GIORNATA CANONISTICA - testo colloquio

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GIORNATA CANONISTICA - testo colloquio
DISCERNIMENTO E PLURALISMO
Sommario: 1. Il peso della disuguaglianza. 2. L’uguaglianza nel
lessico del diritto. 3. Il riconoscimento delle differenze. 4. La persona
al centro dell’esperienza giuridica. 5. L’ermeneutica plurale della
giustizia: glocalità del diritto. 6. Il logos del dialogo. 7. Una sintesi in
cinque punti.
1. Il peso della disuguaglianza
Cercherò di parlare di pluralismo partendo da un altro termine, caro alla riflessione
giuridica, filosofica e sociopolitica: “uguaglianza”. Il concetto di uguaglianza, inoltre,
permette di superare, nei termini della riflessione di filosofia e teoria generale del diritto, la
frattura fra civil law e common law, trovandosi in una collocazione ultra-normativa e pregiurisprudenziale.
La domanda sull’uguaglianza accompagna da millenni la riflessione di filosofi e non
filosofi. Uguaglianza tra chi? Uguaglianza perché? Siamo tutti uguali? E se si, in che modo lo
siamo? Per poi estendere l’interrogativo alla società degli uomini, su quale società garantisca
l’uguaglianza e alla fine del discorso, quale società possa dirsi giusta. La filosofia greca di
Platone1 e Aristotele2, il pensiero di Seneca3, il messaggio evangelico e la tradizione dei Padri
della Chiesa4, l’impegno di Voltaire5, di Rousseau6 e di Marx7 per risolvere le cause della
1
Cfr. PLATONE, Leggi, 757 b-d.
Cfr. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, in ARISTOTELE, Le tre etiche, (A. FERMANI cur.), trad. it. Milano, 2008,
V, 1131 a 1132 a 10.
3
«Usami la cortesia di considerare che costui, che chiami tuo schiavo, è nato dalla stessa umana semenza,
gode dello stesso cielo, respira esattamente come te, vive né più né meno come te, muore al tuo stesso modo.
Puoi vederlo uomo libero come egli ti può vedere servo. […] Ora disprezza pure un uomo per la condizione
assegnatagli dalla sorte, una condizione alla quale tu stesso puoi passare, mentre lo disprezzi». LUCIO ANNEO
SENECA, Lettere morali a Lucilio, 47, F. SOLINAS (cur.), trad. it., Milano, 2011, 225.
4
Cfr. GREGORIO I, Commento morale a Giobbe, XXVI, 26; ID., La regola pastorale, III, 5; AGOSTINO DI
TAGASTE, Questioni sulla Lettera ai Romani, 64 [72]; ISIDORO DI SIVIGLIA, Etimologie o Origini, XI, II, 18.
5
«Sul nostro sfortunato globo, è impossibile che gli uomini che vivono in società non siano divisi in due
classi, l’una dei ricchi che comandano, l’altra dei poveri che servono; e queste due si suddividono in mille e
queste mille hanno altre sfumature diverse. […] Il genere umano, così com’è, non può sopravvivere, a meno che
non ci sia un’infinità di uomini utili che non posseggano assolutamente nulla; poiché, è certo, un uomo non
abbandonerà la propria terra per venire a lavorare la vostra; e se avrete bisogno di un paio di scarpe, non sarà
certo un ministro che ve le farà». VOLTAIRE, «Uguaglianza», in VOLTAIRE, Dizionario filosofico,
6
Cfr. J.-J. ROUSSEAU, Discorso sull’origine della disuguaglianza, trad. it., Milano, 2012.
7
«Il diritto può consistere soltanto, per sua natura, nell’applicazione di un’uguale misura; ma gli individui
disuguali (e non sarebbero individui se non fossero disuguali) sono misurabili con uguale misura solo in quanto
vengono sottomessi a un uguale punto di vista, in quanto vengono considerati soltanto secondo un lato
determinato: per esempio, in questo caso, soltanto come operai. […] Inoltre: un operaio è ammogliato, l’altro no;
uno ha più figli dell’altro ecc. Supposti uguali il rendimento e quindi la partecipazione al fondo di consumo
2
disuguaglianza tra gli uomini, sono tutti esempi di come l’idea del progresso civile, seppur
diversamente inteso, abbia coinvolto un sempre più largo riconoscimento dell’uguaglianza tra
gli uomini. Allo stesso tempo, è nella modernità che questa rincorsa verso gli ideali ugualitari
inizia a riflettere un forte pessimismo. Le parole del romanzo di George Orwell, La fattoria
degli animali, sono efficaci a descrivere questa situazione: «Tutti gli animali sono eguali, ma
alcuni animali sono più eguali degli altri»8.
Spesso diciamo che “non c’è niente di più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali”,
oppure che “siamo tutti uguali davanti alla legge”. Si tratta di due frasi care alla letteratura
giuridica e non solo, perché riassumono la tradizionale distinzione tra uguaglianza sostanziale
e uguaglianza formale, ovvero, tra chi pensa che le leggi vadano applicate in maniera
uniforme e chi ritiene imprescindibile il riconoscimento delle diverse specificità. Problema
non trascurabile è poi quello che riguarda il tipo di specificità: culturali, religiose, o perché
no, semplicemente identitarie9 . Come si può facilmente immaginare, la complessità del
discorso ci porta su un campo minato.
Il diritto costruisce la società se riesce a colmare le disuguaglianze, a eliminare lo
svantaggio, e il dato reale dal quale partire per colmare le disuguaglianze è quello della
diversità; ma vi sono vari modi per farlo. Le disuguaglianze possono essere colmate senza
prendere in considerazione le diversità (la fede nelle norme ci porta su questa strada) o al
contrario, le disuguaglianze possono essere colmate attraverso esenzioni della regola, ma
mettendo sempre a rischio l’uniformità del diritto (minoranze: costante divisione basata
ugualmente sull’osservanza della legge, non sul dialogo: legge della maggioranza/obiezione
di coscienza – legge della minoranza/identità del gruppo)10.
Le disuguaglianze possono ancora essere valutate, potremmo aggiungere “con
discernimento”, all’interno di uno spazio relazionale più ampio, vissuto e attraversato dalla
persona nel quotidiano delle sue molteplici e plurali relazioni e quindi, anche interpretazioni
del reale e della verità (non spaventiamoci, non è metafisica). Sviluppare questo terzo
percorso, richiede uno sforzo per entrare nella pratica concreta delle strutture e delle funzioni
sociale, l’uno riceve di più dell’altro, l’uno è più ricco dell’altro e così via. Per evitare tutti questi inconvenienti,
il diritto, invece di essere uguale, dovrebbe essere diseguale». K. Marx, Critica al programma di Gotha, trad. it.,
in S. MEZZADRA – M. RICCIARDI (curr.), Marx. Antologia degli scritti politici, Roma, 2002, 213.
8
G. ORWELL, La fattoria degli animali, trad. it, Milano, 1993, 138.
9
Scrive Edward Tylor: «La cultura, o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme
complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume, e qualsiasi altra
capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società». E. TYLOR, Primitive Culture.
Researches into the Development of Mythology, Philosophy, Religion, Language, Art and Custom, 1871, trad. it.,
Alle origini della cultura, Roma, 1985, 3.
10
Cfr. E. CEVA, Regole, esenzioni e coscienza, in Ragion pratica, (2013), 40, 71-96. 2
del diritto, nelle sue norme e nelle sue decisioni, per porvi al centro la persona nella sua
valenza ontologica, concretamente inserita nella realtà del divenire storico, ma capace di
trascendere la dimensione reale, di andare oltre, per completarla con un arricchimento di
senso (di verità).
2. L’uguaglianza nel lessico del diritto
Parlare di pluralismo entro l’ambito del lessico giuridico equivale a rinnegare o
compromettere, in un certo qual modo, la stabilità dell’intero edificio del diritto moderno, e
per essere più precisi, dell’impostazione moderna e occidentale del diritto, proprio perché
basato sull’uguaglianza.
Dal punto di vista filosofico, il diritto moderno nasce sulla scia del pensiero illumista,
il quale lo considera una garanzia di razionalità e d’indipendenza dei singoli; dal punto di
vista socio-politico esso trova il proprio culmine nella Rivoluzione francese del 1789 e con la
volontà di superare l’antico regime strutturato in ceti, erede del precedente sistema feudale
fondato sulle disuguaglianze naturali11. Sul piano del diritto, la “rivoluzione” è stata quella di
porre al centro dell’universo giuridico una figura astratta, indifferenziata: il cittadino soggetto
di diritto, estraneo a qualunque classe sociale, asessuato e fuori da parametri di riferimento
socio-ambientali. L’uguaglianza universale e formale ha assorbito il tessuto delle relazioni e
delle circostanze in un’unitarietà indifferente rispetto ai singoli soggetti di diritto, ampliando
però il solco della disuguaglianza.
Il diritto moderno si articola, infatti, a partire dal suo fondamento egualitario. Questo
assunto trova conferma quando consideriamo categorie generali come la razionalizzazione,
l’unificazione e la gerarchizzazione delle fonti del diritto, la soggezione del giudice
unicamente alla legge, quest’ultima a sua volta, distinta per generalità e astrattezza, destinata
a essere applicata in maniera coerente e uniforme a tutti i consociati; si può pensare, inoltre, al
valore dato alla certezza del diritto, articolata nelle forme della stabilità nel tempo, della
pubblicità, dell’accessibilità e della conoscibilità delle norme giuridiche, con la conseguente
conoscibilità e prevedibilità delle conseguenze giuridiche delle proprie azioni; ancora, ci si
può riferire all’unicità del soggetto di diritto e all’acquisizione della capacità giuridica alla
nascita.
11
Cfr. R. CAPORALI, Uguaglianza, Bologna, 2012, 201-238.
3
Da un verso, dunque, il ragionamento socio-politico ha cercato di affrontare le istanze
dell’uguaglianza sostanziale, neutralizzando le differenze; dall’altro, il progressivo
allontanamento del concetto di “giustizia”, connessa alla centralità della persona e quale
istanza veritativa e di senso, da quello di “giusto”, inteso come “giusto assetto delle istituzioni
sociali”, e la nascita dello Stato di diritto, hanno portato il ragionamento giuridico sulle
istanze di uguaglianza formale tra soggetti di diritto, al fine di evitare privilegi e
discriminazioni. Non di meno, va ricordato che la traduzione del principio di eguaglianza nel
lessico dei diritti civili è stata lungamente ritardata in relazione ai sessi, alle razze e ai
popoli12. Staccato dalla sua originaria valenza di proposizione programmatica, il principio di
uguaglianza è andato esprimendo l’uguaglianza davanti alla legge, rivolta a ottenere una
disciplina generale per tutti i cittadini e per tutte le classi omogenee di rapporti13, ma con la
peculiarità di essere un’uguaglianza marcatamente distante dalla giustizia del caso singolo e
dalla valorizzazione di una relazionalità antropologicamente fondata e quindi dialogica.
Il ‘900 è stato l’età dei diritti, l’epoca del proliferare delle dichiarazioni dei diritti in
risposta agli orrori dei totalitarismi e dell’Olocausto. Sulla scia di una più ampia riflessione
socio-politica14, il diritto contemporaneo ha considerato la differenza come uno svantaggio da
recuperare tramite interventi decisi contro le discriminazioni, e ha cercato di recuperare la
distanza con l’uguaglianza reale. Purtroppo, al moltiplicarsi delle prese di posizione sul valore
della persona, dell’uomo e della donna, dell’infanzia o della tolleranza religiosa e culturale,
non sempre ha fatto seguito una percezione reale e non legale del principio di uguaglianza, il
quale si è attestato su livelli bassi15.
3. Il riconoscimento delle differenze
Dalla seconda metà del XX secolo il discorso sull’uguaglianza, nella sua antinomia tra
uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale si arricchisce di due nuovi parametri: quello
del pluralismo e quello dell’identità.
12
Cfr. C. CURCIO, «Eguaglianza. Dottrina generale», Enciclopedia dei diritto, (F. CALASSO dir.), XIV, Milano,
1958-1998, 517-518 [510-519].
13
Cfr. L. PALADIN, «Eguaglianza. Diritto costituzionale», Enciclopedia dei diritto, (F. CALASSO dir.), XIV,
Milano, 1958-1998, 520-522 [519-551].
14
Cfr. J. RAWLS, Una teoria della giustizia, trad. it., Milano, 1982; ID., Liberalismo politico, trad. it., Milano,
1994; ID., Il diritto dei popoli, trad. it., Milano, 2001; ID., Giustizia come equità. Una riformulazione, trad. it.,
Milano, 2002; A. SEN, L’idea di giustizia, trad. it., Milano, 2011; ID., Il tenore di vita tra benessere e libertà,
trad. it., Venezia, 1998; ID., La diseguaglianza: un riesame critico, trad. it., Bologna, 2000; M. NUSSBAUM,
Diventare persone, trad. it., Bologna, 2001; ID., Le nuove frontiere della giustizia, trad. it., Bologna, 2007; ID.,
La fragilità del bene, trad. it., Bologna, 2011.
15
Carta dei diritti dell’uomo (1948); Carta dei diritti dell’Unione Europea (2000). 4
Le moderne costituzioni degli Stati democratici argomentano il pluralismo come un
valore di riferimento, con la conseguenza di affermare che gli individui non solo sono uguali
da un punto di vista astratto, ma essi debbono essere riconosciuti concretamente diversi gli
uni dagli altri nella loro irrinunciabile identità individuale. Sorge un paradosso: dopo il forte
impegno del diritto moderno per il consolidamento dell’uguaglianza sostanziale, con il
successivo sviluppo dell’uguaglianza formale nel ‘900, la nuova sfida chiama a ripensare
quelle stesse categorie alla luce del riconoscimento della differenza.
La diversità, nella forma del pluralismo, si riscopre fattore ineliminabile e da tutelare.
Il pluralismo diventa un valore e gli individui non sono più solo astrattamente uguali, ma
concretamente diversi gli uni dagli altri; di conseguenza, la valorizzazione della diversità
rafforza il fatto costitutivo dell’individualità e dell’identità. Accanto alla rivendicazione
dell’esistenza del singolo, la rivalsa del pluralismo ha anche moltiplicato le appartenenze, le
quali hanno preso forma nella varietà dei tanti gruppi identitari che animano il dibattito
politico e culturale e che nel diritto trovano uno dei linguaggi per l’affermazione di “valori” di
parte, con il rischio di trasformare il pluralismo in forme di “soggettivismo espanso”.
Il diritto è pienamente coinvolto in questa evoluzione della storia e della dimensione
relazionale ed è interpellato dalle istanze della realtà dinamica, a rispondere con
discernimento alle diverse e molteplici richieste di giustizia. Tanto maggiore è la sua capacità
di discernimento e di decisione, tanto più il diritto può essere parte della costruzione di un
condiviso sentimento di giustizia, e non causa esso stesso d’ingiustizia e di conflitto.
4. La persona al centro dell’esperienza giuridica
Diritto, nella sua espressione anche normativa, e giustizia, quale dimensione
relazionale di riconoscimento della persona16, sono intimamente connessi nello specifico della
relazionalità giuridica animata dal pluralismo dello spazio sociale e comunitario, entro il
quale le differenti identità che esprimono l’esperienza umana entrano in relazione
comunicativa, in un rapporto di reciproca visibilità e interrelazione. Il riconoscimento
giuridico e la comunicazione intersoggettiva sono, infatti, i due cardini di una proposta
antropologica di tipo personalista capace di tenere insieme le valutazioni di bene insite nelle
diverse istanze di giustizia con una proposta realistica e capace di orientare un giusto agire
normativamente positum.
16
Cfr. A. IACCARINO, Nessuno resti escluso. La giustizia oltre i confini, Città del Vaticano, 2013, 22.
5
Parlare di giustizia non significa allontanarsi dalla realtà del diritto, quanto piuttosto
entrare nel concreto del tempo e delle relazioni giuridiche perché possano evolversi e non
rimanere imprigionate in una giustificazione ripetitiva e autoriflettente (ideologia). Per questo
motivo la giustizia è relazionale perché coinvolge e rimanda all’instaurarsi sempre nuovo di
relazioni personali. Spesso però si assiste a un deficit cognitivo del diritto, quando cioè
l’azione performativa del diritto è catturata da interessi particolari e dal conflitto tra soggetti
fra loro isolati o tra gruppi identitari chiusi. Si verifica un deficit cognitivo perché la
conoscenza è dispersa tra i vari soggetti. È il caso della pluralità escludente di visioni diverse,
dove tanti “io” si contrappongono a un “loro”; situazione questa ben distinta dal pluralismo,
quale possibilità di dialogo e di relazione tra interpretazioni diverse e con-correnti (io-tu)
dell’unica dimensione ontologica e veritativa della persona.
Per questo motivo, paradossalmente, la giustizia qui espressa nel modello dialogicorelazionale è tanto più concreta quanto maggiore è la sua capacità e la sua tensione a cogliere,
interpretare e plasmare il reale nel suo più vasto orizzonte di significato, oltre lo storicismo
che è ideologia e immobilità: un diritto che rimane fermo, chiuso al dialogo e alla relazione è
un diritto che rafforza il potere e stringe in catene la ricerca della verità, divenendo così,
ingiusto.
L’orizzonte di significato del diritto, il suo logos, è nel suo ricercare il rapporto tra
verità e storia e nell’approfondire la manifestazione della “verità nella storia” nel dato dalla
relazione coinvolgente tra le persone, che nel riconoscersi reciprocamente, affermano
un’irrinunciabile diversità e nel comunicare, manifestano l’esigenza di cercare insieme.
Questa via dialogica alla giustizia, il dià-lògos iuris, che parte dalla singolarità del vissuto
storico della persona, e nel suo procedere dice qualcosa sulla qualità della sua relazione con
l’altro e con gli altri, e quindi, afferma la verità già prima di averla raggiunta. Non a caso, il
linguaggio denota sempre una situazione in movimento e nel caso specifico, è possibile
aggiungere che “la verità si dice insieme”.
Tale prospettiva porta con sé una riflessione alta dell’humanum come relazione17 ed è
condizione per un sincero e autentico dialogo tra le persone. La persona, dunque, è al centro
dell’esperienza giuridica quale nesso tra l’oggettività della realtà, la generalità della norma, e
la soggettività delle diverse e molteplici interpretazioni personali che animano il dialogo del
diritto. Verità e realtà sono in comunicazione attraverso il nesso della persona, razionale,
17
Cfr. PAOLO VI, Lettera enciclica Populorum progressio, Città del Vaticano, 1967, 20; GIOVANNI PAOLO II,
Lettera enciclica Fides et ratio, Città del Vaticano, 1998, 92; BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Caritas in
veritate, Città del Vaticano, 2009, 55.
6
libera, dialogica e relazionale, interprete della verità e delle sue molteplici possibilità nel
concreto di una forma storica. In questa mediazione della persona, la verità e la realtà
s’incontrano in una singola e determinata interpretazione, nell’unica e possibile forma di
conoscenza fedele alla realtà nella sua oggettività e alla persona nella sua soggettività.
La qualità e il grado di “giustizia” del diritto possono essere perseguiti solo
promuovendo la partecipazione collaborativa e responsabile tra coloro che sono i veri
produttori e beneficiari del diritto stesso: le persone in societate. Se viene a mancare questa
forma di apprendimento collettivo di tipo dialogico-relazionale e di conoscenza e valutazione
aperta della realtà, si spegne la mobilitazione cognitiva che riempie la realtà di significato
oltre il tempo e la situazione storica.
5. L’ermeneutica plurale della giustizia: glocalità del diritto
Il diritto può “essere detto”, perché il diritto è interpellato per affermare la certezza;
così, nella sua formulazione linguistica, esso può descrivere una situazione di fatto, può
determinare un comportamento obbligando a compierlo o vietandolo, può regolare una
relazione. Allo stesso tempo, però, il “dire del diritto” non è un chiacchiericcio disinvolto ma
è un parlare umano e personale che afferma con parola definitiva, attraverso una decisione
che comporta giudizio e discernimento. Affermare con certezza il diritto significa valutare i
presupposti della decisione attraverso una partecipazione plurale, relazionale e dialogica, e
non soltanto la comunicazione della risultanza finale del suo esito. All’origine del diritto vi
sono una ratio personae e una ratio factorum che vanno declinate insieme nella ratio
decidendi, quale attività fondata sul discernimento personale, inscindibile dalla realtà e che
nella realtà sceglie in concreto sul presupposto di un percorso emeneutico-interpretativo.
È per tali ragioni che il diritto risponde sempre a domande particolari. Anche quando
gli interrogativi sembrano riguardare questioni generali e universali circa ciò che è ingiusto o
ciò che è giusto, la risposta del diritto sarà sempre da cercare nella mediazione tra norma e
caso concreto, dove l’esperienza del particolare trova la sua sublimazione nell’incontro
dialogico con l’universale (glocale). In questo senso la persona, attraverso gli strumenti
normativi messi a sua disposizione, instaura una relazione pienamente umana perché
dialogica con l’altro da sé, che nel circolo ermeneutico della verità si fa come sé, e allo stesso
tempo, trasforma l’io in Noi, superando le divisioni e rivitalizzando il “ciascuno” coinvolto
nella relazione di giustizia, secondo l’adagio latino suum cuique tribuere.
7
I procedimenti giudiziari sono, ad esempio, strumenti volti ad accertare la realtà dei
fatti in particolari situazioni d’incertezza, e più ancora, essi sono la via per ricongiungere la
ragione alla verità sostanziale dei fatti nei casi in cui si evidenzia una disarmonia tra la
persona e la realtà, immagine immanente di una più profonda e lacerante disunione tra la
storia e la verità, tra ciò che è giusto e ciò che sembra esserlo. Il generico scopo di risolvere le
controversie proprio del procedimento giudiziario, ha così la possibilità di riscoprire la sua
natura comunitaria e superare il conflitto degli interessi particolari, trasformandosi in una
partecipata collaborazione alla ricerca della verità. La sentenza sarà, allora, esercizio del
diritto, strumento del riconoscimento dell’altro, risoluzione del caso concreto, piena garanzia
per la pace sociale; certamente non sarà un atto d’imperio di un’autorità superiore ed estranea.
6. Il logos del dialogo
Il contributo dell’ermeneutica aiuta ad avere una visione unitaria del diritto perché
valorizza la centralità della persona interprete, nella sua più ampia libertà e razionalità, nella
realtà delle relazioni intersoggettive; allo stesso tempo, attraverso lo sforzo interpretativo
della persona, sarà possibile cogliere la complessità della realtà nella prospettiva della verità,
e attraverso un uso ampio della ragione, valorizzare la norma, quella e non altre, che meglio si
presta a essere applicata nel concreto dell’esperienza reale. Questo sforzo interpretativo non è
lasciato alla singolarità della persona ma è inserito nell’esperienza dialogica tra le persone.
L’ermeneutica non è un monologo perché parte dallo specifico delle differenze, il proprium
della diversità o dell’alterità, e trasforma l’essere-altro nell’essere-con (cum-patire) per
partecipare se stesso alla storia dell’altro attraverso una comunicazione reciproca in forma di
dialogo (dià-lògos = attraverso il discorso, il ragionamento), di conoscenza reciproca e
interpersonale.
La parola è l’ingrediente alla base del diritto. Il diritto ha quasi un’ossessione per la
parola, per il testo che mette ordine nelle cose, che riesce a spiccare nel caos, che orienta la
realtà. In questo suo radicamento nella parola, il diritto per avere un futuro, per rinascere
continuamente, è costantemente costretto a una manutenzione attenta delle parole già note e
contemporaneamente, esso deve ricercare con passione le parole ancora ignote, calibrarle,
approfondirne sempre il senso, usandole senza indifferenza o sciatteria. È questo il valore
delle parole del diritto, parole preziose e qualificate perché pensate, non lasciate alla
proliferazione accidentale del momento; il diritto ha futuro quando ha cura delle proprie
parole, quando ne coglie il valore e vi si aggrappa tenacemente.
8
Il diritto non è mai muto e con la parola permette alle persone di capire e di capirsi, di
entrare in dià-lògos. Il dialogo corrisponde alla struttura ontologica del diritto, il quale vive
nelle parole dell’uomo entro lo spazio aperto del confronto, della comune ricerca e del sano
pluralismo. In questo spazio la persona attualizza la sua ragione e la rinnova nella concreta
dimensione storica del pluralismo, non come vanto esteriore di opinioni18, ma come impegno
al tempo stesso razionale, argomentativo e normativo. La dinamica giuridica coinvolge e
impegna ciascuno perché è parte di qualcosa, di un procedimento che interessa la persona e
che dalla persona si espande all’esterno, nello spazio reale del confronto delle diverse e
plurali interpretazioni della realtà che il diritto riconosce, ma che non assimila con neutralità.
“Dire il diritto” non è un parlare neutrale, come se qualunque asserzione possa essere
indistintamente accettata al posto di un'altra; il parlare del diritto è un parlare imparziale, che
non prende parte, che non si sostituisce alla parte, ma ascolta in concreto e trascende le
argomentazioni a un livello più alto di interpretazione e valutazione. Nessuna decisione può
essere definita di parte; nel confronto giuridico, anche duro e processualmente impegnativo,
non vi è un vincitore e non vi è un vinto, perché la decisione è secondo verità e di verità, il
diritto non può che affermarne con certezza una sola valida per tutti. Nel rapporto giuridico
non si contrappone la verità di una parte contro quella di un’altra parte, in una sorta di
antagonismo delle verità, ma in esso si fa un’esperienza di incontro, di ricerca, di dialogo e di
condivisione della personale interpretazione della verità, sempre unica. Solo su questo
presupposto dialogico-relazionale può stabilizzarsi il discernimento che fonda la decisione, il
giudizio che rende giustizia, salvaguardando un sano formalismo giuridico e allo stesso tempo
il bene più intero della persona19.
Attraverso la parola, il diritto non comunica solo contenuti, ma persuade, convince e
decide, cercando una costante ed efficace penetrazione della realtà, condizionandola
attraverso norme, decisioni e disposizioni20.
7. Una sintesi in cinque punti
18
Cfr. PLATONE, Lettera VII, in PLATONE, Tutti gli scritti, (REALE G. cur.), trad. it., Milano 2000, 341 a.
Scrive Luigi Pareyson: «Unica è la soluzione vera di un determinato problema storico: si tratta di trovare
quella, la quale, una volta trovata, non potrà non avere una validità universale». L. PAREYSON, Esistenza e
persona, Torino 1950, 237.
20
Scrive in proposito Paolo Gherri: «Il Diritto non solo si serve di parole ma le prende anche sul serio dal
punto di vista “ontologico” riconoscendo o attribuendo loro specifici e precisi contenuti in base ai quali si fanno
poi discendere tutta una serie di conseguenze; il Diritto “definisce” … non solo le posizioni giuridiche dei
singoli soggetti/oggetti, ma gli stessi Istituti giuridici, le fattispecie, i diritti ed i doveri, i Reati, le Sanzioni, ecc».
P. GHERRI, Logica e diritto: tra argomentazione e scoperta, in G. BASTI – P. GHERRI, Logica e diritto: tra
argomentazione e scoperta, Atti della V Giornata Canonistica Interdisciplinare, Città del Vaticano 2011, 16; cfr.
P. GHERRI, Linguaggi, concetti e Diritto, in Apollinaris LXXXV (2012), 469-470. 19
9
Il diritto si candida a offrire risposte costruttive nel contesto del pluralismo, ma non
può prescindere da cinque parametri.
Il primo, la persona. Pluralismo e identità possono essere coniugati insieme se il
pluralismo non cede al soggettivismo della singolarità: il pluralismo entra a far parte del
lessico del diritto come riconoscimento dialogico dell’alterità.
Il secondo, la verità. Per quanto sembri difficile accostare il lessico giuridico a quello
veritativo, il richiamo alla verità serve per affermare sempre in maniera nuova che il
ragionamento giuridico si svolge nella realtà del tempo, ma non può dirsi esauriente se in essa
rimane imprigionato in una forma di storicismo.
Il terzo, il dialogo. Il dialogo è il fattore strategico che mantiene vivo, vigile e
scattante il processo di apprendimento e di produzione della conoscenza. Il diritto deve essere
ossessionato dal dialogo, l’unica via per contrastare razionalmente e ragionevolmente le rigide
pretese identitarie che escludono. Questo principio tiene insieme i primi due, poiché la
persona si apre alla conoscenza della verità, alla sua interpretazione, attraverso il
riconoscimento dialogico dell’altro: si parla di verità solo al plurale.
Il quarto, la distinzione. Il diritto per sua natura identifica e classifica per permettere
un discernimento e una decisione mai di parte; allo stesso tempo, il diritto non isola, ma
permettendo il riconoscimento reciproco e la salvaguardia delle differenze, crea unità. Non a
caso, nella Chiesa al tradizionale concetto di uguaglianza si affianca quello più marcatamente
teologico di unità21, o addirittura, di comunione (sinodalità – koinonìa) Il diritto non fa
collezione di diversità ma ne fa sintesi con discernimento dialogico e decide (non opziona).
Sulla base dei punti uno e due, tuttavia, il diritto non può cedere alla debolezza del relativismo
o alla forza di manifestazioni identitarie non accettabili, di ermeneutiche totalizzanti in
conflitto con la valorizzazione della persona, nella sua dimensione storica e nella sua apertura
valoriale.
Il quinto, la forma. La valorizzazione di un discorso giuridico che si fondi sulla
centralità della persona chiede di superare il vincolo formale dell’uguaglianza depersonificata,
e anche attraverso lo strumento di un sano formalismo giuridico, valorizzare la singolarità
della persona nella pluralità del vivere in societate. Ciascuna persona è chiamata a vivere
un’esperienza glo-cale di dialogo perché a partire dalla sua personale esperienza possa aprirsi
21
Accade, così, che «per un verso tutti dicono la stessa cosa e per l’altro ciascuno dice un’unica cosa: tutti
dicono la stessa cosa, cioè la verità, che non può essere che unica e identica, e ciascuno dice un’unica cosa, cioè
dice la verità nel proprio modo, nel modo che solum è suo». L. PAREYSON, Verità e interpretazione, Milano,
1971, 18. (Esempio dei vangeli)
10
agli altri, e anche attraverso il diritto, sappia riconoscersi (acquisendo innanzitutto una
autocoscienza) in relazione con l’altro, nell’alter-soggettività che caratterizza il dinamismo
della relazione di giustizia22.
22
Cfr. J. HERVADA, Introduzione critica al diritto naturale, Milano, 1990, 41. 11