Il buon pastore nella didattica montessoriana
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Il buon pastore nella didattica montessoriana
Il buon pastore nella didattica montessoriana (Ia parte) di Marcella Vigilante Introduzione “La catechesi è stata sempre considerata dalla Chiesa come uno dei suoi fondamentali doveri, poiché, prima di risalire al Padre, il Signore risorto diede agli Apostoli un’ultima consegna: la missione e il potere di annunciare agli uomini ciò che essi stessi avevano udito, visto con i loro occhi, contemplato e toccato con le loro mani riguardo al Verbo di vita (Gv 1,1)” (CT 1). “La IV Assemblea generale del Sinodo dei vescovi, celebrata durante il mese di ottobre del 1977” […] “ha insistito sul cristocentrismo di ogni autentica catechesi. Centro e oggetto della catechesi è essenzialmente il mistero di Cristo (CT 2).” “Catechizzare è condurre qualcuno a scrutare questo mistero in tutte le sue dimensioni, è cercare di comprendere il significato dei gesti e delle parole di Cristo, dei segni da lui operati, poiché essi a un tempo nascondono e rivelano il suo mistero” (CT 5). “Ma cristocentrismo, in catechesi significa pure che mediante essa non si trasmetta la propria dottrina o quella di un altro maestro, ma l’insegnamento di Gesù Cristo la via, la verità, la vita (Gv 14,6). È Cristo che viene insegnato, è Cristo che insegna” (CT 6, SC 7). “La catechesi deve essere centrata sull’essenziale e, al tempo stesso, popolare, fatta di gesti e di parole semplici, capace di toccare i cuori” (CT 4). Maria Montessori soleva affermare che la capacità dei fanciulli di porsi in dialogo con Dio nasce dal fatto che essi sono appena usciti dalle mani del loro Creatore. I bambini non sono contenitori da riempire a nostro piacimento, in cui riversare le nostre conoscenze, far questo, in quanto educatori, significherebbe interferire con la loro peculiare essenza svilendo il carattere di unicità e singolarità che è specifico di ognuno di loro. “Noi non possiamo dare una forma al bambino, e non dobbiamo cercare di farlo perché non sarebbe la sua forma. Noi dobbiamo aiutarlo a manifestare la forma per la quale è stato creato e della quale non dobbiamo noi decidere”1. È compito dell’educatore condurre il bambino all’epifania della bellezza del suo essere, aiutarlo a manifestare la “forma” per la quale è stato “creato”, rimanendo nell’azione educativa il più possibile fedele al bambino e al progetto che il Creatore ha fissato per la sua creatura. La “Catechesi del buon Pastore” è un metodo per l’educazione religiosa che si basa sulla Bibbia, sulla Liturgia e sui principi montessoriani. Il principio fondamentale di questa metodologia è che il bambino, già dalla tenera età, è dotato di un potenziale religioso. Tale capacità gli è connaturale2 e si 1 Joosten A. M., XXIII Corso Montessori Indiano di Nuova Dheli, 1959. “E' un campo in fondo ancora tanto controverso questo: alcuni negano addirittura che il bambino sia capace di un rapporto con Dio, concentrano tutto sul fatto razionale; quindi prima dei sei anni il bambino non ha un pensiero razionale compiuto, è incapace di rapporto con Dio. Questo, però, contrasta anche col fatto che battezziamo il bambino fin dalla nascita: allora dovremmo aspettare 2 89 sviluppa solo se adeguatamente alimentata, tale processo nel suo divenire richiama certamente alla mente l’immagine evangelica del granello di senape che si sviluppa in un albero (Mt 13,31-32). Tuttavia l’eredità della Montessori, antesignana in campo di educazione religiosa, e la metodologia del “buon Pastore”, incontrano oggi ancora grandi difficoltà ad essere accolti nel nostro paese. Maria Montessori dice del bambino che è un “embrione spirituale” pronto a svolgersi spontaneamente a spese dell’ambiente3, gli studi antropologici che ha condotto hanno dato una spinta notevole a chi, seguendo la sua impostazione metodologica e le sue intuizioni circa “la presenza di un istinto religioso nel bambino”4, si è dedicato dopo la sua scomparsa all’educazione religiosa. È stata, infatti, la sperimentazione in campo di Sofia Cavalletti, Gianna Gobbi ed altri, che ha dimostrato che sono insiti alla natura del bambino dei bisogni spirituali che, come le sensazioni di sete e di fame, come il bisogno d’amare ed essere amato, di conoscere, hanno la necessità di essere soddisfatti. Questi bisogni inoltre orientano il bambino verso l’annuncio della fede a cui sente di dover e poter rispondere con gioia. Il materiale costruito sui principi della didattica montessoriana, messo a punto in un’esperienza di cinquant’anni, aiuta il bambino nell’incontro con Dio. Dio per il bambino non è un concetto astratto, ma è colui che lo conosce profondamente e lo vuole incontrare in un modo tutto speciale nel Cristo “buon Pastore”, “Alfa e Omega” della creazione, che tutto ricapitola a sé, come dicono i bambini “chiama a sé”. La figura dell’educatore all’interno della didattica montessoriana, quindi nel metodo del “buon Pastore”, assume un ruolo diverso da quello solitamente attribuitogli, un ruolo che potremmo definire con il termine evangelico del “servo inutile”5 (CT n. 6). In questo lavoro potremo ammirare con lo stesso stupore dei piccoli, attraverso del materiale fotografico, la bellezza del “Buon Pastore”, figura parabolica che, meglio l'età della ragione! Invece, quello che in genere concedono gli studiosi più "generosi" in questo campo, è un certo «innatismo religioso» nel bambino. A me non soddisfa neanche questo, dirò la verità: mi piace di più parlare di connaturalità del bambino con Dio. Non ho una sufficiente preparazione filosofica per chiarire bene la differenza fra innatismo e connaturalità, comunque l'innatismo mi fa pensare a qualche cosa di un po' passivo, che c'è nel bambino, ma sta lì e dorme; la connaturalità mi piace soprattutto per questa particella con, che esprime il rapporto. Parlo di connaturalità, non parlo sul piano teorico, ma in base a quello che ho visto: ho visto come bambini di questa età possano godere in modo vitale, profondo, globale di un rapporto con Dio; questo mi fa pensare a persone che abbiano trovato corrispondenza essenziale, cercata, che appaga esigenze profonde; che abbiano trovato l'ambiente, la persona che cercavano”. FORTELLI MAURO, Intervista a SOFIA CAVALLETTI, “Come pesci nell’acqua di Dio” ne “il Sicomoro” n°7, edizioni La Nuova Tipolito, Felina (RE) 1998, 33-39. 3 MONTESSORI MARIA, Formazione dell’uomo, Garzanti, Milano 1949. 4 SCOCCHERA AUGUSTO, Maria Montessori una storia per il nostro tempo, Ed. Opera Nazionale Montessori, Roma 1997, 179-187. 182-183. 5 CAVALLETTI SOFIA, Il potenziale religioso del bambino – Descrizione di una esperienza con bambini dai 3 ai 6 anni, Città Nuova, Roma 1979, 47. 90 delle altre, stimola nel bambino il riconoscimento di Gesù come Figlio di Dio e “Signore che salva”. Una peculiarità dell’incontro tra il bambino e Gesù “buon Pastore” è che il bambino è attratto più dalla sua “bellezza” e dalla sua maternità (la cura che ha per le pecore) che dalla sua bontà. Il “buon Pastore” spesso è simile alla figura materna e sappiamo che, quando un bimbo si rivolge alla propria mamma, non dice che è “buona” ma che è “bella”, quasi il bambino riesca a cogliere tutte le sfumature del termine greco “kalòs” che tradotto letteralmente suona: “bello”. Gesù è il “pastore bello”, il “pastore ideale”, colui che unisce in sé bontà e bellezza, amore e tenerezza, gioia e luce. Non si può che rimanere incantati nell’assistere ad una catechesi in cui il materiale sensoriale e i testi biblici aiutano il bambino a lasciare operare in lui l’efficace Parola di Dio, sotto l’azione dello Spirito Santo, perché produca quegli effetti per i quali è stata inviata (Is 55,10-11)6. La grazia in potenza ricevuta al Battesimo diventa in lui grazia operosa, intimo dialogo con il Padre. “La meraviglia [del metodo] sta in questo: la riscoperta vissuta dell’intima, connaturale rispondenza delle leggi psicologiche dello sviluppo spirituale del bambino, quali la recente scienza sempre più precisamente ci svela assieme alle loro ripercussioni sui sistemi educativi e didattici, al metodo che, nel campo dell’insegnamento e dell’educazione religiosa, la Chiesa, sin dal suo nascere e ormai da venti secoli, possiede, per tutti i suoi figli, nella Liturgia7”. Questo metodo di catechesi è sempre in fase di sperimentazione, in quanto si costruisce sulle esigenze dei bambini, quindi non è possibile trovare studi o pubblicazioni parallele di osservatori esterni capaci di avvalorare, con una certa obiettività, il metodo e i suoi principi. Ma è certo che le osservazioni fatte dalla Cavalletti, dalla Gobbi e da tutti gli altri collaboratori hanno un carattere di oggettività che, per sé stessi, permettono di rilevare la fondatezza di questa esperienza religiosa vissuta da bambini di tutto il mondo, di tutte le culture, di tutte le etnie, normali e diversamente abili, di confessioni cristiane diverse, il cui risultato è stato sempre lo stesso: i bambini a contatto con il materiale montessoriano, con i testi eucologici e con i segni liturgici, in un ambiente preparato per loro, rispondono tutti positivamente all’esperienza dell’atrio, concretizzando il loro incontro con il Signore. Il godimento dell’incontro con Gesù “buon Pastore” dimostra che il bambino ha una connaturalità con Dio ed è capace di penetrare il Mistero della sua vita intratrinitaria, raggiungendo le vette teologiche dell’evangelista Giovanni e di Paolo di Tarso. 6 “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”. 7 VAGAGGINI CIPRIANO, Presentazione a “Educazione religiosa, liturgia e metodo Montessori” di CAVALLETTI SOFIA, GOBBI GIANNA, Ed. Paoline, Roma 1961, 7-9. 91 Così, educato da Gesù “buon Pastore”, è capace di lunghissimi silenzi e pause di meditazione, di bellissime preghiere spontanee, è capace di partecipare alle celebrazioni liturgiche con una serietà che ha dell’incredibile, sovvertendo le attuali teorie psicologiche e pedagogiche che ancora “considerano i bambini come entità amorfe da modellare con travasi di conoscenze e di schemi culturali preordinati”8. In Appendice è riportata un’intervista alla sig.ra Sofia Cavalletti, fatta personalmente a Roma il 20 maggio del 2006. Dall’intervista si rileva l’assoluta trasparenza e chiarezza del progetto di catechesi, iniziato in collaborazione con Gianna Gobbi cinquant’anni fa, a conferma che “l’età, il tempo che è passato, non ha cambiato questo lavoro perché c’è un rapporto diretto e fresco, vissuto con i bambini, con la Parola e Gesù. Ci troviamo di fronte ad un dono, ad un dono gratuito che supera ogni nostra capacità, il più bel dono fatto ai bambini”9. Il metodo Montessori nell’educazione religiosa Il percorso storico che segue ha lo scopo di descrivere il contesto prossimo in cui ha operato la dott.ssa Montessori per chiarire come mai questa figura della storia italiana, della nostra storia, possa essersi circondata di un alone di negatività che ancora oggi non riesce ad essere superato. Inoltre ricostruisce la storia degli eventi che hanno portato alla nascita della prima “Casa dei Bambini viventi nella Chiesa”, in cui la dottoressa applica per la prima volta i principi del suo Metodo10 all’educazione religiosa. Gli studi intrapresi dalla dottoressa circa le capacità religiose del bambino mai approfondite per motivi di carattere politico, storico e ideologico, hanno aperto strade inesplorate. Le sue intuizioni e i suoi principi educativi, infatti, hanno permesso a Sofia Cavalletti, Gianna Gobbi ed altri collaboratori, che hanno intrapreso e continuato questo cammino, di concepire un vero e proprio Metodo per l’insegnamento dell’educazione religiosa, in Italia ancora poco conosciuto, dimostrando che il bambino è dotato di un “potenziale religioso”11. 8 PIACENTINI MARIA, Intervento agli Atti del 56° Convegno “Settimana Liturgica Nazionale”, Olbia 22-26 agosto 2005, pubblicato nel volume a cura del Centro di Azione Liturgica, “PARROCCHIA COMUNITA’ EUCARISTICA” – Un solo pane un solo corpo, Edizioni Liturgiche, Roma 2006. 9 CAVALLETTI S., Discorso di apertura, del “50° Anniversario della Catechesi del Buon Pastore”, Roma 6 novembre 2004. 10 In realtà la Montessori attribuirà raramente a sé il Metodo, sarà sempre propensa a parlare di un Metodo del Bambino. Cf. SCOCCHERA AUGUSTO, Maria Montessori una storia per il nostro tempo, Ed. Opera Nazionale Montessori, Roma 1997, 51-54. 53. 11 CAVALLETTI SOFIA, Il potenziale religioso del bambino – Descrizione di una esperienza con bambini dai 3 ai 6 anni, Città Nuova, Roma 1979. 92 Il contesto storico-politico Nel 1916 Maria Montessori scrive “L’autoeducazione” in cui ammette: “Durante la mia esperienza non ho mai avuto occasione di assistere ad un ciclo di sviluppo interiore [religioso]. Le mie prime esperienze sull’educazione religiosa sono state finora necessariamente scarse: infatti nella “Casa dei bambini” di via Giusti, tenuta dalle suore francescane, l’educazione religiosa era data con i metodi comuni e non si potevano fare studi ed osservazioni originali”. Il “metodo comune”, di cui scrive la dottoressa e cui accennerò più avanti, contrastava con i principi educativi montessoriani, mentre nella “Casa dei bambini S. Lorenzo”, che era pubblica, l’educazione religiosa non veniva impartita12. Quest’ultimo impedimento era di natura politica: “Lo stato democratico ha il dovere di non pregiudicare lo sviluppo libero delle generazioni infantili ed è il metodo della pedagogia scientifica moderna che esclude astrazioni che vadano a contatto di menti infantili e vuole che si proceda dal noto all’ignoto, dalla realtà concreta all’astrazione” 13. La scuola italiana del primo novecento, era chiusa a intere masse di bambini normali e “subnormali”14. Un articolo del Regolamento scolastico intimava di espellere dalle scuole tutti quelli che, pur ammessi, manifestassero cattiva volontà o insufficienza morale. “Il nostro paese confida illusoriamente nella carità e nella filantropia credendo che in fondo ovunque possa ripetersi il miracolo della “Nave Redenzione” dei garaventini”15. Mentre lo Stato italiano brancolava ancora nel buio a livello di programmazione didattica, la Montessori invitava a non accontentarsi delle opere di carità, che da sole non bastavano per recuperare una situazione di decadenza quale era quella della scuola italiana, denunciando che occorrevano educatori specializzati, una particolare organizzazione scolastica e delle riforme scolastiche radicali . Il Metodo, pubblicato nel 1909 con il nome “Il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini”, risulta essere veramente innovativo rispetto ai sistemi educativi del tempo16, come è confermato 12 SCOCCHERA A., Maria Montessori…, 1997, 179-181. Da un dibattito in Parlamento nel 1908, sulla mozione del socialista Bissolati richiedente l’abolizione dell’obbligo di impartire l’insegnamento della religione. Cf. ACQUARONE ANGELO, Lo Stato catechista. Introduzione. La discussione alla camera sulla mozione Bissolati contro l’insegnamento religioso nella scuola elementare [18-27 febbraio 1908], Parenti, Firenze 1961. 14 Il termine è stato oggi sostituito dalla dicitura “diversamente abile”. 15 La Montessori si riferisce all’opera del filantropo Nicola Garaventa che fonda a Genova una casa di accoglienza per piccoli delinquenti e figli di prostitute, sulla nave “Redenzione”. Cf. SCOCCHERA A., Maria Montessori…, 1997, 34-35. 16 La Montessori è la prima a parlare della pedagogia come scienza oltre che come arte. Scienza “come sistema pratico ed organizzato sulla base di principi e tecniche sperimentati e applicabili”. Cf. SCOCCHERA A., Maria Montessori …, 1997, 53. 13 93 anche da innumerevoli e illustri autori suoi contemporanei e di fama internazionale quali Lev Vygotskij17, Eduard Claparéde18, David Elkind, uno dei massimi studiosi del Piaget19, Sigmund Freud20. Il bambino era considerato dalla cultura del tempo come un prolungamento dell’adulto, un “piccolo uomo” e, secondo un concetto ormai millenario, incapace di autoeducarsi , con una naturale tendenza al gioco, al disordine e alla “perdizione”. Nella “Divini illius magistri”21 Pio XI ribadisce la necessità di una educazione cristiana che spetta in modo sopraeminente alla Chiesa e alla famiglia, in ordine al fine ultimo, e allo Stato, in ordine al bene comune, ammette la necessità nell’educatore di dover correggere “certe inclinazioni” fin dalla più tenera età, per questo cita: “La stoltezza è legata al cuore del fanciullo e la verga della disciplina la scuoterà di dosso” (Prv 22,15). Nello stesso documento accusa alcuni “novatori dell’educazione” di “naturalismo pedagogico” che “miseramente si illudono nella pretesa di liberare il fanciullo, 17 Intorno agli anni ’30 questo psicologo russo menziona gli esiti del lavoro della Montessori, contenuti in “Il Metodo” (1913) e “L’autoeducazione” (1916), nel suo lavoro “Studi sulla storia del comportamento- La scimmia, l’uomo primitivo, il bambino”. In questo lavoro Vygotskij contesta, come già la dottoressa aveva fatto, gli studi e i dati tratti dai test del Q.I. di Binet per il fatto che non tenevano conto dell’influenza esercitata dall’ambiente e dalla cultura sulle strutture dei processi psicologici dei bambini. Comprese l’importanza del materiale montessoriano costruito sull’esperienza dei bambini handicappati e non. Compreso anche come questo li guidasse nello sviluppo intellettuale e nell’apprendimento delle strutture logico-matematiche e della scrittura già all’età di quattro anni. Tuttavia la cultura scientifica e sociale del tempo non avrebbe mai consigliato un evento del genere, poiché nessun sistema scolastico avrebbe retto ad una simile rivoluzione: molte questioni politiche erano in gioco. A questo si aggiunga il sentimento di rifiuto della classe borghese al “comune metodo psichico”, in quanto utilizzato sia per l’apprendimento dei bambini normali sia dei bambini subnormali. La Montessori, purtroppo, non venne mai a sapere dei meriti che questo psicologo, noto nel suo paese ma quasi sconosciuto in Europa, le riconobbe. Cf. SCOCCHERA A., Maria Montessori… , 1997, 40-42; 70-72. 18 “Psicologo dell’attivismo” che, pur criticando il materiale montessoriano, ammira il clima di gioia presente nelle “Case dei bambini”, tanto che nel 1914 inaugura a Ginevra la “Maison des pétits” e accoglie in “Psicologia del fanciullo” la nuova “visione del bambino”montessoriana. 19 Agli albori del suo lavoro fu un sostenitore della Montessori, dirigendo per qualche tempo l’Associazione svizzera Montessori. Nel 1935 in “Encyclopédie Française” apprezza il materiale “che -scrive- conduce alla conoscenza assai più rapidamente di ottimi libri e dello stesso linguaggio”. Qualche anno dopo pur apprezzando il metodo, poiché induce il bambino all’attività, rinnegherà il materiale montessoriano, considerato materiale standard, ipotizzando la possibilità per il bambino di costruirsi un proprio materiale. La Montessori anni prima si era discostata da questa idea sostenendo che non è possibile abbandonare il bambino in un “vagabondaggio mentale”, quale sarebbe quello che si avrebbe qualora si realizzasse l’ipotesi del Piaget. Il materiale montessoriano, infatti, permette al bambino di sapere esattamente cosa sta facendo, rimanendo il centro della propria conoscenza. Cf. SCOCCHERA A., Maria Montessori una storia…, 1997, 69-70. 20 S. Freud si è sempre dichiarato concorde ai principi e al modo di operare della Montessori, sottolineando che la psicoanalisi non avrebbe motivo di esistere se la società prendesse ad esempio il piano educativo delle “Case dei bambini” ove si opera un controllo non violento degli istinti infantili. Cf. SCOCCHERA A., Maria Montessori una storia…, 1997, 99-101. 21 Enciclica “Divini illius magistri”, 31 dicembre 1929 A.A.S., vol. XXII (1930), 49-86. 94 mentre lo rendono piuttosto schiavo del suo cieco orgoglio e delle sue disordinate passioni”, che “si appellano ad una pretesa autonomia e libertà sconfinata del fanciullo e che sminuiscono l’autorità e l’opera dell’educatore, attribuendo al fanciullo un primato esclusivo d’iniziativa e un’attività indipendente da qualsiasi legge superiore naturale e divina, nell’opera della sua educazione”. Queste accuse ricadono impropriamente anche sulla Montessori che invece si è sempre distaccata da certe tendenze pedagogiche naturaliste di stampo roussauiano o froebeliano. Lei che, già giovanissima, prende le distanze dalla millenaria visione del bambino, condivisa anche dalla Chiesa, e che ritiene essere la fonte degli errori educativi della pedagogia di tutti i tempi. Per la Chiesa e per la società è più forte la preoccupazione di voler preservare l’anima del bambino dall’inferno (Prv 23,13-14) che cercare di pensare il bambino come ad un essere dotato di una propria autonomia22. Basti pensare che anche il teologo protestante Edwards J. definì i bambini “piccole vipere infinitamente più odiose a Dio che le vipere stesse”. Lo stesso Giovanni Gentile nel 1914 nel suo “Sommario di pedagogia come scienza” scrive: “il corpo va trattato come spirito non come corpo e, pertanto, non è antieducativo non riconoscere ad esso il diritto al castigo. Il futuro uomo chiede all’educatore il castigo che lo redimerà”23. La filosofia idealista assegna un primato alla ragione pur ammettendo che essa da sola non è capace di autoeducarsi e di cogliere i principi morali universali. Rimedio è il continuo ricorso alla disciplina punitiva, al decalogo, alla grazia dei sacramenti, quasi che questi aggiungano qualcosa dall’esterno. Ma grazia e sacramenti non perfezionano ciò che l’umana natura ha già in sé? E la Ragione per gli idealisti non è strumento di verità? Alla Montessori, invece, non interessa tanto la relazione Fede- Ragione-Grazia, quanto il fatto che il bambino è inibito in un ambiente di giganti24, privato della libertà, costretto ad un’istruzione nozionistica, che è disordinato perché cresce in un ambiente che non gli è congeniale25. 22 MONTESSORI MARIA, “I reattivi psichici”, in “Rivista Montessori”, n.3, in SCOCCHERA A., Maria Montessori una storia…, 1997. 23 “Contro Gentile, che riteneva che il bambino potesse essere posto di fronte alla religione come filosofia primordiale o inferior o mito, la Montessori assume una posizione di condanna: “proprio oggi che dalle scuole si tende a levare la religione, vorrebbe essa farvisi entrare coltivando la favola”. SCOCCHERA A., Maria Montessori una storia…, 1997, 181. 24 MONTESSORI MARIA, L’autoeducazione nelle scuole elementari, Ed. Loescher & C., Roma 1916. 25 In più di un’occasione la Montessori denuncia la secolare inferiorità della donna e del bambino: Congresso femminile di Berlino nel 1896; 1°Congresso pedagogico nazionale di Torino nel 1898 ove presenta l’”Ordine del giorno” vero e proprio manifesto in cui chiede la scolarizzazione di tutti i bambini; International Council of Women a Londra nel 1899; 2° Congresso pedagogico nazionale di Napoli del 1902, negli atti del Congresso c’è la sua relazione “Norme per una classificazione dei deficienti in rapporto ai metodi speciali di educazione”; “Il Discorso alle madri” in “il Metodo” del 1909; in “L’autoeducazione” del 1916 c’è un capitolo intitolato “I diritti civili del bambino del XX secolo” dove afferma: “Il bambino è un uomo”; la prefazione di “Il segreto dell’infanzia” del 1936 è intitolata “L’infanzia questione sociale”; MONTESSORI MARIA,“Educazione e pace”. Raccolta in volume delle 15 conferenze tenute dal 1932 al 1939, Garzanti, Milano, 1949; “Il cittadino 95 Tra le novità che il Metodo Montessori apporta c’è, quindi, la nuova concezione del bambino. Il bambino per la Montessori è un essere dotato di vita psichica propria fin dalla nascita, è capace di costruire il proprio essere, la propria mente, perché questa carica di energia psichica è tale e reattiva che, nel rispetto dell’ordine biologico dei “periodi sensitivi”, stimolata dall’ambiente circostante, gli permette di potersi sviluppare superando anche eventuali condizioni di svantaggio ambientale e fisico: il bambino è padrone del proprio sviluppo. Queste convinzioni della dottoressa saranno per anni osteggiate e condannate dalla maggior parte dei pedagoghi e degli psicologi, soprattutto italiani, intanto perché la pedagogia non era considerata una scienza ma un’arte, poi perché il “metodo era considerato una prigione”26. L’insegnante era l’elemento centrale nell’educazione scolastica e aveva il compito di “piegare” la volontà del bambino con metodi punitivi. Nonostante le accuse insensate, nate da una totale ignoranza del Metodo, per tutta la vita, la Montessori rimane salda a queste sue convinzioni. Le conoscenze pedagogiche, sociologiche, antropologiche, il ricco bagaglio culturale, il suo amore per la ricerca e soprattutto il valore che assegna alla vita umana27, le danno la capacità di vedere il bambino come “ il padre dell’umanità e della civilizzazione, il nostro maestro, anche nei riguardi della sua educazione”28. Arriva persino ad ammettere che né la psicologia, né la pedagogia possono scoprire o risolvere i veri problemi dell’educazione; le ricerche, che i suoi colleghi conducono, sono falsate e non possono essere ritenute scientifiche, poiché partono da presupposti sbagliati: gli ambienti poco congeniali in cui il bambino è collocato. Si può riconoscere in questo nuovo modo di concepire il bambino e nel materiale, che lei produce per le “Case dei Bambini”, una prima causa delle contestazioni degli esperti dell’educazione suoi contemporanei, anche se, in seguito, le fu riconosciuto il merito di aver dato al bambino una nuova dignità e alle scienze psicologiche una nuova spinta. L’educazione religiosa nel metodo montessoriano La Montessori era certa che il bambino, che lei stessa definisce un “embrione spirituale chiuso nella carne”, fosse dotato di un’intensa attività psichica sin dalla dimenticato” messaggio inviato all’UNESCO nel 1951 per la celebrazione della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo”. 26 Rosa Agazzi rifiuta esplicitamente qualunque metodo: “l’insegnante può solo liberamente ispirarsi ad un metodo, adeguandolo alle situazioni, all’ambiente e ai bambini senza imitarlo pedissequamente”. Cf. GASPARINI DUILIO, Cenni di storia della scuola materna in Italia, in “Conoscere e educare il bambino – Guida all’esame di concorso per insegnanti di scuola materna”, AA.VV., Le Monnier, Firenze 1990, 169-191. 174. 27 “Ogni uomo è il prodotto dello sviluppo di un bambino”. MONTESSORI MARIA, Il cittadino dimenticato, in “Vita dell’infanzia”, A.I., n.1, 1952, in SCOCCHERA A., Maria Montessori una storia…, 1997. 28 EAD, La mente assorbente, Conferenza, 1949, in SCOCCHERA A., Maria Montessori una storia…, 1997.. 96 nascita e che questa gli permettesse non di imparare dall’ambiente ma di sviluppare, rispetto a questo, la capacità di adattamento, al fine di accrescersi e attuare le proprie potenzialità29. Gli studi che conduce diventano il fondamento anche delle sue sperimentazioni nell’ambito dell’educazione religiosa. Non potendo condurre delle ricerche dal punto di vista scientifico sulle capacità religiose del bambino, poggia il suo lavoro su queste basi antropologiche nel tentativo di fissare un metodo per l’educazione religiosa: il bambino va verso la religione perché è oggetto dell’ambiente circostante30. Gli elementi centrali dell’educazione religiosa montessoriana sono: la gioia, il silenzio e il raccoglimento31, che sono frutto del “ciclo di lavoro”32, e, soprattutto, la Liturgia. La Liturgia è considerata dalla dottoressa come “l’espressione grandiosa del contenuto della fede, metodo pedagogico della Chiesa Cattolica, che non paga di insegnare per mezzo della parola ascoltata dai fedeli, rappresenta i vari fatti e i simboli della religione, li fa come rivivere e permette al popolo di prendervi parte anche ogni giorno” . La Liturgia è lo strumento fondamentale di catechesi, a questo riguardo già si era pronunciato papa Pio X nel suo Decreto sulla Comunione: “Educhiamo il popolo a vivere più attivamente negli atti liturgici… insegnandogli il perché delle cose liturgiche”. La Chiesa è veramente madre per i piccoli: il variare dei colori dell’anno liturgico, i simboli e i segni nella liturgia dei sacramenti, gli arredi sacri hanno una forte presa sulla tenera mente dei piccoli “attenti a tutto ciò che è simbolico e rivestito gli appare di maestà”. Ecco l’altra grande intuizione della Montessori l’aver individuato nel “linguaggio dei segni”, che è proprio della Liturgia, l’unico vero Metodo a fondamento di una sana educazione religiosa. 29 Come è riuscito a spiegare Mauro Laeng (Docente Emerito alla III Università di Roma) la mente del bambino opera secondo due modalità: coglie le strutture d’ordine della realtà, cioè i rapporti tra gli elementi del sistema che gli permettono di dare un senso all’ambiente che lo circonda, ed è dotato di un surplus di energie psichiche che gli permettono di adattarsi all’ambiente imparando lingue, costumi e luoghi diversi. Stiamo parlando del meccanismo più comunemente conosciuto con il nome di “socializzazione”. I meccanismi di integrazione che il bambino apprende tramite la famiglia si attuano perché sono in potenza già capacità della mente del bambino, essi pian piano passano dall’inconscio allo stato di coscienza. Cf. LAENG MAURO, Presentazione in “Il potenziale religioso tra i 6 e 12 anni. Descrizione di un’esperienza”, di CAVALLETTI SOFIA, Città Nuova Editrice, Roma 1996. 30 SCOCCHERA A., Maria Montessori…, 1997, 183. 31 MONTESSORI MARIA, I bambini viventi nella Chiesa, Aldo Garzanti Editore, Milano 1970; CAVALLETTI S., Il potenziale religioso del bambino…, 1979. 32 “Chiamiamo ciclo di lavoro la serie degli atti che il bambino compie, quando nell’applicazione del mio metodo, sceglie spontaneamente le sue occupazioni tra i mezzi che l’ambiente appositamente preparato gli offre. In questa serie di attività sembra compiersi un ciclo regolare in rapporto ai bisogni psichici che calmano il bambino e che lo fortificano nella vita interiore dell’anima”. Cf. MONTESSORI M., I bambini viventi nella Chiesa, 1970, 26 in nota 1. 97 I principi fondamentali del metodo Montessori Il Metodo pone particolare attenzione all’ambiente in cui il bambino svolge le sue attività, infatti, perché possa vivere a proprio agio e possa apprendere e valorizzare le proprie capacità, è essenziale un ambiente che gli si confaccia, preparato con molta cura dall’insegnante, ove tutto è alla sua portata, meglio a misura. Uno spazio in cui nessuno dei suoi atti è affidato al caso, ma è discretamente “guidato” dall’insegnante e dal materiale. Un ambiente che ostacola le esigenze vitali del bambino ne assorbirà anche le energie, provocando quel tanto condannato “disordine”. E’ per questo motivo che la Montessori pensò per l’educazione religiosa, così come aveva fatto per l’educazione scolastica, ad un “atrium”, ovvero ad un ambiente adeguatamente preparato che avesse la stessa funzione degli “atrii” delle antiche basiliche cristiane, in cui avveniva la catechesi dei catecumeni durante la sacra liturgia. Un luogo materiale e metaforico che fosse di preparazione all’esperienza del sacro, via di mezzo tra la classe e la chiesa. Nuovo è anche il concetto di insegnante che deve dirigere il bambino in modo discreto33 e senza sopraffarlo, anche se qualche autore vede erroneamente in questo modo di operare dell’insegnante un certo stato di passività34. S. Agostino nel “De Magistro” scrive: “Chi insegna può soltanto ammonire il discepolo perché egli stesso interroghi la verità e ascolti il Maestro interiore.[…] Eseguito tale ministero il lavoro dell’insegnante è finito, ed egli ha l’obbligo di farsi da parte, perché il vero Maestro possa svolgere la sua opera in un colloquio individuale con il discepolo. Chi avrebbe il coraggio di intromettersi e disturbare una simile interna conversazione?”35. È questo l’atteggiamento che dovrebbe assumere il catechista36, non dovrebbe moltiplicare le parole e intromettersi in quel dialogo interiore che si svolge tra l’unico vero Maestro celeste e la sua creatura. 33 CAVALLETTI S., GOBBI G., Educazione religiosa…, 1961, 14. GASPARINI D., Cenni di storia della scuola materna in Italia, 1990, 169-191. 176. 35 Cavalletti S.- Gobbi G., Educazione religiosa…, 1961 28. 36 “Occorre forse rimandare all’etimologia del termine catechizzare (catècheo), formato da catà = completamente, a fondo, ed echèo = giungo, arrivo, pervengo, mi trovo; catechèo, catechizzare, (p.v.) = RISUONO, istruisco a viva voce; catechès, catechista, (sost.) = RISUONANTE; catechèsis, catechesi (sost.) = insegnamento A VIVA VOCE. Il risuonare presuppone un suono precedente che trova in noi una eco, un rimando, una uscita; a viva voce è la trasmissione da persona a persona, da bocca ad orecchio; giungo, arrivo, pervengo indica un movimento; mi trovo: uno stare, un permanere nel movimento; completamente, a fondo: la totalità e l’assolutezza di questo pervenire e trovarsi. Catechizzare, in sostanza, significa essere una eco di Dio nel movimento/relazione con l’altro, nella stabilità di un annuncio incarnato nella propria vita, in modo totale ed assoluto. Parimenti, l’educare alla fede consiste nella trasmissione di un’esperienza di Dio, non di un sapere (il termine conoscere in senso biblico rimanda sempre al rapporto nunziale), nell’esperienza globale ed indivisa dell’essere. Il bambino piccolo e piccolissimo sperimenta e conosce la realtà che lo circonda attraverso tutto il suo essere: non esiste scissione o frammentazione tra corpo, anima, spirito ma ogni conoscenza, ogni esperienza, ogni relazione viene assunta e agita nella totalità. Non è forse questo che ogni persona 34 98 “Mi scriveva adesso un’allieva croata catechista che una bambina di tre anni aveva fatto un disegno, poi ne aveva cominciato a fare un altro e lei, per zelo, si è avvicinata e le ha chiesto: "Adesso che stai facendo?". E lei ha risposto: "Scostati! Scostati! Vai via!". Solo a disegno finito gliel'ha fatto vedere. Evidentemente era un intervento assolutamente indebito, il momento del lavoro personale è il momento costruttivo: è l'ascolto del Maestro interiore. Non siamo noi che insegniamo e questo per gli adulti è difficile”.37 L’insegnante come del resto il catechista38 non dovrebbe percorrere la strada al posto dell’allievo, è tutta una questione di fede, fede nelle capacità del bambino, ma soprattutto in quella Parola che diventa annuncio e che si tramuta nel “seme di grano posto nella terra” per diventare spiga matura. Il metodo evangelico in fondo consiste proprio in questo! Il catechista annuncia una Parola che non è sua, Gesù stesso durante la sua predicazione non si è mai arrogato questo diritto (Gv 7,16; Gv 3,34; Gv 8,26; Gv 12,49-50; Gv 14,10; Gv 17,7-8; Gv 17,14; CCC n. 427; CT 6). Al catechista spetta solo il compito di creare le condizioni in cui può avvenire l’incontro tra Dio e il bambino e, quando questo avviene, deve mettersi da parte per non interferire in quel dialogo d’amore che si svolge tra Creatore e creatura (CCC n. 426), in quel silenzio che è ascolto interiore, oserei dire mistica contemplazione. La catechesi assume così il suo carattere di servizio e il catechista è “servo inutile” (CT n.6). Si respira nel Metodo un’innata religiosità dovuta sicuramente al credo religioso e alla visione del mondo cattolica della Montessori. L’assenza di esplicite dichiarazioni sul suo credo religioso nei suoi libri è certamente dovuta proprio a questo “ chi penserebbe a esplicite menzioni dell’aria che respira?”39. Un altro elemento fondamentale del Metodo è il materiale didattico che permette al bambino di completare l’atto dell’apprendimento e all’insegnante di rispettare quelli che sono i suoi tempi, tempi in cui tutto ciò che l’insegnante presenta è ripensato dal bambino in un momento che non è ancora quello dell’astrazione vera e propria ma che gli permette di ripensare nella propria anima le verità esposte. “I sensi sono le finestre dell’intelletto sul mondo, è astraendo dall’esperienza dei sensi che noi arriviamo alla conoscenza”, il materiale didattico montessoriano è costituito da “astrazioni materializzate”; il bambino vedendo, toccando e ritoccando simili materializzazioni arriva all’astrazione. La dottoressa diceva che adulta cerca affannosamente e rincorre per tutta la vita: l’armonia e l’unità, la ricomposizione delle fratture del sé in una relazione d’amore con l’altro da sé? Non è allora anche questo che intende dire Gesù riguardo al ritornare bambini?”. PIACENTINI M., Intervento agli atti del 56°.., 2006, 105 – 124. 37 FORTELLI M., Intervista a SOFIA CAVALLETTI, “Come pesci nell’acqua…, 1998, 33-39. 38 “La Montessori voleva che l’insegnante facesse precedere il suo lavoro da un esame di coscienza, riconoscendo di avere due peccati capitali nei riguardi del bambino: orgoglio e ira; l’orgoglio che ci fa sopravvalutare l’opera nostra nella formazione e l’ira che ne deriva se vediamo che il bambino “nostro” allievo (o addirittura “nostro possesso” ) non risponde esattamente a quando ci aspettavamo da lui”. Cf. CAVALLETTI S., GOBBI G., Educazione religiosa…, 1961, 28. 39 EADEM, Educazione religiosa…1961, 14 . 99 “la mente per alzarsi nel regno delle astrazioni ha prima bisogno di lavorare con le cose materiali”40. I bambini montessoriani, dunque, dopo la lezione espositiva dell’insegnante, prendono contatto con il materiale, lo toccano, lo montano, lo smontano liberamente, nella totale indipendenza e quante volte vogliono. “Un’insegnante montessoriana non cattolica, ad un gruppo di studenti ai quali cerca di spiegare cosa il bambino cerca nell’uso del materiale ripetendolo più volte dice: “Non è l’esercizio per se stesso che conta, ma lo sviluppo che si produce nella mente del bambino, uno sviluppo del quale l’azione esteriore non è che un segno. E’, infatti, una cosa simile a quello che i cattolici dicono dei sacramenti, cioè che sono segno esteriore di una grazia interiore”[…] La pratica dell’esercizio conduce ad un risultato nel campo psichico”41. La “ripetizione dell’esercizio”42 non serve solo all’apprendimento ma dà al bambino un godimento che lo rende tranquillo e disciplinato. Questo “godimento” è un fenomeno noto alle insegnanti montessoriane e, nell’ambito dell’educazione religiosa, si realizza continuamente in ogni fase di lavoro del bambino. Comprendiamo bene che il materiale da presentare deve essere preparato tenendo conto del principio dei “periodi sensitivi”, individuati dalla Montessori con molto anticipo rispetto ad altri studiosi, il materiale rispetta pienamente tali periodi di sviluppo, più saranno piccoli i bambini più il materiale didattico dovrà avere presa sui sensi. Un altro principio fondamentale del Metodo è quello di “isolare le difficoltà”43. Il materiale didattico è fatto in modo da presentare una realtà non nella sua interezza e complessità, ma in maniera semplificata, scomposta, così da permettere al bambino di assorbire tale realtà in un tempo più o meno lungo (secondo il principio della ripetizione), dandogli la possibilità di ordinarlo nella propria mente. La “Casa dei bambini viventi nella Chiesa” L’educazione religiosa nelle “Case dei bambini” ha degli inizi assai singolari. È necessario ricordare che non è ancora possibile, al tempo in cui si svolgono questi eventi, distinguere tra catechesi e insegnamento della religione. Le tensioni tra Stato e Chiesa iniziate nel 1870, dopo la presa di Roma, provocarono l’emarginazione dell’insegnamento religioso nella scuola fino all’abolizione nel 1908. Solo nel 1923 lo Stato permise il rientro della religione nella scuola elementare: “Le innovazioni pedagogiche di Zammarchi e di Pavanelli-Vigna (promotori del movimento catechistico italiano) avevano smussato la forza delle accuse contro il preteso controsenso didattico del 40 EADEM, 30-31. EADEM, 32. 42 MONTESSORI M., Il metodo della pedagogia scientifica, Morano, Napoli, 1921. 43 EAD, 1921. 41 100 catechismo. Le idee personali di Gentile (Ministro dell’Istruzione), che vedeva nella religione un momento pre-filosofico adatto ai fanciulli, fecero il resto”44. “Il programma ministeriale del novembre del 1923 prescriveva di dare il corso di religione nello spirito che anima l’opera religiosa di Alessandro Manzoni per ispirare ai bambini l’amore, il timore filiale, la fede nella Provvidenza, il senso del divino”. Era sfuggito a molti autori ciò che poi si ribadisce nei programmi per la scuola elementare del febbraio 1945 che divennero cristocentrici: “L’educazione religiosa primaria deve ispirarsi alla persona di Cristo come appare nel Vangelo, più che all’opera del Manzoni”45. Quando nel 1909 P. Casulleras, della Missione di S. Vincenzo de’ Paoli, rientrò dal Guatemala nutriva nel cuore il desiderio che i fanciulli dovessero essere introdotti nella Chiesa per vivervi e crescervi, convinto che la Chiesa fosse il vero luogo dell’educazione del bambino46 e sentiva la necessità di avere delle “Case dei Bambini all’ombra della Chiesa”. Nel 1910 P. Casulleras venne a conoscenza di un libro della Montessori in cui si descriveva l’esperienza delle “Case dei Bambini” a Roma. “Sembrò al P. Casulleras provvidenziale la coincidenza dei nomi, e leggendo la descrizione del mio metodo lo giudicò adatto alle sue case dei bambini. […] Benché quei Padri non mi conoscessero e ignorassero perciò che io ero cattolica, e benché nel mio libro non facessi nessuna professione diretta di fede religiosa, sembrò loro che il mio metodo fosse cattolico nella sua sostanza medesima. L’umiltà e pazienza della maestra, i fatti messi in valore più che le parole, l’ambiente sensoriale come inizio della vita psichica, il silenzio e il raccoglimento ottenuto dai piccoli bambini, la libertà di perfezionarsi lasciata all’anima infantile e la cura minuziosa nel prevenire e correggere tutto quanto è male o anche semplice errore o tenue imperfezione […] il rispetto della vita interiore dei bambini professato con culto di carità, erano tutti principi di pedagogia che sembrarono loro emanati e ispirati direttamente dal cattolicesimo”47. È fondamentale, a questo punto, la partecipazione di Anna Maccheroni, collaboratrice della Montessori, al Congresso Liturgico che si tenne nella Basilica di Montserrat. Il clima che si respirava era quello delle reazioni cattoliche in seguito all’emarginazione dell’insegnamento della religione nelle scuole italiane che dettero il via anche al movimento catechistico. Era il tempo di papa Pio X che aveva appena emanato il decreto sulla prima Comunione. L’accorato discorso di Anna Maccheroni, messo agli atti del Congresso, esprimeva la possibilità di poter far iniziare l’educazione religiosa dai fascicoletti 4, 5, e 6 della dottrina cristiana approvata da papa Pio X e riguardanti l’insegnamento liturgico. 44 RONZONI GIORGIO, Il progetto catechistico italiano. Identità e sviluppo dal Concilio Vaticano II agli anni 90, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1997. 14. 45 MORETTA PIETRO, L’enseignement de la religion en Italie. Vue d’ensemble, “Lumen Vitae” 4 (1949), 1, 137-160. 46 MONTESSORI M., I bambini viventi..., 1970, 9. 47 EAD, 1970, 10. 101 La Maccheroni aggiunse di voler tentare l’esperimento con i bambini dai 3 ai 6 anni della Escola Montessori della Deputazione di Barcellona. Fu così che s’inaugurò la prima “Casa dei Bambini nella Chiesa” fortemente voluta dall’abate di Montserrat Enrico Prat de la Riba, istituita dal P. Casulleras e seguita dal giovane sacerdote Mossèn Iginio Anglès, al quale fu affidato il compito di condurre i fanciulli ai sacramenti dell’Eucarestia e della Cresima. Nella Escola si pensò alla preparazione di un “atrio” per la catechesi e ad una cappella, la “Cappella degli infanti”, decorata in oro e in bianco, ove tutto era a misura di bambino dagli arredi dell’altare ai sedili. Le acquasantiere, i quadri e le statuine, i piccoli sedili, tutti ad altezza di bimbo, accoglievano finalmente i “pargoli viventi nella Chiesa”. In “I Bambini viventi nella Chiesa” del 1922, testo dal titolo originale per quel tempo, la Montessori narra della sua esperienza nella “Casa” di Barcellona e scrive: “Il Metodo Montessori nelle Case dei Bambini prepara i bambini nella vita consueta della classe, a esercizi che sono in se stessi del tutto indipendenti dall’educazione religiosa, ma che sembrano ad essa una preparazione. Infatti, essi perfezionano il bambino rendendolo calmo, obbediente, attento ai propri movimenti, capace di silenzio e di raccoglimento”. Riferendosi all’esperienza dell’educazione religiosa avviata nella Escola Montessori di Barcellona, scrive: “si raccolse questo eccellente frutto, vale a dire che la Chiesa apparve quasi il fine dell’educazione che il Metodo si propone di dare”. In realtà l’iniziativa di Barcellona termina con la morte di chi volle con la Montessori e la Maccheroni la “Casa dei bambini nella Chiesa” e, come lei stessa scrive in i “Bambini viventi nella Chiesa”, i motivi sono da ricercare nell’evoluzione e nei cambiamenti che subì la cultura catalana in quegli anni. In linea con i cambiamenti culturali di tutto l’occidente, l’avanzata al potere in molte nazioni occidentali dei partiti socialisti, comunisti e repubblicani, condannati a più riprese dalla Chiesa cattolica, anche la cultura catalana tenta di dare alla propria società un volto laicale . Nel 1846 Pio IX promulga la condanna al comunismo prima in “Qui pluribus” poi nel “Sillabo”, § IV. Nel 1878 Leone XIII promulga l’enciclica “Quod apostolici muneris”. Tra il 1925 e il 1937 Pio XI promulga sei encicliche: “Quas primas” nel 1925 sui rischi del laicismo, nel 1928 “Miserentissimus Redemptor”, in cui denuncia nell’apostasia di tali governi il “principio dei dolori”. Nel 1931 ”Quadragesimo anno”, in cui condanna l’ideologia socialista. Nel 1932 “Charitate Christi”, in cui condanna l’ateismo dilagante nella società moderna e “Acerba animi” sulla situazione della Chiesa messicana. Nel 1933 la “Dilectissima Nobis” sulla situazione della Chiesa spagnola e la “Divini Redemptoris”48, in cui condanna il comunismo ateo. 48 Pio XI denuncia nella “Divini Redemptoris” i rischi del comunismo ateo che offre alla società falsi ideali di giustizia e uguaglianza sociale che trovano adepti a motivo della cattiva distribuzione delle ricchezze nella società. La dottrina materialista dei teorici del marxismo bolscevico è vista da Pio XI come la causa dell’acuirsi della violenza nella lotta tra le classi sociali, della privazione della libertà e della dignità dell’uomo, gli effetti che la Chiesa aveva denunciato non tardarono a dare i loro frutti 102 I governi laicisti di Messico, Russia e Spagna, avevano promulgato delle leggi che vietavano a Congregazioni e ordini religiosi l’insegnamento, per questo motivo molte scuole cattoliche erano state chiuse, tra queste anche la “Escola Montessori” di Barcellona. In questi stati s’impose la confisca dei beni della Chiesa per il bene nazionale e si lasciarono pochi sacerdoti per la pratica del culto religioso. Il fine era quello di escludere la religione dalla vita dei cittadini al solo fine di produrre una società atea. In alcuni Stati si giunse non solo a scacciare dal paese i religiosi e i sacerdoti, ma a perseguitare chi si opponeva a questa politica. Nell’opera citata la dottoressa si pone una legittima domanda: “Perché Iddio vorrà permettere che una tempesta ci mandi via dalla prima Casa dei Bambini nella Chiesa? Forse perché siamo sospinti a procedere avanti nel nostro apostolato: Andate, e insegnate a tutte le genti, tra i popoli più diversi. Tale è forte e consolante parola di Gesù Cristo”. In realtà, terminato l’esperimento di Barcellona, si raccolsero velocemente i frutti e i consensi in tutto il mondo. Dopo la Spagna, la Montessori, pur operando in contemporanea in Gran Bretagna, in Danimarca, in Olanda, in Germania, pensò di rientrare in Italia dove fondò la “Scuola di formazione per insegnanti, ma non riuscì a far espandere il suo Metodo sia per la corrente politica idealista di stampo gentiliano, sia a causa delle celate accuse di naturalismo pedagogico, lanciate contro di lei da alcuni colleghi cattolici e dalla Chiesa49, e mai ritirate. A questo si aggiunga il successo del metodo educativo per la scuola materna delle sorelle Agazzi50, fortemente sostenute dalla politica gentiliana. L’Italia non voleva la Montessori: i suoi modelli educativi, ispirati alla pace51, alla giustizia sociale, alla parità di diritti tra gli uomini erano incompatibili con i principi fascisti e nazionalsocialisti tedeschi. La Montessori si dimette nel 1933 dall’Opera Montessori, il cui presidente onorario era Benito Mussolini, allora Capo del Governo, e lascia l’Italia con l’accusa infamante di “pacifista”, per tornare in Spagna da dove andrà di nuovo via per sfuggire alla guerra civile. nefasti. Un altro duro colpo giunge alla Chiesa dal governo tedesco. Il Reich in Germania comincia la politica di repressione della libertà religiosa e il conseguente annientamento dell’uomo. Cf. L’enciclica “Mit brennender Sorge. La situazione della chiesa cattolica nel Reich germanico” promulgata da Pio XI nel 1937 contro il nazionalsocialismo tedesco. 49 Ricordo la “Divini illius magistri” di Pio XI. 50 Le sorelle Agazzi rivedono l’indirizzo froebeliano dei “Giardini dell’infanzia”, istituiti in Francia e nati sotto l’influenza della filosofia idealista. Per Froebel lo sviluppo della personalità del bambino avveniva nel gioco e quindi ogni sua attività era tesa al gioco spontaneo. Le Agazzi nella loro didattica mantengono il principio dell’attività spontanea del bambino ma lo sviluppano in occupazioni e attività che si rifanno alla vita domestica. Cf. GASPARINI D., Cenni di storia della scuola materna in Italia, in Conoscere e educare il bambino…, 1990, 169-191. 51 Nel 1943 la nostra dottoressa era tra i candidati per il premio Nobel per la pace che quell’anno fu consegnato alla F.A.O., appena costituita dall’O.N.U. L’opera che le permise di ottenere tale riconoscimento fu “Educazione e pace”. Pur essendo italiana, fu accolta benevolmente in India durante gli anni della seconda guerra mondiale, per le sue idee. Qui rimase fino alla fine del conflitto come internata di guerra, ammirata da Tagore e da Mahatma Gandhi. 103 Rientrerà in Italia solo nel 1947, accolta ancora in un clima di ostilità culturale e scientifica. La guerra aveva rallentato notevolmente le ricerche scientifiche in campo pedagogico, l’Italia viveva in una totale arretratezza, il torpore fu scrollato solo dalla diffusione dell’opera piagetiana, dalle correnti strutturalistiche e cognitivistiche che finalmente iniziarono a circolare, ma che erano ancora molto indietro rispetto agli sviluppi della ricerca pedagogica montessoriana52. La sperimentazione dell’educazione religiosa, secondo i principi montessoriani, svolta da Sofia Cavalletti e Gianna Gobbi, inizia nel 1954 a Roma, tre anni dopo la morte della dottoressa, in modo del tutto casuale, più corretto provvidenziale, e con pochissimi bambini, appena cinque. Il successo con questi piccoli di sette anni fu tale da far pensare ad un corso più organizzato l’anno seguente che prese il nome di “Catechesi del buon Pastore”. La sperimentazione di Sofia Cavalletti e di Giovanna Gobbi La Catechesi del “buon Pastore” è sempre in sperimentazione, perché i suoi fondamenti didattici nascono da un lavoro corale e simbiotico delle catechiste del “Buon Pastore” di tutto il mondo che ancora non termina. La Cavalletti e i suoi collaboratori hanno prodotto un materiale, nel pieno rispetto dei principi montessoriani su citati, che è il frutto di una sperimentazione sul campo e dell’osservazione delle reazioni alla catechesi di bambini dai due anni e mezzo ai dodici anni. L’osservazione condotta ha dato la possibilità di verificare un fenomeno già noto alla Montessori nella sua esperienza di Barcellona, vale a dire che gruppi interi di bambini avevano accolto e penetrato le Verità di fede. Ancor di più l’esperienza della Cavalletti e della Gobbi ha dimostrato che lo stesso fenomeno continua a ripetersi con fanciulli di estrazione sociale e culture diverse, che è comune ai bimbi di tutto il mondo e, poiché ci rimanda alle esperienze della Montessori, possiamo dire di tutti i tempi, provocando in loro sempre gli stessi effetti: appagamento e serenità. L’esperienza religiosa appaga i bisogni affettivi53 dei fanciulli e questa è una “costante”, per dirla come la nostra autrice, che supera ogni barriera di età, di 52 I testi di Psicoaritmetica, pubblicati all’estero nel 1934, saranno pubblicati in Italia solo nel 1971, dopo che le ricerche di psicodidattica dell’autrice entreranno nell’interesse degli esperti e degli educatori italiani. Nelle “Case dei Bambini” la Montessori aveva anticipato l’attività della scrittura e della lettura ai 3-4 anni, l’attività matematica ai 5. Gli “Orientamenti” didattici della Commissione preposta all’approvazione dei nuovi programmi per la scuola materna nel 1958 si rifanno alla più nota corrente pedagogica di J. Dewey, psicologo e filosofo della corrente attivista, sono d’ispirazione montessoriana, ma per lo più testimoni del meglio dell’opera agazziana, infatti, resta ancora proibita ogni anticipazione scolastica “del leggere, dello scrivere, del calcolo, salvo il caso di organici metodi di differenziazioni didattiche”. ( Cf. Orientamenti per l’attività educativa della scuola materna, D.P.R. 11 giugno 1958, n. 584). 53 CAVALLETTI S., Il potenziale religioso del bambino…da 3 a 6 anni, 1979. 104 sesso, di cultura, di tempo: negarla significa negare l’esistenza di un’esigenza vitale54 nel bambino, anche nel più piccolo. I motivi, azzarda la Cavalletti nell’opera citata, sono da ricercare nella vita interiore stessa del bambino la cui formazione, soprattutto nei primi anni di vita, si basa sulla relazione amorosa con la madre. L’amore è parte della stessa natura del bambino, ma è anche ciò su cui si fonda l’esperienza religiosa. Il bambino conosce il reciproco scambio d’amore con la madre e lo trova appagante, ma scopre, pure, quando è aiutato a farne esperienza, che è minoritario rispetto all’amore indefettibile di Dio. Nel fenomeno descritto sopra, come nell’esperienza precedentemente fatta dalla Montessori agli inizi dello scorso secolo, erano sottoposti all’osservazione bambini normali non dotati di particolari doni di “grazia”. Alcune di queste esperienze sono descritte nelle opere citate in nota, insieme ad altre, riguardanti bambini che, pur vivendo in un ambiente ateo o privi di qualunque educazione religiosa in famiglia, hanno intuito o fatto esperienza della presenza di un Essere trascendente che ordina e crea55. L’esperienza nell’atrio di religione descritta dalla Cavalletti, non fa altro che confermare che il bambino è capace di un’esperienza religiosa e che è dotato di un potenziale religioso, perché ciò che si osserva nei bambini durante la catechesi è reale, concreto, esperienza vissuta. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di un plagio o di “magismo” del bambino, ma il compito dell’adulto in questa catechesi, è di guida discreta che di suo mette ben poco, lo ricordo ancora è “un servo inutile”. I bambini, anche i più piccini, comunicano la loro personale esperienza religiosa con il linguaggio che gli è proprio, diverso da quello degli adulti. La Cavalletti custodisce con molta cura più di mille disegni56, carichi di significati teologici. Ma anche il silenzio, il raccoglimento nello svolgere l’attività sono ricchi di significato. Il linguaggio dei bambini è costituito da fatti e atteggiamenti interiori più che da parole57, questa loro capacità di interiorizzazione degli eventi gli permette di penetrare forse più dell’adulto la realtà nascosta che si cela dietro il linguaggio dei segni e delle parabole. Questo ci fa comprendere qual è il motivo per cui la 54 EAD, Il potenziale religioso del bambino tra i 6 e i 12 anni- descrizione di una esperienza, Città Nuova, Roma 1996. 55 A questo riguardo è molto utile leggere le esperienze riferite dalla Cavalletti, dalla Montessori, ma anche da altri autori. Nell’Autoeducazione la Montessori cita la relazione del prof. Ghidionescu, tenuta al Congresso Internazionale di Pedagogia a Bruxelles nel 1911, insieme ad altre esperienze fatte da lei personalmente. Cf. MONTESSORI MARIA, L’autoeducazione, Garzanti, Milano 1962, 308309; ANNE MARIE VAN DER MEER, Uomini e Dio, ed. Paoline, Alba 1964, 16-18; Padre DUDKO DIMITRI, Parroco a Mosca. Conversazioni serali, Quaderni della “Rivista del centro studi Russa Cristiana”, Milano (1976), 144-145; CAVALLETTI SOFIA, Il potenziale religioso del bambino tra i 3 e i 6 anni, 1979, 23-26. 56 Vedi Appendice, viene riferito in sede di intervista; EAD, Il potenziale religioso … da 3 a 6 anni, 1979; EAD., Il potenziale religioso…dai 6 ai 12 anni, 1996. 57 EAD, Il potenziale…, 1979, pag.30. 105 “catechesi dei segni”, tanto sostenuta dalla Montessori e praticata dalla Chiesa fin dai suoi albori, abbia successo. I bambini, più degli adulti, penetrano l’invisibile realtà che essa nasconde58. Il catechista, durante la catechesi è come il bambino “uno che accoglie” la Parola, che con il bambino l’ascolta e la penetra e si mette al suo servizio. La relazione educatore-bambino ed educatore-Parola non è di servizio-sudditanza. Come in una sorta di rito d’iniziazione59, l’educatore conduce il bambino alla penetrazione profonda della realtà divina attraverso una vera e propria “mistagogia” dei segni. Possiamo affermare, quindi, come la Cavalletti, che la fanciullezza è un’età privilegiata per l’accoglienza del kerygma. Stando alle testimonianze delle sue esperienze in questo campo, anche la scelta dei temi della catechesi riserva ai piccoli la parte migliore. Le fonti di questo lavoro sono la Bibbia e i testi liturgici, che già la Montessori utilizzava, anche se in modo diverso. La penetrazione delle parabole evangeliche e la conoscenza dei testi eucologici avviene attraverso l’uso di un materiale che guida il bambino all’interiorizzazione di quel Mistero della vita intratrinitaria cui il piccolo sente pian piano di appartenere. Ogni parabola o testo eucologico deve essere presentato al bambino, senza interpretazioni o manipolazioni dell’adulto, nella sua interezza, al catechista spetta il compito di spiegare i termini meno comprensibili. Il materiale, che rispetta il principio dei periodi sensitivi e quello dell’isolamento delle difficoltà, aiuterà il bambino di qualunque età, cultura o estrazione sociale, normale o svantaggiato, in quella fase di dialogo interiore in cui entra in contatto con l’unico Maestro interiore. Non è l’esperienza dell’educatore in primo piano, ma la Parola: quanta fede è necessaria nell’educatore perché questo accada! Questo modo di concepire l’educatore è assolutamente nuovo rispetto al comune modo di operare. Molti in una simile situazione si porrebbero al posto della Parola cercando di trascinare il bambino in inutili concettualizzazioni che il piccolo non comprenderebbe, finendo col perdere la sua attenzione e innervosendolo per averlo relegato in un ruolo che non vuole assolutamente ricoprire. Il materiale preparato ha lo scopo di condurre il bambino non a concettualizzazioni, ma alla conoscenza di una Persona viva. Induce alla “ripetizione degli esercizi” che, proprio perché soddisfano le esigenze del bambino, producono in lui quell’appagamento e quella calma interiore che lo guidano a riconsiderare nella propria anima il tutto. La ripetizione di questi atti nel silenzio, il dialogo interiore, in cui tutto l’essere è aperto all’azione dello Spirito 58 EAD, 33-40. “L’iniziazione è anche un atto di conoscenza… garantisce la rigenerazione dell’iniziato, gli rivela segreti di natura metafisica e alimenta contemporaneamente la vita, la forza e la conoscenza”. Cf. ELIADE MIRCEA, Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, Torino 2001, 55-56. 59 106 Santo attraverso la Parola annunciata, realizzano nel bambino contemplazione e preghiera. Sono ormai cinquant’anni che la sperimentazione è in atto non solo in Italia, ma anche in altri continenti, paesi e culture diverse hanno accolto la “Catechesi del buon Pastore”. In Tanzania, in Ciad, in Brasile, negli Stati Uniti, in tutto il NordEuropa, in Croazia, in Messico, nel Perù, in Colombia60, in Uruguay, in Paraguay, in Canada, ora anche in Asia esistono “atri” di religione. Non c’è dubbio, quindi, che questa catechesi abbia un marcato carattere apostolico, lo dimostra il fatto che catechisti di fede cattolica hanno potuto operare anche con fanciulli di confessione anglicana e luterana. La catechesi del Buon Pastore Dopo aver riscontrato che il bambino già in tenera età è capace di fare una vera esperienza religiosa, è necessario un salto nel passato per ricercare le radici di questa esperienza. È importante risalire alle origini per capire meglio qual è stato il punto di partenza e poterne osservare lo sviluppo. Il valore storico di quest’esperienza religiosa sarà sottolineato nel capitolo successivo, al momento è importante rilevare che proprio ai bambini va il merito di aver individuato quali temi della dottrina cristiana rispondono meglio alle loro esigenze, permettendogli di penetrare le Verità di fede. Non solo, data l’importanza dei temi indicati quali la celebrazione eucaristica, il Battesimo e le parabole, è stato necessario rivolgersi loro con un linguaggio appropriato, quello biblico/liturgico. I catechisti del “Buon Pastore” temevano che questo fosse il meno adatto per loro, ma anche in questo caso gli stessi bambini si sono dimostrati pronti e maturi per comprenderlo ed acquisirlo. 60 Presso le Facoltà di Teologia è possibile conseguire un Diploma nella “Catechesi del Buon Pastore”. “In Messico, nella sola Diocesi di Chihuahua, i bambini che usano gli album “Io sono il buon Pastore” sono 27.000, più di 800 le catechiste che hanno partecipato alla riunione nazionale. In USA ci sono circa 102 corsi per catechisti, in Montana sono stati dati corsi di formazione nella parrocchia della riserva dei Chippewa e dei Creel e si sta provvedendo alla costruzione di due “atri”. In Spagna Francesca Cocchini, collaboratrice della Cavalletti, è stata invitata a Valencia dai padri Scolopi per dare una prima presentazione della catechesi, tornerà probabilmente a settembre per predicare gli esercizi spirituali ai preti della diocesi, perché il provinciale dell’ordine è rimasto colpito da come sono state lette le parabole (nello stesso modo in cui si leggono ai bambini). In Colombia sono pronti tre nuovi “atri” nella diocesi di Manizales. In Slovenia a Lubiana sono in funzione quattro “atri” e il corso si tiene presso la Facoltà di Teologia. A Reggio Emilia e Rimini partecipano ai corsi più di cento persone, alla presentazione generale della catechesi a Rimini sono accorse più di 500 persone. In America Latina il “buon Pastore” è arrivato in Honduras. In Pakistan un “atrio” è stato chiuso per motivi di sicurezza. A Panama esiste un “pre-atrio” che accoglie bimbi dai 18 mesi ai 2 anni e qualcosa di simile si sta muovendo anche negli Stati Uniti dove alcune catechiste sono diventate nonne. In Tennesee una catechista episcopaliana ha portato la catechesi nelle carceri”. Cf. Relazione dell’Assemblea dell’Associazione Maria Montessori per la formazione religiosa del bambino, Roma 21 marzo 2006. 107 Questo nuovo passaggio ha reso possibile raggiungere il traguardo più alto di ogni itinerario per l’iniziazione cristiana: è stato fondamentale per farli entrare in dialogo con Dio nella preghiera e nella Liturgia. Il dinamismo delle ricerche e delle sperimentazioni svolte intorno ai fanciulli negli “atri di religione”, a mio avviso, smentiscono quanto asseriscono catecheti ed esperti di Pastorale circa l’incapacità dei bambini di poter vivere la Chiesa in senso pieno. La “Catechesi del buon Pastore” porta i fanciulli a comprendere a fondo il significato teologico della Chiesa, del suo essere “corpo mistico” di Cristo, tutta tesa a preparare il “banchetto nuziale” per lo Sposo. E senza quelle pericolose devianze che altro non sono che il frutto di catechesi errate. Non mi soffermerò sul senso teologico delle parabole, perchè ciò che ci interessa è guardare come cresce in seno al bambino il significato profondo che esse contengono e come si sviluppa la formazione morale proprio a partire da queste. Dalle “case dei bambini” agli “Atri di religione” Punto focale dell’educazione religiosa attuata dalla Montessori è stata la Liturgia. La dottoressa pensò bene di iniziare l’insegnamento dalla nomenclatura degli arredi dell’altare, degli oggetti essenziali per la liturgia dei sacramenti e per la celebrazione della Messa, dalla nomenclatura del vestiario del sacerdote. Tutto l’occorrente per il lavoro dei fanciulli era predisposto nell’”atrio”. Un sacerdote aveva il compito di spiegare i sacramenti coinvolgendo, attraverso la drammatizzazione, i fanciulli. Questi a loro volta potevano ripetere liberamente gli esercizi attraverso l’utilizzo di quel materiale che era l’esatta copia, in piccolo, dell’originale. I bambini più grandi potevano leggere un Messale preparato per loro, ricopiare le preghiere liturgiche e ripetere la gestualità. Lo studio della Creazione avveniva attraverso l’osservazione del creato e dei cicli della natura, attraverso la presentazione delle letture dei brani biblici che esaltavano la Creazione o attraverso la vita di Santi particolarmente legati alla natura. Nella scuola di Barcellona fu ideato, addirittura, un osservatorio astronomico. Nella “Vita in Cristo” del 1931 la dottoressa tratta dell’Anno Liturgico, ne spiega con molta precisione i tempi in rapporto alla vita dell’uomo perché questo possa vivere pienamente in Cristo. Distingue l’anno liturgico dal calendario civile, presenta anche il materiale di supporto in cui si accenna continuamente alle variazioni dei colori dei tempi liturgici. Nella “Santa Messa spiegata ai bambini” del 1932, (edizione inglese ristampata per il mercato italiano solo nel 1949), proprio nella Prefazione individua alcuni comunissimi errori dell’educazione religiosa impartita ai bambini quali quello, già noto, dell’intervento continuo dell’educatore sul bambino per “impedirgli di fare male” o il “trasmettere con parole i racconti della Storia Sacra ed affidare la 108 dottrina cristiana alla sua memoria”61. Era, inoltre, nell’uso comune impartire la catechesi liturgica durante le celebrazioni anche nei momenti che avrebbero dovuto essere di maggior silenzio e raccoglimento, quali la Consacrazione eucaristica, impedendo ai bambini la preghiera. Altro errore che individua è la sovrabbondanza di nozioni e di figure nei testi, che, per quanto tentavano di spiegare la gestualità liturgica, finivano con l’assumere un carattere rubricistico, fuorviante per la mente e per la fede del fanciullo come dell’adulto. Ciò che conta per la dottoressa non è far sapere al bambino cosa accade durante la celebrazione eucaristica, ma consentirgli la partecipazione interiore all’offerta di Gesù al Padre. Nel testo sono descritti gli arredi dell’altare e i paramenti sacri, una breve storia della Messa e lo svolgimento della Messa secondo ovviamente il rito che precede il Concilio Vaticano II. La linea che sceglie è anch’essa di tipo rubricistico, ma dobbiamo sempre pensare che il testo è stato scritto per gli educatori, non certo per i bambini, e che ai bambini veniva presentato sempre attraverso un materiale e in un ambiente appositamente preparati. La dottoressa da molta importanza all’offertorio62 le cui specie sono preparate dalle mani operose dei bambini, che, nel primo esperimento di Barcellona, addirittura coltivano in un giardino il grano e le viti da cui essi stessi traggono la farina per le particole e il vino per l’offerta. Nel tempo di preparazione alla Prima Comunione, fissato in cinque settimane, si provvedeva all’istruzione del nucleo dell’insegnamento religioso: il Simbolo, il Decalogo, i Sacramenti, l’Orazione e i precetti della Chiesa.63 Ogni settimana si consegnava ai bambini un Simbolo (secondo l’uso del TradditioRedditio): uno per i Comandamenti, uno per il Credo, uno per il Pater, il Mater e il Gloria, uno per la Confessione e uno per l’Eucarestia. La “Catechesi del buon Pastore”, pur partendo dagli stessi presupposti, si discosterà da questi per una via originale: quella indicata dai bambini. Si parte sempre dalla nomenclatura degli arredi dell’altare e dei paramenti del sacerdote, dai colori dell’anno liturgico perché i bambini devono avere familiarità con il calendario liturgico e, nel suo svolgimento, devono osservare la variazione dei colori degli arredi dell’atrio, della Chiesa e dei paramenti del sacerdote. Il variare dei colori sottolinea l’azione trasformante dello Spirito nella vita dell’uomo. L’apporto originale dei bambini consiste nell’aver individuato il nucleo della catechesi nella celebrazione eucaristica, in particolare nella Consacrazione Eucaristica. Sin dagli inizi, inoltre, è stata riscontrata una particolare rispondenza dei bambini tra i 3 e i 6 anni alle parabole del “Buon Pastore” (Gv 10, 1-16; Lc 15, 4-6) e alle 61 MONTESSORI M., I bambini viventi nella Chiesa, 1970, 11. EAD, 20. 63 Secondo le indicazioni della “Acerbo nimis”, enciclica del 1905 di Pio X. Cf. “Enchiridion delle encicliche”, vol 4, EDB, Bologna, 1998, 125. 62 109 parabole “misteriose” del Regno dei Cieli (Mt 13, 31-32; Mt 13, 33; Mt 13, 4445). Il linguaggio della catechesi L’iniziazione cristiana dei fanciulli certamente deve prevedere, messi questi presupposti, non solo una certa familiarità con l’ambiente ecclesiale, ma anche l’utilizzo del linguaggio proprio di Cristo e della Chiesa: il linguaggio liturgico e parabolico. “Due sono i momenti dell’apprendimento: il primo nel quale lo scolaro ascolta dal maestro, sta in una posizione di passiva ricettività; il secondo, nel quale lo scolaro rimedita quello che il maestro ha insegnato, ci riflette sopra e pian piano lo fa suo”64. Entrambi i linguaggi rispettano i due momenti essenziali dell’apprendimento. Il linguaggio liturgico oltre che comporsi di un codice verbale si compone anche di un ricco codice gestuale, visivo, olfattivo, gustativo aventi una funzione semeiotica65. Detto anche dei “segni”, il linguaggio liturgico si arricchisce di gesti, oggetti materiali (l’acqua, l’olio, il pane, il vino, il fuoco) che vanno a colpire i sensi. Come il linguaggio delle parabole, anche il linguaggio liturgico racchiude in sé un significato profondo che rimanda alla realtà soprasensibile e la realizza, in questo è “segno” che racchiude un’infinità di significati66. La parabola è parola, in quanto parola è anch’essa “segno” che non esplicita, che vela una verità nascosta, è quindi rivelatrice di una realtà quotidiana e di una realtà trascendente ontologicamente simili, così, per esempio, il Regno dei cieli è simile ad un granello di senapa, al lievito, al tesoro nascosto, alla perla preziosa. È tipico della parabola dispiegare il suo significato con il tempo, con la meditazione, con la preghiera, non si può spiegarne il contenuto nascosto attraverso definizioni e formule67, poiché queste esaurirebbero velocemente il suo significato, se ne distruggerebbe il valore didattico, impedendo a chi ascolta di andare alla scoperta del significato vitale e alla Parola di incarnarsi nell’esistenza umana. 64 CAVALLETTI SOFIA, GOBBI GIANNA, “Io sono il buon Pastore” – Dottrina cristiana per la prima classe- guida per il catechista, a cura dell’Ufficio catechistico di Roma, Arti Grafiche, Città di Castello (Perugia) 1965, 51-57. 51. 65 BONACCORSO GIORGIO, La comunicazione liturgica. Il gesto rituale, in Teologia, RFTIS 1/2004, 81. 66 “Il simbolismo permette il passaggio, la circolazione da un livello all’altro, da un modo all’altro, integrando tutti questi livelli e piani, senza fonderli… tende a integrare il “tutto” in un sistema, a ridurre la molteplicità a situazione unica, in modo da renderla il più trasparente possibile”. Cf. ELIADE M., Trattato di storia delle religioni, 2001, 411- 416. 67 ALONSO- SCHOKEL LUIS, Il dinamismo della tradizione, Paideia, Brescia 1970, 265. 110 La funzione della parabola nella catechesi La parabola è presentata con un materiale che abbiamo detto essere “astrazione materializzata”: una scena riproduce un ambiente stilizzato in cui si svolgono gli eventi narrati, in cui il bambino muove dei personaggi di legno anch’essi stilizzati e a due dimensioni68. - 1^ FASE DELLA PRESENTAZIONE: la presentazione ha inizio con il racconto del contenuto della parabola, il catechista deve essere essenziale e fedele al testo evangelico, per poi passare alla meditazione comunitaria della parabola, in cui pone ai bambini degli interrogativi ai quali non dovrà mai rispondere. Quando i bambini hanno capito che il testo nasconde altro, allora passa alla lettura solenne del brano, in questo momento spesso nasce la preghiera spontanea. - 2^ FASE DELLA MEDITAZIONE PERSONALE: il catechista presenta gli elementi del materiale, rilegge il testo e muove le figure di legno che rappresentano i vari personaggi. Liberamente i bambini ritornano a lavorare con il materiale delle parabole da soli o a gruppi: uno legge il testo, gli altri muovono i personaggi, i più piccoli che non sanno leggere possono partecipare aiutati dalla lettura dei più grandi o raccontano da sé la parabola. È la fase del lavoro in cui il bambino riconsidera la parabola senza l’aiuto dell’adulto, nella sua personale meditazione ripete a se stesso i dettagli, li penetra e li applica alla sua vita. Può anche concettualizzare il lavoro svolto attraverso poche parole o disegni o ricopiando i testi dei brani evangelici. La Cavalletti ricorda che “Sant’Agostino diceva del segno liturgico: una cosa si vede un’altra se ne intende. [Allo stesso modo] si può dire delle parabole: una cosa si ascolta un’altra se ne intende. I bambini devono essere capaci di ricercare, dietro l’aspetto esteriore delle cose, il loro significato misterioso e riposto. La Liturgia, non solo, rende evidente e tangibile la realtà soprasensibile attraverso i segni, ma ci fa vedere quelle realtà che essa opera; “nell’acqua battesimale devono saper vedere la vita eterna, nella semplice trama delle parabole del Regno devono saper vedere il Regno di Dio dentro di noi. Quando i Padri della Chiesa evangelizzavano intere masse pagane utilizzavano espressioni del tipo: “Avete visto”, “vedete”, “guardiamo”. Invitavano a trarre il significato dei segni più dalla contemplazione di questi che dalla comprensione delle loro parole. Il nostro insegnamento oggi si conclude piuttosto con un “avete capito?”, si rivolge all’intelletto più che alla persona nella sua interezza”69. Dimostrazione che non ancora abbiamo superato la matrice idealista-positivista che è all’origine degli errori educativi individuati dalla Montessori. “L’arte del catechista consisterà nel lasciare che tali cose parlino esse stesse il loro linguaggio impressivo […] La catechesi deve essere oggettiva al massimo; il catechista deve ripetere la parola di 68 Per le scene storiche, invece, sia i personaggi che gli ambienti sono una riproduzione fedele della realtà: i pupazzi e le ambientazioni sono tridimensionali, come quelli dei presepi. Questo permette ai bambini di cogliere la differenza tra parabole ed eventi storici. 69 CAVALLETTI S., GOBBI G., “Io sono il buon Pastore” – Dottrina cristiana per la prima classe…, 1965, 4-6. 111 Dio che salva, non le sue personali parole: più sarà capace di nascondersi, di sparire dietro le grandi verità che insegna, esponendole con il linguaggio biblico e liturgico, meglio compirà la sua opera. Si serva dunque del metodo di Dio, del suo linguaggio”70. Le parabole del Buon Pastore (Gv 10, 1-16; Lc 15, 3-7)71 E L’EUCARESTIA. La parabola del “buon Pastore” (Gv 10,1-16) ha molti elementi ed è importante, quindi “isolare le difficoltà”, presentarla evitando, per i più piccoli, quelle parti poco comprensibili dei vv. 1-2 e 7-10 che sono presentate più avanti nel tempo. Se i bambini sono molto piccoli si devono evitare nella prima presentazione anche il lupo e il mercenario, due figure che spaventano i bambini. I punti che riscuotono maggior favore presso i bambini anche molto piccoli sono: la conoscenza profonda che il buon Pastore nutre per le sue pecorelle, “Egli chiama le sue pecore una per una”; la conoscenza delle loro necessità, “cammina innanzi a loro” per indicare la via e per allontanarle dai pericoli; l’amore protettivo che nutre per loro, “il buon pastore offre la vita per le pecore”. La parabola di Lc 15, 4-6 completa l’aspetto protettivo e amorevole del “buon Pastore”: anche una sola pecorella è importante per lui, addirittura arriva a portarla sulle sue spalle. Con i più piccoli è inutile sottolineare l’aspetto morale che inizia a prefigurarsi intorno ai 7 anni. Il bambino coglie l’amore per la pecorella analogicamente all’amore che la madre nutre per lui, per questo motivo, quando si chiede al bambino con chi si può identificare il “buon Pastore” nella sua vita, di solito, si riferisce alla madre o a un familiare a lui particolarmente caro. Indice che il momento kerygmatico della catechesi soddisfa i suoi bisogni affettivi. Dopo aver raccontato le parabole, il catechista passa alla meditazione comunitaria evitando di spiegare i brani. I bambini non sempre giungono a collegare immediatamente le pecorelle a noi, il catechista deve guidarli alla scoperta ma senza rivelargli il significato nascosto. Il materiale di queste parabole è composto di figure bidimensionali del Pastore, delle pecore, del prato, del lupo e del mercenario. Il “buon Pastore” e le pecorelle sono poste in un ovile su un prato verde, un piano di legno circolare colorato; il catechista rilegge il testo muovendo le figurine di legno (foto n. 1-2-3). Dalla sperimentazione è stato osservato che si stabilisce un legame affettivo tra i bambini e il “buon Pastore” simile alla relazione con la mamma, rilevabile da alcuni disegni in cui la figura materna compare sottoforma di casa o, nei piccoli di due anni, sottoforma di cerchi (segno del rapporto intrauterino con la madre). 70 71 Cf. EADEM, 1965, 6; CAVALLETTI S., Il potenziale.., 1979, 57-67. EAD, 1979. 112 Foto n. 1-2 - (N. B. Le fotografie sono riportate soltanto nell'edizione a stampa del n. 2 di "Laboratorio Montessori") 113 Foto n. 3 Il disegno nella foto n. 4 è di una bimba messicana che ha spiegato che il cerchio al centro del foglio è il “buon Pastore”, i cerchi più piccoli sono le pecore, si noti come la bimba colleghi pecore e “buon Pastore” con delle linee. Un bimbo di due anni e mezzo, statunitense, nello spiegare il suo disegno dice che il cerchio grande rosso è il “buon Pastore” e quello piccolo giallo, disegnato dentro, è la pecorella (foto n. 5). Inoltre bambini di cinque, sei anni non mancano quasi mai di disegnare la pecorella o un bambino in posizione fetale nel suo grembo (foto n. 6). 114 Foto n. 4 Foto n. 5 115 Foto n. 6 Riporto due esempi di bambini che hanno applicato le parabole alla loro vita: “Una catechista chiede ad un bimbo di 5 anni perché ha messo due bambini (figure di legno) nel recinto con le pecore, il bambino risponde che ha capito che le pecorelle siamo noi”. Un altro bambino di quattro anni e mezzo fa uscire dall’ovile le pecore una ad una; ogni volta, che una pecora lascia il recinto, il bambino volta la figura del “buon Pastore” verso la pecora che esce, la catechista gli chiede il perché, egli risponde che il Pastore “la chiama per nome”72. Alla presentazione delle parabole del “buon Pastore” segue la presentazione eucaristica. Il materiale è costituito da un piccolo altare posto su di un panno verde su cui è collocata inizialmente una piccola figurina, sempre in legno e a due dimensioni, del “buon Pastore” (foto n. 7). 72 CAVALLETTI S., Il potenziale religioso.. da 3 a 6 anni, 1979. 116 Foto n. 7 Durante la presentazione il “buon Pastore” chiama dall’altare le pecorelle, la catechista sposta con molta calma le pecorelle dall’ovile per radunarle intorno all’altare. Il bambino intuisce che esiste un altro ovile, la Chiesa, dove il “buon Pastore” incontra le sue pecorelle in un modo molto speciale, a questo punto la figura è sostituita dai modellini del calice e della patena: la relazione tra il Pastore e le sue pecore non è cambiata, lui si rende presente nelle specie del pane e del vino (foto n. 8). Colta questa relazione, il catechista va avanti e inizia a sostituire le pecorelle con delle figure umane, sempre in legno e a due dimensioni, sono adulti e bambini tutti radunati intorno all’altare, tra questi c’è una pecorella speciale, posta dietro l’altare che rappresenta il sacerdote o il vescovo, che sono lì per rendere presente Gesù sull’altare (foto n. 9). Foto n. 8 117 Foto n. 9 Una cosa è chiara ai bambini che hanno colto gli aspetti essenziali delle parabole: il “buon Pastore” conosce ogni pecorella per nome, le pecorelle siamo noi, ci chiama per incontrarlo in un ovile speciale che è la Chiesa, la parabola si lega profondamente all’Eucarestia. Di fronte a questa presentazione i piccoli rimangono incantati, iniziano a fare sintesi tra Bibbia e Liturgia, tra il “buon Pastore” delle parabole e la presenza di Cristo nelle specie eucaristiche. Tutto il coinvolgimento affettivo delle parabole è trasferito nella Messa, d’ora in poi la loro partecipazione all’offerta del Buon Pastore non sarà più la stessa. Via via che crescono i bambini lasceranno il materiale e ritorneranno spesso sul testo per ricopiarlo e drammatizzarlo. 118