Corte di giustizia delle Comunità europee Analisi della

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Corte di giustizia delle Comunità europee Analisi della
Corte di giustizia delle Comunità europee
Analisi della sentenza Rüffert
A seguito delle sentenze LAVAL e VIKING, in data 3 aprile la Corte di giustizia delle Comunità
europee (CGCE) ha emesso una sentenza nella causa RUFFERT. Il risultato della sentenza è una
grave battuta d’arresto per il movimento sindacale e rappresenta una minaccia per lo sviluppo di
una “Europa sociale”.
Riepilogo dei fatti
•
La legge del Land Niedersachsen (Land Bassa Sassonia) sull’aggiudicazione dei pubblici
appalti stabilisce che sia consentito assegnare gli appalti solo alle imprese che versino ai
dipendenti le retribuzioni stabilite dal contratto collettivo di lavoro del luogo di esecuzione
della prestazione del lavoro. L’appaltatore principale è tenuto ad imporre anche al
subappaltatore gli stessi obblighi ad esso incombenti ed a controllare il rispetto di tali obblighi
da parte del subappaltatore. Il mancato rispetto dei suddetti obblighi comporta il pagamento di
una penale convenzionale.
•
A queste condizioni la ditta Objekt und Bauregie GmbH & Codi cui il signor Rüffert è
curatore fallimentare, si è aggiudicata una gara pubblica d’appalto relativa alla costruzione di
un istituto penitenziario nel Land Niedersachsen.
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Durante un controllo è emerso che un’azienda polacca (che lavorava in subappalto) non
rispettava le condizioni di lavoro prescritte dal contratto vigente in loco: nella fattispecie, tale
azienda versava ai dipendenti solo il 46,57 % del salario prescritto.
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In conseguenza a ciò, il Land Niedersachsen ha risolto il contratto ed ha chiesto a Rüffert il
pagamento di un indennizzo ai sensi del contratto summenzionato. Egli, tuttavia, ha rifiutato
ed ha adito il tribunale tedesco, in quanto riteneva che tale clausola relativa al rispetto delle
condizioni vigenti in loco costituisse un ostacolo alla libera prestazione dei servizi.
•
La CGCE si è pronunciata quindi sulla questione se l’obbligo emanato da un’autorità che
imponga il rispetto delle condizioni di lavoro vigenti nel luogo dell’esecuzione dei lavori
costituisce un sufficiente motivo di limitazione alla libera prestazione dei servizi.
-2È stata sottoposta alla CGCE la seguente questione pregiudiziale:
“Se la circostanza che all’amministrazione aggiudicatrice sia imposto, ex lege, di aggiudicare
gli appalti relativi a lavori edili esclusivamente alle imprese che, all’atto della presentazione
delle offerte, si impegnino per iscritto a corrispondere ai propri dipendenti, impiegati per
l’esecuzione dei lavori oggetto di appalto, una retribuzione non inferiore a quella prevista dal
contratto collettivo applicabile nel luogo dell’esecuzione dei lavori in questione non
rappresenti una restrizione ingiustificata della libera prestazione dei servizi ai sensi del
Trattato CE”
Sentenza della Corte
L’interpretazione della Corte è la seguente:
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La direttiva sul distacco dei lavoratori prescrive l’obbligo di rispettare i minimi salariali fissati
da disposizioni legislative o da contratti collettivi di applicazione nazionale vigenti nel paese
di distacco.
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Il recepimento della direttiva nel diritto tedesco determina il rispetto, a favore dei lavoratori
distaccati, del minimo salariale stabilito nel CCL di applicazione generale sul territorio
tedesco.
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Nel caso in questione, tuttavia, il CCL vigente in loco per il settore edile non è di applicazione
generale ai sensi del diritto tedesco. Tale CCL è inoltre applicabile unicamente agli appalti
pubblici, pertanto non può essere considerato di applicazione generale.
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Di conseguenza, il livello salariale prescritto da questo CCL non può essere considerato un
minimo salariale di cui è obbligatorio il rispetto, ai sensi della direttiva su distacco dei
lavoratori e pertanto non può essere imposto dal Land Niedersachsen.
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La Corte ritiene pertanto che l’obbligo di rispettare il minimo salariale derivante da un
CCL vigente in loco, ma non di applicazione generale, costituisca una limitazione alla
libera prestazione dei servizi.
La Corte ha inoltre esaminato se questo minimo salariale vigente nel luogo di esecuzione dei
lavori possa essere considerato un motivo imperativo di interesse generale.
•
Primo motivo: la tutela dei lavoratori. La risposta della Corte è negativa, nella misura in cui il
CCL non è stato dichiarato di applicazione generale e l’obbligo di rispettare il minimo
salariale vale unicamente per gli appalti del settore pubblico. Secondo la Corte non si può
dedurre che tale obbligo sia necessario per tutelare i lavoratori che eseguono lavori aggiudicati
nell’ambito di un appalto pubblico e non lo sia più quando essi operano nell’ambito di un
appalto privato..
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Per gli stessi motivi la Corte rigetta anche il motivo relativo alla «tutela dell’organizzazione
autonoma della vita lavorativa da parte delle associazioni sindacali».
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Per quanto riguarda infine l’obiettivo della stabilità finanziaria dei sistemi di sicurezza sociale
(fatto valere dal governo tedesco base del rilievo che l’efficacia di un sistema previdenziale
dipenderebbe dal livello della retribuzione dei lavorator) la Corte ha statuito che un siffatto
obbligo non è necessario per il raggiungimento di tale obiettivo.
-3-
In breve, all’aggiudicatario di un appalto pubblico non può essere imposto l’obbligo di
rispettare i minimi salariali prescritti da un CCL vigente nel luogo di esecuzione dei lavori
(che non è stato dichiarato di applicabilità generale) in quanto ciò costituisce un ostacolo al
principio della libera prestazione dei servizi.
Reazione della CES
La CES ritiene che questa sentenza sia penalizzante e distruttiva:
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Si tratta di una vera e propria istigazione al dumping sociale.
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L’UE limita la propria visione alla natura economica del mercato, in cui le condizioni di
lavoro non sono considerate altro che limitazioni alla libera prestazione dei servizi.
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La Corte conferma l’interpretazione della direttiva sul distacco dei lavoratori come strumento
per l’attuazione della libera prestazione dei servizi, mentre tale direttiva dovrebbe essere
finalizzata a garantire sia il rispetto dei diritti dei lavoratori sia l’espletamento di una
concorrenza leale.
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Le CGCE nega il diritto dell’autorità statale di adottare misure che agiscano contro la
concorrenza sleale attuata mediante i salari e le condizioni di lavoro. La Corte nega altresì il
diritto delle associazioni sindacali di esigere il rispetto delle condizioni di lavoro (che vanno
oltre ai minimi salariali prescritti dalla direttiva sul distacco dei lavoratori).
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La CES chiede espressamente una clausola relativa al progresso sociale per evitare il ripetersi
di casi simili alle cause Rüffert o Laval.
Per informazione:
http://www.etuc.org/a/4831
Commento della FETBB
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Questa sentenza è in linea con le sentenze Laval e Viking e penalizza gravemente lo sviluppo
di un’Europa sociale.
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Indirettamente la CGCE si è pronunciata a favore di due tipi di condizioni salariali e di lavoro:
quelle disciplinate da disposizioni legislative e quelle regolamentate da un CCL dichiarato di
applicazione generale.
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In linea di principio è inaccettabile che le condizioni di lavoro vigenti in loco siano considerate
un ostacolo alla libera prestazione dei servizi! Il Land Niedersachsen, fra l’altro, ha giustificato
la clausola relativa al rispetto delle condizioni di lavoro vigenti nel luogo di esecuzione dei
lavori al fine di tutelare gli interessi dei lavoratori. La Corte ha statuito, in un’ottica
tecnocratica, che non è dimostrato che l’obbligo di rispettare i minimi salariali vigenti in loco
sia necessario per il raggiungimento di tale obiettivo.
-3•
Il diritto alla contrattazione collettiva è un diritto fondamentale ed è affermato nella
costituzione. È necessario che tale diritto sia riconosciuto e possa essere esercitato a tutti i
livelli, sia nazionale, sia settoriale, sia locale. Ciò significa anche che occorre rispettare i CCL
stipulati, che non devono essere subordinati alla concorrenza mediante condizioni di lavoro
più sfavorevoli, così come non devono essere vanificate le intese sociali. Purtroppo la CGCE è
di tutt’altro avviso.
Bruxelles, 15 aprile 2008