Correlazione ridotta tra andamento delle commodity e quello dei

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Correlazione ridotta tra andamento delle commodity e quello dei
Commodity
Correlazione ridotta tra andamento delle
commodity e quello dei mercati azionari
Per un’esposizione al mercato delle materie prime gli esperti suggeriscono un
approccio Long/short come prima scelta, o, in alternativa, una gestione long attiva
di Valerio Magni
I
prezzi delle materie prime sono in continuo movimento così come le dinamiche
che ne determinano i prezzi. Negli ultimi
mesi, ad esempio, la correlazione tra
andamento delle commodity e dei mercati
azionari si è ridotta, dopo un lungo
periodo in cui era rimasta piuttosto elevata. Come può un investitore affrontare
la situazione? “Le commodity hanno cessato di essere viste come uno strumento
speculativo di incremento del rischio in un
mercato piuttosto “dicotomico” (risk
on/risk off) caratterizzato dalla presenza di
un elevato rischio sistemico, prima legato
a Lehman e alle banche, poi alla crisi del
debito Europeo, mitigato da politiche
monetarie imponenti”, spiega Francesco
Sandrini, responsabile strategie multi
asset di Pioneer Investments. “Questo
rischio sistemico è stato ridotto da una
serie di interventi da parte della Fed e della
Bce”, prosegue Sandrini: “Riteniamo che
le commodity stiano tornando a un loro
regime di normalità in cui i prezzi tendono
ad aggiustarsi su aspettative di crescita o
quantomeno di domanda e offerta. Anche
le correlazioni tra i sotto indici si sono
ridotte come conseguenza, aumentando
lo spazio per un approccio attivo basato
sull’analisi fondamentale. Per avere
un’esposizione al tema commodity, suggeriamo quindi un approccio Long/short
ove possibile o, in alternativa, un approccio long attivo in presenza di una previsione di crescita globale sostenuta che non
sia influenzata nel breve periodo dalle
dinamiche correttive in essere”, precisa
Sandrini. Anche Jeremy Baker, senior
commodity strategist presso Harcourt
Investment Consulting (Gruppo Vontobel), concorda: “Al momento preferiamo
le strategie gestite attivamente piuttosto
che quelle di tipo passivo”, precisa lo strategist. Ma veniamo ai motivi fondamentali
dei movimenti dei prezzi degli ultimi mesi.
Fattori macro
Le politiche monetarie delle Banche Centrali hanno senza dubbio influenzato i
mercati delle materie prime negli ultimi
anni. “C’è una chiara evidenza degli
effetti di un’espansione monetaria non
convenzionale sui prezzi delle commodity
tramite l’impatto sulle aspettative sull’inflazione e sull’attività economica”, spiega
Baker. “Questo fatto è stato molto chiaro
in particolare dopo l’annuncio dei primi
due quantitative easing, quando la correlazione tra le materie prime industriali e le
aspettative di inflazione è aumentata,
riflettendo l’aspettativa che l’aumento
della base monetaria avrebbe portato a
miglioramenti dell’attività economica”,
precisa Baker. Sandrini guarda più al presente: “Riteniamo che il legame tra le politiche monetarie in essere e l’andamento
del mercato delle commodity non sia più
così stretto come nel biennio 2009/2010.
La correlazione tra le commodity e i mercati azionari è sostanzialmente scesa, a
fronte di una recente e massiccia riduzione
dei flussi finanziari sulle materie prime
operati tramite Etf. Alcuni distinguo sono
tuttavia utili”, puntualizza Sandrini: “Se
alcuni sottoindici come i metalli industriali
(rame, nichel, alluminio) e l’energia (principalmente petrolio e gas naturale),
rispondono più a fondamentali come la
crescita globale e il ciclo delle scorte, vi
sono altri sotto indici, come i beni agricoli,
largamente influenzati da dinamiche
meteorologiche e, almeno nel breve
periodo, meno legati alla crescita globale.
Riteniamo che nel medio periodo persista
tuttavia un canale di connessione più
esplicito tra le dinamiche delle politiche
monetarie e le commodity da identificarsi
primariamente nel sotto indice metalli preziosi: la componente di domanda legata
alle dinamiche dei tassi reali è stata molto
sostenuta negli ultimi anni; si è tuttavia
assistito a deflussi record da strumenti
come Etf ed Etp negli ultimi tre mesi, a
partire da febbraio, che hanno portato
l’oro a perdere più del 30% dai massimi
del 2012. Le discussioni da parte della Fed
legate alla riduzione e fine del programma
di quantitative easing influenzano principalmente questo sotto indice, che equivale a circa il 15% dell’indice Dow Jones
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Commodity
Ubs complessivo. Tendiamo quindi a pensare che la politica monetaria sia meno
rilevante che in passato per l’indice commodity generale”, conclude Sandrini.
Effetto cinese
Al mondo però, non ci sono più solo gli
Stati Uniti in posizione dominante, ma
occorrerà sempre più tener conto dell’apporto cinese all’economia mondiale. “La
politica di scambi liberi adottata dalla Cina
dopo il suo ingresso nella World Trade
Organization ha reso possibile lo sviluppo
di un settore manifatturiero molto forte”,
spiega Baker. “Se uniamo questo fatto a
un basso costo del lavoro e a buone infrastrutture”, continua lo strategist di Harcourt, “ci si spiega la strategia vincente di
crescita guidata dalle esportazioni.
Quando i mercati finanziari sono collassati
nel 2008, le esportazioni cinesi contavano
circa per il 37% del Pil, ma il valore
aggiunto era molto inferiore, in quanto la
maggior parte delle esportazioni era costituita da beni processati in Cina. Si stima
che il valore aggiunto delle esportazioni
sul Pil fosse in realtà pari al 18%. Oggi, le
esportazioni contano per meno del 30%
e il loro valore aggiunto è sceso di conseguenza”, osserva Baker. “La Cina continua a essere il mercato di sbocco primario
per un settore importante come quello dei
metalli industriali, in primis rame e alluminio, con una domanda superiore al 40%
della domanda globale”, spiega invece
Sandrini. “E’ quindi lecito attendersi che
rallentamenti di indicatori come il Pmi
cinese abbiano un impatto su questo sotto
indice. Le riforme strutturali in discussione
in Cina, tra l’altro legate a infrastrutture
ed urbanizzazione, potranno avere un
effetto, ma non nel brevissimo periodo.
Anche la domanda di energia da parte
della Cina in questo contesto rimane anemica”, precisa Sandrini.
Petrolio stabile
I prezzi del petrolio si muovono in un trading range ormai dal 2011. Cosa aspettarsi nei prossimi mesi? “L’attività di raffinazione è stata debole ad aprile e maggio,
ma ci si può attendere un aumento a giugno e luglio. Non ci aspettiamo in generale un incremento dei prezzi dato che le
scorte sono adeguate e la domanda è stabile”, osserva Baker. “Il petrolio negli
ultimi anni ha registrato cambiamenti di
dinamiche nei suoi meccanismi di
domanda offerta”, spiega Sandrini: “E’
incrementata molto la componente di
domanda da parte dei mercati emergenti
e si è assistito a una leggera flessione da
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giugno 2013 MondoAlternative
parte dei Paesi sviluppati. Contemporaneamente, dal lato dell’offerta, si è assistito a una riduzione della quota prodotta
dai Paesi Ocse esclusi gli Stati Uniti, e a un
marcatissimo aumento dell’offerta americana tramite shale oil. Riteniamo che, in
un contesto di domanda anemica o in
contrazione da parte di Paesi emergenti, il
prezzo possa avere pressioni al ribasso. I
Paesi Opec potrebbero rivedere la produzione al ribasso nel caso il Brent scenda
sotto i 100 dollari al barile, supportando i
prezzi, almeno in parte. Siamo poco propensi a vedere una forte riduzione dei
prezzi del petrolio nel breve, se non a
fronte di un rallentamento drammatico
della domanda di Cina e Paesi emergenti,
che al momento non costituisce il nostro
scenario centrale”, conclude Sandrini.
Previsioni poco favorevoli per l’oro
Nonostante si leggano le previsioni più
disparate sull’andamento del prezzo dell’oro, i due strategist sono concordi sulle
prospettive poco favorevoli per il metallo
giallo. “Il prezzo dell’oro ha subito una
forte contrazione nei mesi scorsi a causa
dell’aumento dei tassi di interesse in termini reali, del rafforzamento del dollaro
americano e di aspettative di una riduzione del quantitative easing. La domanda
da India e Cina per il bene fisico ha fornito
un supporto temporaneo, che si è poi
affievolito durante il mese di giugno”,
spiega Baker. “È aumentata di pari passo
la componente di domanda da parte delle
Banche Centrali alla ricerca di maggiore
diversificazione delle loro riserve e la componente definita “speculativa” principalmente perseguita tramite strumenti come
Etp dei quali monitoriamo costantemente
i flussi”, aggiunge Sandrini, che poi
osserva come “una severa contrazione dei
flussi in questi strumenti, principalmente
a fronte di un cambio di retorica relativa
alla politica monetaria europea e americana e un conseguente rialzo dei tassi
reali, è responsabile della contrazione dei
corsi a cui abbiamo assistito da fine febbraio. Riteniamo che un’analisi fondamentale del fair value di questo metallo
non possa prescindere né da una analisi
della domanda, ripartita nelle componenti
di cui sopra, né da un’analisi dell’offerta,
principalmente legata ai costi marginali di
estrazione”, precisa Sandrini. Baker invece
fa affidamento sull’analisi tecnica per
avere indicazioni sul downside risk: “Sulla
base dei livelli di ritracciamento di Fibonacci, i prezzi hanno già rotto il supporto
del 50% e il prossimo livello chiave è posto
a 1.150 dollari l’oncia”.