Amministrazione Civile

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PrIMo PIAno | QUALE SICUREZZA?
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• di Giorgio Napolitano
Le politiche
di sicurezza interna
Nell’ottobre 1998, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, allora ministro
dell’Interno, scrisse questo articolo per la rivista “Europa Europe” della Fondazione
Istituto Gramsci. A distanza di dieci anni, il Presidente ne ha autorizzato la ripubbli­
cazione su Amministrazione Civile, nella convinzione dell’attualità del messaggio
in esso contenuto. Il problema del bisogno di sicurezza evidenziato nell’articolo è
rimasto sul tappeto e l’approccio già allora prospettato dal Capo dello Stato, spe­
cialmente sui temi della criminalità interna, costituisce ancora oggi una risposta
moderna ed efficace alle esigenze dei cittadini.
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on la decisione che ha segnato, all’inizio di maggio, la nascita
dell’Euro si è conclusa nella vita dell’Unione europea una fase
dominata dal confronto sui temi della politica monetaria e finanziaria. La posta in gioco era di certo molto alta.
Se si fosse fallito l’obiettivo della moneta unica, se si fosse messo in forse il
passaggio alla terza fase dell’Unione economica e monetaria, ne sarebbe stato
colpito l’intero processo di approfondimento della costruzione europea disegnato a Maastricht. Conseguenze gravi avrebbe potuto avere anche il ripiegare su
un rinvio oltre la data del 1 gennaio 1999 da tempo annunciata e assunta come
traguardo. E non lievi sarebbero state le implicazioni e le incognite di una nascita dell’Euro in una cerchia ristretta di paesi membri dell’Unione. Tutto ciò spiega
a sufficienza il concentrarsi per più di un anno dell’attenzione e dell’impegno su
quell’obiettivo, su quel traguardo.
Ma quella fase si è conclusa. Non si può indugiare a lungo nel pur fondato
compiacimento per un successo che ha comportato duri sforzi di convergenza
da parte di undici paesi, nella valorizzazione del significato, della portata, delle
potenzialità di una creazione sovranazionale europea in campo monetario. L’accento deve ovviamente spostarsi su tutti gli sviluppi da dare alla grande scelta
che è stata compiuta, non solo perché Banca centrale europea e moneta unica
poggino fin dall’inizio su basi solide, ma perché a quella decisione ne conseguano altre, sul piano politico e istituzionale, a cominciare dalla definizione di un
quadro di riferimento democratico per gli indirizzi della nuova, e indipendente,
Banca centrale, per la nascita di organi e poteri di governo dell’economia in
seno all’Unione. Ma occorre anche, al di là di ciò, tornare a una visione più complessiva e più ricca del processo di integrazione e unificazione europea, e ridare
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in un’agenda seriamente aggiornata il posto giusto a problematiche e a direttrici
di sviluppo rimaste in ombra fino a che i riflettori sono stati puntati sul tema
della moneta unica e sul rispetto dei relativi «parametri di Maastricht». Tra queste problematiche, richiedono certo una rinnovata e accresciuta considerazione
quelle della sicurezza interna.
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in dall’inizio dell’attività preparatoria della Conferenza intergovernativa, poi
tenutasi nel giugno 1997, il «gruppo di riflessione» aveva individuato il bisogno di sicurezza accanto al bisogno di lavoro come le due esigenze maggiormente avvertite e diffuse tra i cittadini dell’Unione
Si deve distinguere
europea.
Ebbene, occorre ancora ripartire da quella valu- tra percezione di insicurezza
tazione, che ha d’altronde trovato conferma in valuta- e consistenza obiettiva
zioni politiche, ricorrenti nei paesi dell’Unione e sor- dei problemi attuali
rette anche da sondaggi di opinione. Naturalmente
si può e si deve distinguere tra la percezione di insicurezza, e la conseguente
domanda di sicurezza, che i cittadini esprimono, e la consistenza obiettiva dei
problemi di sicurezza che si presentano nei singoli paesi e su scala europea
e che occorre affrontare con adeguate politiche nazionali e politiche comuni.
Queste politiche vanno fondate su verifiche e analisi accurate dei diversi fenomeni riconducibili a problemi di sicurezza interna, non possono essere determinate da rappresentazioni esasperate e semplificate di quei fenomeni e da
ondate emotive. Ma il diffondersi tra i cittadini di una percezione d’insicurezza
costituisce di per sé un non trascurabile problema politico, e induce a considerare con grande attenzione tutti i dati obiettivi, tutte le situazioni concrete, senza
indulgere a insostenibili minimizzazioni.
Quel che incide sulla vita quotidiana è la «micro-criminalità». Con questa
espressione, che suscita peraltro non lievi equivoci, si intende una somma di offese, o di attentati, alle persone e ai loro beni, a un’ordinata e pacifica convivenza
civile, che possono classificarsi nell’ambito della criminalità comune, distinta
dalla criminalità organizzata.
Si tratta di reati fino a un certo grado minori («micro»), dal punto di vista
della gravità delle pene, che però costituiscono una minaccia comprensibilmente avvertita come grave dai cittadini e dalla collettività. Questo tipo di criminalità
- dai furti e dagli «scippi» allo smercio di droga e alla prostituzione di strada,
con frequente accompagnamento di violenze e grave turbamento della tranquillità pubblica - si può porre maggiormente in relazione con fenomeni di malessere sociale e di disagio giovanile da una parte, e
Bisogna intervenire con fenomeni connessi alla presenza di stranieri
con scelte di integrazione immigrati dall’altra.
degli stranieri residenti
Vi si deve rispondere con politiche di sicue di contrasto nei confronti rezza urbana, non affidate esclusivamente alle
dell’immigrazione clandestina forze di polizia ma basate su una pluralità di ap-
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procci e di apporti, su un intenso coinvolgimento delle amministrazioni locali e di
ogni forma di rappresentanza dei cittadini: politiche volte a contrastare il degrado
dei quartieri più difficili, elevandone il livello di vita civile e culturale, a prevenire
e riassorbire patologie criminali o criminogene. Ciò non significa ignorare l’importanza di politiche nazionali che affrontino le maggiori questioni dello sviluppo economico e sociale, visto nei suoi limiti e nei suoi squilibri: ma non si può
nemmeno rinviare a queste politiche la soluzione dei problemi della sicurezza
pubblica, rinunciando a più specifici interventi capaci di migliorare le condizioni
della convivenza quotidiana nelle aree urbane. E si deve intervenire - dovunque
sia questo il dato emergente - con serie scelte di integrazione degli stranieri legalmente residenti e di netto contrasto nei confronti del radicarsi di un’immigrazione clandestina che alimenti tensioni e vere e proprie attività criminali.
Se la percezione di insicurezza, quale si traduce anche in protesta di comunità locali, è spesso più acuta di quanto possano motivarla i dati obiettivi ed
è influenzata da speculazioni politiche, ciò si verifica soprattutto nel rapporto
col fenomeno della presenza di stranieri immigrati. Si tende con una certa facilità ad attribuire soprattutto a quest’ultima - anche per
è spesso difficile un’istintiva, non dichiarata reazione di diffidenza e di rigetto nei confronti del razzialmente diverso - il crescere della
escludere la presenza
criminalità nell’area in cui si vive, fino a giungere a somdi vere e proprie marie, arbitrarie e davvero fuorviami identificazioni. Ma ciò
organizzazioni criminali richiede risposte politiche non ambigue su entrambi i veranche in fenomeni santi: apertura, tolleranza nel senso alto del termine, piedi criminalità minore no riconoscimento di diritti e di possibilità di integrazione
e “comune” nei confronti dell’immigrato che contribuisce alla crescita
del paese in cui si viene inserendo rispettandone le leggi,
e fermezza, intransigenza nel combattere l’intreccio clandestinità-criminalità.
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o voluto partire da questioni di «micro-criminalità», di criminalità comune, che sollecitano soprattutto politiche di sicurezza urbana e che sono
ben presenti all’attenzione dei governi europei, in special modo in quelli
di centro-sinistra e di sinistra, certamente sensibili all’impatto elettorale e di
opinione di quelle questioni, non a caso agitate e sfruttate da forze di destra.
Ma i governi europei nel loro insieme e gli organismi rappresentativi dell’Unione
sono soprattutto impegnati sui temi della lotta contro la criminalità organizzata.
D’altronde, non solo la portata di questi temi è straordinariamente più ampia,
ma risulta spesso difficile segnare un confine tra le une e le altre manifestazioni
criminali, escludere la presenza di vere e proprie organizzazioni criminali anche
in fenomeni di criminalità minore e “comune”: questa difficoltà è evidente in
alcune regioni del Mezzogiorno d’Italia storicamente caratterizzate dall’insediamento della mafia e di altre associazioni di stampo mafioso, i cui traffici e la cui
influenza si intrecciano col diffondersi di attività criminali “spicciole”.
L’impegno si concentra dunque - come mai prima in Europa - sul crimine organizzato. Non c’è paese che possa considerarsene immune. Le dimensioni inedite e la vistosa crescita di questa minaccia si sono negli ultimi anni
imposte alla preoccupazione dell’Unione europea come dell’intera comunità
internazionale. Non c’è bisogno di ricordare come quella crescita si collochi
nel quadro del tutto nuovo determinato da una
serie di cambiamenti concomitanti, per diver- Mafia, ‘ndrangheta, camorra
sa che ne sia la natura: cambia¬menti politici e
possono trovare oggi
cambiamenti tecnologici, radicali mutamenti di
sistema e difficili transizioni nell’area del dissol- nuovi sostegni e nuove fonti
tosi blocco sovietico, processi di liberalizzazione di profitto e di crescita attraverso
delle economie e del commercio mondiale e di i collegamenti sovranazionali
rapida globalizzazione dei mercati finanziari, de- e gli affinamenti tecnologici
cisioni di ulteriore approfondimento e di sia pur
graduale allargamento dell’integrazione europea. E non c’è neppure bisogno di
sottolineare la portata positiva, sul piano dei principi democratici e dei valori di
libertà, e le potenzialità di ulteriore e più diffuso progresso economico e sociale
di questi cambiamenti.
Ma qui ci interessa mettere l’accento sugli impulsi che in quel quadro si
sono nello stesso tempo prodotti per un’espansione dei fenomeni di criminalità organizzata (basti pensare alle nuove mafie dell’Est) e per una crescente
internazionalizzazione e sofisticazione dei traffici criminali. Si tratta - come ha
ben detto il ministro francese della Giustizia Elisabeth Guigou in una recente
riunione del Consiglio dei ministri degli Interni e di Giustizia dell’Unione europea
- della «parte nera dello sviluppo delle relazioni internazionali: la mondializzazione degli scambi economici, la mobilità delle persone e dei beni, l’apertura
delle frontiere nazionali rappresentano altrettanti vettori per la criminalità organizzata». E a conclusione del primo incontro dei ministri degli Interni e di
Giustizia «degli 8» svoltosi a Washington nel dicembre 1997, si è richiamata
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l’attenzione in particolare sulle opportunità di comunicazione globale senza precedenti offerte dalle nuove tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni
e sul ricorso da parte delle organizzazioni criminali a
queste tecnologie, fino a configurare nuove fattispecie
di «crimine ad alta tecnologia».
Si impone di conseguenza una cooperazione internazionale anch’essa senza precedenti. Attraverso collegamenti che non conoscono frontiere, collaborazioni
e saldature tra vecchie e nuove formazioni criminali,
possono svilupparsi con sempre maggiore efficacia
e pericolosità vecchi e nuovi traffici: da quelli della
droga, delle armi, dei materiali nucleari, delle sostanze tossiche, al cosiddetto
high-tech crime e al traffico di esseri umani, e possono riciclarsi e reinvestirsi
proventi illeciti, danaro sporco, cosi da penetrare nello stesso tessuto legale
delle attività economiche e finanziarie. Sono in gioco la sicurezza degli Stati e la
sicurezza delle economie, la sicurezza delle istituzioni democratiche e la sicurezza dei cittadini.
Questo nuovo scenario muta i termini della lotta contro la criminalità organizzata anche per paesi come l’Italia, che hanno conosciuto nel loro sviluppo
storico la presenza radicata e pervasiva nella realtà sociale e sul territorio di
intere regioni della mafia, della ‘ndrangheta, della camorra. Queste organizzazioni sono state negli ultimi anni duramente colpite dalle
forze dello Stato, ma hanno conservato una notevole ca- In Europa
pacità di pressione nell’esercizio di loro attività tradizio- le legislazioni nazionali
nali: innanzitutto l’estorsione su larga scala nei confronti in materia di lotta
di soggetti imprenditoriali e commerciali, l’intimidazione alla criminalità
brutale a scopo di condizionamento dei nuovi investimen- e di immigrazione
ti privati e di inquinamento degli appalti pubblici. E nello
sono tuttora differenziate
stesso tempo esse possono trovare oggi nuovi sostegni
e nuove fonti di profitto e di crescita attraverso i collega- ma un avvicinamento
menti sovranazionali e gli affinamenti tecnologici che si è già in atto
sono venuti profilando.
Ma dovunque, sia nei paesi che hanno in fasi precedenti vissuto esperienze
di lotta contro la criminalità organizzata sia in quelli che ne sono stati più lontani,
si deve acquisire concreta consapevolezza, da parte delle forze democratiche,
della necessità di portarsi al livello di una sfida che si può definire perfino come
sfida tra le rispettive capacità di internazionalizzazione e di sofisticazione tecnologica, da un lato dei traffici e delle minacce del crimine organizzato, e dall’altro
lato degli interventi di contrasto degli Stati democratici. Una sfida che si misura
anche sui tempi e che richiede perciò una seria accelerazione delle iniziative e
delle decisioni necessarie. La sinistra, e segnatamente le forze socialiste che
governano (in posizione determinante se non da sole) in un così gran numero di
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paesi dell’Unione, hanno fornito e forniscono un contributo essenziale a questo
sforzo per un vero e proprio salto di qualità sul piano delle politiche di sicurezza
interna; e ciò avviene in sostanziale sintonia.
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olitiche nazionali da rivedere e da adeguare; processi di avvicinamento e
armonizzazione tra le legislazioni nazionali e le prassi conseguenti; forme
di cooperazione sempre più impegnativa; politiche comuni cui giungere in
alcuni campi attraverso la definizione, innanzitutto, di elementi di base (indirizzi
e criteri d’azione) comuni. Le politiche e le legislazioni
La sinistra ha mostrato nazionali sia in materia di lotta alla criminalità, di contrasto di molteplici traffici criminali, sia in materia di
di essersi lasciata alle spalle
immigrazione, di asilo, di protezione umanitaria, sono
posizioni ideologiche tuttora notevolmente differenziate: ma un processo
e condizionamenti psicologici di avvicinamento è, per importanti aspetti, già in atto.
che ne potessero rendere incerto Da parte italiana si è potuto dare un rilevante apporto
l’impegno sui temi dell’ordine specifico partendo da un pesante retaggio storico di
e della sicurezza pubblica presenze criminali organizzate e da un cospicuo patrimonio recente di elaborazioni normative finalizzate a
una specifica, forte, efficace azione di contrasto. Si è così giunti, in particolare,
all’adozione da parte del Consiglio dell’Unione (con la riunione di fine maggio dei
ministri degli Interni e di Giustizia) di un progetto di «azione comune» comprendente per la prima volta una comune definizione di «organizzazione criminale» e
il principio della punibilità della partecipazione a un’organizzazione criminale.
Occorre saper proporre
C’è ovviamente ancora molta strada da fare per re- una convincente distinzione
alizzare una sempre più concreta “armonizzazione” tra
e combinazione
approcci giuridici e impianti normativi nazionali. Ma nello
stesso tempo si possono realizzare e già si stanno realiz- tra prevenzione
zando progressi importanti attraverso gli strumenti della e repressione del crimine
cooperazione di polizia e della cooperazione giudiziaria:
per quel che riguarda la prima, che già si trova in uno stadio più avanzato, si è
anche dato vita, con la Convenzione Europol, a un organismo comune, le cui potenzialità sono tali da creare in prospettiva preziose sinergie tra le forze di polizia
dei singoli paesi membri dell’Unione.
Forme più complesse e sofisticate di cooperazione, che richiedono anche
apporti diversi da quelli delle forze di polizia, si impongono e si vanno affinando per contrastare il riciclaggio del denaro sporco, in un contesto che sollecita
anche nuove regolamentazioni in sede comunitaria delle transazioni finanziarie e bancarie. Si deve in sostanza portare avanti con grande determinazione, in
tutte le direzioni, l’impegno già avviato per rispondere sempre meglio a serie e
pressanti esigenze di revisione e di adeguamento, e insieme di riflessione, su
delicati nodi problematici, cui le forze di sinistra non possono che essere, più di
altre, sensibili.
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Di queste esigenze ha dato una formulazione particolarmente netta il ministro Guigou nell’intervento che ho già ricordato: «La criminalità organizzata
rende obsoleta la maggior parte degli strumenti e dei quadri giuridici penali nazionali (...); i costi di funzionamento dell’insieme degli apparati repressivi
aumentano considerevolmente in persone, in tempi, in mezzi e in procedure; i
princìpi dello Stato di diritto, fondati su basi democratiche e sul rispetto delle libertà individuali dei cittadini, sono messi fortemente alla prova» dalle nuove esigenze della lotta contro la criminalità organizzata. La prova va coraggiosamente
affrontata ricercando di volta in volta il giusto punto di equilibrio: così da rendere
più sicure le nostre società senza che diventino meno libere e che si chiudano
in sé stesse. La sinistra chiamata a governare oggi in Europa ha innanzitutto
mostrato di essersi lasciata alle spalle un bagaglio di posizioni ideologiche e di
condizionamenti psicologici che ne potesse rendere incerto l’impegno sui temi
dell’ordine e della sicurezza pubblica.
N
ella più elaborata presentazione pre-elettorale (1996) delle idee e della
piattaforma del New Labour, si trova una denuncia dell’abisso che nel
passato si era scavato tra posizioni giustificazioniste, o almeno comprensive e «morbide» (propense a considerare il crimine come
«sintomo dei mali della società»), tradizionalmente presenti
Gli accordi di Schengen
nella sinistra, e opinioni diffuse nella stessa base laburista.
sono un banco di prova
Perciò, si aggiunge, è stata accolta con sollievo la semplice
dichiarazione di Tony Blair che «il Partito laburista intende della capacità dei governi
essere duro sul crimine e duro sulle cause del crimine», di trovare un equilibrio
«chiaro nel dire dove si colloca rispetto a quel che è giusto e tra garanzie di sicurezza
quel che è sbagliato»: il che permette di essere poi ascoltati e conquiste di libertà
quando «si spieghi la complessità di queste questioni» e ci
si confronti col «banale populismo legge e ordine della destra». Non regge più
una schematica contrapposizione, occorre saper proporre una convincente distinzione e combinazione tra prevenzione e repressione del crimine.
Nel rapporto con i cittadini che chiedono sicurezza la sinistra non può apparire incerta nel far rispettare regole, vincoli, limiti come parte di un’autentica
cultura dei diritti e delle libertà: solo così si contrastano efficacemente filosofie
riduttive di legge e ordine che ignorano conquiste e garanzie di carattere liberale
e democratico. E questo più maturo approccio politico e di governo deve proiettarsi, si sta proiettando su tutto l’arco dei fenomeni e dei problemi propri della
fase storica attuale. Problemi, come si è detto, di crescita in forme e dimensioni
nuove della minaccia costituita dal crimine organizzato. Fenomeni complessi da
padroneggiare evitando sia perdite di sicurezza per la convivenza civile sia rischi
di regressione sul piano delle scelte di apertura e delle conquiste di libertà maturate via via in Italia e nell’Europa democratica. Tra questi fenomeni merita il
massimo rilievo quello dei flussi migratori, dei movimenti di popolazione, delle
richieste di lavoro, di benessere, di protezione umanitaria che si dirigono verso
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l’Europa più ricca e progredita. I governi di centro-sinistra e di sinistra si stanno
variamente confrontando con queste tematiche, e stanno sempre di più comprendendo la necessità di procedere verso politiche comuni.
Dalla valorizzazione del «terzo pilastro» (affari interni e di giustizia) del
Trattato di Maastricht alla prefigurazione di «uno spazio di libertà, sicurezza e
giustizia» nel Trattato di Amsterdam, dal protocollo sull’integrazione dell’«acquis di Schengen» nell’ambito dell’Unione europea alla fissazione di un termine
di cinque anni entro il quale definire misure comuni
per l’immigrazione e per l’asilo, i passi avanti che si La cooperazione di polizia
sono compiuti risultano rilevanti. Bisogna ancora ac- per il controllo delle frontiere
celerare i tempi e colmare i vuoti di questo percorso si sviluppa anche attraverso
di approfondimento dell’integrazione; e contempo- tecnologie avanzate
raneamente attrarre a un serio impegno sull’insieme di questi temi i paesi dell’Europa centrale e orientale candidati all’ingresso
nell’Unione, come si è fatto di recente vincolandoli a un «patto di pre-accesso»
per la lotta alla criminalità organizzata.
Un banco di prova tra i più significativi dell’impegno di ricerca dell’equilibrio
più avanzato tra garanzie di sicurezza e conquiste di libertà è costituito dalla
gestione degli accordi di Schengen. La libera circolazione delle persone, l’abolizione dei controlli alle frontiere interne (tra tredici dei quindici paesi dell’Unione:
continua a restarne fuori l’Inghilterra, nonostante l’interesse manifestato per
il funzionamento del sistema di Schengen durante il semestre di presidenza
dell’Unione) rappresentano la realizzazione di un grande ideale europeistico; ma
si tratta di una conquista accompagnata e presidiata da seri vincoli e dispositivi
di sicurezza. Il «Sistema informatico Schengen» è uno strumento assai valido
di contrasto del crimine organizzato; la cooperazione di polizia per il controllo
delle frontiere esterne comuni si sviluppa anche attraverso tecnologie avanzate
con l’obiettivo di contenere l’immigrazione clandestina, di contrastare le infiltrazioni criminali, di combattere lo sfruttamento criminale dei flussi migratori,
sollecitando anche, in vario modo, la collaborazione dei paesi di provenienza.
A queste condizioni si può bloccare la tentazione e il rischio di una messa in
mora della grande scelta della libera circolazione delle persone, di una serie di
violazioni di garanzie e diritti individuali, di un velleitario arroccamento dell’Europa nel rifiuto di qualsiasi, ben regolato afflusso di immigrati dal Sud e dall’Est.
In definitiva, su questo insieme di problemi, riconducibili ma non riducibili a problemi di ordine e sicurezza interna, la sinistra europea è chiamata a rispondere
del suo sistema di valori e della sua capacità di governo, e in egual misura del
suo europeismo, della sua determinazione nel perseguire politiche sempre più
necessariamente comunitarie, oltre i condizionamenti storici e le presunzioni
nazionali.
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