvia; le bietole
di campo e i finocchietti selvatici con “is pillus”...
La forza della tradizione agroalimentare s’avverte nella panetteria, biscotteria, pasticceria, paste fresche; è un trionfo di pani: Civraxiu
(morbido), Kokkoi, Pistoccu (azzimo, a sfoglia grossa), Modditzosu; e
di dolci: amaretti, pabassine (con l’uva passa); le pardulas con la ricotta che, orientandosi verso l’Ogliastra diventano formaggelle (anche
a forma di spirale); fino ai gueffus con una variante definita perle, palline al liquore di corbezzolo (o di mirto, arancia, fico d’india) preparate
con mandorle, pan di spagna grattugiato, cioccolato bianco morbido,
pochissimo zucchero e miele millefiori. Un condensato di richiami alla
natura, con tocchi di modernità, anche per chi coltiva erbe aromatiche
e spezie: origano, rosmarino, timo, citronella, peperoncino e anche zafferano. E non mancano le produzioni di vino, Cannonau, anche Rosato,
Nuragus, Vermentino, Monica, con vigne di Cabernet e Sangiovese;
mentre tra i superalcolici vanno annotati il Mirto rosso e bianco, il LiVi l l a p u t z u
“Fregola e Orziadas”
Anemoni di mare,
la pasta dei poveri
LA FREGOLA È LA PASTA di semola tipica della Sardegna, anticamente era la
pasta del “povero” come tutti amano definirla. È di varie grandezze: quella piccola la
consigliamo per le minestrine di brodo di pecora; quella media si abbina con i pomodori
freschi e la zucca rossa, con una spruzzata di pecorino. La fregola più grande va tradizionalmente bene con le arselle, la bottarga; o, ancora meglio, secondo
una tradizione che resiste ai tempi e che ci racconta Giorgio Carta del ristorante Su Talleri, con le Orziadas, gli anemoni di mare o attinie, che vivono attaccate alle rocce sottocosta. Una volta pescate, le Orziadas si lasciano ammorbidire per qualche ora, anche per più di mezza giornata. In padella con prezzemolo, aglio, basilico, peperoncino piccante e un po’ d’olio extarvergine si fanno soffriggere fino ad un punto di cottura che si stabilisce
in questo modo: il 50 per cento delle Orziadas deve disfarsi fino a sembrare
una sorta di gelatina. La fregola si fa lessare per sette minuti, e si salta fino
a quando il sugo preparato in precedenza non si rapprende un po’, dunque
per un minuto e mezzo circa. Si serve direttamente dalla padella, con prezzemolo e aglio fresco tritato. C’è anche una variante accattivante, preparata con i maltagliati, i “pezzati” di pasta fresca all’uovo, di colore verde perché sono fatti con un trenta per cento di ortica, ovvero l’Orziau de terra
che, in precedenza, va ovviamente lessata e macinata, una volta raffreddata. Il connubio di sapori, di campagna e di mare, è intrigante.
Il regno delle arance
da oltre 500 anni
DAI TEMPI DI GENOVESI e
portoghesi, che molto hanno
fatto per diffondere la
coltivazione dell’arancia dolce
nel Mediterraneo, tra il 1400 e il
1500, è trascorso tanto tempo. In
zone vocate come quella di
Muravera, l’agricoltura ha fatto
enormi conquiste, soprattutto
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
negli ultimi anni. La cultivar più
nota di arance coltivate è oggi la
Washington Navel: il frutto è
grosso, ha la forma di sfera, i poli
appiattiti, con quello inferiore
molto caratteristico, perché
sembra un ombelico, il “navel”
appunto. Matura ai primi di
dicembre, è pressoché priva di
moncino, l’Arangiu, il liquore di fico d’india. Per i prodotti caseari,
occorre spostarsi verso l’interno, nei paesi del Gerrei: si trovano i classici, dal Pecorino sardo Dop (maturo o dolce), alla cagliata acida che qui
si chiama Casu axedu, alla ricotta fresca di pecora e di capra, anche a
lunga conservazione; nonché formaggi di latte misto (pecora e capra).
E, naturalmente, c’è il mare, con le peschiere gestite dalle cooperative:
muggini, spigole, orate, anguille; ostriche e mitili; triglie, sogliole, sparaghi, mormore, orate, saraghi e bottarga. Ma tra terra e mare, anche da
queste parti, si è ritualizzato un rapporto di amore-odio. Così bovini,
ovini, caprini e suini hanno sorretto da sempre, con l’agricoltura, la
semplicità dei ritmi lenti d’una volta, in una cucina che si è arricchita di
sapori spontanei: i sottoli con i Cardi o “gureu”; gli asparagi, la cicoria, le bietole, i funghi che, negli antipasti, continuano a impreziosire i
prosciutti e salsicce, salami e guanciale, lonze e pancette, lavorati artigianalmente. I primi piatti esaltano le virtù dei ravioli di patate o di ricotta al ragù, con la carne tagliata a pezzi grossolani. I profumi costieri e
della montagna sono in connubio nei ravioli con pomodoro fresco, arselle, funghi e aromi; e poi, via libera ai malloreddus alla bottarga e
salvia. Le bietole di campo, i finocchietti selvatici, le cipolle e il basilico
accompagnano i ceci nel minestrone con i maltagliati, ovvero “is pillus”, i residui della lavorazione della pasta per fare i ravioli. Poi, c’è la
fregola con arselle o anguille. Il muggine si fa, frequentemente, in una
sorta di salamoia: viene grigliato, poi si immerge per alcuni minuti in un
preparato di acqua tiepida, aglio, sale e alloro, prima di essere servito.
Tra gli arrosti di carne, non c’è confine per la genuina bontà del capretto al latte, fatto con limone, latte, aglio, rosmarino, vino bianco e olio
extravergine: interpreta al meglio una semplicità senza fronzoli.
Le arance di Villaputzu e in alto la
fregola con gli anemoni di mare
semi, è succosa con polpa
croccante: ottima sia a tavola
che spremuta. Le altre varietà
sono la Clementine; la Thompson
navel; la Naveline, che è già
matura nella prima decade di
novembre; ed il Tarocco, che
completa la sua maturazione a
gennaio.
Vi l l a p u t z u
V illasimius
Sardine, boghe, zerri...
il ritorno del pesce povero
Verso il Levante.
La punta sud-orientale della Sardegna è annunciata dal paesaggio del Sarrabus meridionale, dal massiccio dei Sette Fratelli che, digradando verso la costa, si dirama in vallate e
calette punteggiate da scogli e torri. Percorrendo la litoranea da Cagliari, s’incontrano le insenature delle vacanze:Torre delle Stelle, Solanas.
Poi,Villasimius, l’antica Carbonara, nome che si rifà alle estese foreste
carbonifere del territorio sfruttate dai piemontesi: mostra testimonianze del Neolitico; nuraghi e domus de janas; tracce fenicie, puniche e romane accanto a segni di culture più recenti, e conserva una gastronomia
marinara e di derivazione campidanese e rurale. È un importante centro
di turismo balneare e sede di studi scientifici, grazie all’istituzione dell’area marina protetta, che richiama le peculiarità dell’ecosistema: le
isolette di Serpentara e dei Cavoli, dove attecchisce ad esempio la “brassica insularis” o cavolo selvatico, tra lentisco, cisto, ginepro; lo stagno sa-
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
La cultura della pesca imponeva, in passato, la vendita
dei pesci nobili, e il consumo personale di quelli meno.
L’evoluzione del gusto li ha riscattati e, nei ristoranti,
trovano posto accanto a cernie, aragoste rosse e polpi.
lato di Notteri; il promontorio granitico di Capo Carbonara. La lavorazione del granito, famosa per la bravura degli scalpellini, ha caratterizzato l’economia locale integrandosi con la dimensione agricolo pastorale.
Orti familiari e serre; allevamenti di capre nella splendida area del monte di Minniminni; greggi di pecore un po’ ovunque; e la pesca, che ha visto prevalere l’uso delle nasse realizzate con il giunco palustre, offrono
le materie prime a una cucina che non ha dimenticato le umili radici, attraversate da una storia di lotte tra pirati e difensori costieri, evidenziata
anche dalla Fortezza Vecchia, che risale al XIV secolo. La cultura della
pesca imponeva, in passato, la vendita dei pesci nobili, e il consumo personale di quelli meno pregiati per il mercato, quali sardine, boghe,
muggini, zerri. L’evoluzione del gusto li ha riscattati e, nei ristoranti,
trovano posto accanto a cernie, aragoste rosse e polpi; orate, spigole e
dentici. La cottura? Domina la brace. Poi, la zuppa. La frittura di pe-
Vi l l a s i m i u s
Gamberi, lardo e piselli
mare e campagna nel piatto
ANCHE SULLA COSTA SUD-ORIENTALE della
Sardegna, e dunque anche a Villasimius e dintorni, c’è sempre un’acqua cristallina che abbonda di pesci e crostacei di qualità. Ma non
va dimenticato che la campagna alle spalle
delle case per le vacanze estive e degli alberghi, è caratterizzata da molti orti familiari, ben
curati, dove si allevano animali da cortile (e
non mancano i maiali): ci sono gli ingredienti giusti,
le materie prime facili da reperire, dai gamberi rossi, al
lardo, ai piselli freschi, per abbinare profumi e sapori persistenti, anche
se in questo caso con un procedimento relativamente elaborato e firmato
da uno chef del livello di Roberto Petza di S’Apposentu al Lirico di Cagliari. Occorre scaldare un tegame, dove si fa soffriggere dello scalogno con
tre cucchiai di olio extra vergine: vi si aggiungono dei piselli freschi (per 4
persone ne occorrono circa 300 grammi) e una foglia di alloro, che vanno
salati, pepati e fatti cuocere per una decina di minuti a fuoco basso. Si
spegne la fiamma, si toglie l’alloro, si passa tutto al frullatore e si mantiene al caldo. Si avvolge ogni gambero in una fettina di lardo sottilissima,
quindi si mettono i crostacei in una padella già ben calda e si fanno dorare su entrambi i lati. A questo punto si spegne il fornello, si incoperchia il
tegame e si lascia riposare una decina di minuti. Per servire, si mette un
cucchiaio di salsa “a specchio” nel , e vi si sistemano i gamberi con attenzione. Tocco finale: si guarnisce con pepe di mulinello.
Ravioli, palline, amaretti...
i dolci antichi delle feste
IN CAMPAGNA, nella conca fertile
di Villasimius, spuntano qua e là
gli alberi di mandorli che un
tempo erano sfruttati
intensivamente: le scorte nelle
case e nei piccoli laboratori,
nonostante la riduzione della
produzione, restano comunque
consistenti e vengono destinate
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
ovviamente alla creazione di dolci
che hanno radici nelle vecchie
tradizioni familiari, dagli amaretti
ai gueffus (le “palline” incartate
nella carta velina); dai gattou
(croccantini alle mandorle) ai
ravioli ben conosciuti come
culurgiones, che hanno
contribuito ad alimentare la fama
sce viene celebrata durante la festa della Madonna del Naufrago, in
estate. Gli arrosti sono comunque un po’ il baricentro della tavola:
maialetto, agnello, capretto di latte. Quest’ultimo, in virtù delle erbe
aromatiche e salmastre esclusive che le capre brucano in zona, è di fatto
un “pre-salato” apprezzatissimo. Pecore e capre garantiscono un latte
fresco eccellente, trasformato in formaggi come Pecorino sardo Dop
dolce e maturo; ricotta fresca e salata; caprino semi stagionato, e altre
tipologie a pasta morbida o dura. Gli animali da cortile hanno conservato la loro funzione un po’ rituale, e non manca il brodo di gallina, nei
giorni di festa. La tradizione e la frugalità hanno elaborato un curioso
cambiamento nei primi piatti a base di ravioli ripieni di ricotta. La farina
era un bene prezioso e non sufficiente per l’impasto: dunque a essa si rinunciava e i ravioli diventavano i“malfatti”, privi di involucro esterno e
preparati solo con ricotta e menta dopo una leggerissima infarinatura. In
molti menu, i malfatti, conditi con sugo di pomodoro fresco, sono sempre presenti. Il pane, su Modditzosu, a pasta compatta, e Kokkoi, a pasta liscia, si fa anche in casa. Gli orti forniscono, piselli, fave, pomodoro
Camone e altri ortaggi. Per gli oliveti si va all’interno, verso Castiadas e
Camisa, borghi di case sparse, dove ci sono i terreni migliori anche per
le vigne di Monica e Cannonau. Ma non mancano i piccoli produttori di
vino dolce, da Moscato e Malvasia. Ed è terra di frutta: arance, pesche,
albicocche, fichi. In questa zona, ricca di strutture agrituristiche nascoste tra corbezzoli, olivastri e lecci, a pochi minuti dalla bellissima fascia
costiera, è possibile acquistare dell’ottimo miele. La selvaggina, dal
cinghiale alla lepre, dalla pernice al coniglio selvatico, regna incontrastata in tante preparazioni domestiche.
Le mandorle, protagoniste dei dolci,
dagli amaretti ai gueffus
dei maestri pasticcieri locali. Fritti
e ricoperti di miele puro che le api
lavorano incessantemente
selezionando i fiori della macchia,
i culurgiones di Villasimius hanno
profumi pronunciati. E non
mancano mai sulle bancarelle,
durante la sagra di Santa Maria,
all’inizio di settembre.
Vi l l a s i m i u s
APPUNTI DI VIAGGIO
BAUNEI
Comune via S. Niccolò
tel. 0782 610 923
CAGLIARI
Comune, via Roma 145, tel. 070 6771
Numero Verde 800 016 058
www.comune.cagliari.it
DA GUSTARE agnello, maialino e
soprattutto capretto arrosto; sa Trattalia
(interiora di capra arrosto), Culurgiones
senza menta; formaggio di pecora; pane,
DA GUSTARE si trovano tutti i prodotti
vino; pesci e prodotti di peschiera ad
caratteristici della Sardegna. In
Arbatax e, in particolare, la bottarga; su
particolare: pomodori, carciofi spinosi,
Cunfettu (dolce del matrimonio)
zafferano, formaggi ovini e caprini, pane,
vini, oli e piatti tradizionali come la
DA VISITARE percorsi straordinari del
panada di anguille e la burrida. Gli arrosti:
Supramonte; voragine del Golgo; Domus de
dal maialino al capretto, pesci e
Janas di Tanca de Sa Nirta e Voa de Serra
crostacei; anemoni di mare fritti.
DA VEDERE chiesa di San Nicola di Bari,
DA VISITARE Rocca del Castello e
chiesetta di San Pietro sull’altopiano d el
bastione di S. Remy, Museo archeologico,
Golgo; chiesa parrocchiale di Santa Maria
Pinacoteca nazionale, Galleria d’arte
Navarrese del secolo XI
moderna, Museo ferroviario, Mercato di San
Benedetto e Centro della Civiltà Contadina
APPUNTAMENTI giugno Sagra di San
di Villa Muscas (entrambi accanto al Lirico)
Pietro di Golgo
luglio Sagra del pesce fritto ad Arbatax
DA VEDERE Anfiteatro romano del II
agosto Sagra dell’Assunta a S. M.
secolo d. C.; torri dell’Elefante e di San
Navarrese; Sagra della capra; sagra del vino
Pancrazio; Basilica di Nostra Signora di
e della capra a Jerzu
Bonaria (conserva la statua della Madonna
settembre Festa di S. Lussorio
del 1300); necropoli punica di Tuvixeddu,
dicembre Festa di S. Nicola
Grotta della Vipera (la tomba di Atilia
Pomptilla fatta costruire da Cassio Filippo),
Basilica di San Saturno, Cattedrale di Santa
Maria
APPUNTAMENTI
Carnevale Sfilate di carri e maschere
Pasqua Riti della Settimana Santa
1° maggio Festa di Sant’Efisio, patrono
dell’isola: da ogni parte della Sardegna
arrivano gruppi per sfilare in costume. La
DORGALI
CITTÀ DEL VINO, CITTÀ DELL’OLIO
Comune, c.so Umberto 37
tel. 0784 927 200
Ufficio del Turismo, c.so Umberto 37
tel. 0784 927 236
Ufficio informazioni turistiche
via Lamarmora tel. 0784 96243
(per Cala Gonone, viale Bue Marino
tel. 0784 93696)
processione arriva fino alla chiesetta di S.
Efisio a Nora.
DA GUSTARE vino, olio extravergine di
oliva, Frue (cagliata acida) e formaggi
caprini e ovini, yogurt di capra, pane, sa
Coccone de Pistiddu (raviolone dolce al
vino cotto)
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o
DA VEDERE Complesso architettonico di
DA VISITARE Museo archeologico e
S. Antonio; Torre Sa Prejone Vetza;
Museo del ceramista Salvatore Fancello a
Santuario del Rimedio; Oratori di S. Croce,
Cala Gonone; siti archeologici Serra Orrios,
del Rosario, delle Anime; Parrocchiale di
Tiscali, Tombe dei Giganti, Domus de Janas;
San Giacomo Maggiore; Chiesa campestre
Grotte di Ispinigoli e del Bue Marino;
di Santa Maria ‘e mare
Nuraghe Mannu a Cala Gonone, Gola del
Gorroppu
APPUNTAMENTI gennaio Festa di
Sant’Antonio Abate con grande falò rituale,
DA VEDERE Chiesa di Santa Caterina con
distribuzione di vino, dolci tipici e pane
altare ligneo del 1600, chiesette campestri
“nieddhu”
di Su Babbu Mannu e Sa Itria con statue
settimana santa cerimonie e manifestazioni
bizantine
rituali
maggio Festa di Santa Maria del mare con
APPUNTAMENTI gennaio Festa di San
processione di barche
Sebastiano, con apertura della cantine
luglio Festa patronale di San Giacomo
private e offerta rituale del vino; Festa di
settembre Sagra della Madonna del
Sant’Antonio Abate, distribuzione di pani
Rimedio
benedetti
dicembre Feste campestri di S. Lucia e S.
settimana santa Cerimonie e
Giovanni Evangelista
manifestazioni rituali
agosto Festa di Ferragosto processione in
costume, spettacoli equestri, mostre e
degustazioni gastronomiche
SAN TEODORO
Comune, piazza E. Lussu 1
tel. 0784 865 723
Ufficio Turistico, tel. 0784 865 767
OROSEI
Comune, via s.ta Veronica 5
tel. 0784 996 900
Pro loco, piazza del Mercato 15
tel. 0784 998 367
DA GUSTARE Mazza Vrissa con farina e
panna fresca; Coccu de Jelda (pane
schiacciato con lardo); mieli di
Berchiddeddu; pesce di mare e di
peschiera, Rujoli dolci (palline di ricotta);
DA GUSTARE vino, frutta, angurie e
ortaggi, erbe aromatiche
meloni, ortaggi, formaggi; salsiccia,
salame e prosciutto di Irgoli; pani e dolci
DA VISITARE Area marina protetta di
votivi
Capo Coda Cavallo; stagni di Budoni e di
San Teodoro; Museo della civiltà del mare
DA VISITARE Museo comunale don Nanni
Guiso; Domus de Janas Sa Conca Ruja;
DA VEDERE Chiesa di San Teodoro
Zona umida foce del fiume Cedrino; Stagno
Petrosu, oasi di Biderrosa
APPUNTAMENTI giugno Festa di San
Teodoro; Festa di Sant’Antonio; Festa di
Sant’Andrea
agosto mostra mercato dell’artigianato e
dei prodotti tipici a Budoni
appunti di viaggio
SINISCOLA
Comune, via Roma 125
tel. 0784 875 568 - 0784 870 800
Pro loco, tel. 0784 877 013
DA VISITARE ruderi dei Castelli di Gibas e
di Quirra, stagni di Feraxi, Colostrai e
Salinas, torri costiere, Porto Corallo
DA VEDERE chiesa di San Nicola del XIII
DA GUSTARE vino, olio extravergine di
secolo (architettura romanica in cotto);
oliva, formaggi, dolci come Sa Pompia
chiesa di san Nicola in stile tardo gotico a
(dal nome del grosso agrume bitorzoluto
Muravera
che cresce solo da queste parti) e
Aranzada; piatti quali la Suppa Siniscolesa
APPUNTAMENTI gennaio Sagra di
Sant’Antonio Abate
DA VISITARE Foresta demaniale di Monte
domenica in albis Sagra degli agrumi
Albo; grotte “Sa Preione e s’Orcu”; nuraghi
agosto Sagra del Ballo sardo
Sa Domo Bianca e Gorropis; insediamento
in estate Mostra dell’Artigianato Sarrabese
nuragico Tafone e Conca Umosa; ruderi del
ottobre Sagra di Santa Vittoria; Sagra di
villaggio altomedievale di Rempellos
San Narciso con processione
dicembre Festa di San Nicola a Muravera
DA VEDERE Chiesa parrocchiale di San
Giovanni Battista; Chiesa campestre
Madonna della Salute
APPUNTAMENTI
gennaio Festa di Sant’Antonio Abate
VILLASIMIUS
Comune, p.zza Gramsci 10,
tel. 070 79301
Ufficio Turistico, piazza Giovanni XXIII
tel. 070 7928017
febbraio Carnevale
settimana santa cerimonie e manifestazioni
DA GUSTARE formaggi di pecora,
rituali
culurgiones (ravioli dolci alle mandorle),
aprile “Vinicola” (rassegna vitivinicola);
pesci e crostacei, olio e vino di Castiadas
Festa del riccio di mare nel villaggio di Santa
Lucia
DA VISITARE Museo archeologico;
maggio Festa di San Giacomo; Festa di N.
insediamento archeologico di Cuccureddus;
S. di Fatima a La Caletta
Stagno di Notteri; Nuraghe Giardone; Torri
giugno Festa di San Giovanni
costiere; Area marina protetta di Capo
ottobre Festa de Le Grazie
Carbonara; Fortezza Vecchia, Isola dei
Cavoli, Isola di Serpentara
VILLAPUTZU
Comune piazza Marconi
tel. 070 997 178
DA VEDERE Chiesa di S. Raffaele;
Chiesetta di S. Maria con ruderi di edificio
romano
DA GUSTARE agrumi (arance e
mandarini), frutta, pesci di mare e di
APPUNTAMENTI luglio Festa della
peschiera, ostriche, erbe aromatiche,
Madonna del Naufrago
ortaggi, miele
settembre Sagra di Santa Maria
ottobre Festa di San Raffaele
p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o