Abbandonati al loro destino: Gli sfollati in Congo

Transcript

Abbandonati al loro destino: Gli sfollati in Congo
APRILE 2012
NO 53
JESUIT REFUGEE SERVICE
Abbandonati al loro destino:
Gli sfollati in Congo
GIORDANIA
p.6
HAITI
p.8
FRANCIA
p.16
AFGHANISTAN
p.19
Jesuit Refugee Service
APRILE 2012
FOTO DI COPERTINA
Il campo per sfollati di Kishondja a Masisi,
RDC orientale. (JRS Internazionale)
Servir è disponibile in italiano,
francese, inglese e spagnolo. È
pubblicato due volte l’anno dal
Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati
(JRS).
DIREZIONE
Peter Balleis SJ
REDAZIONE
Danielle Vella
PRODUZIONE
Malcolm Bonello
NUMERO 53
In questo numero:
Editoriale
Dare un riparo agli oppressi e a chi è senza casa 3
Internazionale
Il JRS lancia il Quadro strategico
4
Giordania
Più di un semplice numero
6
Haiti
Siamo nel “bizniz”!
8
Malawi
Il JRS che potevo vedere e toccare9
Focus sulla RDC orientale
Dimenticati in luoghi “spontanei”11
Focus sulla RDC orientale
La giustizia negata alle donne14
Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati
è un’organizzazione cattolica
internazionale creata nel 1980 da
Pedro Arrupe SJ. La sua missione è
accompagnare, servire e difendere la
causa dei rifugiati e degli sfollati.
Jesuit Refugee Service
Borgo S. Spirito 4, 00193 Roma,
Italia
Francia
Che cosa abbiamo fatto del diritto di asilo?
16
Welcome18
Afghanistan
Dipingere la pace attraverso i confini19
Appello (ultima di copertina)20
TEL: +39 06 69 868 465
FAX: +39 06 69 868 461
[email protected]
www.jrs.net
2
Abbreviazioni
Le seguenti sono usate in questo numero:
ACNUR Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati
ONG
Organizzazione non governativa
RDC
Repubblica Democratica del Congo
SGBV
Violenze domestiche, sessuali e di genere
editoriale
Nel campo per sfollati di Bihito, a Masisi, RDC orientale.
Dare un riparo agli oppressi e a chi è senza casa “Dividere il pane con l’affamato,
introdurre in casa i miseri, senza
tetto, vestire uno che vedi nudo,
senza distogliere gli occhi da quelli
della tua carne” (Isaia 58, 6-7).
Questo è il digiuno proclamato dal
profeta Isaia più di 2.500 anni fa:
non solo rituali e parole, ma azione
concreta per i poveri.
Tutto ciò mi torna alla mente
quando mi guardo intorno nel
campo di Kishondja. Ho visitato
questo campo a Masisi, nella parte
orientale della RDC, insieme a
suor Inès, che si dona totalmente
nel servizio ai rifugiati. Quando
agli inizi del 2011 questo campo è
sorto “spontaneamente” e non fu
riconosciuto dalle organizzazioni
internazionali come campo
ufficiale, suor Inès e la sua equipe
sono partiti e hanno fatto tutto il
possibile per nutrire gli affamati e
per cercare di rispondere agli altri
bisogni fondamentali di queste
persone. Hanno manifestato una
compassione profonda per l’umanità
“ai margini”, sottolineando uno
degli obiettivi principali del JRS,
che è stato articolato nel nostro
nuovo Quadro strategico.
Tra queste persone sfollate,
le donne sono particolarmente
oppresse. Le violenze sessuali e di
genere sono in grande aumento
nel Congo orientale. Il JRS dà la
massima priorità alla cura di donne
e ragazze, operando per la loro
protezione attraverso programmi
di istruzione e sensibilizzazione.
Il JRS si è unito a molte altre
organizzazioni nella lotta contro
queste violenze e contro l’impunità
di cui godono i loro responsabili
che spesso sono membri di gruppi
armati e dell’esercito. La comunità
internazionale è chiamata a fare
pressione sui poteri che controllano
questi gruppi armati e i militari,
ma allo stesso tempo ha bisogno di
domandarsi quanto i propri interessi
nei minerali del Congo orientale
stiano indirettamente contribuendo
al conflitto, indirizzato dal desiderio
delle parti in lotta di controllare
questo territorio ricco di risorse.
Questa guerra senza fine, nutrita
da interessi locali, regionali e
internazionali, ha reso le persone
brutali, disumanizzando sia le
donne vittime delle violenze, sia gli
uomini che le compiono.
Nelle parole di Isaia, le
dichiarazioni e le manifestazioni
di preoccupazione non sono
abbastanza. Solo quando la guerra
viene fermata allora le persone
sono in grado di ricominciare
a costruire le proprie case e le
proprie famiglie, le donne godono
di rispetto e pace sulle belle colline
intorno a Masisi.
Peter Balleis SJ | Direttore internazionale del JRS
3
internazionale
Un campo per rifugiati dello Sri Lanka nel Tamil Nadu. Migliaia di srilankesi sono stati in questi campi per anni ai “margini dell’umanità”.
Il JRS ha in programma di rafforzare la sua risposta a questi rifugiati dimenticati con il suo nuovo Quadro strategico. (JRS Internazionale)
Il JRS lancia il Quadro strategico
Il JRS ha pubblicato il suo Quadro
strategico per gli anni 2012-2015.
Basato sulla fede e i valori che
hanno guidato coerentemente il
JRS, il piano delinea la sua visione,
i principali obiettivi strategici e i
mezzi per raggiungerli nonché i
risultati previsti.
Il Padre Generale dei gesuiti,
Adolfo Nicolás SJ, ha descritto
il Quadro come “creativo e
fonte di ispirazione”, ma anche
“pieno di sfide”. Ha aggiunto:
“Richiederà certamente duro
lavoro e comporterà un rischio non
indifferente; pur tuttavia questo
piano così impegnativo costituisce
una vera promessa di sempre nuovi
successi laddove ci si occuperà di
quanti tra noi sono gli ultimi e i più
dimenticati.”
Il Quadro richiama le
4
origini del JRS, la sua natura di
organizzazione cattolica e di opera
dei gesuiti, nonché le sue ispirazioni
chiave, non ultima “la nostra fede
in Dio che è presente nella storia
umana” e “la compassione e l’amore
di Gesù per i poveri e gli esclusi”.
Il Quadro non scende in dettagli
concreti prima di definire i valori
che sottostanno al lavoro del JRS:
compassione, speranza, solidarietà,
dignità, ospitalità, giustizia e
partecipazione, valori “centrali per
molte religioni e culture con cui il
JRS entra così spesso in contatto”,
come dice Padre Nicolás.
Ma il Quadro è anche
profondamente pratico, dato che
ciascuno dei quattro principali
obiettivi del JRS è articolato
in chiare strategie e risultati
misurabili. Ci sono strategie per
migliorare la capacità di rispondere
nelle emergenze, per servire meglio
i rifugiati urbani, per combattere
il traffico di esseri umani, per
promuovere gli studi superiori, per
rafforzare lo sviluppo del personale
e molti altri.
Infine lo scopo del nuovo
Quadro strategico, sintetizzato dal
direttore internazionale del JRS,
Peter Balleis SJ, è di fare del JRS
“un’organizzazione internazionale
ancora più forte e unita” per
rispondere meglio ai bisogni dei
rifugiati che sono costretti a vivere
ai “margini dell’umanità”.
Sul web
Per scaricare il Quadro strategico
del JRS in PDF, visita jrs.net
internazionale
Gli obiettivi strategici del JRS
1
Compassione per l’umanità ai margini
Mossi da compassione e rispetto per la dignità
umana, saremo flessibili e determinati nella nostra
risposta alle nuove situazioni di emergenza delle
migrazioni forzate.
2
Ispirati dalla fede e dai valori di inclusione e
solidarietà, cercheremo di capire e di affrontare
le cause dell’ingiustizia strutturale. Lavoreremo
in collaborazione con altri per creare comunità di
giustizia, dialogo, pace e riconciliazione.
Malta - Times of Malta
3
Accendere la speranza con l’istruzione
Sulla base del nostro credo nella dignità e
interdipendenza della famiglia umana, rafforzeremo
le capacità dei migranti forzati attraverso
l’insegnamento, gettando le basi per un futuro pieno
di speranza.
Thailandia - Don Doll SJ/JRS
Radicati nella fede, agiamo nella giustizia
Sudan - Angela Hellmuth/JRS
4
Un JRS più forte e unito
Fermamente radicato nei valori della sussidiarietà
e della partecipazione, il JRS sviluppa e applica
standard coerenti nella governance e nella gestione,
così da lavorare con e per i migranti forzati in unità
internazionale, con trasparenza e affidabilità.
Siria - Don Doll SJ/JRS
5
accompagnare
Giordania
Innumerevoli rifugiati iracheni lottano per vivere nell’anonima metropoli di Amman. (Don Doll SJ/JRS)
Più di un semplice numero
Colin Gilbert, direttore del JRS Giordania
É difficile dire quanti rifugiati
iracheni ci siano in Giordania.
Le stime variano enormemente,
dagli appena 32mila registrati
dall’ACNUR fino agli oltre 450mila
dichiarati dal governo. Tale
discrepanza nei numeri ha suscitato
questioni circa la risposta ai bisogni
di un popolo la cui terra è stata
segnata da anni di violenze.
Che siano o meno conteggiati,
gli iracheni in Giordania restano
in uno status di limbo con numeri
nettamente in calo di coloro che
vengono reinsediati in paesi terzi,
mancanza di integrazione in
Giordania e scarse prospettive di
rimpatrio. Dal 2003 si calcola che
in Iraq le vittime civili dovute alla
violenza siano state tra 105mila e
128mila e l’instabilità politica in
molte regioni perpetua la mancanza
6
di sicurezza. Per quanto riguarda il
reinsediamento, tra ottobre 2008 e
ottobre 2010, più di 36mila iracheni
sono stati reinsediati negli Usa, che
ricevono più del 70% di tutti gli
iracheni trasferiti, mentre 9.400 si
sono reinsediati nel 2011 e solo 826
negli ultimi tre mesi dell’anno.
“Numeri, numeri… Siamo
stanchi di essere solo un ulteriore
numero”, dice Laith Eskander,
un iracheno che vive ad Amman.
“È difficile essere un rifugiato,
è difficile sapere di essere solo
una parte dei grafici o delle
carte dell’ACNUR o del governo
americano. E ora noi siamo numeri
di cui ci si è dimenticati”.
Le riflessioni di Laith
contengono una verità: nell’anno
passato gli eventi rivoluzionari in
Medio Oriente hanno distolto più
che mai l’attenzione internazionale
dall’Iraq. E mentre ci rivolgiamo
alle persone sfollate per la
violenza in Siria e altrove, il JRS
è determinato ad assicurare che i
rifugiati iracheni non diventino
numeri dimenticati.
Ad Amman un’équipe visita le
famiglie dei rifugiati disseminate
per la città, li accompagna durante
il prolungato tempo di attesa e
di incertezza. Guidata da Laith e
costituita interamente di rifugiati,
l’équipe può mettersi in contatto
con altri a cui manca l’accesso ai
servizi forniti da altre agenzie.
Khalil* è uno di quei rifugiati
“ignorati”. Ha 31 anni e ha lavorato
per quattro anni come interprete
per l’esercito americano, è scappato
da Baghdad nel 2008 dopo essersi
trovato in uno scontro a fuoco e
Giordania
avere ricevuto ripetute minacce
di morte. Lui e i suoi genitori si
sono trasferiti a Mosul, nel nord
dell’Iraq, dove hanno vissuto
quattro anni con la speranza di
un reinsediamento. Dopo avere
ricevuto un rifiuto attraverso
i canali consueti, Khalil ha
fatto domanda per il SIV (visto
speciale per immigrati), che
consente un processo accelerato
di reinsediamento negli Usa per
gli iracheni che hanno lavorato
almeno un anno con una società
americana o l’esercito Usa in Iraq.
Quando Khalil il 21 ottobre 2010
è stato accettato, ha iniziato subito
i preparativi per aggiungere i suoi
parenti stretti alla domanda.
Intanto, il padre di Khalil era
ritornato a Baghdad perché alcuni
amici gli dicevano che le condizioni
di sicurezza erano migliorate. Dieci
giorni dopo l’approvazione della sua
domanda SIV, suo padre insieme
ad altri 45 civili è stato ucciso in
un attentato alla chiesa di Saedat al
Najah.
Tre mesi più tardi, Khalil è stato
informato che il suo SIV era stato
revocato senza alcuna spiegazione.
“Dopo che mio padre è morto e
che mi hanno tolto la possibilità
di andare negli Usa, sapevo di
dovermene andare dall’Iraq”,
racconta. Le minacce di morte
sono iniziate provenendo da fonti
sconosciute a Mosul e il giorno
dopo aver ricevuto il passaporto
per la loro bambina neonata, Khalil
e sua moglie sono partiti per la
Giordania.
Khalil ha vissuto nel quartiere
urbano di Hashemi Al Shamali, a
est di Amman, per quasi cinque
mesi, senza poter lavorare e
lottando per rimediare abbastanza
denaro per pagare i pannolini della
sua bambina di otto mesi e altre
necessità. È molto difficile per gli
iracheni in Giordania ottenere un
permesso di lavoro: prima devono
avere un permesso di residenza
che può costare fino a 25mila euro,
e poi trovare un posto di lavoro
nella difficile economia giordana.
L’équipe che visita le famiglie
accompagna Khalil e lo ha messo
in contatto con avvocati volontari
del progetto iracheno di assistenza
accompagnare
ai rifugiati che valuta i candidati
per il SIV. Inoltre, il JRS ha invitato
Khalil a tenere lezioni di computer
e di lingua e, facendo questo, a
incontrare altri rifugiati.
Oltre a essere presente per
iracheni come Khalil, che rischia
di essere dimenticato, l’équipe
che visita le famiglie sta aiutando
anche molte famiglie siriane che
hanno bisogni urgenti, molte
delle quali sono fuggite da Homs,
e che non hanno avuto nessun
contatto con l’ACNUR o altre ONG
ad Amman a causa della paura. I
rifugiati iracheni nell’équipe hanno
consolato i siriani condividendo
la saggezza raccolta dalla loro
esperienza come rifugiati in
Giordania.
Rivolgendosi sia ai “vecchi” sia ai
“nuovi” rifugiati, il JRS Giordania
continuerà a identificare i rifugiati
più vulnerabili, a camminare
con loro nella loro sofferenza e a
rassicurarli che essi sono più che
semplici numeri.
*Nome di fantasia
Attenzione individuale
Il JRS organizza corsi di inglese
per rifugiati iracheni ad Amman.
Jasim Misban ha imparato a parlare
inglese lavorando come scaricatore
a Mosul, in Iraq, e ad Amman ha
imparato a leggere e scrivere.
Don Doll SJ/JRS
7
accompagnare
Haiti
Siamo nel “bizniz”!
Rosa María del Socorro López, una missionaria comboniana del Messico, è coordinatrice di un progetto del JRS per donne in sette campi dove vivono i sopravvissuti al terremoto di Port-au-Prince,
Haiti. Spiega perché queste donne l’hanno tanto colpita.
Ad Haiti c’è un detto secondo cui
una casa senza una donna è come
un corpo senz’anima. Credo che
sia vero. Il nostro progetto con le
donne dimostra il loro desiderio
crescente di camminare con le
proprie gambe e cambiare non solo
la propria situazione, ma anche
quella di Haiti, per dare al loro
Paese un volto più giusto.
Quello che mi colpisce di più
di queste donne nei campi è la
loro sofferenza e l’isolamento. Ma
c’è anche un senso di tenacia e
speranza. Mi viene in mente Pierre
Caroline: è riuscita a superare
la difficoltà di comunicare e ora
partecipa in modo attivo alle
nostre discussioni. Al punto che è
stata scelta dalle donne nei campi
per presentare una petizione al
ministro per le Pari opportunità.
Stiamo lavorando sodo
per creare una “economia di
solidarietà” cosi che le donne
possano diventare protagoniste
nel loro sviluppo. Ad Haiti devi
pagare per tutto. Senza un lavoro,
non c’è modo di sopravvivere –
nessuna cura medica, nessuna
istruzione, niente. Sono cruciali le
buone condizioni economiche: più
queste sono difficili e più le donne
diventano vulnerabili.
Sono stati formati gruppi di
donne in quattro campi. Le donne
si sono impegnate a dare un
piccolo contributo settimanale che
garantisce loro di ricevere i prestiti.
Alcune hanno avviato attività in
strada, vendendo frutta o verdura,
vasellame e altre cose. Un giorno,
quando stavamo camminando
nelle strade di Port-au-Prince, ho
sentito una donna chiamarmi:
“Suor Socorro, vieni a vedere
l’attività che ho messo in piedi
con il prestito”. E Saint Luis Marie
Nicole mi ha mostrato con orgoglio
il suo bisniz, come lo chiamano da
queste parti.
Questa esperienza servirà come
modello in altri tre campi. Offriamo
anche formazione sui diritti delle
donne, leadership, uguaglianza di
genere e risoluzione dei conflitti.
Da quando sono infermiera, mi
occupo di formazione per la salute
comunitaria. Di tutti i seminari
che teniamo, quello con il più
grande impatto è stato dedicato
alle malattie provocate dalla
mancanza di case adeguate. Questo
ha risvegliato nelle donne il sogno
di avere una propria casa, dove
poter vivere con dignità, lasciandosi
alle spalle le loro tende. La mia
speranza è che questo diventi
realtà.
Info point
Nel gennaio 2012, più di due anni
dopo il terremoto di magnitudo 7
che ha colpito Haiti, circa 515mila
haitiani vivono ancora in 707
insediamenti sparsi per tutta Portau-Prince.
Un campo a Port-au-Prince in cui è presente il JRS, fotografato nel febbraio 2011. (JRS Internazionale)
8
Pierre Caroline
Malawi
servire
Donne in coda per il cibo nel campo di Dzaleka a metà degli anni Novanta. (Michael Coyne)
Il JRS che potevo vedere e toccare
Claudine Leary è una studentessa di materie religiose che vive negli Usa con suo marito e i loro
tre figli. Ha ricostruito la sua vita dopo essere fuggita nel 1994 dal genocidio in Ruanda. Claudine
ricorda la propria vita di rifugiata e come il JRS l’ha aiutata a ricominciare da zero.
Ricordo la vita nel campo di Dzaleka
in Malawi dal 1995 al 1997 sia come
una benedizione, sia come una delle
situazioni più stressanti in cui mi
sia mai trovata. Era una benedizione
perché avevo un posto dove stare
legalmente. Era casa. Ero viva, ci si
occupava di me, ero nutrita, vestita
e potevo vedere un’infermiera o
un medico se mi ammalavo. Non
c’erano più rumori di fucili, granate
o bombe. Era tranquillo, potevo
dormire veramente. In breve tempo,
ho abbandonato la tenda in cui
avevo vissuto e mi sono trasferita
in una casa. Anche se molte persone
condividevano una casa, un campo
di rifugiati con le case era una
meraviglia.
Vendevo riso, olio per cucinare
e zucchero nel mercato di Dowa
per provvedere a me stessa in ciò
che l’ACNUR non poteva offrire.
I malawiani erano le persone
più gentili che avessi mai visto.
Comperavano i miei prodotti non
perché ne avessero realmente
bisogno, ma perché non mi
volevano deludere. Dovevo vendere
le mie merci nelle quantità più
piccole possibili così che il loro
desiderio di aiutarmi non avesse
un impatto sulle loro scarse risorse.
Quello che leggevo nei loro occhi
Potresti non sapere
mai alle preghiere
di chi la tua vita è
la risposta.
9
servire
Malawi
(In alto) Claudine con la sua famiglia.
(sotto) Joe Moretti con un rifugiato ruandese,
Eraste Nkundumukiza, a Lilongwe nel 1997.
10
era compassione, comprensione e il
dispiacere di non potere fare di più.
Erano poveri ma meravigliosi verso
di me.
Per molte ragioni la vita a
Dzaleka era difficile. Portavamo
con noi un dolore smisurato dalla
nostra patria. Dovevamo contare sui
camion dell’ACNUR per il cibo. Non
c’era un chiaro sbocco nella nostra
vita, nessuna prospettiva futura.
Mi è sempre piaciuto pregare
e la vita a Dzaleka mi ha portato
a farlo spesso. Pregavo come non
avevo mai fatto prima. All’alba
scendevo a pregare nelle aule. A
mezzogiorno con un amico salivo
su una collina a pregare e alla
sera ci tornavamo nuovamente.
Nel frattempo pregavo in silenzio
qualunque cosa facessi. Leggevo
la Bibbia e volevo disperatamente
credere alle promesse che
conteneva. Ma la mia fede è stata
profondamente scossa: molte
preghiere non avevano fermato
l’uccisione di persone innocenti
nel mio Paese, anche nelle chiese.
Ero molto confusa su Dio, ma
ciononostante pregavo.
Joe Moretti del JRS è stata
la risposta alle mie preghiere. Di
Joe sapevo soltanto che era un
volontario del New Jersey. Con
tutte le nostre storie da raccontare,
raramente noi rifugiati davamo
a chi ci aiutava la possibilità di
raccontare la propria. Mentre suor
Yolanda e suor Catherine tenevano
le donne occupate con la maglia
e il cucito, Joe incontrava alcuni
uomini e discuteva di filosofia.
Questo era il gruppo a cui preferivo
unirmi. Avevo solo un diploma di
scuola superiore, ma avevo bisogno
di esercitare il mio inglese.
Il nostro gruppo discuteva di
molte cose ma ciò che mi è rimasto
più impresso era il “perseguimento
della felicità”. Non ne avevo mai
sentito parlare. Collegavo questo
concetto a un altro, “la chiave sta
nell’istruzione”, che era qualcosa
che avevo sentito molte volte.
Parlai a Joe della mia intenzione di
andare al college, guadagnarmi da
vivere e di quanto questo sembrasse
impossibile. Lui non rispose,
semplicemente ascoltava come
faceva sempre. Non potevo credere
alle mie orecchie e ai miei occhi
quando, la volta successiva che
vidi Joe, mi diede alcuni moduli di
domanda del college, dicendo: “noi
potremmo essere in grado di farti
entrare”. “Noi” significava il JRS.
Nel 2001 mi sono diplomata con
un baccalaureato in studi economici
alla Africa University in Zimbabwe.
Mi sono trasferita negli Stati Uniti
nel 2003 dove ho completato un
master in business management
e ho lavorato per alcuni anni.
Tuttavia, ispirata da Joe e da altre
persone importanti nella mia vita,
specialmente mio marito e i suoi
familiari, mi sono convinta che la
vera felicità nasce dal dare felicità
agli altri nel nome di Dio. Con
questa definizione aggiornata di
felicità, ho dato una svolta alla mia
vita e sto frequentando un master
in teologia. Desidero unirmi alla
Chiesa metodista unita per rendere
questo mondo un posto migliore.
Joe ha sempre insistito nel
dire che non era lui ma il JRS ad
aiutarmi. Tuttavia, era lui il JRS
che potevo vedere e toccare. Oswald
Chambers una volta ha scritto: “tu
sei nato in questo mondo e potresti
non sapere mai alle preghiere di
chi la tua vita è la risposta”. Joe
era la risposta alle mie. Ora vive
nel Signore e nei molti cuori che
ha toccato. Ogni Pasqua e ogni
Natale porto fiori all’altare in sua
memoria, pregando che il suo
sacrificio e i suoi sforzi saranno
sempre ricompensati dalla mia vita
e da tutti coloro per aiutare i quali
ha lavorato incessantemente.
Repubblica Democratica del Congo
Dimenticati in luoghi “spontanei”
servire
FOCUS
SULLA RDC ORIENTALE
Suor Inès Oleaga, direttrice del progetto JRS, Masisi
Come definireste la spontaneità?
La definizione del vocabolario:
volontario o che deriva da una tendenza
originaria. Per la maggior parte
delle persone, “spontaneo” significa
fresco, libero, sorprendente,
generoso. A Masisi, “spontaneo” è
il modo in cui sono descritti alcuni
campi per sfollati, un sinonimo di
miseria, abbandono, indigenza,
umiliazione, paura, sopravvivenza.
E la speranza? Bene, è sempre
presente, è il volto più visibile
dell’amore e non smettiamo mai di
crederci.
Davanti a me sono sedute 50
donne con penne e quaderni. Di
età compresa tra i 16 e i 50 anni,
portano con sé la speranza di
imparare a leggere e scrivere per la
prima volta. Insieme ad altre 1.500
famiglie, sono state costrette ad
abbandonare i loro villaggi a causa
degli attacchi e dei combattimenti
sul territorio di gruppi armati e
capi locali prima delle elezioni
generali della fine del 2011.
Gli scontri si sono intensificati
quando i soldati governativi sono
improvvisamente scomparsi
perché erano stati chiamati per le
esercitazioni!
La sola tendenza volontaria e
naturale che ha condotto le persone
a fuggire dai loro villaggi era
l’istinto di sopravvivenza. Li hanno
lasciati senza sapere chi se ne
sarebbe impossessato. Suppongo
sperassero che, qualunque cosa
accadesse, le cose potessero solo
migliorare. Le loro poche proprietà
erano andate perse quando i
villaggi furono bruciati, ma almeno
avrebbero salvato la propria vita.
Suor Inès con un amico nel campo “spontaneo” per sfollati chiamato Kishondja.
(JRS Internazionale)
Questa nuova ondata di
sfollamenti nel febbraio 2011,
che ha portato alla creazione di
due nuovi campi, è una denuncia
della comunità umanitaria. Poiché
sono “luoghi spontanei”, i campi
non ricevono ancora aiuti regolari
dalle agenzie internazionali come
l’ACNUR, un anno dopo essere
stati messi in piedi.
Le famiglie sradicate vivono
in piccole capanne che hanno
11
servire
Repubblica Democratica del Congo
costruito con foglie di banano
tirando avanti giorno per giorno
senza sapere se avranno da
mangiare perché dipendono da
lavori quotidiani per la gente locale
fatti in cambio di cibo. L’assistenza
medica, l’igiene, l’acqua e l’accesso
ai beni più basilari come le
casseruole non arriverebbero a loro
se noi ONG non intervenissimo
e non trovassimo i mezzi per far
fronte alle situazioni di emergenza.
Un altro problema è che è difficile
raggiungere i campi da Masisi, dove
si prendono le decisioni e da dove
gli aiuti possono alla fine essere
distribuiti.
Dapprima abbiamo visitato i
nuovi sfollati nel marzo 2011. I
loro bisogni erano così tanti che era
impossibile decidere cosa fare. Non
c’era dubbio che dovevamo dare
loro la priorità, visitarli, assicurarci
che i campi fossero nell’agenda di
ogni iniziativa umanitaria nell’area.
I nostri sforzi congiunti hanno
portato a qualche risultato: almeno
ora le persone hanno latrine,
recipienti per l’acqua, casseruole e,
qualche volta, cibo anche se spesso
soffrono la fame.
Con il passare dei mesi è
trascorso anche l’anno scolastico.
Per iniziativa di un gruppo di
insegnanti e con l’aiuto del JRS
sono state organizzate le classi ed
è stato portato a termine l’anno
scolastico 2010-2011. È una vera
sfida promuovere l’istruzione in
un tale scenario, in cui povertà e
miseria sembrano rafforzare uno
stato permanente di emergenza.
Un’altra priorità del JRS a
Masisi è stare vicino alle donne e
imparare da loro che cosa possiamo
fare per aiutarle. In quest’area
tutte le donne affrontano il
pericolo delle violenze sessuali.
Abusare o violentare una donna è
diventato routine. Questa violenza
è un’atrocità costante, oggetto di
molti rapporti, articoli e denunce.
Molte organizzazioni lavorano
per migliorare la situazione ma in
realtà i fondi destinati a combattere
la violenza sessuale e le migliaia di
pagine scritte sull’argomento non si
riflettono in un sostegno concreto
alle vittime o in una diminuzione
delle aggressioni.
Quando abbiamo riunito le
donne per la prima volta, sono state
molto chiare: la loro preoccupazione
principale erano il cibo e la scuola
per i loro figli. Per quanto riguarda
il cibo, continuiamo a essere la
loro voce nelle organizzazioni che
possono fornirlo e aiutiamo le
famiglie più vulnerabili.
Riguardo all’istruzione,
abbiamo raggiunto un accordo
con la scuola primaria più vicina:
il JRS ha fornito i materiali per
la costruzione di nuove aule e la
comunità ha accettato di costruirle
e di accogliere i bambini del campo.
Inoltre, si è detta d’accordo di
fornire una stanza per i corsi di
Il JRS presta un’attenzione speciale agli sfollati che sono in qualche modo vulnerabili. Nell’immagine, una coppia di anziani in un altro
campo a Mweso, nel Nord Kivu. (JRS Internazionale)
12
Repubblica Democratica del Congo
servire
Il campo di Kishondja. (JRS Internazionale)
alfabetizzazione che teniamo una
volta alla settimana per le donne.
Abbiamo anche ricostruito la scuola
secondaria più vicina che era fatta
di paglia e stava cadendo a pezzi.
Coloro tra i locali e gli sfollati che
hanno i figli alla scuola secondaria
hanno raccolto il 10% dei materiali
necessari per costruire sei aule,
mentre il JRS ha procurato il resto
e preso in mano la costruzione.
Tutti hanno lavorato senza
tregua, anche se siamo stati
spesso costretti a tornare
indietro nel tragitto verso l’area
perché un ponte era crollato o
un albero caduto ci impediva di
andare avanti. Quando questo
accade, siamo certi di ricevere
una telefonata o un avviso dalla
gente nei campi, che ci permette
di sapere che se vogliamo
andare avanti loro ripareranno
la strada. È evidente la paura
di essere dimenticati sulla loro
collina, lontani dai centri in cui si
prendono le decisioni e vicini alle
zone del conflitto.
Il JRS sta accompagnando
gli sfollati lungo un sentiero
lastricato di incertezza: che cosa
accadrà ora dopo le elezioni? Il
governo ristabilirà la sicurezza
nei loro villaggi? Faranno ancora
il raccolto nella propria terra e
metteranno fine all’umiliazione
di aspettare la carità dagli altri?
La loro sopravvivenza continuerà
a dipendere dai bilanci approvati
a Washington, Bruxelles o Roma?
Saremo capaci attraverso le nostre
azioni e l’amore che diamo loro di
farli sentire come fratelli e sorelle,
compagni in viaggio, invece che
sfollati costantemente poveri,
vittime dipendenti? In che modo
possiamo ringraziarli perché fanno
crescere la nostra fede, la speranza
e l’amore?
Info point
Il JRS ha tre progetti intorno al centro
di Masisi nella instabile regione del
Nord Kivu: un servizio per persone
vulnerabili in otto campi per sfollati, di
cui cinque “ufficiali” e tre “spontanei”;
attività di alfabetizzazione e
produzione di reddito per donne e
giovani sfollati e in altre condizioni;
istruzione formale, in particolare a
sostegno di 70 scuole secondarie
attraverso la formazione di insegnanti,
la costruzione e la fornitura di
materiali. Anche l’aiuto di emergenza
fa parte della risposta del JRS,
specialmente quando ci sono nuovi
sfollamenti, come è accaduto nel
febbraio 2011 e nuovamente all’inizio
del 2012, nel distretto frontaliero
di Walikale, dovuto agli scontri tra
milizie congolesi e ruandesi.
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difendere
Repubblica Democratica del Congo
Un campo per sfollati a Mweso. (JRS Internazionale)
La giustizia negata alle donne
FOCUS
SULLA RDC ORIENTALE
Danilo Giannese, responsabile del JRS Grandi Laghi per le
comunicazioni e l’advocacy
È una mattina come tutte le altre.
Blandine, una donna di 29 anni
che vive in un campo di sfollati
interni nella località di Mweso,
in Nord Kivu, esce dalla sua
casupola malridotta per recarsi
a cercare del cibo e della legna
con cui accendere il fuoco. Anche
quel giorno cammina per diversi
chilometri sotto il sole cocente
congolese ma alla fine riesce nella
sua impresa. Sulla strada del
ritorno pensa che di lì a poco darà
da mangiare ai suoi tre piccoli. A
un tratto, tuttavia, cinque uomini
armati le sbarrano la strada.
Iniziano a deriderla e a spintonarla,
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fino a farla cadere. Poi, a turno, la
stuprano.
“Quando sono andati via non
riuscivo a capire se ero ancora
viva. Ero piena di lacrime, ma non
volevo che nessuno mi vedesse. Mi
vergognavo di me stessa”, racconta
Blandine.
La donna sapeva cosa bisogna
fare in questi casi: recarsi in
ospedale entro 72 ore dallo
stupro per ricevere le cure
idonee. Tuttavia, sapeva che
non avrebbe potuto confessare
quanto le era accaduto al marito
perché quest’ultimo l’avrebbe
rinnegata, gettandola fuori di
casa e dalla famiglia. Da queste
parti, infatti, capita sovente che
gli uomini accusino le donne di
essere responsabili del fatto di
aver ‘subito’ una violenza sessuale.
Blandine, d’altronde, sarebbe stata
emarginata anche dal resto degli
abitanti del suo campo di sfollati.
Per lei, dopo l’inferno dello stupro,
sarebbe cominciato un altro
inferno.
“Per farmi accompagnare
all’ospedale da mio marito,
allora, ho fatto finta di avere le
convulsioni. Il dottore lo ha fatto
aspettare fuori e così ha potuto
darmi le medicine. Se le avessi prese
Repubblica Democratica del Congo
a casa mio marito avrebbe subito
capito che quelle erano medicine
contro le violenze sessuali: tutti gli
uomini, qui, ormai sanno benissimo
come sono fatte e di che colore
sono”, racconta Blandine.
La RDC ha il triste primato
mondiale delle violenze domestiche,
sessuali e di genere (SGBV). Secondo
recenti studi, infatti, ogni ora 48
donne e ragazze subiscono questo
tipo di violenza, specialmente
nell’est del Paese, come nei due
Kivu, una zona contrassegnata
dalla presenza di numerosi gruppi
ribelli armati locali e stranieri
e, di conseguenza, da massicci
movimenti di popolazione in fuga
dai propri villaggi. Soltanto in
Nord Kivu, ci sono oltre 500 mila
sfollati interni su un totale di due
milioni sparsi su tutto il territorio
congolese.
Gli autori degli atti di SGBV
possono essere ribelli o soldati
dell’esercito regolare, ma in molti
casi risultano essere civili, anche
sfollati che vivono nei campi. Uno
dei grandi ostacoli nella lotta alla
SGBV nella RDC è l’impunità
dilagante nei confronti degli autori
di tali violenze. Nonostante in
Congo sia in vigore una delle leggi
più severe al mondo in termini di
violenze sessuali (che prevede pene
dai cinque ai vent’anni di carcere, da
raddoppiare nel caso in cui l’atto sia
stato commesso da militari e forze
dell’ordine), rimangono sporadici gli
esempi di stupratori assicurati alla
giustizia.
In un clima del genere, pertanto,
chi sopravvive alle SGBV preferisce
restare in silenzio e non denunciare
la violenza subita. In questo modo,
infatti, sperano di non subire le
ritorsioni dei loro aggressori che
rimangono tranquillamente in
libertà.
La lotta contro l’impunità per
gli autori di atti di SGBV è una
delle priorità del lavoro di advocacy
del JRS in Nord Kivu. Questa
piaga sarà sradicata dalla RDC
solo quando saranno messi dietro
le sbarre, quando sarà ben chiaro
che commettere atti di violenza
sessuale corrisponde a condanne
severe. il JRS, insieme alle altre
ONG attive in Nord Kivu, è
convinto che bisogna continuare a
esercitare pressione sulla comunità
internazionale affinché questa,
a sua volta, esiga dal governo
congolese l’applicazione della
legge e la fine dell’attuale clima di
impunità.
Il nostro lavoro di advocacy
comprende anche la prevenzione
delle SGBV, un obiettivo raggiunto
soprattutto attraverso l’istruzione
e come parte del sostegno offerto
dal JRS alle persone vulnerabili
dentro e fuori i campi per sfollati a
Masisi e Mweso. Si possono citare
alcune attività: incontri in cui le
donne condividono i loro problemi
e diventano consapevoli dei propri
diritti; visite a domicilio a chi
sopravvive alle SGBV; campagne
condotte nei campi, nei villaggi
e nelle scuole sui diritti umani,
i valori e, più specificamente,
sulla legge relativa alle violenze
sessuali e su cosa fare in caso di
aggressione.
Mentre il successo nel porre
fine all’impunità dipende
principalmente dalla volontà
delle autorità congolesi, educare le
persone a rifiutare ogni violenza
è un obiettivo che può essere
raggiunto concretamente con
l’impegno quotidiano nutrito di
speranza. È in questo spirito che
il JRS resta vicino alle persone in
questa parte assediata dell’Africa.
difendere
Un incontro di sensibilizzazione organizzato
dal JRS a Mweso. (Danilo Giannese/JRS)
Questa piaga
sarà sradicata
solo quando sarà
ben chiaro che
commettere atti di
violenza sessuale
corrisponde a
condanne severe.
*Nome di fantasia
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difendere
Francia
Che cosa abbiamo fatto del diritto d’asilo?
JRS Francia
Denise, ruandese, aveva tre anni
quando la sua famiglia fu spazzata
via. Andando da un campo per
rifugiati a un altro, attraversò la
Tanzania e si ritrovò a Mayotte
che è parte delle isole Comore.
Mayotte è territorio francese e così
Denise, quando compì 18 anni, fu
convocata dal Tribunale nazionale
per l’asilo. Lasciò tutto e si recò
a Parigi, solo per scoprire che la
sua udienza era stata posticipata.
Denise era completamente sola. Sei
mesi più tardi la sua domanda fu
rifiutata. Sarà rimandata indietro
in Ruanda? “Quando potrò tornare
a Mayotte, ai miei libri e dai miei
amici?” domanda con nostalgia,
continuamente.
La legge non le garantisce il
diritto di farlo, bensì schiude
un futuro di sfruttamento in un
modo o nell’altro. Come può una
procedura di asilo completamente
legale diventare un percorso
degradante da percorrere?
Per più di 200 anni la Francia
Un uomo che trasporta i suoi averi passa
accanto ai manifestanti che protestano
contro lo sfratto di centinaia di richiedenti
asilo da un edificio che occupavano a Nizza
nel dicembre 2010. (Reuters/Eric Gaillard,
per concessione di Trust.org – AlertNet)
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ha riaffermato il suo impegno
per il diritto di asilo. In realtà,
le ragioni dichiarate per frenare
questo diritto sono molte. La
loro legittimità di solito risiede
nelle statistiche governative,
che descrivono la Francia sotto
una luce generosa, mostrando
come il Paese faccia la sua parte
accogliendo più rifugiati degli altri.
Ma questo non si concilia con la
risoluta violenza di una politica che
esclude gli stranieri, di una legge
che allo stesso tempo organizza e
banalizza la violenza. Le statistiche
non dicono nulla delle brutali cacce
della polizia, delle misure prese
per separare le famiglie, dei ritardi
amministrativi, delle umiliazioni
incessanti.
Le statistiche tacciono
sulla deliberata e sistematica
emarginazione di uomini e donne,
giorno dopo giorno. Questa è la
violenza oggi più scandalosa perché
è coperta e sostenuta dalla legge.
Innumerevoli esempi vengono
alla mente. Alcuni richiedenti asilo
bruciano letteralmente i propri
polpastrelli prima di entrare in
Francia per cercare di impedire alla
polizia di frontiera di identificarli
e deportarli. Le autorità hanno
emesso una circolare che rifiuta
l’asilo, per principio, a coloro che
nella disperazione arrivano a
questi estremi.
Nel febbraio 2012 la Corte
europea dei Diritti dell’uomo ha
stabilito che la procedura accelerata
di asilo della Francia ha fallito nel
fornire un rimedio efficace a coloro
che chiedono asilo per la prima
volta. L’uomo originario del Sudan,
cui è stato concesso lo status
di rifugiato in appello, sarebbe
stato probabilmente deportato
se non si fosse rivolto alla Corte
europea. Nel 2010 il 24% di tutte
le domande di asilo sono state
obbligate a seguire la procedura
accelerata e non hanno avuto la
stessa assistenza di base degli altri
richiedenti asilo che seguivano la
procedura normale.
Non che la vita sia facile per
questi ultimi: ad esempio, Barnabé,
che ha fatto domanda di asilo un
anno fa, sta ancora aspettando
per avere un colloquio. Si è recato
alla prefettura per rinnovare il suo
“receipt” circa dieci volte, dapprima
per presentarsi, poi per avere
la sua documentazione, poi per
compilarla, poi i documenti non
erano corretti, quindi sono scaduti,
infine la foto era troppo scura.
“Di solito mi mettevo in
coda alle 5 del mattino, ma non
riuscivo a entrare perché solo
poche persone venivano viste. Così
sono andato alle 3 del mattino,
ma c’erano persone che stavano
in coda per vendere il loro posto
al miglior offerente che veniva
dopo. Ora vado alle 2 del notte e va
bene”, racconta. Va bene nel senso
che otterrà i benefici sociali per i
richiedenti asilo, ma il 1° febbraio
2012, quando la temperatura di
notte era -9°, Barnabé stava in
coda.
Può la legge riscoprire la sua
vocazione principale di garantire
la sicurezza e la dignità delle
persone? Nelle parole di Hannah
Arendt (1906-1975), ebrea tedesca
che è stata uno dei filosofi politici
di punta del XX secolo, può la
legge riuscire a “creare lo spazio
Francia
difendere
Fortezza Europa
Richiedenti asilo sbarcano a Malta dopo essere stati soccorsi in mare. Nonostante la difficoltà che comporta cercare
di raggiungere l’Europa, questa regione è la principale destinazione per i richiedenti asilo individuali. Nel 2010 la
Francia è risultata la destinazione principale in Europa e la terza nel mondo.
Times of Malta
in cui è valida; un mondo in cui
possiamo muoverci in libertà?”. La
vera legittimità della nostra legge
è in discussione. Concedendo tutto
ai sondaggi di opinione, offrendo
una illusoria sicurezza giuridica,
la legge ha perso i suoi legittimi
fondamenti: saggezza, giustizia e
l’universalità dei valori.
I fondamenti della legge non
dovrebbero essere la Costituzione
e la Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo, perché essi
soli ci uniscono e superano le
nostre paure e passioni? Se le
persone perdono i loro diritti come
cittadini, dovrebbero ottenere
protezione e godere di rispetto per
i loro inalienabili diritti umani.
Tuttavia, “il caso è l’opposto”,
dice Arendt. “Un uomo che non è
nient’altro che un uomo ha perso
le autentiche qualità che rendono
possibile agli altri di trattarlo come
un essere umano come loro”.
Non possiamo essere
indifferenti alla violenza contro
gli stranieri. Siamo tutti migranti
e in cammino sulla terra, domani
più di ieri. Forse i nostri figli e
nipoti saranno esiliati lontani
da casa. Saranno trattati con la
stessa violenza da quei Paesi in cui
cercano accoglienza?
Può la legge
riuscire a ‘creare
lo spazio in cui sia
valida’?
17
difendere
Francia
Welcome
Difendere la dignità umana accogliendo chi è nel bisogno è essenziale tanto quanto impegnarsi per
una riforma della legge, come ha scoperto Nadette Noel.
È lì, accovacciato sul pavimento
della cucina mentre pela patate e
chiaramente si sente a casa, come
se fosse tornato nella campagna
afghana. “Buon giorno! Hai avuto
una bella giornata?”, veramente ho
avuto una brutta giornata e il suo
sorriso accogliente mi fa sentire
meglio, sono contenta del raggio di
sole nella mia cucina.
Più tardi mi invita ad
assaggiare il piatto che ha
preparato, orgoglioso di poter
offrire qualcosa in cambio. E,
spiega, è contento di non dover
fare la coda al freddo, sgomitare
per tenere il posto nella fila, solo
per avere la cena.
Faccio parte della rete
Welcome del JRS Francia, offro
alloggio ai richiedenti asilo per
un massimo di sei settimane.
Avevo già conosciuto il JRS ed
ero consapevole dei problemi che
gli stranieri avevano nel trovare
alloggio a Parigi. Vedevo sempre
più gente vagare per le strade e le
stazioni del metro, ma che cosa
potevo fare? Non ero incaricata di
risolvere i problemi del mondo.
Ma poi ho iniziato a essere
coinvolta nella Comunità di vita
cristiana (CVX) e, all’improvviso,
essere battezzata fu più di una
semplice convenzione sociale.
Era venuto il momento di passare
all’azione, di mettere in pratica
la chiamata sempre più urgente
a essere concreti nell’accoglienza
verso gli altri, nella mia stessa
casa. Mi tornarono alla mente
le parole “Ero straniero e mi hai
accolto”, o “Oggi sarò nella tua
casa”.
Di solito mi dicevo che, come
giornalista, facevo del mio
meglio dando voce ai poveri,
denunciando le ingiustizie. Ma mi
sentivo chiamata sempre più ad
agire in modo diretto, così, dopo
avere consultato i miei figli che
mi hanno incoraggiata, mi sono
lanciata in questa avventura.
Da allora ragazzi afghani sono
venuti a stare da me e ho iniziato
a scoprire la realtà del loro Paese,
gli orrori della guerra e dello
sfollamento e il duro viaggio dei
richiedenti asilo. Condivido la
loro angoscia, mentre aspettano
una risposta dalle autorità che
decideranno del loro futuro. Vedo
la loro umiliazione nel dovere
allungare le mani per chiedere cibo
e vestiti per stare caldi. Tutto è da
conquistare.
Sto anche scoprendo la gioia
di accogliere, di sapere che, per
un momento, i miei ospiti non
avranno fame o freddo. Sto
scoprendo la grazia di un sorriso
quando mi accolgono ogni sera.
Ammiro il loro coraggio e la loro
speranza, la loro fiducia nella
vita. C’è molto per cui essere
riconoscente.
Sul web
Per sapere di più della rete
Welcome, visita jrsfrance.org
Far sentire i richiedenti asilo come a casa: un evento organizzato dalla rete Welcome per volontari del JRS e richiedenti asilo; a sinistra, Nadette.
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Afghanistan
evento
Disegnare la pace oltre i confini
Stan Fernandes SJ, Direttore JRS Asia meridionale
L’Afghanistan è uno dei Paesi meno
sviluppati al mondo. I giovani,
che rappresentano il 70% della
popolazione, desiderano “pace,
sicurezza e una buona istruzione”
– così raccontano i nostri studenti
quando li interroghiamo.
Non sono soli nei loro esili
sogni. La dottoressa Margret
Bergmann è un’entusiasta,
instancabile e creativa benefattrice
dei progetti di istruzione del JRS
Afghanistan. Con la dottoressa
Petra Eisentecken, sta attirando
amici, funzionari locali e oltre
5.500 studenti (all’ultimo
conteggio) di Bozen/Bolzano in
Sud Tirolo per stabilire contatti in
una mostra chiamata Disegniamo
la pace e la pace arriverà!
Con entusiasmo toccante, i
bambini e i giovani che stanno
studiando inglese nei progetti del
JRS in Afghanistan e i bambini
delle scuole del Sud Tirolo, hanno
preso in mano pastelli e pennarelli
per disegnare la
pace. Le loro fatiche
verranno esposte
al Centro culturale
Walther von der
Vogelweide di Bozen/
Bolzano dal 16 al 24
aprile, settimana in cui
sono in programma molte
attività interessanti.
Quando sogni da solo,
quello resta un sogno.
Ma quando si sogna insieme,
è l’inizio della realtà.
Bambini disegnano per la pace in Italia e in Afghanistan.
19
Jesuit Refugee Service
Borgo S. Spirito 4,
00193 Roma, Italia
TEL: +39 06 69 868 465
FAX: +39 06 69 868 461
Servir è redatto,
prodotto e stampato a Malta
Mittente
(per cortesia, rispedire al mittente
anche gli invii a indirizzi non più validi)
Jesuit Refugee Service Malta,
St Aloysius Sports Complex,
50, Triq ix-Xorrox,
Birkirkara, Malta
www.jrs.net
Design by
‘Dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa
i miseri, senza tetto; vestire uno che vedi nudo,
senza distogliere gli occhi.’
Isaia 58, 6-7
Uno dei molti modi in cui il JRS aiuta i rifugiati è
venendo incontro ai bisogni fondamentali di cibo e
alloggio, specialmente quando sono trascurati o c’è
un’emergenza.
La tua donazione ci aiuterà ad agire
subito quando i rifugiati hanno bisogno
del nostro aiuto per sopravvivere.
Grazie
Voglio sostenere il lavoro del JRS
Ammontare della donazione
Vorrei destinare la mia donazione a
Allego un assegno
Cognome: Nome:
Indirizzo:
Città:Codice postale:
Nazione:
Telefono: Fax:
Email:
Per bonifici bancari
Banca:
Banca Popolare di Sondrio,
Circonvallazione Cornelia 295,
00167 Roma, Italia
Ag. 12
Nome del conto:
JRS
Numero del conto per euro:
IBAN: IT 86 Y 05696 03212 000003410X05
Codice SWIFT/BIC: POSOIT22
Numero del conto per dollari USA:
IBAN: IT 97 O 05696 03212 VARUS0003410
Codice SWIFT/BIC: POSOIT22