Orientabilità, pettinabilità, immergibilità

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Orientabilità, pettinabilità, immergibilità
Teoria ed Esercizi di Geometria Differenziale - A. Sambusetti
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Topologia delle Varietà e delle Sottovarietà
Uno degli scopi della geometria moderna (ma non l’unico, né necessariamente
il più importante, né generalmente raggiungibile) è la classificazione delle strutture topologico-geometriche degli spazi a meno di isomorfismi della struttura
prescelta: per esempio, la classificazione delle varietà topologiche modulo omeomorfismi, oppure delle varietà differenziabili modulo diffeomorfismi, o ancora
delle varietà riemanniane (che vedremo più in là) modulo isometrie ecc.
Questo paradigma è fortemente ispirato dal pensiero del grande matematico
Felix Klein, che nel Programma di Erlangen (1872) presentò il suo progetto di
unificazione della geometria, vista come studio delle principali strutture geometriche di un oggetto (a quel tempo: euclidee, affini, proiettive) a meno del loro
gruppo di simmetrie (i.e. trasformazioni proiettive che preservano la struttura).
Questa idea è fondamentale anche per non perdersi tra la quantità di nozioni
nuove che si introducono in geometria differenziale: è sempre utile comprendere
a quale categoria appartenga una nozione, e quali siano i morfismi e isomorfismi
più naturali nella categoria. Per esempio, nella teoria delle varietà differenziabili, le trasformazioni più naturali (“morfismi”) tra questi oggetti sono le mappe
F : S → S 0 di classe C ∞ , oppure le mappe regolari, e i cui “isomorfismi” sono
i diffeomorfismi tra varietà. Considerando una struttura più sofisticata, come
quella per esempio di sottovarietà Riemanniana (S, euc) di Rn , cioè di sottovarietà differenziabile di Rn in cui teniamo conto che ogni spazio tangente è
munito del naturale prodotto scalare euclideo (e che, come vedremo, permette
di misurare angoli, distanze, volumi su S), le trasformazioni più naturali sono le
applicazioni isometriche F : (S, euc) → (S 0 , euc), quelle cioè il cui differenziale
preserva il prodotto scalare euclideo, e i cui isomorfismi sono detti isometrie
(applicazioni isometriche biiettive). Restringendo ulteriormente il gruppo di
simmetrie interessanti per tale struttura, potremmo considerare la stessa categoria delle sottovarietà riemanniane di Rn ma con isomorfismi dati dalle congruenze: quelle particolari isometrie, cioè, ottenute per restrizione delle isometrie dello spazio euclideo ambiente. Una categoria può avere come oggetti anche
delle mappe: per esempio, l’insieme delle immersioni di varietà i : S ,→ Rn ,
modulo particolari classi di deformazioni (omotopia regolare, isotopia, isotopia
ambiente ecc.), costituisce un soggetto di studio centrale della topologia differenziale moderna: si pensi alla teoria dei nodi, lo studio cioè delle immersioni
i : S 1 ,→ Rn modulo isotopia ambiente (trasformazioni F : [0, 1] × Rn → Rn di
classe C ∞ le cui sezioni ft = f |t×Rn siano diffeomorfismi, che trasformano per
composizione un’immersione i in un’altra immersione i0 ).
In questo capitolo studieremo alcune caratteristiche topologiche (più precisamente: topologico-differenziali) delle varietà e delle sottovarietà immerse
S ⊂ Rn : ovvero, degli invarianti delle categorie 1
Diff = ( varietà differenziabili , diffeomorfismi )
Imm(S) = ( mappe regolari S → Rn , omotopia regolare )
1 Si ricordi che, al contrario della terminologia che usiamo noi, in letteratura il termine
immersione indica un’applicazione regolare, non necessariamente iniettiva.
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Sproniamo il lettore a interpretare ogni teorema ed ogni nozione introdotta
in questi appunti come un risultato (o un invariante) nell’opportuna categoria.
Dire, per esempio, a quali categorie (specificando oggetti e isomorfismi) fanno
riferimento i seguenti argomenti trattati in questo e nei prossimi capitoli:
– la classificazione delle curve astratte;
– la nozione di lunghezza di una curva e il teorema di riparametrizzazione;
– la nozione di curvatura di una curva;
– la classificazione delle curve dello spazio tramite curvatura e torsione;
– la nozione di indice di rotazione e avvolgimento di una curva;
– la nozione di cono e spazio tangente;
– la dimensione di una varietà;
– il bracket di campi, e la sua interpretazione geometrica tramite traiettorie;
– le nozioni di orientabilità e pettinabilità;
– la minima dimensione di Rn in cui è possibile immergere una varietà;
– la rovesciabilità;
– il gradiente di una funzione su una sottovarietà;
– geodetiche, e teoremi di esistenza e unicità;
– angoli, volumi;
– le varie nozioni di curvatura per una superficie;
– il teorema di Meusnier, ed il teorema Egregium di Gauss;
– il teorema di Gauss-Bonnet, ecc...
2.1
Orientabilità
Definizione 2.1.1 (Orientabilità per ipersuperfici)
Un’ ipersuperficie S ⊂ Rn si dice orientabile se ammette un campo vettoriale
normale N continuo mai nullo. Intuitivamente, ciò equivale a fissare un “lato”
della superficie, cioè un “sopra” (indicato da N ) e un “sotto” di S, in modo
continuo e coerente su tutta S.
Una carta ϕ : U → S si dirà compatibile con l’orientazione definita da N
(o, più brevemente, N-orientata) se la base ordinata B = (dϕ(e1 ), ..., dϕ(en−1 ), N )
è una base equiversa di Rn .
♥ Esercizio 2.1.2 Mostrare che:
(i) ogni ipersuperficie parametrizzata embedded S è orientabile;
(ii) ogni ipersuperficie differenziabile definita da un’equazione cartesiana regolare g(x1 , ..., xn ) = 0 è orientabile;
(iii) un’ipersuperficie S è orientabile se e soloî se possiedeó un atlante orientato:
un atlante A = {(ϕi , Ui )}, cioè, tale che det d(ϕi ◦ ϕ−1
j ) > 0, per ogni punto
−1
in cui la composizione ϕi ◦ ϕj è definita.
Suggerimento per (ii), ”solo se”: mostrare che se ϕ = (ϕi ) : U ⊂ Rn−1 → Rn è una
carta per la varietà S = ϕ(U ) orientata da N , allora o ϕ è N -orientata, oppure lo è
ϕ− = (ϕ1 , ϕ2 , ..., ϕn−2 , −ϕn−1 ).
Suggerimento per (i), ”se”: utilizzare che se L : Rn → Rn è un endomorfismo, vale
det[L(v1 ), ..., L(vn )] = det(L) · det[v1 , ..., vn ].
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Definizione 2.1.3 (Orientabilità per varietà differenziabili qualsiasi)
In virtù di (iii), una d-varietà differenziabile S (non necessariamente un’ipersuperficie di Rn !) si dirà orientabile se ammette un atlante orientato. In effetti,
l’equivalenza di (i) con (iii) mostra che l’orientabilità è una proprietà topologica, e non dipende da come l’ipersuperficie è immersa nello spazio: in altre
parole, qualsiasi varietà C 1 -diffeomorfa ad una varietà orientabile è anch’essa
orientabile.
♥ Esercizio 2.1.4 (Nastro di Moebius)
Sia γ : R → R3 γ(ϑ) = 2(cos ϑ, sin ϑ, 0), la parametrizzazione del cerchio di
centro O e raggio 2 giacente nel piano Oxy, e sia πϑ il piano contenente l’asse
ẑ e passante per γ(ϑ). Per ϑ, s ∈ R×] − 1, 1[ si consideri la parametrizzazione
rigata F (ϑ, s) = γ(ϑ) + sv(ϑ), in cui v è il campo vettoriale continuo lungo γ
cosı̀ definito: v(s) è un versore che giace nel piano πs tale che ∠ẑ, v(s) = ϑ2 .
La porzione di superficie rigata S = Im(F ) si dice un nastro di Moebius.
(i) Scrivere esplicitamente F (ϑ, s), e verificare che F è C ∞ e regolare;
(ii) mostrare che S è una superficie differenziabile;
(iii) mostrare che S è omeomorfa al rettangolo Q = [0, 2π]×] − 1, 1[ quozientato
per la relazione che identifica ogni punto del tipo (0, y) al punto (2π, −y);
(iv) definire un campo vettoriale N (ϑ) lungo γ, che sia C ∞ , normale e unitario,
e tale che N (0) = x̂; quanto vale N (2π)?
(v) dimostrare che ogni campo vettoriale continuo, normale e unitario lungo γ
tale che N (0) = x̂ coincide con N ; la superficie S è orientabile? Perché?
Esercizio 2.1.5 (Bottiglia di Klein)
Una bottiglia di Klein è una superficie differenziabile omeomorfa al quadrato
Q = [−π, π] × [0, 2π] quozientato per la relazione che identifica ogni punto del
tipo (−π, y) al punto (π, y), ed ogni punto (x, 0) al punto (−x, 2π). 2
Sia α(s) = (2 + cos s, 0, sin s) la parametrizzazione di un cerchio C in Oxz.
Si consideri F (s, ϑ) = (Rẑ,ϑ ◦ Rx̂,ϑ/2 )(α(s)) per s, ϑ ∈ R, dove Rx̂,ϑ/2 ruota
la circonferenza C di ϑ2 attorno all’asse x̂, ed Rẑ,ϑ ruota la circonferenza cosı̀
ottenuta attorno all’asse ẑ di un angolo ϑ.
(i) Notare che se P = F (s, 0) = (x, 0, z) ∈ C, si ha F (s, 2π) = (x, 0, −z) ∈ C;
cioè ogni punto di C “dopo un giro” viene sovrapposto da F al suo simmetrico
rispetto all’asse x̂. La superficie parametrizzata S = Im(F ) sembra dunque un
buon candidato ad essere una bottiglia di Klein...
(ii) Scrivere esplicitamente F (s, ϑ), e verificare che F è C ∞ ma purtroppo non
regolare; quindi non possiamo dedurre che S è una superficie differenziabile
(calcolare lo spazio tangente in qualche punto per mostrare che non lo è).
(iii) Possiamo però usare F per costruire una nuova parametrizzazione regolare
F̂ : R2 → R4 , la cui immagine Ŝ = Im(F̂ ) è una superficie differenziabile
omeomorfa alla bottiglia di Klein.
2 Ciò è equivalente a quozientare il prodotto S 1 × [−1, 1] per la relazione che identifica ogni
punto del tipo (p, −1) al punto (S(p), 1), dove S è il simmetrico di p rispetto a un diametro
fissato di S 1 .
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Suggerimento: basta definire F̂ (s, ϑ) = (F (s, ϑ), f (ϑ)) per una funzione f (ϑ) scelta bene,
in modo da rendere F regolare (e ancora tale che F̂ (s, 0) e F̂ (s, 2π) differiscano solo per la
coordinata z opposta)...
Complimenti: avete costruito la vostra prima superficie nello spazio quadrimensionale che non esiste nello spazio tridimensionale!
Non è che noi non siamo abbastanza bravi da costruire S come una superficie in R3 : semplicemente, nessuna superficie differenziabile di R3 può essere
omeomorfa a una bottiglia di Klein. Difatti,vedremo nella sezione §2.3 che ogni
ipersuperficie differenziabile compatta di Rn ammette un’equazione cartesiana
regolare globale; dunque ogni ipersuperficie differenziabile compatta di Rn è orientabile (ed S non lo è). La bottiglia di Klein può essere realizzata in R3 solo
come una superficie regolare non immersa, cioè con auto-intersezioni.
2.2
Pettinabilità
Definizione 2.2.1 (Pettinabilità)
Una varietà sottovarietà S ⊂ Rn , o più in generale una varie‘a astratta S si dice
pettinabile se ammette un campo vettoriale tangente T continuo mai nullo. Anche la pettinabilità è una proprietà topologica delle sottovarietà: una varietà S 0
che sia C 1 -diffeomorfa a una sottovarietà S pettinabile è pettinabile anch’essa
(basta trasportare il campo T da S a S 0 tramite push forward usando il diffeomorfismo).
La nozione di pettinabilità per una varietà è in un certo senso ortogonale a
quella di orientabilità, ma è molto più restrittiva per varietà compatte; basta
provare a costruire campi tangenti e mai nulli sulle più semplici varietà per
accorgersene:
♥ Esercizio 2.2.2 (Campi tangenti)
(i) Definire un campo vettoriale C ∞ , tangente e mai nullo sul toro di rotazione.
(ii) Definire un campo vettoriale C ∞ , tangente e mai nullo su S 1 .
(iii) Definire un campo vettoriale tangente Vλ , di classe C ∞ , sulla sfera S 2 \{n, s}
privata dei due poli, che faccia angolo costante (diverso da 0 e π2 ) con tutti i
meridiani; dimostrare che non si estende ad un campo vettoriale continuo non
nullo su tutta S 2 .
(iv) Definire un campo vettoriale C ∞ , tangente e mai nullo sulla sfera ndimensionale S n , per n dispari.
Teorema 2.2.3 Non esiste un campo vettoriale C 0 , tangente e mai nullo, definito
su tutta S n , per n pari. Per esempio, la sfera bi-dimensionale non è pettinabile.
(Per fortuna la testa è C 1 -diffeomorfa ad una sfera meno un punto.)
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Daremo due dimostrazioni di questo teorema.
La prima è breve ma necessita di un fatto (non elementare) che viene di solito dimostrato in un primo corso di Topologia Algebrica, tramite lo studio dei gruppi
di omologia n-dimensionali della sfera: la mappa antipodale i : S n → S n non è
omotopa all’identità se n è pari (cf. cap. 16 in Algebraic Topology, Greenberg).
La seconda è più lunga ma completamente di pertinenza della geometria differenziale elementare, ed è dovuta a John Milnor (uno dei pochi matematici ad
aver vinto tutti e tre i più importanti riconoscimenti in matematica: medaglia
Fields, premio Wolf e premio Abel); la sua idea mostra in modo esemplare come
la padronanza e la mescolanza di tecniche “elementari” di algebra, analisi e
geometria differenziale sia un asso nella manica formidabile in matematica.
Dimostrazione del Teorema 2.2.3 tramite Topologia Algebrica.
Supponiamo che V sia un campo vettoriale continuo mai nullo su S n ;
normalizzandolo, possiamo supporre di avere V̂ : S n → S n . Notiamo allora
che, per ogni punto P ∈ S n , B = {P, V̂ (P )} è una base ortonormale di un piano
πP , che interseca la sfera S n in una circonferenza SP , parametrizzata da:
f (ϑ) = cos ϑP + sin ϑV̂ (P ).
Al variare di ϑ = 0, π2 , π il punto f (ϑ) varia rispettivamente tra P, V̂ (P ) e
l’antipodale di P . Pertanto, l’applicazione f : S n × [0, π] → S n definita da
f (P ) = cos ϑ · P + sin ϑ · V̂ (P ) realizza un’omotopia tra l’identità e la mappa
antipodale i. Questo contraddice quanto detto all’inizio se n è pari, dunque un
tale campo V non può esistere.2
Per la dimostrazione “differenziale” del Teorema 2.2.3, premettiamo il seguente
lemma elementare in Rn :
Lemma 2.2.4 Sia V : D ⊂ Rn+1 → Rn+1 un campo vettoriale almeno C 1
sul dominio D, e sia Ft : D → Rn la mappa definita da Ft (P ) = P + tV (P ).
Supponiamo che Ft sia un diffeomorfismo per t ∼ 0: allora t 7→ vol(Ft (D)) è
una funzione polinomiale in t (i cui coefficienti dipendono da V e D).
Dimostrazione. Difatti, consideriamo la matrice di funzioni A(P ) = (dV )P , di
ordine (n + 1). Si ha (dFt )P = id + tA(P ) e dunque
Jac Ft (P ) = det(dFt )P = a0 (P ) + a1 (P )t + · · · + an+1 (P )tn+1
Si noti che, se t ∼ 0, si ha (dFt )P ∼ id, dunque il segno di Jac Ft (P ) è costante
e positivo. Sicché per teorema di cambio di variabile in Rn otteniamo
Z
ã
n ÅZ
X
vol(Ft (D)) =
|JacFt (x)|dx =
ai (P )dP ti .2
D
i=0
D
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Dimostrazione del Teorema 2.2.3 tramite Geometria Differenziale.
Supponiamo come prima che che V̂ sia un campo vettoriale unitario su S n , e
definiamo l’applicazione F̂t : S n → Rn come F̂t (P ) = P + tV̂ (P ).
Lemma 2.2.5√Se t è abbastanza piccolo, tale mappa dà un diffeomorfismo
√
F̂t : S n → S n ( 1 + t2 ) di immagine la sfera centrata in O, di raggio 1 + t2 .
√
Notiamo infatti innanzitutto che tale mappa è a valori in S n ( 1 + t2 ) in quanto
P ⊥ V̂ (P ), pertanto kP + tV̂ (P )k2 = kP k2 + t2 kV̂ (P )k2 = 1 + t2 .
Mostriamo ora che F̂t è iniettiva se t è abbastanza piccolo. Infatti, la mappa F̂t è
Lipschitz (essendo C 1 , tutte le sue derivate prime sono continue su un compatto,
quindi limitate);
se C è la äcostante di Lipschitzianità e t < 1/C, l’uguaglianza
Ä
P − Q = t · V̂ (P ) − V̂ (Q) implica kP − Qk ≤ |t| · C · kP − Qk < kP − Qk, che
è un assurdo se P 6= Q.
Mostriamo ora che F̂t è anche suriettiva. Prima, osserviamo che F̂t è un diffeomorfismo locale per t abbastanza piccolo: infatti (dF̂t )P = id − t(dV̂ )P
e i coefficienti della matrice dV̂ sono funzioni continue e limitate sull’insieme
compatto S n , per cui (dF̂t )P ∼ id se t ∼ 0. Ne segue che F̂t è un’applicazione
aperta; ma dato che F̂t è un’applicazione
continua tra spazi compatti, essa è
√
anche chiusa. Poiché l’immagine S n ( 1 + t2 ) è connessa, F̂t è suriettiva.
Abbiamo mostrato allora che F̂t è, per piccoli valori di t, una mappa regolare e
biiettiva, dunque un diffeomorfismo.2
Proseguiamo con la dimostrazione del Teorema 2.2.3.
Estendiamo naturalmente V̂ e F̂t alla corona circolare aperta An+1 (r, R) ⊂ Rn+1
di raggi interno ed esterno 0 < r < 1 < R. Precisamente, se P = sP̂ con P̂ ∈ S n ,
poniamo:
V (P ) := rV (P̂ )
Ft (P ) := P + tV (P )
e notiamo che Ft (rP̂ ) = rF̂t (P̂ ) per costruzione.
Inoltre Ft è regolare per r, R ∼ 1, per lo stesso calcolo√di dFt fatto
√ nel lemma
precedente. Ne segue che Ft : An+1 (r, R) → An+1 (r 1 + t2 , R 1 + t2 ) è un
diffeomorfismo se t è abbastanza piccolo.
Per il lemma 2.2.4, il volume vol[Ft (An+1 (r, R))] è una funzione
√ polinomiale
√ di t.
D’altra parte, per costruzione Ft (An+1 (r, R)) = An+1 (r 1 + t2 , R 1 + t2 ),
dunque abbiamo
än+1
Äp
vol[Ft (An+1 (r, R))] =
1 + t2
vol[An+1 (r, R)]
e questa non è una funzione polinomiale di t, a meno che n + 1 sia pari.
Ne segue che se S n è pettinabile, allora n è necessariamente dispari.2
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Immergibilità
In questo capitolo dimostreremo due risultati importanti sulla possibilità di
immergere in Rn e rappresentare con equazioni cartesiane le varietà astratte.
Il primo risultato riguarda il seguente problema (che forse vi sarete già posti):
data un’ipersuperficie di Rn , è possibile descriverla con un’unica equazione cartesiana globale regolare (o, per una sottovarietà di codimensione maggiore di 1,
con un sistema di equazioni cartesiane globali)?
Per sottovarietà S di dimensione k < n − 1 ciò non è sempre possibile. Un
tale sistema di equazioni implica infatti che il fibrato tangente di S è banale:
∼
cioè, esiste un diffeomorfismo F : T S → S × Rn−k la cui restrizione a ogni
spazio tangente TP S è un isomorfismo lineare TP S → {P } × Rn−k . La maggior
parte delle sottovarietà di Rn non ha spazio tangente banale in questo senso.
Per ipersuperfici compatte, invece, il seguente teorema fornisce una risposta positiva:
Teorema 2.3.1 Ogni ipersuperficie compatta S di Rn ammette un’equazione
cartesiana globale regolare g(x1 , ..., xn ) = 0, definita in un dominio D ⊂ Rn
contenente S.
L’idea di dimostrazione di questo teorema è semplice: un’ipersuperficie S ⊂ Rn
ammette sempre quello che si chiama intorno tubulare di S di spessore ε:
U(S, ε) = {Q = P ± tN (P ) | P ∈ S, − < t < }
(dove N (P ) è un qualsiasi versore normale a S in P ) ottenuto prendendo tutti
i punti dello spazio a distanza minore di da S. La funzione “distanza da S” è
quindi una funzione d : U(S, ε) → R il cui insieme degli zeri è precisamente S!
Purtroppo, la verifica del fatto che la distanza di Q = P + tN (P ) da S sia
precisamente t quando ∼ 0 (e dunque che la distanza sia una funzione regolare)
è piuttosto fastidiosa. La dimostrazione che daremo si ispira quindi a tale idea,
senza però utilizzare la distanza.
Lemma dell’intorno tubulare 2.3.2 Se ε > 0 è sufficientemente piccolo,
si ha P + N (P )t = P 0 + N (P 0 )t0 se e solo se P = P 0 , N (P ) = ±N (P 0 ) e t = ±t0 .
Dimostrazione del Lemma.
Per ogni P fissato, consideriamo un intorno UP di P in S su cui sia definito un
campo unitario normale N , e consideriamo la mappa F : UP × R → Rn data da
F (P ) = P + tN (P ). Il differenziale di F in un punto (P, 0) è la mappa lineare
(dF )P,0 : TP,t (UP × R) ∼
= TP UP ⊕ R → Rn
data da (dF )P,0 (u, s) = u+sN (P ), e dunque un isomorfismo. Ne segue che esiste
un intorno VP ×(−, ε) di (P, 0) sul quale F è un diffeomorfismo; dunque, la proprietà enunciata nel lemma vale almeno nell’intorno VP (si noti che l’uguaglianza
P + N (P )t = P 0 − N (P 0 )t0 è esclusa se VP è abbastanza piccolo, in quanto esiste
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una carta per la quale VP ×(0, εP ) e VP ×(−εP , 0) sono mappati in due semispazi
distinti di Rn ). Poiché S è compatta, possiamo dunque coprirla con un numero
finito di intornVPi con tale proprietà. Sia ora δ = δ(V) il numero di Lebesgue
del ricoprimento V = {VPi }: il numero δ, cioè, tale che se d(P, P 0 ) < δ allora
P e P 0 appartengono a uno stesso intorno VPi (cf. qualsiasi libro di Topologia).
L’enunciato del lemma è vero allora scegliendo ε = δ/3: difatti, se d(P, P 0 ) < δ,
i punti P, P 0 appartengono allo stesso VPi e per essi abbiamo già verificato che
l’enunciato è vero; se invece d(P, P 0 ) ≥ δ, se |t| < per la disuguaglianza triangolare si ha d(P + tN (P ), P 0 + tN (P 0 )) ≥ d(P, P 0 ) − 2ε ≥ δ − 32 δ > 0.2
Dimostrazione del Teorema 2.3.1.
Consideriamo un intorno tubulare U(S, ε) che verifica l’enunciato del lemma.
Chiamiamo g : U(S, ε) ⊂ Rn → R la funzione g(Q) = t, dove t è l’unico valore
per cui vale Q = P + tN (P ) con P ∈ S e |t| < ε. Chiaramente, g(x1 , ..., xn ) = 0
è un’equazione cartesiana per S. Essa è differenziabile in quanto, nell’intorno
VP di S fornito dal lemma, la mappa F : VP × (−, ε) → Rn è un diffeomorfismo
sull’immagine; se π2 : VP × (−, ε) → R indica la proiezione sul secondo fattore,
∞
si ha dunque g = π2 ◦ F |−1
VP ×(−,ε) , e pertanto g è composizione di mappe C .
d
Inoltre g è regolare in ogni P ∈ S, dato che (dg)P (NP ) = dt (P + tNP )|t=0 = 1,
ovvero rk(dg) = 1 su S.2
Dal Teorema 2.3.1 e da quanto visto nel capitolo sull’orientabilità (Esercizio
2.1.2), segue immediatamente:
Corollario 2.3.3 Ogni ipersuperficie compatta di Rn è orientabile.
Pertanto, la bottiglia di Klein non è diffeomorfa ad alcuna superficie di Rn , né
alcuna altra superficie non orientabile compatta.
Nota. Il Lemma dell’intorno tubulare si estende a ipersuperfici chiuse, non
necessariamente compatte, con un poco più di sforzo . Quindi il teorema 2.3.1
ed il Corollario 2.3.3 in realtà valgono per ipersuperfici chiuse di Rn , anche non
compatte.
ll secondo risultato che presentiamo è un teorema di immergibilità, dimostrato
da H. Whitney negli anni ’30, che mostra che, dal punto di vista puramente
teorico, la nozione di varietà differenziabile astratta non è più generale della
nozione di sottovarietà di Rn :
Teorema di Whitney 2.3.4 Ogni d-varietà differenziabile S è diffeomorfa ad
una sottovarietà di R2d+1 , i.e. esiste sempre un embedding S ,→ R2d+1 .
Il teorema vale per varietà differenziabili qualsiasi, ma noi ci limiteremo a dare
la dimostrazione esclusivamente nel caso compatto. La dimostrazione nel caso
generale non contiene idee sostanzialmente differenti, ma solo complicazioni
tecniche dovute alla necessità di ricoprire S con un numero infinito di carte
(ricordiamo che ogni varietà differenziabile è sempre supposta paracompatta,
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cioè tale che da ogni ricoprimento aperto è sempre possibile estrarre un raffinamento localmente finito; questa condizione è essenziale per poter procedere nel
caso non compatto).
Inoltre, sempre H. Whitney ha successivamente migliorato di tale risultato, dimostrando che ogni d-varietà S ammette un embedding in R2d . Come mostra
l’esempio della bottiglia di Klein, che non è realizzabile come sottovarietà di
R3 per il Corollario 2.3.3, tale dimensione è ottimale (cioè non si può abbassare
ulteriormente, in generale).
Per dimostrare il Teorema di Whitney avremo bisogno di tre ingredienti: il
Teorema di Sard (cf. cap. §1.2), l’esistenza delle partizioni dell’unità su una
varietà differenziabile e ...una buona idea per immaginare l’immersione S ,→ Rn .
Definizione 2.3.5 (Partizioni dell’unità)
Sia V = {Vα } un ricoprimento aperto di S. Una partizione dell’unità per S
subordinata al ricoprimento V è una collezione di funzioni (λk ) su S tali che:
(i) per ogni λk esiste un Vα ∈ U tale che λk b Vα ;
(ii) per ogni P esiste soloPun numero finito di λk tali che λk (P ) 6= 0;
(ii) λk ≥ 0 per ogni k, e k λk (P ) = 1 per ogni P .
Lemma 2.3.6 (Esistenza delle partizioni dell’unità)
Per ogni ricoprimento aperto V = {Vα } di una varietà S esiste una partizione
dell’unità (λk ) subordinata a V.
La dimostrazione dettagliata del Lemma 2.3.6 è tecnica ma le idee sono elementari, e sono descritte qui di seguito. Il lemma di esistenza di partizioni dell’unità
è uno strumento utile per “incollare” oggetti (C k ) definiti solo localmente e ottenere oggetti (C k ) definiti su tutta la varietà: ne faremo uso non solo per la
dimostrazione del Teorema di Whitney, ma anche per la costruzione di metriche
riemanniane su varietà astratte, per definire misure e integrali, ecc.
Il primo passo è la costruzione delle cosiddette “bump functions”:
Esercizio 2.3.7 (Bump functions)
(i) Costruire f : R → [0, 1] di classe C ∞ tale che f (x) = 1 per |x| ≤ 1, mentre
f (x) = 0 per |x| ≥ 2.
(ii) Costruire F : Rn → [0, 1] di classe C ∞ tale che F (x) = 1 su [−1, 1]n , mentre
F (x) = 0 fuori di [−2, 2]n .
Suggerimento: utilizzare la funzione g(x) = e−1/t , C ∞ e tale che g (k) (0) = 0 ∀k.
Notare che la stessa costruzione si può fare su un n-cubo arbitrariamente piccolo.
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Sketch di dimostrazione del Lemma 2.3.6.
1. Esiste una famiglia numerabile di aperti (Ck ) di S a chiusura compatta,
che costituiscono una base per S, e delle funzioni λk > 0 in Ck e λk b Ck .
Infatti basta partire da un atlante
3
di S: per ogni carta φ : U → S e per ogni punto razionale
Pk ∈ U si prende una famiglia numerabile di cubetti aperti Ch,k centrati in Pk ed una bump
function come nell’Esercizio 2.3.7 a supporto in Ch,k , e si trasporta il tutto tramite φ su S.
2. Una sottofamiglia C di (Ck ) dà un raffinamento localmente finito di V.
Infatti basta selezionare una sottofamiglia (Cnk ) in modo che ogni Cnk sia contenuto in
qualche Vα (e dia sempre una base). Per sceglierla localmente finita basta eliminare quelli
SK
“in eccesso”: formalmente, si numerano in modo che gli insiemi C̃K = k=1 Cnk formino
un’esaustione di S; questi C̃K sono insiemi relativamente compatti, quindi per ogni K si può
scegliere un numero finito di Ci che coprono CK \ CK−1 (compatto) e non intersecano CK−2 .
La famiglia cosı̀ ottenuta è localmente finita.
3. Infine si pone λ =
P
k
λk e le funzioni λ̂k = λλk danno la partizione cercata.
Difatti le λ̂k hanno supporto nei Ck , ognuno contenuto in un Vα ; la famiglia dei supporti
P
è localmente finita, dunque vale (ii); quindi notare che, per ogni P , la somma
λ (P ) è
k k
finita; e la somma dà 1 per costruzione in ogni punto.2
Dimostrazione del Teorema di Whitney.
Supponiamo che S sia una varietà C ∞ e copriamola con un numero finito di
carte locali φk : Vk ⊂ S → Uk = φ(Vk ) ⊂ Rd per k = 1, ..., N . Prendiamo
quindi una partizione dell’unità (λk ) subordinata al ricoprimento V = {Vk }:
possiamo allora estendere le carte φk a mappe φ̂k : S → Rd di classe C ∞
ponendo φ̂k = λk φk su Vk , e φ̂k = 0 altrove.
Consideriamo ora che l’applicazione Φ̂ : S → R(d+1)N di classe C ∞ data da
Φ̂(P ) = (φ̂1 (P ), φ̂1 (P ), ..., φ̂N (P ); λ1 (P ), λ1 (P ), ..., λN (P ))
e mostriamo che è un embedding.
La mappa Φ̂ è iniettiva: infatti se Φ̂(P ) = Φ̂(Q), esiste un indice k per cui
λk (P ) = λk (Q) 6= 0 e P, Q ∈ Vk ; poiché φ̂k (P ) = φ̂k (Q), segue che
φk (P ) = φ̂k (P )/λk (P ) = φ̂k (Q)/λk (Q) = φk (Q)
e dunque P = Q, dal momento che φk è una carta.
Mostriamo ora che Φ̂ è regolare. In effetti, sia P ∈ S e sia k tale che λk (P ) 6= 0.
Se per ogni vettore u ∈ TP S non nullo (dφ̂k )P (u) 6= 0 allora rk(dΦ̂)P = d,
e deduciamo che Φ̂ è regolare in P . Altrimenti, esiste 0 6= u ∈ TP S tale che
(dφ̂k )P (u) =
∂λk
φk (P ) + λk (P )(dφk )P (u) = 0
∂u
(1)
3 Qui usiamo implicitamente che S ha un atlante costituito da un’infinità al più numerabile di carte. Ciò è vero perché S è supposta paracompatta: ogni suo ricoprimento aperto
U = {Uα } ammette un raffinamento aperto U 0 = {Uk0 } localmente finito (raffinamento vuol
dire che ogni Uk0 è contenuto in qualche Uα(k) , mentre localmente finito significa che ogni
punto P ∈ S ha un intorno che interseca solo un numero finito di Uk0 .)
Teoria ed Esercizi di Geometria Differenziale - A. Sambusetti
11
il che implica che φk (P ) 6= 0 (poiché φk è non singolare ed u 6= 0) e che il
vettore (dφk )P (u) ha la stessa direzione di φk (P ) ∈ Rn . Dunque u appartiene
necessariamente allo spazio 1-dimensionale (dφk )−1
P (φk (P )); quindi il nucleo di
(dφ̂k )P ha al più dimensione 1, e rk(dφ̂k )P ≥ d − 1. Ma poiché (dφk )P (u) 6= 0
e λk (P ) 6= 0, segue da (1) che (dλk )P (u) 6= 0, e dunque (dΦ̂)P ha rango d.
Abbiamo dunque mostrato che Φ̂ è un’immersione; ma, poiché S è compatta,
segue che Φ̂ è anche chiusa, e quindi è un embedding (ogni applicazione continua,
biettiva e chiusa è un omeomorfismo).
In questo modo abbiamo prodotto un embedding Φ̂ : S → R(d+1)N . Mostreremo
ora che, componendo Φ̂ con un’opportuna proiezione π : R(d+1)N → R2n+1 ,
la composizione π ◦ Φ̂ resta un’immersione (e dunque, come precedentemente
spiegato, un embedding):
Lemma 2.3.8 (Composizione con proiezioni generiche)
Sia S ⊂ Rn una d-sottovarietà. Se n > 2d + 1, per quasi ogni iperpiano H di
Rn , la proiezione ortogonale su H fornisce un’immersione π : S → H ∼
= Rn−1 .
(Il significato preciso della locuzione “quasi ogni” si evincerà dalla dimostrazione)
Applicando quindi ripetutamente questo lemma alla nostra d-varietà
S0 = Φ̂(S) ⊂ R(d+1)N , e poi a S1 = πH (S0 ) ⊂ H ∼
= R(d+1)N −1 ecc., otteni2d+1
∼
.2
amo allora un embedding S = S0 ,→ R
Dimostrazione del Lemma 2.3.8.
Si consideri la mappa F : S × S × R → Rn definita da F (P, Q, t) = t · kP − Qk,
e la mappa “forgetful” G : T S → Rn G(uP ) = u (che dimentica il punto di
applicazione). Il teorema di Sard ci dice che quasi ogni valore x ∈ Rn è non
critico sia F sia per G (cioè, ∀P ∈ F −1 (x) ∩ G−1 (x) i differenziali (dF )P e
(dG)P hanno rango n); ma poiché dim(S × S × R) = 2d + 1 e dim(T S) = 2d
sono entrambi minori di n, questo significa che quasi ogni valore x ∈ Rn non
è preso né da F né da G. Scelto dunque un tale valore generico x tale che
F −1 (x) ∩ G−1 (x) = ∅, consideriamo l’iperpiano H di Rn ortogonale ad x e
π : Rn → H la proiezione ortogonale su H. Mostriamo che la restrizione
π|S : S → H è ancora un’immersione.
La mappa π|S è iniettiva: se P 6= Q ∈ S verificano π(P ) = π(Q), allora
P − Q = tx per qualche t 6= 0, e dunque x = F (P, Q, 1t ) il che contraddice
la scelta di x 6∈ Im(F ). La mappa π|S è regolare: infatti, se 0 6= u ∈ TP S
verifica (dπ)P (u) = 0, allora u = tx per qualche t 6= 0; dunque G( 1t u) = x, cioè
x ∈ Im(G), contraddizione.2
2.4
Rovesciabilità
Questo capitolo sarà essenzialmente informativo; benché nessuno dei teoremi
enunciati verrà dimostrato, la terminologia a nostra disposizione permette almeno di capire con precisione gli enunciati. L’interesse è dunque nella traduzione
matematica di enunciati geometricamente intuitivi.
La rovesciabilità è la prima proprietà che incontriamo della teoria delle immersioni (locali) delle varietà in Rn .
Teoria ed Esercizi di Geometria Differenziale - A. Sambusetti
12
Definizione 2.4.1 (Rovesciabilità)
Sia j : S + ,→ R3 un embedding di una superficie differenziabile orientata in R3 ,
la cui orientazione coincida con quella data da un campo NS normale unitario:
cioè, NS è parallelo e concorde con dj(u1 ) × dj(u2 ), per una qualsiasi base
orientata (u1 , u2 ) di T S + (scriveremo in tal caso: j∗ (orS + ) ≡ NS ).
i
Una superficie S + ⊂ R3 orientata da un campo normale NS si dice rovesciabile
se esiste un’omotopia regolare F : S × [0, 1] → R3 tale che i = F |S×{0} , mentre
j = F |S×{1} : S + ,→ R3 è un embedding con i(S) = j(S) e j∗ (orS + ) = −NS .
(F si dice un’omotopia regolare se ft = F |S×{t} : S → Rn è regolare per ogni t.)
Analoga definizione può essere data per un’ipersuperficie orientata di Rn
Intuitivamente, dunque, una superficie S + di R3 orientata da un campo NS
è rovesciabile se esiste una successione continua di trasformazioni ft regolari
di S + (cioè tali che il piano tangente Im(dft ) non degeneri mai), che creino
eventualmente delle autointersezioni per t 6= 0, 1 (poiché per tali valori ft non è
supposta iniettiva), e trasformino la superficie in se stessa ed il campo normale
NS nel suo opposto (secondo la trasformazione continua Nt ≡ dft∗ (orS + )).
Problema: la sfera S 2 è rovesciabile?
Per farsi un’idea della poca plausibilità della cosa, provare a immaginare una
trasformazione regolare e continua della sfera che porta la sua superficie interna all’esterno (ammettendo autointersezioni, ma non degenerazioni del piano
tangente, né “buchi” o “strappi”).
Nel 1958 S. Smale (medaglia Fields nel 1966) dimostrò nella sua tesi di Ph.D
che l’insieme
I(S 2 , R3 ) = { immersioni j : S 2 → R3 di classe C 2 }/ omotopia regolare
è costituito da un solo elemento.4 Come corollario di tale teorema, segue
che l’immersione canonica i : S 2 ,→ R3 e l’immersione j = −i : S 2 ,→ R3
(che geometricamente è ottenuta componendo i con la mappa antipodale, e
quindi è tale che j∗ (orS 2,+ ) = −i∗ (orS 2,+ )) sono omotope tramite un’omotopia
regolare: la sfera è dunque rovesciabile. Un aneddoto racconta che il direttore
di tesi di Smale, R. Bott, incredulo sul suo risultato, abbia chiesto a Smale di
descrivergli come sia fatta una tale trasformazione, alla quale domanda Smale
rispose: “I’ve no idea!”.
Le prime costruzioni esplicite del rovesciamento della sfera furono costruite molti
anni dopo da altri matematici (Phillips, Shapiro, Morin etc.). Qui:
http://new.lutecium.org/www.jp-petit.com/science/
maths_f/Retournement_sphere/Retournement_sphere4.htm
4 Smale dimostra che I(S 2 , R3 ) è in biiezione con il secondo gruppo di omotopia π (V (R3 ))
2
2
della varietà di Stiefel di R3 , una varietà differenziabile i cui “punti” sono coppie orientate di
vettori ortonormali di R3 . Tale gruppo è calcolabile con tecniche di topologia algebrica ed è
banale.
Teoria ed Esercizi di Geometria Differenziale - A. Sambusetti
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potete scaricare un articolo apparso nel 1979 su Pour la Science, con la storia
del problema e le trasformazioni ideate da B. Morin5 e disegnate da J.P. Petit.
Analizzando attentamente tutti i vari passi, è possibile convincersi che la sequenza di trasformazioni (che ha un modello centrale dato dall’immersione di
S 2 in R3 a forma di superficie di Boy) è effettivamente un’omotopia regolare.
Lo studente curioso è invitato a farlo! Oggi esistono varie visualizzazioni dinamiche del rovesciamento della sfera, visualizzabili con l’utilizzo della computer graphics, e disponibili per esempio come per esempio su YouTube (cercare
”sphere eversion”).
A conclusione del capitolo, una brevissima panoramica su problemi di ricerca
molto vicini alla rovesciabilità:
1) l’insieme I(T 2 , R3 ) ha quattro elementi.
Per una panoramica sul problema e la visualizzazione delle quattro classi si veda:
http://www.eecs.berkeley.edu/Pubs/TechRpts/2011/EECS-2011-83.pdf
2) l’insieme I(Σg , R3 ) delle immersioni di una superficie chiusa di genere g nello
spazio ha 4g classi (modulo omotopia regolare), cf. Hass-Hughes, Topology, 1985
3) lo studio degli spazi di immersioni I(M, Rn ) ed I(M, N ), per M ed N varietà
qualsiasi, sono problemi aperti in generale.
Esercizio 2.4.2 Malgrado I(T 2 , R3 ) non sia banale, il toro di rivoluzione in R3
è una superficie rovesciabile. Utilizzando il fatto che S 2 è rovesciabile, descrivere
un rovesciamento del toro.
Nota: non è necessario aver capito tutti i passaggi del rovesciamento della sfera!
5 Nota aneddotica, apprezzabile dopo aver guardato attentamente la sequenza di trasformazioni necessarie al rovesciamento della sfera: il matematico B. Morin è cieco dall’infanzia.