LINEE GUIDA PER L`ESECUZIONE DEI TEST GENETICI IN

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LINEE GUIDA PER L`ESECUZIONE DEI TEST GENETICI IN
LINEE GUIDA PER L’ESECUZIONE DEI TEST GENETICI IN
ONCOLOGIA
A cura del Comitato Etico del COR
(Centro Oncologico Regionale) di Padova
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INTRODUZIONE
Gli sviluppi della genetica molecolare e le sue più recenti applicazioni di notevole impatto sia
medico che di politica sanitaria, pongono rilevanti problemi etici.
Tra questi, quelli derivati dall’uso dei test genetici per la diagnosi e la predisposizione di malattie
stanno assumendo una rilevanza sempre maggiore. E’ opinione diffusa che l’aumento delle
conoscenze del genoma umano potrà determinare la diffusione dei test genetici in modo
indiscriminato e talora non suffragato da reali necessità di applicazione. Un test genetico dovrebbe
permettere ai singoli individui e ai loro familiari di identificare, comprendere e soprattutto
controllare il loro rischio di contrarre certe malattie. Il divario tra la capacità diagnostica e la
capacità terapeutica non dovrebbe mai venir dimenticato nel caso dello sviluppo e dell’applicazione
di un test genetico. Infatti le attuali potenzialità della genetica molecolare consentono di individuare
la presenza di geni alterati favorenti la malattia, molto prima che la malattia stessa si manifesti e che
si possano instaurare terapie adeguate per affrontarla o prevenirla. E’ questo il caso della malattia
oncologica; sono infatti oggi disponibili di test genetici che consentono di diagnosticare una
malattia oncologica ereditaria, di identificare i portatori dell’alterazione genetica che sicuramente si
ammaleranno, o che, con vari gradi di probabilità, hanno il rischio di ammalarsi nel corso della loro
vita.
La capacità di predire che un soggetto si ammalerà o che, pur ancora in perfetta salute, è
predisposto a contrarre la malattia, soprattutto quando per questa non esista una terapia risolutiva, o
una prevenzione, può comportare un costo elevato in termini psicologici e sociali, e pone particolari
problemi di ordine etico e giuridico.
“La nascita di una moderna medicina molecolare di tipo predittivo impone una riconsiderazione
complessiva dei benefici e dei danni apportati dalla scienza medica. E’ indiscutibile che ogni
individuo abbia diritto di conoscere il proprio genotipo; ma accanto al diritto di sapere si dovrebbe
riconoscere anche il diritto a non sapere, soprattutto in quei casi in cui una conoscenza preventiva
della malattia porterebbe soltanto ad una anticipazione delle sofferenze, senza concreti vantaggi in
termini terapeutici” (1).
2
ASPETTI SCIENTIFICI
Uno dei primi problemi che il gruppo di lavoro ha dovuto affrontare sin dall’inizio, è stato quello di
una classificazione dei test genetici in oncologia. Questa necessità si è determinata nel momento in
cui è apparso chiaro come i problemi etici, giuridici o psicologici connessi all’uso o all’offerta dei
test fosse strettamente legata al tipo di “capacità diagnostica” insita nel test e al tipo di malattia
oncologica che veniva diagnosticata. Sono state elaborate diverse classificazioni dei test genetici ai
fini del loro utilizzo per i pazienti e familiari. L’Associazione Americana di Oncologia Clinica
(ASCO) nel 1996 ne ha elaborata una (2) e così ha fatto più recentemente nel 1999 il Comitato
Nazionale Italiano per la Bioetica (1). La classificazione proposta e qui di seguito riportata, si ispira
ai due documenti, ne tenta una sintesi elaborando una classificazione adatta alle problematiche che
si intendono affrontare. Essa divide i test genetici per il settore oncologico in due gruppi
fondamentali, test presintomatici (Gruppo 1), e test predittivi (Gruppo 2).
Nei primi (pre-sintomatici) il test è in grado di accertare, con alta sensibilità e specificità, la
presenza dell’alterazione genetica responsabile della malattia sia nei malati, che nei loro familiari
sani prima dell’apparire di qualsiasi sintomo di malattia. Inoltre le malattie diagnosticate da questo
tipo di test sono quasi sempre suscettibili di un intervento preventivo efficace.
I test predittivi invece, sono in grado di stabilire solamente che il portatore sano dell’alterazione
genetica avrà un rischio più elevato del normale di contrarre la malattia nel corso della sua vita. Ma
di solito a questo tipo di test si associa una bassa sensibilità diagnostica (non tutte le alterazioni
genetiche responsabili della malattia vengono rilevate dal test) e usualmente per le malattie
oncologiche da essi diagnosticate non esistono misure preventive di sicura efficacia.
Esiste poi un terzo gruppo di test (citato dal documento dell’ASCO) per malattie oncologiche per le
quali l’importanza della scoperta di mutazioni non è chiara perché la componente ereditaria della
malattia è meno evidente; o per malattie oncologiche sicuramente ereditarie, ma per le quali le
mutazioni sono state identificate solo in un piccolo numero di famiglie, e il cui beneficio per la
salute dovuto all’identificazione del portatore non è confermato.
Poiché, a differenza di altre analisi in uso nella pratica clinica, i risultati dei test genetici hanno
numerose implicazioni sul piano psicologico, sociale e riproduttivo, devono essere considerati parti
integranti di un test genetico, la comunicazione e l’interpretazione dei risultati e la consulenza sulle
possibili implicazioni. (3) Pur riconoscendo l’assoluta necessità della consulenza genetica
nell’esecuzione dei test genetici in oncologia, i criteri per l’accesso alla consulenza genetica in
oncologia (CGO) non sono stati ancora definiti. La Società Italiana di Genetica Umana (SIGU) sta
elaborando un documento che ha l’obbiettivo di individuare gli obiettivi, gli aspetti peculiare della
3
CGO e le condizioni minime che debbono essere assicurate dai centri che intendano offrire una
CGO.
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CLASSIFICAZIONE DEI TEST GENETICI IN ONCOLOGIA
Questa classificazione tiene conto di tre parametri:
1. Possibilità di interpretazione adeguata del test genetico (sensibilità e specificità)
2. Probabilità del soggetto portatore dell’alterazione genetica di sviluppare la neoplasia o di averla
già in fase preclinica
3. Possibilità di intervento di prevenzione efficace.
Gruppo 1 test pre-sintomatici: I test genetici compresi in questo gruppo hanno tutte le seguenti
caratteristiche:
•
Certezza di informazione del test (alta sensibilità e specificità)
•
Certezza di sviluppare la neoplasia (o di esserne già portatori) in presenza dell’alterazione
genetica
•
Certezza di poter intervenire con prevenzione o cura efficace.
L’esecuzione su base routinaria di questi test è unanimamente accettata in quanto comporta
innegabili vantaggi per i soggetti testati.
Fanno parte di questo gruppo:
-Gene APC per la Poliposi familiare del colon (FAP)
-Gene RET per la neoplasia endocrina multipla di tipo 2 (MEN tipo 2a e 2b)
-Gene VHL per il morbo di Von Hippel-Lindau
Gruppo 2 test predittivi: I test genetici compresi in questo secondo gruppo mancano di una o più
caratteristiche proprie del gruppo precedente. In particolare:
•
Il valore informativo del test è limitato, per l’ampia variabilità di alterazioni possibili o per la
possibilità che la neoplasia ereditaria in questione possa essere legata ad altre mutazioni
genetiche non ancora identificate.
•
La probabilità di sviluppare la specifica neoplasia nell’arco della vita è variabile o non ancora
conosciuta.
•
Non esistono attualmente metodiche profilattiche di provata efficacia, tali da prevenire
l’insorgenza della neoplasia o da anticipare la diagnosi ed il trattamento, consentendo un
vantaggio provato di sopravvivenza.
L’esecuzione di questi test non è routinaria, ma è al momento limitata ad alcuni specifici protocolli
di ricerca.
Fanno parte di questo gruppo:
-Gene BRCA 1/BRCA 2 per il ca mammario e/o ovarico
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- Gene MSH2. MLH1, PMS1, PMS2 per la sindrome di Lynch (HNPCC = Hereditary Non
Polyposis Colon Cancer)
- Gene MEN1 per la neoplasia endocrina multipla di tipo I
- Gene NF1 per la Neurofibromatosi di tipo 1.
Qui di seguito verranno illustrate in maniera sintetica le principali patologie la cui valutazione
genetica è attualmente eseguita presso le strutture sanitarie dell’Azienda di Padova.
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NEOPLASIE A CARATTERE EREDITARIO SUSCETTIBILI DI TEST GENETICO
SCHEDE SINTETICHE
POLIPOSI FAMILIARE MULTIPLA (FAP = Familiar Adenomatous Polyposis)
Incidenza: 1/6.000-13.000
Gene coinvolto: Gene oncosoppressore APC (Adenomatous Polyposis of the Colon) localizzato nel
cromosoma 5.
Quadro clinico: comparsa di poliposi del colon-retto con successiva trasformazione carcinomatosa
in età più giovane rispetto al tumore sporadico (rischio prossimo al 100% entro i 40 anni). Esistono
varianti come la sindrome di Gardner (carcinoma del colon-retto e cisti cutanee, osteomi
mandibolari, desmoidi) e la sindrome di Turcot (carcinoma del colon-retto e tumori del SNC o
Sistema Nervoso Centrale).
Trasmissione: autosomica dominante
Penetranza: completa entro i 40 anni
Test genetico: altamente sensibile
Criteri di selezione per il test genetico:
1. Paziente (che indicheremo in seguito anche con il termine probando) con poliposi multipla del
colon-retto.
2. Familiari di pazienti con test genetico positivo o con storia familiare fortemente sospetta
Possibilità di prevenzione: possibile prevenzione selettiva.
Nei probandi con test genetico positivo, rettosigmoidoscopia annuale dai 10 anni di età e intervento
profilattico di colectomia subtotale con ileo-rettoanastomosi dopo la comparsa dei polipi.
Osservazioni: La presenza di mutazioni del gene APC comporta la certezza della comparsa della
poliposi e della successiva degenerazione in carcinoma del colon-retto. La negatività del test
consente di evitare al soggetto il follow-up endoscopico.
L’intervento chirurgico profilattico nei soggetti APC positivi dopo la comparsa dei polipi è prassi
ormai universalmente accettata. Può essere provata dieta adeguata e terapia con acido
acetilsalicilico per ritardare o rallentare la formazione di polipi.
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NEOPLASIA ENDOCRINA MULTIPLA DI TIPO 2 (MEN 2 =Multiple Endocrine Neoplasia del
tipo 2)
Incidenza. 1-10/100.000
Gene coinvolto: proto-oncogene c-RET localizzato sul cromosoma 10
Quadro clinico: si riconoscono tre sottotipi:
•
MEN2A: associazione di carcinoma midollare della tiroide con feocromocitoma o con adenoma
o iperplasia delle paratiroidi o con megacolon??
•
MEN2B: associazione di carcinoma midollare della tiroide, feocromocitoma e alcune anomalie
cliniche quali un habitus marfanoide, anomalie scheletriche, neuromi delle mucose,
ganglioneuromatosi intestinale
•
Sottotipo con solo carcinoma midollare della tiroide, familiare.
Possibilità di prevenzione: possibile prevenzione selettiva.
Nei soggetti con test genetico positivo, molti ritengono sia indicata la tiroidectomia totale all’età di
5-7 anni e il successivo follow-up per le possibili patologie associate (feocromocitoma,
iperparatiriodismo).
Osservazioni:
La presenza di mutazioni del gene RET comporta la certezza di sviluppare un carcinoma midollare
della tiroide e il rischio di patologie associate (feocromocitoma, iperparatiroidismo) entro i 70 anni
di età.
Al momento attuale, alcuni procedono direttamente alla tiroidectomia profilattica in età pediatrica
nei portatori del gene alterato, mentre altri preferiscono controllare periodicamente i soggetti col
dosaggio della calcitonina dopo stimolo con pentagastrina ed intervenire chirurgicamente solo
quando questo test diventa positivo.
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MALATTIA DI VON HIPPEL-LINDAU (VHL)
Incidenza: 2,5/100.000
Gene coinvolto: gene oncosopressore VHL localizzato nel cromosoma 3
Quadro clinico: suscettibilità allo sviluppo di emangioblastomi cerebellari e del midollo spinale,
angiomi retinici, carcinoma renale a cellule chiare, feocromocitoma, tumori neuroendocrini e cisti
del pancreas, tumori del sacco endolinfatico dell’orecchio, cistoadenomi dell’epididimo.
Penetranza: quasi completa a 65 anni.
Test genetico: altamente sensibile
Criteri di selezione per il test genetico: soggetti affetti, anche con solo una delle manifestazioni
tipiche (solo feocromocitoma, solo angioblastoma cerebellare etc.); familiari di primo grado dei
soggetti affetti.
Possibilità di prevenzione: solo secondaria.
Schemi di follow-up suggeriti:
- alla nascita:
valutazione pediatrica
- dai 2 ai 10 anni:
annualmente esame obiettivo, esame della retina, catecolamine urinarie, RMN
(Risonanza Magnetica Nucleare) e scintigrafia con MIBG (Meta Iodo Benzil
Guanidina marcata con Iodio Radioattivo) praticata sull’addome in presenza
di alterazioni biochimiche o ecografiche
- dagli 11 ai 19 anni: esame della retina semestrale
annualmente esame obiettivo, ecografia addominale, catecolamine urinarie,
RMN e MIBG in presenza di alterazioni biochimiche o ecografiche.
- dai 20 in poi:
annualmente esame obiettivo, esame retinico, ecografia addominale, TAC
addominale, catecolamine urinarie, RMN e MIBG in presenza di alterazioni
biochimiche o ecografiche.
Ogni 2 anni RMN cerebrale e spinale, esame audiometrico, RMN del canale
uditivo interno
Osservazioni: la ricerca di mutazioni del gene VHL ha una sensibilità superiore al 95%.la
determinazione dei soggetti portatori, anche se asintomatici, consente di identificare lesioni dei vari
organi coinvolti e di praticare una prevenzione delle complicanze. La dimostrazione dei casi di
mosaicismo somatico nel VHL ha esteso l’indicazione per lo studio molecolare anche ai soggetti
con manifestazione singola e con precoce età di insorgenza. Il consensus internazionale non
comprende interventi profilattici, dato il tipo ed il numero di organi potenzialmente coinvolti.
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CARCINOMA EREDITARIO DELLA MAMMELLA E DELL’OVAIO
Incidenza: responsabile del 6-10% di tutti i tumori di mammella ed ovaio.
Gene coinvolto: BRCA1 localizzato nel cromosoma 17 e BRCA2 localizzato nel cromosoma 13
Quadro clinico: l’alterazione genica conferisce predisposizione allo sviluppo di carcinoma
mammario e/o ovarico. La neoplasia mammaria tende a svilupparsi in età di almeno 10 anni più
giovane rispetto ai casi sporadici e bilateralmente.
Trasmissione: autosomica dominante
Penetranza: dal 50 all’80% per il carcinoma mammario e fino al 30-40% per quello ovarico
nell’arco della vita
Test genetico: sensibilità ancora non ben definita
Criteri di selezione per il test genetico: familiarità marcata per carcinoma mammella e/o ovaio
(criteri ancora in discussione)
Possibilità di prevenzione: possibile prevenzione selettiva e secondaria.
La prevenzione selettiva prevede la mastectomia profilattica bilaterale (generalmente sottocutanea)
con ricostruzione ed eventuale ovariectomia profilattica bilaterale.
Esistono protocolli di chemioprevenzione (Tamoxifene, Raloxifene) che sono attualmente ancora in
fase di studio. La prevenzione secondaria si fonda su schemi di follow-up dall’età di 30 anni
(autopalpazione mensile, visita senologica e ginecologica semestrale, mammografia annuale con
eventuale ecografia e RMN, ecografia transvaginale e determinazione dei marcatori di carcinoma
ovarico, annualmente).
Osservazioni: L’identificazione delle mutazioni comporta un rischio elevato ma difficilmente
quantizzabile di sviluppare la malattia. Non esiste attualmente accordo sull’indicazione
all’esecuzione del test genetico al di fuori di protocolli di studio. Non vi è accordo neppure sulla
gestione delle pazienti risultate portatrici dell’alterazione genetica, in quanto il rapporto
costo/beneficio della chirurgia profilattica è di difficile valutazione; i protocolli di
chemioprevenzione possono essere proposti solo nell’ambito di studi clinici e non è stato ancora
accertato se i periodici controlli clinico-strumentali offrano un significativo vantaggio di
sopravvivenza in queste pazienti.
Recentissimi lavori mostrano una più alta sopravvivenza (e forse nessun tumore) nelle donne con
mastectomia profilattica aprendo però interrogativi di carattere propriamente etico.
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NEOPLASIA ENDOCRINA MULTIPLA DI TIPO 1 (MEN 1)
Incidenza: sconosciuta.
Gene coinvolto: gene MEN1 localizzato nel cromosoma 11
Quadro clinico: contemporanea presenza di iperplasia e/o tumori funzionanti di almeno due
ghiandole
endocrine,
comprendenti
paratiroidi,
componente
neuroendocrina
del
tratto
gastroenterico, inclusivo del pancreas ed ipofisi anteriore, associati talvolta a neoplasie a differente
localizzazione (surrene, tiroide, cute, rene, etc.).
Meno frequentemente lipomi e angiomi.
Trasmissione: autosomica dominante.
Penetranza: variabile.
Test genetico: bassa sensibilità per la notevole eterogeneità genetica (20-30% di casi non
identificabili).
Criteri di selezione per il test genetico: non stabiliti.
Il test genetico è comunque proponibile per soggetti con: MEN 1 familiare, MEN 1 sporadica,
pazienti con tumore di tipo MEN1 (sospetta prima manifestazione di MEN 1 sporadica),
iperparatiroidismo familiare isolato, adenoma ipofisario familiare isolato.
Possibilità di prevenzione: solo secondaria.
Follow-up per eventuale comparsa di patologie associate nei pazienti, senza schemi predefiniti.
Osservazioni: La prognosi dei pazienti è condizionata dall’evoluzione della eventuale neoplasia
pancreatica, che costituisce la principale causa di morte.
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CARCINOMA COLICO EREDITARIO NON POLIPOSICO (HNPCC = Hereditary Non Polypoid
Colon Carcinoma)
Incidenza: responsabile del 6-10% dei cancri del colon-retto.
Geni coinvolti: hLMH1 (cromosoma 3), hPMS1, hMSH2, hMSH6 (cromosoma 2), hPMS2
(cromosoma 7).
Quadro clinico: Carcinoma del colon-retto con un’età media alla diagnosi di 45 anni. Nei due terzi
dei casi la sede è nel colon destro. Meno frequentemente, carcinoma endometriale.
Possibili anche se con incidenza minore altre forme neoplastiche (ovaio, epitelio delle vie urinarie,
stomaco, intestino tenue, pancreas, fegato e vie biliari, cute, glioblastoma multiforme).
Trasmissione: autosomica dominante.
Penetranza: intorno all’80% per il carcinoma del colon-retto, dal 30 al 60% per il carcinoma
endometriale.
Test genetico: sensibilità ancora non ben definita (si ritiene vi sia circa il 30% di casi non
identificati).
Criteri di selezione per il test genetico: familiarità marcata per carcinoma colon-retto (criteri di
Amsterdam).
Possibilità di prevenzione: possibile prevenzione selettiva e secondaria.
La prevenzione selettiva è rappresentata dalla colectomia subtotale profilattica. E’ possibile
associare anche una isteroannessiectomia.
La prevenzione secondaria si fonda su un programma di sorveglianza con colonscopia ogni due anni
a partire dai 20-25 anni di età e screening annuale per carcinoma endometriale a partire dai 25-35
anni d’età.
Osservazioni: L’identificazione dell’alterazione di uno dei geni citati comporta un rischio elevato
ma difficilmente quantizzabile di sviluppare la malattia, per cui non c’è attualmente accordo né
sull’indicazione all’esecuzione del test genetico né sulla gestione dei soggetti con test positivo.
In particolare, sia per la chirurgia profilattica che per il programma di sorveglianza mancano dati
certi sull’efficacia in termini di riduzione del rischio e della mortalità.
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ASPETTI ETICI E GIURIDICI
Il gruppo di lavoro nel redigere il testo sugli aspetti etici e giuridici ha voluto che questo contenesse
delle indicazioni e raccomandazioni che potessero essere utili agli specialisti nei vari campi della
medicina ed agli oncologi per poter affrontare il delicato momento dell'offerta del test genetico ai
pazienti e ai loro familiari e della comunicazione dell’esito del test al paziente e al familiare sano.
Non era un compito facile. La materia dal punto di vista strettamente giuridico è in evoluzione
continua, non ci sono certezze. L’informazione genetica è diversa da qualsiasi altro tipo di
informazione: la sua origine e le sue caratteristiche sono indipendenti dalla volontà del soggetto;
essa è un’informazione condivisa da tutti i familiari del probando; la sua fonte è indistruttibile
anche dopo la morte. L’accesso a tale informazione fornisce la conoscenza di importanti aspetti
relativi all’individuo esaminato e tocca direttamente la sua sfera più intima. Ma nello stesso tempo
tali aspetti più intimi sono condivisi da altri membri della sua famiglia, i suoi discendenti come i
collaterali. I problemi connessi all’uso indiscriminato o non appropriato dell’informazione genetica
possono avere una diretta attinenza con la libertà personale (principio di libertà e di autonomia
personale), e con la privacy (tutela di una informazione strettamente riservata). Il diritto a non
sapere, comparso recentemente solo in relazione all’informazione genetica, rientra “nel diritto alla
tutela della vita privata libera da intrusioni che riemerge oggi come garanzia delle decisioni
personali, basata sulla consapevolezza che il diritto a non sapere non è altro che un aspetto del
diritto alla privacy e al rispetto della vita privata di ciascuno” (4).
I principi di libertà e di autonomia così come il diritto alla protezione dei dati individuali e alla non
discriminazione su base genetica trovano il loro riconoscimento sia nella Convenzione per la
protezione dei Diritti dell’uomo e la Biomedicina (Consiglio d’Europa 1997) sia nella
Dichiarazione Universale sul Genoma Umano e sui Diritti Umani (UNESCO 1997). Per quanto
riguarda il nostro paese i riferimenti giuridici sono agli art. n° 32 e 33 della Costituzione.
Tuttavia possono esservi dei limiti all’esercizio della volontà individuale e questo limite viene
fissato dalla Convenzione, nella tutela della salute pubblica o dei diritti e delle libertà altrui. Ci
possono essere eccezioni alla riservatezza quando siano gravemente compromessi la salute o la vita
di terzi. Ma non esistendo regolamentazione giuridica specifica che includa tutte le esperienze
facenti parte del nostro argomento, le decisioni e le soluzioni di eventuali conflitti rinviano
fondamentalmente a criteri di pura valutazione etica.
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ASPETTI ETICI E INDICAZIONE PRATICHE
A. L’INFORMAZIONE ESTESA E DETTAGLIATA DELLE POSSIBILITA’ E DEI LIMITI
DEL TEST ED IL CONSENSO COME PARTE INDISPENSABILE E FONDAMENTALE
DEL PROCESSO DI OFFERTA DEL TEST GENETICO
La consulenza genetica deve essere considerato come il momento principale di informazione del
paziente sulle possibilità di diagnosi, di prevenzione e di intervento terapeutico offerte dal test
genetico. La consulenza genetica deve essere vista come un momento di corresponsabilità dei
diversi specialisti coinvolti, con un ruolo chiave riservato al clinico che ha in cura il paziente.
Il consenso è lo strumento attraverso cui si attua il principio etico del rispetto dell’autonomia
individuale, che nel caso di qualsiasi intervento in campo genetico ne è il presupposto
fondamentale.
La tipologia dei test genetici in campo oncologico è varia e riguarda la loro “capacità” diagnostica e
la loro potenzialità nel predire il manifestarsi della malattia nei portatori della alterazione genetica;
tuttavia, poiché non sempre sono disponibili adeguate misure preventive per impedire l’insorgere
del tumore, nel redigere il modulo di consenso informato devono essere tenuti in considerazione i
seguenti punti:
1. Consenso di partecipazione ai test a seconda del tipo di test (presintomatici o predittivi):
nell’ambito di ciascuna informazione devono essere date le indicazioni su come risolvere gli
eventuali conflitti posti ai punti che esporremo ai punti C (diritto a non sapere della persona che
si sottopone al test) e punto D (diritto a sapere dei discendenti e dei collaterali)
2. Il consenso per certi tipi di test può prevedere anche il consenso al coinvolgimento dei familiari:
alcuni test per essere interpretati hanno bisogno infatti di essere estesi ai familiari.
L’estensione dello studio alla famiglia introduce il rischio della diffusione dell’informazione.
E’ necessario prendere in considerazione questo rischio e valutarlo in rapporto all’esigenza dello
studio e/o ai benefici che ne potranno derivare.
3. Età di accesso ai test: la questione dell’età in relazione alle scelte di vita e alle opportunità
terapeutiche che in alcuni casi non sono ben definite (e questo sia nel minore che nell’anziano).
4. Vi è poi la questione della possibilità di test senza consenso dell’interessato (ad esempio nei
minori o nel paziente psichiatrico o in quei casi dove la legge lo preveda).
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INDICAZIONI PER LA STESURA DEL CONSENSO INFORMATO PER TEST DIAGNOSTICI
(secondo ASCO 1996 (2) e Cooperative Family Registry for Breast Cancer Studies, 2000 (5))
•
Informazioni sullo specifico test che viene proposto
•
Implicazioni sui possibili risultati
•
Possibilità che il test non sia informativo
•
Opzioni per raggiungere la stima del rischio senza ricorrere al test genetico
•
Rischio di trasmettere la mutazione ai figli
•
Accuratezza tecnica del test
•
Rischio di stress psicologico
•
Rischio di discriminazione da parte delle compagnie assicurative
•
Tema della riservatezza: coinvolgimento dei membri della famiglia, autorizzazione del
probando per il coinvolgimento degli altri membri
•
Possibilità e limiti della sorveglianza e del follow-up clinico dopo il test
•
Utilizzo dei dati e dei diritti di proprietà: conservazione dei campioni di DNA per ulteriori
ricerche per la stessa patologia oppure resi anonimi per altre ricerche genetiche.
•
Rischi psicologici e sociali
•
Comunicazione ad ogni singola persona testata dei risultati delle ricerche
E’ essenziale che prima di consegnare per la firma ai soggetti interessati un modulo di consenso,
si dettaglino a voce le spiegazioni del suo contenuto e del suo scopo, incoraggiando le persone a
porre domande, in modo tale che la firma del modulo avvenga dopo che il soggetto è già stato
informato in via conversativa.
B
MODALITA’ DI CONSEGNA DELLA RISPOSTA
La consegna della risposta del test genetico fa ancora una volta parte di quel momento di
interdisciplinarietà, che non è solo un accostamento di competenze, bensì di corresponsabilità
dei diversi specialisti nel rispetto delle reciproche conoscenze e competenze, la consulenza
genetica.
Poiché la risposta di laboratorio è parte integrante della consulenza genetica, i laboratori di
genetica molecolare devono dare quelle garanzie di esperienza e qualità, che sono assolutamente
necessarie quando entrano il gioco valutazioni che riguardano il patrimonio genetico di un
individuo, soprattutto se messe poi in relazione alla predisposizione a sviluppare malattie
potenzialmente mortali. La non corretta esecuzione/interpretazione di un test potrebbe
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danneggiare la sua attendibilità e accuratezza, e quindi avere ripercussioni sulla condizione
psicologica del soggetto cui potrebbe per errore essere attribuita un’anomalia non esistente.
C DIRITTO A NON SAPERE DELLA PERSONA CHE SI SOTTOPONE AL TEST
GENETICO UN’ANOMALIA, SIA IN AMBITO DI RICERCA CHE DI APPLICAZIONE
CLINICA
Nella ricerca sperimentale come nell’applicazione clinica deve essere rispettato il diritto del
probando a non sottoporsi al test così come a non conoscere l’esito del test.
Il probando potrebbe collaborare ad uno studio familiare per il bene degli altri membri della
famiglia, o aderire ad un ricerca, ma non per questo essere costretto a dover sapere l’esito del
test. Tuttavia rimangono alcuni interrogativi che dovrebbero essere evidenziati e risolti nel
consenso informato:
1.
Nel caso dell’estensione del test ai familiari, il familiare sano può aver diritto a non sapere
nel caso che l’informazione del test possa coinvolgere la sua vita riproduttiva o la salute e la
vita riproduttiva dei suoi discendenti?
2.
Questo punto vale anche per il probando?
In riferimento al diritto a non sapere si deve prendere in considerazione il significato del test,
tenendo conto della distinzione tra test presintomatici, e predittivi.
D. DIRITTO A SAPERE DEI DISCENDENTI DIRETTI E DEI COLLATERALI
Il diritto a conoscere l'esito del test da parte dei familiari del probando potrebbe essere costituito dal
beneficio/ interesse che può derivare ai parenti (sia discendenti che collaterali) dal conoscere lo
status genetico del probando stesso riguardo una malattia.
Conflitto si genera tra questo interesse e la volontà del probando a non sapere o a non voler
estendere l'informazione sul suo status genetico all'interno della famiglia.
All'origine del conflitto c'è la volontà del paziente, il segreto professionale del medico e il diritto
alla riservatezza
Nella ricerca pre-applicativa, la volontà di estendere o non estendere non genera conflitto perchè il
significato clinico del test è ancora sotto studio e quindi non è certa la sua utilità per gli altri membri
della famiglia.
Nella applicazione clinica è indispensabile conoscere il significato del test se presintomatico o
predittivo, e con che percentuali di sicurezza è in grado di predire l'insorgenza della malattia.
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Nel consenso informato, a seconda della tipologia del test, e del tipo di malattia deve essere presa in
considerazione la possibilità di estendere o meno il test ai familiari valutando che tipo di conflitto
esiste tra il rispetto della volontà (volontà assoluta? variabile? relativa?) del probando di non
estendere il test agli altri membri della famiglia e l'interesse (beneficio? diritto?) degli altri membri
ad usufruire del test.
Appare eticamente accettabile informare i membri della famiglia anche in contrasto con il volere del
paziente quando:
1.
Il probando rifiuta di comunicare l'informazione ai suoi familiari a dispetto di qualsiasi
razionale tentativo di persuaderlo che è bene fare ciò, perchè la mancata diffusione
dell'informazione ha un'alta probabilità di causare, ai familiari stessi, un danno imminente
serio ed irreparabile
2.
La diffusione dell'informazione permette ai membri della famiglia di evitare il danno
E. CONSERVAZIONE E GARANZIA DI TUTELA DEL MATERIALE BIOLOGICO
Un altro problema che si presenta, in riferimento al materiale biologico utilizzato nei test genetici,
riguarda la sua conservazione ed il successivo utilizzo per altre ricerche o indagini. Si riconosce che
la questione necessita di ulteriori approfondimenti di carattere etico e giuridico specialmente in
riferimento all'utilizzo del materiale conservato come fonte di dati sui soggetti che si sono sottoposti
al test, l'eventuale consenso per nuovi studi, la tutela della riservatezza. Riteniamo che, in questa
fase di approfondimento, possano essere utili le indicazioni elaborate dalla Associazione Americana
di Genetica Medica(6), che riportiamo in maniera schematica, rinviando al documento completo per
una visione più analitica.
RACCOMANDAZIONI
Raccolta e conservazione di materiale biologico che può essere usato per future analisi genetiche.
Quando si ottengono i campioni, nell'informazione e nel consenso dovrebbero essere forniti
chiarimenti riguardo:
A. nel caso di test clinici
•
l'uso dei campioni per il solo scopo per cui sono stati raccolti e la loro distruzione successiva;
•
la loro conservazione; nel qual caso dovrebbero essere chiariti;
17
a) la possibilità di usare il materiale perché esso venga riesaminato in seguito a
perfezionamenti tecnici apportati al test;
b) il permesso di usare il materiale, una volta reso anonimo, per altre ricerche,
specificando il tipo di ricerche;
c) la durata della conservazione, includendo la previsione di un accesso futuro
al materiale conservato da parte del paziente o di un suo designato; l'opzione
della eliminazione su loro richiesta; la possibilità di perdita del campione.
B. a scopo di ricerca
•
la possibilità che la ricerca porti allo sviluppo di test diagnostici che possano essere utili al
paziente e ai suoi familiari;
•
il permesso di usare il materiale, una volta reso anonimo, per future ricerche;
•
la possibilità di ricontattare il paziente se il permesso di usare il materiale non è stato dato
•
la durata della conservazione del materiale.
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ASPETTI PSICO-SOCIALI
Con i test genetici è possibile individuare con anticipo una predisposizione familiare al cancro. Ma
al di là degli indiscutibili vantaggi di questa pratica, cosa succede nella mente e nel cuore di chi
scopre di poter essere esposto a una malattia così grave? Come si reagisce alla notizia di un test
positivo? Medico e paziente si trovano a dover prendere decisioni non in base alla certezza di
malattia ma solo alla sua fortissima probabilità. Sono state coniate nuove espressioni per definire
coloro che sanno che potranno contrarre una malattia, i malati di rischio o i non-pazienti; e proprio
queste espressioni sottolineano quanto la nuova realtà dei test genetici di predisposizione potrà
mettere in crisi i concetti di salute e di malattia, di terapia, di rapporto medico-paziente.
“Lo spostamento dell’attenzione dalla diagnosi (genetica) di una malattia in atto alla formulazione
di giudizio di probabilità che un soggetto contragga in futuro una certa malattia, comporta un
radicale cambiamento di orizzonte dal punto di vista strettamente scientifico, dal punto di vista
medico, dal punto di vista dei soggetti/pazienti e dal punto di vista delle istituzioni deputate alla
cura delle malattie e alla sanità. In altri termini, viene coinvolto l’intero spettro delle relazioni che si
instaurano tra i soggetti intorno alla malattia e alla salute….” (7).
L’impatto psico-sociale del rischio genetico nel paziente e nella famiglia può determinare una serie
di reazioni psicologiche ed affettive molto intense e difficili da gestire (8). Gli studi realizzati a
partire dagli inizi degli anni ’90 hanno evidenziato che gli aspetti che risultano essere maggiormente
critici sono i seguenti: la percezione del rischio, il processo di decision making, motivazioni,
speranze e paure prima del test genetico, capacità di adattamento al test genetico, vissuti psicoemozionali e modalità di adattamento al risultato, implicazioni psicosociali della comunicazione ai
familiari (9).
Sulla base di queste problematiche appare fondamentale l’offerta di una consulenza psicologica che
sostenga adeguatamente il singolo “perché decida circa l’esecuzione o meno del test e la
conoscenza o meno dell’esito, in modo tale da garantire il suo benessere fisico e psicologico e
quello dei familiari” (12).
La consulenza è un atto medico (7) ma essendo rivolta alla persona nella sua globalità implica
necessariamente un tipo di approccio multidisciplinare e integrato, che tenga conto dei diversi
aspetti e dei diversi bisogni della persona a rischio di tumore ereditario.
19
LA CONSULENZA GENETICA IN ONCOLOGIA
La definizione di consulenza genetica risale al 1975 (Ad hoc Committee on Genetic Counseling,
1975) (10) come “processo di comunicazione che concerne i problemi umani legati all’occorrenza,
o al rischio di ricorrenza di una patologia genetica in famiglia “ Tale definizione, valida ancor oggi
pone l’accento sul processo di comunicazione, che proprio per la valenza emotiva dei temi trattati,
quali malattia, morte procreazione, ha una forte connotazione psicologica e deve quindi essere
modulato secondo i molteplici significati che questi temi assumono per l’individuo. La consulenza
genetica è anche il momento di processi decisionali complessi riguardanti per esempio le scelte
riproduttive, o la scelta di far conoscere o meno la propria costituzione genetica e quindi il proprio
rischio di malattia. “Si tratta di decisioni che per la loro profonda risonanza non possono essere
delegate ad alcuna figura professionale e richiedono la piena autonomia decisionale, come
condizione essenziale perché l’esito di tali scelte venga integrato in modo non distruttivo nel mondo
psicologico ed etico dell’individuo o della coppia” (3)
La consulenza genetica in oncologia è un processo molto complesso finalizzato ad informare la
persona del possibile rischio relativo allo sviluppo di forme ereditarie di cancro. Essa si rivolge non
solo agli individui affetti da neoplasia, dai quali parte l’indagine genetica (probandi), ma anche ai
loro familiari sani, considerati come soggetti a rischio.
Elemento centrale in questo processo è la comunicazione, la quale deve essere chiara e adeguata
alla personalità dell’individuo (livello culturale, capacità cognitive di valutazione, caratteristiche
psicosociali ed affettive, presenza eventuale di altre malattie invalidanti o mortali), affinché egli
possa comprendere le informazioni date ed elaborare con consapevolezza le proprie scelte.
Nel caso specifico la consulenza genetica è costituita da due fasi principali: 1) la fase pre-test, che
precede l’esecuzione del test genetico per lo studio della predisposizione ereditaria allo sviluppo di
tumore, e 2) la fase post-test, successiva all’ottenimento del risultato di tale esame.
Entrambe le fasi comprendono specifiche componenti.
1) FASE PRE-TEST
•
Informazione sulla consulenza genetica, raccolta dei dati medici e familiari;
•
Assessment psicologica iniziale;
•
Consenso informato in cui il paziente dichiara di essere stato informato sul significato
del test genetico e accetta di fornire notizie sulla sua famiglia;
20
•
Raccolta dettagliata dell’albero genealogico e di informazioni “note in famiglia” relative
ad ogni familiare. Se vi è necesità di approfondire le informazioni (ad es.la
consultazione di referti medici, va chiesto il consenso informato dell’interessato);
•
Individuazione della familiarità del tumore;
•
Stima del rischio genetico, comunicazione della condizione di rischio;
•
Valutazione psicologica finalizzata ad indagare l’impatto psicosociale che la
comunicazione del rischio ha sulla persona in questione;
•
Comunicazione dell’ eliggibilità/non eliggibilità al test genetico;
•
Proposta di esecuzione del test genetico;
•
Decision making o fase decisionale: processo di decisione del paziente riguardo
all’esecuzione del test (necessarie almeno due settimane di tempo; possibilità di
supporto psicologico in questa fase)
•
Consenso al test genetico;
•
Prelievo di sangue;
2) FASE POST-TEST
•
Invito alla sorveglianza sia per chi accetta di eseguire il test sia per chi rifiuta;
•
Comunicazione del rischio genetico ai familiari: spetta al probando decidere se
informare o meno i propri familiari considerati a rischio;
•
Comunicazione del risultato del test genetico ad ogni persona sottoposta al test stesso;
A questo proposito occorre sottolineare che l’indagine genetica, finalizzata alla
individuazione di una alterazione molecolare nel patrimonio genetico, è un processo
molto complesso che potrebbe non risultare informativo oppure potrebbe richiedere mesi
o anni di analisi;
•
Programmi terapeutici e/o di sorveglianza;
•
Eventuale supporto psicologico, individuale o di gruppo;
•
Eventuale estensione del test genetico ai familiari.
Gli aspetti che caratterizzano la consulenza genetica in oncologia sono dunque numerosi e di
diversa natura. E’ infatti possibile individuare aspetti bio-medici (es. ricostruzione dell’albero
genealogico, benefici e limiti del test genetico, possibilità/impossibilità di programmi di
sorveglianza, controllo e prevenzione), etici (es. consenso informato, libertà personale) e
psicosociali.
21
Nella letteratura scientifica nazionale ed internazionale si rintracciano varie esperienze di
consulenza genetica le quali, però, utilizzano protocolli di ricerca in cui le fasi sopraccitate
avvengono in tempi diversi e secondo modalità diverse. Pertanto risulta estremamente difficile
confrontare le ricerche fin’ora effettuate (11). In ogni caso un aspetto che risulta essere di
fondamentale importanza è che la condizione del paziente affetto (probando) e quella del soggetto
sano (familiare) sono estremamente diverse e richiedono, pertanto, un approccio di consulenza
differenziata, adeguato alle peculiarità dei problemi e dei bisogni.
CONSULENZA PSICOLOGICA PER I SOGGETTI A RISCHIO DI TUMORE EREDITARIO
La consulenza psicologica viene ormai considerata come una componente integrante della
consulenza genetica; la presenza dello psicologo appare importante sin dall’inizio della consulenza
per la sua indiscussa funzione di mediatore della comunicazione e in quanto esperto delle dinamiche
psichiche ed affettive individuali (9).
“La presa in carico della persona alla quale viene comunicato il rischio di cancro dovrebbe, infatti,
avvenire congiuntamente da parte del medico e dello psicologo che collaborano insieme per il
raggiungimento dello stesso obiettivo: migliorare la qualità della vita della persona a rischio
riducendo i livelli di stress e di sofferenza psicologica, tutto ciò attraverso una risposta globale ai
suoi bisogni” (13).
•
Presenza dello psicologo sin dal primo incontro con il clinico per eventuali richieste e/o
informazioni e per osservare le reazioni del soggetto alle informazioni ricevute;
•
Assessment psicologico iniziale finalizzato alla valutazione psicosociale globale del
probando (storia personale, caratteristiche di personalità, vissuti psicoaffettivi nei confronti
dell’ereditarietà e del test genetico) (14) e alla eventuale esclusione dei soggetti con disturbi
psichiatrici e/o basso livello cognitivo (15);
•
Presenza dello psicologo durante la comunicazione del rischio genetico;
•
Eventuale supporto psicologico nella fase di decision making finalizzato ad aiutare la
persona ad effettuare la scelta migliore per sé e per la sua famiglia;
•
Eventuale supporto psicologico nella fase di attesa del risultato (qualora il paziente avesse
deciso di effettuare il test genetico e di conoscerne il risultato). Questo periodo risulta,
infatti, essere particolarmente delicato per il paziente, il quale potrebbe presentare dei disagi
di natura psicologica o addirittura di natura psicopatologica;
•
Eventuale supporto dello psicologo per i soggetti che acconsentono al test genetico ma
decidono di non essere informati del risultato. Questi pazienti con l’andare del tempo
22
potrebbero presentare dei dubbi relativi alla scelta effettuata o dei disagi psicologici dovuti
alla condizione di “non sapere”;
•
Presenza dello psicologo al momento della comunicazione del risultato;
•
Valutazione psicologica del soggetto successiva alla comunicazione del risultato.
•
Eventuale supporto psicologico individuale o di gruppo.
Il percorso di consulenza psicologica per soggetti a rischio di tumore ereditario prevede comunque
un diverso approccio per il probando e per il familiare sano.
TEST GENETICI E RIPRODUZIONE
La diffusione di test che consentono di individuare malattie neoplastiche ereditarie solleva anche il
problema di come gestire le scelte riproduttive da parte dei soggetti interessati.
Gran parte dei termini della questione rientra nella analisi etica già affrontata, nell’ambito della
Genetica Medica, per le malattie ereditarie, specialmente le più gravi. Nel campo oncologico,
seguendo le riflessioni già elaborate in questo documento, il collegamento tra i test, la trasmissione
e la manifestazione delle patologie, e le decisioni riproduttive richiede ulteriori approfondimenti
considerando le possibili applicazioni dei test e le loro ripercussioni sui vari ambiti culturali,
psicologici e morali.
Argomenti sicuramente da sviluppare nel prossimo futuro.
23
BIBLIOGRAFIA CONSULTATA
1. “Orientamenti bioetici per i test genetici” del Comitato Nazionale per la Bioetica, 19 novembre
1999, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria
2. L’Associazione Americana di Oncologia Clinica, “Statement of the American Society of
Clinical Oncology: Genetic Testing for Cancer Susceptibility”, 1996;
3. “Linee guida per i Test genetici” del Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie,
1999, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria
4. “Frontiere della Vita”, estratto dal volume IV, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da
Giovanni Treccani, 1999.
5. DALY MB, OFFIT K, LI F, GLENDON G, YAKER A, WEST D, KOENIG B, MCCREDIE
M, VENNE V, NAYFIELD S, SEMINARA D. Participation in the cooperative family registry
for breast cancer studies: issues of informed consent J Natl Cancer Inst.92:452-6, 2000
6. “ACMG Statement – Statement on Storage and Use of Genetic Materials”, American College of
medical Genetics Storage of Genetics Materials Committee, Am J Hum Genet. 57:1499-500.
1995.
7. TAMBURINI M., SANTOSUOSSO A. Malati di rischio. Milano: Masson, 1999.
8. KASH K.M., ORTEGA-VERDEJO K., DABNEY M.K., HOLLAND J.C., et al. Psychosocial
aspects of cancer genetics: women at high risk for breast and ovarian cancer. Seminars in
Surgical Oncology, 18: 333-338; 2000.
9. KASH M., LERMAN C. Psychological, social and ethical issues in gene testing. In:
HOLLAND J.C. ed. Psicho-Oncology. New York: Oxford University Press, 1998.
10. “Ad hoc committee on Genetic Counseling. Report to the American Society of Human
Genetics”, Am. J. Hum. Genet., 27; 240-242, 1975.
11. CROTTI N. La consulenza genetica in oncologia: obiettivi, norme, procedure, problemi. In:
AMBROSIANI G., BARNI S., FRONTINI L. ed. Ereditarietà e Cancro. Trento, 2000.
12. CROTTI N., DI LEO S., VITERBORI P. La consulenza genetica. Salute territorio 1997; 104:
223-226.
13. GANGERI L. Perché e quale intervento psicologico. In: AMBROSIANI G., BARNI S.,
FRONTINI L. Ereditarietà e Cancro. Trento, 2000.
14. BOTKIN J.R., CROYLE R.T., SMITH K.R., et al. A model protocol for evaluating the
behavioral and psychosocial effects of BRCA1 testing. Journal of the National Cancer Instiutte,
Vol. 88, No. 13, July 3, 1996
24
15. MURST-COFIN 1999, Programma di ricerca scientifica di rilevante interesse nazionale:
Realizzazione di una rete nazionale per lo studio dei tumori ereditari della mammella/ovaio.
Coordinatore Scientifico: Prof. V. Silingardi - Gruppo di lavoro 4: Counselling genetico.
Coordinatore: Prof.ssa A. Contegiacomo
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COMPONENTI DEL COMITATO ETICO DEL CENTRO ONCOLOGICO REGIONALE DI
PADOVA
• Dr.ssa Eleonora Capovilla - Divisione di Oncologia Medica
• Dr. Daniele Donato – Direttore Sanitario dell’Azienda Ospedaliera di Padova
• Prof. Mario Fiorentino
• Dr. Giulio Galeota
• Prof. Giovanni Cecchetto - Dipartimento di Pediatria - Divisione di Chirurgia Pediatrica
Il Coordinatore del COR:
• Prof. Mario Lise
• Dr. Renzo Pegoraro
• Dr. Alberto Rasi Caldogno
• Dr. Alberto Rigon- Divisione di Radioterapia
• Prof.ssa Paola Zanovello - Dipartimento di Scienze Oncologiche e Chirurgiche - Sezione di
Oncologia
• Dr.ssa Franca Anglani
Istituto di Medicina Interna - Policlinico IV Piano
• Prof.ssa Gabriella Villani
Rappresentante dei malati.
• Dr. Damiano Donadello
• Dr. Alberto Raimondo - Istituto Medicina Legale
• Sig. Franco Fiorotto
• Sig.a Luciana Trevisan
Dipartimento di Scienze Oncologiche e Chirurgiche - Sezione di Clinica Chirurgica II.
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COMPONENTI DEL GRUPPO DI LAVORO GENETICA ED ONCOLOGIA
• Dr.ssa Franca Anglani
Istituto di Medicina Interna - Policlinico IV Piano
• Dr.ssa Eleonora Capovilla
Divisione di Oncologia Medica
• Dr. Giovanni Cecchetto
Dipartimento di Pediatria – Sezione Chirurgia Pediatrica
• Dr.ssa Emma D’Andrea
Dipartimento di Sacienze Oncologiche e Chirurgiche
• Dr. Fallo
Semeiotica – Endocrinologia
•
Prof. M. Fiorentino
•
Sig. Franco Fiorotto
•
Dr. Renzo Pegoraro
• Dr. Alberto Raimondo
Istituto di Medicina Legale
• Prof. Romano Tenconi
Divisione di Pediatria – Servizio di Genetica Medica
• Prof.ssa Gabriella Villani
Rappresentante dei malati.
• Prof.ssa Paola Zanovello
Dipartimento di Scienze Oncologiche e Chirurgiche
• Dr. Giorgio Zavagno
Clinica Chirurgica II
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