Come pesci nell`acqua di Dio

Transcript

Come pesci nell`acqua di Dio
Come pesci nell’acqua di Dio: la potenzialità e
l'esigenza religiosa del bambino. La catechesi
del “buon pastore” di Sofia Cavalletti
Scritto da Redazione de Gliscritti: 06 /12 /2009 - 22:27 pm
Mettiamo a disposizione sul nostro sito un’intervista a Sofia Cavalletti, tratta dalla rivista “Il
sicomoro”, n. 7, inverno 1998/1999, già pubblicata on-line dalla stessa rivista, un articolo di S.
Cavalletti, intitolato L’esperienza religiosa nella prima infanzia, pubblicato da Servizio della
Parola, n. 360, settembre 2004, pp. 64-70, anch’esso disponibile on-line, alcuni brani tratti da S.
Cavalletti, Il potenziale religioso del bambino. Descrizione di un'esperienza con bambini da 3 a 6
anni, Città Nuova, Roma, 2000 e da S. Cavalletti, Il potenziale religioso tra i 6 e i 12 anni.
Descrizione di un'esperienza, Città Nuova, Roma, 1996 ed, infine, alcuni passaggi sulla dimensione
religiosa dell’educazione di Maria Montessori. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione
se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono
nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (3/12/2009)
1/ Come pesci nell’acqua di Dio. I bambini e la catechesi secondo Sofia Cavalletti
2/ Sofia Cavalletti, L’esperienza religiosa nella prima infanzia, pubblicato da Servizio della
Parola, n. 360, settembre 2004, pp. 64-70
3/ Il “bambino metafisico”, da S. Cavalletti, Il potenziale religioso del bambino. Descrizione di
un'esperienza con bambini da 3 a 6 anni, Città Nuova, Roma, 2000, pp. 38-40
4/ Brani da S. Cavalletti, Il potenziale religioso tra i 6 e i 12 anni. Descrizione di
un'esperienza, Città Nuova, Roma, 1996
5/ Brani da Maria Montessori sull’educazione religiosa del bambino
1/ Come pesci nell’acqua di Dio. I bambini e la catechesi secondo Sofia Cavalletti
Sofia Cavalletti è la fondatrice di un Centro di Catechesi infantile a Roma. Comincia la sua
esperienza quarantaquattro anni fa con bambini a partire dai tre anni. Fondandosi su principi
montessoriani, li porta a conoscere ed affrontare in modo diretto i testi della Parola di Dio e della
Liturgia.
Il risultato è sorprendente: i bambini non solo accettano con gioia le due ore settimanali di
catechesi, ma hanno una risposta di vero e pieno godimento. Sembra che nella figura del Buon
Pastore, la parabola che più di tutte li accompagna per tutti i sette-otto anni di catechesi, trovino
un saldo appoggio, un rifugio sicuro, e attraverso di essa riescano a penetrare con semplicità le
verità più profonde della fede.
L'esperienza si allarga. Dagli indios in Messico agli amerindi negli Stati Uniti, all'Europa Centrale
e Orientale, all'Italia, bambini di tante sfumature culturali e classi sociali diverse reagiscono a
questa catechesi con la stessa gioia e recettività.
D.: Dal nostro catechismo parrocchiale i bambini scappano annoiati. La prima risposta che ci si
1
dà è che la fede, la religione si possono capire solo maturando, ma per i bambini sono ancora un
elemento esterno.
R.: Io non limiterei il fatto religioso al risultato di sollecitazioni culturali. Una componente culturale
è certamente presente, ma c'è anche - e forse soprattutto - un livello ben più profondo. È un campo
in fondo ancora tanto controverso questo: alcuni negano addirittura che il bambino sia capace di un
rapporto con Dio, concentrano tutto sul fatto razionale; quindi prima dei sei anni il bambino non ha
un pensiero razionale compiuto, è incapace di rapporto con Dio... Però questo contrasta anche col
fatto che battezziamo il bambino fin dalla nascita: allora dovremmo aspettare l'età della ragione!
Invece, quello che in genere concedono gli studiosi più "generosi" in questo campo, è un certo
"innatismo religioso" nel bambino. A me non soddisfa neanche questo, dirò la verità: mi piace di
più parlare di connaturalità del bambino con Dio. Non ho una sufficiente preparazione filosofica
per chiarire bene la differenza fra innatismo e connaturalità, comunque l'innatismo mi fa pensare a
qualche cosa di un po' passivo, che c'è nel bambino, ma sta lì e dorme; la connaturalità mi piace
soprattutto per questa particella con, che esprime il rapporto. Parlo di connaturalità, non parlo sul
piano teorico, ma in base a quello che ho visto: ho visto come bambini di questa età possano
godere in modo vitale, profondo, globale di un rapporto con Dio; questo mi fa pensare a persone
che abbiano trovato corrispondenza essenziale, cercata, che appaga esigenze profonde; che abbiano
trovato l'ambiente, la persona che cercavano.
Significa che i bambini "sentono" o "capiscono" Dio?
Ogni persona umana cerca la relazione, ma sembrerebbe che nella persona di Dio il bambino trovi
una connaturalità, una rispondenza; tante volte ho avuto l'impressione, entrando nella stanza
dove i bambini lavorano, di "pesci nell'acqua", come di chi ha trovato l'ambiente vitale che lo
può appagare, nell'intimo più profondo. E allora vengono fuori questi fenomeni di
concentrazione profonda, di gioia particolarissima e di godimento che quasi si palpa nell'aria, come
di chi ha trovato l'ambiente vitale e dice: "Come sto bene qui". Il desiderio di starci, di restarci, di
non andar via, di continuare nell'esperienza sono fenomeni che ormai abbiamo visto in tanti
bambini in tante parti del mondo, in tanti livelli sociali e culturali diversi: si può affermare dunque
che questo, in base a ciò che abbiamo visto, è la risposta del bambino all'esperienza religiosa. Che
significa? Significa che c'è questa attrazione particolare: Adele Costa Gnocchi, stretta collaboratrice
di Maria Montessori, diceva che Dio e il bambino "se la intendono". Mi sembra un'espressione
tanto buona, tanto adeguata. C'è come un filo diretto; lo possiamo chiamare connaturalità o come vi
pare, ma un filo diretto c'è tra Dio e il bambino. Si trovano bene, uno attira l'altro, stanno bene
insieme.
Quale influenza ha l'ambiente?
Certamente ad un certo momento l'ambiente ha una sua influenza, tanto è vero che, per quello che
io posso dire, chi è veramente forte nel difendere questa connaturalità con Dio è il bambino piccolo;
man mano invece che il bambino apre nel crescere all'influsso della società più ampia, allora questo
rapporto è meno forte. Direi che è abbastanza chiaro: l'ambiente ha una sua valenza, qualche volta
negativa e qualche volta positiva. Non è negativa soltanto negli ambienti non religiosi, qualche
volta pure quelli religiosi comprimono certe potenzialità per troppa "super-nutrizione" scorretta in
una direzione sbagliata. Non posso dire che i bambini di famiglie particolarmente praticanti
siano i più sensibili.
Normalmente si parte dall'importanza della famiglia: buon esempio di amore paterno e materno.
Il bambino può capire l'amore di Dio.
A me pare che fare dell'amore dei genitori o comunque di chi è più vicino al bambino il canale
necessario dell'amore di Dio è estremamente limitante; si limita l'amore di Dio alla
dimensione umana, lo si considera secondario rispetto alle condizioni in cui il bambino vive.
2
Ma a me sembra - parlando sempre in base a quello che ho potuto osservare - che l'amore di
Dio sia primario nell'esperienza umana del bambino piccolo. Certo è bello poter dire ad un
bambino: "Papà e mamma ti vogliono bene"; però si tratta sempre di un amore umano e quindi
limitato. E quando questo non succede? Un bambino rifiutato dai genitori è forse una creatura
perduta per Dio?
No, Dio prende le sue creature anche al di fuori dell'amore umano: l'ho visto in tanti bambini non
accettati in famiglia che invece all'annuncio del Pastore che "li chiama per nome" si aprivano ad un
immenso godimento (1).
Dunque bisogna distinguere fra esperienza ed esigenza: l'esperienza è qualche cosa che si è vissuto,
può essere una cosa che ha dato un approccio positivo alla vita o negativo, comunque è dipendente
dall'esperienza: deve succedere un fatto perché io abbia l'esperienza. L'esigenza, a mio avviso, è
ciò che sta più profondamente nella persona umana e che non dipende da questa o da quella
esperienza: è una potenzialità che chiede di essere appagata. Questa è l'esigenza, che quindi
prescinde dall'esperienza.
Con l'esperienza siamo al livello di fatti, potrei dire di storia, qualcosa quindi che cambia da
persona a persona; con l'esigenza stiamo alle radici stesse della vita. In ogni essere umano c'è
l'esigenza di relazione, cioè di trovare qualcuno che mi cerca - per parlare con le parole della
parabola del buon Pastore: che mi "chiama per nome" - e a cui posso rispondere. L'esigenza è come
una fame che cerca il cibo necessario, una fame che può fare l'esperienza di trovare il suo
appagamento, ma può anche non trovarlo, e resta viva anche non trovandolo.
Il fatto religioso si pone al livello di esigenza vitale e quindi a un livello più profondo
dell'esperienza. La catechesi, molto diffusa oggi, che vuole partire dall'esperienza, si situa a un
livello abbastanza superficiale.
Ma se non si parte dall'esperienza, come è possibile trasmettere ai bambini una fede dai
contenuti così complicati?
Il fatto è che non credo che la fede cristiana sia di per sé complicata. Spesso noi la complichiamo,
perché è normale, forse rassicurante complicare. Io credo all'essenzialità della fede cristiana, e
quindi alla sua semplicità, e le cose essenziali e semplici sono immediate. Ricordo un bambino
appena più piccolo degli altri, che con lui facevano la Prima Comunione (aveva 6 anni):
rimasi strabiliata nel vedere che parlava dei rapporti inter-trinitari come se fosse un discorso
normale. Non gliene avevamo mai parlato. Credo che spesso siamo noi a complicare e non
rendiamo un servizio né a noi stessi, né ai bambini.
Come si può semplificare senza diventare banali?
C'è una grossa differenza tra semplicità e semplificazione. La semplificazione è un'operazione
di riduzione, di rimpicciolimento; la semplicità è un modo di essere, e le cose grandi sono
semplici. Dio è semplice, il mistero della Trinità sarebbe semplice se noi non lo complicassimo; ai
bambini certamente vanno date le cose semplici, ma le cose semplici corrispondono alle cose
essenziali, quindi alle cose grandi. Devono essere date in un certo modo, corrispondente
all'essenzialità del soggetto stesso e di chi lo riceve. Ma la semplificazione no. Quel bamboleggiare
col bambino: l'angioletto, il bambinello...
Racconto sempre l'episodio di quel bambino che, informato dell'esistenza dell'angelo custode ha
risposto che non sapeva che fare dell'angelo; aveva già il Buon Pastore. Chi ha scelto fra i due? Il
Buon Pastore! Il bambino va a cercare le cose grandi.
Dunque né complicazione, né semplificazione: la parola giusta qual è?
Essenzialità. La grande disciplina che impone la catechesi dei piccoli è proprio questa: la
fedeltà all'essenziale. Nella scelta dei temi e nel modo di presentarli. Si vede chiaramente
soprattutto in un bambino piccolo: se si abborda una cosa secondaria, ti accorgi subito che
3
non ti segue. Oppure se dici troppe parole: sei finito. Bisogna annunziare il Kerygma nella sua
essenza.
Questa è stata l'esperienza più grande per noi, perché ci ha obbligato ad un'essenzialità che non è
facile, perché sono spietati, i bambini: appena "scantoni" un po', ti abbandonano, ma in modo
chiaro. Il più grande ormai è abituato alla scuola, per cui porta pazienza; il bambino di due anni se
ne va, fisicamente: prende la sedia e se ne va. È una scuola dura proprio per gli adulti-catechisti,
però è bellissima.
Mi sembra una visione un po’ diversa del modo usuale di fare catechesi...
L'adulto deve trasmettere quello che ha ricevuto, evidentemente, però tenendo presente innanzi tutto
che non è un insegnamento scolastico, che il bambino non è un sacco vuoto da riempire. L'annuncio
dev'essere dato nel modo più "disinteressato" possibile: io te lo do, e poi lo amministri tu; una volta
che ho fatto la mia parte, basta. Per questo è così importante per il nostro lavoro il materiale (2)
che serve a lasciare il bambino indipendente dall'adulto nell'ascolto di quanto ha ricevuto.
Altrimenti l'adulto interferisce sempre con una presenza che può disturbare e invece di
aiutare la comunicazione, può impedirla. L'importante è quel secondo momento in cui il
bambino sta da solo, ripensa a Gesù buon pastore, cosa fa, come conosce le pecorelle...
Il nostro materiale non è didattico, cioè un aiuto all'insegnante per rendere il suo
insegnamento più attraente; è un materiale di carattere montessoriano, cioè un aiuto alla
meditazione del bambino, permette al bambino di continuare a considerare quanto è stato
presentato, indipendentemente dalla presenza dell'adulto. L'adulto ha la funzione di indicare
alcuni punti, però poi deve essere abbastanza bravo da ritirarsi e lasciare il posto all'intima
conversazione con il Maestro interiore. Siamo in genere troppo interventisti. Mi scriveva adesso una
allieva croata catechista: una bambina di tre anni aveva fatto un disegno, poi ne aveva cominciato a
fare un altro e lei, per zelo, le si è avvicinata e le ha chiesto: "Adesso che stai facendo?". E lei ha
risposto: "Scostati! Scostati! Vai via!". Solo a disegno finito gliel'ha fatto vedere. Evidentemente
era un intervento assolutamente indebito: il momento del lavoro personale è il momento costruttivo:
è l'ascolto del Maestro interiore. Non siamo noi che insegniamo. e questo per gli adulti è difficile.
3/ Il “bambino metafisico”, da S. Cavalletti, Il potenziale religioso del bambino. Descrizione di
un'esperienza con bambini da 3 a 6 anni, Città Nuova, Roma, 2000, pp. 38-40
Tutto quanto abbiamo potuto osservare in questi anni, sia direttamente che attraverso collaboratori ed exallievi, ci fa pensare al bambino come a un essere “metafisico” (l’espressione non è nostra), che si muove a
suo agio nel mondo del trascendente, e gode – pago e sereno – nel contatto con Dio.
“Dio e il bambino se la intendono” era l’espressione abituale di Adele Costa Gnocchi, una delle prime
collaboratrici di Maria Montessori.
Se volessimo azzardare una spiegazione di tutto ciò, potremmo forse dire che, essendo l’esperienza
religiosa fondamentalmente un’esperienza d’amore, essa corrisponde in particolar modo alla natura del
bambino. Noi crediamo che il bambino abbia più di chiunque altro bisogno d’amore, perché è egli stesso
ricco d’amore; il suo bisogno d’essere amato dipende non tanto da una carenza che va riempita, ma da una
ricchezza che cerca qualcosa che le corrisponda.
“L’atteggiamento religioso – osserva il Mencarelli – non è… una risposta esclusiva ad un bisogno. È la
strutturazione di tutta la personalità in funzione della sua relazione con Dio”. Ci sembra che una conferma a
tale asserzione possa essere trovata nelle conclusioni a cui p. Alberoa Algarra è arrivato dopo un lungo
periodo di osservazione nella Casa dei Bambini “Adele Costa Gnocchi” (Roma), e cioè che un bambino,
bloccato in qualsiasi aspetto del suo comportamento, troverà grandi difficoltà nell’essere coinvolto in una
4
esperienza religiosa; egli ha osservato che i bambini, a mano a mano che si “normalizzavano”,
dimostravano maggiori interessi religiosi e si univano agli altri in manifestazioni di carattere religioso. Non è
quindi nella ricerca di una compensazione che il bambino si volge a Dio, ma per una profonda esigenza di
natura. Il bambino ha bisogno di amore globale, infinito, tale che nessuno essere umano è in grado di
dargli. Nessun bambino – credo – è stato mai amato nella misura che avrebbe voluto e di cui avrebbe avuto
bisogno. L’amore è per il bimbo più necessario del cibo; è stato scientificamente provato. Nel contatto
con Dio egli sperimenta un indefettibile amore. E nel contatto con Dio egli trova il nutrimento che il suo
essere richiede e di cui ha bisogno, per svilupparsi nell’armonia. Dio – che è amore – il bimbo, che chiede
l’amore più del latte materno, s’incontrano quindi in una particolare corrispondenza di natura; e il bimbo,
nell’incontro con Dio, gode per la soddisfazione di un’esigenza profonda della sua persona, di una autentica
esigenza di vita.
Nell’aiutare la vita religiosa del bambino, lungi dall’imporgli qualcosa che gli è estraneo, rispondiamo a
una sua silenziosa richiesta: “Aiutami ad avvicinarmi a Dio da me”.
5

Documenti analoghi

Esperienza Buon Pastore, Rimini

Esperienza Buon Pastore, Rimini sovrabbondante. Sofia Cavalletti dice che “ il bambino ha bisogno di un amore globale, infinito, tale che nessun essere umano è in grado di dargli (..)Nel contatto con Dio egli sperimenta un indefe...

Dettagli

L`ATRIO DEL BUON PASTORE: UN`ESPERIENZA DI DIO

L`ATRIO DEL BUON PASTORE: UN`ESPERIENZA DI DIO Dio, ovviamente selezionata ma non rielaborata, letta e meditata in gruppo e personalmente, e una vera e propria introduzione al rito della Messa e dei sacramenti, per favorire la conoscenza dei g...

Dettagli

Il buon pastore nella didattica montessoriana

Il buon pastore nella didattica montessoriana condotto hanno dato una spinta notevole a chi, seguendo la sua impostazione metodologica e le sue intuizioni circa “la presenza di un istinto religioso nel bambino”4, si è dedicato dopo la sua scom...

Dettagli