Il regno delle arance
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Il regno delle arance
sardegna p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o 1 Cagliari Dal Golfo al Campidano, la chiave dei sapori 2 Baunei Mare e bosco, il regno dell’Ogliastra 3 Dorgali Pane, olio, vino, caglio, la cucina agropastorale 4 Orosei I frutti del mare e la forza dell’orto 5 San Teodoro Le porte di Gallura, regno di pesci e di formaggi 6 Siniscola Mare da sogno, nella patria del “pesce di terra” 7 Villaputzu Le colline delle erbe e dei pani profumati 8 Villasimius Sardine, boghe, zerri... il ritorno del pesce povero s a rd e g n a L’isola oltre il mare La Sardegna è “il” mare. Affermazione che non si presta a discussioni: qui il mare è trasparente, cristallino, esotico per definizione. Ma la Sardegna è, contemporaneamente, anche “LA” terra. Una terra avvincente fatta di oasi naturalistiche, artigianato e sapori unici, come i suoi nuraghi. Un micro-continente all’interno di quel Mediterraneo di cui ha abbracciato tutte le civiltà conservando però allo stesso tempo un’identità formidabile di isola dalle radici millenarie. Da questa identità scaturisce una forza che si apprezza non solo nei paesaggi.Anche in cucina, sintesi di differenze geografiche e culturali, si respira identità. E le due cose, ovviamente, viaggiano insieme, lungo i percorsi nella costa Sud-Orientale che vi proponiamo in questo tour alla scoperta delle “Perle dell’Alto Tirreno”, itinerari pensati per gourmet, ma non solo. Un’isola grande, aperta. Questa è la Sardegna, una Regione proiettata ben al di là del suo confine marino, verso l’Europa ad esempio grazie ad un export sempre più consapevole proprio nel comparto agroalimentare: è sorretto da dinamismo, cooperazione, investimenti mirati. Navigano e volano verso i mercati lontani, infatti, non solo i formaggi e i vini, l’olio extravergine di oliva e i prodotti della pesca; ma anche i pomodori e i carciofi sardi, senza dimenticare il pane con le sue forme mirabili; e la pasticceria. Questa Sardegna da Sud a Est, a tratti poco conosciuta, è p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o ricca di fascino, di cibi antichi, di ricette semplici, come quelle dei culurgiones, i ravioli che mutano i loro ingredienti, impercettibilmente, chilometro dopo chilometro. In altalena tra terra e mare, spuntano i segreti per preparare le salsicce e i salami; o la bravura degli “artisti” della bottarga; e la filologia del gusto che accompagna il gattuccio di mare, per fare la burrida. E c’è lo zafferano, ad impreziosire la pasta ed i dolci che, dalle mandorle e dagli agrumi, dalla ricotta e dal miele, regalano profumi inimitabili. L’itinerario si sposta dal cuore meridionale, dai dintorni di Cagliari, per risalire il Sarrabus, la costa dell’Ogliastra e le Baronie, toccando le propaggini della Gallura e le località entrate nel mito delle vacanze. Si attraversano luoghi e paesaggi che alternano un fascino selvaggio a dimensioni moderne.Tutte da scoprire, tra viuzze tortuose, ideali per il trekking e il fuoristrada, e direttrici più frequentate, panoramiche e punteggiate da torri e monumenti naturali, passando da pianure a montagne abitate da capre irriducibili; da coste pescose dove le peschiere abbondano di specie pregiate; a vallate, che ospitano greggi di pecore e maialini bradi. Capretto, agnello, maialino: l’aroma di queste carni, impreziosito da una infinità di erbe spontanee, si diffonde dalle braci domestiche, dai falò delle mille feste patronali, o dai camini di ristoranti e agriturismi. Così, il cinghiale e la selvaggina di passo, dalle pernici ai tordi infilati nello spiedo di mirto. S’incontrano i pastori e i giovani imprenditori caseari; i vignaioli eroici e le aziende enologiche all’avanguardia; i testimoni di un’agricoltura familiare e tante imprese di trasformazione dei prodotti dell’orto, del frutteto, delle serre. Realtà forti che partono dalla tradizione per aggiungere valore e tecnica e talento alle cose buone. E guardano lontano.Verso il mare. E oltre... s a rd e g n a Cagliari Dal Golfo al Campidano, la chiave dei sapori La porta della Sardegna, sintesi delle culture mediterranee; di stili di vita, di architetture, chiese splendide, vestigia archeologiche; di narrazioni folkloriche; di golosità semplici come il pane, e di nomi del cibo che mutano nell’arco di pochi chilometri. Cagliari, con il suo territorio, si può leggere in mille modi. Per conoscerla un po’ meglio ci si deve abbandonare al suo calore, il primo maggio, durante la sagra di Sant’Efisio: i carri addobbati con i fiori; i costumi della festa indossati da uomini e donne; i cavalli della razza anglo-arabosarda che sfilano a testimoniare un’identità forte. Era un approdo sicuro, Cagliari, fin dall’epoca fenicia, poi cartaginese e romana: sempre al centro di traffici e commerci di olio, vino, formaggi, grano, sale; oltre che crocevia della lana e dei minerali. Si va al Castello, quartiere simbolo voluto dai Pisani nel 1258, e si intuisce che la città, protagonista dell’incontro di tante civiltà, è semp e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o Dall’Impero romano ai Bizantini, dagli Spagnoli ai Piemontesi, si notano i segni di fusione con il passato e, contemporaneamente, dell’appartenenza orgogliosa a se stessi. Accade anche in cucina... pre proiettata verso gli spazi aperti delle fertili pianure agricole campidanesi; e verso il Golfo degli Angeli che sigilla un porto che è la finestra su un futuro mercantile e turistico in crescita continua. Dall’Impero romano ai Bizantini, dagli Spagnoli ai Piemontesi, si notano i segni di fusione con il passato e, contemporaneamente, dell’appartenenza orgogliosa a sé stessi. Accade anche in cucina: gran parte delle direttrici alimentari sarde portano al capoluogo, ed è scontato. C’è la possibilità di acquistare praticamente tutto, ma basta andare all’asta del pesce, o al mercato di San Benedetto per capire le differenze e fare un viaggio nei sapori locali. Si diceva del pane, che per essere buono vuole l’olio di spalla, ovvero “Su pane pro esser bonu, bi queret s’ozu de pala”: quello campidanese è il Civraxiu (dal latino “cibarius”), compatto, dalle forme di uno o due chili; il Modditzosu che qui ha la crosta croccante e la mollica morbida. E poi c’è il Kokkoi, o Coccoi, esemplificazione delCagliari Il Pecorino Sardo un classico dop GLI AUTORI LATINI, Columella, Marrone, Plinio ed altri, già raccontavano della diffusa preparazione del formaggio Pecorino Sardo, lavorato ovviamente con latte di pecora. Si produce in tutta la Sardegna e nel 1996 ha ottenuto la Denominazione d’origine protetta. p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o Un po’ ovunque, a Cagliari, è possibile acquistarlo. Si fa in due tipologie: Dolce e Maturo. Si distinguono in lavorazione e per stagionatura: quando ha raggiunto la consistenza necessaria, la cagliata per il primo tipo viene rotta a granuli grossi quanto una nocciola; mentre, per l’arte bianca: è liscio, ricamato in forme che hanno un valore estetico e rituale, per i matrimoni (“de is sposus”), e la Pasqua, quando contiene un uovo (Coccoi de anguli). Poi, gli altri: classici dalla sfoglia grossa (Pistoccu) o sottile (Carasau). E non si può non osservare, ad esempio, la cura con la quale si acquista il Gattuccio di mare già spellato e pulito, per preparare la Burrida: il pesce si taglia a pezzi, si lessa e si sistema in un vassoio. In un mortaio si pestano i suoi fegatini ed i gherigli di una decina di noci: il composto si fa rosolare con aglio e prezzemolo, e si bagna con l’aceto. Il sughetto si versa sui tranci di pesce. Prima di servirlo si fa riposare qualche ora: c’è chi sostiene che l’attesa debba durare un giorno e più, addirittura fino a quando anche le lische non siano ormai disfatte. Gusti forti. Più semplici, quelli della Simbula, la minestra condita con un soffritto di cipolle e salsa di pomodoro; dei Culungionis de casu, i ravioli di formaggio; o dei Malloreddus cun arrizzoni, gli gnocchetti con i ricci di mare. A proposito di ricci: quando è stagione, bisogna mangiarli crudi tra la distesa di chioschi allineati sulla spiaggia del Poetto. Poi, i Malloreddus con la salsiccia fresca spezzata, bagnata con la Vernaccia e condita con pomodoro e zafferano, sono un vero must. E spingono il gourmet a spostarsi altrove. Fino a San Gavino Monreale per lo zafferano e il riso che si produce anche nella qualità Basmati. Ma anche più vicino, a Monastir, per i salumi e a Selargius, famosa per le straordinarie cerimonie nuziali, per il vino: il rosso da tavola, il Monica, che fa pendant con il Nuragus bianco del campidanese e il Carignano del Sulcis, ma anche il Una bella forma di pecorino sardo Dop il secondo, i granuli hanno la dimensione di un chicco di mais. Il Dolce stagiona per 20-60 giorni e si abbina a vini come il Vermentino. Il Maturo ha una stagionatura da due a dodici mesi, e un Monica di buona tannicità viene indicato come un ottimo... compagno. Cagliari Il mercato di San Benedetto una panoramica di sapori e colori dell’isola BRULICANTE come tutti i mercati, quello di San Benedetto è un centro d’attrazione permanente, il cuore della spesa quotidiana dei cagliaritani nonostante l’insidia di supermarket e centri commerciali. Al piano inferiore ci sono i prodotti del mare. Il pescato del giorno è un trionfo di specie pregiate e non, secondo le stagioni, e le condizioni del tempo. Si compra la bottarga, ovviamente, ma in tanti si dirigono verso le vasche dei granchietti, i Cavureddus, ottimi con la pasta, e crudi da novembre a febbraio, quando hanno le uova; e i banchi del Cavuru Durmiu, il granchio addormentato: non ha una gran polpa, ma insaporisce i sughi. La Burrida, ovvero il Gattuccio di mare, è indispensabile per la Burrida, appunto, uno dei piatti più tradizionali della città: c’è qualcuno che compra anche il Palombo o lo Zigrino, ma non è la stessa cosa. Al piano superiore ci sono carni: maialetto, capretto, agnello; formaggi, verdure; dolci. La carne di cavallo (quella d’asino è quasi impossibile trovarla), è molto richiesta per gli arrosti del fine settimana. Da novembre a gennaio è tempo di agnello; mentre per la pecora si aspetta il mese di maggio. Ed ecco la Cordula, la treccia d’intestino d’agnello o di pecora che si fa bollire per un paio di minuti, prima di arrostirla avvolta a spirale sullo spiedo: una ghiottoneria. Zafferano, la rinascita di San Gavino COSA SAREBBERO alcuni piatti, e dolci, senza il “Croco”, lo zafferano? Viene prodotto da secoli, ed almeno a partire dal 1539 a giudicare dalle testimonianze scritte, nel medio Campidano, a San Gavino Monreale che è diventata la capitale italiana del “Crocus p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o sativus”. Si coltiva in pieno campo con metodi tradizionali; la fioritura, in genere, avviene tra il 15 ottobre ed il 30 novembre, e si protrae per un paio di settimane. Subito dopo la raccolta, si lavora alla separazione degli stimmi dal fiore, eliminando anche la parte biancastra dello stilo che li Moscato, il Vermentino e, ovviamente, sua maestà il Cannonau. Le aziende vinicole mostrano tutte una grande attenzione per la qualità, e il tour è senza soste. Nei paraggi, le salsicce con il finocchietto selvatico (sa Matta Fallua) o con il mirto, a Maracalagonis. E si fa tappa a Quartu Sant’Elena per i dolci delle feste, soprattutto il Candelau: la pasta con le mandorle viene modellata a forma di vaschetta, scarpetta, orlata di carta stagnola dorata. Le Sebadas, i dischi ripieni di formaggio, e ricoperte di miele, sono ovviamente una certezza. Si prosegue, proprio in cerca di formaggi di pregio, ovini ma anche caprini (fresco, caciotta, semicotto e cagliata acida) fino all’area di Santadi (c’è ottimo olio e vino) nel Sulcis, dove abbondano le erbe officinali e aromatiche, funghi profumatissimi; ortaggi e carciofi spinosi (il Violetto, la qualità senza spine, è meno apprezzato), la cui produzione è favorita da un clima particolare: le gelate sono rarissime. Il carciofo c’è ovunque, e fino a Samassi, passando per Decimoputzu e Serramanna: è molto tannico, e c’è chi non manca di abbinarlo alla bottarga. Notevole, poi, la produzione del pomodoro Camone che ha un frutto tondeggiante, non molto grosso, una discreta dolcezza, ed è apprezzato dai cuochi migliori per il sapore tipico quando mostra ancora la parte superiore di un colore verde carico. Si coltiva anche ad Assemini, il paese delle ceramiche e della Panada con le anguille. Altre cultivar di pomodori, quali Cupido (leggermente pizzuto); il ciliegino Cherry, tipi come il Carson e altri, da insalata, hanno mercato anche per l’export. A Dolianova, infine, si va per il formaggio, e soprattutto per l’olio extravergine prodotto dalle cultivar Tonda di Cagliari, Pitz’e Carroga e Ulieddu ; ed ancora, per le olive in salamoia. Stuzzichino ideale, per ripartire, cercando nuove sensazioni per il palato. La burrida, un classico piatto con il gattuccio di mare (in alto). Qui sotto, lo zafferano di S. Gavino unisce: un’operazione lenta che impone l’impiego di un gran numero di persone. Prima dell’essiccazione al sole o davanti al camino, gli stimmi vengono umettati di olio, per migliorare le possibilità di conservazione e l’aspetto dello zafferano. Cagliari Baunei Mare e bosco, il regno dell’Ogliastra Si va nel fascinoso mondo dell’Ogliastra, con le sue formidabili tradizioni che molto parlano anche di cibo. Da Sud, verso Tertenia, nota per i suoi formaggi, c’è un incontro di rocce e spianate fertili, altipiani e laghetti artificiali, torrenti e boscaglia, massi solitari; “pirastru” (pero selvatico) e montagna, foraggiere, vigneti e oliveti collinari. Spazi aperti, dalle variabili tonalità di verde, gustosissimi fichi d’india e “quel” mirto del mito sardo, liquoroso e non solo: con i suoi rametti s’infilzano i tordi lessati (e coperti appunto di mirto) per prepararne spiedini, le deliziose Tacculas. C’è una sensazione d’inesplorato, tra aranci, peschi, rilievi archeologici e pecore sul greto d’un corso d’acqua, mentre lo sguardo corre già a esplorare le mille forme del carsismo e dei suoi monumenti naturali, in lontananza. Terra antica anche di Cannonau, a Jerzu, Città del Vino, dove già dal 1130 si parla di una donazione di vigne in un atto notarile; di agricoltura e turismo in crescita esponenziale; di p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o Infine, si compie il salto verso Baunei, antico centro di pastori e boscaioli, il cui nome potrebbe derivare dal greco “Bainos”, ovvero “fornace per fondere i metalli o per cuocere la roccia calcarea per ricavarne la calce”. pane Pintau (decorato) e Pistoccu, o Conciu perché cotto nel vino; e dolci derivati dall’abbondanza di mandorli (gattou, amaretti) da Cardedu e dintorni, a Barisardo. La salubrità del clima, a Lanusei, tappa del TreninoVerde che raggiunge le alture panoramiche di Pizzu Cuccu e Su Carmu, è un ulteriore invito a conoscere la storia di questo centro importante, tra le culle della cultura ogliastrina, sede pure dell’osservatorio astronomico, sulla cima del Monte Armidda. Da qui, l’itinerario si lascia attrarre dal borgo di Villagrande Strisaili, con i suoi allevamenti di visoni e maiali, quaglie e ovaiole; e la sua produzione di miele e notevoli formaggi caprini; oppure si guarda alla finestra sul mare di Tortolì. C’è Arbatax, con il porto e, alle spalle del cantiere nautico, verso la spiaggia di ponente, le peschiere che abbondano di vongole veraci, ostriche ricercate; orate, spigole, mormore, ma anche di anguille e triglie; ed ancora, tutti i tipi di Baunei La capra... servita in 200 spiedi A SANTA MARIA Navarrese, sbocco marino e portuale di Baunei, il sabato dopo Ferragosto, per la festa dell’Assunta, accanto alla chiesetta del 1050, si celebra una sagra della capra (si preparano 200 spiedi), che è l’emblema di una cultura pastorale p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o straordinaria che non ha subito alcuna mutazione indotta dal turismo ma che anzi dall’incontro di culture diverse, ancorché vacanziere, trae una maggiore consapevolezza. Il “sacrificio” collettivo degli animali bradi svela un segreto... naturale. Sugli impervi rilievi calcarei, per mesi, muggine presenti nel Mediterraneo che, dunque, consentono la produzione di una bottarga di alto pregio. Per il resto, la pesca, qui come altrove sulla costa tirrenica, ha assorbito i mestieri degli uomini di mare arrivati dall’isola di Ponza, da un secolo e passa.Vi si pratica anche l’ittiturismo, opportunità che in pochi si lasciano sfuggire, non solo per godersi un piatto di gamberi appena catturati nell’acqua cristallina. Orientandosi verso l’entroterra, si diventa facile preda delle meraviglie del Supramonte con la sua roccia calcarea modellata dall’acqua e dal vento, che fa il verso alla porosità del sughero; e degli ogliastri millenari che inducono a svoltare fino alle calette di Santa Maria Navarrese con il suo porticciolo turistico, tra campi di fave e vigne, giardini. La cucina assorbe tutte le sollecitazioni di queste montagne sul mare pure nell’accostamento di vongole e funghi, con cozze, patate e bottarga. Infine, si compie il salto verso Baunei, antico centro di pastori e boscaioli, il cui nome potrebbe derivare dal greco “Bainos”, ovvero “fornace per fondere i metalli o per cuocere la roccia calcarea per ricavarne la calce”. Un significato che racchiude uno stile di vita e, soprattutto, un territorio di falesie, bastioni e guglie; di altipiani basaltici come il Golgo e voragini come Su Sterru, che è la più profonda del continente europeo (290 metri). L’aquila reale e del Bonelli; il falco pellegrino e della Regina: volano alti a scrutare i mufloni e, in particolare, i cinghiali che, naturalmente, abbondano anche sulla... tavola. Un patrimonio faunistico e naturalistico che è al cuore di sentieri per il trekking, tracciati con assoluta precisione: guide specializzate accompagnano ogni anno migliaia di esploratori della meraviglia paesaggistica che non trascurano i 120 villaggi nuragici, le venti tombe dei giganti ed i cinque templi d’adorazione, opere megalitiche che contribuiscono a definire il carnet di emozioni. Scorci vertiginosi tra i quali saltellano inLa cordura di agnello allo spiedo. Su in alto, Baunei immersa nel verde le capre non bevono acqua e si cibano solo di germogli della macchia mediterranea: il latte e le carni mutuano così un sapore unico. E, nell’arrosto, si sublimano in profumi ineguagliabili. Come per sa Tratalia, gli spiedini preparati con le animelle coperte con la retina (sa Nappa). Baunei Su cunfettu, mandorle e arance per il matrimonio È IL DOLCE DEL MATRIMONIO a Baunei. Un’icona del gusto, principe del rinfresco nuziale, su Cumbidu, servito subito dopo la messa. Il mercoledì prima della festa, si riuniscono le donne delle famiglie della sposa e dello sposo: prima di procedere recitano una formula augurale, seguendo una tradizione vivissima. Gli ingredienti? Mandorle, bucce d’arancia e miele. La scorza d’arancia si fa essiccare dopo aver eliminato la parte interna bianca. Le mandorle sbucciate, lessate brevemente e tagliate a spicchi lunghi, si fanno tostare al forno. Le scorze si immergono in acqua bollente, si eliminano accuratamente i residui bianchi; macinate, si avvolgono in un sacchetto di lino, che viene lavato, spremuto e cambiato più volte fino a quando l’acqua perde l’agro e la tinta giallastra. Si strizza e si asciuga. Il miele, in quantità uguale (come volume) alla scorza d’arancia, si versa in una bacinella di rame pulita con aceto e sale. Nel recipiente, con un pezzo di sughero, si evita che il verderame si sciolga e rovini l’impasto. A fuoco basso, si mescola senza interruzione con un bastone tondo e lungo: in piedi, perché occorre molta forza. Si aggiungono le mandorle rimescolando con vigore. Su un tavolo di legno bagnato, si stende l’impasto con un mattarello fino a raggiungere lo spessore di un centimetro. Si lascia raffreddare e, con un coltello, si incide formando rombi di cinque centimetri per lato: si poggiano su foglie d’arancio e si servono con del vino bianco dolce. Bottarga, l’oro dello stagno NELLA LAGUNA di Arbatax, gestita da una storica cooperativa di pescatori, si pescano tutte le specie di pesce della zona. Dal cefalo, il mugil cephalus, si produce la famosa bottarga dello stagno di Tortolì. I cefali adatti si prelevano negli impianti di cattura: si trovano in p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o corrispondenza del canale che unisce il mare alla laguna, nel periodo durante il quale i pesci tentano di raggiungere il largo per deporre le uova. I cefali sono eviscerati, e le uova che si trovano al loro interno, nella sacca ovarica trasparente, vengono asportate. La sacca differenti le capre: forniscono latte, formaggi e carni che caratterizzano da sempre l’alimentazione locale. La capra si fa arrosto o, oggi più raramente, in panada, ed è il proseguimento perfetto di primi piatti di pasta fresca, a cominciare dai culurgiones, ravioli salati che qui hanno una forma rotonda, e si preparano con il caprino, le patate, senza menta, e il sugo di pomodoro fresco. Sul Golgo, l’area che ospita la chiesetta di San Pietro (è della seconda metà del XVI secolo, e vi si celebra una seguitissima festa campestre), c’è un ovilerifugio dove i culurgiones si fanno con il caprino freschissimo: si sciolgono letteralmente in bocca. Qui ci sono i resti della antica strada romana orientale, tra piscine nuragiche basaltiche, abbeveratoi di asinelli, mucche e maiali bradi incrociati con i cinghiali. Se si decide di seguire altri percorsi montanari, lungo i vecchi sentieri tracciati dai carbonai fino alla riva del mare, a Cala Sisina, a Cala Biriola (e siamo già nel golfo di Orosei) si fanno ulteriori scoperte: quella, ad esempio, del forno dove si metteva a cuocere il pane di ghiande. Pesante, poverissimo, impastato con l’acqua d’argilla: Lande cottu o Pan’ispéli. La memoria va ai tempi in cui dominava l’essenzialità del cibo, e il pesce non veniva consumato: i contadini non sapevano cosa farsene delle aragoste barattate con i pescatori in cambio di frutta, ortaggi. Dal mare, si prendeva solo ciò che aveva un senso pratico: lo testimoniano gli ovili costruiti con i pezzi di un relitto negli anni’60... In alto, una scultura di pane. Qui sotto la bottarga di Arbatax affettata col classico coltello sardo. A sinistra, su confettu. viene messa sotto sale per un paio d’ore, e quindi lavata. Successivamente si sistema il prodotto in una sala di essiccazione per quindici giorni circa ad una temperatura di 15 gradi. La bottarga è così pronta per essere confezionata e commercializzata. Baunei Dorgali Pane, olio, vino, caglio, la cucina agropastorale Per i motociclisti è un’esperienza unica. Da Baunei a Dorgali, la “125” è la strada di un sogno su due ruote, a picco sulle vallate, definite e avvolte dal Supramonte. Si entra in un triangolo geografico-culturale tra Ogliastra, Barbagia e Baronia, in un mix di turismo, agricoltura, artigianato e pastorizia; di produttori di vino, olio, pane e tante tipologie di formaggio che (accanto agli arrosti di maialetto, capretto e agnello) in cucina è una presenza costante, dagli antipasti al dessert.A partire dalla cremosa Frue, acida o salata: è una cagliata di latte di capra o di pecora, altamente digeribile, di origine nuragica. Si produce solo in alta primavera o in estate, quando il latte coagula più facilmente. Una volta la Frue coincideva con il periodo di tosatura delle pecore: si faceva nei recipienti di terracotta o, più di recente, nelle pentole smaltate (non sbeccate!), e si raccoglieva con una schiumarola, sposandola al pane Carasau “a traccheddu”, croccante e non bagnato. Gesti nobili e p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o È il regno delle formidabili “fachidoras”, le facitrici della Frue, cagliata acida o salata, e dei pani di Taedda (peretta di formaggio a pasta filata) e di dolci, organizzatrici della vita domestica. misurati, segno della creatività di uomini e donne, formidabili “fachidoras”, le facitrici di pani di Taedda (peretta di formaggio a pasta filata) e di dolci, organizzatrici della vita domestica. Del resto, l’originalità di ceramisti e intagliatori di legno; dei maestri dell’oro e della filigrana; della tessitura, della pelletteria, del ferro battuto, qualifica una dimensione sociale molto vivace. Il centro di Dorgali è una mecca dell’Art&Craft, che affianca e sostiene l’economia dell’accoglienza. Questa è esaltata, ad esempio, dalle pareti del Monte Bardia, emblema roccioso degli arrampicatori di tutto il mondo che arrivano qui perchè ci sono ben 2.500 vie tracciate sulla roccia, e nessun luogo in Italia vanta tale peculiarità. E poi si va agli splendori archeologici e naturali che si ammirano puntando all’interno, verso Oliena per il Cannonau che qui si chiama Nepente; Orgosolo, Nuoro: i villaggi nuragici della misteriosa Tiscali e di Serra Orrios; la D o rg a l i Vinìola, nella patria di grandi vini nati oltre 2000 anni fa DORGALI E DINTORNI: un’area ricchissima di vitigni autoctoni, da circa 3.500 anni. Nel 190 dopo Cristo i Romani la chiamavano Vinìola e, dunque, il vino è parte integrante della storia, delle tradizioni, in una parola della profonda cultura locale. La vite è allevata ovunque ad alberello classico o a Guyot (per il 45 per cento). Vermentino, Sinnidanu e Panzale (cultivar di uve bianche); alcuni vitigni internazionali e, soprattutto, il grande Cannonau, regnano incontrastati sul territorio. Il Cannonau è al centro di continue ricerche, anche dal punto di vista etnolinguistico. Secondo gli studi di Salvatore Dedola, il nome potrebbe provenire addirittura dal Sumero: da “Cannu”, giovane pianta e “Nau”, nostro in senso appropriativi. Teorie che fanno comprendere il grande interesse complessivo di tecnici esperti ed attenti anche alle sollecitazioni del mercato. Un esempio? La cantina sociale di Dorgali ha anche prodotto un novello Igt da un uvaggio con grande prevalenza di Cannonau, che ha ottenuto numerosi consensi. Ci troviamo di fronte a un codice d’identificazione tra il Cannonau e la sua gente molto forte. Basti pensare al Rosato di Cannonau, il vino dolce che si fa comunque anche in casa: dopo la pigiatura, le bucce restano solo per poco a contatto con il mosto, va direttamente in botte, ed è chiamato Vinu biancu. Ai matrimoni e durante le feste, si offre con l’amaretto o con l’Aranzada, i rombetti di miele, buccia d’arancia e mandorle pelate intere. Pistizzone chin frue, un piatto per l’estate QUESTO, RACCONTATO da Giovanni Cossu del ristorante “Ispinigoli” di Ispinigoli (Dorgali), è un piatto tipico dell’estate dorgalese, perché ricco di sali e povero di grassi. In primavera viene anche arricchito abitualmente con verdure, fagioli, zucchine, patate. Il Pistizzone p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o è sostanzialmente una fregola senza uova. Per farlo, occorrono tre etti di semola, acqua, sale e un po’ di zafferano. Per la Frue (che Giovanni fa in casa): un litro di latte caprino, mezzo cucchiaio di caglio e un bicchiere di fermenti. Il latte si scalda a 36 gradi, si uniscono caglio e fermenti e si lascia tomba dei giganti di Thomes; il canyon della Gola del Gorroppu, con strapiombi di 400 metri; le architetture rurali e le chiesette campestri con le loro “cumbessias”, le stanzette monocellulari che ospitano i fedeli. Guardando alle atmosfere marinare, la grotta dei primati speleologici di Ispinigoli (12 chilometri) con l’abisso delle vergini e la sua mega-stalagmite; le spiagge da leggenda di Cala Luna e le altre calette azzurro turchesi; e le grotte del Bue marino (la foca monaca) con i suoi graffiti, fermandosi ovviamente all’elegante Cala Gonone con il porticciolo e le dimore per il buen retiro vacanziero, che si specchia in altissime falesie, coperte dalle leccete che arrivano fin giù a Muravera. Danno vita ad un’oasi verde lunga 200 chilometri, esplorata dagli appassionati del trekking. Qui arrivarono i pescatori ponzesi, rinnovando il difficile baratto tra pesci e prodotti della terra. Torna la voglia di sapori unici. Lo spuntino del relax? È un pezzo di caciotta sulla brace, un “quarto” infilato in uno spiedo: si avvicina con gesti misurati alla fiamma e, poco alla volta, si taglia a fette la parte che comincia a sciogliersi. I pecorini più giovani si fanno arrostire, quelli più stagionati sono l’ideale dopo-pranzo. E che dire degli Anzelottos? Ravioli ripieni di formaggio e mentuccia, o bietola o, ancora, delicatissimi nella versione con ricotta e finocchietti selvatici? I dadini di formaggi freschi morbidi, non salati e fatti leggermente inacidire, sono il cuore dei macarrones furriaos, gnocchi di semola, con o senza uova, fatti in casa con un pizzico di zafferano e un’idea di salvia. Lo zafferano: secondo consuetudine, veniva coltivato in grossi vasi di terracotta, sistemati a portata di... cuoca. Mani abilissime preparano la Casadina salata, un disco di pasta con formaggio vaccino fresco, lasciato un po’ inacidire, Il Pistizzone, fregola senza uovo con zafferano, condito con la Frue, una cagliata acida. A sinistra un grappolo di cannonau riposare per 2-3 ore: il composto si solidifica e si taglia a cubetti di 4-5 centimetri. Dopo 24 ore si travasa in salamoia. Una volta cotta la fregola, si serve calda con una abbondante grattugiata di Frue che, nel frattempo, è stata lavorata e asciugata. Si può anche gustare freddo. D o rg a l i Su Coccone de Pistiddu un dolce... lungo un anno UN DOLCE RITUALE, che si fa a tappe durante l’anno. L’ingrediente essenziale è il Vini cottu, con il mosto migliore di Cannonau, al quale si aggiunge cenere di legna di leccio, per annullare l’acidità: è un’operazione delicata, perché si procede immediatamente dopo p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o aver spillato il mosto. Si attende un giorno e si fa bollire per quattro ore: si ottiene così il vino cotto che si conserva fino a Sant’Antonio, il 17 gennaio. Poi si prepara il Pistiddu, facendo cuocere per alcune ore quel vino cotto con le bucce d’arancia essiccate e fatte rinvenire condito con mentuccia tritata: i bordi del disco si rialzano con la punta delle dita, poi si inforna e dopo cinque minuti è pronta. L’impasto di semola, di farina, quindi il pane. Che è anche Carasau bianco, su Limpidu, o di crusca (su Chiarzu) che si mangiava bagnato; di orzo, ovvero s’orzatu; e Modditzosu, morbido con le patate. E ancora, sa Coccone grussa con l’aggiunta di strutto: è morbido, ma dura solo qualche giorno. Ed è sempre pane, acqua, formaggio, la triade della semplicità rurale: s’abba chin casu è l’acqua con il formaggio, bevuta molto calda come toccasana. Di fatto la produzione casearia è completa: il Pecorino sardo Dop, stagionato almeno cinque mesi; la ricotta gentile o moderatamente salata; le caciotte ovine e caprine; il tradizionale pecorino sardo dal sapore aromatico nei primi mesi, che si evolve con decisione con la stagionatura; lo Joddu (yogurt) di latte di capra, e di pecora. E c’è su Casu Muchidu, il “famigerato” formaggio di pecora andato a male, che ospita una colonia di vermetti. Fa il paio con su Catzu, lo stomaco del capretto che ha mangiato solo latte: viene svuotato, il contenuto si fa colare, si pulisce da eventuali pietruzze e viene rimesso nel suo involucro. La “crema” si fa stagionare e, scaldata sulla brace, si usa per condire la pasta. Piccantissima. Ed è “formaggio ludico”, poi, quelle dei Zoccos (giochi) de casu, il caciocavallo vaccino lavorato con forme di animali, da regalare ai bambini. I piccoli giocano; le donne preparano i macarrones chin lardu, orecchiette con cipolle verdi ammorbidite nel lardo; mentre il nonno stuzzica l’appetito, vicino al fuoco, facendo sgocciolare la salsiccia calda sul pane Carasau bagnato... Su Coccone, dolce rituale col vino cotto. In alto, Cala Cartoe. nell’acqua: si ottiene così una confettura che è il ripieno del Coccone, fatto con farina di semola di grano duro, zucchero, uova e lievito. Il “coperchio” del Coccone viene traforato e intagliato con maestria: è la straordinaria arte del “pintare”. D o rg a l i O ro s e i I frutti del mare e la forza dell’orto Cave profonde di marmo rosa, con le sue venature inconfondibili: ecco il marchio coloristico di Orosei, con il suo golfo ampio e la sua storia agricola, delineata dagli orti a volte inondati dal Cedrino, il fiume che attraversa una vallata densa di sedimenti preziosi per le colture. La foce, zona umida dove nidifica il Pollo Sultano (dal piumaggio che sembra un inno al caleidoscopio), è il suggestivo teatro di una processione di barche infiorate in onore di Santa Maria del mare: approdano alla chiesetta costiera, moltiplicando una devozione vissuta con trasporto emotivo. La fortuna turistica di questo paese che vanta diciotto chiese aperte al culto, e monumenti come la vecchia prigione, Sa Prejone Vezza (ospiterà il museo paleontologico), incastonati in uno dei centri storici meglio conservati della Sardegna, non ha cancellato i ricordi del tempo lontano: delle vasche di salatura del Pecorino romano, i “Barchile”, esposti a nord della casa; e le scene dello scambio di galline e arance, p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o Non va trascurata la vicinanza della costa: oltre alle sublimi, enormi vongole veraci della zona, quando si pesca una spigola, si pensa alle cicoriette e alla bietola selvatica, per avvolgere i tranci di pesce... trasportate sul carro trainato dai buoi fino ad Orgosolo, Fonni, per integrare la dispensa con un po’ di formaggi ed insaccati. Salumi che caratterizzano il vicino centro di Irgoli, tra prosciutto, salsiccia, salame, coppa: qui le famiglie continuano a fare il pane Carasau. Aggirando il monte Tuttavista, si arriva fino a Galtellì, antica sede dell’arcivescovado, con la cattedrale romanica del XII secolo nota anche per i suoi dolci: non solo amaretti e pabassine, ma anche gueffus e gattou. Una tappa d’obbligo: il museo etnografico di Casa Marras, che vanta una collezione di 850 pezzi ed oggetti che risalgono fino al Settecento. E c’è il parco deleddiano: qui Grazia Deledda ambientò il suo capolavoro,“Canne al vento”. Scenario letterario che fa comprendere come in questo territorio ristretto non ci siano architetture rurali nel senso delle case campidanesi o degli stazzi galluresi: si andava e veniva dalla campagna e, di sera, si rientrava nel borgo. I campi abbondano di O ro s e i Minestra di verza e ricotta, l’incontro di due dolcezze QUESTO CHE CI RACCONTA Maria Loi del ristorante Su Barchile di Orosei, è un piatto tipico della Baronia costiera, molto semplice e di facile preparazione. Se ci si sposta a Nuoro, già non rientra più nelle consuetudini familiari. Si prepara tradizionalmente quando la stagione primaverile, da febbraio in poi, permette di acquistare la ricotta migliore. Va detto che la verza coltivata negli orti di Orosei è davvero particolare, molto grossa: per questa ricetta bisogna prendere solo le foglie interne più morbide e bianche, che sono dolcissime, ed ottime anche per una veloce insalata, mischiate con la rucola e i finocchi. Dolci, comunque, come la ricotta, pertanto creano un connubio molto riuscito. Le foglie si lavano e si lasciano asciugare. A parte, in un mortaio, si fa un pesto con il lardo, il cipollotto fresco e il prezzemolo. In una padella, con un filo d’olio extravergine si fa rosolare il pesto, si aggiunge quindi la verza a foglie intere, si mescola, e si aggiunge un po’ d’acqua fino a coprire la verdura. Deve cuocere al massimo per una ventina di minuti, facendo attenzione a non spappolare le foglie, che devono restare a pezzi grossi. Quindi si aggiunge la fregola, che qui si chiama su Ministru, ma va bene anche un etto circa di pasta mista, o di spaghetti spezzati. Dopo la precottura, si aggiunge mezzo chilo di ricotta di pecora, che va schiacciata con un mestolo di brodo. Si fa riposare per cinque-dieci minuti ed è pronta. Angurie, meloni e arance, nel DNA di queste terre C’È UN VECCHIO DETTO, diffuso non solo nelle zone limitrofe, che recita così: “Orosei matza ‘e mellone”. Quattro parole che la dicono lunga sul prodotto simbolo della campagna. La “matza” è la pancia, in questo caso piena di “mellone”, che va p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o inteso non solo come melone bianco, ma anche come anguria, che qui è enorme, possente, dolce, succosa, saporita. Serviva a combattere i morsi dell’appetito, quando s’avvertivano gli effetti di quella “fame” intesa come effetto pratico di una povertà visibile, non solo individuale. Un caposaldo, carciofi spinosi; fave, piselli, cavoli, verza, lattuga e pomodori; mandorli, fichi bianchi e neri e agrumi e, soprattutto, angurie, meloni nelle aree sabbiose. Le donne portavano nei campi i macarrones de busa ovvero fatti con il ferro (quello che si usa per la calza), conditi con il sugo di pomodoro e il pecorino. Ancora diffuso, tra chi non dimentica sapori frugali, era il piatto della mietitura del grano, a luglio, o della raccolta delle angurie, appunto, pesantissime, che si eseguiva a mano: giornate scandite dalla fatica. Si stemperava con gli arrosti di carni, maialetto, capretto, agnello. Nei casi fortunati, anche con un contorno, su Corrotzolu, di favette prelibate, se l’abbondanza del raccolto lo consentiva. Si prendono i baccelli delle fave giovani (uno spreco, in tempi di magra...) e si mettono a bollire, staccando i filamenti esterni, ma facendo attenzione a non rompere le punte, per evitare l’assorbimento di acqua in eccesso. Si fanno scottare per una decina di minuti, poi si prepara un pesto di aglio fresco, lardo e prezzemolo, nel quale si spadellano le favette aggiungendo un po’ d’acqua ed un po’ di farina, per amalgamare. Ottimo anche negli involtini di pane Carasau bagnato. A proposito di involtini, non va trascurata la vicinanza della costa: oltre alle sublimi, enormi vongole veraci della zona, quando si pesca una spigola, si pensa alle cicoriette ed alla bietola selvatica, per avvolgere i tranci di pesce... Un’idea presa al volo, volgendo lo sguardo ai quattro chilometri di arenile, all’antico approdo romano di Osala; allo stagno Su Petrosu. Dal colle, il “Gollai”, e dal belvedere della chiesetta di San Gavino, oltre la pianura, si scrutano gli uliveti di Bosana, la cultivar prevalente, ed i vigneti sui terreni argillosi in altura. Come dire, in definitiva, che ad Orosei non mancano l’olio ed il vino rosso di Baronia, che i ristoranti propongono con giusto orgoglio. Murale con una donna nel tipico costume sardo e una cesta d’arance. In alto la minestra di verza. insomma, dell’alimentazione. Ancora oggi i “melloni” gustosissimi dell’area di Orosei, insieme agli agrumi (soprattutto arance di tipo Tarocco e Washington; e mandaranci), sono una delle principali fonti di reddito per non poche famiglie di contadini. O ro s e i San Teodoro Le porte di Gallura,regno di pesci e di formaggi Si lasciano gli antichi granai romani, le valli di Siniscola,Torpè e Posada, e si entra nella Gallura che una volta si chiamava d’Oviddè, che comincia da Budoni e risale la costa settentrionale. Una distesa di storia e microstorie, dai confini molto precisi. Le rotte marinare anche qui sono state tracciate dai pescatori ponzesi che, alla fine dell’800, si stabilirono sull’isola di Tavolara, che oggi fa parte della vasta area marina protetta di Capo Coda Cavallo che si prolunga fino alla spiaggia dell’Isuledda: sbarcavano a piedi scalzi con le ceste colme di pesce sulla testa, passavano tra i cardi con indifferenza e portavano aragoste e granceole negli stazzi delle famiglie benestanti. Ottenevano farina, agrumi, formaggio e ripartivano. Hanno lasciato fondamenti di cultura gastronomica. In casa si è cominciato così a preparare anche lo Ziminu (zuppa) di pesce, di capponi e scorfani, donzelle e gronchi, grossi murici e cozze, serraine, verdoni, boghe, con pomodori e pepep e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o Il piatto più tipico è la Suppa Gaddhuresa, lo sformato di pane rappreso, con strati di formaggio, erbe e brodo di pecora. E gli anemoni di mare passati nella semola si friggono nell’olio di lentisco... roncino. La frittura? Ovviamente con l’olio di lentisco, che qualcuno usa ancora per friggere la Bultigghjata, ovvero gli anemoni di mare passati nella semola. L’anguilla si andava a pescare durante i temporali, con i lombrichi, mentre nelle secche marine si catturano tuttora seppie, ricci e patelle. Nei menu di oggi si ritrovano: il polpo c’è chi lo cuoce nella “sua” acqua, e lo unisce poi a patate fritte nell’olio extra vergine d’oliva. Ma torniamo agli stazzi, caratteristiche aziende a conduzione familiare che hanno segnato (prima dell’affermarsi dell’industria delle vacanze) l’economia in modo esclusivo, tra orti, pascoli, vigne, campi seminati a grano, lontano dai centri più grandi. Si coltivava di tutto, ed è una dimensione che resiste: in primavera, ad esempio, oltre ai cavoli ed alla lattuga, si raccolgono piselli e fave che si fanno essiccare per l’inverno. Le favette crude sono preda dei bambini. Senza sbucciarle, anche qui come ad Orosei, finiscono in padella: si lessano in abbondante acqua saS a n Te o d o ro Rujoli rare e divertenti palline di ricotta NEL VARIEGATO MONDO dei dolci, è difficile che in pasticceria si possano acquistare i Rujoli (da ruj, “rosso”), tradizionali palline fritte di ricotta. Alla ricotta fresca, vaccina o di pecora, con una frusta, ma senza lavorarla molto, si aggiungono tre uova (per due chili di ricotta) e la scorza tritata p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o di due arance grosse e di un limone. Con le mani si formano delle sfere dal diametro di circa quattro centimetri, si passano appena nella farina e si immergono nell’olio (quello leggero per le fritture) bollente: in dieci minuti, gonfiandosi (ma bisogna fare attenzione a non fare lata i baccelli interi più teneri e, in padella, si saltano con burro, pancetta tagliata sottile, foglie d’aglio fresco, menta ed un po’ di panna. Le fave si preparano anche con s’Ozzu Casu, l’olio di formaggio, e sono davvero squisite. Il capretto (più capre che pecore, nei dintorni) si fa con i carciofi o arrosto. E poi c’è il Figaretto, un delicatissimo antipasto, con la coratella di capretto, agnello e maialetto tagliata a listarelle sottili, soffritte (il fegato si aggiunge per ultimo) con un pesto di porri, aglio fresco, prezzemolo, peperoncino, foglioline di salvia e rosmarino selvatico. Il profumo delle erbe è un invito a percorrere i sentieri in zone aspre e selvagge alle spalle della costa. Si va in mountain bike, in fuoristrada, passando per Buttidogliu, verso il Monte Nieddu, zona di “scoddi”, spuntoni di roccia, e torrentelli che scorrono sulle “lascine”, le pietre lisce che riflettono il sole. Dalla vedetta della Guardia Forestale, lo sguardo si perde sul golfo di Orosei e Budoni,Agrustos; e l’Isuledda, poi l’ampio abitato di San Teodoro; e si distinguono La Cinta, Punta Aldia, la spiaggia de Lu Impostu, Cala Brandinchi, le isole di Molara e Molarotto, fino a Tavolara.Territorio di funghi di cisto (“Lu Mucchiu”) e di corbezzolo; macchie di tassi e ginepri, abitati da cinghiali, pernici, volpi, donnole, lepre sarda e germani reali. Per i chi ama la selvaggina, un paradiso. Ma la sfida ulteriore è il trekking con le sue variabili turistiche. Seguire il camminamento, la “Semita”, fino alle cascate di Pittriolu con un laghetto invitante, vicino a una vecchia carrettiera per Padru, significa immergersi in una dimensione che attira sempre più esploratori e viaggiatori non convenzionali. Paesaggi di montagna, dai quali si rientra con il desiderio di cose buone. I rujoli di ricotta fritta. In alto un gruppo di fenicotteri rosa. bruciare il velo esterno), girano su stesse formando una patina bruna-rossastra. Si poggiano in una teglia e vi si versa sopra il miele caldo millefiori. Da provare “bucherellati”, lasciandovi cadere alcune gocce di acquavite. S a n Te o d o ro Miele e Abba Mele elisir dei santi SEICENTO QUINTALI, nelle annate buone, di miele: è la produzione delle campagne di Berchiddeddu, un centro di 900 abitanti, nell’entroterra. Qui si avverte un impegno diffuso per coniugare le qualità dell’agricoltura con il turismo, in un contesto di usanze e tradizioni immutate nei rapporti sociali. Tutt’intorno, vallate, colline e montagne incontaminate, ed una storia di piccoli e medi produttori di miele davvero bravi. Producono quello di lavanda selvatica, di cardo, eucaliptus, millefiori e, soprattutto, di corbezzolo: è il miele amaro che si fa in altura, dove si spostano le arnie per la maggiore concentrazione di fiori, e al quale viene dedicata da tempi lontani una festa, l’8 settembre, in coincidenza con i riti per Santa Maria Immacolata. Gli apicoltori si riuniscono sulla piazza per vendere la cera ed il miele amaro, seguendo il cerimoniale. Delle api non si butta niente: quando si fa la cera, nell’acqua di bollitura dei favi si raccolgono residui di miele, propoli, pappa reale. Da questa acqua, aggiungendo buccia d’arancia ed una spruzzatina di caffè, si ottiene un concentrato che ha la stessa densità del miele: si chiama Abba Mele, che impropriamente si può definire “miele d’acqua”. Unico al mondo, si fa solo in Gallura. Si spalma anche sul pane, e c’è qualcuno che lo definisce la Nutella dei poveri. Ma l’Abba Mele si acquista e si utilizza anche per preparare il ripieno delle Tiliccas votive, che si regalano agli amici, e vengono offerte ai santi per Grazia ricevuta. Capretto a Brudittu, un piatto per le feste ANCHE IN GALLURA c’è una predilezione per la capra, per la sua capacità estrema di adattarsi, per il suo latte leggero e digeribile e per la bontà della carne. Nelle festività di Natale e Pasqua, in tavola c’è sempre il capretto, cucinato arrosto al profumo di mirto, oppure a Brudittu. Per p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o prepararlo, come ci dice Luciana Delitara del ristorante l’Esagono, c’è bisogno di una casseruola larga, dove si soffrigge in olio extravergine il capretto tagliato a pezzi, insieme ad un pesto di cipolla, prezzemolo, peperoncino, rosmarino tritato finemente, un rametto di alloro, un pomodoro Come la tipica, speciale MazzaVrissa, che si fa con la farina di grano duro e Lu Piciu, la panna fresca: è il piatto di allevatori e agricoltori, semplicissimo. Per ottenere Lu Piciu, la sera si mette il latte in un largo contenitore. Il mattino seguente si raccoglie lo strato denso (grasso) che si forma sulla superficie, e si versa in padella con un pizzico di sale. Si fa cuocere spruzzando ogni tanto un po’ di farina, e mescolando con il cucchiaio di legno, aggiungendo un po’ d’acqua. Quando raggiunge la consistenza di una frittata, è pronta: si aggiunge il miele. Calda, buonissima, si prepara anche con il formaggio fresco, Casu Furriatu. Un bel po’ di calorie le fornisce anche il Coccu de Jelda, il pane schiacciato che si prepara con i pezzi piccoli di lardo (Jelda), i ciccioli, ottenuti quando si squaglia il lardo per ottenere lo strutto. Il piatto più tipico è la Suppa Gaddhuresa, lo sformato di pane rappreso, con strati di formaggio, erbe e brodo di pecora. Si va sul mare, ad ammirare migliaia di fenicotteri nello stagno di San Teodoro, quaranta diversi tipi di uccelli tra i quali il Falco pescatore; o per annusare il profumo di un’erba protetta, la “Buredda”, che cresce intorno alla peschiera: le ostriche fanno compagnia ai muggini (si produce la bottarga); alle orate ed alle arselle, ai gamberetti ed alle sogliole; alle mormore ed alle spigole. Qui l’ittiturismo si replica come un’occasione, riuscita, di diversificazione dell’offerta di ospitalità per chi è in vacanza, senza dimenticare vecchie ricette dai sapori particolari, come quella del muggine fatto bollire con aglio, prezzemolo, cipolla e pomodoro. Nel brodo si immerge il pane raffermo e, per il gourmet, anche questa è felicità. Capre al pascolo: il capretto, qui, è un piatto prelibato per le occasioni importanti. secco anch’esso tritato, oppure due pomodori freschi. Coprire la carne con acqua e cuocere a forno moderato, aggiungendo acqua nel caso si consumi perché, a cottura ultimata, si deve ottenere liquido abbondante. Si serve caldo con i crostini o pane Coccu (schiacciata). S a n Te o d o ro Siniscola Mare da sogno nella patria del “pesce di terra” Dall’oasi marina di Biderosa, sotto la protezione dell’imponente cappellone calcareo del Monte Albo, si entra in un vasto e multiforme territorio che mostra una sostanziosa tradizione culinaria di provenienza agropastorale. Di nuovo, un po’ a dispetto del fantastico mare, solo da pochi anni ha introdotto il pesce nel menu. Ci si limitava alla cucina delle trote (di taglia ridotta), delle anguille e del muggine. Il mare, quindi, era ed è, soprattutto, un corroborante dell’anima, come la spiaggia di Berchida, considerata dai promotori turistici (e non solo) una delle più belle del mondo. Da qui si va al faro abbandonato di Capo Comino con le sue dune candide, patrimonio dell’Unesco, dove ci si abbandona alla “turrata”, l’abbronzatura veloce: c’è un’insenatura minuscola che, grazie ad un ponte di Posidonia, si collega d’inverno ad uno scoglietto, l’Isola rossa. Si procede verso il villaggio di pescatori ponzesi di Santa Lucia, con la sua immancabile torre aragonese. Poi, si supera un p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o Ventotto chilometri di costa appartengono a Siniscola: alternanza di scorci da incorniciare, sabbie finissime e pinete, ginestre, ciottoli come confetti. Pianura e montagna, e sapori di terra... La tradizione qui si legge nel pane... rio che scorre dalla montagna, e si arriva al porto moderno di La Caletta. Ventotto chilometri di costa appartengono a Siniscola: alternanza di scorci da incorniciare, sabbie finissime e pinete, ginestre, ciottoli come confetti. Pianura e montagna, e sapori di terra... La tradizione si legge nel pane, perché l’abbondanza di grano era la fortuna dei luoghi, ai tempi di Roma antica: Carasatu; o de simula per Loricas (pane cilindrato); Pintatu (decorato a mano per le grandi occasioni); Chiarju (di crusca). Cuocere, ovvero cochere su pane Carasatu, è una festa per tutti, soprattutto per i più piccoli: con sas Frichinitas (le briciole) biscottate nel miele, con l’aggiunta di mandorle sminuzzate finemente si fanno gli Ziddinos tagliati a rombi. Su pane indoratu è il perfetto spuntino: è pane Carasatu passato nell’uovo, poi fritto con olio extravergine d’oliva e spolverato di zucchero. La tavola quotidiana è riscaldata da minestre di lenticchie, fagioli, fave, piselli, mentre le occasioni di festa e le cerimonie Siniscola La ricetta Sa Suppa siniscolesa LA CARNE DI VITELLO, di castrato e di maiale, per il brodo; ed il pane cilindrato, Loricas, di semola di grano duro, sono le basi di una ricetta che è molto diffusa da queste parti: ce la raccontano Ernesto Cotza e Maria Grazia Cordazzu del ristorante “Sa Veletta”. Occorrono anche un po’ di concentrato di pomodori; dei pomodori pelati; e formaggi quali il Pecorino sardo fresco, il Fiore sardo ed il Dolce del Montalbo. Poi, spezie e profumi della Baronia: alloro, timo, erba cipollina, aglio selvatico; ed anche basilico, prezzemolo, pomodori secchi; infine, naturalmente, del sale e del pepe. La carne va sminuzzata a dadini e soffritta in olio extravergine con cipolla, aglio, carote e sedano; si fa rosolare bagnando poi con vino Cannonau. Aggiungere il concentrato e i pelati sminuzzati a coltello, salando, pepando e insaporendo con le erbette preziose: deve cuocere per due ore a fuoco lento. Poi, si passa al pane. Si unge a parte un tegame, dai manici in ferro, con strutto di maiale nostrano: sul fondo si mette il sugo e si sistemano le fette di Loricas dello spessore di un centimetro; versare ancora sugo, quindi i diversi formaggi tagliati a dadini ed a rondelle, fino alla formazione di tre strati. Dopo aver adagiato il tegame su un fornello a tre piedi sulle braci ardenti, che vanno sistemate anche sul coperchio, si aggiunge il brodo e si fa ancora cuocere lentamente per due ore. Prima di servirla, è opportuno che Sa Suppa riposi una decina di minuti. Sa Pompia, un frutto e un dolce che si identifica con Siniscola È UN AGRUME dall’origine misteriosa: è il Citrus Monstruosa, sorta di cedro bitorzoluto dalla buccia spessa e deforme che raggiunge i settecento grammi di peso. Forse è un ibrido naturale, selezionatosi all’interno degli agrumeti locali: è un albero molto p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o resistente, dai rami spinosi. Il dolce caratteristico di Siniscola che porta lo stesso nome dell’agrume, molto ricercato (si offriva ai notabili; al testimone di nozze o al padrino di battesimo), è un candito e impone una lunga lavorazione (di almeno sei ore). Si lavora così: si priva della buccia impongono sa Suppa siniscolesa ma anche macarrones de busa, farina di semola di grano duro, acqua, sale, lavorati rigorosamente a mano con sas busas, i ferri da calza, come a Dorgali. Per il minestrone e le frittelle c’è ancora chi utilizza Ozu de Listìnchinu, l’olio di Lentisco, intenso e molto profumato. E i formaggi? Pecorino sardo, caprino, ricotta, e Ischidale, come viene denominato qui il formaggio acido di pecora o di capra: se secco, va grattugiato nella minestra, altrimenti si mangia fresco al naturale. Il Casu urriatu è il pecorino fresco arrostito, mentre il Catzu de Crapittu è il caglio di capretto allevato allo stato brado allattato solo naturalmente. Consuetudini baroniesi che si ripetono. Su porcu è il maiale; la Petha chin Ajolu Pithutu è la carne di maiale con ceci, immancabili in sagre e feste paesane. Si prepara anche la Pecora in cappotto, che è d’impronta gallurese: carne di pecora bollita con aromi di stagione con l’aggiunta delle patate bollite a parte. Il maialino si serve sull’ajone, il vassoio di sughero anche qui e, ovviamente, l’agnello e il capretto sono rigorosamente cucinati allo spiedo o, altrimenti, seguendo la stagione, con cardi selvatici e/o piselli. I dolci siniscolesi, oltre alla Pompia ed alla Aranzata de Pompia, si chiamano amaretti, gueffus e sa Timballa, un flan di latte. Verso il Monte Albo, entrano in cucina pernici, colombacci e tordi. Ci si ferma in paese, per una visita alla parrocchia di San Giovanni Battista o alla chiesa della Madonna dell’Assunta, si sosta nella piazza del mercato. C’è un’atmosfera barbaricina, che si avverte tutta quando si dà il via al “Canto a tenores”, con le quattro voci maschili senza strumenti musicali: Sa oche (il solista) accompagnato da una base armonica (Su Bassu); poi Sa Contra (voce gutturale) e Sa Mesu Oche, voce più alta che accompagna il duo gutturale. Mito da ascoltare. Il Citrus Monstruosa, agrume simbolo di Siniscola. In alto, la “Suppa” interpretata dal ristorante “Sa Veletta”. gialla e della polpa interna, molto amara, praticando un foro sulla sommità, e si fa sobbollire nel miele millefiori. Si serve fredda a intrea, (intera), o come sa pomp a prena, riempita di mandorle tritate. Per preparare s’aranzata, con mandorle e confettini di zucchero, è tagliata a filetti. Siniscola Villaputzu Le colline delle erbe e dei pani profumati La statale 125 è la direttrice orientale: si raggiunge risalendo le spiagge incantate della Costa Rei, oppure si percorre da Cagliari attraversando la gola del Rio Cannas. Gli scorci mutano a ogni angolo, tra i monti del Sarrabus e del Gerrei, gli stagni e le torri costiere, i pascoli; macchia e vigneti di Cannonau; e cartelli per la vendita delle arance. Ci siamo: si entra nella regione che ha una storia agricola che fa leva sugli agrumi, forse già dall’epoca della dominazione spagnola. Merito del clima e del terreno, che fanno dell’area alluvionale della foce del Flumendosa - il fiume che si supera su un caratteristico ponte di ferro per raggiungere Villaputzu e la graziosa Porto Corallo - una zona vocata all’agricoltura e al turismo, in un continuo rincorrersi di bellezze naturalistiche ed emergenze archeologiche e architettoniche, come le rovine del castello di Gibas e quelle di Quirra, proseguendo verso i confini della provincia di Nuoro segnati dalla torre di Murtas. p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o I profumi costieri e della montagna si ritrovano insieme nei ravioli con pomodoro fresco, arselle e funghi. Poi, via libera ai malloreddus con bottarga e salvia; le bietole di campo e i finocchietti selvatici con “is pillus”... La forza della tradizione agroalimentare s’avverte nella panetteria, biscotteria, pasticceria, paste fresche; è un trionfo di pani: Civraxiu (morbido), Kokkoi, Pistoccu (azzimo, a sfoglia grossa), Modditzosu; e di dolci: amaretti, pabassine (con l’uva passa); le pardulas con la ricotta che, orientandosi verso l’Ogliastra diventano formaggelle (anche a forma di spirale); fino ai gueffus con una variante definita perle, palline al liquore di corbezzolo (o di mirto, arancia, fico d’india) preparate con mandorle, pan di spagna grattugiato, cioccolato bianco morbido, pochissimo zucchero e miele millefiori. Un condensato di richiami alla natura, con tocchi di modernità, anche per chi coltiva erbe aromatiche e spezie: origano, rosmarino, timo, citronella, peperoncino e anche zafferano. E non mancano le produzioni di vino, Cannonau, anche Rosato, Nuragus, Vermentino, Monica, con vigne di Cabernet e Sangiovese; mentre tra i superalcolici vanno annotati il Mirto rosso e bianco, il LiVi l l a p u t z u “Fregola e Orziadas” Anemoni di mare, la pasta dei poveri LA FREGOLA È LA PASTA di semola tipica della Sardegna, anticamente era la pasta del “povero” come tutti amano definirla. È di varie grandezze: quella piccola la consigliamo per le minestrine di brodo di pecora; quella media si abbina con i pomodori freschi e la zucca rossa, con una spruzzata di pecorino. La fregola più grande va tradizionalmente bene con le arselle, la bottarga; o, ancora meglio, secondo una tradizione che resiste ai tempi e che ci racconta Giorgio Carta del ristorante Su Talleri, con le Orziadas, gli anemoni di mare o attinie, che vivono attaccate alle rocce sottocosta. Una volta pescate, le Orziadas si lasciano ammorbidire per qualche ora, anche per più di mezza giornata. In padella con prezzemolo, aglio, basilico, peperoncino piccante e un po’ d’olio extarvergine si fanno soffriggere fino ad un punto di cottura che si stabilisce in questo modo: il 50 per cento delle Orziadas deve disfarsi fino a sembrare una sorta di gelatina. La fregola si fa lessare per sette minuti, e si salta fino a quando il sugo preparato in precedenza non si rapprende un po’, dunque per un minuto e mezzo circa. Si serve direttamente dalla padella, con prezzemolo e aglio fresco tritato. C’è anche una variante accattivante, preparata con i maltagliati, i “pezzati” di pasta fresca all’uovo, di colore verde perché sono fatti con un trenta per cento di ortica, ovvero l’Orziau de terra che, in precedenza, va ovviamente lessata e macinata, una volta raffreddata. Il connubio di sapori, di campagna e di mare, è intrigante. Il regno delle arance da oltre 500 anni DAI TEMPI DI GENOVESI e portoghesi, che molto hanno fatto per diffondere la coltivazione dell’arancia dolce nel Mediterraneo, tra il 1400 e il 1500, è trascorso tanto tempo. In zone vocate come quella di Muravera, l’agricoltura ha fatto enormi conquiste, soprattutto p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o negli ultimi anni. La cultivar più nota di arance coltivate è oggi la Washington Navel: il frutto è grosso, ha la forma di sfera, i poli appiattiti, con quello inferiore molto caratteristico, perché sembra un ombelico, il “navel” appunto. Matura ai primi di dicembre, è pressoché priva di moncino, l’Arangiu, il liquore di fico d’india. Per i prodotti caseari, occorre spostarsi verso l’interno, nei paesi del Gerrei: si trovano i classici, dal Pecorino sardo Dop (maturo o dolce), alla cagliata acida che qui si chiama Casu axedu, alla ricotta fresca di pecora e di capra, anche a lunga conservazione; nonché formaggi di latte misto (pecora e capra). E, naturalmente, c’è il mare, con le peschiere gestite dalle cooperative: muggini, spigole, orate, anguille; ostriche e mitili; triglie, sogliole, sparaghi, mormore, orate, saraghi e bottarga. Ma tra terra e mare, anche da queste parti, si è ritualizzato un rapporto di amore-odio. Così bovini, ovini, caprini e suini hanno sorretto da sempre, con l’agricoltura, la semplicità dei ritmi lenti d’una volta, in una cucina che si è arricchita di sapori spontanei: i sottoli con i Cardi o “gureu”; gli asparagi, la cicoria, le bietole, i funghi che, negli antipasti, continuano a impreziosire i prosciutti e salsicce, salami e guanciale, lonze e pancette, lavorati artigianalmente. I primi piatti esaltano le virtù dei ravioli di patate o di ricotta al ragù, con la carne tagliata a pezzi grossolani. I profumi costieri e della montagna sono in connubio nei ravioli con pomodoro fresco, arselle, funghi e aromi; e poi, via libera ai malloreddus alla bottarga e salvia. Le bietole di campo, i finocchietti selvatici, le cipolle e il basilico accompagnano i ceci nel minestrone con i maltagliati, ovvero “is pillus”, i residui della lavorazione della pasta per fare i ravioli. Poi, c’è la fregola con arselle o anguille. Il muggine si fa, frequentemente, in una sorta di salamoia: viene grigliato, poi si immerge per alcuni minuti in un preparato di acqua tiepida, aglio, sale e alloro, prima di essere servito. Tra gli arrosti di carne, non c’è confine per la genuina bontà del capretto al latte, fatto con limone, latte, aglio, rosmarino, vino bianco e olio extravergine: interpreta al meglio una semplicità senza fronzoli. Le arance di Villaputzu e in alto la fregola con gli anemoni di mare semi, è succosa con polpa croccante: ottima sia a tavola che spremuta. Le altre varietà sono la Clementine; la Thompson navel; la Naveline, che è già matura nella prima decade di novembre; ed il Tarocco, che completa la sua maturazione a gennaio. Vi l l a p u t z u V illasimius Sardine, boghe, zerri... il ritorno del pesce povero Verso il Levante. La punta sud-orientale della Sardegna è annunciata dal paesaggio del Sarrabus meridionale, dal massiccio dei Sette Fratelli che, digradando verso la costa, si dirama in vallate e calette punteggiate da scogli e torri. Percorrendo la litoranea da Cagliari, s’incontrano le insenature delle vacanze:Torre delle Stelle, Solanas. Poi,Villasimius, l’antica Carbonara, nome che si rifà alle estese foreste carbonifere del territorio sfruttate dai piemontesi: mostra testimonianze del Neolitico; nuraghi e domus de janas; tracce fenicie, puniche e romane accanto a segni di culture più recenti, e conserva una gastronomia marinara e di derivazione campidanese e rurale. È un importante centro di turismo balneare e sede di studi scientifici, grazie all’istituzione dell’area marina protetta, che richiama le peculiarità dell’ecosistema: le isolette di Serpentara e dei Cavoli, dove attecchisce ad esempio la “brassica insularis” o cavolo selvatico, tra lentisco, cisto, ginepro; lo stagno sa- p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o La cultura della pesca imponeva, in passato, la vendita dei pesci nobili, e il consumo personale di quelli meno. L’evoluzione del gusto li ha riscattati e, nei ristoranti, trovano posto accanto a cernie, aragoste rosse e polpi. lato di Notteri; il promontorio granitico di Capo Carbonara. La lavorazione del granito, famosa per la bravura degli scalpellini, ha caratterizzato l’economia locale integrandosi con la dimensione agricolo pastorale. Orti familiari e serre; allevamenti di capre nella splendida area del monte di Minniminni; greggi di pecore un po’ ovunque; e la pesca, che ha visto prevalere l’uso delle nasse realizzate con il giunco palustre, offrono le materie prime a una cucina che non ha dimenticato le umili radici, attraversate da una storia di lotte tra pirati e difensori costieri, evidenziata anche dalla Fortezza Vecchia, che risale al XIV secolo. La cultura della pesca imponeva, in passato, la vendita dei pesci nobili, e il consumo personale di quelli meno pregiati per il mercato, quali sardine, boghe, muggini, zerri. L’evoluzione del gusto li ha riscattati e, nei ristoranti, trovano posto accanto a cernie, aragoste rosse e polpi; orate, spigole e dentici. La cottura? Domina la brace. Poi, la zuppa. La frittura di pe- Vi l l a s i m i u s Gamberi, lardo e piselli mare e campagna nel piatto ANCHE SULLA COSTA SUD-ORIENTALE della Sardegna, e dunque anche a Villasimius e dintorni, c’è sempre un’acqua cristallina che abbonda di pesci e crostacei di qualità. Ma non va dimenticato che la campagna alle spalle delle case per le vacanze estive e degli alberghi, è caratterizzata da molti orti familiari, ben curati, dove si allevano animali da cortile (e non mancano i maiali): ci sono gli ingredienti giusti, le materie prime facili da reperire, dai gamberi rossi, al lardo, ai piselli freschi, per abbinare profumi e sapori persistenti, anche se in questo caso con un procedimento relativamente elaborato e firmato da uno chef del livello di Roberto Petza di S’Apposentu al Lirico di Cagliari. Occorre scaldare un tegame, dove si fa soffriggere dello scalogno con tre cucchiai di olio extra vergine: vi si aggiungono dei piselli freschi (per 4 persone ne occorrono circa 300 grammi) e una foglia di alloro, che vanno salati, pepati e fatti cuocere per una decina di minuti a fuoco basso. Si spegne la fiamma, si toglie l’alloro, si passa tutto al frullatore e si mantiene al caldo. Si avvolge ogni gambero in una fettina di lardo sottilissima, quindi si mettono i crostacei in una padella già ben calda e si fanno dorare su entrambi i lati. A questo punto si spegne il fornello, si incoperchia il tegame e si lascia riposare una decina di minuti. Per servire, si mette un cucchiaio di salsa “a specchio” nel , e vi si sistemano i gamberi con attenzione. Tocco finale: si guarnisce con pepe di mulinello. Ravioli, palline, amaretti... i dolci antichi delle feste IN CAMPAGNA, nella conca fertile di Villasimius, spuntano qua e là gli alberi di mandorli che un tempo erano sfruttati intensivamente: le scorte nelle case e nei piccoli laboratori, nonostante la riduzione della produzione, restano comunque consistenti e vengono destinate p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o ovviamente alla creazione di dolci che hanno radici nelle vecchie tradizioni familiari, dagli amaretti ai gueffus (le “palline” incartate nella carta velina); dai gattou (croccantini alle mandorle) ai ravioli ben conosciuti come culurgiones, che hanno contribuito ad alimentare la fama sce viene celebrata durante la festa della Madonna del Naufrago, in estate. Gli arrosti sono comunque un po’ il baricentro della tavola: maialetto, agnello, capretto di latte. Quest’ultimo, in virtù delle erbe aromatiche e salmastre esclusive che le capre brucano in zona, è di fatto un “pre-salato” apprezzatissimo. Pecore e capre garantiscono un latte fresco eccellente, trasformato in formaggi come Pecorino sardo Dop dolce e maturo; ricotta fresca e salata; caprino semi stagionato, e altre tipologie a pasta morbida o dura. Gli animali da cortile hanno conservato la loro funzione un po’ rituale, e non manca il brodo di gallina, nei giorni di festa. La tradizione e la frugalità hanno elaborato un curioso cambiamento nei primi piatti a base di ravioli ripieni di ricotta. La farina era un bene prezioso e non sufficiente per l’impasto: dunque a essa si rinunciava e i ravioli diventavano i“malfatti”, privi di involucro esterno e preparati solo con ricotta e menta dopo una leggerissima infarinatura. In molti menu, i malfatti, conditi con sugo di pomodoro fresco, sono sempre presenti. Il pane, su Modditzosu, a pasta compatta, e Kokkoi, a pasta liscia, si fa anche in casa. Gli orti forniscono, piselli, fave, pomodoro Camone e altri ortaggi. Per gli oliveti si va all’interno, verso Castiadas e Camisa, borghi di case sparse, dove ci sono i terreni migliori anche per le vigne di Monica e Cannonau. Ma non mancano i piccoli produttori di vino dolce, da Moscato e Malvasia. Ed è terra di frutta: arance, pesche, albicocche, fichi. In questa zona, ricca di strutture agrituristiche nascoste tra corbezzoli, olivastri e lecci, a pochi minuti dalla bellissima fascia costiera, è possibile acquistare dell’ottimo miele. La selvaggina, dal cinghiale alla lepre, dalla pernice al coniglio selvatico, regna incontrastata in tante preparazioni domestiche. Le mandorle, protagoniste dei dolci, dagli amaretti ai gueffus dei maestri pasticcieri locali. Fritti e ricoperti di miele puro che le api lavorano incessantemente selezionando i fiori della macchia, i culurgiones di Villasimius hanno profumi pronunciati. E non mancano mai sulle bancarelle, durante la sagra di Santa Maria, all’inizio di settembre. Vi l l a s i m i u s APPUNTI DI VIAGGIO BAUNEI Comune via S. Niccolò tel. 0782 610 923 CAGLIARI Comune, via Roma 145, tel. 070 6771 Numero Verde 800 016 058 www.comune.cagliari.it DA GUSTARE agnello, maialino e soprattutto capretto arrosto; sa Trattalia (interiora di capra arrosto), Culurgiones senza menta; formaggio di pecora; pane, DA GUSTARE si trovano tutti i prodotti vino; pesci e prodotti di peschiera ad caratteristici della Sardegna. In Arbatax e, in particolare, la bottarga; su particolare: pomodori, carciofi spinosi, Cunfettu (dolce del matrimonio) zafferano, formaggi ovini e caprini, pane, vini, oli e piatti tradizionali come la DA VISITARE percorsi straordinari del panada di anguille e la burrida. Gli arrosti: Supramonte; voragine del Golgo; Domus de dal maialino al capretto, pesci e Janas di Tanca de Sa Nirta e Voa de Serra crostacei; anemoni di mare fritti. DA VEDERE chiesa di San Nicola di Bari, DA VISITARE Rocca del Castello e chiesetta di San Pietro sull’altopiano d el bastione di S. Remy, Museo archeologico, Golgo; chiesa parrocchiale di Santa Maria Pinacoteca nazionale, Galleria d’arte Navarrese del secolo XI moderna, Museo ferroviario, Mercato di San Benedetto e Centro della Civiltà Contadina APPUNTAMENTI giugno Sagra di San di Villa Muscas (entrambi accanto al Lirico) Pietro di Golgo luglio Sagra del pesce fritto ad Arbatax DA VEDERE Anfiteatro romano del II agosto Sagra dell’Assunta a S. M. secolo d. C.; torri dell’Elefante e di San Navarrese; Sagra della capra; sagra del vino Pancrazio; Basilica di Nostra Signora di e della capra a Jerzu Bonaria (conserva la statua della Madonna settembre Festa di S. Lussorio del 1300); necropoli punica di Tuvixeddu, dicembre Festa di S. Nicola Grotta della Vipera (la tomba di Atilia Pomptilla fatta costruire da Cassio Filippo), Basilica di San Saturno, Cattedrale di Santa Maria APPUNTAMENTI Carnevale Sfilate di carri e maschere Pasqua Riti della Settimana Santa 1° maggio Festa di Sant’Efisio, patrono dell’isola: da ogni parte della Sardegna arrivano gruppi per sfilare in costume. La DORGALI CITTÀ DEL VINO, CITTÀ DELL’OLIO Comune, c.so Umberto 37 tel. 0784 927 200 Ufficio del Turismo, c.so Umberto 37 tel. 0784 927 236 Ufficio informazioni turistiche via Lamarmora tel. 0784 96243 (per Cala Gonone, viale Bue Marino tel. 0784 93696) processione arriva fino alla chiesetta di S. Efisio a Nora. DA GUSTARE vino, olio extravergine di oliva, Frue (cagliata acida) e formaggi caprini e ovini, yogurt di capra, pane, sa Coccone de Pistiddu (raviolone dolce al vino cotto) p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o DA VEDERE Complesso architettonico di DA VISITARE Museo archeologico e S. Antonio; Torre Sa Prejone Vetza; Museo del ceramista Salvatore Fancello a Santuario del Rimedio; Oratori di S. Croce, Cala Gonone; siti archeologici Serra Orrios, del Rosario, delle Anime; Parrocchiale di Tiscali, Tombe dei Giganti, Domus de Janas; San Giacomo Maggiore; Chiesa campestre Grotte di Ispinigoli e del Bue Marino; di Santa Maria ‘e mare Nuraghe Mannu a Cala Gonone, Gola del Gorroppu APPUNTAMENTI gennaio Festa di Sant’Antonio Abate con grande falò rituale, DA VEDERE Chiesa di Santa Caterina con distribuzione di vino, dolci tipici e pane altare ligneo del 1600, chiesette campestri “nieddhu” di Su Babbu Mannu e Sa Itria con statue settimana santa cerimonie e manifestazioni bizantine rituali maggio Festa di Santa Maria del mare con APPUNTAMENTI gennaio Festa di San processione di barche Sebastiano, con apertura della cantine luglio Festa patronale di San Giacomo private e offerta rituale del vino; Festa di settembre Sagra della Madonna del Sant’Antonio Abate, distribuzione di pani Rimedio benedetti dicembre Feste campestri di S. Lucia e S. settimana santa Cerimonie e Giovanni Evangelista manifestazioni rituali agosto Festa di Ferragosto processione in costume, spettacoli equestri, mostre e degustazioni gastronomiche SAN TEODORO Comune, piazza E. Lussu 1 tel. 0784 865 723 Ufficio Turistico, tel. 0784 865 767 OROSEI Comune, via s.ta Veronica 5 tel. 0784 996 900 Pro loco, piazza del Mercato 15 tel. 0784 998 367 DA GUSTARE Mazza Vrissa con farina e panna fresca; Coccu de Jelda (pane schiacciato con lardo); mieli di Berchiddeddu; pesce di mare e di peschiera, Rujoli dolci (palline di ricotta); DA GUSTARE vino, frutta, angurie e ortaggi, erbe aromatiche meloni, ortaggi, formaggi; salsiccia, salame e prosciutto di Irgoli; pani e dolci DA VISITARE Area marina protetta di votivi Capo Coda Cavallo; stagni di Budoni e di San Teodoro; Museo della civiltà del mare DA VISITARE Museo comunale don Nanni Guiso; Domus de Janas Sa Conca Ruja; DA VEDERE Chiesa di San Teodoro Zona umida foce del fiume Cedrino; Stagno Petrosu, oasi di Biderrosa APPUNTAMENTI giugno Festa di San Teodoro; Festa di Sant’Antonio; Festa di Sant’Andrea agosto mostra mercato dell’artigianato e dei prodotti tipici a Budoni appunti di viaggio SINISCOLA Comune, via Roma 125 tel. 0784 875 568 - 0784 870 800 Pro loco, tel. 0784 877 013 DA VISITARE ruderi dei Castelli di Gibas e di Quirra, stagni di Feraxi, Colostrai e Salinas, torri costiere, Porto Corallo DA VEDERE chiesa di San Nicola del XIII DA GUSTARE vino, olio extravergine di secolo (architettura romanica in cotto); oliva, formaggi, dolci come Sa Pompia chiesa di san Nicola in stile tardo gotico a (dal nome del grosso agrume bitorzoluto Muravera che cresce solo da queste parti) e Aranzada; piatti quali la Suppa Siniscolesa APPUNTAMENTI gennaio Sagra di Sant’Antonio Abate DA VISITARE Foresta demaniale di Monte domenica in albis Sagra degli agrumi Albo; grotte “Sa Preione e s’Orcu”; nuraghi agosto Sagra del Ballo sardo Sa Domo Bianca e Gorropis; insediamento in estate Mostra dell’Artigianato Sarrabese nuragico Tafone e Conca Umosa; ruderi del ottobre Sagra di Santa Vittoria; Sagra di villaggio altomedievale di Rempellos San Narciso con processione dicembre Festa di San Nicola a Muravera DA VEDERE Chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista; Chiesa campestre Madonna della Salute APPUNTAMENTI gennaio Festa di Sant’Antonio Abate VILLASIMIUS Comune, p.zza Gramsci 10, tel. 070 79301 Ufficio Turistico, piazza Giovanni XXIII tel. 070 7928017 febbraio Carnevale settimana santa cerimonie e manifestazioni DA GUSTARE formaggi di pecora, rituali culurgiones (ravioli dolci alle mandorle), aprile “Vinicola” (rassegna vitivinicola); pesci e crostacei, olio e vino di Castiadas Festa del riccio di mare nel villaggio di Santa Lucia DA VISITARE Museo archeologico; maggio Festa di San Giacomo; Festa di N. insediamento archeologico di Cuccureddus; S. di Fatima a La Caletta Stagno di Notteri; Nuraghe Giardone; Torri giugno Festa di San Giovanni costiere; Area marina protetta di Capo ottobre Festa de Le Grazie Carbonara; Fortezza Vecchia, Isola dei Cavoli, Isola di Serpentara VILLAPUTZU Comune piazza Marconi tel. 070 997 178 DA VEDERE Chiesa di S. Raffaele; Chiesetta di S. Maria con ruderi di edificio romano DA GUSTARE agrumi (arance e mandarini), frutta, pesci di mare e di APPUNTAMENTI luglio Festa della peschiera, ostriche, erbe aromatiche, Madonna del Naufrago ortaggi, miele settembre Sagra di Santa Maria ottobre Festa di San Raffaele p e r l e d e l l ’ A l t o T i r re n o