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Pubblicato il 23 Luglio 2016
Concerto di Lieder per una formazione voce, corno e pianoforte con anche Autori rari
Il Trio Lesièm a Palazzo Cavagnis
servizio di Vincenzo Sagona
VENEZIA - Nella città lagunare, in certi pomeriggi, il raccolto salone di un palazzotto ristrutturato nel
Settecento da Antonio Cavagnis, un ricco e avventuroso commerciante d'oro e preziosi, ritorna a
splendere, per convalidata tradizione, delle gioie e dei preziosi che, però non conoscono la fatiscenza
del tempo: Sono concerti cameristici, generosi, animati dalle più varie, e spesso rare, produzioni
musicali. L'affezionato, discreto, plaudente pubblico se ne esce, alla fine, per le sue calli,
consapevolmente appagato, arricchito di sentimenti, sensazioni e visioni da custodire per giorni e
giorni nella memoria più istintiva.
Tanto più ciò avvenne la sera del 15 giugno 2016, dopo l'ascolto incuriosito dei “Romantische Lieder",
proposti dall'inconsueto, ma quanto mai congruo, organico del Trio Lesièm, composto dal soprano
Emma Martellini, da Simone Tomei, al pianoforte, e da Letizia Mantovani, virtuosa di corno: una formazione recente, capace
di esprimere, come meglio non si potrebbe, le emozioni e le visioni del Romanticismo più autentico, magico e penetrante.
La voce umanissima ed espansiva di Emma e l'estro coinvolgente di Simone hanno trovato la temperie più comunicativa
nelle sonorità calde ed evocatrici, peculiari, del corno di Letizia, convalidando così la simpatia (nel senso più autentico)
dell'acrostico scelto per la denominazione del trio. L'originalità del complesso pare quasi derivi dall'originalità del
programma proposto, specialmente delle prime quattro composizioni, le quali, con le loro allusioni timbriche, hanno
promanato, in una sala della regina del mare, la suggestione delle solitarie altitudini alpestri, romanticamente proclivi alle
ingenue effusioni d'amore. Sono quadretti d'anima, che hanno evocato, per l'occasionale pubblico, dall'oblio degli sterminati,
fioriti "horti conclusi" dell'Arte, con la sua "voce", anche il nome di un compositore sconosciuto, di Enrich Proch, che
Enciclopedie, Storie e Repertori ignorano. Enrich Proch, "k.k. Hofoperntheater - Kapellmeister", a Vienna, nel primo Ottocento,
fu un apprezzato maestro di canto, autore di almeno duecento Lieder, di due o tre operette e di un’opera.
Tentiamo di rievocare l'emozione che hanno saputo suscitare queste rare pagine musicali.
Il primo brano, quasi programmatico di tutto il concerto, Das Alpenhorn , è un "andante" ondeggiante come una carezza dello
sguardo sopra gli alti boschi, con qualche sussulto di nota puntata che risente del cuore. Riproduciamo, tradotte, alcune frasi
dell'avvincente canto: "Il corno evoca lassù un mondo prossimo al paradiso!... Altri fiori, altre nuvole?.... Ma la sofferenza
d'amore delude ogni sogno di fuga.... La gioia che cerco lassù la trovo solo vicino a te".
Der S änger und der Wanderer - Su un insistente arpeggiare di terzi e profondi gravi, il corno preludia solitario una dolce
melodia, suggerendo, quasi, di lì a poco, il canto umano a un intervallo di 5a. Si avvia un dialogo, scandito da brevi, reciproci
silenzi d'ascolto. La voce si bea con respiri che rivelano nell'Autore l'esperto maestro di canto. Ecco un compendio del
grazioso quadretto: "Nei campi più profondi", all'alba e al tramonto, qualcuno canta, inascoltato, una canzone. Un giorno un
uomo vagante per i boschi scorge il suonatore d'arpa e, ammirato, lo incita a lasciare quelle solitudini per un mondo
promettente gloria, lussi e denaro. "Ah, è la canzone la ricompensa al lieto creare! ..... Il fiore fiorisce e cresce, anche se
nessuno lo vede". Mi ha colpito nell'esecuzione di questo Lied il consentaneo entusiasmo dei tre artisti su quel "mein Lied ist
mein Gewinn", cantato con gioioso trasporto dal soprano.
Il limpido canto seguente, Mein Rei chthum , ribadisce, sempre su un tempo sereno in tre quarti, il compiacimento di un
cuore semplice per la proprio sicura, fida, ricchezza. "Anche una lacrima mandata dal cielo mi pare una consolazione”.
Die Mutter wird mich fragen - È un piccolo capolavoro di intima drammaticità, animato dal trascolorare di tempi e di tonalità,
dai suggerimenti dinamici ed espressivi (suggestivi gli "a piacere"), dall'alternarsi dei pp e dei ff, fino al fff di quel "wie
Fieberglut". Sono sussulti di un cuore semplicetto che immagina il colloquio - desiderato e temuto - con la propria madre
consapevolmente sollecita. Mirabile il componimento, mirabile l'interpretazione del trio. La voce della Martellini ha reso con
delicata adesione i "piani" della timidezza e gli impulsi della passione, naturali in una fanciulla alla conquista della propria
femminilità.
"La mamma mi chiederà: perché hai la guancia così pallida? - Sarà la luce della luna. Perché le labbra così calde? - Sarà la
febbre. Perché l'occhio così umido? ..... - Ah, mamma, sto bene. Le lacrime sono il toccasana che placa il tumulto del cuore”.
La stupenda pagina di Franz Schubert, composta già nel 1814, sui versi del Faust goetiano, Gretchen am Spinnrade , ha
concluso la prima parte del concerto, con romanzesca continuità tematica. Possiamo favoleggiare che la nostra fanciulla
ideale, d'altri tempi e d'altra morale, dopo la confidenza con la madre, ora siede al suo filatoio, storcendo il filo del suo sogno
deluso. Dalla finestra, per la strada, la fanciulla ha cercato ancora lui, il suo portamento, il suo sorriso, i suoi occhi, la sua
voce, la stretta della sua mano e (potesse almeno morirne!) il suo bacio: "La mia pace è perduta, meine Ruch ist hin". In
questo Lied protagonista è il pianoforte, sotteso alla figurazione ripetitiva del bellissimo, elementare canto del soprano,
esprimente l'accorata, solitaria rassegnazione. Il corno qui non c'è: avrebbe potuto esprimere il conforto della Natura, di un
soccorso celeste, di una calda speranza. Gira il fuso con il suo incessante rollio di sestine, sul "sempre ligato" della mano
destra, fedele alla problematica indicazione originale di Schubert: Etwas schnell, un pochino veloce. è la fuga degli attimi
sofferti, che è sempre poco e sempre troppo veloce, tra il desiderio e il timore. Fuga inarrestabile come il destino. Intanto la
mano sinistra va riproducendo il "sempre staccato" del piede che pigia rassegnato sul predellino del filatoio, seguendo il
battito del cuore. Tutto ciò il Tomei ha saputo interpretare con realistica sensibilità, in sintonia con i spirituali "crescendo" e
"decrescendo" sentiti da Schubert.
Dopo la breve, dovuta, pausa, hanno fatto seguito quattro brani, tutti coinvolti suggestivamente alle sonorità romantiche del
corno.
Le jeu ne parte b reton - Il pastorello bretone. La pagina di Berlioz è un'"egloga" sorridente come un gioco, nella quale
palpitano emozioni di cuori innocenti, in intima comunione con una natura intatta. Il testo poetico è di Julien Auguste Pélage
Brizeux, un poeta versatile e colto. Dopo un viaggio in Italia, giunse a tradurre in terzine francesi la Commedia dantesca.
Innamorato della Bretagna, sua patria, ne canto' sempre la vita e le leggende, anche in dialetto bretone. "Les Bretons" è il
suo capolavoro. Il pastorello di Brizeux ignora i turbamenti e le curiosità assilanti del leopardiano "pastore errante" : si sveglia
con il tordo e riede fino a sera. La nonna pensa che voglia troppo bene alla sua mandria. Oh, no, egli vuole tanto bene alla
sua piccola Anna, che pascola le caprette nere dietro alla montagna, vicino ai sambuchi. Le voci della vallata, scendendo ai
campi della pianura, sembrano sospiri di dispiacere e di piacere.
... Anna, quella dispettosa, ha portato via con se la voce dolce che lo chiamava dai boschi.
Il 6/8 dell’ "allegretto semplice un poco lento" giocano con le pastorali terzine salienti e discendenti del pianoforte, fino agli
scatti più risentiti e ai tremoli inquieti della seconda parte, a commento divertito dell'affettuoso canto della fresca voce
sopranile e degli echi favolosi del corno, strumento che, intonato da prima fuori campo, poi non abbandona più il suo
pastorello innamorato. Il sereno dramma pastorale ha trovato nei tre interpreti l'intesa più felice, quasi ammiccante.
L'amor funesto è tratto dai "Dernieres glânes musicales", dagli ultimi mannelli musicali di Gaetano Donizetti. Anche il
prodigioso Donizetti annovera tra le più di duecentottanta romanze, ariette e canzoni della sua "mietitura" da camera molte
pagine simili per ambientazione e temperie al Lied di Berlioz. L'Amor funesto appartiene, invece, al Romanticismo
dell'"Amore e morte", lacerante di passione. L'addio dell'amante ripetuto con ansimanti alterazioni (che riappaiono nei " t'amo
dicesti" della ripresa) sull'orlo della tomba e più desolato ancora di quello mormorato dal "Consalvo" leopardiano. La voce
del corno, che lo annuncia e lo accompagna, pare il risuonare d'una consolazione angelica, desiderata, ma ancora tanto
lontana dalla realtà terrena : "più che non ama un angelo / t'amai nel mio deliro".
Se ben ricordo, due sole pagine vocali da camera (anche a due voci) di Donizetti concertano con il violino; pochissime con
piccola orchestra. L'Amor funesto, pubblicato per voce sola e pianoforte negli anni estremi, è l'unica a richiedere, in alcune
riedizioni contemporanee, l'intervento del corno (o violoncello). Almeno uno dei tre manoscritti del XIX secolo, conservati a
Lucca, a Mantova e al " Fondo Maria Luigia" di Parma, è autografo?
La pagina, così strutturata, risuona ancor più efficace, più donizettiana. Come dire? Sin dal preludiare avvolgente del "fiato",
nelle volute degli arpeggi, nel ritmare degli accordi terzinati, nei brevi scavi nella zona grave della tastiera, e, soprattutto, nel
drammatico lirismo della calda voce sopranile, il trio ritrovò gli accenti e l'afflato del melodramma, l'italianità della propria
formazione e maturazione.
Amour b en ìs di Jules Massenet - Il canto di Massenet ha insinuato nel programma una brezza di serenità; direi, quasi una
suggestione pascoliana: si pensi alla " felicità nuova" del "Gelsomino notturno".
Massenet è sempre Massenet. Un "lent - soutenu" fluisce teneramente nella chiarezza del re maggiore e delle sue naturali
modulazioni, appena ombrate con delicata sensibilità, tra fervori e reticenze, fino a un "tres lent", trattenuto quasi in punta di
piedi.
Il canto del corno allude, lungo tutto il brano, a una schietta storia d'amore, quasi sognata nel trascolorare delle stagioni, da
un' "alba fresca", vissuta con un intrecciarsi di sguardi e dichiarazioni, a un'estate, preannunciata da un fervido arpeggio in si
bemolle maggiore, e , culminante in un incontro appassionato sulla collina; poi, a seguire, ancora tenerezze d'autunno e
d'inverno fino al rifiorire della primavera e del re maggiore intorno a una culla, la benedizione degli affetti. Come sempre,
incanta la tipica, personalissima, linea melodica discendente del Maestro francese, che tanto influì sul melodiare pucciniano.
La voce del soprano seppe affascinare l'ascoltatore, interpretando titubanze pudiche e slanci della coppia semplice e
fortunata.
Auf dem Strom , op. 119, di Franz Schubert - L'ultima musica proposta dal Trio Lesiem a Palazzo Cavagnis è la più alta e la
più ardua del fascinoso programma, ardua specialmente per la voce e per l'aerofono. La voce deve sostenere una melodia
legata, insistente sulle note del "passaggio", montante spesso ai sol diesis, ai la, fino a un si naturale. Necessitano fiati
lunghi, sapientemente calibrati e, direi, calibati, in appassionata emulazione con il generoso corno che vuol dire sempre
quanto la parola. A riprodurre l'empito segreto del sentimento contribuisce il pianoforte, che, stabilito il perno del mi
maggiore, scorre con arpeggi ascendenti e discendenti armonicamente evocativi. I tre artisti seppero veleggiare, anzi, remare
con impegno concorde, fedeli al timone e, quindi, al sestante del pensoso Autore. Auf dem Strom - sul fiume - non è un Lied,
ma un poema: può durare anche undici impegnativi minuti. E allude all'eterno.
La vasta forma disconosce il tradizionale modello A- B - A ed è costituita da una continua divisione binaria, divisa a sua volta,
in due parti uguali A - A, con l'aggiunta di una coda, che pare un poscritto, un petrarchesco "congedo". La canzone è un
“Anhang", un'appendice all'ultima raccolta schubertiana, lo "Schvanengesand" - Il canto del cigno - che verrà pubblicata
postuma. L'autore del testo poetico è il berlinese Ludwig Rellstab - pianista, critico musicale e bibliografo -, al quale sono
dovuti anche i primi sette canti del "Cigno". Schubert lo scelse per la sua congeniale indole nostalgica, sensibile alle
suggestioni della natura. Protagonista delle cinque strofe è ancora l'acqua, il luogo della mente, l'elemento empedocleo che
ricorre più spesso, con le sue molteplici manifestazioni nell'arte di Franz, sin da quel "Meeres Stille", composto sui versi di
Goethe a diciotto anni: l'acqua stilla, scorre, evapora e si rapprende, mormora e s'ingorga un po' in tutta la Musica del
Viennese; scopertamente in almeno un centinaio dei suoi Lieder, fino al mare che è presagio di morte. Lo è anche in questa
estrema canzone, dove avviene, per spirituale dilatazione, il prodigio di un fiume scorrente, di uno Strom, che dilaga,
trasformandosi quasi inavvertitamente, di verso in verso, di battuta in battuta, nella "solitudine oscura, agitata, d'un mare
senza rive, senza isole, d'un graugehob'ne Meer". Ma la musica prosegue imperterrita con la consapevolezza del destino. Le
cinque strofe del poemetto vogliono apparentemente riprodurre l'ultimo addio alla terra natale e alla sua amata di un amante,
spinto lontano con il suo battello da un'inesorabile corrente. Un addio struggente, che si placa in assoluta serenità creativa,
in stupefacente economia formale. Dopo le sedici battute dell'introduzione, animate dal dialogo dei due strumenti, alla
diciasettesima entra la voce, sulla terzina discendente della mano destra: "Accogli gli ultimi baci d'addio". E il fiume si porta
via le proteste umane, di cui il corno echeggia la nostalgia.
In quegli stessi giorni Schubert stava componendo l'estrema sinfonia in do maggiore, n. 9, "La Grande", nella quale i due
corni hanno lo stesso rilievo spirituale, misterioso. Schumann scriverà allora: " Da remote distanze ci giunge il richiamo del
corno". Da ricordare che nella tradizione, non solo germanica, il corno del postiglione allora segnalava l'inderogabile
partenza. E il partire è sempre un addio. L'esempio di Schubert verrà raccolto anche da altri musicisti, da Louis Spohr, per i
suoi sei Lieder per soprano, corno e pianoforte, fino al "corno magico del fanciullo" di Mahler, nei suoi canti popolari "Voci del
mondo perduto".
Tornando al Lied di Rellstab, dobbiamo ricordare che il testo fu pubblicato primieramente da Schubert, il quale lo senti
quanto mai suo. Sue, quanto mai, le parole : "...senza speranza si perde il lamento...segreti legami mi attirano verso un
rifugio dove approdare....mi sento tremare di paura....la tempesta soffia fredda sul mare....allora sollevo lo sguardo alle
stelle....verso quelle sacre lontananze.....dove, per la prima volta, la chiamo mia.....":Sua l'Amata senza nome, sua la vita, sua
l'Arte assoluta, sua la Natura, sue le ispirazioni e i desideri di tutta la sua musica. (Penso alla sublime Canzone leopardiana
"Alla sua donna": "....o s'altra terra nei superni giri / fra' mondi innumerabili t'accoglie....").
Sue le parole, dunque, suoi gli stringimenti del cuore. Ma non sua la melodia che, scorrendo, genialmente variata, lungo tutto
questo estremo, sublime Canto, che fu proposto, ed eseguito, da Schubert nel primo e unico concerto pubblico che
riproducesse soltanto composizioni sue, il 26 marzo 1828, a un anno esatto dalla dipartita di Beethoven, morto il 26 marzo
1827. La melodia che risuonò, devotamente, nell'anima di Schubert, nel comporre il suo Auf dem Strom era la " Marcia
funebre" dell' "Eroica" beethoveniana! Schubert nove mesi dopo quel 26 marzo 1828 raggiunse Beethoven tra le stelle.
Crediti fotografici: Vincenzo Sagona
Nella miniatura in alto: il soprano Emma Martellini