delocalizzazione
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Documento di approfondimento - Giugno 2010 FORO753 VIA BEVERINO 49 - WWW.753.it1 - [email protected] Delocalizzazioni - documento di approfondimento DOCUMENTO di APPROFONDIMENTO L’ITALIA NEL FENOMENO GLOBALIZZATO DELLE “DELOCALIZZAZIONI” - a cura dell’Associazione Culturale “FORO753” - Il fenomeno della delocalizzazione delle imprese italiane diventa sempre più frequente. Grandi e piccoli gruppi industriali trasferiscono la loro produzione dal territorio nazionale in altri paesi, dove il costo del lavoro è più basso, anche del 75% rispetto alla paga di un lavoratore italiano. Questo significa che strutture fisiche come fabbriche, impianti e call center vengono trasferiti all’estero, diminuendo le opportunità di lavoro per i cittadini italiani e per quelli degli altri Stati nazionali. Le delocalizzazioni avvengono principalmente verso l'Est Europa, nella fascia del Maghreb, in Cina e in Sud America, e più in generale nei principali paesi che, seppur in via di sviluppo nelle infrastrutture di base, rispondono alla condizione essenziale di una bassa, se non completamente assente, regolamentazione del mercato del lavoro, tanto imprenditoriale, quanto sindacale. 2 FORO753 - Giugno 2010 Queste sono solo alcune delle imprese che hanno delocalizzato all'estero: • FIAT: stabilimenti aperti in Polonia, Serbia, Russia, Brasile, Argentina. Circa 20.000 posti di lavoro persi, dai 49.350 occupati nel 2000 si arriva ai 31.200 del 2009 (fonte: L’Espresso, 11/03/2010). • DAINESE: due stabilimenti in Tunisia, circa 500 addetti; produzione quasi del tutto cessata in Italia, tranne qualche centinaio di capi. • GEOX: stabilimenti in Brasile, Cina e Vietnam; su circa 30.000 lavoratori solo 2.000 sono italiani. • BIALETTI: fabbrica in Cina; rimane il marchio del simpatico “omino”, ma i lavoratori di Omegna perdono il lavoro. • OMSA: stabilimento in Serbia; cassa integrazione per 320 lavoratrici italiane. • ROSSIGNOL: stabilimento in Romania, dove insiste la gran parte della produzione; 108 esuberi a Montebelluna. • DUCATI ENERGIA: stabilimenti in India e Croazia. • BENETTON: stabilimenti in Croazia. • CALZEDONIA: stabilimenti in Bulgaria. • STEFANEL: stabilimenti in Croazia. • TELECOM ITALIA: call center in Albania, Tunisia, Romania, Turchia, per un totale di circa 600 lavoratori, mentre in Italia sono stati dichiarati negli ultimi tre anni oltre 9.000 esuberi di personale. • WIND: call center in Romania ed Albania tramite aziende in outsourcing, per un totale di circa 300 lavoratori 3 Delocalizzazioni - documento di approfondimento impiegati. • H3G: call center in Albania, Romania e Tunisia tramite aziende in outsourcing, per un totale di circa 400 lavoratori impiegati. • VODAFONE: call center in Romania tramite aziende di outsourcing, per un totale di circa 300 lavoratori impiegati. • SKY ITALIA: call center in Albania tramite aziende di outsourcing, per un totale di circa 250 lavoratori impiegati. Nell'ultimo anno sono stati circa 5.000 i posti di lavoro perduti solamente nei call center che operano nel settore delle Telecomunicazioni, tra licenziamenti e cassa integrazione. Nel 2008, nel Rapporto stilato dall’Istat, risultava evidente la tendenza delle imprese alla delocalizzazione, che vedeva occupate “circa 3.000 Imprese, pari al 13,4% delle grandi e medie imprese industriali e dei servizi”. Sempre secondo le stime dell'Istat, da marzo 2009 a marzo 2010 il numero di occupati in Italia è diminuito di 367 mila unità, mentre il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) si è attestato al 27,7%, (media europea al 20,6%). La delocalizzazione può essere riassunta con la metafora della “cavalletta”. Le cavallette sono le imprese, che attirate 4 FORO753 - Giugno 2010 da maggiori opportunità di profitto si spostano in sciami lì dove le attraggono condizioni migliori, cioè bassi salari e scarse tutele sul lavoro. Quando il diserbante, rappresentato dalle norme legislative, provvede a proteggere i lavoratori di un certo paese dallo sfruttamento, allora lo sciame si alza in cerca di prede più a buon mercato. È questa la storia della globalizzazione! Molti economisti ed intellettuali ci invitano ad arrenderci all’evidenza, ossia che dobbiamo accettare l’egoismo del capitale. Ma siamo sicuri che questa è l’unica soluzione? Il paradosso è servito: per decenni i lavoratori italiani hanno lottato per la dignità ed il riconoscimento del proprio lavoro ed oggi i nostri stati europei, che si reggono su questi principi, dovrebbero comprare beni e servizi da paesi che non rispettano neanche i diritti fondamentali dei lavoratori? Se dobbiamo scendere a patti con la “globalizzazione”, dobbiamo essere noi a decidere e a trovare i modi per scendere a patti con essa, senza farci dettare supinamente la linea da interessi 5 Delocalizzazioni - documento di approfondimento privati. L’Italia non ha il peso economico per influenzare la politica economica dei paesi emergenti, ma l’Europa nel suo insieme sì, perché nel complesso è il più grande mercato del mondo, cioè è il consumatore numero uno: ed il consumatore più grande ha tutte le possibilità di dettare regole e condizioni per i beni importati nel proprio territorio, in modo da salvaguardare in primo luogo la dignità del lavoro, frutto di quell’albero secolare che è la civiltà europea. Eppoi ci sono le grandi società di consulenza, i cosiddetti “Advisor”, alle quali si affidano le imprese quando decidono di delocalizzare, le quali scrivono nei loro siti internet: "le Zone Franche rappresentano oggi una nuova opportunità per l’imprenditore che realmente vuole trarre beneficio dalla Globalizzazione, combattendo allo stesso tempo la pesante crisi economica. Le Zone Franche sono conosciute anche come Zone Extra-doganali, sono aree autorizzate dalle comunità degli Stati sovrani, sono geograficamente limitate ed in esse sussistono particolari agevolazioni fiscali e doganali per le attività produttive ivi svolte. In esse, solitamente, non si pagano dazi doganali di importazione, i redditi generati al loro interno sono esenti dall'IVA, si godono particolari riduzioni o esenzioni d’imposta ed il costo della forza lavoro è veramente molto ridotto. Le procedure burocratiche relative ad un complesso produttivo sono semplificate e le procedure doganali di importazione ed esportazione sono semplici e veloci." 6 FORO753 - Giugno 2010 Si dice “delocalizzazione”, si legge “sfruttamento”. Di uomini, donne e territori. La delocalizzazione, dall’altro lato, danneggia quei “fessi” che rimangono in Italia ad investire dovendo fronteggiare la concorrenza di coloro che, mossi esclusivamente dal principio della massimizzazione del profitto, fuggono dai propri Stati nazionali. Ad esempio le aziende leader dei servizi telefonici appaltano il lavoro del call center ad aziende di Outsourcer, le quali a loro volta provvedono a delocalizzare all'estero. Così facendo le multinazionali mantengono un'immagine pulita agli occhi dei propri clienti e soprattutto nei confronti della politica e dell’opinione pubblica generale. Il “Foro753” denuncia con forza questo fenomeno di impoverimento della nostra Nazione, come quello dell’intera Europa, tanto più che nella stragrande maggioranza dei casi, le stesse imprese che oggi portano il lavoro all'estero, sono quelle stesse che hanno potuto beneficiare negli ultimi anni di sgravi, finanziamenti diretti e benefici fiscali. Finiti i quali hanno cessato anche la loro pseudo-attività imprenditoriale. 7 Delocalizzazioni - documento di approfondimento Ci sembra ben strana allora questa logica imprenditoriale: quando si tratta di favorire la nascita di un tessuto industriale, si reclamano a gran voce incentivi ed agevolazioni. Quando i fondi nazionali per poter garantire queste ultime non bastano più, allora si delocalizza… Davvero troppo facile. Davvero troppo ingiusto. In tutto questo vorremmo sapere dalle imprese in che momento si assumono la cosiddetta “responsabilità sociale”, dato che i costi vengono resi pubblici e i profitti privatizzati. Occorre ricordare, infatti, che la totalità di queste aziende aderiscono, a parole ma non nei fatti, alla cosiddetta “Responsabilità Sociale delle Imprese”. La R.S.I. consiste nel fatto che le imprese, sempre più coscienti che il loro successo economico non dipende più unicamente da una strategia intesa a massimizzare i profitti a breve termine, riconoscono che è necessario tener conto anche della protezione dell'ambiente e della promozione della loro responsabilità sociale nonché degli interessi dei consumatori. 8 FORO753 - Giugno 2010 Come negli ultimi anni ha sempre più preso piede un altro strumento aziendale volto ad "umanizzare" l'immagine di queste grandi gruppi aziendali, soprattutto agli occhi dei consumatori: la formulazione di un “Codice Etico”. Si tratta in poche parole di una sorta di “Carta Costituzionale” delle aziende, una carta dei diritti e doveri morali che definisce la responsabilità etico – sociale di ogni partecipante all’organizzazione aziendale. Che considerate agli occhi dei processi di delocalizzazione e sfruttamento in atto, appaiono come veri e propri specchietti per le allodole. Come dire: parole, parole, parole… ~~~~~~~~~~~ Un’impresa gode lungo tutta la sua esistenza di una serie di vantaggi non quantificabili, ma non per questo meno reali, legati al luogo in cui opera. Non è certo il pagamento delle tasse che pareggia i benefit di cui un’impresa gode investendo in Italia. La costruzione di infrastrutture nazionali, l’educazione dei lavoratori e la possibilità di vendere i propri prodotti in un mercato ricco come quello italiano sono beni che si ammortizzano solo nel lungo periodo, quindi la pretesa delle imprese di venire in Italia per “vendere e basta” sembra quantomeno egoista. Ma c’è anche un fenomeno più profondo che ci inquieta guardando al fenomeno delle delocalizzazioni, 9 Delocalizzazioni - documento di approfondimento particolarmente caro a noi del “Foro753”. La delocalizzazione, come tutti i fenomeni legati alla produzione industriale, tende alla massimizzazione del profitto. Per questo motivo si delocalizza anche la produzione di un singolo bene, nel senso che il suo processo produttivo viene scomposto in più parti, ed ogni parte viene prodotta da una singola impresa. Il risultato è che i prodotti industriali non hanno più un’anima, cioè non hanno più un’unica logica “creativa”, bensì solo una “meccanica”. Basti pensare alla differenza con l’artigiano di un tempo: l’artigiano eseguiva l’intero processo produttivo del bene, potendo dunque infondergli un’anima, cioè caratterizzarlo con il suo proprio gusto. Oggi l’operaio, che ha sostituito l’artigiano, esegue solo un’operazione, non ha idea di cosa era prima il bene semi-lavorato e non ha idea di cosa diventerà dopo. In questo modo, il bene prodotto da un solo soggetto 10 FORO753 - Giugno 2010 risulterà avere un’anima, cioè essere diretto a soddisfare alcuni ed insoddisfare altri. Il prodotto industriale è invece standardizzato, destinato a rispettare dei parametri ma non a soddisfare veramente qualcuno. È quello che sta accadendo ad esempio col “Parmigiano Reggiano”: nonostante la domanda del formaggio aumenti, sono ormai pochi i caseifici che lo producono dalla mungitura del latte fino alla stagionatura. Ogni azienda si specializza invece in una fase della produzione, per economizzare suoi costi. In tutti questi casi risulta chiaro come la delocalizzazione non risponda ad una necessità epocale, piuttosto solo agli interessi di pochi. ~~~~~~~~~~~ Ecco allora, qui di seguito, solo alcune proposte di interventi diretti a limitare il fenomeno delle delocalizzazioni, che assieme a molte altre soluzioni potrebbero contribuire a ristabilire l’autorità della Politica sull’Economia, ridando centralità ad una sana e virtuosa politica degli Stati, europei e non, non rendendoli più subalterni agli egoistici interessi del capitalismo, produttivo o finanziario: • si cominci a pretendere dalle imprese che trasferiscono il lavoro all’estero la restituzione dei contributi e delle 11 Delocalizzazioni - documento di approfondimento agevolazioni che hanno ottenuto dallo Stato e dagli Enti locali nazionali; • una legge dello Stato che vincoli le imprese a dotarsi di un “sistema di gestione”, coniato sul modello tedesco, che preveda un Consiglio di Sorveglianza costituito da rappresentanti di sindacati ed enti locali, con poteri di controllo nei confronti del cda aziendale, soprattutto in campo ambientale; • una maggiore tassazione dei redditi di impresa prodotti all’estero, affinchè venga scoraggiato e sanzionato questo atto di “tradimento” nei confronti del sistema Italia. • la verifica da parte del “Garante della Privacy” del rispetto della tutela dei dati personali degli utenti delle aziende che delocalizzano; gli Stati che “subiscono” i processi di delocalizzazioni, infatti, raramente garantiscono adeguata tutela dei dati sensibili e non sono soggetti alle norme sul diritto alla privacy vigenti in Italia ed in Europa, in particolar modo per quei settori, come telecomunicazioni e credito, che già di per sé risultano essere ad alto rischio (alcuni Stati, quali ad esempio la Romania, sono ai primi posti per l'alto tasso di pirateria informatica e i c.d. "furti di identità"). Ancora molti passi occorrerà fare nella direzione di una responsabile e condivisa tutela della dignità dei popoli 12 FORO753 - Giugno 2010 europei ed internazionali dai mostruosi rischi insiti nei precari scenari dello sviluppo economico globalizzato in corso. Come ancora molto bisognerà ragionare su quale modello di sviluppo economico alternativo si vorrà delineare una volta che “la mano invisibile” di Adam Smith avrà definitivamente palesato la propria incapacità di vedere oltre il proprio orticello, contribuendo quotidianamente a sollevare scontri e sfruttamento sociale in giro per il mondo. Così come, infine, sarà necessario per l’Italia e l’Europa tornare a sentirsi responsabile del diritto e della giustizia del mondo, riprovando ad analizzare anche le ragioni e gli interessi che oggi spingono gli Stati più poveri del mondo, subendo la delocalizzazione delle grandi imprese internazionali, a chiedere essi stessi il cappio che domani li strozzerà. L’importante è ri-partire. Per non delocalizzare. 13