Lettera ASFOR nr. 1

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Lettera ASFOR nr. 1
Rubbettino Industrie Grafiche ed Editoriali
Anno XX - n. 1/2008 • Spedizione in abb. postale, articolo 2
In caso di mancato recapito rinviare all’ufficio postale C.M.P. Lamezia T. - detentore del conto, per restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa.
Registrazione Tribunale di Milano n. 312 del 15-06-1985
Direttore Scientifico Luigi Pieraccioni • Direttore Responsabile Mauro Meda
Formazione Manageriale:
un progetto per lo sviluppo del Paese
Atti e contributi di riflessione tratti dalla VI Giornata
della Formazione Manageriale ASFOR
Interventi di: A. Bombassei, E. Borgonovi, A. Camuffo, S. Cordero di Montezemolo
S. Falocco, C. M. Gallucci, A. Martinelli, A. Meomartini, V. Nanut, L. Pieraccioni, C. Poli
R. Pucci, D. Rampello, E. Rullani, G. Spina, R. Varaldo, M. Vergeat, F. Vergnano, M. Vitale
(Triennale di Milano, Salone d’Onore – Milano, 19 febbraio 2008)
Associazione Italiana per la Formazione Manageriale
Via Beatrice D’Este, 10
I 20122 Milano
Tel. 02-58328317
Fax 02-58300296
e-mail: [email protected]
U.R.L.: http://www.asfor.it/
Lettera ASFOR N. 1/2008
Formazione Manageriale: un progetto per lo sviluppo del Paese
Atti e contributi di riflessione tratti dalla VI Giornata
della Formazione Manageriale ASFOR
(Triennale di Milano, Salone d’Onore – Milano, 19 febbraio 2008)
SOMMARIO
DITORIALE di Luigi Pieraccioni, Presidente ASFOR
EEDITORIALE
SEZIONE 1 – ATTI DEL CONVEGNO ASFOR
FORMAZIONE MANAGERIALE: UN PROGETTO PER LO SVILUPPO DEL PAESE
Atti della VI Giornata della Formazione Manageriale ASFOR
(Triennale di Milano, Salone d’Onore – Milano, 19 febbraio 2008)
APERTURA LAVORI
• Saluto di benvenuto
Davide Rampello, Presidente della Triennale
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• L’impegno di ASFOR per un progetto di formazione manageriale a sostegno dello sviluppo
Luigi Pieraccioni, Presidente ASFOR
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PRIMA SESSIONE
FORMAZIONE DI ACCOMPAGNAMENTO ALLE STRATEGIE DELL’IMPRESA
• Relazione introduttiva del Chairman
Marco Vergeat, Consigliere ASFOR e Responsabile Area Corporate Learning
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• Il rapporto strategia-competitività, formazione nelle “Corporate School of Management”
Arnaldo Camuffo, Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale Università Bocconi
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• La formazione per il “sistema” dei soggetti a supporto dell’internazionalizzazione
e dello sviluppo sostenibile
Silvano Falocco, Membro del gruppo di esperti sulla politica integrata di prodotto, Ministero dell’Ambiente,
Amministratore Delegato Ecosistemi – SDI Group
• Ripensare i modelli di sviluppo locale: il ruolo della Formazione Manageriale
Enzo Rullani, Professore di Economia della Conoscenza Venice International University
PREMIO ASFOR ALLA CARRIERA
Assegnazione del “Premio ASFOR alla Carriera” ad Alberto Bombassei, Presidente del Gruppo BREMBO S.p.A. e Vice
Presidente Confindustria per le relazioni industriali e gli affari sociali
Intervista ad Alberto Bombassei da parte di Franco Vergnano, giornalista de “Il Sole 24 Ore”
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SECONDA SESSIONE
TREND EVOLUTIVI DELLA FORMAZIONE MANAGERIALE EXECUTIVE: RAPPORTO DOMANDA E OFFERTA
• Relazione introduttiva del Chairman
Claudio Poli, Past President ASFOR
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• Trend della formazione internazionale in Business
Carlo Maria Gallucci, Ordinario di Marketing e Direttore Esecutivo dell’Area Universitaria ESADE Business School
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• La qualità della formazione manageriale in Italia
Vladimir Nanut, Vice Presidente ASFOR
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• Discussant
Alberto Meomartini, Presidente Snam Rete Gas
Gianluca Spina, Dean MIP Politecnico di Milano
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TERZA SESSIONE
CONTENUTI MANAGERIALE, RELAZIONALI, CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY E SOSTENIBILITÀ:
FORMAZIONE DI MANAGER, LEADER, CLASSE DIRIGENTE
• Relazione introduttiva del Chairman
Elio Borgonovi, Consigliere ASFOR e Responsabile Area Ricerche
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• Formazione Manageriale
Riccardo Varaldo, Presidente Scuola Superiore Sant’Anna
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• Leadership
Roberto Pucci, Senior VP Human Resources Fiat Group
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• Considerazioni sulla classe dirigente italiana
Alberto Martinelli, Professore Ordinario di Scienza politica e Sociologia, Università degli Studi di Milano
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• Corporate Social Responsibility
Marco Vitale, Presidente Fondazione Istud per la cultura d’impresa e di gestione
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• La sfida della professionalità per il management
Stefano Cordero di Montezemolo, Presidente AIMBA Albo Italiano degli MBA
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SEZIONE 2 – RICERCHE ASFOR
• 3ª Indagine ASFOR “Osservatorio Learning”. Sintesi dei risultati
A cura di Elio Borgonovi, Consigliere ASFOR e Responsabile Area Ricerche, Salvatore Garbellano, Ricercatore
Gruppo di Lavoro ASFOR - Fondazione ISTUD, Mauro Meda, Segretario Generale ASFOR
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• Trend evolutivi della formazione manageriale. Sintesi dei risultati dei Focus Group
A cura di Marco Vergeat, Consigliere ASFOR e Responsabile Area Corporate Learning e Giulia Venini, Ricercatrice
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• L’offerta formativa degli associati ASFOR. Lo scenario della Formazione Manageriale in Italia
A cura di Elio Borgonovi, Consigliere ASFOR e Responsabile Area Ricerche, Manuela Brusoni Ricercatrice
Gruppo di Lavoro ASFOR - SDA Bocconi
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• L’attività di formazione dei Soci ASFOR per le Pubbliche Amministrazioni
Ricerca pubblicata all’interno del “XI Rapporto annuale sulla formazione nella Pubblica Amministrazione”
realizzato a cura dell’Osservatorio sui bisogni formativi nella PA della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione –
Presidenza del Consiglio dei Ministri
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• Osservatorio sull’offerta formativa manageriale in modalità distance learning dei soci ASFOR
A cura di Francesco Venier, Membro del Gruppo di Lavoro ICT ASFOR, MIB School of Management - Università di Trieste
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SEZIONE 3 – NOTIZIE
• Una guida per scegliere un master di qualità: il Processo di Accreditamento Master ASFOR
• L’innovatività nell’e-Learning: 4ª edizione del Bando ASFOR “e-Talenti dell’e-Learning
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ASFOR
• Gli Organi Istituzionali
• Gli Associati
• Gli Associati: aree/settori di intervento
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Editoriale
di Luigi Pieraccioni
N
el corso del 2005 quando il Consiglio Direttivo di ASFOR decise di
avviare una revisione della mission di ASFOR uno dei punti centrali e
strategici fu identificare un nuovo processo che garantisse un rinnovato
valore al Sistema della Formazione Manageriale italiana,in una dimensione
di reale competitività in un contesto ormai globalizzato.
In tale ottica ritenni fondamentale proporre il cambio di denominazione
passando da Associazione per la Formazione alla Direzione Aziendale- che
aveva un forte legame alla tradizione e alle ragioni che nel 1971 a Torino con
il sostegno della Fondazione Agnelli portarono alla costituzione della nostra
associazione - a Associazione Italiana per la Formazione Manageriale
raccogliendo le istanze che il Sistema economico italiano, le imprese, ma
anche la parte più evoluta delle istituzioni pubbliche già allora esprimevano.
Una proposta di evoluzione, ampiamente condivisa dall’Assemblea Generale
dei soci in una storica seduta del 14 dicembre 2005, un cambiamento che
ritenemmo strategico per garantire una nuova stagione di rafforzamento e di
sviluppo all’associazione quale “laboratorio di innovazione” e centro di
riferimento della cultura manageriale italiana, nella logica di un’efficace
contaminazione dei Sistemi Domanda e Offerta, Pubblico e Privato, con una
reale valorizzazione delle alte professionalità che operano nel nostro segmento.
La sfida, peraltro ancora aperta, è quella di contribuire a realizzare un
sistema fortemente aperto e capace di connettersi e confrontarsi con le più
avanzate reti internazionali della Management Education, rafforzando i
collegamenti internazionali con EFMD European foundation for
management development, AACSB The Association to Advance Collegiates
Schools of Business, CEEMAN Central and East European Management
Development Associatio, EQUAL European Qualità Link.
In ambito interno la strategia che si decise di intraprendere fu quella di
consolidare il collegamento con il Sistema della Domanda (privata e
pubblica) attraverso un rafforzamento delle attività di ricerca, attività che ha
portato:
– alla costituzione dell’Osservatorio Learning sulla Formazione
Manageriale nei Grandi gruppi, con un’indagine annuale che è arrivata
alla terza edizione, e ora alla realizzazione di un specifico focus sui
bisogni formativi della Piccola e Media Impresa;
– alla partecipazione dell’associazione a diversi Tavoli Istituzionali di
confronto con le Istituzioni della Pubblica Amministrazione, attraverso il
lavoro di uno specifico gruppo di ricerca e la definizione di importanti
accordi di collaborazione, quali il Tavolo Istituzionale sull’e-learning e il
recente accordo con la Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla
costituzione di un gruppo di lavoro congiunto al fine di verificare “le
potenzialità della modalità formativa in elearning nell’ambito della
specifica realtà della Presidenza del Consiglio” e della PA;
– allo sviluppo delle attività di Accreditamento dei programmi Master che,
in linea con le esperienze internazionali, si sono evolute dalla formazione
manageriale post laurea alla formazione executive, con una capacità di
indicare i percorsi di qualità anche per le iniziative che avvalendosi del
supporto ICT realizzano percorsi e-learning executive Master, con una
forte attenzione a quanto avviene nel mondo dei “corporate master”.
3
EDITORIALE
Queste e altre scelte hanno dato una notevole spinta alla nostra volontà di
favorire una diretta partecipazione di rappresentanti delle Imprese e della PA
nel laboratorio di ricerca e innovazione sui temi della management education
che ASFOR ha inteso realizzare.
Risulta molto significativo che dopo aver presentato il “Manifesto ASFOR
per il rilancio della Formazione Manageriale e il rafforzamento delle
strutture di alta formazione” la nostra Associazione abbia quest’anno deciso
per la prima volta di conferire il “Premio ASFOR alla Carriera” ad un
imprenditore, Alberto Bombassei, che ha da sempre creduto e investito sulla
formazione professionale e manageriale come grande strumento per generare
innovazione e per competere sui mercati internazionali.
Ritengo importante sottolineare l’importanza del riconoscimento che
abbiamo deciso di conferire alla memoria di due protagonisti e pionieri della
formazione manageriale italiana, i compianti Franco Angeli e Franco
D’Egidio, che con la loro azione nei rispettivi campi hanno ben rappresentato
lo spirito e l’identità culturale che ASFOR vuole consolidare: una formazione
manageriale capace di affrontare la competizione internazionale e quindi
essere leva strategica della competitività del nostro Paese, con una forte
spinta a rappresentare le potenzialità della nostra cultura e del nostro
sistema economico attraverso un processo di valorizzazione del Capitale
Umano.
Infine, ASFOR ha ritenuto di conferire un Premio speciale ai Past President:
Pierluigi Bontadini, Elio Borgonovi, Franco Giacomazzi, Mario Lacchi e
Claudio Poli, quale riconoscimento per l’azione svolta nelle diverse fasi che
hanno caratterizzato la storia e l’odierna azione della nostra Associazione.
Un grazie a tutti gli illustri colleghi e relatori che hanno concorso
nell’elaborazione dei diversi contenuti che con questo numero presentiamo, e
sono sicuro che potremo con il contributo dei diversi attori consolidare il
nostro progetto di crescita attraverso lo sviluppo delle conoscenze e delle
competenze manageriali.
S E Z I O N E 1 – AT T I
DEL
CONVEGNO A S F O R
SEZIONE 1
Atti e contributi di riflessione tratti dalla
VI GIORNATA DELLA FORMAZIONE MANAGERIALE ASFOR
FORMAZIONE MANAGERIALE:
UN PROGETTO PER LO SVILUPPO DEL PAESE
(Triennale di Milano, Salone d’Onore – Milano, 19 febbraio 2008)
risolutori del concetto di design fino a pochi anni fa, è sempre
più necessario oggi contemplare una dimensione etica. E,
sopra tutte, una dimensione legata alla educazione al progetto,
dunque alla formazione.
Vi auguro buon lavoro.
Apertura lavori
Saluto di benvenuto
Davide Rampello,
Presidente della Triennale di Milano
L’impegno di ASFOR per un progetto
di formazione manageriale
a sostegno dello sviluppo
È un piacere per la Triennale ospitare l’incontro ASFOR: l’occasione, anche per la nostra istituzione, di fare alcune valutazioni sul tema della formazione, un argomento estremamente
attuale all’interno della cultura del progetto, del design e delle
arti applicate.
Personalmente, al mio incarico in Triennale affianco da anni le
docenze universitarie: il vero motivo che mi spinge a questo
impegno è l’arricchimento che ne traggo in termini di relazione con gli studenti. Considero questa relazione parte integrante della formazione e ritengo che nel tipo di rapporto che
viene a instaurarsi con gli allievi risieda la base per la valorizzazione dei talenti individuali. Questi ultimi molto spesso non
vengono in superficie anche se stimolati da docenti di eccellenza proprio a causa della debolezza di tale relazione.
Lavorando con gli alunni, ma anche con i collaboratori, mi
rendo però conto che la concettualizzazione necessaria alla
trasmissione delle idee e delle pratiche ha delle profonde affinità con il tema della cultura del progetto. E che cos’è la cultura del progetto se non un metodo, che voi ben conoscete,
esegetico e maieutico, in grado di sviscerare un problema individuandone le origini, stabilendo una filiera di operazioni
nelle quali risolvere differenti compiti, e giungere infine a una
conoscenza nuova, a una visione altra delle cose, illuminante e
per questo risolutiva?
Ecco quindi che il vostro mondo della formazione ha delle
forti affinità con quello del design, che qui in Triennale ha la
propria casa. Da dicembre 2007 in Triennale ha sede il
Triennale Design Museum, un museo nuovo che vuole raccontare il DNA delle imprese italiane attraverso il racconto
della cultura del progetto. Non a caso il museo risponde a una
domanda: che cos’è il design italiano? Esso trae le radici dalla
cultura latina, dalla cultura direttamente legata al culto della
casa, si pensi a Pompei, sia nella struttura architettonica che
nella rappresentazione di se stessa attraverso le pitture.
Appare chiaro quindi che la cultura del progetto, o meglio il
design, sia un modo di vedere e di affrontare la realtà, uno
strumento, applicabile in modo ottimale anche al tema formativo. E che se si decide di attribuire al progetto il rango di cultura significa che tutti gli ambiti della sua conoscenza devono
essere contemplati da chi progetta. Ad esempio, oltre alla
dimensione estetica e funzionale, i due parametri considerati
Luigi Pieraccioni,
Presidente ASFOR
Innanzitutto vi ringrazio, siete così numerosi come pensavamo che foste, c’è una conferma di tutte le registrazioni a
questa nostra Giornata.
Giornata che ha cadenza annuale, ma certamente non ha sempre lo stesso significato.
Alla fine però riproponiamo un significato in qualche modo
scontato “La formazione manageriale: un progetto per lo sviluppo del Paese”, in un momento in cui certamente i temi della
competitività, i temi dello sviluppo e dell’innovazione sono
all’ordine del giorno e certamente la formazione dovrebbe
entrare in campo, dico dovrebbe entrare in campo, in quanto
non possiamo trarne un consuntivo del tutto roseo.
Non lo possiamo fare, tenendo conto da una parte dell’opera
di ricerca continua che ASFOR realizza per verificare lo stato
dell’arte: ad es. la ricerca sull’attività dei soci, che non rappresentano certo tutto il mondo della formazione manageriale,
ma una parte importante e qualificata della formazione manageriale; l’Osservatorio Learning Internazionale, le ricerche sul
grado di soddisfazione da parte dell’utenza e così via.
Tutto ciò ci fa rilevare che sono in campo alcune modifiche che
riguardano sia la struttura dell’offerta, sia la domanda di formazione manageriale, e naturalmente un’associazione che ha vissuto tanti anni (è nata nel 1971), a cominciare dall’education dei
giovani e dalla formazione manageriale nelle imprese, deve
verificare che vi sono situazioni di modifica positive sia dal
punto di vista della domanda che dal punto di vista dell’offerta,
ma che non è che la situazione sia tale da poter affermare che il
sistema Italia consideri la formazione manageriale veramente
come un progetto per lo sviluppo del Paese.
Non vorrei essere del tutto negativo, vi sono cose che stanno
andando sicuramente meglio. Per esempio il maggior rigore
con cui l’offerta di formazione manageriale si riferisce alla
domanda dell’utenza, il collegamento della richiesta di formazione aziendale con le linee di direzione aziendale, alcune
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modifiche nelle metodologie della formazione e nei criteri di
valutazione della formazione ecc.
I soci ASFOR non è che facciano solo formazione per le
imprese, fanno anche largamente formazione per la PA, tanto
che già dal primo Rapporto sulla formazione per la Pubblica
Amministrazione di parecchi anni fa, si è incluso un capitolo
ASFOR in quanto i Soci rappresentavano una notevole quota
della formazione per la PA. La formazione per la PA sta stentando, molto stentando sia dal punto di vista dei numeri, sia
dal punto di vista delle strategie, rispetto anche a degli obiettivi che in fondo si era posta.
Per quanto riguarda il campo dei Master siamo di fronte a una
situazione in cui ASFOR ha un Processo di Accreditamento di
alta qualità fortemente apprezzato che però si attua su Master
che vengono realizzati dai Soci ASFOR che sono pochi,
rispetto alla miriade dei Master che si realizzano.
Per quanto ci riguarda siamo molto attenti non solo alla qualità
dei nostri Master ma a favorirne il processo di internazionalizzazione, questo diciamo è un compito che ASFOR affronta e
di questo ringrazio il Vice Presidente Nanut che vedo in sala, e
che si occupa fortemente di questi aspetti con la consapevolezza che il sistema della formazione manageriale, per le giovani leve, deve in ogni caso adeguarsi agli standard qualitativi
osservati a livello internazionale.
Io non vorrei aggiungere altro. Mi auguro che la giornata
densa di contenuti e di presenze autorevoli nel trattare i temi
che abbiamo programmato, abbia il migliore svolgimento.
Con ciò, do l’avvio alla prima delle tre sessioni.
Prima Sessione
Formazione di accompagnamento alle strategie dell’impresa
parla di questo tema, ma rimane un punto critico, quello di
capire quale formazione manageriale davvero serva per gli
individui e per i collettivi in modo che questa sia funzionale,
sia collegata, sia rilevante, per la realizzazione dei programmi
di impresa.
Il collegamento ai sistemi di valutazione e sviluppo del management rimane debole, talvolta perché sono deboli e incompleti i sistemi di valutazione, quindi si valuta poco come
vedremo la leadership, tema che invece all’estero è molto più
forte e sentito. I sistemi di valutazione delle performance difficilmente danno input sufficienti per decidere quale formazione manageriale serva.
Talvolta la formazione non è parte integrante e cogente del
piano di sviluppo, dico talvolta perché naturalmente questo
non vale per tutte le imprese coinvolte fino ad ora, ci sono
alcuni esempi eccellenti in tal senso.
La formazione è ancora quindi un optional, non è parte integrante dei piani di sviluppo del management, o quanto meno
non sempre lo è.
C’è una formazione manageriale a catalogo, molto diffusa,
ogni azienda ha uno sviluppo di cataloghi che poi vengono
aggiornati in maniera costante, su base annuale prevalentemente, e che sono considerati utili per responsabilizzare le
persone a scegliere i propri percorsi formativi e quindi a farsi
protagonisti del proprio sviluppo. La realtà è che però non
sempre questo obiettivo i cataloghi aziendali riescono a raggiungerlo.
Ci sono programmi istituzionali ricorrenti, quasi sempre per
neo inseriti e per talenti, per dirigenti in misura minore. Non
tutte le aziende hanno dei programmi istituzionali per dirigenti
neo nominati, mentre praticamente tutte hanno programmi per
neo inseriti e per talenti, cioè per una percentuale ristretta di
persone ad elevato potenziale.
C’è una sostanziale assenza di programmi stabili e modulari
per lo sviluppo delle famiglie professionali. La cosa che ci ha
colpito è che le famiglie professionali sono carenti di programmi stabili per lo sviluppo delle proprie competenze
Relazione introduttiva del Chairman
Marco Vergeat,
Consigliere ASFOR e Responsabile Area Corporate Learning
Buongiorno a tutti.
Partiamo con la prima sessione della nostra giornata che è la
“Formazione di accompagnamento alle strategie di impresa”,
quindi la formazione manageriale, il suo collegamento alle
strategie e ai programmi di impresa, come si crea, come si
mantiene, quale formazione può dare una mano allo sviluppo
sostenibile delle imprese, come la formazione manageriale
può aiutare i sistemi di sviluppo locali e territoriali.
Sono relatori di questa sessione tre persone note: Arnaldo
Camuffo, Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale
dell’Università Bocconi, Silvano Falocco che è un esperto di
ambiente ed è amministratore delegato di Ecosistemi SDI
Group ed Enzo Rullani che tutti conosciamo, Professore di
Economia della Conoscenza della Venice International
University.
Prima di lasciare la parola a loro, voglio però proporvi una
sintesi dei primi risultati dei nostri Focus Group 2008, una
ricerca che abbiamo iniziato a fare lo scorso anno e che coinvolge ogni anno una trentina di aziende.
Quest’anno abbiamo realizzato 3 focus group, a Milano,
Roma e Torino e stono state coinvolte 19 aziende e ci rimangono da fare alcune interviste di approfondimento per completare la ricerca medesima.
Volevo darvi comunque i primi risultati in quanto credo sia
già interessante vedere cosa è emerso e perché credo possano
alzare qualche palla ai relatori di questa sessione e ai relatori
che seguiranno.
Vediamo cosa è emerso innanzitutto sul collegamento della
formazione alle strategie di impresa. Per le aziende che hanno
partecipato, l’analisi dei bisogni è un elemento critico per la
definizione dei piani di formazione manageriale continua,
cioè la qualificazione della domanda. Sono tanti anni che si
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CONVEGNO A S F O R
decisa, se no diciamo non si è ancora posta la questione.
Naturalmente su questi temi sono privilegiate soluzioni molto
concrete relativamente alla formazione, quindi si fanno corsi
in lingua inglese, si fanno aule miste, si creano team interfunzionali internazionali su progetti e iniziative di business, si
fanno attività esperienziali per favorire l’integrazione di team
internazionali e quindi per favorire il team building di team
internazionali.
Come vediamo c’è un po’ di divario tra il nostro approccio,
quello che è emerso non dico da tutte ma dalla maggior parte
delle aziende presenti nel nostro campione e quella che invece
è la sensibilità al tema della leadership che si registra in giro
per il mondo.
Una ricerca di Corporate University Xchange, ci dice che
l’81% delle aziende coinvolte nella ricerca, più di 200 aziende
globali, hanno significative preoccupazioni relativamente alla
loro capacità di supportare iniziative di crescita e quindi di
avere una leadership sufficientemente forte per supportare iniziative di crescita. Il 69% sostiene di sentire come una forte
sfida lo sviluppare leadership di talento richieste per affrontare i mercati emergenti e l’89% sostiene di avere significative
sfide da affrontare per identificare rapidamente e anticipatamente gli alti potenziali in azienda. Quindi tema quello della
leadership e dei talenti molto sentito quasi con un senso di
urgenza che devo dire noi abbiamo registrato un pochino
meno, ripeto non in tutte le nostre aziende ma in una parte
cospicua di esse.
L’innovazione è una necessità forte, è un fattore strategico di
sopravvivenza nel medio e lungo periodo, riguarda un po’
tutto: il prodotto, il marketing, la distribuzione, i processi di
lavoro, vi è la consapevolezza che la formazione fa poco e
dovrebbe fare di più per organizzarla, per promuoverla e per
facilitarla. L’innovazione risulta essere nelle nostre aziende
troppo spesso frutto di un’iniziativa individuale, fatica ad
evolvere e a diventare un processo più organizzato. Esiste certamente qualche best practice che riguarda il binomio formazione e innovazione: abbiamo visto nel nostro campione
Ferrero, la stessa Brembo, che costituiscono senz’altro delle
best practices, però diciamo che queste esperienze non riguardano la maggioranza delle aziende.
Il tema della sostenibilità e responsabilità deve ancora maturare, è spesso considerato una tematica di moda, salvo che per
le aziende le cui attività hanno un fortissimo ed evidente
impatto ambientale, nel nostro campione c’era ad esempio
Italcementi che su questo tema fa parecchio ma perché evidentemente ha un impatto ambientale molto forte.
La formazione sulla responsabilità sociale normalmente è una
formazione progettata a livello corporate quindi ancora un
tema istituzionale.
L’eLearning non è centrale oggi nelle strategie di sviluppo e
innovazione della formazione e, se inteso come corsi web
based, è un fenomeno ormai abbastanza consolidato, va dal 5
al 20% delle attività formative. Soprattutto per le reti di vendita, vi è un’ampia disponibilità di cataloghi on line che però
non funzionano tanto, non sono molto utilizzati. Vi è un’ampia
e diffusa adozione di piattaforme tecnologiche ma soprattutto
per gestire il processo formativo, più che per erogare formazione.
La dimensione community e tecnologie web 2.0 sono ancora
diciamo di là da venire, cioè solo alcune aziende molto innovative, con una competenza tecnologica molto spinta, molto
all’interno, cioè ricorrenti, modulari, siamo molto in una
logica di programmi a commessa, programmi a progetto, ma
lo sviluppo sistematico delle famiglie professionali non si
avvale di curricula stabili.
In qualche caso i programmi di formazione sono legati
all’adozione di metodologie Six Sigma, Lean Manufacturing,
quindi diciamo scelte su questi temi che l’azienda ha fatto e
che poi determinano programmi formativi.
Il committement dei vertici rimane più vivace verso attività
formative che sono o a supporto dei continui cambiamenti o a
supporto dei risultati di business. Vi è una minore sensibilità
dei vertici aziendali intorno ai programmi per lo sviluppo
manageriale, per lo sviluppo delle persone che quindi hanno
obiettivi di medio-lungo periodo.
Prevale quindi un approccio contingente, formazione a progetto, formazione a campagna eccetera, rispetto a uno sviluppo di core curricula sistematici, stabili per lo sviluppo del
management nel tempo. Questo è anche legato evidentemente
alla turbolenza e ai cambiamenti rapidi che le aziende hanno.
Abbiamo esplorato il tema della leadership. Il tema della leadership come fattore di successo del business e in quanto risultato di un sistema integrato di azioni, di valutazione, gestione
e formazione non è ancora una priorità. Solo alcune aziende
multinazionali e Fiat hanno un modello di leadership codificato, formalizzato, esplicito, in due casi la valutazione della
leadership influisce sulla carriera e sulla retribuzione variabile, non per gli altri che sono stati coinvolti. Per la maggior
parte dei partecipanti la leadership è riferita principalmente
alla capacità di gestire le persone, quindi lead people, meno
lead change e lead business, ed è considerata in fondo una
delle capacità manageriali oggetto di formazione. Quindi qui
c’è una differenza sostanziale rispetto all’estero, rispetto
all’Europa, agli Stati Uniti, in cui la leadership è un po’ l’integrazione di tantissime cose che riguardano la capacità manageriale, riguardano la competenza funzionale, la visione del
business. Qui da noi c’è un po’ la tendenza a considerarla una
capacità manageriale, una skill.
La maggior parte dei partecipanti attua programmi di talent
management, le modalità di individuazione dei talenti si
basano su valutazioni tradizionali di prestazione potenziale e
vi sono numerosi programmi per i talenti. Abbiamo trovato
una forte sensibilità a questo tema, collegamenti con business
school, esperienze di outdoor, learning tour, coaching e varie
modalità, il tema dei talenti è sentito un po’ da tutti.
L’internazionalità è l’interculturalità sono temi rilevanti per le
aziende che competono globalmente, molto meno per chi questa dimensione globale ancora non ce l’ha o pensa di non
averla.
L’internazionalità e l’interculturalità sono concetti che hanno
significati plurimi, vuol dire saper lavorare con team internazionali, vuol dire conoscere i mercati del mondo, i mercati
locali, le culture degli altri Paesi, vuol dire quindi tante cose,
oltre naturalmente conoscere bene l’inglese, quindi poter dialogare facilmente nel mondo.
Il campione presenta una forte divaricazione: ci sono aziende
con politiche e soluzioni molto avanzate e sono molto determinate nello spingere all’internazionalizzazione e ci sono
aziende che invece registrano un forte ritardo o addirittura una
scarsa consapevolezza e sensibilità sul tema. Non ci sono
situazioni intermedie, c’è una forte divaricazione: quando
un’azienda si impegna su questo fronte lo fa in maniera
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CONVEGNO A S F O R
più rilevante è che il contesto organizzativo non può non
essere anche e soprattutto un contesto formativo (Lanzara e
Ciborra, 1999), una sorta di ecosistema che, riprendendo l’insegnamento di Penrose (1959) deve essere in grado di generare le risorse intellettuali necessarie ad alimentare la propria
sopravvivenza sul mercato, la propria crescita e i propri successi. Questa giustapposizione tra contesto organizzativo e
contesto formativo si realizza solo nella misura in cui le
aziende e più in particolare le imprese riescono a inserire nella
propria mission, tra i propri obiettivi, lo sviluppo del capitale
intellettuale e quindi del capitale umano e delle competenze.
Lavoro e formazione diventano i lati di una stessa medaglia,
devono essere inscindibilmente frammisti e commisti.
Questo breve intervento mira ad articolare 3 aspetti di connessione tra business e training, illustrandoli attraverso la presentazione di alcuni esempi che possono essere considerati delle
best practices, naturalmente con tutte le cautele del caso, nel
senso che si tratta di realtà significativamente diverse tra loro
(e a fortiori da quelle italiane) e che hanno peraltro al loro
interno, come in tutte le imprese, contraddizioni, difficoltà di
funzionamento e problematiche di applicazione.
forte, hanno piena consapevolezza di queste potenzialità e
sfruttano le potenzialità relative a questo tipo di tecnologie,
ma il rapporto con la formazione e l’integrazione con la formazione è ancora molto acerbo, è ancora molto immaturo.
Bene con questo concludo e lascio la parola ai relatori.
Il rapporto strategia-competitività,
formazione nelle “Corporate School
of Management”
Arnaldo Camuffo,
Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale Università
Bocconi
Imprese come General Electric, IBM e Procter & Gamble
derivano circa il 70% del loro valore di mercato da asset intangibili, e buona parte di questo valore è costituita dal capitale
umano (Creelman e Ulrich, 2007). Le modalità con cui il capitale umano è sviluppato, e in particolare le attività formative,
costituiscono quindi un elemento fondamentale di competitività.
Sempre più importante è l’esplicitazione del nesso tra risultati
di business e investimenti formativi, nesso che non va tanto
ricercato ex-post, attraverso la sofisticazione delle metriche,
l’arricchimento dei reporting sul capitale umano presenti nei
bilanci di sostenibilità, o l’articolazione di parametri spesso
insignificanti come le ore di formazione per addetto, quanto
che va progettato e sperimentato ex-ante, esplicitando gli
obiettivi che si intendono raggiungere e le relative misure, e
soprattutto i nessi di causa-effetto tra le politiche di sviluppo, le
azioni e tali risultati (Bassi e McMurrer, 2007; Beatty, Huselid
e Schneier, 2003).
Rispetto al passato la nuova economia della conoscenza
(Thurow, 2002) trasforma in modo significativo non solo le
professionalità richieste dal mercato del lavoro, ma anche e
soprattutto i meccanismi sociali che presiedono ai processi di
apprendimento e di produzione e di trasferimento della conoscenza. Le risposte classiche che confinavano l’apprendimento in luoghi e tempi separati rispetto ai luoghi e ai tempi di
lavoro non sono più sufficienti; il bisogno di sapere non può
più essere soddisfatto con esperienze di apprendimento saltuarie, che interrompono per periodi più o meno lunghi la vita
lavorativa. Per aggiornare e sviluppare le competenze
(Camuffo, 2000), infatti, c’è bisogno di un apprendimento
continuo e ricorrente, che non riguardi solo l’operatività e la
relazionalità, ma anche le specificità spazio temporali del contesto.
Conseguentemente, la formazione manageriale deve essere
capillarmente distribuita nel tempo di lavoro del management
e immersa nei luoghi di produzione (Rullani in Costa e
Rullani, 1999). Solo così, tra l’altro, essa è efficace, in quanto
esperienza, attività che davvero trasforma e migliora le abilità
e i comportamenti.
Diventa, dunque, sempre più una necessità co-locare i processi di formazione e quelli operativi, ponendo termine alla
dicotomia fare-imparare, e tornando a interpretare il lavoro
non solo come luogo e tempo di erogazione delle prestazioni,
ma anche come luogo e tempo dell’apprendimento.
In questo senso, dal punto di vista aziendale la conseguenza
L’allineamento tra training e strategia
La necessità di allineare il training da un lato alla strategia ma
poi soprattutto agli altri sistemi di HR, è uno dei temi di maggior
rilievo anche nella letteratura internazionale (Becker, Huselid,
Pickus, e Spratt, 1997; Becker, Huselid e Ulrich, 2001).
La coerenza esterna delle pratiche HR con la strategia e quella
interna tra le pratiche HR, la complementarità tra esse, è un
aspetto fondamentale, che consente di conseguire sinergie e di
creare un’architettura HR unica e difficilmente imitabile.
Certo, è necessaria l’eccellenza operativa nella formazione.
Le imprese italiane spendono poco in formazione (quasi nessuno raggiunge il 2.0% della massa salariale) e dovrebbero
spendere meglio, progettando e implementando in modo più
efficace ed efficiente i processi formativi in tutte le loro fasi,
Tuttavia, il problema non è tanto quanto si spende ma se si
spende nella direzione giusta e se questo viene fatto in coerenza con quanto si fa in termini di recruiting, in termini di
compensation, in termini di performance management. Si può
spendere poco ma si possono ottenere risultati straordinari
perché poi si mettono a sistema, sfruttando le complementarità, le altre scelte. Nessun documento ufficiale di Toyota
riporta esattamente quante ore o giornate di formazione per
addetto vengono erogate, ma ciò lungi dall’essere la prova di
scarsa attenzione o sottoinvestimento in formazione, sta a
indicare che la formazione, anche quella manageriale, è intimamente legata ai processi operativi, è una componente
essenziale di essi e in quanto tale non è isolabile.
CISCO è forse il caso più emblematico di come la strategia di
training è andata ad asservire un profondo riorientamento strategico in coerenza con la trasformazione dell’architettura di
HR. CISCO System crebbe incredibilmente negli anni ’90, un
vero miracolo della net economy. Tra il ’95 e il ’99 sono cresciuti in modo drammatico, un’azienda di grandissimo successo, capace di raggiungere una capitalizzazione in borsa
incredibile, in particolare attraverso processi di acquisizione
(nel giro di 4-5 anni hanno fatto una quarantina di acquisizioni
che li hanno portati ad avere una capitalizzazione in borsa
superiore a quella di Microsoft).
La strategia di gestione delle risorse umane che aveva suppor8
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DEL
tra, da un business all’altro, in modo da poter andare dal
cliente a fare cross selling e offrire diciamo così CISCO in
quanto tale. L’offerta formativa di CISCO University è indirizzata a una popolazione di 7000 persone con 330 vicepresidents, 2100 direttori e 4600 manager, ed è un’offerta formativa proprio finalizzata ad alimentare una leadership pipeline
in una logica più push che pull.
Naturalmente questo in coerenza e in un’ottica di autosviluppo con i sistemi di gestione delle risorse umane quindi per
esempio legate ad un’attività di profiling di tutte le competenze dei collaboratori, ad un’attività di performance management non svolta annualmente, non fatta semestralmente, ma
fatta sempre, ogni giorno, sempre aperta e sempre in corso. E
quindi poi con la CISCO University che sulla base di quello
schema basato prevalentemente sull’attività esperienzale
costruisce i programmi formativi.
tato questa strategia era una strategia di tipo buy, in particolare
basata sull’acquisizione, attraverso le imprese comprate, non
soltanto dei clienti e delle tecnologie ma anche del knowledge
che era incorporato nelle persone che in queste lavoravano
(gran parte di queste erano localizzate in Silicon Valley). A
quell’epoca CISCO raddoppiava l’organico ogni anno con
1000 inserimenti a trimestre, e in un contesto dove il tasso di
turnover era il 30% (Silicon Valley) CISCO riusciva a contenerlo sotto il 10%.
L’enfasi era tutta posta sul reclutamento e sulla selezione, e in
particolare sull’acquisizione delle risorse esterne più brillanti,
non quelle presenti sul mercato, ma quelle che lavoravano
nelle aziende concorrenti, con un utilizzo massiccio del web in
questo senso, e con tutta una serie di programmi a supporto
(ÒReilly e Pfeffer, 2002).
Dopo il 2000 questo modello andò in crisi, insieme alla net
economy, e CISCO attraversò una fase drammatica di ristrutturazione, licenziando per la prima volta 8500 persone, e sperimentando una flessione del titolo del 60% in valore, accumulando magazzini di prodotti invenduti.
A quel punto la strategia cambiò, frutto di un profondo ripensamento strategico: da una strategia basata esclusivamente
sull’innovazione tecnologica di prodotto e sulla copertura del
mercato attraverso l’aumento della quota, si è passati invece
ad una strategia di presidio del cliente, di customer intimacy e
di “presidio della wallet share” di alcuni grossi clienti.
In corrispondenza a questo cambiò completamente anche la
strategia di gestione delle risorse umane e la strategia di training: da una strategia basata sul buy a una strategia invece
basata sul build. Quindi non più acquisire le risorse esterne ma
muoversi verso una direzione di costruire, attraverso un
sistema integrato di pratiche di gestione, risorse umane, una
strategia di HR profondamente basata sulla valorizzazione dei
talenti interni e sullo sviluppo della leadership (Chatman,
ÒReilly e Chang, 2005).
In particolare, questa strategia si basò su un’innovazione profonda dal punto di vista della concezione di che cosa è training,
di cosa è apprendimento, secondo lo schema delle tre “e” che
dice sostanzialmente questo: l’apprendimento si fa per il 70%
con l’esperienza, per il 20% con l’esposizione e per il 10% solo
attraverso l’education. Quindi l’investimento in training, e
tutta un’attività di costruzione di programmi formativi che poi
sfociò nella costituzione di CISCO University, furono ridisegnate in modo integrato e coerente con gli altri sistemi HR.
Anche il modo con cui fu concepita CISCO University fu innovativo. CISCO University non è un edificio, non è un palazzo,
non è un’azienda, non è un’istituzione, ma è un’iniziativa. È un
modo di pensare, è un insieme di progetti, è un fascio di attività
che vengono costruite al servizio del management e sono
ovviamente esse stesse basate, data la natura del business, sulle
tecnologie di rete. Una parte rilevante dei programmi è destinata alla costruzione della leadership interna in modo tale che
le risorse che venivano in precedenza acquisite a caro prezzo
sul mercato, adesso potessero essere costruite internamente e
costruite internamente per asservire la strategia.
In particolare CISCO aveva riorientato la strategia nell’ottica
di fare molto cross selling, nell’ottica di ampliare l’offerta di
prodotti che venivano appunto offerti ai clienti, nell’ambito di
costruire e capire i bisogni della clientela e quindi era necessario che le persone che venivano reclutate seguissero dei percorsi anche organizzativi di passaggio da una funzione all’al-
La governance dei processi di apprendimento
All’interno di molte imprese, il training viene considerato “un
affare” dell’HR, in cui il management di linea è, se va bene, un
committente/cliente. Ma per i motivi di cui sopra, il training
non è un affare dell’HR, bisogna costruire un sistema di
governance interno che consenta di integrarlo rispetto alla
strategia, all’assetto organizzativo e agli altri sistemi di HR.
L’efficacia della formazione dipende quindi non solo dall’eccellenza operativa dei processi formativi, ma anche dal
modello di governance che connette i diversi attori/stakeholders. In tal senso, Mars, attraverso Mars University, non solo
ha sperimentato l’applicazione delle logiche lean al processo
formativo, ma ha articolato un sistema di connessione tra learners, managers ed educators, capace di assicurare l’allineamento cui si faceva riferimento in precedenza. Tale modello,
definito the learning flow model, è rappresentato in Figura 1.
Anche Caterpillar è una esperienza particolarmente interessante di governance dei processi di apprendimento formativi
interni. Caterpillar University fu fondata nel 2001. La struttura
organizzativa della corporate university è per colleges interni,
quindi risponde al vicepresident delle Human Resources, ma
3-way Learning Flow
Connecting Educators, Managers, and Learners
Business Learning Solutions
Business Objectives
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Educator
Results
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DEL
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fuel efficient. Essa inoltre subisce gradi di corrosione inferiori
all’alluminio, consentendo una maggiore umidificazione dalla
cabina, maggiore comfort nell’abitacolo. Insomma, un’innovazione epocale dal punto di vista della tecnologia di prodotto.
Cosa vuol dire questo, dal punto di vista delle risorse e delle
competenze e delle capacità che si devono avere. Nel 20032004, in avvio al progetto Dreamliner, Boeing si rese conto
che dopo aver progettato e prodotto aeroplani in metallo per
100 anni, le conoscenze e le abilità dei propri ingegneri non
erano adeguate al nuovo progetto.
Era necessaria una rapida transizione da un sistema di conoscenze tutto quanto orientato a una tecnologia di metalli a un
sistema di conoscenze totalmente orientato alla tecnologia dei
compositi.
La soluzione fu quella di costruire simultaneamente, mentre si
avviava la fase di costruzione e di progettazione del 787, un
insieme di programmi formativi che “costruissero in parallelo” gli ingegneri in grado di progettare e produrre il 787.
Così si procedette a progettare, insieme all’università di
Washington, tre programmi, tre certificate programs in Modern
Aircraft Structure, in Aircraft Composite Structural Analysis
and Design e in Aircraft Composite Manufacturing, Tooling
and Repair.
La governance di questo progetto di alleanza con l’università
di Washington è complessa e coinvolge docenti della
University of Washington, manager di Boeing e della Federal
Aviation Autorithy che è un’autorità molto importante negli
Stati Uniti. Tutte le parti siedono al tavolo del Board, hanno
responsabilità e partecipano agli oneri dell’iniziativa, oltre che
ai ritorni di questo investimento.
È un caso interessante di come, se si vuole realizzare un’innovazione significativa, epocale dal punto di vista del prodotto, è
necessario ragionare con tempi e modalità adeguate dal punto
di vista del training.
Gestire le risorse umane nel contesto globale è un processo
reso complesso dalle differenze interculturali derivanti dal
fatto di operare in Paesi diversi, dai diversi assetti istituzionali
e contrattuali in cui è necessario operare, dalle diverse modalità di funzionamento dei mercati del lavoro locali.
Per affrontare questa complessità le imprese necessitano di
leader capaci di guidare e innovare, e devono assicurarsi,
senza fidarsi troppo del mercato come meccanismo allocativo,
di alimentare una leadership pipeline interna adeguata alle
sfide che intendono affrontare. Dati recenti pubblicati su
Harvard Business Review mostrano che non solo le imprese
che sono “leaders machines” sono anche “profit machines”,
ottenendo risultati superiori alle medie di settore, ma che
alcune di queste imprese sono delle leadership brands, “le
scuole manageriali” per quel settore, nel senso che forniscono
leaders alle altre aziende (Ulrich e Smallwood, 2007).
Di qui la necessità di concentrare gli sforzi sull’identificazione dei tratti di leadership necessari a condurre le imprese in
questi contesti globali, costruendo esperienze organizzative,
strumenti di valutazione, piani di successione manageriale e
programmi finalizzati allo sviluppo della leadership che siano
in grado di selezionare e sviluppare leader globali.
Ma in questo campo le imprese da sole non sono in grado di
far tutto. Senza la collaborazione delle altre istituzioni, a
livello locale, nazionale e internazionale, questioni come la
sicurezza e la salute sul lavoro, la tutela delle diversità, o la
produzione e riproduzione della conoscenza e delle compe-
poi le attività formative interne sono organizzate come nelle
università, con dei colleges e ciascun college ha un dean,
quindi c’è un college per la leadership, uno per il marketing,
per il business improvement and business processes, per la
information technology, per il Six sigma, e c’è inoltre, sempre
all’interno di CatU, una parte di attività di raccordo con le
altre pratiche di gestione delle risorse umane.
Il concetto chiave all’interno di questa realtà è quello della
governance dei processi formativi, nel senso che questa realtà
viene governata da:
– un Board of Governors che include i massimi vertici aziendali, sostanzialmente i CEO e i Senior executive di tutti i business e le divisioni di Caterpillar. Tale Board approva tutti i
budget formativi, definisce le priorità e determina la policy.
– un Advisory Board, per ciascuno dei colleges indicati, che
funge da momento di raccolta e catalizzatore dei fabbisogni
formativi e come momento poi di allocazione delle risorse.
La parte interessante è che all’interno di questo Advisory
Board sono presenti, oltre che i dean dei colleges e i rappresentanti dell’HR, uomini di business, detti learning managers,
che svolgono la funzione fondamentale di integrare le conoscenze e le problematiche di business nei processi formativi. I
learning managers rispondono secondo una linea di doppia
autorità gerarchica, da un lato al Caterpillar University
Manager che è sostanzialmente quello che gestisce i programmi formativi e dall’altro all’HR della propria business
unit. I Caterpillar University Managers svolgono la funzione
di incanalare le esigenze formative locali e regionali. Ogni
Business Unit redige un proprio piano formativo e ogni piano
formativo viene poi consolidato (26 business units) in un
piano formativo aggregato a livello di impresa che è poi quello
che viene approvato e discusso, e la cui politica viene gestita
dal Board of Governors.
Le partnerships tra le istituzioni formative e strutture
di training aziendale
Come già accennato, il perseguimento dell’efficacia di un
intervento formativo, soprattutto per quanto attiene la capacità
di analizzare i fabbisogni formativi, il coordinamento con gli
altri sistemi HR e lo sviluppo di contenuti innovativi, pone il
problema del coinvolgimento, in termini di partecipazione e di
collaborazione, di una pluralità di attori. A tal proposito,
alcuni autori (Rullani in Costa e Rullani, 1999), auspicano la
costruzione di una rete tra i soggetti coinvolti nei processi formativi al fine di mettere il più possibile in comune le competenze specializzate disponibili e da incentivarne l’ulteriore
sviluppo. In quest’ottica, il rapporto con le università e i centri
di ricerca è fondamentale al fine di alimentare il capitale
umano aziendale. Ma come fare rete, come si utilizzano le
alleanze con l’università per asservire il training e la strategia?
Come evitare le incomprensioni, le distanze tipiche tra accademia e impresa? In questo campo è di particolare interesse il
caso Boeing.
Boeing recentemente ha realizzato un’innovazione per certi
versi epocale dal punto di vista della tecnologia di prodotto degli
aerei che è quella costituita dal progetto Dreamliner, il 787.
Il 787 sostanzialmente sarà il primo aereo di linea che risulterà
costituito di materiali non metallici e avrà una composizione
prevalente in fibra di carbonio e materiale composito.
La fusoliera interamente in carbonio consente un risparmio di
circa il 15-20% in termini di peso e quindi è particolarmente
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nomia, progetto, pianificazione, formazione), volto a qualificarli in modo diverso rispetto al passato, rischia di renderne
sempre più vago ed impreciso l’utilizzo.
Sostenibile sta per accettabile, sopportabile, desiderabile, preferibile, compatibile, a ridotto impatto ambientale, equilibrato, armonioso ed altro ancora.
La definizione condivisa di “sviluppo sostenibile” – uno sviluppo è sostenibile se «soddisfa i bisogni dell’attuale generazione, senza compromettere la possibilità delle generazioni
future di soddisfare i propri» (Il futuro di noi tutti – Rapporto
Brundtland WCED 1987) – sembra limitarsi a suggerire che lo
sviluppo è accettabile se non impoverisce il nostro futuro.
Oggi il tema della sostenibilità può essere considerato il fattore chiave dell’economia e della società futura: il Millennium
Ecosystem Assessment del 2005, ha rilevato come, negli ultimi
cinquanta anni, gli esseri umani abbiano modificato gli ecosistemi più rapidamente e profondamente che in qualsiasi altro
periodo della storia e che questi ultimi non riescano più a supportare, attraverso i “servizi” da essi forniti, il funzionamento
del sistema socio economico.
Al contrario abbiamo l’impressione che le civiltà umane,
diventate nel corso dei secoli sempre più complesse e tecnologicamente avanzate, non dipendano più dai sistemi naturali; si
tratta però di pericolose illusioni che non tengono conto degli
enormi benefici che la natura apporta al metabolismo socio
economico del nostro sistema di produzione e del modello di
benessere che abbiamo adottato.
Di fronte al degrado ambientale in corso, l’Unione Europea si
è proposta un repentino cambiamento di rotta, adottando
nuovi ed ambiziosi obiettivi e nuove strategie di intervento.
La definizione del “programma 20-20-20” – che si propone di
ridurre del 20 per cento le proprie emissioni di gas-serra entro
il 2020, realizzare almeno il 20 per cento di consumo di energia con fonti rinnovabili ed aumentare del 20 per cento l’efficienza energetica sempre entro tale data – è uno degli assi centrali del mutamento di rotta.
Il messaggio dell’Unione Europea è inequivocabile: basta con
le illusioni ed i rinvii, la ricreazione è finita ed è necessario
che ognuno faccia seriamente la sua parte. Saranno coinvolti
tutti i settori, dalla produzione energetica all’industria, dai trasporti fino alle abitazioni e all’edilizia, perché tutti contribuiscono alle emissioni di CO2.
Per l’Italia gli obiettivi saranno quelli di ridurre le emissioni
del 13% ed arrivare al 17% di fonti energetiche rinnovabili:
per raggiungerli, sarà necessario un investimento pari allo
0,66 del Pil. Qualora l’Italia non raggiungesse gli obiettivi
previsti si vedrebbe comminata una sanzione pari a circa 2
miliardi di euro.
Le riduzioni di gas serra fino ad ora ottenute in Europa (in Italia,
al contrario, al 2006 le emissioni di gas serra presentavano un
+12%) dovranno essere rafforzate dal sistema ETS (Emission
Trading System), ovvero il sistema di scambio di quote di emissioni tra imprese – che copre il 48% delle installazioni industriali europee ed include oltre il 50% delle emissioni.
Altri Paesi europei stanno innalzando la priorità della questione climatica con atti importanti; ad esempio la Gran
Bretagna ha definito obiettivi ambiziosi di riduzione dei gas
climalteranti (-26% al 2020, -60% al 2050) e la verifica quinquennale dei risultati, da effettuare indipendentemente dal
governo in carica. La Germania, lo scorso dicembre, ha varato
un pacchetto di diciotto misure legislative che dovrebbero
tenze, sono difficili da affrontare. Serve una nuova stagione di
alleanze con le istituzioni di ricerca e formative, e nuove relazioni con gli altri attori sul mercato del lavoro.
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La formazione per il “sistema”
dei soggetti a supporto
dell’internazionalizzazione
e dello sviluppo sostenibile
Silvano Falocco,
Membro del gruppo di esperti sulla politica integrata di prodotto,
Ministero dell’Ambiente, Amministratore Delegato Ecosistemi –
SDI Group
La sostenibilità, come emerge dal recente questionario
ASFOR, viene normalmente interpretata come un argomento
à la mode, oppure come un tema che riguarda quei settori che
presentano rilevanti criticità in campo ambientale.
Inoltre l’esplosione dell’uso del termine “sostenibile” associato ad una estesa serie di sostantivi (sviluppo, crescita, eco11
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DEL
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consentire di ridurre le emissioni climalteranti del 36% entro
il 2020, con un vantaggio economico netto per il Paese. Anche
Francia e Spagna hanno stabilito modalità di intervento integrato che vanno ben oltre l’azione di un singolo ministero.
Sotto questa spinta l’attuale commissario europeo Barroso ha
previsto di approvare, a livello europeo e non più nazionale, la
redazione e l’approvazione dei Piani di Assegnazione delle
Quote e di cambiare gradualmente il sistema dell’ETS in modo
tale che le imprese maggiormente inquinanti, che oggi si vedono
gratuitamente assegnata una quota di CO2 pagando solo quella
emessa in eccesso, siano obbligate gradualmente a pagare tutte
le emissioni di CO2 (in pratica si tratterebbe di una carbon tax)
ad un prezzo ipotizzato pari a circa 39 euro tonnellata.
In pratica si può affermare che le condizioni di competitività
stanno cambiando rapidamente e richiedono l’adozione di
strategie eco-efficienti necessarie a conseguire economie e
riduzione degli sprechi, che possono liberare risorse economiche da destinare ad altri usi ambientali: il Rapporto Stern
sostiene che il “non fare nulla” costerebbe, a seconda degli
eventi climatici, tra il 5 e il 15 per cento del PIL mondiale
adesso, mentre intraprendere un’azione decisa e subito costerebbe solo l’1 per cento.
ambientali, su alterazioni bio-climatiche dagli esiti devastanti
ed imprevedibili, non possono durare a lungo, né essere estesi
alla gran parte delle popolazioni del Pianeta. Sono modelli
insostenibili, che producono conflitti e diseguaglianza.
L’ecologia appare oggi il solo futuro per l’economia; l’economia dei risparmi di materie ed energia e della riduzione degli
sprechi, l’economia dell’eco-efficienza, l’economia del design
ambientale di prodotto, l’economia del recupero, del riutilizzo e
del riciclo delle materie, la sobrietà sembrano la sola strada per
ridurre i rischi di collasso dei sistemi economico-sociali che le
crisi ambientali pongono all’ordine del giorno.
Una strategia eco-efficiente per evitare quelle tendenze che
minacciano la qualità futura della vita provocando un vertiginoso aumento dei costi e conseguire economie e riduzione
degli sprechi, che possono liberare risorse economiche da
destinare ad altri usi ambientali.
È evidente che per rispondere ai nuovi scenari e cogliere le
opportunità di un’economia leggera e pulita (leaner and cleaner
production) e per operare una riforma ecologica della pubblica
amministrazione è necessario che il management, pubblico o
privato, sia preparato ai temi ed alle sfide della sostenibilità.
La conferma dei cambiamenti in corso, guidata e generata dal
processo di attuazione del Protocollo di Kyoto, viene rafforzata dalla recente approvazione, in Italia, del piano di azione
nazionale sugli acquisti verdi (Green Public Procurement) e la
recente indicazione, da parte dell’Unione Europea, dei Piani e
dei Sistemi di gestione ambientale urbana e di Integrated
Environmental Management System.
Se le città, con tutta la loro complessità, dovranno dotarsi di
un sistema integrato di gestione volto a raggiungere gli obiettivi definiti nel 2004 ad Aalborg, ciò significa che si dovrà
avere la capacità di intervenire, orientandola alla sostenibilità,
sulla pianificazione urbana e sull’edilizia, sulla mobilità, sul
design della città.
Per acquistare verde, il piano di azione nazionale sul GPP,
approvato nell’ambito dello sviluppo delle tecnologie ambientali e della strategia per la produzione ed il consumo sostenibile, richiede ad un’ampia platea di pubbliche amministrazioni di rafforzare la propria capacità di gestione, ai fini della
riduzione degli impatti ambientali e sociali attraverso l’inserimento di adeguati criteri nei bandi e nei capitolati, del processo di acquisto di beni e servizi.
I tre strumenti sopra citati non sono gli unici ma sono particolarmente esemplificativi del cambiamento che i temi della
sostenibilità necessariamente implicheranno nel comportamento e nei sistemi di regolazione degli attori economici e
sociali, pubblici e privati.
Un processo di trasformazione così profondo non potrà che
essere facilitato ed accompagnato da adeguati sistemi di educazione, formazione ed informazione che dovranno basarsi sul
greening di tre elementi essenziali:
• il contenuto della formazione manageriale;
• il ciclo dell’attività formativa;
• le modalità di erogazione della formazione.
Per quel che riguarda il contenuto, la sostenibilità richiede non
solo la creazione di nuovi moduli formativi relativi a nuove
esigenze emerse negli ultimi anni (la corretta gestione
ambientale, le azioni per la riduzione dell’intensità di carbonio, la contabilità ambientale monetaria d’impresa, la mobilità
sostenibile, ecc.) ma serve la revisione dei moduli formativi
esistenti informandoli ai temi complessi della sostenibilità.
Stime del danno dei cambiamenti climatici in termini di riduzione di consumo pro-capite (Tasso di sconto ipotizzato 0,1%, dal Rapporto Stern)
Clima base con catastrofi
5.0
(0.6-12.3)
Clima base con catastrofi e clima accelerato
6.9
(0.9-16.5)
14.4
(2.7-32.6)
Clima base con catastrofi e clima accelerato e
effetti non di mercato
Non è il caso di sottolineare la portata di questa vera e propria
rivoluzione basata sui concetti di eco-efficienza, di economia
leggera ed a bassa intensità di carbonio, di sistemi di produzione e consumo sostenibile. Molti esperti e commentatori
hanno già ricordato il carattere epocale del cambiamento di
scenario oggi in corso: chi saprà cogliere le opportunità che
tale mutamento sta creando diverrà o manterrà il ruolo di leader, chi invece non ne comprenderà a pieno le implicazioni
rischia di andare rapidamente fuori mercato.
D’altronde il grande studioso di analisi strategica della concorrenza Michael Porter, nel suo saggio Verde e competitivo
del 1995, aveva già lucidamente sostenuto che, nella globalizzazione moderna, le nazioni e le aziende più competitive non
sono quelle con l’accesso alle risorse (di lavoro o naturali) a
più basso costo, ma quelle che utilizzano tecnologie e metodi
di impiego tali da economizzare l’uso delle risorse aumentandone la produttività.
Oggi serve un sistema economico-sociale che raccolga la
sfida del “vivere meglio con meno risorse naturali”.
È un obiettivo di enorme rilievo economico e sociale, oltre che
ambientale, che pone a tutti noi una sfida di grande cambiamento: orientare la programmazione, l’allocazione delle
risorse economiche, la capacità istituzionale, l’organizzazione
produttiva, la formazione, la ricerca scientifica e tecnologica
all’uso equo ed efficiente di risorse limitate ed alla compatibilità di questo uso con la qualità della vita di tutti.
Infatti gli attuali modelli di produzione e di consumo dei Paesi
più industrializzati, fondati su elevati consumi di materiali e di
energia derivata da combustibili fossili, su elevati impatti
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cazioni, anche attraverso l’uso di “vaste metafore” che possono fornire un modello integrato della realtà, nel modo che è
più consono a un essere umano.
In questa direzione occorre riuscire ad implicare di più e
meglio le persone perché uno dei problemi che hanno anche le
aziende dotate di piani di azione orientati alla sostenibilità è la
loro difficoltà di attuazione. La ragione è piuttosto complessa:
se vogliamo trasformare le strategie in un possibile agire,
verso il cambiamento, coerente con le premesse, non possiamo ignorare che nell’elaborare interventi pianificati, c’è il
rischio di precipitarsi in scorciatoie.
Per questo è cruciale sia il sapere che le cose stanno così – che
cioè noi siamo portati a pianificare le nostre azioni in vista di
un fine –, sia interrogarci su qual è il fine che si persegue e
quali i mezzi.
I procedimenti abduttivi, non solamente razionali né solamente frutto di empatia, ma l’una e l’altra cosa, collaborano a
educare in noi una mentalità scientifica che ri-conosce la
nostra appartenenza al mondo (la biosfera). La scienza riduzionista ci abitua invece a pensare che solo la finalità
cosciente – il pianificare e finalizzare consapevolmente idee e
azioni – definisca la nostra umanità e la natura e le potenzialità
del nostro conoscere. Larga parte del nostro apprendere è
invece inconsapevole. Ed è proprio nei luoghi della inconsapevolezza, nei meccanismi mentali elementari che la nostra
natura di umani ci avvicina al sentirsi parte di una “mente che
connette” (per dirla alla Bateson).
Una formazione per la sostenibilità non può trascurare questi
aspetti né banalizzarli e ridurli ad una differente sequenza di
operazioni che permettono la soluzione di problemi differenti,
ma pressoché predefiniti.
Infine, parlando di orientamento all’approccio della sostenibilità ed ai suoi valori, non possiamo trascurare il fondamentale
elemento della coerenza. La formazione per la sostenibilità
deve essere essa stessa sostenibile: consumare meno risorse
naturali possibile (l’energia per l’illuminazione, il riscaldamento e la mobilità; le materie prime come la carta, che deve
provenire da riciclo), ridurre la quantità di rifiuti generati
(azzerando l’uso di prodotti usa e getta), utilizzare solo prodotti agroalimentari biologici e locali, azzerare le emissioni di
anidride carbonica prodotte.
Un’ultima attenzione: la coerenza, quando si vuol parlare di
formazione per la sostenibilità, non può essere trattata alla
stregua di una strategia di comunicazione ma come un elemento essenziale per formare non tanto a ciò che si vorrebbe
e/o dovrebbe essere ma a ciò, che almeno in parte, già si comincia ad essere.
Le domande a cui oggi dobbiamo rispondere è se possiamo
essere ancora considerati dei buoni manager senza conoscere
il mutamento degli scenari competitivi che impone il protocollo di Kyoto, se possiamo continuare ad occuparci di contabilità senza contabilizzare le spese destinate alla protezione
dell’ambiente e quelle destinate all’uso e gestione delle risorse
naturali oppure se possiamo permetterci di non inserire gli
obiettivi ambientali nel design di prodotto.
Per quel che riguarda il ciclo dell’attività formativa, vi è da dire
che la sostenibilità richiede un suo cambiamento ben definito.
Abitualmente collochiamo, all’inizio dell’attività formativa,
una corretta analisi dei bisogni. Ma se volessimo partire dall’analisi dei risultati che emergono dalla lettura dei questionari
di rilevazione dei bisogni, potremmo verificare che il “bisogno di sostenibilità” non è ancora sentito, nella sua drammatica importanza, dalle persone e dalle organizzazioni. Eppure
oggi l’ecologia è il futuro dell’economia. È quindi necessario
non solo “riflettere” i bisogni, ma anche saperli suscitare,
attraverso adeguate tecniche.
Altro elemento di cui occorre tenere conto nell’attività formativa è che le soluzioni, nel campo della sostenibilità, quasi mai
le abbiamo già a disposizione ma le dobbiamo trovare. Il problema del degrado del Pianeta si è affacciato solo di recente
nella storia umana: sapere come affrontarlo è ancora una
scommessa. La formazione deve saper stimolare la partecipazione (attraverso tecniche come l’EASW, il GOPP, l’Open
Space Technology, ecc.) perché è solo tramite questa che si
riescono a mobilitare le risorse umane nella ricerca delle soluzioni a problemi nuovi e complessi.
Un’altra necessità di modifica del ciclo formativo tradizionale
deriva invece dallo statuto epistemologico della sostenibilità: la
scienza della sostenibilità, generalmente definita scienza post
normale, ha uno statuto incerto. Ad esempio, nel 1992, la gran
parte degli esperti sostenevano che l’aumento di concentrazione
della CO2 in atmosfera non dipendeva da ragioni antropiche.
Quello che vorrei sostenere è che la nostra azione avviene in un
contesto fortemente in evoluzione; per far fronte ai problemi
che via via emergono non possiamo limitarci ad apprendere le
soluzioni, dobbiamo invece “apprendere ad apprendere”.
L’espressione “apprendere ad apprendere” viene generalmente usata per indicare l’acquisizione di un metodo, e viene
usata anche in riferimento a quel genere di apprendimento
che, pur concretizzandosi in un “oggetto” facilmente descrivibile nei suoi contorni, apre allo stesso tempo a un secondo
apprendimento – nuovo o di livello differente. In altre parole,
l’apprendere ad apprendere va oltre l’oggetto che ha generato
una specifica abilità (cognitiva, strumentale ecc.) e oltre la circostanza della sua acquisizione.
Nella formazione così come in ogni attività del conoscere,
saranno il modo di acquisire le conoscenze, la padronanza
delle nozioni e del metodo, la quantità e la qualità delle abitudini automatiche i fattori che potranno preludere a un “cambiamento di secondo ordine”, al confine con quell’ordine superiore di apprendimento, nel quale può attivarsi l’uscita creativa dagli stereotipi che permette di guardare il mondo come
non lo si è mai guardato.
Per sviluppare questa capacità di “apprendere ad apprendere”
è necessario inoltre prevedere una formazione che anziché
separare “connetta” ogni cosa (che permetta di vedere le cose
in modo non-diviso), superando la miopia sistemica indotta
da un eccesso di riduzionismo e dalle sue inevitabili semplifi-
Ripensare i modelli di sviluppo locale:
il ruolo della Formazione Manageriale
Enzo Rullani,
Professore di Economia della Conoscenza Venice International
University
Avere nuovi occhi
Le relazioni di questa mattina hanno posto alla nostra attenzione una tesi che – dal punto di vista economico – potremmo
così riassumere: anche nel campo della formazione, per produrre valore economico bisogna uscire dall’ordinaria ammi13
S E Z I O N E 1 – AT T I
DEL
CONVEGNO A S F O R
l’organizzazione fordista, che non solo la legittimava, ma le
assegnava un ruolo ben preciso, e obiettivi ben determinati,
all’interno della sua specializzazione funzionale.
Questa condizione cambia nel momento in cui l’organizzazione diventa plastica, capace di cambiare il suo modo di stare
nel mondo e di relazionarsi con il mondo. La formazione, di
conseguenza, non può rimanere ancorata al consueto settore,
iscritta nei programmi operativi del reparto che ne fa uso, aderire alla linea ufficiale e alla vecchia, consolidata, concezione
che l’azienda ha di se stessa. Deve invece, volente o nolente,
diventare il collante che permette a questa organizzazione di
snodarsi, di cambiare, di modificarsi senza cessare di essere
un sistema organizzato. Senza che i diversi nodi della rete vadano avanti per conto proprio, contraddicendosi in modo caotico e poco producente.
I casi che abbiamo visto in questa sede sono emblematici.
nistrazione, per intraprendere il difficile percorso dell’innovazione e del cambiamento. Questo risultato non si ottiene con le
micro-razionalizzazioni che – nella formazione come in altre
attività – cercano di aumentare l’efficienza lasciando le cose
come stanno. Né si può realizzare con soluzioni tecniche che
cambiano i contenuti dei singoli corsi o risolvono problemi
circoscritti, restando però prigioniere di contorni e di premesse che restano le stesse.
Molte iniziative che apparivano promettenti, ben congegnate sono risultate alla fine deludenti perché hanno replicato lo stesso format e portato avanti lo stesso concetto, con
razionalistico rigore. Ma poiché il mondo reale non è asettico e invariante come quello creato artificialmente in laboratorio o conservato gelosamente in memoria, è successo
che il razionalismo del progetto ha finito per essere seducente sulla carta e poco vitale e poco convincente nella
realtà.
Dunque, se si vuole portare avanti progetti formativi intelligenti in contesti che cambiano e in situazioni che permangono a lungo allo stato fluido, c’è da seguire un altro metodo,
partendo da un altro punto di avvio. Bisogna avere un’altra
visione delle cose. E questo non può essere il risultato di
qualche dato in più (la statistica!) o di qualche precisazione
di dettaglio. Per cambiare il quadro di ciò che ci siamo abituati a vedere da tempo, c’è un unico sistema realmente efficace: cambiare gli occhi che impieghiamo nel guardare il
mondo. Ossia cambiare noi stessi, che di questi occhi siamo
parte.
La leadership: oscuro oggetto del desiderio
Nella ricerca ASFOR presentata da Marco Vergeat, si capisce
che i formatori sono alla ricerca non solo di un ruolo, ma di
un’anima. Di un principio ispiratore che definisca il senso del
loro mestiere e iscriva il loro contributo nello spazio delle possibilità di azione degli uomini a cui si rivolgono e delle aziende a cui vorrebbero essere utili.
Siamo in un momento di transizione, ce lo dicono i dati e il
modo di vedere il mondo da parte delle persone coinvolte.
Gli obiettivi assegnati alla formazione, che una volta erano
ben scanditi dal comando aziendale e potevano giustificare la
loro funzione (e la loro “produttività”, anche in termini di budget) in base agli obiettivi chiaramente definiti dal vertice e dal
piano aziendale.
Oggi, gli obiettivi sembrano un po’ sfocati, la legittimazione
vacilla, i budget non sono più blindati come una volta, ma
vanno difesi con un lungo lavoro di convincimento e di autolegittimazione. Le persone – sia chi sta dalla parte dell’offerta
che chi sta dalla parte della domanda – non riescono bene a
capire cosa il formatore debba o non debba fare.
Il denominatore comune che però emerge nettamente dalla
somma ragionata di tutti i giudizi è la centralità della leadership. O meglio del bisogno di leadership.
Serve una leadership assestata che guidi sia la direzione di
marcia del cambiamento in essere, sia il contenuto del servizio
proposto da chi offre e richiesto da chi domanda formazione.
Due facce della stessa medaglia che qualcuno deve rimettere
insieme, essendo spesso il mercato incapace di farlo senza
troppi spargimenti di sangue.
Serve una leadership per legittimare chi fa formazione e per
legittimare, ai suoi occhi, chi prende strategie.
Serve una leadership per dare la misura e l’urgenza della produttività che ci si attende dall’investimento formativo, definendone i limiti: è un costo “affondato” che bisogna fare
comunque, come routine dovuta alla gestione del capitale
umano? O è un investimento creativo destinato ad accrescere
e cambiare l’intelligenza presente in azienda (con tutte le conseguenze del caso, alcune delle quali non esattamente prevedibili e pacifiche)?
La leadership è invocata così spesso da apparire forse come
una sorta di passepartout: quando le cose si ingarbugliano e il
formatore non sa bene che pesci prendere, la scappatoia più
facile è quella di invocare una leadership che sciolga il groviglio dei nodi, ridando senso al fare di ciascuno.
Grande impresa: un percorso parallelo tra formazione e strategia
È quanto abbiamo visto all’opera nelle grandi imprese,
attraverso le tappe storiche della loro evoluzione, nel passaggio da un paradigma all’altro. Ce ne ha parlato Arnaldo
Camuffo, mostrando come la formazione abbia avuto un suo
ciclo in sintonia col cambiare delle strategie e dei tempi. Era
strutturata in un certo modo, ma quando la leadership aziendale ha deciso che era giunto il momento di adottare un’altra visione del mondo, sistemi formativi che apparivano
efficienti nel contesto precedente sono stati cambiati, per
aderire a nuove esigenze e nuovi criteri, adeguando le tecniche formative ai nuovi obiettivi perseguiti.
La formazione, infatti, deve essere al servizio non di obiettivi già dati, ma della capacità dell’organizzazione di diventare plastica, flessibile, capace di cambiare gli occhi con cui
guarda il mondo e quindi di costruire mondi possibili differenti da quelli di prima. Questo vale per la formazione come
per tante altre aree del management. Ma certo, per la formazione questo criterio vale di più che per tutte le altre funzioni manageriali, perché influisce sul modo con cui gli
uomini dell’organizzazione vedono il mondo, si collegano
tra loro, prendono decisioni.
Cambiare gli occhi con cui noi guardiamo il produrre anticipa gli effetti che la produzione avrà in corso d’opera e fa
emergere gli eventuali problemi di sostenibilità che
potranno essere incontrati nel contesto creato dall’azione.
In un certo senso, oggi, ai formatori si chiede un mestiere
più difficile di quello che svolgevano un tempo. Si chiede,
infatti, di operare a contatto di eventi, significati e contesti
non predeterminati a priori, ma in divenire.
La formazione una volta operava in un campo protetto dentro
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S E Z I O N E 1 – AT T I
La formazione come premessa, ma anche prodotto,
della leadership
DEL
CONVEGNO A S F O R
vare nella grande organizzazione fordista. Il suo oggetto,
infatti, non è più solo, o principalmente, la singola impresa
(da cui i formatori dipendono o con cui hanno un rapporto
prevalente), ma diventa la filiera, o il territorio. Quando non è
il sistema cognitivo che comprende centri di ricerca, università, comunità epistemiche. È su questa base ampia che bisogna alimentare il processo formativo delle nuove professionalità che servono. Si tratta di fare qualcosa che sta nell’interesse di fondo della filiera o del territorio, ma che corrisponde
anche ad una esigenza della singola impresa ivi situata.
Infatti, quando avranno bisogno di competenze o persone
specializzate in certe funzioni, le singole imprese potranno
trovarle nella filiera, nel territorio, nel centro di ricerca, nella
comunità epistemica. Non avranno quasi mai il tempo di formarle all’interno, come accadeva all’impresa fordista, perché
oggi non c’è più il tempo di passare due anni ad inventarti
nuove professionalità. Dunque, queste vanno formate prima,
fertilizzando il milieu innovateur che sta intorno alla singola
impresa.
Ciò significa che le imprese devono occuparsi attivamente del
processo di diffusione delle nuove idee nel loro contesto
esterno, facendo camminare le idee da un punto all’altro del
territorio, da un punto all’altro del ciclo produttivo mediante il
processo di proposta, condivisione, reciproca accettazione.
Ecco la funzione della formazione: la formazione è questo
canale che fa sì che un’idea che nasce in un punto riesca a dipanarsi, riesca ad essere anche accettata dagli altri, capita e usata.
La formazione di idee, di professionalità e di culture localizzate ha, in questo senso, un ruolo cruciale nell’evoluzione dei
distretti industriali, delle piccole imprese e dei sistemi produttivi locali.
Questa specificità italiana di solito ci fa soffrire. Scopriamo
per esempio nel campo della formazione l’investimento formativo è mediamente di molto inferiore a quello realizzato da
altri paesi, nostri tradizionali concorrenti. Questo ritardo
appare un po’ esagerato nelle stime (si vede che gli indicatori
usati non sono tra i migliori) e non ci rende giustizia. Ma fa
ben sperare la possibilità di rimediare al gap percorrendo a
tappe forzate un cammino che altri hanno fatto più lentamente.
La leadership, in effetti, non è un oggetto. È una metodologia.
A tutti piacerebbe essere leader, o avere comunque un leader
di riferimento, che semplifica il mondo e scioglie i dilemmi
prendendosi il rischio di scegliere.
A tutti piacerebbe avere la leadership ma la leadership non
sempre c’è: nel mondo reale, essa si conquista affrontando i
problemi, e dunque – per quanto abbiamo detto – cambiando la
visione delle cose che hanno gli altri e facendo accettare la tua
visione. Tocca agli altri riconoscerti leader. Di qui l’idea centrale che emerge dalla ricerca: tutti i problemi che si agitano nel
mondo della formazione oggi non si traducono in soluzioni tecniche o di dettaglio, ma vengono irresistibilmente attratti dalla
ricerca di una leadership riconosciuta. Ciò significa a ben pensare, che la formazione si sente nell’occhio del ciclone, snodo e
cinghia di trasmissione di una trasformazione organizzativa
profonda, che ne cambia funzione e potenzialità.
Da questo punto di vista, la formazione è importante. Perché, in
una organizzazione che cambia diventa essenziale che la fatica
(anche mentale) di inseguire problemi fluidi, sempre diversi, e
di inquadrarli in nuovi schemi, generando visioni inedite delle
cose, non può essere affidata a singole persone, prese isolatamente l’una dalle altre. La costruzione di mondi possibili ha
bisogno di socializzazione, perché questi mondi esistono solo se
le persone li pensano come reali o per lo meno come condivisi.
Non abbiamo bisogno solo di geni visionari, ossia di persone
che vedono più in là. Abbiamo bisogno che le visioni maggiormente rilevanti, che si proiettano avanti e hanno qualche
chance di mordere sulla realtà, siano condivise. Diventando
parte di una rete di idee, di collegamenti, di rapporti fiduciari
di divisione del lavoro. Una rete che spesso, ormai – e qui
vengo al caso italiano – non è più solo interna all’impresa, è
ormai una rete in gran parte esterna: una filiera, che collega
fornitori e clienti; un territorio che fornisce ai singoli un’identità collettiva; una comunità epistemica che mette più persone
in grado di condividere conoscenze critiche.
Formazione e leadership nel capitalismo delle filiere,
dei territori, delle comunità epistemiche
Intelligenza tecnica e intelligenza fluida: nuovi spazi
per la formazione
Le filiere, in Italia, sono la base dell’economia moderna, affermatasi ormai anche nel capitalismo di piccola impresa.
Se andiamo a vedere i dati di Mediobanca e Unioncamere
sulle medie imprese, scopriamo queste – che sono la parte
“avanzata” del nostro capitalismo distrettuale, comprano fuori
(ossia da altre aziende) l’80% di quello che vendono. E che
questo 80%, tolta l’energia e le materie prime, è un valore
enorme, che alimenta la divisione del lavoro, verso le imprese
più piccole, nella componentistica, nella subfornitura, nel terzismo, nei servizi, nella commercializzazione, nella fornitura
di conoscenza. Ogni media impresa, in altre parole, attiva
all’esterno, tramite l’outsourcing, un volume di operazioni
che è pari a 4 volte quelle che mette in movimento all’interno.
Ma in sistemi del genere, che cosa vuol dire leadership? Come
è possibile portare una nuova visione delle cose, diffondere
nuove competenze, visto che si tratta di influire sul comportamento di imprese e soggettività autonome, non soggette al
comando di un centro, ma interessate a rapporti collaborativi
che rendano stabile e redditizio il rapporto allacciato.
La formazione, in sistemi del genere, si inscrive necessariamente in un mondo molto differente da quello che poteva tro-
Ma perché le nostre imprese possono fare a meno della formazione intesa nel senso tradizionale e in che senso dovrebbero
poi in futuro occuparsi di farne di più?
Credo che il punto di partenza per capire le cose, stia nel processo di trasformazione che stanno attraversando le imprese, in
rapporto alle loro reti (filiere, territori, comunità epistemiche).
Viviamo in un mondo in cui si sta realizzando una lenta ma
progressiva transizione dall’intelligenza tecnica, che ha
segnato la storia dei due primi secoli di modernità, all’intelligenza fluida, che è quella che serve, invece, per lavorare e
vivere in un mondo, come l’attuale, in cui tutto cambia, tutto
si ridefinisce.
L’intelligenza tecnica ha alle sue spalle una storia, un apparato, un insieme di dispositivi potenti: la scienza, le macchine,
il calcolo, il mercato, le procedure organizzative formali, le
norme astratte del diritto. È un apparato formidabile che in
passato ha contribuito in modo essenziale alla creazione della
nostra ricchezza attuale. Qual è la forza dell’intelligenza tecnica? È sostanzialmente la riproducibilità delle conoscenze, la
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S E Z I O N E 1 – AT T I
DEL
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lavoro interpretativo svolto dalla mente umana, che giudica la
pertinenza delle categorie linguistiche da impiegare rispetto al
problema, che rimane comunque irriducibile ad esse, essendo
– in concreto – sempre un caso unico e nuovo.
standardizzazione del sapere, il fatto che conoscenze standard
e riproducibili a costo zero possono essere replicate infinite
volte, moltiplicando il valore che da esse può essere ricavato.
Ma l’intelligenza tecnica ha trovato oggi un limite alla sua
riproducibilità (e dunque alla sua convenienza) nella crescita
della complessità, che essa stessa ha indotto, facendo aumentare i redditi medi e aumentando le prestazioni tecniche in
ogni campo.
È cresciuta la libertà del consumatore, del ricercatore, dell’imprenditore di inventare ogni giorno qualcosa: cambia di conseguenza il modo di fare le cose, di lavorare, di vivere. Ma questo significa alimentare sempre nuove ragioni per deviare
dallo standard, aderendo a desideri, persone, contesti di significato che restano unici, non riducibili. Ci stiamo abituando a
vivere, nonostante i Fast Food e la Coca Cola, in un mondo
che è permanentemente fuori standard, o per lo meno che è
pieno di sorprese, essendo le sorprese e le deviazioni dalla
norma che ormai creano curiosità e valore.
Ecco perché l’intelligenza tecnica non basta più. Andava
benissimo quando tutto era prevedibile, programmabile e
faceva parte della modernità che abbiamo alle spalle. Oggi,
per inseguire la complessità delle cose che mutano, delle idee
nuove che nascono, abbiamo bisogno di un altro tipo di intelligenza, complementare ma profondamente diversa dall’intelligenza tecnica. Parliamo dell’intelligenza fluida, che è in grado
di interpretare e valorizzare il caso unico, agendo sulle differenze invece che sulle uniformità. E che riesce a ricondurre le
differenze ad una batteria di criteri e di saperi precedenti, in
modo da non dover ogni volta ricominciare da capo con l’apprendimento. Gestire il legame tra nuovo e vecchio, tra unico
e standard, è il mestiere di questa forma di intelligenza che
non sta nelle macchine, ma nella testa degli uomini (è quella
che secoli di evoluzione hanno formato e che oggi tenta di
mettersi in rete, facendo economie di scala sufficienti a competere con la ripetitività dell’intelligenza tecnica).
Attenzione però: l’intelligenza fluida che serve oggi usa le
facoltà della mente, ereditate dall’evoluzione biologica e culturale dei secoli, ma non è più quella che esisteva in epoca premoderna. La differenza è che oggi il circuito cognitivo della
modernità ha comunque stabilito una divisione del lavoro
cognitivo su grande scala, con specializzazioni, codici, fattori
moltiplicativi degli usi che non possono essere soppressi in
nome semplicemente dell’unicità o della novità. Bisogna, al
contrario, raccordare il nuovo al vecchio, in modo che il
sapere già posseduto sia ri-utilizzabile nel nuovo contesto; e
raccordare il caso unico alle categorie di tipo più generale, in
modo da potervi applicare il sapere astratto (per categoria) di
cui siamo già in possesso.
Per fare questo passaggio, bisogna collegare le menti delle
persone con linguaggi adeguati a svolgere questi compiti, creando un processo dialogico che consente la comunicazione
delle conoscenze tra punti e tra persone differenti.
In parte si tratterà di un circuito dialogico che usa la comunicazione normale (con il linguaggio comune, appena arricchito
dei tecnicismi che servono), ma in gran parte questo compito
sarà svolto dai linguaggi formali che categorizzano le conoscenze: i linguaggi della scienza, dell’informatica, dell’ingegneria, della contabilità, del management, del diritto, dell’estetica, della morale. Dove le categorie formali non si
applicano meccanicamente al caso unico e al nuovo, come
farebbe un algoritmo meccanico, ma vengono applicate da un
Mettere in rete l’intelligenza fluida
Allora il nostro problema si pone così: come facciamo a conseguire abbastanza economie di scala nell’impiego della
conoscenza fluida?
Sappiamo tutti che l’intelligenza fluida delle persone – che
riconosce le differenze e dà valore alle unicità – è la fonte
della creatività, il modo più diretto di usare la complessità del
mondo attuale invece di esserne usati o minacciati.
Ma, dal punto di vista economico, dobbiamo evitare che la
conoscenza sia ogni volta riprodotta ex novo, per alimentare il
circuito delle soluzioni uniche, aderenti al concreto. Abbiamo
bisogno di fare economia di scala con la creatività. Come?
Ecco il ruolo decisivo della formazione, a questo riguardo.
La formazione ordina e socializza i linguaggi formali, da cui
dipende la capacità di usare in rete l’intelligenza fluida, rendendola condivisibile negli usi che occorre farne di fronte al
caso concreto, al contesto unico, alla sperimentazione del
nuovo e del sorprendente.
Ma per fare questo, essa non deve fornire un codice tecnico,
astrattamente uniforme e privo di sfumature personali. È l’intelligenza tecnica che risolve i problemi usando algoritmi perfettamente definiti, che riconducono i problemi alla propria
logica interna, invece del contrario. Né la formazione di oggi
deve fornire alle persone una teoria che ti dà il modello già
fatto, da applicare poi al caso concreto (senza che questo
possa retroagire sul modello teorico applicato).
La formazione deve invece fornire linguaggi: sapere semantico che prende forma in un flusso circolare di esperienza fatta
sulle applicazioni. Per cui il linguaggio applicato ad un caso
concreto plasma il caso ma ne è anche plasmato, dovendo trovare una sintesi che funziona sia sul terreno concreto (la soluzione pratica), sia su quello teorico (la coerenza del paradigma
e della sua grammatica).
Un linguaggio che consente di passare dal singolo fatto che è
unico al suo significato. Che non è unico perché è ancorato ad
un concetto di tipo generale. L’albero che vedo è unico, l’albero che penso come concetto non lo è, perché rimanda a infiniti alberi che posso immaginare con la mente, tra i quali – con
un giudizio non sempre facile, non sempre definitivo – ne
posso selezionare uno, trovando il “significato” di quella cosa
verde che vedo davanti a me: è un albero. O, più precisamente,
è un albero da frutta, con i fiori primaverili che preparano la
crescita dei futuri frutti, sole permettendo. Quante qualificazioni seguono alla attribuzione di significato (interpretazione)
fatta dall’intelligenza fluida che rende utilizzabile nel caso
concreto il sapere agronomico ed estetico accumulato dalle
precedenti generazioni!
La piccola impresa non esiste fino a che non si prende un
oggetto reale – una fabbrica, un capannone, un imprenditore
in carne ed ossa – e lo si qualifica come tale. Con questo atto
abbiamo creato la possibilità di applicare (a rischio) il sapere
precedente che abbiamo sulle imprese a quella situazione specifica.
Il significato assegnato è un collante comunicativo: crea le
premesse non solo per pensare alle qualità degli oggetti o delle
persone uniche che si hanno di fronte, ma anche per condivi16
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DEL
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aspetteremmo visto che pratica continuamente reti dove il
sapere distribuito nei nodi deve fluire da un punto all’altro, da
un oggetto all’altro. Ma la spiegazione è semplice: piccola
impresa che vive nei sistemi locali, che vive in settori tradizionali usa per fare questo il linguaggio naturale invece dei linguaggi formali, offerti dalla formazione. E riesce, o almeno
c’è riuscita finora, a fare le cose, ossia riesce ad essere fluida,
flessibile, creativa nella rete delle sue relazioni (che certo,
devono essere relazioni “corte” e interpersonali dirette). Non
ha bisogno di mandare la gente a scuola: basta la pratica.
Basta vivere nel territorio, basta sapere come fanno gli altri e
come si potrebbe fare se...
In questo modo, la piccola impresa è riuscita a sviluppare un
capitalismo a rete (locale) che è abbastanza plastico e
moderno: ha propri linguaggi, ha la fluidità delle soluzioni, ha
forme di condivisione dell’intelligenza da cui nasce una pratica flessibile, competitiva.
Ma questo sistema ha un grandissimo difetto: è moderno perché crea i suoi linguaggi localmente e dunque in un campo
molto limitato, sia dal punto di vista geografico che dal punto
di vista dei contenuti e delle competenze, ossia di quello che si
sa fare.
Di conseguenza, possiamo dire che la nostra industria è
moderna e non merita di essere declassata a capitalismo di
serie B, come accade spesso in base ad alcuni indicatori che
guardano al sapere formale (ricerca) o alle performances (crescita, produttività). Ma è moderna con un limite: è diventata
tale usando mezzi di comunicazione e linguaggi pratici che
non sono costati niente a queste aziende, perché – utilizzando
il linguaggio naturale e le reti di condivisione locale – ha queste risorse connettive gratis, sul territorio. Sulla base di questa
esperienza alcuni (o molti) imprenditori si sono convinti che
anche per il futuro non si debba spendere niente per avere i
linguaggi e le reti che servono.
Ma questo è un drammatico sbaglio. Noi che studiamo management lo dobbiamo dire: bisogna che il nostro capitalismo di
piccola impresa si attrezzi per fare un massiccio investimento
nella creazione di linguaggi e di reti di condivisione. Che non
siano più soltanto locali, ma si aprano alle relazioni globali.
Che non siano più soltanto legati alla trasformazione materiale, ma si muovano verso l’immateriale (i servizi, le competenze, le relazioni). Queste cose non sono gratis e non si trovano sul territorio già pronte e disponibili alla bisogna. È
necessario investirci su.
Il capitale sociale che queste aziende hanno ottenuto gratuitamente sul territorio, la condivisione di linguaggi semplici,
frutto della pratica, che ha loro permesso di essere moderni e
di lavorare in reti di condivisione efficienti della conoscenza,
sono state condizioni di partenza eccezionalmente favorevoli
in passato. Senza di loro non ci sarebbe stato lo sviluppo dei
distretti e dell’impresa diffusa che c’è stato e che costituisce
oggi il nostro nuovo (e più avanzato) punto di partenza.
Ma in futuro dobbiamo cambiare registro. Si illudono le
aziende che non vogliono pagare la conoscenza, che non
vogliono pagare la formazione, che vorrebbero avere gratis le
professionalità. Per fortuna che abbiamo un drappello di punta
che invece gli investimenti che servono ha già cominciato a
farli. E che si sta avviando verso l’economia globale e immateriale senza traumi, innestando i linguaggi formali sulla pratica del linguaggio naturale. Sono queste le imprese che mettono la loro intelligenza fluida in rete, riuscendo a legare il
dere le conoscenze, mettendo in rete esperienze comuni. Il
significato assegnato va oltre il caso specifico e lo connette
con gli altri: puoi ritrovare le stesse proprietà in altri luoghi,
puoi portare un oggetto (concettuale) in altri mondi. Ma
soprattutto, lo puoi rigenerare, trasformare: perché il significato non è come un codice della tecnica non è invariante.
La metafora dell’“opera aperta” di Umberto Eco rende bene
l’idea. Abbiamo sempre a che fare con un’“opera aperta”, dai
significati fluidi, ogni volta che si usa un significato. Perché
usandolo bisogna interpretarlo, e ciò facendo lo si rigenera, lo
si cambia, lo si trasforma. La nozione di base si riproduce, ma
ognuno può, a suo rischio, darle una diversa interpretazione,
ognuno diventa quello che Eco chiama “lector in fabula”: un
lettore che non è spettatore passivo, ma che entra dentro la storia, modifica la conoscenza nel momento in cui, per usarla, la
fa propria.
La formazione può creare la rete della condivisione
riflessiva: un asset importante per realizzare economie
di scala nelle piccole imprese
Una volta che i significati diventano plastici, assumono questa
loro capacità di aderire alle unicità, allora possono anche propagarsi in modo non banalmente replicativo, ma riflessivo.
Correggendo errori, adeguando le soluzioni, ricercando il consenso e l’impegno di altri, facendosi aiutare ogni volta che
serve. Ma, mettendo in comune, così facendo, un corpo
sociale di conoscenze. Ecco le economie di scala: il significato
deve essere condiviso attraverso la rete fatta di tante intelligenze fluide che imparano a lavorare insieme, dividendosi il
lavoro di apprendimento.
La formazione ha questa funzione fondamentale, perché deve
generare linguaggi che poi la gente condivide, che poi le persone e le imprese in qualche modo allineano, creando un
modo di ragionare, uno stile di vita, nuove possibilità di cambiamento.
Ovunque – nel capitalismo di grande impresa e in quello di
piccola impresa – la formazione può assumere il ruolo decisivo di funzione che genera i linguaggi condivisi, mettendo in
rete l’intelligenza fluida nelle organizzazioni, nelle filiere, nei
territori, nelle professioni.
Ma non è detto che questo ruolo venga assolto.
In passato, la formazione ha avuto una funzione tecnica, che
l’ha di fatto confinata alle grandi imprese. Nel caso delle piccole, i linguaggi tecnici non erano quelli formali ma quelli
emergenti dalle “comunità di pratica”, ossia dall’esperienza
diretta, fatta sul campo. Quello che non sapevano dire le parole
lo dicevano le mani. Investimenti formativi importanti si sono
fatti solo in presenza di obblighi di legge o di fondi pubblici, da
dedicare allo scopo (apprendistato, progetti di sperimentazione
ecc.). In campo professionale, poi, ad un pesante curriculum di
istruzione universitaria, si è spesso affiancata una pratica applicativa troppo esecutiva e parcellizzata per avere valore semantico e per esercitare la creatività in rete.
Dunque, in tutti e tre i casi, siamo di fronte ad una rapida obsolescenza dei vecchi modelli formativi e all’emergere di nuove
esigenze (la condivisione dell’intelligenza fluida in rete).
Che cosa possiamo dedurre da questo abbozzo di quadro interpretativo?
Primo, abbiamo la possibilità di capire perché la piccola
impresa, che è ricca di idee e carica di unicità, non usa la formazione o la usa pochissimo, molto meno di quello che ci
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In un’economia diventata globale e immateriale ciò che produce valore è la conoscenza. Non i prodotti fisici, in sé. Per
forzare la mano e il ritmo dell’evoluzione – andando oltre
l’adattamento spontaneo che pure c’è ed è rigoglioso in certi
settori e in certe categorie di imprese – dobbiamo:
a) fare in modo che le imprese, anche le più piccole, investano molto più di prima nella produzione di conoscenze
originali ed esclusive, o nella creazione di rapporti esterni
di outsourcing, alleanza, condivisione che diano loro
accesso a conoscenze che altri non hanno o hanno a costi
superiori;
b) rompere le monoculture aziendali, locali, settoriali, liberando le idee che sono prigioniere dei contesti e dei “proprietari” in cui hanno preso forma. Se un’azienda ha una
buona idea, raramente questa massimizza il suo potenziale
di valore rimanendo chiusa nel circuito del proprietario
dell’azienda. Fare networking con altri, o attivare circuiti
di alleanza e collaborazione, può essere un modo per valorizzarla. La concezione dei distretti in termini di monoculture settoriali che “colonizzano” un luogo, ormai costituisce più un limite che un vantaggio, perché inibisce la
ricerca del nuovo e gli usi trans-settoriali delle conoscenze
di cui si dispone.
Soluzioni monoculturali possono andare bene all’inizio di un
processo di sviluppo, perché il fatto di fare tutti la stessa cosa
crea quella condivisione dei linguaggi che, abbassando il
costo di acquisizione (copia) e di produzione della conoscenza
(economie di scala) è essenziale per far rendere gli investimenti di chi si “mette in proprio”. Poi queste persone continuano a lavorare realizzando un apprendimento pratico che
non costa niente – sul piano dei costi iscritti in bilancio – e che
avviene in genere consolidando la stessa idea di partenza. La
differenziazione dei saperi si fa non tanto esplorando strade
nuove quanto specializzandosi a vicenda su competenze
diverse che riguardano gli stessi prodotti e gli stessi cicli produttivi: si pensi solo al fatto che la localizzazione nel distretto
mette a disposizione molti fornitori e molti clienti, ben conosciuti e affidabili, la cui presenza facilita e talvolta suggerisce
la convenienza di specializzarsi reciprocamente. Da questa
partenza, avvenuta per condivisione, e dal successivo approfondimento delle competenze tramite learning by doing e tramite specializzazione reciproca nasce la monocultura: chi sta
nel distretto tessile ha tutta la convenienza ad approfondire il
nucleo iniziale di competenze già esistenti invece di trovarne
delle nuove o cercare strade laterali. Fino a che il distretto va
bene la monocultura non appare un limite, ma una risorsa.
Oggi, però, la monocultura non paga più e, per andare avanti
bisogna realizzare alcune importanti discontinuità rispetto alla
storia passata: a) investire nell’esplorazione del nuovo; b)
avviare processi di apprendimento trasversali, che attraversano
il settore, il luogo e i confini aziendali; c) bisogna superare
l’idea che il sapere da impiegare nella produzione sia principalmente di origine pratica. L’apprendimento che avviene fuori
della monocultura, dovendo coinvolgere altri, implica l’uso di
linguaggi formali per entrare in contatto col sapere altrui.
nuovo col vecchio, il globale col locale. Oggi, infatti, i problemi sono cambiati: se i linguaggi che si trovano gratis sul
territorio non bastano più, il passo da fare è quello di andare
decisamente verso un investimento massiccio – di sistema e di
impresa – sui linguaggi formali e sulle reti. Un programma
che nel nostro caso è doppiamente importante: rinnova le
imprese, mettendole in linea con le nuove necessità; e rinnova
le strutture formative, dando loro una nuova fisionomia e una
nuova missione. Questo vale per le scuole, a partire dalle elementari, per l’università, per l’istruzione professionale, per la
formazione permanente. E anche per la formazione manageriale, che in questa logica avrebbe clienti anche nelle piccole
imprese e nelle professioni, sempre più bisognose di applicare
in rete i linguaggi formali del management.
La formazione per innovare la piccola impresa e il
made in Italy
Cominciamo a pensare che la nostra industria è il prodotto di
sistemi cognitivi articolati in modo diverso, e forse complementare (se ciascuno fa la sua parte).
L’impresa fordista è un sistema cognitivo che ha la sua struttura. La grande azienda da sempre ha investito in formazione
per creare competenze tecniche, ma anche per creare linguaggi e circuiti di socializzazione.
Ma il capitalismo italiano ha una struttura decentrata,
dispersa. Può essere un male o un bene: ma è la storia che ha
deciso così. Questa storia ci pone però un problema: come facciamo a fare tutte le cose che abbiamo detto usando un meccanismo diverso da quello della grande organizzazione, ma
ugualmente efficace. Finora lo abbiamo fatto utilizzando il
territorio, e le reti e i linguaggi in esso sedimentati. Adesso
dobbiamo investire denaro e attenzione nella trasformazione
delle reti a cui abbiamo avuto accesso senza tante premesse e
presupposti. È il momento di predisporre le premesse, di
creare i presupposti, per avere reti nuove di circolazione della
conoscenza e di sperimentazione del nuovo: reti globali, con
radici nel locale; e reti immateriali che danno valore ai prodotti e ai cicli materiali. Se questa trasformazione non si realizza in tempi ragionevoli, è difficile per i produttori che sono
solo locali e solo materiali resistere ad un vento che tira esattamente dall’altra parte.
Intervenire sulle imprese è importante, ma, per fare questo, è
necessario anche intervenire sul territorio, su cui insistono le
reti della conoscenza sociale. Nel territorio abbiamo un asset
importante: le identità collettive, che per le imprese hanno
rilevanza non solo per le conoscenze e i servizi che forniscono, ma anche perché i significati legati al territorio sono i
più difficili da imitare, da parte degli eventuali concorrenti.
Legare i prodotti a un sistema territorializzato è un modo per
difendere la loro differenza rispetto a quello che chiunque
potrebbe fare in Cina, o da altre parti.
L’ecologia territoriale ha assorbito conoscenze tacite, ma funzionali, per secoli, dando forma alla cultura e al sistema di
relazioni che caratterizza un luogo. Ciascuna società locale, in
quanto ecologia plasmata dall’evoluzione, è ricca di conoscenze, di relazioni utili, di adattamenti funzionali e reciproci
tra coloro che la abitano. Un distretto industriale, ad esempio,
è un bacino di lavoro qualificato, uno spazio in cui si possono
trovare gli specialisti, i servizi unici, le università, i centri di
ricerca da mobilitare per venire a capo di certi problemi.
Ma il sapere presente sul territorio oggi non è più sufficiente.
Una nuova economia della conoscenza
Per costruire una nuova economia della conoscenza nel capitalismo di piccola impresa che passa dal locale al globale, e
dal materiale all’immateriale, che cosa manca e che cosa bisogna fare?
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sta degli industriali, attraverso le loro associazioni, oggi esistono anche in Italia per l’assunzione di personale di questo
tipo vanno pubblicizzate e utilizzate. Perché – rendendo utile
il sapere in rete – sono un contributo importante al rinnovamento non solo del sapere aziendale, ma anche delle concezioni imprenditoriali e di management.
È importante che la ricerca non sia pensata come il grande
laboratorio pensato per fare cose mirabolanti, e dunque massiccio, costoso. Questi laboratori possono esistere presso le
Università o i centri di ricerca delle maggiori imprese. Ma
quando si parla di capitalismo della piccola impresa, la ricerca
va pensata come una attività da svolgere in rete, mettendo in
contatto una filiera di specialisti (in gran parte esterni) per
ogni problema affrontato e contando sul lavoro comunicativo
e di orientamento di una squadra di ricercatori diffusi, magari
a tempo parziale o fornitori di servizi professionali alle singole aziende che di volta in volta si avvicinano al loro campo
di competenza.
Anche la ricerca, in Italia, può funzionare se è organizzata –
come il ciclo produttivo – in filiera, collegando con lavoratori e
servizi ad hoc un insieme di specialisti autonomi. E usando uno
dei dipendenti o dei consulenti fissi dell’azienda per tenere i
contatti con i convegni internazionali, leggere le riviste scientifiche, sapere quello che si fa in America, in Giappone, in Cina,
in modo che questa persona sia in grado di valutare quello che
bolle in pentola nel settore, fornendo all’impresa le informazioni critiche che servono per orientarsi in questo settore: se
vale la pena prendere o no un certo brevetto, se c’è una soluzione tecnica per risolvere un certo problema, se il fornitore tecnologico a cui ci si sta per rivolgere è affidabile o no ecc.
Non c’è bisogno di essere grandi aziende e di fare grandi investimenti. Anche i piccoli possono e devono stare al gioco,
facendo l’investimento minimo per creare le condizioni dell’accesso. Le comunità professionali di tecnici, ricercatori e
managers, da questo punto di vista, sono fondamentali.
Dobbiamo fare in modo che ci siano molti professionisti capaci
di svolgere questi ruoli, e che abbiano l’ambiente e gli stimoli
giusti per rinnovare le loro competenze e allacciare reti affidabili di relazione tra loro. La scarsità di questi professionisti
comincia a diventare preoccupante, specie per le aziende che
vanno più avanti delle altre e che non li trovano o ne trovano
troppo pochi. La scarsità di certe competenze non solo le fa
costare molto, ma la cosa più grave è che la domanda si scoraggi in partenza e ne faccia a meno. Danneggiando in questo
modo sia la singola azienda, sia il sistema perché la mancanza
di professionisti qualificati in certi campi finisce per isterilire
le idee disponibili e per non fare circolare le poche che ci sono.
Lo riassumo nelle tre funzioni chiave della conoscenza:
1. mantenere l’accesso alle conoscenze degli altri, per portarsi a basso costo sulla frontiera della conoscenza (mondiale) nel proprio campo di azione;
2. essere abbastanza creativi da usare le conoscenze altrui
(acquisite al punto 1) per produrre una buona idea, che
sia, appunto originale ed esclusiva, dando alla mia proposta di mercato una marcia in più;
3. moltiplicare gli usi delle buone idee di cui si viene in possesso, allargando il loro bacino di uso, andando alla ricerca
attiva di tutti i clienti potenziali che potrebbero essere interessati a valorizzarle, anche se in settori, luoghi e aziende
diversi da quelli di origine.
La vecchia economia del capitalismo di piccola impresa
faceva tutto questo in modo empirico, mobilitando direttamente le persone a lavorare “sul pezzo”. Il sapere pratico
creava buona padronanza del problema concretamente affrontato e scarsa capacità di andare oltre, in altri punti dello spazio
del nuovo e del possibile. E determinando una difficile liaison
con specialisti e saperi che stanno lontani, in termini di
distanza fisica, distanza settoriale, distanza concettuale.
Come superare questo modello che ha fatto il suo tempo?
Nuove forme di accesso alla conoscenza altrui
Dal punto di vista dell’accesso, il grande gap del nostro Paese è
la mancanza dei linguaggi formali. Oggi non si accede alle
conoscenze altrui, come si poteva fare una volta, prendendo le
macchine tedesche e smontandole in garage, in modo da capire
come funzionavano. Le tecnologie di oggi, che sono tutte mediate da scienze complesse, sono accessibili solo se si padroneggiano i linguaggi formali con cui sono state espresse nel progetto e incorporate nella macchina. Bisogna insomma avere una
preventiva competenza (astratta) nell’informatica, nell’ingegneria, nel diritto, nella contabilità, nell’organizzazione. I tecnici, i ricercatori, i managers non sono più un optional.
Senza questi esperti che usano linguaggi formali – che si imparano a scuola – non c’è accesso alle conoscenze di oggi.
Servono dunque processi formativi da progettare e realizzare
in modo separato, addizionale, rispetto alla pratica del learning by doing. Non essendo più un sottoprodotto del fare, le
nuove conoscenze e le nuove relazioni costano: è necessario
investirci soldi in aggiunta alla pratica.
Se questo è vero, e abbiamo argomenti per crederlo, c’è un
massiccio investimento da fare su 50 milioni di italiani: non su
alcuni, ma su tutta la nostra forza lavoro a vari livelli. E c’è un
massiccio investimento da fare nelle imprese, in tutte le
imprese. Non solo in alcune (le più grandi, le più innovative).
Tutte le aziende della filiera devono rinnovare i loro modelli
di business seguendo le esperienze di innovazione dei leader o
comunque delle aziende più dinamiche.
Accanto a questo massiccio investimento in istruzione e formazione, c’è da fare un altrettanto grande investimento in
ricerca, che serve per rinnovare i linguaggi formali in possesso
del personale aziendale e delle reti con cui l’azienda ha relazione. Questi linguaggi infatti invecchiano rapidamente se
non c’è qualcuno, in azienda, che resta in contatto con il circuito della scienza e della produzione, facendo da “terminale
comunicativo” nel campo specifico che interessa. Ecco un
ruolo per ricercatori aziendali che possono inserirsi anche in
aziende molto piccole, facendo da ponte con le reti scientificotecnologiche esterne. Le agevolazioni che, su pressante richie-
Creatività da rinnovare
Secondo problema: la creatività è invecchiata. In passato
abbiamo potuto contare su una forma di creatività personale
(gratuita) legato al fatto che gli imprenditori di minore dimensione e da poco arrivati nel business non potevano dire di no ai
clienti. Dunque hanno promesso miracoli e poi si sono attrezzati per farli. Forse non sono andati in Paradiso, ma la patente
di creativi se la sono guadagnata. Abbiamo usato una creatività basata sul fatto di servire il cliente aderendo alle sue esigenze con forme di produzione di nicchia o del tutto personalizzate. Ma oggi questo modo di “servire” il cliente, tirando
fuori il proprio ingegno personale e mantenendo l’organizzazione totalmente fluida, non va più bene.
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Naturalmente non tutto si può fare con quello che sta sul territorio. Molte competenze, stimoli, clienti potenziali dobbiamo
trovarli in reti che non sono territoriali, ma sono circuiti di
relazione e di competenza costruiti intorno a un’idea, e alimentati dal fatto che molte persone, molte imprese e molti territori si mettono insieme per sfruttare un’idea condivisa che
sembra buona, capace di creare un circuito di valore e di giustificare investimenti importanti.
Il made in Italy ci ha reso forti e competenti in certe produzioni e dunque anche in certi problemi. Siamo diventati produttori di significati e di linguaggi che il mondo dei nostri
clienti apprezza. È accaduto nel campo della moda. Ma anche
nel campo dell’alimentare, dello sport, della salute. Molto
meno nel campo del turismo (in cui in effetti stiamo arretrando
rispetto ad altri). È accaduto nel campo della casa, e dell’abitare. È accaduto nella meccanica, con lo sviluppo di certe
“filosofie” di servizio al cliente che trasformano i subfornitori
passivi in meta-organizzatori della filiera e delle possibili
innovazioni, fornendo flessibilità e idee nuove all’insieme dei
clienti che da queste filiere dipende.
In tutti questi campi, esistono nuclei nascenti di quelle che
potremmo chiamare comunità epistemiche. Ossia comunità di
persone e imprese che condividono la stessa idea di fondo
sulla qualità del vivere e del lavorare. E che tendono a specializzarsi tra loro ed estendere il campo di applicazione dell’idea, trasformandola in business man mano che si trovano
nuovi clienti, nuovi fornitori, nuovi ideatori creativi che alimentano il gioco con la loro passione per la cosa.
Dobbiamo creare in tutti i campi del made in Italy queste
comunità epistemiche. Abbiamo un modello da imitare: Slow
Food. Che ha mostrato come intorno a un’idea chiave (un certo
modo di mangiare, e dunque una certa filosofia del vivere) si
possa costruire un sistema completo di ristoratori, fornitori di
alimenti, operatori turistici e culturali, policy makers del territorio, esperti gastronomici e salutistici, centri di benessere, circuiti di relax e intrattenimento. E soprattutto di clienti finali
che vogliono quel servizio e sono disposti a pagarlo.
Insomma, una certa idea del buon vivere è stata trasformata in
un business popolato da molte aziende. Lo stesso si potrebbe
fare per ciascuno dei nostri settori del made in Italy, superando le barriere geografiche e settoriali che oggi limitano le
possibilità creative dei distretti. Le comunità epistemiche sono
i mediatori necessari per trasformare i prodotti in idee. Il
nostro made in Italy deve cominciare a vendere idee, prima
che prodotti. I prodotti poi seguiranno, una volta che l’onda
dei significati comincia a propagarsi.
In ogni campo della nostra vita, abbiamo la possibilità di passare dai prodotti alle idee che stanno dietro a quei prodotti e
intorno alle idee possiamo creare una filiera, possiamo superare i limiti localistici. Ma tutto questo richiede un forte investimento in linguaggi, in condivisione e quindi in formazione.
Ecco il cambiamento da fare per organizzare la nuova creatività.
La formazione, che forse ieri riguardava le competenze tecniche o quelle manageriali (ma solo nelle grandi imprese)
diventa in questo senso necessaria a tutti i livelli. Nella manifattura e nel terziario. Nelle grandi e nelle piccole imprese.
Nel lavoro cosiddetto creativo (di marketing, di design ecc.) e
in quello che una volta era solo organizzativo e ripetitivo e che
oggi ha – anch’esso – bisogno di essere ripensato in modo creativo, duttile.
Per vincere la concorrenza di costo che ci portano altri paesi,
bisogna essere creativi non solo nel senso di aderire in modo
flessibile a richieste diverse da parte dei clienti, ma nel senso di
anticipare o plasmare l’evoluzione della domanda. Come?
Fornendo significati, esperienze, servizi innovativi a cui un
numero rilevante di clienti risponde di sì, pagandone il valore
corrispondente. È quello che ad esempio fanno da tempo gli stilisti della moda, o i designer di mobili. O le aziende della meccanica che dal ruolo di subfornitori passivi, che lavorano su specifica richiesta del cliente, sono cresciuti fino ad essere loro a
proporre nuove soluzioni e nuove possibilità ai loro clienti.
Le filiere creative, in questo senso, esistono. Ma sono ancora
troppo poche.
Perché questo modo di lavorare si generalizzi, abbiamo bisogno di creare nuovamente un contatto forte, empatico col
cliente. Ma non col cliente che sta dall’altra parte della strada
e che l’azienda serve da venti anni. Con i nuovi clienti potenziali che lavorano in altri settori e in altri luoghi, magari all’interno di culture distanti dalle nostre e di cui non abbiamo
ancora nozione.
In circuiti che sono ancora troppo provinciali e chiusi, e che
spesso lavorano prendendo le misure del vicino invece di
andare a scovare il nuovo nel mercato lontano – potenziale
certo, ma meno affollato di quello della monocultura distrettuale di origine – occorre aprire la mente della gente, fare
vivere persone e aziende in un sistema di riferimenti culturali
e di linguaggi di relazione di tipo metropolitano.
I circuiti provinciali entro cui si muovono le persone – dalla
nascita al pensionamento – non sono più adatti ad accompagnare le aziende nell’economia globale e immateriale in cui
devono abituarsi a vivere. Ormai le piattaforme produttive
entro cui maturano le idee e si organizzano le reti per sfruttarle
devono avere, diciamo, 1 milione di abitanti come base di partenza. Non si può più avere un’industria basata sul singolo
comune o sul distretto che occupa tre comuni, una provincia o
comunque un territorio ristretto, dove la differenziazione degli
specialismi deve per forza essere limitata o dove bisogna coltivare la monocultura settoriale per fare qualcosa.
L’Italia deve organizzare piattaforme che integrino sistemi di
vita e di lavoro a scala metropolitana, diciamo alla scala delle
regioni, dove convivono piccoli comuni e medie città, qualche
metropoli vera per chi ce l’ha (in Italia possiamo contare solo
su Milano e Roma), piccole e grandi aziende, una manifattura
sparsa sul territorio e una rete di specialisti dell’immateriale
che la serve, centri di ricerca e di istruzione superiore a scala
ampia, una logistica che sposta merci, persone e informazioni
rapidamente e a basso costo, come in altri paesi.
Che cosa impedisce che anche in Italia si facciano queste
cose? Penso che le resistenze si ridurrebbero – un po’ di resistenza va messa in conto ma la capacità di bloccare tutto e
comunque è una vera e propria patologia italiana – se si
cominciasse a capire che i servizi e le idee non possono
nascere e circolare in un sistema troppo ristretto. Quello che
abbiamo sta cominciando a diventare obsoleto, e il nuovo non
può nascere se non gli diamo la scala necessaria. Invece di
dividerci sulla solita questione (se il piccolo è meglio del
grande o viceversa) cominciamo a dire che nel capitalismo
delle reti non conta tanto la dimensione aziendale, quanto
quella della rete di appartenenza e di specializzazione. E queste reti possono – esse sì – crescere di scala, diventando metropolitane. Basta avere nuovi occhi, per vedere questa necessità.
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La nuova formazione: linguaggi e idee per costruire il
futuro
Del resto, questo fa parte della smaterializzazione del valore: i
prodotti materiali vengono fatti in fabbrica o dal sistema tecnico. Le idee invece devono essere frutto della creatività della
gente e questa deve essere il primo obiettivo della formazione,
oggi. Certo le nostre scuole e la nostra Università non sono
ancora entrate in questa prospettiva, ma dovranno farlo. Se le
imprese cominciassero a chiederlo con pazienza e determinazione, la foresta pietrificata, forse, potrebbe cominciare a
muoversi, accelerando con il suo movimento l’innovazione
creativa in tutto il resto.
Questa trasformazione dei nostri sistemi produttivi non può
attendere, è necessaria. E richiede un tipo di sapere nuovo, e
dunque uomini e processi formativi nuovi. Bisogna mettere in
rete l’intelligenza fluida delle persone, sviluppando linguaggi
che consentano loro di fare economie di scala (da specializzazione e condivisione delle conoscenze) senza perdere quell’aderenza al concreto, al caso unico, che è richiesta dalla flessibilità e creatività del servizio e delle idee proposte al cliente.
C’è un grosso investimento da fare anche nel campo dell’ICT,
in quanto è il modo con cui la piccola impresa può parlare con
tutto il mondo a condizioni poco costose.
C’è un investimento da fare nella progettazione dei prodotti,
per legarli meglio alla propagazione delle idee di cui dovrebbero diventare i vettori.
A questo punto, si può riepilogare il nuovo ruolo che tocca alla
formazione.
Cosa deve fare? Come deve cambiare per aderire a queste esigenze, diventando un fattore che contribuisce a generare il
nuovo (guadagnandoci qualcosa)?
In estrema sintesi, deve adeguarsi alle esigenze di cambiamento professionale da realizzare nel corso dei prossimi anni,
man mano che le nostre filiere diventeranno più globali e più
immateriali.
Prima di tutto, deve ripensare se stessa in base agli stessi criteri
che abbiamo visto per i settori produttivi. Dopotutto, se l’economia diventa immateriale, tutti i settori cominceranno ad essere
produttori di conoscenza e di relazioni, prima che produttori di
prodotti materiali. Dunque la formazione cesserà di essere un
sistema “strano”, anomalo, dove valgono leggi e soluzioni che
non sono applicabili a chi produce e vende abiti, mobili o detersivi. Ma se questi produttori ci dicessero che loro non vendono
affatto abiti, mobili e detersivi, ma vendono idee sugli abiti, sui
mobili e sui detersivi. Idee che poi accompagnano con la fornitura del prodotto materiale (qualche volta), ma che devono sempre di più essere prodotte e vendute di per sé, in filiere globali e
immateriali dove il valore sta nei significati che vengono proposti e accettati. Non è così anche la formazione?
Dunque niente più trattamento speciale: cominciamo a dire
che la formazione deve applicare a se stessa quelle modalità di
accesso, creatività e moltiplicazione che dovrebbe “insegnare” ai suoi clienti. Basta pensarci un po’, per rendersi conto di
quanto il mondo della formazione di oggi sia lontano da questo modello. Accesso? Ma quando mai la formazione ha sviluppato quella organizzazione a rete estesa, che consente la
specializzazione reciproca tra specialisti che possono così fare
economie di scala ed investire in competenze sempre più focalizzate e rare? Creatività? Ma dove sono le reti che consentono
di condividere l’intelligenza fluida delle persone impegnate in
luoghi e in campi diversi nelle esperienze formative, aderendo
a percorsi di apprendimento, essendo unici, devono essere
trattati in modo flessibile e creativo. Moltiplicazione? E dove
sono le ICT, i marchi, le reti distributive, le reti di fornitura per
realizzare prodotti formativi con elevate economie di ri-uso
della conoscenza?
Insomma, per chi volesse prendere sul serio questo discorso,
l’agenda degli appuntamenti con la storia comincerebbe davvero ad essere fitta. Eppure, prima o poi, qualcuno lo dovrà
fare, i primi innovatori ci sono ma non è ancora sufficiente il
credito che viene dato loro.
Un salto di scala nei moltiplicatori degli usi
Terzo punto: la moltiplicazione degli usi. È assolutamente
necessario che le nostre aziende si attrezzino per recuperare i
moltiplicatori adeguati a competere in una economia globale
dove il valore delle idee “vincenti” è schizzato verso l’alto.
Perché, quando le idee incontrano i gusti di un mercato mondiale grande cinque volte quello continentale di un tempo, o
cinquanta volte quello nazionale a cui tante aziende sono
ancora legate, c’è un salto di scala che bisogna comunque realizzare.
Non basta più, infatti, avere 10 clienti o 10 fornitori nel
distretto: le reti di outsourcing e della distribuzione/vendita
devono diventare esse stesse globali per tutte le aziende, anche
quelle che sono rimaste finora a scala locale.
Intendiamoci: la moltiplicazione della scala degli usi per due o
tre volte non deve necessariamente avvenire immaginando
che ciascuna delle nostre aziende raddoppi o triplichi la propria dimensione (ossia: il proprio mercato, il proprio circuito
di fornitura, la propria rete di vendita, il proprio capitale investito, il proprio fabbisogno finanziario con nuovi finanziatori
annessi). Sarebbe velleitario e controproducente. La crescita
dimensionale delle aziende è un processo delicato che non va
forzato: caso per caso, ogni azienda deve decidere di quanto le
è possibile e conveniente crescere.
E allora?
Quelle che devono crescere, però, non sono le singole aziende,
ma le filiere. Se c’è da raddoppiare il bacino di uso della conoscenza (che è il moltiplicatore di valore per eccellenza) lo si
può fare raddoppiando la filiera, ossia sviluppando sia le
imprese esistenti, sia nuove imprese specializzate che vanno a
fare le cose nuove, che i vecchi produttori poi compreranno. È
la dimensione della filiera, e la sua estensione geografica e
trans-settoriale, che conta: è questa estensione, infatti, che – se
la filiera è affidabile per i singoli componenti – induce le
aziende a specializzarsi e fa nascere nuovi specialisti per le
funzioni che non ci sono ancora, a scala globale (distributori,
operatori logistici, esperti del management in rete, certificatori della qualità, giuristi competenti in diritto internazionale o
in sistemi giuridici di altri paesi, specialisti della gestione dei
marchi, comunicatori, servizi ai clienti ecc.). Tanti mestieri
nuovi, tanti servizi nuovi. Se la filiera cresce, avranno la specializzazione e la scala (in termini di ri-uso delle conoscenze)
necessaria per competere sul mercato globale, anche con
imprese molto più grandi di loro, ma non necessariamente
dotate di maggiori economie di scala nell’uso della conoscenza. Chi vende la sua competenza specialistica a 100
clienti, infatti, ha la scala (cognitiva) pari alla somma della
domanda dei 100 clienti serviti. Anche una piccola impresa
molto specializzata, che fa parte di una filiera molto estesa,
può avere, in questo senso, grandi economie di scala.
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Eppoi bisogna adeguare i contenuti alla nuova mission formativa. Vediamo i diversi campi in cui il nostro discorso può arrivare a conclusioni applicabili al problema formativo.
Prima di tutto, la formazione non deve concentrarsi sulla trasmissione della conoscenza tecnica (problem solving), ma, per
quanto detto, deve sviluppare la conoscenza e competenza
intellettuale (problem setting) degli uomini che saranno chiamati ad affrontare problemi tecnici. Cosa che, in una situazione complessa come l’attuale, richiede una buona pre-comprensione del mondo, per fissare i termini del possibile problema da affrontare. Secondo il detto: niente è più pratico di
una buona teoria.
Poi, seconda cosa, c’è sempre più bisogno di specializzazioni
(per le economie di scala) ma purchè siano concepite e praticate in modo da essere reversibili. Basta con le specializzazioni permanenti che durano una vita e non consentono di
capire niente di tutto il resto della filiera. E basta, anche, con il
tormentone “culturalista” che premia sempre il sapere generalista fine a se stesso, che non si sporca mai le mani con i problemi (salvo poi scoprire che il lavoro è un’altra cosa e che la
pratica, quella sì che conta). Basta soprattutto con le infinite
dispute, del tutto fuori luogo, tra i fautori dello specialismo e
quelli del generalismo.
Specializzazioni e sapere generale sono da vedersi come due
facce della stessa medaglia. Se il sapere generale non viene
sviluppato per negare le specializzazioni, ma per renderle
reversibili. Facilitando il loro continuo sviluppo sperimentale
in campi nuovi.
C’è bisogno di basare tutte le specializzazioni reversibili che
esplorano i vari campi del sapere, specialmente quelli nuovi,
su uno “zoccolo duro” di sapere umanistico e generalista, che
aiuta a interpretare come va il mondo, situando i microeventi e
i microsaperi in un solido quadro generale. È l’esistenza di
questo quadro che consente di sviluppare molte specializzazioni reversibili (piccole), di impegno limitato, che permettono di fare oggi una cosa rapidamente e domani di disfarla e
farne un’altra, sempre rapidamente. Se poi c’è bisogno di una
specializzazione hard, che non si può affrontare direttamente,
allora bisogna ricorrere allo specialista esterno, che presidia
un campo realmente diverso dal nostro. Il sapere generale sarà
essenziale per stabilire le premesse dello scambio, che consente di situare il nostro problema nel suo campo visivo e il
suo sapere nel nostro.
Terza cosa: abbiamo bisogno – per fare tutto questo – di passare dal teaching al learning e cioè pensare a formare in autoapprendimento assistito, dove il formatore aiuta chi apprende
da sé in modo personalizzato. L’auto-apprendimento è un percorso personale, dove il “discente” non ha un ruolo passivo
(sarebbe meglio chiamarlo in un altro modo) ma attivo. È lui
che elabora idee, progetta gli obiettivi da realizzare alla fine
del percorso, investe il suo tempo (e talvolta il suo denaro),
assumendosi i rischi in merito all’utilità dell’investimento
fatto e ovviamente rivendicando a se stesso il potere di decidere dove andare e quali step fare, di volta in volta.
E il formatore? Diventa un consulente/assistente di chi va avanti
nel suo percorso personalizzato di auto-apprendimento: lo aiuta
a chiarirsi preliminarmente le idee, a superare certi ostacoli in
corso d’opera che si possono trovare, fornisce i test necessari
per vedere se l’apprendimento ha superato certe tappe. Un ruolo
importantissimo, di servizio. Ma senza potere: non è lui che
disegna il percorso formativo, non è lui che stabilisce cosa si
deve fare e cosa si deve sapere. Non è lui che dà un voto certificando il superamento di certi filtri prestabiliti dall’alto.
Nasce qui un problema di costi. Se la formazione diventa un
processo personalizzato, una sorta di consulenza fornita alla
singola persona che apprende, quanto verrà a costare?
Resistiamo alla tentazione di dire che non si può andare al di
là dello standard per ragioni di contenimento dei costi. Infatti
questo è vero solo se immaginiamo che le attuali strutture formative, pensate per fornire prodotti abbastanza standard o
comunque che si rivolgono a classi di venti, cinquanta allievi,
si mettano a fare formazione one-by-one, con risultati economici disastrosi.
Se si cambia l’obiettivo, bisogna anche cambiare la struttura,
rendendola flessibile e dunque personalizzabile a basso costo.
Come? Prima di tutto sfruttando di più l’intelligenza autonoma dell’utente che molte cose può essere “aiutato a farle da
sé”. In secondo luogo creando comunità epistemiche e professionali in cui l’utente può essere “aiutato a condividere la
conoscenza con altri”, rendendo per così dire docenti i suoi
pari. E lui nei loro confronti. Ma, accanto a queste soluzioni,
rimane la necessità di mettere in rete l’intelligenza fluida di
specialisti che possono fornire servizi formativi di qualità
anche al di fuori di circuiti classici di aula e delle sequenze
prefissate di lezioni. Fino a che la formazione pensa alla sua
organizzazione produttiva in termini sequenziali e rigidi,
modello fabbrica fordista, la flessibilità dei processi rimane un
obiettivo irraggiungibile. Ma proviamo a pensare ad un altro
modo di organizzare i processi e le aziende formative.
Mettiamo in rete le competenze, aumentiamo le specializzazioni reversibili e lo zoccolo duro comune che consente a
un’azienda di formazione di mobilitare, ogni volta che serve,
una rete pre-organizzata di fornitori che non forniscono quei
contenuti e quel servizio solo ad un cliente, ma a dieci, cento,
mille potenziali utilizzatori.
Le ICT possono essere strumenti formidabili a questo
riguardo. Peccato che per ora siano stati usati non per mettere
a rete l’intelligenza fluida dei formatori e dei discenti, ma per
fare corsi (come gli altri) a distanza, concentrando la loro utilità su un aspetto logistico. Cosa che li ha resi corsi di serie B,
ad interazione limitata, invece di corsi più avanzati e coinvolgenti degli altri.
Molte cose possono essere fatte, se si cambia gli occhi con cui
si guardano i problemi formativi. Cambia la mission, dicevamo: bisogna aiutare i nostri clienti a scoprire la loro strada,
la loro vocazione, a prendersi i rischi conseguenti esplorando
con lui il nuovo. E questo modo di vedere le cose richiede,
lungo il percorso, tolleranza verso gli errori. In una esplorazione quello che conta è andare avanti con il viaggio, anche
quando si scopre che gli eventi o i risultati sono sorprendenti,
inattesi. O forse frutto di un errore.
Non si può prendere sempre la strada giusta. Talvolta ci si
trova a girare a zig zag, seguendo venti che cambiano giorno
per giorno. È importante che chi è partito per una esplorazione
a cui dedica tempo, denaro e attenzione sappia qual è il suo
porto finale di arrivo. Avendo la pazienza – insieme al formatore – di aspettare che il vento spiri a favore. Prima o poi, ci
dice Seneca, succederà.
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DEL
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Premio ASFOR alla Carriera
Assegnazione del “Premio ASFOR alla Carriera” ad Alberto Bombassei,
Presidente del Gruppo BREMBO S.p.A. e Vice Presidente Confindustria
per le relazioni industriali e gli affari sociali
zato una cena per incontrare i tre segretari nazionali del sindacato e poi qualcuno di loro ha telefonato per disdire. Così
abbiamo trasformato la cena in aperitivo.
È stato comunque proficuo perché almeno abbiamo fissato, per
la prima volta dopo 4 anni, un calendario su argomenti precisi e
un gruppo di lavoro che, giovedì 21, inizierà finalmente a lavorare. Quindi, anche senza la cena il bilancio è stato positivo.
V – Glielo volevo chiedere, perché volevo fare il figo anche
io, perché si è parlato tanto di giornali stranieri: il Finalcial
Time quando intervista qualche top manager o imprenditore,
mette “lunch with” e poi mette anche il menu. Allora glielo
volevo chiedere che menu avete fatto, perché ieri siamo stati
tutti un po’ frastornati.
Io, ieri mattina, ero appunto cronista di campagna, ero a
Cremona e c’era il Presidente Montezemolo, e gli stati generali
Confindustria Lombardia, e ha detto basta con le meline e poi
ieri in redazione, guardo le agenzie e c’è Angeletti che dice “no,
io ceno a casa mia, non vado a cenare con quelli lì”. Quelli lì
non eravate voi? No, erano gli altri, i suoi compagni. Ma ci racconti qualche pettegolezzo, tanto siamo qui fra amici…
B – Francamente non c’è molto da raccontare, ma brevemente...voi sapete che dopo un mese dall’elezione di Montezemolo
a Presidente di Confindustria avevamo fatto un programma per
innovare il sistema delle relazioni industriali che credo nel
nostro Paese abbia bisogno di una revisione massiccia perché è
in vigore ormai da 30 anni: nel frattempo, il mondo è cambiato
in maniera radicale, tutte le regole sono cambiate, le industrie
sono cambiate; i concorrenti sono aumentati e nuove nazioni si
stanno sviluppando, diventando produttori a basso costo.
Abbiamo iniziato nel 2004 a chiedere al sindacato di innovare
il sistema delle relazioni industriali. E finalmente, dopo molti
tentennamenti, riunioni e rifiuti dei tre sindacati siamo riusciti,
noi e loro, a fissare una tabella di marcia. Speriamo che sia la
volta buona.
V – Benissimo, siccome qui siamo tra i formatori, io tra i consulenti, parlando con uno di loro mi diceva, “ma sai qual è il
segreto di Bombassei? non è tanto quello che lui fa 35 milioni
di dischi – o quanti ne fate – perché più o meno sono capaci
tutti – ovviamente esagerava – il problema è che li fa tutti
uguali, con un livello di qualità eccellente”.
C’e un segreto? Qualcuno dice che sia il... Sim?
B – È la domanda che mi fanno spessissimo. Ma quale è il
segreto della Brembo? I componenti di successo di un’azienda
sono estremamente semplici.
Per primo la grande dedizione: quindi essere convinti veramente di quello che si fa, avere un target di business a volte
semplice, ma anche un sogno. Quando abbiamo iniziato, la
Brembo occupava 5/6 persone, disegnavano con il tecnigrafo,
ma sognavamo già allora di fare i migliori freni del mondo, e in
qualche caso ci siamo anche riusciti. Brembo fornisce la Ferrari
in F1 dal 1975. Ovviamente non c’è solo la Ferrari. Siamo presenti nelle competizioni con quasi il 70% del mercato, quindi
dal Moto GP alla F1, ai campionati americani e giapponesi.
Presentazione
Luigi Pieraccioni,
Presidente ASFOR
L’Associazione, a partire dal 2003, ha deliberato di conferire ogni
anno il “Premio ASFOR alla Carriera” per premiare una personalità italiana che si è maggiormente distinta nel campo della formazione e delle scienze manageriali e dello sviluppo d’impresa.
Per la VI Giornata della Formazione Manageriale ASFOR, il nostro Consiglio Direttivo ha deliberato all’unanimità di conferire il
Premio alla Carriera 2008 ad Alberto Bombassei, Presidente
del Gruppo BREMBO S.p.A. e Vice Presidente Confindustria per
le relazioni industriali e gli affari sociali, per l’importante ruolo
esercitato nello sviluppo economico e sociale del nostro Paese.
In particolare si è ritenuta importante l’azione svolta:
• per il rilancio e la competitività dell’industria italiana, attraverso innovativi investimenti in tecnologie e nelle attività di
ricerca e progettazione
• per aver investito con grande capacità e innovazione nello sviluppo delle Risorse Umane nel Gruppo Brembo, attraverso una
politica di attenzione agli aspetti legati al ruolo sociale dell’impresa. Temi ben evidenziati attraverso il “Codice Etico” e il
“Bilancio del Valore Economico, Ambientale e Intangibile del
2006” che con efficacia ha delineato la strategia e il modello di
riferimento. Scelte che hanno visto il Gruppo Brembo ricevere
importanti riconoscimenti anche in ambito internazionale
• per aver sottoscritto e sviluppato importanti accordi di collaborazione con Università, Centri di Ricerca e Scuole di
Management e Istituzioni di Alta Formazione e realizzato il
Polo Tecnologico e di Ricerca “KM Rosso”
• per aver svolto quale Vice Presidente di Confindustria una sempre attenta azione di rafforzamento delle politiche di valorizzazione del Capitale umano, leva strategica per la competitività
internazionale e globale del nostro Sistema economico.
Desidero ringraziare il Presidente Bombassei per aver accettato il Premio e il nostro invito a partecipare ai lavori della
Giornata, nonostante i pressanti impegni legati alla guida del
Gruppo Brembo e al suo ruolo istituzionale in Confindustria.
Ringrazio il giornalista Franco Vergnano de Il Sole 24 Ore, al
quale cedo la parola, che condurrà l’intervista ad Alberto
Bombassei e che saprà sicuramente mettere in luce le qualità
imprenditoriali e le doti umane che caratterizzano il Presidente.
Intervista ad Alberto Bombassei da parte
di Franco Vergnano, giornalista de “Il Sole
24 Ore”
Vergnano – … ha cenato bene ieri sera?
Bombassei – In realtà ho saltato la cena per una ragione molto
semplice: fino alle quattro del pomeriggio avevamo organiz23
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modelli di automobile che nei 90 anni precedenti. Allora, di
fronte a questo mondo che si trasforma, ciò che è materia ha
molto meno valore. Oggi il vero valore di un prodotto è
quello del valore intangibile. E quello non è che lo si può
comprare. Non si va al supermercato a comprare know-how,
una tradizione, quella creatività che è uno dei pochi valori
che invece abbiamo nel nostro DNA italico, soprattutto, ma
direi anche mediterraneo.
Siamo fra i paesi con la maggior creatività nel mondo. Non è
vero che siamo in crisi. Se guardiamo i dati statistici, 2006 e
2007 sono stati anni record di esportazioni in quantità e in
qualità, quindi anche in valore. A noi manca il metodo. Se si
associa la creatività alla metodologia, e quindi alla ricerca, e
quindi alla formazione, è chiaro che viene fuori una formula
vincente.
Il valore più grande che noi abbiamo sono le risorse umane. E
quindi è qui che dobbiamo investire. Dobbiamo riformare e
dare più qualità alla scuola, alle università; va fatta formazione continua nelle imprese, nelle industrie piccole, o medie
che siano.
Ma, mentre nella dimensione medio grande si spende in formazione nella media degli standard europei, sono le imprese
più piccole che hanno più difficoltà ad avvicinarsi al mondo
scientifico e quindi ad avere un rapporto normale con le
Università, che per definizione sono depositarie della conoscenza.
È stato importante che Confindustria abbia ottenuto la parziale
defiscalizzazione delle commesse affidate dalle imprese
all’Università. È forse un modo forzoso di incentivare un colloquio, che avviene in tutto il mondo industriale e civile, fra
industria e università e che da noi non è avvenuto per colpe, io
penso, di tutte e due le parti.
Adesso la defiscalizzazione è passata dal 15% al 40%, sperando che così si possa avviare un processo che dia maggior
contenuto intellettuale ai prodotti. Purtroppo fatte 100 le
nostre esportazioni, soltanto il 13-14% è costituito da prodotti
considerati hi-tech. Vuol dire che nel breve e medio periodo,
noi siamo destinati a perdere ulteriori quote di mercato.
Quindi la vera sfida è quella di riuscire a cambiare la nostra
tipologia di produzione.
Io credo che in questi ultimi anni qualcosa si sia mosso, credo
che le imprese, gli imprenditori piccoli o medi che siano, si
siano rimboccati veramente le maniche, abbiano ricominciato
ad investire. Ritornare ad investire è uno degli elementi che
incrementano, oltre che la competitività, anche la produttività.
E questa è l’unica strada per risolvere il problema salariale.
V – Ci dica qualcosa su quello che fa la Brembo.
B – L’innovazione è l’anima dell’azienda, il vero fattore di successo.
Da poco abbiamo realizzato in sintonia con la nostra filosofia
un Parco Scientifico. Abbiamo approfittato di un’area
dismessa vicino a Bergamo, e lì abbiamo fatto crescere
“Kilometro Rosso”, dove abbiamo collocato tutta la parte di
ricerca e sviluppo del nostro Gruppo. Vi lavorano già oggi più
di 600 persone, ma si sono installate altre aziende, come
Italcementi, con il nuovo centro di ricerca e oltretutto con un
bellissimo progetto architettonico di Richard Meier, il nostro è
stato fatto da Jean Nouvel. C’è il Mario Negri, c’è l’Università
di Bergamo, c’è una joint-venture con il Gruppo Mercedes per
la ricerca sul carbonio ceramico. Insomma si fa innovazione.
Andando a guardare esperienze estere, non tanto quelle ameri-
Mi creda, quella delle competizioni è una palestra incredibile
di innovazione. In questo settore dobbiamo dire a un ingegnere: progetta qualsiasi cosa, spendi ciò che è necessario per
i materiali migliori, basta che il prodotto sia talmente innovativo da permettere a un team di girare a un centesimo di
secondo in meno del suo avversario. È una libertà di progetto
che è veramente di pochi. E poi spesso le innovazioni si trasferiscono sulla produzione di serie.
V – Lei ha detto che la F1 è stata da traino anche per le produzioni in serie. In futuro sarà ancora così oppure no? Perché
io so che lei fa cose stranissime. Per esempio lavora con il
Mario Negri. Cosa c’entrano i farmaci con i freni in ghisa?
B – Vede, l’Istituto Mario Negri studia, tra l’altro, la dinamica
del sangue nel sistema circolatorio. Noi studiamo la dinamica
dei fluidi nel circuito frenante. Quindi collaboriamo; può
capire da questo esempio che cosa significa avere da sempre il
concetto dell’innovazione. È stato così sin dall’inizio della
Brembo. Abbiamo sentito da molti oratori che l’innovazione
non è solo di prodotto, o di processo, è un approccio mentale
rivolto alla ricerca del nuovo e anche a continui adattamenti
organizzativi. Questa voglia quasi maniacale di fare cose
migliori, o nuove ci ha consentito di progredire e visto che i
nostri concorrenti sono aziende molto qualificate e anche, in
alcuni casi, molto più grandi di noi, ci ha consentito di conquistarci posizioni via via più importanti. Al punto che oggi
siamo leader in tanti settori, come in quello delle vetture sportive, del lusso, o anche nei veicoli meno illustri, quelli commerciali, dove abbiamo più del 60% del mercato europeo.
Non solo limitatamente ai dischi, ma anche per l’impianto frenante completo, esclusa la parte elettronica. E così in un certo
numero di anni siamo passati da una azienda di 5 dipendenti
agli oltre 5.700 di oggi, con stabilimenti in 9 paesi nel mondo.
E per la prima volta, con la chiusura del bilancio 2007,
abbiamo più dipendenti fuori dall’Italia che in Italia.
V – Quindi è vero anche per voi, quello che diceva Rullani,
anche se prima lui lo diceva per le piccole aziende. Ma probabilmente è vero anche per voi su scala multinazionale …
B – Io ho un’idea un po’ diversa. Credo ci sia una interpretazione
un po’ diversa su quello che è il sistema delle imprese oggi nel
nostro Paese. Il 98,5% delle aziende italiane ha meno di 50
dipendenti. Se queste aziende ascoltassero i bellissimi esempi
che sono stati fatti di Boeing, Caterpillar e di Cisco, francamente
si spaventerebbero. Noi abbiamo una realtà molto diversa. E
quindi quando facciamo esempi cosi importanti, rischiamo che
l’imprenditore di Abbiategrasso, o delle valli bergamasche, o
bresciane non si identifichi. Lo sforzo deve essere di colloquiare
con i piccoli o medi imprenditori, convincerli che la formazione
è una condicio sine qua non per sopravvivere, per avere un
futuro. Convincerli che introdurre dei manager in aziende familiari è una condizione necessaria per dare continuità.
V – Allora il piccolo non è il più bello.
B – La sfida è quella di trasformare il nostro sistema industriale, che è fatto di piccole imprese, in imprese che devono
nascere piccole, ma che devono crescere. L’errore è stata la
scelta di rimanere piccoli, perché si confonde la famiglia con
l’impresa. Oggi questo atteggiamento non ha più molto
senso, in un mondo che è radicalmente cambiato. Vi do due
dati che mi hanno fatto meditare: per fare il primo milione di
brevetti ci sono voluti quasi 100 anni, il secondo milione è
stato fatto in 7 anni. Questo per dire il grado di accelerazione
dell’innovazione. Negli ultimi 10 anni si sono realizzati più
24
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sondaggio: abbiamo chiesto ai nostri lettori del sito de “Il
Sole 24 Ore”, dove si riconoscevano: se nelle aziende italiane
o in quelle giapponesi. Ebbene, 8 su 10 si riconoscevano perfettamente nell’azienda italiana, nel senso che questo voleva
dire che probabilmente le aziende italiane non hanno l’organizzazione piatta come ad esempio alla Toyota, ma c’è invece
un’organizzazione un po’ più ridondante.
Ora, Brembo a parte, lei si riconosce in questa storiella? E
come mai così tanti ci hanno, in qualche maniera, risposto
mandandoci centinaia di commenti sul sito, mentre invece
quando pubblichiamo le tabelle, le matrici bellissime tutte
raffinate, limate.. nessuno risponde?
B – Devo dire che abbiamo questa mania di autoflagellazione,
e quindi tutto quello che è negativo lo enfatizziamo. Io invece
mi sono un po’ riconciliato con il Paese. L’esperienza trentennale nel solo settore metalmeccanico, si è arricchita con il mio
incarico in Confindustria. Ho avuto modo infatti di conoscere
la realtà industriale italiana dal nord al sud e francamente devo
dire che ci sono centinaia di bellissime imprese, anche piccole, che sono esempi di eccellenza, purtroppo sconosciute. E
quindi, quando c’è qualcosa di negativo – ad esempio il caso
Parmalat – si riempiono giornali; silenzio invece quando c’è
qualche buon esempio da raccontare. Ma soprattutto immagino gli esempi che dovrebbero esser dati ai giovani per dire
loro: “guarda che oggi puoi fare delle cose eccelse”. Se uno si
impegna, se crede nella meritocrazia ci sono grandi possibilità
anche in un Paese come il nostro, con tutti i difetti che possiamo avere.
Mi creda, ci sono eccellenze incredibili, poco conosciute e
poco diffuse. Quindi il compito dei media dovrebbe proprio
essere anche quello di far conoscere anche qualche esempio
positivo.
Come per un altro luogo comune: la critica sulla precarietà nel
lavoro dei giovani. Io rappresento imprese industriali, ebbene
in queste imprese il 96% dei dipendenti ha un contratto a
tempo indeterminato. Invece sembra che l’Italia sia il paese
dei precari. Andiamo a vedere: chi predica contro le imprese a
proposito di precarietà sono proprio quelli che razzolano
male. Mi riferisco al pubblico impiego, e in particolare a
scuola e ministeri. Allora, per favore, un minimo di coerenza.
Non può essere taciuto che la flessibilità del lavoro esiste in
tutto il mondo. Noi, tra l’altro, siamo il Paese con il tasso più
basso in Europa di coloro che hanno un contratto a tempo
determinato. Ad esempio la Spagna, che spesso viene presa
come modello di buona organizzazione del lavoro, ha un tasso
di occupazione a tempo determinato che è 3 volte il nostro.
V – A proposito di Europa, il problema di riformare il mercato del lavoro se lo stanno ponendo tutti, la Flexicurity, ecc.
Sta emergendo questo modello francese che, accanto ai due
poli di licenziamento collettivo o singolo e dimissioni, sta
introducendo, l’ha fatto Confindustria francese con i sindacati, questo modello di interruzione come dire... concordata,
di matrimonio, divorzio consensuale, quindi introdurre questa terza via. È un sistema che darebbe alcuni vantaggi anche
dal punto di vista delle politiche attive del lavoro, nel senso
che consentirebbe da una parte all’azienda di non avere più,
evidentemente quando non lo può avere a suo carico il lavoratore, però il lavoratore manterrebbe alcuni diritti, ad esempio il diritto alla formazione, il diritto di essere allocato, e
per un certo periodo c’è anche una parte di assicurazione
medica ecc.
cane che spesso sono lontane dal nostro mondo reale, ma
soprattutto quelle nord europee, si osserva che spessissimo
aziende svedesi, finlandesi e norvegesi o danesi, hanno avuto
un grande successo a livello mondiale, e sono nate in gran
parte da parchi scientifici. Parchi scientifici dove si mettono
insieme esperienze molto diverse. Io lavorando fra il metalmeccanico e l’automobilistico, ho una cultura limitata al mio
settore. E spesso e volentieri, nel parlare con i dirigenti del
Mario Negri, ci siamo accorti, come ho accennato prima, che
sia noi sia loro avevamo commissionato all’Università una
ricerca sulla fluidodinamica. A noi la fluidodinamica serve per
esaminare il comportamento dei fluidi negli impianti frenanti;
mentre il Mario Negri la stava esaminando per il flusso sanguigno del corpo. Due studi che sono comunque molto simili,
seppur con obiettivi molto diversi. Questo per dire che da esigenze e obiettivi molto diversi possono nascere veramente
idee nuove. Potrei citare altri esempi, verificatisi nei parchi
del nord Europa, dove sono nati fenomeni come Nokia, o altre
aziende di rilevanza mondiale.
Io spero che Kilometro Rosso sia un acceleratore dell’innovazione nelle piccole e medie imprese. Desidero anche sottolineare che per il momento l’iniziativa non ha avuto un euro di
finanziamento da nessuno; quindi chi investe, investe sperando e pensando di avere un ritorno. Già a fine di quest’anno
avremo globalmente 1500 persone; l’obiettivo in 5-7 anni è di
avere 3000 ricercatori. Questo ci condurrebbe ad essere il
primo parco scientifico italiano.
V – Grazie per questa risposta articolata. Io quando ero
venuto qua mi ero ripromesso di non entrare in conflitto di
interessi, però le cose che mi ha detto lei, mi spingono a farlo.
Lei ha parlato, anche se sarò un po’ impopolare verso l’audience, lei ha iniziato parlando di cambiamento, di innovazione e poi è tornato sul cambiamento e suoi modelli.
Noi abbiamo una pagina, noi come Il Sole 24 Ore, dove ogni
domenica pubblichiamo a volte queste matrici ecc. e più o
meno non succede niente.
Dieci giorni fa, abbiamo pubblicato invece la vecchia storiella – che forse voi conoscete bene – quella della canoa e
della regata. C’è la regata tra l’equipaggio giapponese e
quello italiano. Vincono i giapponesi. Il perché, si chiamano i
consulenti a studiarlo: e si vede che i giapponesi avevano 7
rematori ed un capitano, mentre invece nell’equipaggio italiano c’erano 7 capitani ed un rematore. Quindi todos caballeros. Ma non basta, si va avanti, si fa la ristrutturazione: la
nuova organizzazione prevede 4 capitani, due supervisori, un
coordinatore dei supervisori ed un rematore. L’anno dopo si
fa la regata e si perde per 2 chilometri. Ma la storiella va
avanti e alla fine ovviamente viene licenziato il rematore per
scarso rendimento e vengono invece premiati i manager con
stock option ecc.
Ma perché ho raccontato questa storiella, che tra l’altro poi
voi ne conoscerete molte altre, ma per un motivo molto semplice: perché l’abbiamo messo anche nel nostro sito e questo
ci ha procurato una impennata dei cliccaggi delle visite al
nostro sito.
Quindi questo ci ha fatto vedere probabilmente che anche
nella formazione qualcosa deve cambiare. Probabilmente non
tutti hanno la panchina lunga con 4 AD, come il modello che
ci è stato proposto prima. Noi abbiamo anche avuto talmente
successo, cioè questo solo articolo ha fatto il 20% dei click,
come diciamo noi delle visite, che abbiamo fatto anche un
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Ecco io volevo chiederle se secondo lei una cosa di questo
tipo potrebbe avere cittadinanza in Italia, o se voi state pensando a cose completamente diverse, magari migliori, magari
più adatte a noi, oppure se questo tipo si può adattare.
B – No, francamente stiamo pensando a qualcosa di diverso
dal modello francese, che tra l’altro è ancora una proposta che
ho seri dubbi possa passare.
In Italia si fa peccato anche solo a pensare all’articolo 18, ma
in Paesi civilissimi, come gli Stati Uniti e tanti altri, la possibilità di licenziare c’è. Non la trovo di per sé una cosa così scandalosa. Credo che non sia realizzabile in questo momento nel
nostro Paese per una ragione molto semplice: non abbiamo
validi ammortizzatori sociali. Quindi se una persona, magari
di mezza età, capo famiglia, monoreddito, perde il posto di
lavoro, soprattutto in zone dove il tasso di disoccupazione è
alto: il problema sociale è serio.
Ora, io credo che la strada sia quella di scegliere un modello,
magari con riferimento a quello danese o scandinavo, o spagnolo. L’importante è non prendere una parte del modello, che
più conviene. In tutti i Paesi che ho citato c’è libertà di licenziamento. Prendiamo la Danimarca: si può licenziare il dipendente, che però ha diritto, per quasi 2 anni, a percepire circa
l’80% del suo salario, con due impegni: uno di fare immediatamente formazione per cercare un reimpiego il più velocemente possibile nel sistema, e secondo, se la persona rifiuta un
lavoro di pari dignità o di pari livello, perde tutti i benefici.
Regolina che sarebbe estremamente facile da applicare, ma
che faccio fatica ad immaginare possa essere accettata in
Italia. C’è indubbiamente un vincolo di mezzi: gli ammortizzatori sociali sono stati modificati e rifinanziati a luglio con
l’ultima finanziaria, ma credo non siano ancora sufficienti per
garantire un passaggio del genere. Credo che nel momento in
cui avremo gli ammortizzatori sociali adeguati, si potrà aprire
un discorso diverso anche sulla possibilità di licenziamento.
Oggi, con franchezza, non lo ritengo né giusto, né corretto.
V – Senta, lei ci ha detto fra le righe, che è un truce metalmeccanico – dicendo una piccola bugia – e ci ha detto che viene
dalla bergamasca, dicendo anche qui una piccola bugia, perché
la sua è una multinazionale. C’è però chi cresce, parlando dello
sviluppo, c’è chi teorizza, un collega di Rullani, dice è molto più
difficile svilupparsi dove si è già sviluppati. Cioè dove noi
abbiamo già avuto una crescita molto forte, c’è già una società
affluente, è molto più difficile continuare questa corsa. Però ci
avete spiegato, ormai è diventato dibattito comune, che senza
crescita non ci sono risorse disponibili per nessuno.
Questo fatto… di alcune ricerche, ci dicono ad esempio che
quando si va nei distretti a parlare di sviluppo, c’è una percentuale accanto alle due cifre, addirittura che non vuole lo
sviluppo. Secondo lei, cosa si può fare per, in qualche maniera, accelerare questo sviluppo?
B – Io non credo che ci sia questo approccio culturale nei
distretti. Forse in alcuni. Comunque il fenomeno dei distretti
ci viene invidiato in tutto il mondo. Vengono a studiarlo
anche dagli Stati Uniti. Sono convinto che sia un fenomeno
estremamente positivo. Tenga poi presente che ormai il tema
della crisi dei distretti è in parte superato, perché ne sono
rimasti pochi che si possono definire tali. Ci sono infine
distretti che si sono evoluti, cioè sono diventati un sistema.
Dimentichi le immagini del terzista che produce nello scantinato, qualche volta in nero, o qualche volta senza nessuna
cognizione. E non è più neppure tanto vero che il territorio
possa beneficiare del sapere radicato nella tradizione. Oggi le
tecnologie sono cambiate, l’innovazione, la scolarità condizionano la realtà dei distretti. Senza questi supporti i distretti
non esisterebbero più. Invece esistono eccome. Francamente
la mia stessa azienda, era nel sistema dell’automobile italiano
un componentista. Oggi non siamo più i componentisti a
livello italiano, ma lo siamo a livello mondiale. Ma sono tanti
i casi analoghi.
Quindi il modello dei distretti va ripensato alla luce di ciò che
rappresentano oggi innovazione e ricerca. E la ricerca si può
pure affidare a chi la fa per “mestiere”. È più facile che
un’azienda di 20 persone dia una commessa a un’Università,
piuttosto che assumere un ricercatore tutto fare.
Mi dispiace parlare ancora di “Kilometro Rosso”, ma in questo parco siamo stati promotori di un consorzio della meccatronica, al quale hanno aderito, nel giro di pochi mesi 24
aziende, oltretutto non solo locali, ma del Veneto; il Centro
ricerche Fiat, e altre.
Si fanno ricerche su alcuni temi – adesso abbiamo 6 ricercatori – che vanno ad impattare ovviamente su un settore molto
più vasto del territorio e va a vantaggio di molte aziende. Non
è soltanto una grande azienda che fa una commessa per fare
una ricerca, ma è una ricaduta che va sul territorio. Credo che
questi possano essere esempi da imitare. Ripeto, non abbiamo inventato niente, ma siamo solo andati a vedere quello
che di meglio fanno gli altri e soprattutto quelli che lo fanno
bene.
V – Ci dicono che il tempo è finito. Io ho però ancora due
domande flash: è vero che vuol togliere il pedale del freno
dalle automobili?
B – Assolutamente no. Spero proprio di no…
V – C’è questa leggenda metropolitana che circola, che fate i
freni senza fili ecc…
B – Informazione un po’ deviata. Mi spiego. C’è un’evoluzione futura che si chiama brake by wire: i comandi del freno,
non saranno più meccanici. Oggi il freno è una composizione
fra meccanica e idraulica. Sotto il pedale del freno ci sono volgarissime pompe, che mandano il fluido in giro per le vetture.
Poi c’è quel dispositivo che si chiama pinza, una specie di
molletta dei panni che cerca di afferrare il disco che gira con la
ruota. Tutto ciò detto in modo semplice. Ebbene questo
sistema sparisce e sotto il pedale ci sarà un semplicissimo
potenziometro, che trasmetterà al sistema frenante un impulso
elettrico per attivare un motorino, anch’esso elettrico, per fermare il disco freno, attraverso pinza e pastiglie, come accade
oggi. Perciò via il fluido freni e il servo freno. Indubbiamente
sarà una semplificazione, che però è ancora qualcosa di futuribile. Intanto noi ci siamo trasformati da meccanici in elettronici e anche in piccoli chimici, perché abbiamo cominciato a
produrre dischi in carbonio ceramico, attività più da chimici
che da meccanici.
V – Un’ultimissima cosa: se Alberto Bombassei fosse un giornalista, che domanda farebbe all’ingegner Alberto Bombassei?
B – A che ora si va a pranzo?
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CONVEGNO A S F O R
Seconda Sessione
Trend evolutivi della formazione manageriale executive:
rapporto domanda e offerta
del tema dell’innovazione e della valorizzazione dei
talenti;
• i budget sono tendenzialmente stabili con segnali di riduzione soprattutto nella Pubblica Amministrazione;
• si è conclusa l’attesa di una forte crescita dell’e-learning,
aumenta, invece, l’attenzione per il coaching, l’action learning, l’outdoor;
• cresce il coinvolgimento, anche nelle attività didattiche,
dei manager interni;
• è diffusa l’esigenza di misurare i ritorni degli investimenti
in formazione, anche se, in molti casi, sono presenti difficoltà metodologiche e risorse limitate;
• le aziende chiedono ai loro fornitori (scuole di management,
società di formazione e consulenza, esperti) una maggiore
personalizzazione e innovazione dell’offerta formativa per
poter ottenere risultati in linea con le strategie aziendali;
• infine, per i responsabili di formazione è oggi fondamentale consolidare il ruolo di riconosciuto, credibile business
partner nella realizzazione delle strategie e nei processi di
cambiamento.
Mi sembra che i temi evidenziati siano di grande rilevanza e
attualità ed invito i partecipanti alla tavola rotonda ad esprimere il loro parere.
Relazione introduttiva del Chairman
Claudio Poli,
Past President ASFOR
È con grande piacere che presento i primi dati della terza indagine Osservatorio Learning Internazionale. Prima di dare la
parola agli autorevoli partecipanti alla tavola rotonda, consentitemi di condividere con Voi qualche riflessione, in qualità di
Past President dell’ASFOR, così da presentare l’ambito nel
quale la ricerca è stata ideata e realizzata.
Sin dalla sua fondazione, ASFOR ha sempre promosso le attività e i progetti di ricerca. Alla base di questo interesse c’è un
principio, molte volte condiviso, ma non sempre realizzato:
per fare una formazione di qualità, quella, cioè, in grado di
dare visibile valore aggiunto alle organizzazioni e alle persone, è indispensabile fare ricerca su quanto di nuovo accade
sia nelle imprese e nelle pubbliche amministrazioni sia nel
mondo della formazione.
Per l’intera comunità professionale interessata alla formazione è, infatti, necessario non soltanto fare, con regolarità, il
punto sullo “stato dell’arte”, ma anche individuare, con tempestività, le future sfide a cui la formazione manageriale è
chiamata a far fronte.
L’Osservatorio Learning Internazionale ha ormai acquisito un
carattere di unicità nel sistema italiano della formazione: da
tre anni, soddisfa un bisogno fortemente sentito da chi vuole
operare con livelli di eccellenza nel campo della formazione.
La nostra ricerca consente di effettuare un essenziale momento
di benchmarking su metodologie, contenuti e tendenze nella
formazione manageriale in Italia e all’estero, da un lato, per far
emergere prassi, scenari, trend, dall’altro, per suscitare un confronto idoneo a individuare e condividere le best practices utili
a migliorare la competitività delle organizzazioni.
In modo analogo a quanto avvenuto negli scorsi anni, nei
prossimi mesi, l’ASFOR organizzerà specifici incontri tra le
organizzazioni partecipanti e tutti coloro i quali sono interessati alla ricerca per condividerne i risultati e individuare gli
esempi di eccellenza.
Oggi vi presenterò alcuni dati che riguardano quarantuno
organizzazioni pubbliche e private italiane rappresentative
dello stato della formazione in Italia, molte delle quali stanno
fornendo un concreto supporto alla competitività delle organizzazioni e alle iniziative di innovazione.
A mio parere, questi sono gli aspetti più significativi emersi
dalla ricerca:
• pur in presenza di una buona integrazione tra responsabili
di formazione e manager di linea, occorre, in generale,
ancora migliorare la diretta collaborazione con i capi
azienda e con l’alta direzione;
• oggi, la formazione manageriale ha come priorità l’implementazione dei processi di cambiamento e lo sviluppo
delle competenze professionali e tecniche, mentre nei
prossimi tre anni è previsto un incremento dell’importanza
Trend della formazione internazionale
in Business
Carlo Maria Gallucci,
Ordinario di Marketing e Direttore Esecutivo dell’Area
Universitaria ESADE Business School
Buongiorno a tutti.
Ringrazio vivamente la ASFOR per questo invito.
Devo avvisare che, dopo 26 anni trascorsi all’estero, ho la rara
abilità di distruggere le lingue che parlo abitualmente e tra le
quali c’è l’Italiano. Vi chiedo quindi di scusarmi.
Ho preparato la presentazione in inglese, però parlerò in
Italiano, cercando di essere breve, per spiegare quali sono
secondo me le sfide e le opportunità future che dovranno
affrontare le scuole di Management.
Introduzione
Sin dalla metà degli anni ’90, la domanda mondiale di business education è aumentata costantemente provocando in
tutto il mondo l’offerta di molti programmi di management.
Questa domanda dovrebbe mantenersi stabile o crescere ulteriormente, soprattutto nei mercati ancora in via di sviluppo.
Nei paesi che stanno crescendo rapidamente il modello tradizionale di business school dovrebbe continuare a essere valido.
Invece, nei mercati maturi, esse dovranno evolvere per soddisfare un ambiente sempre più complesso e una domanda ogni
volta più esigente, tanto da parte degli studenti, come da parte
delle aziende e, in generale, delle organizzazioni.
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Sfide e opportunità
Network model
Il network model è, probabilmente, il più interessante, ma anche
il più complesso. Consiste nello stabilire più campus in diverse
parti del mondo, preferibilmente, in Europa, America e Asia.
Il rischio è quello di clonare una formula—sempre la stessa—
in diverse parti del mondo e, quindi, di non trarre beneficio
dalle differenze culturali dei luoghi dove vengono stabilite le
scuole della stessa organizzazione.
Oppure, ogni scuola è diversa, non si comunica con le altre e
non trasmette alle consorelle la propria esperienza e le caratteristiche che le sono più specifiche.
L’ideale è avere un modello comune, però arricchito dalle specificità locali, e con tutti i campus collegati tra loro per condividere tali differenze.
Evidentemente, anche il settore dell’educazione in management
subisce gli effetti provocati da un mondo sempre più globale.
Tra loro, la minore disponibilità di professori altamente qualificati.
Il bisogno di introdurre soft skills nel curriculum dei programmi, pur salvaguardando i corsi con base analitica e concettuale.
Gli effetti delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sull’insegnamento e sui metodi di apprendimento.
Il bisogno di raggiungere l’equilibrio finanziario dell’attività.
La convenienza di adottare strutture di governo più efficaci e
di scegliere le opzioni strategiche più adeguate.
Il bisogno di rinforzare la reputazione della istituzione e della
marca per assicurare una posizione competitiva nel lungo termine.
Disponibilità professori
Oggigiorno gli studenti sono meno interessati agli studi dottorali in Managemet e, quindi, i dottori disponibili per accedere
alla carriera accademica sono sempre meno.
Ciò fa che sia più difficile trovare professori da contrattare.
Come conseguenza, assumerli e trattenerli è ogni volta più
caro. Evidentemente, se quelli disponibili sono anche bravi e
conosciuti, il prezzo per averli è molto alto.
Ci sono meno dottorandi perché molti preferisco studiare un
master – per esempio, un MBA – perché permette loro di intraprendere una carriera professionale dal guadagno maggiore.
Per la stessa ragione, il 40% dei neodottori preferisce fare la
propria carriera nell’industria.
Pertanto, è necessario aumentare gli incentivi agli studi dottorali e, allo stesso tempo, reclutare dottori d’altre discipline
prossime (per esempio, Economia o Statistica). In parallelo,
potrebbero offrirsi dottorati speciali per dirigenti aziendali,
tipo il DBA americano.
Internazionalizzazione dell’educazione in management
Nella misura in cui le aziende diventano internazionali e
devono far fronte a una concorrenza globale, gli studenti e le
organizzazioni richiedono una educazione in business che
abbia una dimensione internazionale solida.
Cosa significa essere internazionale per una scuola di management? Esistono tre modelli di internazionalizzazione: Import
model, Export model e Network model.
Import model
Nel caso dell’Import model, la scuola attrae da altre parti del
mondo nel luogo dov’è stabilita gli studenti, i professori e i
dipendenti, e crea nell’ambito dell’istituzione un ambiente
internazionale.
Però spesso è necessario cambiare la mentalità del personale
già in organico e di estrazione locale. E riuscirci non è facile e
richiede molto tempo. Oltre tutto, la lingua predominante
diventa l’Inglese e, sovente, il personale originario non ha sufficiente dimestichezza con questa lingua.
Per tutto ciò, spesso è più facile fondare da zero una scuola
con vocazione internazionale, che far diventare tale una istituzione già esistente.
Comunque, con volontà, pazienza, una strategia chiara e azioni destinate ad armonizzare i rapporti tra coloro che già c’erano ed i nuovi venuti, è possibile riuscirci con grandi soddisfazioni per tutti.
Softer skills
Vari attori del mondo delle organizzazioni richiedono sempre
di più la incorporazione nei programmi dei cosiddetti “softer
skills”. Essi sono di due tipi: comportamentali e sociali.
I softer skills comportamentali includono la capacità di lavorare con gli altri, di saper comunicare con efficacia, di comprendere culture diverse, d’avere iniziativa e ottenere doti di
leadership.
Quelli sociali si riferiscono alla capacità di prendere decisioni
etiche di gestione che tengano in conto la responsabilità
sociale corporativa e lo sviluppo sostenibile.
Export model
L’Export model consiste nel mandare all’estero professori e
studenti.
Il vantaggio principale è esporli al contatto in situ con culture e
forme di vivere diverse dalle proprie, aumentando così l’esperienza e la visone internazionale sia degli uni che degli altri.
Il problema più ricorrente è che i professori senior, con l’età,
diventano sempre più reticenti a viaggiare con una certa frequenza. Nel caso dei professori giovani è una buona occasione
anche per stabilire rapporti con colleghi stranieri e migliorare
le reti di contatto personale.
Nel caso degli studenti, invece, e soprattutto tra quelli più giovani, trascorrere un periodo accademico all’estero in contatto
con coetanei di altre nazionalità, è sempre interessante. In
questo senso, programmi come l’Erasmus hanno facilitato
molto le cose e hanno aiutato a potenziare gli scambi accademici tra università straniere.
Tecnologie dell’informazione e della comunicazione
Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione
aiutano a rispondere alla globalizzazione del settore, alla mancanza di professori, ai clienti sempre più esigenti e offrono
soluzioni di apprendimento globali in tempi brevi.
Le possibilità sono tante. Per esempio, per mezzo di video
conferenze, la realizzazione di corsi on line (per individui o
per intere comunità).
Allo stesso tempo, le nuove tecnologie della informazione e
della comunicazione sono dei complementi ottimi al modello
didattico tradizionale basato nella presenza in aula.
Modelli di finanziamento
Il modello economico delle scuole europee è poco competitivo rispetto a quello degli americani.
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Per ragioni culturali e, a volte, legali, negli Stati Uniti i centri
accademici ricevono molti fondi da aziende, istituzioni e privati, soprattutto antichi alunni.
In Europa questo avviene poco. Così, mentre i concorrenti
americani possono finanziare lo sviluppo della ricerca e
dotarsi di fondi da dare agli studenti via borse di studio, in
Europa tutto questo spesso va fatto solo con i guadagli ordinari delle proprie scuole. Quindi, i mezzi disponibili per fare
ricerca e finanziare gli studi di persone con talento e/o con
problemi economici, rispetto agli Stati uniti sono certamente
minori, con la perdita della conseguente competitività.
Per migliorare la situazione, gli antichi alunni possono essere
di grandissimo aiuto. Se ben motivati, sono un buona fonte di
entrate alternative e possono collaborare validamente per la
ricerca di fondi privati.
Le reti di antichi alunni avranno un ruolo primordiale per il
successo sostenuto della loro alma mater.
Vista la poca reperibilità di professori buoni che possano
rispondere all’aumento della domanda educativa, bisognerà
associarsi con altre istituzioni, amiche e concorrenti allo
stesso tempo, per condividerli in forma part-time.
Allo stesso tempo, grazie alle nuove tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni, i professori e gli studenti non
dovranno essere sempre presenti fisicamente nel centro educativo.
Governo e scelte strategiche
Vladimir Nanut,
La qualità della formazione manageriale
in Italia
Vice Presidente ASFOR
Oggigiorno, per essere competitivi è necessario incorporare
agli organi di governo di diverso livello delle scuole di management gli antichi alunni e altri stakeholders come, per esempio, aziende e possibili sponsors.
Il settore è sempre più competitivo e bisogna appoggiarsi nei
vari attori che compongono l’ambiente interno ed esterno di
un centro accademico. I vantaggi sono diversi: dai consigli per
adeguare l’offerta ai bisogni reali del mercato, all’appoggio
economico, alle azioni di networking, ecc.
Allo stesso tempo, la scuola deve definire quali sono le sue
scelte strategiche: essere un centro orientato soprattutto alla
ricerca? O solo all’insegnamento? Specializzata in una serie di
attività e/o di mercati? Oppure con un’offerta educativa ampia
che risponda ai bisogni di vari targets?
Evidentemente, la struttura organizzativa dell’istituzione
varia molto in funzione della scelta strategica realizzata.
Sviluppare in termini organici e completi il tema della qualità
della formazione manageriale in Italia richiederebbe probabilmente un convegno dedicato solo a tale aspetto, per cui in questo mio intervento cercherò di fare alcune riflessioni e indicare
alcuni punti critici alla luce del ruolo di Vice Presidente
ASFOR, e di responsabile dei sistemi di accreditamento realizzati dall’Associazione, ma soprattutto delle esperienze
maturate in un ventennio alla direzione di MIB School of
Management di Trieste.
Sulla base anche delle relazioni che abbiamo sentito oggi, si è
potuto già percepire come il problema della qualità nella formazione manageriale sia un aspetto molto complesso, direi
quasi multidimensionale. Si va infatti dalla qualità del processo, cioè dalle modalità in cui si realizza la formazione
manageriale, alla qualità del prodotto, ovvero dei contenuti
dei programmi, alla qualità dei risultati che si ottengono per
gli utenti, generalmente indicati come customer satisfaction.
Se consideriamo la formazione manageriale di tipo più tradizionale, la quale si basa sull’acquisizione di competenze tecnico professionali e quindi su tematiche funzionali come controllo, marketing, risorse umane, finanza, ecc., la qualità della
formazione stessa, in termini di apprendimento e di valore per
gli utenti, può essere verificata con strumenti ormai abbastanza
consolidati e collaudati. Ma se facciamo riferimento alle forme
più sofisticate che riguardano non tanto il sapere e il saper fare
quanto il saper essere, e quindi a stimolare nei soggetti capacità
come creatività, innovazione, cambiamento, leadership, la valutazione della qualità risulta molto più problematica.
Ne consegue che, quando si parla di qualità della formazione
manageriale nel nostro Paese, dobbiamo anche capire a quale
tipo di formazione si fa riferimento, dal momento che questa
denominazione può indicare tipologie di attività molto diverse.
Si va, ad esempio, dalla formazione universitaria per giovani
che devono ancora entrare nel mondo del lavoro (laurea triennale, laurea magistrale, master universitari di 1°e di 2° livello)
fino ai percorsi post lauream, la gran parte dei quali sono stati
tradizionalmente realizzati in Italia da istituzioni diverse dalle
Università, e che in larga misura sono associati ASFOR.
Si tratta di un tipo di formazione che non è automatico considerare formazione manageriale in senso proprio, ma piuttosto
un’attività propedeutica alla vera formazione manageriale,
cioè alla formazione permanente (executive education) destinata a chi invece è già inserito nel mondo del lavoro con
Marca
I rankings delle scuole di management e/o dei suoi corsi
sono in voga oramai da diversi anni. Sin dall’inizio hanno
suscitato polemica e opinioni contrastanti. La realtà è che è
importante esserci e, se possibile, ostentando una buona
posizione. L’esperienza insegna che la presenza nelle migliori
classifiche nazionali e internazionali fa sì che il centro accademico sia riconosciuto e valutato positivamente dagli studenti,
dai concorrenti e dalle organizzazioni del proprio Paese e
estere.
Tutto ciò si ripercuote positivamente sulla domanda dei corsi
offerti, sia dal punto di vista della quantità che, ancora più
importante, della qualità degli studenti interessati.
Allo stesso tempo, essere sottoposti ai processi di accreditamento delle principali agenzie internazionali offre la possibilità di aumentare il prestigio della istituzione e, contemporaneamente, di imparare davvero cosa si fa bene e cosa, invece,
deve essere migliorato o risolto.
Tutto ciò, rende la scuola accreditata molto più competitiva e
la sua marca certamente più potente.
Scuola di management del futuro
Come sarà, dunque, la scuola di management del futuro? Una
rete di apprendimento e di conoscenza.
Il luogo fisico dov’è stabilita non sarà più rilevante ed i corsi
presenziali dovranno essere considerati e trattati come il
primo passo di un rapporto lungo e positivo, mantenuto spesso
e soprattutto in forma virtuale.
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sati è emerso che, dal punto di vista dell’utenza, la qualità
della formazione manageriale in Italia sia percepita come soddisfacente, anche se essa viene ritenuta leggermente inferiore
a quella che si ritiene venga offerta negli altri paesi europei.
In conclusione, vorrei segnalare alcuni punti critici che riguardano in prospettiva l’evoluzione qualitativa del sistema della
formazione manageriale in Italia.
responsabilità gestionali e vuole aggiornare e migliorare le
proprie conoscenze, competenze e capacità.
Mentre in altri paesi, soprattutto nel mondo anglosassone, è
piuttosto diffuso il modello della business school, un’istituzione accademica che è presente nei vari settori della formazione manageriale (undergraduate, graduate ed executive education), in Italia, salvo pochissime eccezioni, il mondo universitario è attivo soprattutto nella formazione precedente all’ingresso nel mondo del lavoro, mentre vi è una serie variegata di
istituzioni che si occupano di formazione continua o permanente. Anche in questo caso vi sono tuttavia diverse tipologie
di soggetti che spesso sono specializzati per tipologie di
utenza (es. imprese, settori produttivi, Pubblica Amministrazione, ecc.) o per modalità erogative (corsi a catalogo, corsi
tailor made, formazione a distanza, formazione in house e così
via). Esiste quindi nel nostro Paese una situazione estremamente variegata, che si differenzia significativamente da quella delle altre realtà europee, e ciò inevitabilmente si riflette
anche sugli aspetti generali legati alla qualità delle iniziative
di formazione manageriale realizzate.
In questo quadro risulta interessante analizzare il ruolo svolto
da ASFOR per quanto riguarda la qualità della formazione
manageriale in Italia. A mio avviso non vi è dubbio che
ASFOR sia stata una delle poche istituzione, se non l’unica,
che si sia impegnata da quasi 20 anni a portare un contributo
all’elevazione della qualità della formazione manageriale nel
nostro Paese, concentrandosi in particolare sui prodotti master.
Si tratta, come è noto, di corsi lanciati in Italia a partire dagli
anni ’80, che non avevano una loro precisa caratterizzazione
istituzionale e contenutistica: infatti si poteva (e si può ancora
oggi) chiamare master, un prodotto formativo di contenuti
molto diversificati e di una durata variabile, da 2 giorni a una
settimana o a un mese. Proprio per dare maggiori garanzie di
qualità agli utenti di tali prodotti, dal 1989 ASFOR ha realizzato il sistema dell’accreditamento dei prodotti master realizzati in Italia, sistema che poi ha progressivamente affinato,
adeguandolo ai criteri e agli standard internazionali, in particolare alle esperienze dei paesi che da più lungo tempo avevano
sviluppato istituzioni dedite specificatamente alla formazione
manageriale. Se ad oggi i master accreditati ASFOR sono solo
29, rispetto alle diverse centinaia di master di contenuto economico gestionale realizzati in Italia, ciò in effetti dipende proprio dal livello elevato degli standard previsti dal sistema e dal
rigore con cui vengono valutati i programmi oggetto dell’accreditamento. Il fatto di essere continuativamente valutati e
monitorati dai competenti organi dell’Associazione, ha indubbiamente indotto le Scuole interessate ad investire seriamente
nella qualità dei propri processi formativi.
Per le Scuole che hanno dei master accreditati, ASFOR ha inoltre costituito da una decina di anni il Benchmarking Club, un
organismo cioè che si riunisce periodicamente per esaminare le
best practice nel campo della formazione manageriale, ovvero
analizzare e verificare le migliori soluzioni adottate a livello italiano, europeo, mondiale per quanto riguarda ad esempio i piani
di studio dei corsi, la composizione della faculty, il placement
dei diplomati, le più avanzate metodologie didattiche, le modalità di recruiting degli studenti, e così via. Possiamo in sostanza
affermare che grazie a queste iniziative ASFOR ha dato sicuramente un contributo molto importante alla crescita della qualità
della formazione manageriale nel nostro Paese.
In una delle indagini che ASFOR ha realizzato negli anni pas-
Ricerca e innovazione
È noto che la ricerca rappresenta uno degli elementi fondamentali per rigenerare know how e per offrire un servizio formativo
di qualità. È un dato di fatto che le istituzioni italiane che realizzano programmi di formazione manageriale investano ancora
poco nella ricerca e che in molti casi non considerino la stessa
come un elemento prioritario. Analogamente (si potrebbe quasi
dire conseguentemente), sono poche le realtà in oggetto che
sono capaci di introdurre nei propri processi formativi significative innovazioni nei contenuti e nelle metodologie, e quindi
adeguare continuamente la qualità dei programmi offerti. A
lungo andare ciò non potrà non avere serie ripercussioni sulla
stessa capacità di sviluppo delle istituzioni considerate.
Dimensione
Similmente a quanto avviene in molti comparti manifatturieri
nazionali, dove prevalgono largamente le PMI, anche nel campo della formazione manageriale abbiamo nel nostro Paese un
sistema molto frammentato in cui, salvo poche eccezioni, la
dimensione delle strutture di formazione manageriale è molto
piccola e difficilmente in grado di competere a livello internazionale, sia sotto l’aspetto economico che sotto l’aspetto qualitativo (essendo per altro i due aspetti largamente collegati).
Internazionalizzazione
Nella realtà odierna, caratterizzata dai fenomeni legati alla
globalizzazione, per fare formazione manageriale di qualità
occorre avere un forte orientamento verso tutte le dimensioni
connesse agli aspetti internazionali. Purtroppo, la gran parte
delle istituzioni formative italiane opera ancora prevalentemente sul mercato domestico, offre ancora pochi corsi in lingua inglese, attrae pochi studenti stranieri, ha un corpo
docente quasi esclusivamente italiano e quindi complessivamente ha un basso tasso di internazionalizzazione.
In definitiva, se vogliamo allinearci agli standard della qualità a
livello europeo ed internazionale, non vi è dubbio che dobbiamo
essere capaci di modificare profondamente e velocemente tutti
questi aspetti: essi infatti non costituiscono solo dei fattori critici
per l’evoluzione e lo sviluppo delle nostre strutture formative ma
risultano fondamentali per la loro stessa sopravvivenza.
Discussant
Alberto Meomartini,
Presidente Snam Rete Gas
Grazie per questa giornata, così formativa e ricca di spunti di
riflessione.
Tutti i temi di cui abbiamo parlato oggi – formazione, territorio, internazionalizzazione e qualità della formazione – sono
vitali per il sistema delle imprese e per il sistema-paese nel suo
complesso.
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Alla luce di quanto è stato detto, vorrei condividere con voi
alcuni considerazioni sui temi oggetto di questo incontro, alla
luce della mia esperienza sia aziendale che associativa.
Questo perché, accanto al mio lavoro di dirigente di un grande
gruppo industriale, dedico da diversi anni impegno e attenzione ai temi dell’education nell’ambito dei miei incarichi in
Assolombarda e in Confindustria, dove mettiamo in campo
progetti e iniziative per stimolare il rapporto fra mondo educativo e mondo delle imprese.
La prima considerazione è relativa alla crescente complessità
della gestione di un’azienda, in un mondo in cui il mercato si
amplia, ma dove, al contempo, la dimensione locale – intesa
come “ecosistema” cognitivo e formativo – diventa sempre
più importante.
A questo proposito, parto dalla mia esperienza aziendale. Eni ha
dato vita qualche anno fa a una corporate university che produce buoni frutti in termini di contenuti e organizzazione della
formazione, ma al contempo ha fatto sorgere il problema di
quale debba essere in una grande organizzazione il modello di
formazione: il punto è, infatti, come conciliare la missione formativa della corporate university con la responsabilità formativa che, in misura sempre crescente, il Gruppo attribuisce al
management operativo, almeno nella definizione dei piani di
sviluppo. È il responsabile di business, infatti, colui che ha la
responsabilità di identificare i bisogni di competenze della propria struttura; competenze sia di tipo tecnico, sia di tipo relazionale o sociale, queste ultime fondamentali in un’organizzazione
in cui la metà dei dipendenti lavora all’estero e si rendono, dunque, necessarie capacità di comprensione di culture diverse e di
adattamento ad altri stili professionali e manageriali.
Un altro problema che abbiamo all’interno del nostro gruppo è
quello di come trasferire saperi e conoscenze. La questione è
cruciale, soprattutto per quanto riguarda la conoscenza tecnica
e specialistica che non sempre è allocata nelle posizioni di vertice e che, per essere efficacemente trasmessa, richiede una
responsabilizzazione formativa dei quadri con l’adozione, al
contempo, di sistemi di incentivazione ad hoc.
Sono convinto che uno degli aspetti formativi e gestionali più
importanti nelle nostre imprese sia proprio quello di come riuscire a mantenere la loro identità. In campo energetico, ad
esempio, molte aziende in passato avevano deciso di diversificare le attività, ma a partire dagli anni Ottanta – e grazie anche
al contributo di pensiero delle grandi scuole di management –
si sta progressivamente tornando a fare ciò che si sa fare
meglio. Nel settore petrolifero, per esempio, la Exon ha una
grande tradizione nel controllo di gestione – competenza che
il business petrolifero-energetico richiede ampiamente – mentre altre compagnie più forti nella dimensione commerciale
continuano a sviluppare capacità di migliorare le proprie performance in questo ambito.
La seconda considerazione che vorrei condividere con voi
riguarda l’importanza della dimensione associativa per il tessuto imprenditoriale, ma anche – grazie ad ASFOR – per la
formazione manageriale, tanto più in un contesto come quello
italiano, dimensionalmente ridotto sia dal punto di vista industriale che degli attori formativi.
C’è sempre più bisogno, infatti, di soggetti che facciano rete,
che “creino dialogo”, che si pongano come facilitatori di rapporti, di percorsi comuni di crescita.
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CONVEGNO A S F O R
In questo senso, il lavoro che stiamo portando avanti sia in
Assolombarda che in Confindustria è proprio di creare collaborazioni e alleanze per favorire la cultura della formazione e
lo sviluppo di attività formative nel sistema delle piccole e
medie imprese. L’esperienza ci dimostra che si ottengono
risultati concreti in tempi molto più rapidi di quanto si possa
immaginare.
Penso al rilievo strategico della formazione continua e alla
svolta che l’affermazione dei fondi interprofessionali – Fondimpresa e Fondirigenti – ha rappresentato su questo versante.
Penso al grande lavoro che Assolombarda conduce per promuovere cataloghi di corsi di formazione appositamente pensati – in termini di contenuti e modalità organizzative – per
facilitarne la fruizione da parte delle PMI.
Penso al lavoro che, sempre a Milano, stiamo conducendo con
il sistema universitario cittadino nell’ambito dei cosiddetti
“contact-team”, tavoli paritetici, attivati per ogni corso di studio di interesse industriale, nei quali rappresentanti del mondo
accademico, dell’associazionismo imprenditoriale e delle
imprese del settore collaborano stabilmente con l’obiettivo di
rafforzare la corrispondenza dei curricula alle esigenze delle
imprese e, conseguentemente, l’occupabilità sostenibile dei
giovani laureati. L’approccio alla base dei “contact-team” è il
confronto “per competenze”, in base al quale ai rappresentanti
delle imprese viene richiesto non tanto di intervenire nelle
complesse logiche di progettazione didattica, quanto piuttosto
di mettere in luce il complesso delle competenze e delle capacità (il “saper fare”) richieste ai neolaureati inseriti nei ruoli e
funzioni aziendali più diffusi. Si tratta di un lavoro molto concreto che riconosce autonomia a tutti gli attori in gioco: università, imprese, scuole di formazione.
In definitiva – e mi avvio a concludere – sono convinto che
per un’impresa che gestisce risorse limitate la cosa più importante per quanto riguarda le relazioni con il sistema formativo
è avere la consapevolezza di dove vuole andare e, al contempo, la capacità di individuare partner e interlocutori validi
che la possano aiutare a compiere quel percorso in modo più
efficace ed efficiente.
Se questo vale per tutte le organizzazioni aziendali, credo che
le grandi imprese italiane debbano porsi un compito in più:
quello di sviluppare relazioni e partenariati formativi con università e business school a prescindere dall’utilità di questi
rapporti per se stesse e dei possibili benefici per l’azienda, in
un’ottica di responsabilità sociale.
Ciò alla stregua di quanto avviene negli Stati Uniti dove da
sempre le grandi imprese sostengono corsi di laurea o sponsorizzano cattedre universitarie a disposizione della collettività,
senza porsi il problema se i giovani che studieranno in quei
corsi diventeranno o meno risorse dell’azienda.
Un filosofo statunitense ma tedesco di nascita, molto in voga
nel ’68 – Herbert Marcuse – sosteneva che “quando finisci per
ripetere le stesse parole, queste parole perdono di significato”.
È vero: purtroppo, talvolta, le verità finiscono per diventare
luoghi comuni.
Ecco, prendendo spunto proprio da Marcuse, credo che il
nostro più alto compito manageriale sia quello di dare significato alle nostre parole e alle nostre azioni, perché non si svuotino mai di senso.
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livello della formazione universitaria. Allora quel processo di
cui su scala nazionale il Politecnico e anche qualche altra
grande università come la Bocconi, ha beneficiato negli anni
’50-’60, cioè un meccanismo di presa diretta sulla formazione
delle classi dirigenti, dove la formazione per l’élite dell’industria o della pubblica amministrazione era un processo che abbiamo intercettato largamente, oggi è minacciato.
Oggi il rischio rilevante che corriamo è che se nei prossimi 10
anni il nostro sistema universitario non si attrezza rapidamente
per far questo verrà spiazzato da questo processo, che
potrebbe avere delle ripercussioni drammatiche anche sul
sistema delle imprese, perché quando un ragazzo esce dall’Italia a 20 anni per andare a studiare a Londra, Parigi, Barcellona, in America o anche in Asia (che è quello che sta succedendo), è abbastanza difficile che ritorni. Probabilmente
aziende come ENI o Fiat saranno capaci di riportarseli a casa o
di portare qua qualcun altro, ma certamente non il sistema
della piccola e media impresa.
Quindi oggi il problema del nostro sistema è anche quello di
avere nel prossimo futuro uno shortage di cervelli, una mancanza di risorse, e non tanto non sapere come formarle ma non
averle proprio perché quelle migliori vanno via.
Il quadro è forse apocalittico, non succederà forse in questa
misura, però siccome questi processi interessano sempre le
punte avanzate, vuol dire comunque che se non si intercettano
questi processi si perde la capacità di avere una presa sulle
risorse migliori.
Di sicuro è positivo il fatto che i giovani italiani siano esposti a
processi formativi di carattere internazionale, però ovviamente
quello che dobbiamo fare è diventare attrattivi in ingresso, cioè
portare in Italia più studenti stranieri bravi, che poi è quello che
sa fare da decenni il sistema universitario americano.
E diventare attrattivi in ingresso produce due effetti: primo,
immette delle risorse pregiate di culture esogene che non
fanno che fertilizzare il patrimonio e in generale la classe dirigente del Paese; secondo, aiuta a realizzare una internazionalizzazione domestica, una internationalisation at home, nella
misura in cui le nostre istituzioni formative sono capaci di
offrire un ambiente di studio internazionale. Ecco che l’incentivo dello studente italiano ad andare a studiare all’estero
diminuisce perché può ritrovare anche a casa sua quel contesto di formazione, di prossimità di studenti stranieri, di esperienza multiculturale, e di docenti stranieri.
L’urgenza è drammatica perché si tratta di processi che poi
hanno dei punti di non ritorno, delle irreversibilità. E si possono attivare secondo modelli differenti e che sono stati anche
già commentati dal Prof. Gallucci: il modello di import, di
export, di network, ognuno ha dei pro e dei contro, ma in un
modo o nell’altro penso che bisogna farlo.
In conclusione ritengo che le imprese, mi rivolgo in realtà alle
imprese medio grandi, in questo processo debbano dare un
aiuto al sistema della formazione perché senza di loro è difficile riuscire bene. Non è solo una questione di fund raising
perché la possibilità di offrire un ambiente di formazione
internazionale dipende anche dall’offerta ai giovani delle
opportunità di formazione, di permanenza in azienda, di esposizione a aziende multinazionali. Anche nel nostro Paese per
fortuna ci sono possibilità, dove il meccanismo scuola-lavoro
si intreccia, dove si possono fare delle sperimentazioni interessanti anche utilizzando forme contrattuali innovative, dei
contratti di apprendistato in alta formazione che consentono di
Gianluca Spina,
Dean MIP Politecnico di Milano
Il MIP ha una relazione molto forte con le imprese, non principalmente con le piccole imprese, ma con le medie e mediograndi. Credo che la natura stessa della nostra business school
abbia fin dall’inizio favorito questo. Il MIP è un consorzio
universitario controllato al 51% dal Politecnico di Milano, cui
partecipano però 18 aziende esterne tra cui Eni, Fiat,
Italcementi, e Unicredit.
Oggi la parte preponderante della nostra attività è comunque
l’attività di formazione manageriale per le imprese. Con le
piccole imprese, purtroppo, abbiamo fatto tentativi vari, ma
obiettivamente stimolare la domanda, come diceva Rullani,
nel mondo dei distretti, nel mondo delle piccole imprese è un
problema molto serio.
Io penso che potremmo fare qualcosa di più insieme, però
credo sia necessario anche essere intellettualmente onesti e
prendere atto che finché determinati processi di tipo aggregativo, di massa critica nel mondo delle piccole imprese non
prendono corpo, tutta una serie di questioni che sono state
peraltro ricordate, quella della finanza e anche quella della
formazione, non hanno una possibilità reale di avere un
impatto rilevante.
Ciò detto, vorrei dire una cosa prendendo alla lettera ciò che
ha detto Meomartini in conclusione e quindi cercando di non
ripetere nulla delle cose pur molto interessanti che sono state
dette sul mondo della formazione manageriale.
Prendo spunto da una cosa che ha incidentalmente detto Nanut
nel suo intervento, cioè la distinzione tra formazione manageriale e formazione aziendale.
Nel nostro Paese la formazione manageriale viene operata sul
livello della formazione pre-experience largamente dal
sistema universitario e da qualche altro soggetto che offre
corsi master per neolaureati o corsi di formazione per persone
non ancora entrate nel mondo del lavoro, e poi c’è tutto il
vasto mondo della formazione aziendale.
La caratteristica del nostro Paese è che i soggetti che operano
e che integrano tutte queste attività sono pochi, come è stato
ricordato da Nanut.
Il messaggio che vorrei dare è che cosa succede, o meglio cosa
io penso che succederà nei prossimi anni nel mondo della formazione manageriale pre-experience, che naturalmente tra
qualche anno avrà un impatto anche su quella post e quindi
sulla formazione aziendale.
Quello che penso che succederà, e ne vediamo già le avvisaglie, è il fatto che con il processo di Bologna, il 3+2 famoso che
all’inizio è stato un fatto burocratico di allineamento agli standard europei, adesso sta cominciando ad avere un potenziale
abbastanza dirompente, gli studenti si muovono, anche gli studenti italiani mammoni o bamboccioni come li aveva chiamati
Padoa Schioppa. Finalmente questo processo è entrato in moto
anche da noi in modo forte e poi si unisce ad altri due fattori
che sono ugualmente dirompenti: il sistema universitario in
Europa è molto più infrastrutturato del nostro per quanto
riguarda l’ospitalità (per esempio offrendo dei campus che noi
non abbiamo), e poi ci sono i voli low cost e quindi oggi per un
ragazzo studiare 2-3 anni al Politecnico o alla Bocconi e poi
andare a fare un master di management all’estero è una cosa
facilissima che sta già succedendo e succederà sempre di più. E
questo fattore non investe solo l’MBA ma anche quel secondo
32
S E Z I O N E 1 – AT T I
fare delle sperimentazioni di ingresso, anche dei veri e propri
percorsi master.
Quindi in sintesi certamente tutti i temi che sono stati affrontati questa mattina sono molto rilevanti per la formazione
manageriale. Certamente il nostro sistema di formazione soffre anche di tutti i rischi e i problemi che sono stati citati nelle
DEL
CONVEGNO A S F O R
ultime due presentazioni di questa tavola rotonda, però io
credo che se non poniamo un’attenzione molta seria alla capacità di sviluppo della nostra formazione manageriale sull’under graduate, sul pre-experience i problemi saranno molto
maggiori di quelli che ci siamo trovati a discutere oggi sui fabbisogni delle imprese nel post, nella formazione continua ecc.
Terza Sessione
Contenuti manageriali, relazionali, Corporate Social Responsibility
e sostenibilità: formazione di manager, leader, classe dirigente
3. Un ulteriore aspetto è quello delle conoscenze, soprattutto
il collega Rullani ha ricordato che il paradigma delle conoscenze tecniche diventa un fattore quasi igienico, bisogna
averle le conoscenze tecniche ma di fatto non è più su questo terreno dove si gioca la competitività, certo se non le
hai sei fuori però non è più un elemento distintivo. Da questa affermazione si sono sviluppate una serie di considerazioni sulle conoscenze: conoscenze fluide, conoscenze adattabili ecc.
Questo tema è stato ripreso anche dall’Ing. Bombassei ed è
emerso anche dalla tavola rotonda che ha preceduto il lauto
pasto offerto da ASFOR.
Relazione introduttiva del Chairman
Elio Borgonovi,
Consigliere ASFOR e Responsabile Area Ricerca
Per mantenere il ritmo perfettamente rispettato dai colleghi
della mattinata propongo di iniziare.
Ringrazio i partecipanti alla tavola rotonda che poi presenterò
singolarmente, anche se sono ben noti a tutti i presenti.
Vorrei introdurre questa tavola rotonda, ricollegandomi ad
alcune considerazioni che mi sono state suggerite dalle relazioni della mattinata e ad altre che emergono dall’indagine che
tutti gli anni ASFOR realizza presso i propri associati.
Esse possono essere sintetizzate nei seguenti termini.
Quindi, do avvio a questa tavola rotonda richiamandomi al
concetto di conoscenze che devono essere sostanzialmente
legate in modo circolare.
Io ho dato la seguente chiave interpretativa ai temi proposti
dai relatori.
• Conoscenze di tipo manageriale: sono quelle che consentono di gestire la complessità di imprese, istituzioni pubbliche e istituzioni non profit e quindi passerò la parola a
Riccardo Varaldo.
• La leadership attiene alle conoscenze sulle relazioni con le
persone, la capacità di trasmettere alle persone non solo
conoscenze ma anche modi di essere, quindi non solo
sapere ma anche saper essere: su questo tema si concentrerà l’intervento di Roberto Pucci.
• Si può definire classe dirigente l’insieme delle conoscenze
che riguardano il funzionamento della società nel suo
complesso: essa si forma non solo come leadership, ma
anche con lo sviluppo della capacità di cogliere le esigenze
dei soggetti intermedi della società, quindi capacità di
ascoltare e interpretare ed orientare. Elemento che affideremo ad Alberto Martinelli.
• Il tema del rapporto economia e società, sul quale abbiamo
chiesto l’intervento di Marco Vitale, parte dal presupposto
che nella concezione europea (al contrario di quella prevalente per molti anni negli USA) non c’è mai stata la netta
separazione o contrapposizione tra economia e società.
L’economia e l’impresa non sono qualcosa di diverso dalla
società, ma sono parte integrante di essa e quindi la buona
gestione dell’impresa non può essere valutata solo dai
risultati della stessa ma anche dal contributo che essa da al
progresso complessivo.
1. Il sistema di formazione, quindi il sistema delle scuole di
management, avverte un’esigenza profonda di cambiare,
non riesce però ancora bene ad esprimere o interpretare e
intercettare i nuovi bisogni. Ad esempio, dai 49 questionari
ricevuti dai Soci, gli aspetti più interessanti in senso evolutivo di quest’ultimo anno rispetto allo scorso anno sono:
1.1 sembra esserci una maggiore capacità di adattare
alcune delle conoscenze, per utilizzare uno dei termini che è ricorso molto questa mattina, alle specificità dei diversi settori, ad alcune tematiche, e in particolare c’è anche una maggiore attenzione al sistema
delle piccole e medie imprese;
1.2 è da sottolineare una maggiore capacità dei soci
ASFOR di stare molto più vicini, di fare non formazione tradizionale ma molto più formazione di
accompagnamento;
1.3 tuttavia, pur migliorando la capacità di adattare la formazione a specifiche classi di destinatari, sembra che
il sistema dell’offerta non abbia trovato ancora delle
sue piste di risposta.
2. Negli interventi della mattinata sono venute alcune indicazioni riguardanti una maggiore attenzione nelle imprese a
collegare formazione e strategia, anche se come studiosi ed
esperti del settore siamo sempre insoddisfatti, però sembrerebbe che in questo periodo vi sia non solo una maggiore
consapevolezza ma anche nel concreto una formazione, sia
all’interno delle imprese che sul mercato aperto, caratterizzata da alcuni elementi di disegno specifico e di accompagnamento con strumenti di tutorship ecc.
33
S E Z I O N E 1 – AT T I
DEL
CONVEGNO A S F O R
Infine, abbiamo scelto un osservatore privilegiato che è Stefano Cordero di Montezemolo presidente dell’Associazione
MBA italiana, che, avendo completato la sua formazione con
un MBA all’estero può aiutarci a comprendere meglio le relazioni fra queste tematiche.
Scuola Normale Superiore. Quindi noi abbiamo l’obbligo di
fare eccellenza, di formare eccellenza e quindi di dedicarci
alle nostre attività con grande impegno ed alto senso di
responsabilità. Rispetto a chi vive e pratica la formazione
manageriale all’interno di strutture molto specializzate, per
noi la formazione manageriale è una parte dell’insieme, forse
il 15% dell’insieme delle attività.
Alla fine degli anni ’80 abbiamo quindi iniziato la nostra esperienza nel campo della problematica dell’innovazione, in collaborazione con l’Iri, per un corso di specializzazione. Abbiamo
compiuto una serie di approfondimenti con studiosi americani
tra cui David Teece di Berkeley e altri che già all’epoca erano
studiosi dell’innovazione. Abbiamo quindi messo in cantiere
un master che abbiamo fatto nascere nel 1991.
Credo che sia stato il primo master universitario organizzato da
un’università pubblica italiana; le altre consorelle, in quanto
università private come Bocconi, avevano iniziato prima.
L’ottica con cui abbiamo affrontato questa avventura è stata
l’ottica della formazione con valenze professionalizzanti ma
anche con una forte apertura culturale. La ricerca per noi è un
elemento fondamentale della formazione, vediamo la ricerca e
la formazione in stretta sinergia. Nell’affrontare questa avventura abbiamo anticipato evidentemente le visioni prevalenti a
livello delle imprese italiane. Se mi fossi attenuto alle osservazioni di quei direttori di risorse umane dell’epoca, evidentemente non avrei dato vita a questo master. Quindi, in sostanza,
siamo andati notevolmente in anticipo rispetto alle esigenze di
formazione percepite dal mondo delle imprese.
Ci siamo messi all’opera anche per un’anticipazione normativa. Questo è il carattere della mia Scuola: una Scuola che ha
la possibilità, essendo ad ordinamento speciale, di funzionare
da “apripista”. Abbiamo la vocazione di fare gli anticipatori.
Quindi anticipatori anche dal punto di vista normativo; nel
caso specifico siamo partiti col master, nonostante che l’ordinamento nazionale degli studi universitari non contemplasse
ancora questa tipologia di corsi.
Nello Statuto della Scuola abbiamo inserito per la prima volta
nel 1996 la norma che la Scuola poteva rilasciare “titoli corrispondenti ai master di altri ordinamenti”. Abbiamo usato, su
suggerimento dell’ex allievo Sabino Cassese, questa dizione,
per superare il vuoto legislativo esistente in Italia in materia.
Nel 1999 c’è stato il cambiamento dell’ordinamento nazionale
degli studi universitari, dove per la prima volta sono stati inseriti i master universitari di I o di II livello; successivamente
questa possibilità è stata ribadita con il decreto 2004.
La stranezza è che le università italiane pubbliche, che avevano come noi la possibilità di istituire autonomamente
master, hanno aspettato il lasciapassare ministeriale per lanciarsi in massa nei master, dimostrando scarsa iniziativa in
fatto di autonomia. Le università attraverso i master sono riuscite a capire l’esigenza di offrire una formazione più focalizzata, più orientata ai bisogni del mercato del lavoro e
quindi più vicina alle esigenze delle imprese. Credo che questo sia il contributo maggiore che i master hanno fornito allo
svecchiamento delle università, del modo di concepire la loro
missione. Mentre ho qualche riserva sul modo in cui le università hanno effettivamente realizzato i master. Non c’è
un’indagine esauriente in materia ma dal mio osservatorio
ritengo che ci siano alcune punte di eccellenza ma anche
molto pressapochismo. Tendenzialmente, per realizzare buoni master l’università dovrebbe avere un corpo docente di-
Formazione Manageriale
Riccardo Varaldo,
Presidente Scuola Superiore Sant’Anna
Ho organizzato il mio intervento in due parti: una che guarda
la formazione manageriale dall’ottica dell’università e la
seconda dall’ottica dell’impresa, visto che mi trovo in due
osservatori diversi che cerco di declinare in funzione di queste
due visioni.
Iniziamo dalla prima parte. Sostanzialmente la mia visione
della formazione manageriale dal lato universitario la declino
per l’esperienza vissuta con l’introduzione dei master universitari, in particolare alla Scuola Superiore Sant’Anna. Abbiamo affrontato questo compito con grande entusiasmo e con lo
spirito degli antesignani, ed abbiamo avuto ottimi risultati. A
un certo momento mi sono proposto di proporre a livello
nazionale in sede ministeriale il recepimento di questa nostra
esperienza, cosa che poi è avvenuta. Alla fine però le speranze
che avevo nutrito in merito a questo passaggio sono state
costellate da un certo numero di delusioni, non delusioni per la
mia personale esperienza, ma per il modo come il sistema universitario nazionale nell’insieme ha utilizzato la novità dei
master.
Il secondo osservatorio riguarda invece la mia esperienza all’interno di Finmeccanica di cui sono Consigliere, nonché Presidente del Comitato di Remunerazione; un compito molto delicato che mi consente di vedere come la formazione manageriale
oggi viene declinata in un grande gruppo industriale, all’interno
di una visione complessiva di sviluppo del management.
La prima (quella universitaria) è una piccola case history che
inizia da lontano, alla fine degli anni ’80, quando l’Iri ci affidò
un corso di formazione avanzata nel campo della innovazione,
un Corso di Innovation Management. All’inizio degli anni ’90
l’innovazione non godeva della notorietà che oggi ha nel
nostro Paese. Era un momento in cui era assente una cultura
manageriale avanzata nelle imprese italiane e c’era uno scarso
orientamento all’innovazione e tanto più ai corsi sull’innovazione. Ricordo la profonda delusione ricavata da alcuni colloqui con i direttori delle risorse umane di grandi imprese, ricevendo risposte di questo genere: “lei professore mi propone un
corso di innovation management; tenga presente che l’innovazione non è nell’organigramma della nostra azienda, quindi i
suoi diplomati non saprei dove collocarli”, oppure un’altra
risposta: “gli innovatori in azienda sono visti come disturbatori, quindi formare disturbatori e proporli alle aziende credo
che non sia una cosa opportuna”.
Quindi, c’è stata un po’ di delusione e di sconforto iniziale;
abbiamo resistito, siamo andati avanti. A quell’epoca le università pubbliche sapevano forse che esistevano i master ma
non si erano mai attrezzate per organizzare master. La nostra
Scuola è una Scuola molto particolare, è un istituto universitario pluridisciplinare ad ordinamento speciale, di piccole
dimensioni. Abbiamo praticamente lo stesso statuto della
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S E Z I O N E 1 – AT T I
DEL
CONVEGNO A S F O R
Quindi ci sono tutte le premesse per fare della formazione
manageriale una nuova leva strategica, nel quadro di questa
strategia di crescita e di cambiamento nel mondo globale.
La centralità del ruolo della formazione manageriale si coglie
pienamente nei nuovi indirizzi del gruppo per creare una cultura manageriale avanzata, una cultura omogenea comune a
livello della corporate e delle aziende consociate, una cultura
del cambiamento, dell’internazionalizzazione e con un forte
orientamento ai risultati. Questo orientamento deriva anche da
tutto il sistema complesso di retribuzione che è stato messo in
piedi per favorire l’allineamento tra i risultati delle aziende e i
comportamenti dei manager. Quindi Finmeccanica sta vivendo anche una fase culturale di cambiamento, di cambiamento
dei paradigmi con cui viene vissuta la funzione risorse umane,
per passare completamente a una learning community più che
guardare a una formazione one way dove i partecipanti sono i
destinatari e non i coattori.
Cos’è oggi Finmeccanica nel mondo? Gli occupati esteri sono
in continua crescita, ora sono circa il 29%. C’è una forte e crescente presenza negli USA ed in tutti i paesi europei, e il gruppo
sta crescendo nel mondo asiatico (India, Cina e Giappone).
Ora entrando più nel merito del sistema formativo Finmeccanica questo ha la caratteristica di una piramide. Si parte
dall’alto con il target delle risorse strategiche, intendendo
come tali essenzialmente i CEO delle varie consociate, ci sono
le risorse chiave i dirigenti, con alte responsabilità e quindi le
figure ad alto potenziale; in pratica, è un sistema manageriale
dove si creano le condizioni e si gestiscono i passaggi per la
successione, per il cambiamento all’interno, per la preparazione dei rincalzi. Vi sono delle squadre giovanili che sono i
rockets, i quadri in sviluppo, e a mano mano si sale su; quindi,
c’è un sistema di sviluppo della carriera a cui si affianca un
sistema di valutazione, per passare da un livello all’altro, a cui
fa da sostegno anche un sistema di formazione.
Nel caso Finmeccanica abbiamo la conferma di quanto questa
mattina si diceva, vale a dire che oggi la formazione manageriale, con i vari strumenti, viene vista e gestita all’interno del
sistema di sviluppo del management. Il sistema prevede una
programmazione della formazione, in funzione dei diversi target di popolazione, oltre a progetti cross.
È stato detto che la formazione manageriale deve partire dall’analisi dei bisogni, dalla domanda. In effetti Finmeccanica si
impegna molto nell’ascolto e nell’analisi dei fabbisogni formativi, nella formazione per lo sviluppo delle competenze, nello
sviluppo della cultura industriale e per il knowledge management e quindi per la condivisione e patrimonializzazione delle
conoscenze, avendo presenti i diversi target di riferimento.
Un corso di grande successo e valore è quello per la formazione delle competenze di base: creazione del valore, orientamento al mercato ed al cliente, eccellenza nel perseguimento
degli obiettivi assegnati, valorizzazione del capitale umano,
conoscenza del business, integrazione e sviluppo internazionale, innovazione e proattività nel cambiamento. Cioè il
manager di Finmeccanica deve essere istruito a possedere ai
massimi livelli queste competenze chiave per esprimere al
meglio il proprio ruolo e per puntare anche a più alti livelli di
responsabilità.
Sul fronte dell’attrazione e della formazione di giovani talenti
negli ultimi due anni in Finmeccanica è stato realizzato il
Master internazionale in “International Business Engineering”
a cui partecipa tra l’altro il Politecnico di Milano, la Scuola
verso. Mediamente i professori universitari non sono adatti
per insegnare nei master universitari. Non hanno l’umiltà di
impegnarsi nel progettare i corsi perché il sapere loro l’hanno
accumulato e quindi lo trasferiscono ma non cercano di rimodularlo. I professori universitari che sanno fare attività di formazione ad un buon livello sono una piccola minoranza,
quindi c’è uno shortage, come diceva Gallucci, di professori
e soprattutto shortage di qualità dei professori di formazione
manageriale.
Ora il Master Management dell’Innovazione della mia Scuola
ha alle spalle 17 anni di esperienza. Siamo partiti da una
visione dell’innovazione molto technology push, con la
ricerca e sviluppo vista come base della macchina dell’innovazione, quindi una visione molto hard che ci proveniva dalla
visione americana alla Chandler o alla Baumol allora prevalente, dove l’innovazione tecnologica è fatta attraverso investimenti in house nella ricerca e nello sviluppo e la competizione sull’innovazione si vince in funzione dell’entità degli
investimenti fatti in R&S.
Siamo passati quindi a una visione di innovazione più vicina a
come è stata tratteggiata questa mattina. E poi l’anno scorso
siamo partiti in una nuova avventura, per dar vita a un aggiornamento sostanziale del nostro master, guardando all’innovazione in chiave di ingegneria dei servizi.
Sapete che la cultura dei servizi nel nostro Paese è molto
modesta. Il 70% e più del PIL è fatto di servizi, ma se vedete
sia la letteratura che i corsi vi accorgete che il settore dei servizi come entità a sé è praticamente trascurato da parte della
ricerca e della formazione. Abbiamo avuto sollecitazioni da
alcune grandi imprese, da due università, in particolare
l’Università di Berkeley con la quale abbiamo stipulato un
accordo. Ora stiamo lavorando alla versione italiana del testo
“Open Business Models” di H. Chesbrough uno dei testi fondamentali di questa università, dove è stata introdotta la
scienza dei servizi.
È inutile che io spenda parole sulla rilevanza che i servizi
hanno per l’industria e nel loro insieme come settore dei servizi. Il problema dell’Italia è quello della terziarizzazione evoluta dell’economia e per questo un passaggio chiave è l’industrializzazione del settore dei servizi con un uso diffuso e
mirato delle nuove tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni. Abbiamo trovato interesse e adesione in un
gruppo di imprese leader che ci affiancano e con queste
imprese stiamo iniziando questa avventura.
Passo alla seconda ottica da cui io vedo il problema della formazione manageriale, quella di un grande gruppo, Finmeccanica, che sta vivendo una fase di grande crescita, di forte
spinta all’internazionalizzazione. Tenete presente che il 70%
degli ordini del gruppo Finmeccanica ormai provengono dall’estero, e che circa 4 dei 12 mila miliardi di euro di fatturato
sono realizzati in altri paesi. Si trova in una fase di passaggio:
fino a pochi anni fa era essenzialmente un gruppo finanziario;
ora invece vuole essere e sta diventando un gruppo industriale.
Di conseguenza la cultura dell’azienda sta cambiando, deve
essere una cultura più avanzata, con il rafforzamento della
dimensione internazionale. Il gruppo ha dato vita in questi
anni a una coraggiosa strategia di alleanze e acquisizioni
all’estero (in Inghilterra e negli Stati Uniti), si sta consolidando nei business ad alto contenuto tecnologico. L’investimento in ricerca e sviluppo nel gruppo è del 14% del fatturato.
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DEL
CONVEGNO A S F O R
non sentono il bisogno di dotarsi di capitale umano come leva
di discontinuità e innovazione.
Quarto punto: occorre creare network virtuosi tra imprese e
università come quello che abbiamo aggregato per il Master
“Management, Innovazione e Ingegneria dei Servizi”. Ma in
Italia poche imprese capiscono l’importanza di dar vita a questo tipo di circolo virtuoso.
Quinto punto: l’università italiana come vi ho detto ha scoperto i master tardivamente e molto in termini di numero,
meno in termini qualitativi. È difficile immaginare come i
Master universitari potranno evolversi; tutto dipenderà da
quanto e da come le università sapranno investire nel campo.
Sesto punto: ci sono segnali positivi per l’evoluzione della
management education e il mercato della formazione diventa
sempre più competitivo. È stato detto anche questa mattina: le
grandi imprese diventano sempre più selettive nella ricerca dei
fornitori di formazione.
Settimo punto: le grandi imprese fanno sempre più da sole,
non in maniera autarchica, ma in termini di progettazione o di
co-progettazione per meglio focalizzare e finalizzare gli interventi formativi, indirizzandoli ad obiettivi specifici di formazione e crescita delle risorse umane.
Ottavo punto: le corporate universities non hanno più strutture
formative pesanti. Si tende ad andare verso una virtual university. Anche la stessa Finmeccanica ha più questa visione.
Evidentemente le imprese non pensano più di dotarsi all’interno di una propria struttura formativa con un proprio corpo
docente; preferiscono lavorare con l’esterno, con università e
personale docente eccellente.
Nono punto: la formazione standard a catalogo riscuote sempre meno interesse mentre è in crescita l’offerta di formazione
customerizzata.
Decimo punto: la classroom mantiene tuttora il suo fascino,
come stamattina è stato detto. I corsi face to face continuano
ad essere molto apprezzati, se fatti bene. Almeno in Italia non
vi sono esperienze ancora diffuse di e-Learning, anche se
alcuni cercano di andare in questa direzione.
Tutte queste nuove esigenze stanno spingendo le business
school più prestigiose a valorizzare la propria missione ed a
sostenerla dall’interno, con adeguati e sistematici investimenti
nella ricerca, nella formazione alla ricerca e nella preparazione dei propri docenti.
È finita l’epoca in cui la formazione manageriale era un
campo aperto e libero dove si potevano facilmente inserire
operatori poco preparati e poco dotati. È in atto un processo di
selezione dell’offerta, da parte delle imprese più impegnate
sul fronte della formazione manageriale.
C’è da augurarsi che questo possa operare da leva per la qualificazione dell’intero sistema della formazione manageriale.
Grazie per la vostra attenzione.
Superiore Sant’Anna ed altre università italiane e straniere.
Finmeccanica si è posta il problema di formare la nuova classe
dirigente per il mondo globale, attraverso il reclutamento a
livello mondo dei migliori giovani laureati per far loro vivere
una esperienza formativa di un anno in un ambiente estremamente avanzato e stimolante, con un successivo programma di
inserimento nelle aziende del Gruppo. Vi do solo alcuni numeri
per farvi capire l’attrattività che ha esercitato nel mondo questa
offerta: nella prima edizione abbiamo avuto 3.500 candidature,
nella seconda edizione 5.100 candidature in rappresentanza di
105 nazionalità. Quindi direi che l’Italia quando fa leva su
offerte formative avanzate e credibili, interessanti per reclutare
giovani talenti da tutto il mondo, può avere successo, nonostante che partiamo come Paese da soglie modeste di tradizioni
nel campo.
È interessante fare un benchmarking tra i candidati italiani e i
candidati stranieri del master: i candidati stranieri, soprattutto
quelli provenienti dall’Asia, sono più giovani di 2-3 anni degli
italiani e hanno un grado di formazione internazionale decisamente più spinto. Ci troviamo in presenza di giovani che
hanno alle spalle già esperienze di studio e di lavoro in più
paesi e in più continenti. Hanno quindi una vocazione all’internazionalità decisamente più avanzata rispetto agli italiani.
Per fortuna i laureati italiani, più anziani e meno internazionalizzati, nel corso del master recuperano raggiungendo quindi
livelli di performance relativamente migliori.
Vorrei terminare, con alcune brevi riflessioni che mi derivano
dai due diversi osservatori su cui mi sono soffermato.
La prima affermazione, ovvia dopo quello che abbiamo sentito oggi, è che nelle imprese sempre più la differenza la fa la
qualità del capitale umano. Prima la faceva il capitale materiale e il capitale finanziario. Ora è più il capitale umano che fa
la differenza. La ragione è ovvia, siamo in un’economia della
conoscenza e dei servizi, dove occorre che il capitale umano
esprima un maggiore valore di prima.
Secondo. Il sistema formativo deve, o meglio dovrebbe, muoversi in sintonia con le esigenze di rinnovamento delle
imprese. Le università italiane fanno sforzi; purtroppo, quelle
che sono attrezzate per andare in sintonia con il mondo delle
imprese non sono molte e soprattutto non sono molte negli
ambienti e nei territori dove probabilmente ci sarebbe più
bisogno di questa sintonia.
Terzo punto, che è stato già oggi affrontato. Secondo me nel
dibattito prevale la voglia di addossare ad altri la responsabilità del ritardo e degli insuccessi nel campo della formazione
manageriale, anziché uno spirito aperto e collaborativo, con
piena assunzione di responsabilità. Ci si lamenta che l’università non si adegua, però dall’altra parte le imprese non è che
facciano molto per migliorare la propria attitudine alla formazione. Mi riferisco essenzialmente a quella parte del sistema
produttivo a cui si riferiva stamattina Bombassei, quel 93%
del sistema industriale italiano, costituito da piccole imprese.
Come Scuola Superiore Sant’Anna abbiamo cercato di essere
pro-attivi ma poi abbiamo capito che dedicandoci troppo a
quell’ambiente avremmo trascurato il nostro dovere di fare
eccellenza nella ricerca e nella formazione. Le piccole
imprese evidentemente non hanno ancora capito il ruolo della
formazione; preferiscono premiare esclusivamente l’esperienza, il diplomato di scuola media e non il laureato; vivono
sostanzialmente il problema delle risorse umane in termini di
continuità ideale, spirituale, motivazionale ed esperienziale;
Leadership
Roberto Pucci,
Senior VP Human Resources Fiat Group
Parlare di leadership non è facile.
Sulla leadership si è detto e scritto di tutto e personalmente
non credo sia qualcosa che si possa ridurre ad una teoria
manageriale. Il rischio, alla fine, è di banalizzare un tema che
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DEL
CONVEGNO A S F O R
di assunzione riguardava la gestione del cambiamento. Il Dott.
Marchionne mi chiese come pensassi di poter supportare la
logica del cambiamento culturale in un’azienda delle dimensioni di Fiat. Mi venne spontaneo rispondere che in realtà le
cose non sono poi così complicate, perché il destino è nelle
nostre mani. Se noi siamo in grado, come leader, di disegnare
un progetto, di responsabilizzare le persone e di convincere
anche loro che tutto è possibile, possiamo realizzare quello
che vogliamo. C’è sempre spazio per la creatività, per l’autonomia e per il successo. Questo vale anche per le imprese più
grandi, per le situazioni più difficili e per le sfide più alte.
Credo che la Fiat del 2004 rientrasse in tutti questi casi.
Per darvi un’idea di come fosse la situazione in azienda a quel
tempo, sono andato a cercare qualche spunto da un intervento
che il nostro amministratore delegato fece all’Investor Day del
26 luglio 2004, descrivendo cosa aveva trovato in Fiat quando
fu chiamato a guidarla.
Ci sono dei passaggi significativi sullo stato di allora.
In quel discorso parlava di una struttura organizzativa inadeguata a raggiungere gli obiettivi di turnaround, di uno scarso
impegno all’eccellenza operativa, di un numero limitato di dirigenti con esperienza internazionale – e questa è tuttora una delle
sfide che stiamo affrontando, indirizzando le nuove assunzioni
verso persone di estrazione e di stampo internazionale.
Parlava di uno scarso desiderio di benchmarking e di un
sistema abbastanza autoreferenziale, che prendeva come base
i risultati dell’anno precedente, perdendo completamente di
vista quelli che erano i veri punti di riferimento, cioè i risultati
dei nostri concorrenti.
Descriveva una lentezza nel reagire e nel decidere, un rinnovo
limitato dei dirigenti di primo livello e una complessità ingiustificata nel modo di fare business. Ad esempio, le riunioni
erano moltissime, alcune interminabili, e poteva anche succedere che gli speaker arrivassero con 105 slide e non avessero
la risposta all’unica domanda interessante che si poneva loro.
Ma soprattutto – e qua veniamo al punto – quella descrizione
impietosa toccava il vero problema: non c’era nessuna focalizzazione sulla leadership quale elemento chiave del cambiamento.
La Fiat di oggi ha elaborato 5 principi che utilizziamo come
elementi cardine della condotta manageriale in tutta l’azienda.
Il primo è quello della meritocrazia. Abbiamo rivisto completamente il sistema di incentivi e abbiamo messo a punto una
valutazione manageriale che tende a differenziare la performance e a distribuire le risorse disponibili non più a pioggia
ma in maniera differenziata.
Il secondo elemento è la leadership, intesa come la capacità di
gestire il cambiamento e di guidare le persone.
Il terzo pilastro si fonda sulla necessità di fare proprio il concetto di competizione. La Fiat di oggi guarda alla competizione con occhi diversi: la vede come un’opportunità da
cogliere e da alimentare.
Il quarto principio riguarda il modo con cui ci confrontiamo
con i competitors sul mercato: miriamo a performance da
“best in class”, il nostro obiettivo è di raggiungere risultati
operativi in linea con la migliore concorrenza.
Quinto, e ultimo pilastro della nuova filosofia, è l’affidabilità:
manteniamo le promesse.
Questi 5 principi non sono niente di nuovo, molti di voi li
avranno già sentiti, forse fanno parte della realtà di molte altre
aziende e non c’è il minimo dubbio che qualsiasi top manager
è di vitale importanza nelle organizzazioni, di costringerlo in
qualche frase ad effetto che non serve a molto se non a creare
altri slogan.
Per questo motivo ho scelto di non parlarvi della leadership in
astratto, ma di raccontarvela attraverso la mia esperienza personale, quella vissuta in Fiat negli ultimi anni.
Tutto è iniziato nel 2004, da un primo colloquio che ho avuto
con il Dott. Marchionne. Per due ore abbiamo parlato fondamentalmente di due argomenti: la cultura aziendale, collegata
alla gestione del cambiamento, e la leadership.
Quello che mi ha particolarmente colpito, è stata l’attenzione
che una persona come lui, con il suo ruolo, con le sue responsabilità, con i suoi impegni, riponeva sul proprio interlocutore
e sul suo punto di vista. In quel momento ero io, ma in seguito
ho avuto modo di vedere, intervistando decine di persone
insieme a lui, che in realtà gli aspetti della cultura e della leadership non erano temi che aveva affrontato con me solo perché stava parlando ad un potenziale responsabile delle risorse
umane, ma sono argomenti che affronta di continuo e sistematicamente, con tutti i candidati che si propongono per entrare
nel gruppo Fiat.
Credo sia questo il primo aspetto importante della leadership.
È qualcosa che effettivamente deve partire dall’alto, nel senso
che i primi a crederci, a promuoverla e a diffonderla nell’organizzazione devono essere i vertici aziendali. Ed è qualcosa che
deve essere vissuta.
Io sono nato in Italia, cresciuto in Svizzera, mi sono laureato
in legge all’Università di Losanna, non sono un professionista
delle relazioni industriali e non avevo mai lavorato prima per
un’azienda italiana. Conoscevo ben poco della Fiat allora, se
non quello che una persona che vive all’estero può sapere leggendo i giornali. Vi dico queste cose semplicemente perché
credo che la scelta del Dott. Marchionne sia stata, a suo
tempo, una scelta coraggiosa. Questo è il secondo aspetto che
caratterizza la leadership: il fatto di essere innovativi anche
nella selezione delle persone.
Sono entrato in Fiat nel 2005, come responsabile delle risorse
umane di una delle linee di business del Gruppo, la Case New
Holland, con base negli Stati Uniti, e a luglio del 2007 ho
assunto la responsabilità delle risorse umane del Gruppo, con
la doppia responsabilità anche per il settore automobilistico.
Quando si è trattato di trovare il mio sostituto in CNH, a mia
volta ho proposto una scelta un po’ atipica: una donna americana responsabile del Manufacturing senza esperienza nelle
Risorse Umane. Si è trattato probabilmente di una decisione
diametralmente opposta rispetto agli schemi di riferimento del
passato, certamente è stata un’altra scelta coraggiosa.
Credo che questa caratteristica rappresenti, in qualche modo,
una costante di tutta la nostra storia recente: il fatto di individuare e premiare uomini e donne che non necessariamente
corrispondono ai profili che abbiamo pensato e conosciuto in
passato.
Il nostro modello di leadership non è nuovo e non ha neppure
la pretesa di rappresentare la “verità”, ma penso che la grossa
differenza rispetto ad altri esempi sia proprio nel vissuto, nel
modo in cui è penetrato nell’organizzazione, nel grado di profondità con cui agisce dall’interno.
In questo momento nel gruppo Fiat c’è un impegno enorme, a
ogni livello e in ogni area di attività, per coltivare questi concetti nella vita di tutti i giorni.
Una delle domande che mi fu fatta al momento del colloquio
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siamo i primi della classe tutti ci seguono e noi, a nostra volta,
seguiamo i primi della classe. Ma penso che proprio ragionare
fuori dagli schemi sia la qualità che ci aiuta a mantenere un
vantaggio competitivo che è assolutamente indispensabile nel
mondo industriale di oggi.
Credo che la leadership non sia mai stata così importante e difficile come in questa epoca.
Lo è perché il mondo in cui viviamo è nuovo ogni giorno e le
variabili in gioco sono tante.
Lo è anche perché la leadership agisce in modo profondo,
nasce nella nostra mente, nei nostri cuori, nella nostra capacità
di vedere il futuro.
Per questi motivi, alla fine di tutto, la leadership è molto più
entusiasmante da vivere che da raccontare.
di imprese di rilievo non esiterebbe a sottoscriverli, anzi, con
tutta probabilità, alcuni potrebbero anche criticarli come minimalisti.
In realtà, credo che la grande differenza risieda nel fatto che
noi stiamo cercando di dare concretezza a questo sistema. Si
tratta di un impegno chiaro, rigoroso e costante.
Vi porto un altro esempio. Tra Natale e Capodanno del 2007
abbiamo trascorso 11 giorni pieni in sessioni di valutazione
dei nostri leader, alle quali hanno partecipato il Dott.
Marchionne e il sottoscritto, l’amministratore delegato del settore di riferimento e i rispettivi responsabili delle risorse
umane. Nel complesso abbiamo rivisto 780 schede di valutazione individuali. Ogni scheda è composta da 16 principi, 8
dei quali riguardano la gestione del cambiamento e 8 la
gestione delle persone. Ovviamente non conoscevamo tutti i
780 manager. Io personalmente ne conoscevo più o meno un
20%, il Dott. Marchionne forse di più.
Per ogni persona abbiamo passato una decina di minuti a cercare di capire quelle che erano state le performance individuali e in che modo si erano realizzate. Dopo di che abbiamo
esaminato, per ciascuna di queste persone, il relativo curriculum, abbiamo rivisto il percorso professionale e soprattutto ci
siamo soffermati su quelle che potevano essere le possibilità
di crescita e di sviluppo. Alla fine di questa lunga sessione di
lavoro, abbiamo identificato circa 250 azioni di miglioramento, un centinaio delle quali hanno comportato trasferimenti o spostamenti di manager da un settore all’altro oppure,
all’interno dello stesso settore, dall’Italia all’estero. Si tratta di
una mobilità orizzontale e trasversale che probabilmente non
si era mai vista. Questo è un altro esempio molto concreto di
quello che stiamo cercando di fare nel gruppo Fiat.
A supporto di tutto ciò, abbiamo naturalmente organizzato dei
workshop, abbiamo attivato un portale, ci siamo avvalsi di tecnologie di e-learning, abbiamo utilizzato mentor coach e quant’altro, ma se devo quantificare, in tutta franchezza, l’impatto di
queste iniziative, probabilmente non andrei oltre una percentuale del 10-15%. Sono convinto che il 90% della svolta culturale e dell’imprinting dal punto di vista della gestione manageriale sia dovuto proprio ai vertici dell’azienda, che stanno cercando di applicarla nella vita di tutti i giorni.
Vorrei darvi qualche spunto sul nostro modo di intendere la
leadership. Sono cose che probabilmente avete letto sui giornali e in cui crediamo fermamente.
Il primo aspetto riguarda l’idea che la leadership è un privilegio. Non è un diritto acquisito, ma va guadagnato e conquistato ogni giorno. Questa è l’unica base per dare vita a comportamenti che siano coerenti con i nostri obiettivi.
Un altro aspetto fondamentale, che a me piace molto, è che la
leadership non è una questione di processi o di misure.
Migliaia di persone sono state formate nella cosiddetta
“scienza del management” e, quasi per necessità, si sono focalizzati in quella direzione, a misurare i processi. Sfortunatamente la leadership non ha niente a che vedere con tutto ciò, è
qualcosa di profondamente diverso. La vera leadership è qualcosa che tocca la vita delle persone nel suo complesso, il modo
in cui vivono, in cui parlano, in cui si esprimono, in cui crescono, in cui si sentono premiati per quello che fanno.
Un’altra cosa che la mia esperienza mi ha insegnato è che la
performance, quella al di fuori dagli schemi, può essere raggiunta solo con il coraggio e la determinazione di agire sempre
prima degli altri. Essere prevedibili è rischioso, perché quando
Considerazioni sulla classe dirigente
italiana
Alberto Martinelli,
Professore Ordinario di Scienza politica e Sociologia,
Università degli Studi di Milano
Una debolezza dell’Italia rispetto ai paesi con cui è bene confrontarsi è una relativa debolezza della classe dirigente nel suo
insieme, al di là di quelli che possono essere esempi positivi di
singoli leader o gruppi di leader in questo o quel settore.
Quindi io svilupperò una breve riflessione dapprima sul ruolo
della classe dirigente nelle democrazie complesse e poi sullo
specifico caso dell’Italia contemporanea.
Definisco classe dirigente l’insieme degli individui che possiedono quelle caratteristiche intellettuali e morali che li rendono idonei a svolgere funzioni di comando, ovvero a prendere decisioni strategiche, vincolanti per una comunità nel
campo della politica, dell’economia e della cultura. Si tratta di
caratteristiche che comprendono sia competenze specifiche e
specialistiche, sia competenze più generali, capacità di leadership (come è emerso dall’intervento precedente), spirito innovativo, visione del futuro, consapevolezza dell’interesse generale, e senso di responsabilità pubblica.
Ora il governo di ogni sistema complesso (come la società italiana contemporanea) richiede il conferimento di autorità a
gruppi ristretti di decisori. Questa esigenza non pone particolari problemi per la classe dirigente economica, perché le
organizzazioni economiche accettano pienamente che si
applichi un principio gerarchico alla gestione dell’organizzazione, che esista cioè un vertice legittimato ad assumere decisioni o in quanto imprenditore o in quanto consigliere delegato che gode della fiducia di coloro che hanno il controllo
della società. Pone invece dei problemi per quanto riguarda la
classe dirigente politica di una democrazia, in virtù di quello
che possiamo considerare un paradosso intrinseco nelle democrazie contemporanee e cioè il fatto che, esse, da un lato, si
fondano sulla sovranità del popolo, ma nello stesso tempo
legittimano il governo di minoranze rappresentative.
Il rapporto tra élite e democrazia o se volete classe dirigente e
controllo democratico può essere tuttavia un rapporto virtuoso
purché siano soddisfatte alcune condizioni, enuncerò molto
rapidamente, chiedendomi e chiedendovi se queste condizioni
siano soddisfatte nel contesto della società italiana contemporanea.
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Ad esempio si è assistito a un declino di alcuni importanti centri di formazione, reclutamento e riproduzione della classe
dirigente (università di élite e aziende innovatrici, come l’Università Cattolica o l’Olivetti negli anni ’50). Anche altre
grandi istituzioni, come la Banca d’Italia, sembrano sempre
meno in grado di fornire quadri dirigenti, un po’ perché le sue
competenze sono state drasticamente ridotte con la creazione
della Banca Centrale Europea, un po’ perché recenti vicende
hanno intaccato il suo prestigio.
Un altro fenomeno appare abbastanza evidente, si sono ridotti
i processi di mobilità sociale rispetto a qualche decennio fa,
riduzione ovvia per ciò che riguarda la mobilità inter-generazionale perché quelli sono stati gli anni della modernizzazione
dell’Italia e della sua trasformazione in una società a economia capitalistica matura, ma meno accettabile per quanto
riguarda la drastica riduzione anche della mobilità intra-generazionale.
In terzo luogo, c’è una carenza allarmante di determinate conoscenze e competenze (in particolare di conoscenze logicomatematiche e scientifiche in generale) e un persistente provincialismo in alcuni settori della classe dirigente italiana.
C’è infine il fatto che la classe dirigente italiana è obiettivamente invecchiata; il nostro è un Paese curioso in cui a un’alta
percentuale di giovani pensionati in generale si accompagna
un’alta percentuale di leader anziani, soprattutto maschi. Non
è che un leader giovane sia meglio in quanto giovane o un leader sia meglio in quanto donna, ma sono necessari un maggiore ricambio e un maggiore equilibrio di età e di genere
(anche il fatto che in queste tavole rotonde non ci sia neanche
una donna mi sembra un segnale non positivo).
Quali sono le cause di questo stato di cose? In primo luogo
nella società italiana esistono, più che in altri paesi, diffuse
rendite di posizione professionali, economiche, politiche e
molti settori della nostra economia continuano ad essere scarsamente liberalizzati. In questi anni si è infatti spesso confusa
la liberalizzazione con la privatizzazione.
C’è poi uno scarso orientamento delle principali subculture
politiche italiane nei confronti della meritocrazia; sia la cultura di orientamento marxista, socialista, comunista e post
comunista, sia quella cattolica e post democristiana, hanno
visto con un certo sospetto il merito e l’eccellenza anche se
per ragioni differenti. Il nostro è un sistema in cui prevale il
criterio della solidarietà rispetto al criterio di merito e comunque rispetto allo spirito competitivo. L’esigenza di recuperare
chi è rimasto indietro è certamente un obiettivo condivisibile,
che risponde anche a un’esigenza di coesione sociale, non è
soltanto una scelta moralmente apprezzabile ma anche intelligente perché mira a realizzare una società coesa, ma non deve
tradursi nella mortificazione di chi vuole eccellere, mentre
invece capitano ancora episodi in cui un insegnante elogia un
adolescente per la sua intelligenza ma critica la sua “volontà di
eccellere”.
Vi sono inoltre gli scarsi investimenti nella ricerca scientifica,
carenza risaputa ma sempre più preoccupante a fronte del crescente impegno della maggior parte degli altri paesi sviluppati.
Un’altra influenza negativa è quella esercitata dall’intreccio,
più stretto che altrove, tra potere economico e potere politico,
fenomeno anche questo assai noto ma che non viene corretto.
Vi è poi la diffusione di fenomeni di clientelismo, assistenzialismo, padrinaggio, per cui si scelgono coloro che devono svol-
Pur riferendosi più specificatamente alla classe dirigente politica, quello che dico riguarda sia pure in modo meno diretto
anche la classe dirigente economica e la classe dirigente intellettuale.
Prima condizione: occorre mantenere il più possibile aperto il
processo di selezione e formazione delle diverse componenti
della classe dirigente, reclutando talenti da tutte le classi e da
tutti i ceti sociali, selezionandoli secondo criteri di valutazione
chiari, meritocratici e universalistici e non criteri ascrittivi di
appartenenza a determinate famiglie o clientele; e sviluppando programmi educativi che non trasmettano solo competenze e capacità ma anche i valori comuni della cittadinanza
democratica, del rispetto della legge e dello spirito civico.
Seconda condizione: il potere conferito a chi decide deve
essere rigorosamente determinato dalla legge e strettamente
controllato così da rendere i leader responsabili. I leader devono essere cioè accountable, oltre che responsabili, devono
cioè render conto delle loro decisioni a tutti coloro che in qualche modo risentono delle conseguenze positive e negative
delle loro decisioni. E quindi la classe dirigente deve essere
chiamata a rendere conto degli esiti delle proprie azioni e deve
essere sottoposta ad efficaci sanzioni in caso di malgoverno
e/o di scarsa trasparenza.
Terza condizione: in tutti i settori devono essere garantite l’alternanza e il ricambio frequente dei gruppi dirigenti. Questi,
pur essendo sostenitori di progetti diversi e dando vita a competizione e conflitto, dovrebbero tuttavia condividere un
nucleo di valori morali e di orientamenti cognitivi comuni:
stato di diritto, democrazia competitiva, governo responsabile, diritti delle minoranze.
Quarta condizione: deve esistere un elevato grado di autonomia delle differenti componenti della classe dirigente e al contempo devono operare meccanismi attraverso i quali ogni
potere sia controllato e limitato da un altro potere, così da evitare una concentrazione pericolosa; il potere economico deve
essere separato dal potere politico, entrambi dal potere culturale, e così via, una divisione che va oltre la classica separazione dei poteri costituzionali.
Infine, quinta condizione: occorre una cittadinanza attiva e
uno spazio pubblico in cui i cittadini possano usufruire di
diverse fonti di informazione, associarsi liberamente, perseguire i propri obiettivi, discutere in piena libertà e criticare i
governanti.
Ognuna di queste condizioni per essere soddisfatta ha bisogno
di norme, istituzioni e atteggiamenti culturali adeguati. Ad
esempio, la prima condizione (reclutamento ampio e criteri di
selezione meritocratici e universalistici) richiede che lo sviluppo della scuola pubblica e una politica di ricerca e innovazione siano vere priorità di governo e richiede anche che il
mercato del lavoro e i sistemi professionali siano aperti,
capaci di creare l’eccellenza e resistere al potere delle consorterie e della cultura della raccomandazione. E la quinta condizione (cittadinanza attiva e spazio pubblico rigoglioso)
richiede un sistema dei media pluralistico e un ceto giornalistico geloso della propria autonomia e così via.
La questione è se queste condizioni siano più o meno presenti
nella società italiana contemporanea rispetto alle altre democrazie sviluppate. L’impressione generale è che i processi di
selezione della classe dirigente italiana siano oggi inceppati o
per lo meno vischiosi e comunque meno efficaci di quanto
accade in altri paesi.
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gere determinati compiti non in base al merito e alle competenze ma in base a reti informali di clientela e parentela, sulla
scorta di raccomandazioni; e nella carriera si premia spesso la
fedeltà rispetto all’intelligenza critica.
Da ultimo il vizio più grave: il deficit di legalità, che riguarda
soprattutto certe aree del Paese ma si estende con intensità
diversa ovunque.
Come si vede il quadro non è confortante, e tuttavia non è il
caso di esagerare perché ci sono anche modi per risolvere tali
problemi. Concludo quindi con alcune modeste proposte.
Innanzitutto, se vogliamo risolvere questi problemi e migliorare la nostra condizione relativamente ad altri paesi con cui
dobbiamo competere come sistema Paese, dobbiamo porre
grande attenzione ai meccanismi di selezione che devono davvero rispondere a criteri meritocratici. Bisogna premiare il
merito, preferire alla raccomandazione la dimostrazione dell’effettiva acquisizione di competenze e capacità e poi una
volta che persone meritevoli vengono inseriti in un’organizzazione (Imprese, Pubblica Amministrazione, Scuole, Organizzazioni culturali) occorre porre in atto una politica retributiva
che premi coloro che lavorano bene e molto e non quelli che
lavorano poco e male.
Bisogna anche adottare meccanismi di valutazione efficaci per
stabilire i criteri di allocazione e distribuzione di risorse pubbliche tra i vari enti. Per quanto riguarda il mio settore, l’università, un sistema di valutazione della produzione scientifica
e della qualità didattica è stato avviato, ma è sulla base di queste valutazioni che vanno distribuite le risorse pubbliche di
finanziamento agli atenei e ai centri di ricerca. I meccanismi
di valutazione devono infatti riguardare sia la selezione, sia la
retribuzione e gli incentivi, sia la distribuzione di risorse.
In secondo luogo, è necessaria una maggiore concorrenza, che
non vuol dire dare più spazio al privato, non confondiamo la
liberalizzazione con la privatizzazione io (continuo ad essere
convinto che un monopolio privato sia ancora peggio di un
monopolio pubblico). Bisogna sviluppare la concorrenza in
tutti i settori, le imprese che operano in un mercato competitivo sono costrette a farlo, bisogna fare in modo che questo
avvenga anche nelle imprese che dipendono dalla pubblica
amministrazione perché operano in base a concessioni e scelte
politiche e occorre anche estendere la logica della competizione alla pubblica amministrazione, alle università, agli
ordini professionali, ai vari settori protetti.
Infine, ma questo è già stato detto ampliamente, è necessaria
una maggiore apertura al mondo, il che vuol dire anche maggiore professionalizzazione, perché la concorrenza internazionale implica lo sforzo costante di migliorare la propria competitività.
Quindi, concludo, per rimediare alla crisi dell’attuale classe
dirigente si deve procedere lungo tre direttrici generali: una
vera cultura del merito nella selezione delle persone, nei meccanismi retributivi e nella distribuzione delle risorse, una
maggiore competizione anche nei settori in cui questa non è
imposta dal mercato, e una maggiore internazionalizzazione
che implica anche il miglioramento della propria professionalità.
Io penso che nel nostro Paese ci siano le condizioni per compiere passi avanti lungo queste direttrici, però non mi nascondo che si tratta di uno sforzo difficile e complesso che richiede
la collaborazione di tutti, in particolare di coloro che come noi
svolgono compiti di educazione e di formazione.
Corporate Social Responsibility
Marco Vitale,
Presidente Fondazione Istud per la cultura d’impresa e di gestione
Il mio tema è la corporate social responsibility, chi mi ha invitato mi conosce da molti decenni e sa che ho una forte vocazione anticonformista, sa anche che la mia vocazione è particolarmente anticonformista proprio su questo tema, per cui si
assume lui tutta la responsabilità di avermi invitato.
Il Prof. Luciano Gallino, che tanti di voi conoscono, professore emerito di sociologia all’Università di Torino, ha scritto
un libretto a mio avviso bellissimo che si intitola “L’impresa
irresponsabile” e in questo libro, parte da una constatazione:
mai come negli ultimi 20 anni si è scritto, si è parlato sul tema
della responsabilità sociale di impresa, della business ethic,
mai come negli ultimi 20 anni si sono stampati quintali di
codici, di raccomandazioni, di documenti di tutti i tipi e mai
come negli ultimi 20 anni la irresponsabilità di impresa ha raggiunto forza e vigore grandissimi creando danni, sconquassi e
dolori a milioni di persone.
Quindi questo contrasto va se possibile spiegato o per lo meno
va indagato. Di fronte a questo contrasto dobbiamo riflettere.
In questo libro il Prof. Gallino dà anche una definizione a mio
avviso ineccepibile dell’“impresa irresponsabile”. La definisce così: irresponsabile è l’impresa che al di là degli elementari obblighi di legge, suppone di non dover rispondere ad
alcuna autorità pubblica e privata, né all’opinione pubblica, in
merito alle conseguenze in campo economico, sociale e
ambientale della sua attività.
A contrario ne consegue la definizione di “impresa responsabile”, che è quell’impresa che oltre ad osservare le leggi sente,
e si comporta in modo coerente, di dover rispondere alle autorità pubbliche e private, e all’opinione pubblica, in merito alle
conseguenze in campo economico, sociale e ambientale della
sua attività. Questa è l’impresa responsabile, cioè responsabilmente inserita nella società come un cittadino di questa
società.
L’impresa è un cittadino, noi quando cerchiamo di essere
buoni cittadini, non ci limitiamo ad osservare la legge, cerchiamo di essere buoni cittadini e siamo pronti a rendere conto
del nostro agire.
Allora è chiaro che si sono andati formando negli ultimi anni,
due approcci, due modi di pensare, due filoni su questo tema,
che poi è un insieme di temi.
C’è chi pensa che essere responsabile dei propri atti, di rendere conto e quindi di essere socialmente responsabile, è nell’essenza della buona impresa. Non è una sovrastruttura, non è
un’imposizione, non è un timbro che ti dà una qualche commissione nazionale od europea, o qualche istituto di certificazione. Addirittura si è parlato di incentivi fiscali, idea che poi,
per fortuna, è stata bloccata. C’è chi crede che l’impresa invece debba crescere in se stessa, nel suo pensiero, nel suo essere, nel suo management questo senso di responsabilità profonda.
Questa guardate è una storia antica, non è una storia moderna.
La grande letteratura dei grandi mercanti italiani del ’400,
quando l’economia italiana e i mercanti italiani erano il vertice del mondo, aveva chiarissima questa visione di impresa,
una visione che mirava al guadagno ma aveva anche un alto
senso di responsabilità nei confronti della città.
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cultura manageriale, nella cultura padronale non c’è questa
attenzione. Io questo l’ho sperimentato in laboratorio, in tutte
le imprese in cui ho avuto qualche influenza o come Presidente o come consulente principale della proprietà a fare
andare avanti questi concetti e abbiamo preso sul serio il tema
della sicurezza.
Cosa vuol dire prendere sul serio? Non limitarsi ad osservare
le leggi, questo va da sé, ma fissare la sicurezza come uno
degli obiettivi dell’impresa. E allora quando ci troviamo una
volta al mese, al Consiglio di Amministrazione e esaminiamo
tutti i dati del conto economico con tanto dettaglio e tanta
cura, in queste imprese viene il responsabile della sicurezza e
ci porta i dati della sicurezza con altrettanto dettaglio, con
altrettanta profondità, dove sono avvenuti gli infortuni, come
si configurano, come si comparano all’anno prima e c’è questa
attenzione che ha messo in moto nel giro di pochi anni un vero
processo di risanamento dei comportamenti interni.
Io porto la testimonianza che in tutte le imprese in cui siamo
riusciti a fare questo, gli infortuni, come semplice conseguenza di questa attenzione seguita poi dagli investimenti e
dalle azioni conseguenti, sono diminuiti mediamente del 50%
in due anni.
Questo è qualcosa che io metto su un bilancio a parte? È qualcosa che faccio perché c’è un decreto ministeriale che dice che
devo avere la responsabilità sociale, o lo faccio perché sono
uomo di impresa consapevole e responsabile? Questi dati e
questa attenzione non li metto su un altro bilancio, li inserisco
nella relazione del bilancio normale, un paragrafo che si
chiama sicurezza sul lavoro e rendo conto sul mio bilancio, su
quello che leggono tutti, del mio operato e dei miei risultati.
Riflettiamo e chiudo, sulla crisi bancaria che stiamo vivendo,
che è una crisi gravissima, quando vediamo società come City
Corp che stavano per saltare se non venivano due principi
arabi a mettere 10 milioni di dollari sul tavolo, o banche conservatrici come era la UBS che erano nella stessa condizione,
vuol dire che il male è molto molto profondo.
Ma la caratteristica di questa crisi è che non c’è una causa
endogena. La crisi del 2001 aveva una causa ben precisa: due
aerei che hanno buttato giù le Twins Towers, un atto di guerra
che ha sconvolto il mondo. Questa crisi non ha alcuna ragione
se non il mismanagement del sistema bancario mondiale e
quanto più grossi gli istituti bancari sono, tanto più grande è
stato il mismanagement.
E qui ci sono anche delle ragioni legate ai meccanismi, con cui
vengono fissati questi giganteschi compensi, questi giganteschi bonus di questi giganteschi megadirettori, i quali i loro
bonus non li prendono quando l’operazione va a buon fine ma
quando la rifilano sul mercato a qualcuno, quando prendono i
cattivi mutui li mettono in qualche pacchetto che nessuno
capisce e lo vendono e rivendono sul mercato come derivati.
Questa è la crisi, su questi derivati e su queste cessioni al mercato, un ceto intero ha incassato cifre mostruose al momento
dell’emissione, non al momento dell’incasso. Allora noi pensiamo, di fronte a manifestazioni di mismanagement di questa
portata, alimentati da questi interessi, di poter contrapporre la
responsabilità sociale, facciamolo pure se ci vogliamo divertire ma sappiamo che si tratta di un divertimento, è come un
rischio, è come dire ad un brigante efferato di recitare tre
padre, tre ave e tre gloria.
Nell’aprile del ’45 un grande italiano Luigi Einaudi appena
ritornato dall’esilio in Svizzera e nominato nel gennaio del ’45
In alcuni scritti ho documentato questa affermazione e non
posso farlo qua. Vi cito solo una definizione che è tra quelle
che mi hanno sempre più affascinato, di Cotrugli, un mercante
raguseo che opera a metà del ’400, fa parte di quei grandi
imprenditori italiani che in quel momento dominavano l’Europa, cioè il mondo occidentale. Opera a Napoli, Barcellona.
Questi imprenditori riflettevano sul loro agire e scrivevano
delle cose egregie. Cotrugli ha scritto “L’arte delle mercatura”
che è uno dei più bei libri di management che io conosca, e in
questo libro da anche una definizione di impresa che allora
veniva chiamata mercatura e dice: “mercatura è arte, ovvero
disciplina intra persone legittime, giustamente ordinata” (cioè
che si comportano correttamente o attraverso azioni giuste, è
una cosa naturale questa non è un di più), “per conservazione
dell’umana generazione con isperanza niente di meno che di
guadagno”. Questa è la legittimazione profonda dell’impresa,
di servire lo sviluppo dell’umanità e nel fare questa funzione
di guadagnare. Questa è una concezione che troviamo nel
nostro tempo in Drucker. Io paragono questa definizione con
una definizione di Drucker che dice: l’impresa è un organo
che persegue degli obiettivi sovraordinati al suo essere, che
persegue fini che la trascendono. È la stessa impostazione.
Ma di fronte a questa antica concezione di impresa, nei tempi
più recenti, quando è partito quello che Sombart ha chiamato
l’ultracapitalismo, cioè il capitalismo ultra finanziario e tutta
una serie di altri fenomeni che conoscete, nasce un conflitto
effettivo tra questa antica concezione di impresa e queste forze
quasi cieche della macchina economia. Sombart che analizza
a fondo questo ultracapitalismo dice: questa è una forza che ha
bisogno di essere contenuta dalla società, dalle difese della
società, anche con la durezza che questa violenza e questa
aggressività richiedono.
Ecco meditiamo su questa forza e sulle distorsioni che questa
forza comporta, perché non possiamo rispondere a questi
fenomeni poderosi, a questi problemi grandissimi come
stiamo cercando di fare da 20 anni con i pannicelli caldi come
la business ethic o queste cose del genere.
Questo è il secondo filone che è quello che io contesto dall’88,
da una lezione che tenni in Bocconi, che cerca invece di
costruire qualcosa che non deriva dall’essenza dell’impresa,
che non nasce e non plasma l’impresa nei suoi elementi costitutivi, ma è qualcosa di parallelo, di esterno, che aiuta ad
essere un po’ buoni. E questo filone molto formale, molto
apparente, questa pubblicazione di bilanci paralleli al bilancio
reale, c’è il bilancio reale che è l’impresa cattiva, poi facciamo
il bilancio buono. Questa dissociazione io la contesto e non
sono il solo, ma non siamo in molti a contestarla, perché è
diventata una moda, e per di più una moda che rende.
Allora per chiudere, lasciatemi concretizzare queste riflessioni
che richiederebbero ben altri approfondimenti, con due esperienze.
La prima esperienza è la sicurezza sul lavoro. Noi certamente
non solo noi italiani, abbiamo un grande problema della sicurezza del lavoro, però sembra che in Italia la questione sia particolarmente grave e particolarmente accentuata.
La mia convinzione maturata nelle imprese è che la sicurezza
del lavoro non è qualcosa in conflitto con l’impresa sana, ma è
qualcosa che aiuta l’impresa a essere sana, aiuta l’impresa a
fare qualità; non si riesce a fare qualità se non c’è quell’attenzione al lavoro, alle procedure, alle persone. E l’elevato livello
di infortuni che abbiamo significa che purtroppo nella nostra
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governatore della Banca d’Italia lesse, nell’Italia ancora divisa
la relazione della Banca d’Italia che era poi la relazione del
’43 che non era stata letta per ragioni belliche, e la formulò lui
insieme al giovane Paolo Baffi. In questa relazione ci sono
queste parole: “le banche non sono fatte per pagare stipendi ai
loro impiegati, o per chiudere il loro bilancio con un saldo
utile, ma devono raggiungere questi giusti fini soltanto nel servire nel modo migliore il pubblico”.
Dedichiamoci a trovare e a formare nuovi Einaudi che ragionino così e vedrete che la social responsibility va a posto.
Grazie.
pubblico e basato su processi di intermediazione creditizia; un
sistema istituzionale più regolamentato, inquadrato sul sistema delle professioni intellettuali tradizionali e con una scarsa
cultura delle tematiche aziendali.
Tuttavia, per molte delle questioni appena indicate il quadro di
riferimento si è profondamente trasformato e sta determinando
sempre più l’esigenza di una maggiore qualificazione delle
conoscenze e competenze nel management. In effetti, la fondamentale ragione che dovrebbe spiegare l’utilità e la necessità di
provvedere al riconoscimento distintivo della professionalità
nel management è quella di valorizzare la cultura della direzione aziendale e la definizione più chiara e diffusa dei suoi
effettivi contenuti e dei relativi criteri di qualificazione, anche
per contribuire in modo più avanzato allo sviluppo economico,
sociale ed istituzionale, in un contesto che è ancora fortemente
caratterizzato da concezioni e da logiche gestionali tradizionali, familiari, relazionali che ne limitano la capacità competitiva e la sostenibilità economica di più lungo termine.
Il management è diventato un paradigma di ordine più generale per l’interpretazione e la risoluzione delle problematiche
di governo di ogni sistema organizzativo che risponde alle
logiche della complessità e della creazione di valore per i propri portatori di interessi (stakeholders) e la sua rilevanza trova
fondamento anche in risposta all’espansione e alla diffusione
delle attività imprenditoriali ed il progressivo riconoscimento
del ruolo non solo economico ma anche sociale delle imprese;
alla crescita e alla maggiore complessità gestionale delle strutture aziendali; all’affermazione delle logiche della competitività e degli obiettivi di qualità e di efficienza gestionale per
tutte le strutture produttive, private e pubbliche; al crescente
ruolo degli investitori e degli intermediari bancari e finanziari
per le dinamiche di sviluppo aziendale.
Per sintetizzare questo fenomeno, si può affermare che sulle
tematiche gestionali la realtà contemporanea vede un passaggio dalla “cultura del decidere” alla “cultura del dirigere”. La
cultura del decidere prevede conoscenze e competenze più
specialistiche che sappiano fronteggiare processi di gestione
la cui priorità è la capacità di risposta rapida e determinata in
un contesto caratterizzato da opzioni più limitate e predefinite,
da istanze culturali, economiche e sociali più strutturate e prevedibili, da una bassa o controllata competitività e da assetti di
potere separati e consolidati. La cultura del dirigere, invece,
comporta conoscenze e competenze più generalistiche per
fronteggiare processi di gestione che richiedono capacità integrate di interpretazione, di valutazione, di orientamento e di
organizzare in un contesto caratterizzato da condizioni di elevata variabilità, competitività e complessità e, altresì, da
assetti di potere allargati ed interdipendenti.
Le precedenti indicazioni assumono ancora più significato
nel nostro contesto per il peso delle piccole e medie imprese
che si trovano a dover fronteggiare una crescente competizione con l’esigenza di acquisire una superiore scala dimensionale e una maggiore capacità gestionale rispetto alle condizioni attuali che mostrano già da tempo dei limiti strutturali. Mentre le aziende di maggiori dimensioni hanno già
acquisito o stanno acquisendo in modo più strutturato le
competenze più avanzate di gestione aziendale sia a livello
manageriale sia mediante la collaborazione con primarie
società di consulenza direzionale, le aziende di minori
dimensioni mostrano maggiori difficoltà ad acquisire le
necessarie competenze al di fuori di quelle che si sono sviluppate all’interno della proprietà o nel management che si è
La sfida della professionalità per il
management
Stefano Cordero di Montezemolo,
Presidente AIMBA Albo Italiano degli MBA
Sebbene le attività di direzione aziendale e i relativi percorsi
formativi siano diventati largamente dominanti sul piano economico e culturale, finora non si è ritenuto di riconoscere che
le conoscenze e le competenze avanzate nel management debbano essere interpretate ed organizzate secondo le logiche di
una distintiva professionalità intellettuale che risponde a specifici schemi e percorsi di qualificazione.
La direzione aziendale o management è una specifica disciplina e, come tale, è una distintiva professionalità intellettuale
che è portatrice delle conoscenze e delle competenze (i concetti, i principi, i metodi e gli strumenti) che riguardano, in termini generali, le logiche di interpretazione e di risoluzione
delle problematiche di gestione delle diverse tipologie di strutture aziendali e, in termini più specifici, i processi di pianificazione, di programmazione, di supervisione, di organizzazione,
di amministrazione della gestione aziendale e che rispondono
agli organi di gestione rappresentativi della titolarità e responsabili delle finalità, delle attività e dei risultati delle aziende.
Secondo un’interpretazione direzionale del fenomeno, il concetto di azienda può essere riferito a tutte le persone giuridiche
dotate di un proprio patrimonio di risorse umane e materiali,
tecniche e finanziarie, tangibili ed intangibili che vengono
gestite per la produzione di specifiche attività che si realizzano all’interno di contesti determinati, con diversi gradi d’intensità, dalle dinamiche della complessità e della competizione per la realizzazione di proprie finalità che possono
essere non solo di natura economica e con scopo di lucro ma
anche di natura sociale, culturale e istituzionale e senza scopo
di lucro.
Nel nostro contesto, il passato mancato riconoscimento delle
professionalità nella direzione aziendale o management può
essere spiegato dal fatto che la direzione aziendale è una disciplina relativamente recente che si è andata sviluppando negli
ultimi trent’anni. Peraltro, nella realtà italiana, il management
professionale ha trovato una maggiore difficoltà di diffusione
e di affermazione in relazione ad un sistema imprenditoriale
caratterizzato da prevalenti modelli di gestione familiare e da
un insieme di ulteriori fattori: un mercato del lavoro più legato
a schemi di dipendenza e di dirigenza strutturata; una minore
diffusione delle attività di consulenza direzionale soprattutto
nell’ambito delle imprese di minori dimensioni; un mercato
dei capitali più domestico, fortemente controllato dal sistema
42
S E Z I O N E 1 – AT T I
formato mediante il rapporto fiduciario con i portatori del capitale aziendale.
Un altro fenomeno che determina l’esigenza di una nuova e
diversa organizzazione delle professionalità avanzate e qualificate nel management è l’evoluzione del mercato del lavoro
per i ruoli di dirigenza e di amministrazione aziendale che
vede una progressiva diffusione di rapporti più flessibili e
temporanei, con modalità d’incarico e di riconoscimento economico legati ad obiettivi o a singoli progetti aziendali.
Inoltre, è in crescita il fenomeno di una maggiore mobilità
degli esperti in direzione aziendale tra le attività di dirigenza e
quelle di consulenza così da rendere sempre meno significative le distinzioni tra la dirigenza aziendale e la consulenza in
direzione aziendale che, invece, riducono la capacità di sviluppo e di diffusione dei valori e delle competenze qualificate
in direzione aziendale. In questo contesto, si ritiene che debba
prevalere il concetto di professionalità in direzione aziendale
al di là del loro esercizio temporaneo o duraturo in attività di
dirigenza, di consulenza o anche di docenza nelle tematiche
manageriali e, altresì, che si debba favorire una strutturazione
più organica ed integrata di questa realtà che, allo stato attuale,
è frammentata in più organizzazioni che intendono rappresentare prevalentemente le modalità di esercizio di queste professionalità che sono destinate ad avere un valore secondario e
temporaneo rispetto a quelle primarie e strutturali che riguardano le specifiche competenze professionali per la soluzione
delle problematiche di direzione aziendale.
A ciò si deve aggiungere che la qualificazione delle professionalità avanzate nel management può favorire una maggiore
capacità nelle fattispecie giuridiche in cui sarebbe richiesta
un’effettiva competenza nelle problematiche di direzione
aziendale e che, finora, il legislatore ha ritenuto di assegnare
in via esclusiva alle figure professionali regolamentate che,
per formazione e per prassi, hanno primarie capacità nelle
materie giuridiche, contrattuali, fiscali, contabili. Inoltre, le
professionalità nel management potrebbero ricoprire alcuni
ruoli che sono destinati a svilupparsi per garantire forme più
avanzate ed articolate di governo aziendale a servizio delle
società quotate (consiglieri indipendenti) ma anche delle
medie aziende familiari (comitati d’indirizzo strategico o
gestionale). Questa impostazione trova fondamento anche
nella progressiva liberalizzazione delle normative riferite alle
professioni intellettuali che sono state recentemente adottate
anche nella realtà italiana a seguito di precedenti direttive
europee e favorirebbe, altresì, la crescita delle associazioni e
società professionali con la partecipazione di professionalità
esperte nelle problematiche di direzione aziendale che sono
l’oggetto prevalente delle attività di queste strutture.
La qualificazione delle professionalità nel management deve
richiedere il possesso di conoscenze generalistiche sulle tematiche della direzione aziendale, tenuto conto che in un contesto
economico, sociale ed istituzionale sempre più determinato
dalle logiche della complessità e della competitività, il
governo delle aziende ed il perseguimento degli obiettivi di
qualità, di produttività, di creazione del valore e di innovazione richiedono una visione allargata ed integrata delle logiche di direzione aziendale. Tra i criteri principali che possono
concorrere al riconoscimento delle conoscenze generalistiche
ci sono i titoli di studio o di diplomi di formazione avanzata
nelle tematiche di general management. Il più riconosciuto
DEL
CONVEGNO A S F O R
programma di educazione avanzata nel campo del general management è il Master in Business Administration (MBA).
L’MBA è il corso di studi nelle discipline aziendali riconosciuto a livello internazionale con il più alto grado di qualificazione professionale, in quanto si rivolge a persone che hanno maturato una significativa precedente esperienza lavorativa ed i cui contenuti e metodi didattici sono strutturati per
acquisire e sviluppare prevalenti competenze operative e metodologiche per la direzione aziendale, oltre a quelle teoriche e
concettuali. In questi termini e nel rispetto di una logica più
liberalizzata delle professioni intellettuali, si deve ritenere che
l’MBA possa essere considerato, con riferimento alle attività
di direzione aziendale, un titolo di qualificazione comparabile
a quello che viene acquisito con gli esami di abilitazione alle
professioni regolamentate.
In Italia, ci sono circa 10,000 titolari di MBA che si sono formati nelle Business School internazionali (circa il 15%) e
nazionali che operano in tutti i principali settori dell’economia
e anche in istituzioni pubbliche, culturali ed accademiche e
rappresentano una parte rilevante della classe dirigente italiana con primari ruoli nei processi di governo delle realtà
organizzative per le quali operano. Tuttavia, allo stato attuale
e a differenza di altri contesti, nella realtà italiana il titolo
MBA ha ancora una limitata valorizzazione se non in ambiti
economici particolari che rispondono a schemi professionali
di ordine internazionale (società multinazionali, la consulenza
di direzione, le investment e merchant bank, i fondi d’investimento ed il private equity) mentre risulta largamente sottovalutato nell’ambito delle aziende private a proprietà familiare
dove sono maggiori sfide della crescita e di un rinnovamento
delle capacità gestionali. Tutto ciò conferma la necessità, nel
nostro contesto, di operare per un maggiore riconoscimento
delle conoscenze e competenze avanzate nel management e,
più in generale, della cultura aziendalistica a servizio delle esigenze di sviluppo e di qualificazione delle capacità di gestione
aziendale.
Infine, ma non per ultimo, un elemento fondamentale che
deve concorrere alla qualificazione delle competenze avanzate nel management è la capacità di operare nel rispetto di
norme etiche o deontologiche che garantiscano sulla generale
qualità e responsabilità di queste professionalità. L’etica è
diventata una grande priorità, soprattutto con riferimento alle
problematiche del management in relazione alla crescita delle
consapevolezza su questa tematica e per i molti negativi
eventi che si sono manifestati in questi ultimi anni nell’ambito
economico e finanziario. Il management deve prevedere principi, valori e regole di comportamento generali per qualificare
l’etica delle singole professionalità nella direzione aziendale
rispetto alla più riconosciuta responsabilità sociale che, tuttavia, rischia di essere una funzione generica e, comunque, determinata dalle finalità e dalle attività delle specifiche realtà
aziendali. L’etica per il management è già diventata un tema
oggetto di studio e di insegnamento nelle principali Business
School e, tuttavia, si deve ritenere che essa debba essere parte
fondamentale di un processo di qualificazione delle professionalità nel management che, secondo gli schemi indicati anche
dalle recenti normative sulle professioni intellettuali, possano
auto organizzarsi e dare vita a processi di riconoscimento che
contribuiscano a valorizzare le conoscenze e le competenze
avanzate nelle tematiche della direzione aziendale.
43
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
SEZIONE 2
RICERCHE ASFOR
3ª Indagine ASFOR “Osservatorio Learning”. Sintesi dei risultati
Elio Borgonovi,
Consigliere ASFOR e Responsabile Area Ricerche
Salvatore Garbellano,
Ricercatore Gruppo di Lavoro ASFOR - Fondazione ISTUD
Mauro Meda,
Segretario Generale ASFOR
Anche quest’anno, ASFOR (l’Associazione Italiana per la Formazione Manageriale) sta realizzando la terza ricerca Osservatorio Learning, che ha la finalità di mettere a confronto le
migliori esperienze formative italiane con le best practices
internazionali.
Nell’ambito dei lavori della VI Giornata della Formazione
Manageriale ASFOR, che si è tenuta a Milano il giorno 19
febbraio 2008, sono stati presentati i primi dati che riguardano
le aziende e le organizzazioni pubbliche italiane e successivamente la ricerca si amplierà in un’ottica di benchmarking.
Hanno partecipato alla prima fase della ricerca 41 realtà rappresentative dello stato della formazione in Italia, molte delle
quali stanno fornendo un concreto supporto alla competitività
delle organizzazioni e alle iniziative di innovazione.
In particolare, hanno partecipato all’indagine i responsabili del
personale e della formazione di importanti aziende (ACI,
Archon Group, Barilla, Banca Popolare di Milano, Banca
Popolare di Vicenza, Brembo, BTicino, Chloride Group,
Edison, Fiat Group, Gas Natural, Italtel, Pavimental, Pirelli,
Seat, Tils, Wave Group), significative organizzazioni che fanno
parte della Pubblica Amministrazione (A.O. Universitaria “San
Martino”, Arin, Consip, Inail, Inpdap, Istituto Superiore di
Sanità, Istat, Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze,
Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Regione Friuli Venezia
Giulia), società che fanno parte di importanti gruppi multinazionali presenti in Italia (3M, Adecco, Auchan, Castorama, Ernst &
Young, Honda, IBM, Manpower, Oracle, Philip Morris, SCA
Hygiene Products, SKF, STMicroeletronics, Sun, Vodafone).
I risultati della ricerca saranno condivisi con le organizzazioni
partecipanti e le altre aziende invitate, in una serie di incontri
organizzati dall’Associazione, nell’ambito delle attività
dell’Osservatorio “Sistema della domanda di formazione
manageriale delle imprese italiane”.
re migliorare l’integrazione della formazione con le altre leve
di gestione del personale (sviluppo delle carriere, gestione e
fidelizzazione dei talenti, ecc.).
Quest’anno su suggerimento di alcune organizzazioni che hanno
preso parte alla ricerca è stata introdotta una nuova domanda sul
livello di integrazione tra formazione formale e apprendimento
informale, che avviene soprattutto, ma non solo, attraverso la formazione on the job. Questo aspetto fa segnalare il più basso livello
di integrazione tra tutte le leve considerate: emerge, quindi, la
necessità di porre maggiore attenzione al coordinamento tra le
diverse forme e modalità di apprendimento. È anche questa un’ulteriore sfida che la formazione deve cogliere per svolgere un ruolo
più incisivo nel “governo” dei processi di apprendimento necessari per la competitività delle organizzazioni.
Tab. 1 - Allineamento della formazione con obiettivi, strategie aziendali e
politiche di gestione del personale
Temi
Oggi
Tra 3 anni
Collaborazione con i responsabili di business
7.2
8.6
Collaborazione con i capi azienda
e l’alta direzione
6.1
7.6
Integrazione con le altre metodologie
di gestione del personale
6.1
8.1
Integrazione con la formazione “informale”
(ad es., training on the job)
5.6
7.4
Scala di valori: 0 = nulla, 10= moltissimo
3ª Indagine ASFOR “Osservatorio Learning”.
La stretta collaborazione con i responsabili di business viene
confermata anche dalle priorità che oggi ha la formazione. Ben
oltre la metà delle organizzazioni indica nello sviluppo delle
competenze necessarie per implementare le strategie e il cambiamento, la priorità più rilevante per coloro i quali fanno formazione in Italia. In particolare, il supporto ai processi di cambiamento è segnalato come la finalità più forte (7.8 su una scala da 1
a 10) seguita dallo sviluppo e aggiornamento delle competenze
distintive e tecniche delle organizzazioni (rispettivamente 7.2 e
7.1). Nei prossimi tre anni, cambiano in modo significativo le
priorità. L’area di maggiore interesse è costituita dal promuovere
l’innovazione seguita dallo sviluppo della nuova generazione di
leader e dalla gestione dei talenti. Sono temi fortemente correlati, quasi complementari l’uno con l’altro (Tab. 2).
La formazione come business partner: tra implementazione del cambiamento e la promozione dell’innovazione
Il primo aspetto da evidenziare è la conferma di uno degli aspetti
maggiormente significativi emersi dalle due precedenti ricerche:
la forte integrazione tra responsabili della formazione e responsabili di business (Tab.1). Gran parte delle organizzazioni esprime
una valutazione positiva sul livello di collaborazione con i manager di linea (7.2 su una scala da 1 a 10). Pur in presenza di diverse
realtà eccellenti, è, invece, più bassa la diretta collaborazione con
i capi azienda e, più in generale, con l’alta direzione.
Anche nell’ambito della stessa funzione del personale, occor44
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
Tab. 2 - Le priorità della formazione
OGGI
TRA 3 ANNI
1. Supportare i processi di cambiamento
1. Promuovere l’innovazione
2. Costruire le competenze distintive
2. Sviluppare la nuova generazione di
talenti
quanto la competitività delle imprese è sempre più legata alla
coerente ed efficace gestione della catena del valore anche in
termini di formazione per i principali stakeholder.
Il rallentamento dell’e-learning e la crescita del coaching, action learning, outdoor
Per quanto riguarda i contenuti della formazione non si segnalano significative variazioni nella ripartizione delle attività (Tab.
4) rispetto alla precedente indagine, mentre alcune novità significative si registrano sul fronte delle metodologie didattiche.
L’aula continua ad essere la metodologia didattica maggior-
3. Migliorare le competenze tecniche 3. Gestire i talenti
3ª Indagine ASFOR “Osservatorio Learning”.
Tab. 3 - Le previsioni di budget per il 2008
•
•
•
In riduzione: 14,2%
Stabili: 47,6%
In aumento: 37,2%
Δ
Δ
Riduzioni del budget nelle PA
Dove ci sono strutture dedicate è forte la presenza di fornitori interni
(ad es., Corporate University, Academy)
Il 30% delle organizzazioni eroga formazione anche per i partner (reti di
vendita, fornitori, clienti)
Δ
Tab. 4 - I contenuti della formazione
Contenuti
%
Marketing, commerciale (vendite, relazioni con il cliente, reti di
vendita, conoscenza prodotto)
Qualità, metodologia per gli addetti alla produzione / servizi
3ª Indagine ASFOR “Osservatorio Learning”.
5.5
Skill manageriali (gestione delle risorse umane, project management, process management, ecc.) e comportamenti organizzativi (comunicazione, lavorare in gruppo, ecc.)
21.1
Sviluppo dirigenti e programmi per alti potenziali
12.3
Information Technology
La maggiore attenzione verso il complesso dei temi dell’innovazione in senso lato (quindi, non soltanto di prodotto/processo, ma anche della leadership all’interno delle organizzazioni) era una tendenza già emersa nella precedente indagine.
Il consolidamento di questo segnale può essere interpretato in
diversi modi. Da un lato, la formazione intende rispondere alle
strategie necessarie per competere nei mercati globali, dall’altro, è consapevole della necessità di ampliare l’ottica, o meglio,
la dimensione temporale entro la quale oggi prevalentemente
agisce (in estrema sintesi, dal breve termine al medio).
Inoltre, i due elenchi di priorità non devono essere necessariamente considerati in contrapposizione. Oggi molte organizzazioni vivono un periodo di significativi cambiamenti in cui è
necessario rinforzare le competenze chiave prima di introdurre significativi programmi per l’innovazione.
16.6
8.4
Competenze professionali e di mestiere
19.8
Neo assunti
6.9
Altro
9.0
Totale
100
3ª Indagine ASFOR “Osservatorio Learning”.
mente diffusa. Permane una forte eterogeneità di situazioni:
alcune organizzazioni utilizzano un’ampia gamma di metodologie, altre organizzazioni, invece, erogano quasi la totalità dei
programmi con le classiche metodologie “face to face”.
L’e-learning, comprese le attività realizzate insieme ad altre
metodologie (“blended”) raggiunge 12.3% delle attività complessive, ma si sono esaurite le aspettative di sensibile aumento per i prossimi anni. Al contrario, chiare previsioni di
crescita vi sono per le metodologie più coinvolgenti: nell’ordine, coaching, action learning, outdoor (Tab. 5).
La formazione per i partner aziendali e il problema dei
budget
Per il 2008, si prevede che i budget siano tendenzialmente stabili,
ma con segnali di riduzioni, a volte anche consistenti, nell’ambito della Pubblica Amministrazione e di aumento in diverse
medie imprese innovative impegnate nei mercati internazionali.
Quest’ultimo dato sembra confortante, ma occorre avere un’opportuna cautela. Le informazioni sono state raccolte tra la fine
del 2007 e il gennaio del 2008, quando, probabilmente, non
erano ancora chiari i segnali di rallentamento della crescita dell’economia. Inoltre, non bisogna dimenticare che le riduzioni di
budget per la formazione spesso avvengono durante il corso
dell’anno e, purtroppo, spesso sono tra le prime voci ad essere
interessate. In ogni caso, superando gli aspetti congiunturali –
analogamente a quanto accade per gli altri processi aziendali – è
molto diffusa l’attenzione all’efficienza e al controllo dei costi.
Il 30% delle aziende partecipanti, oltre a fare formazione per i
propri dipendenti, eroga programmi anche per i partner aziendali (quali, clienti, fornitori, rete di vendita). È una tendenza
che conferma il dato già emerso nelle precedenti ricerche
dell’Osservatorio Learning ASFOR. È un dato positivo in
L’ascesa dei manager di linea come docenti
Anche per quanto riguarda il sistema dei fornitori di formazione si registrano nuovi e interessanti segnali. Nelle organizzazioni in cui sono presenti forti strutture interne dedicate alla
Tab. 5 - Le metodologie didattiche
Metodologie
Tra 3 anni
Aula
63.5
56.0
E-learning
12.3
15.7
Coaching e mentoring
4.7
7.5
Action learning
2.8
4.0
Outdoor
Training on the job
3ª Indagine ASFOR “Osservatorio Learning”.
45
Oggi
2.9
3.7
13.8
13.1
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
Tab. 7 - La valutazione della formazione
formazione – quali, Corporate University o Academy – permane il riconoscimento del loro ruolo primario in qualità di
progettisti ed erogatori di formazione.
Una parte rilevante delle organizzazioni segnala il crescente
coinvolgimento non soltanto nella progettazione, ma anche nella
docenza dei manager interni, di linea, che impiegano una quota
del loro tempo anche per fare formazione ai loro colleghi. Già le
precedenti ricerche avevano fatto registrare il peso significativo
dei manager interni, ma quest’anno, per la prima volta, conquistano il primo posto, per importanza (non per quantità), tra i fornitori di servizi di formazione (Tab. 6). Questa tendenza è confermata anche per i prossimi tre anni. Naturalmente continuano a
svolgere un ruolo di primo piano sia le scuole di management sia
le società di formazione e consulenza che sono chiamate
anch’esse a migliorare l’integrazione con i manager di linea.
Questo fenomeno può essere interpretato in diversi modi:
Metodologie
Oggi %
Questionari di gradimento
100
Questionari di apprendimento
75,3
Attraverso indicatori di performance dei partecipanti
27.3
Misurando l’impatto dell’apprendimento sulle performance dell’organizzazione (su progetti specifici)
15.9
3ª Indagine ASFOR “Osservatorio Learning”.
dei partecipanti. Analogamente a quanto rilevato nelle precedenti indagini, si conferma la tendenza a ricercare forme di
integrazione tra attività di formazione e performance: circa un
terzo delle aziende utilizza indicatori di performance per valutare i programmi di formazione.
Quasi il 16% delle organizzazioni ha sperimentato la misurazione dell’impatto dell’apprendimento sui risultati aziendali.
Tab. 6 - Importanza nella progettazione e realizzazione delle attività di formazione
PARTNER
Il sistema formativo: le attese e le sfide
1. Manager interni come docenti
Le imprese e le organizzazioni pubbliche richiedono alle
scuole e società di formazione di migliorare i seguenti aspetti:
1. maggiore personalizzazione dell’offerta formativa in termini di progettazione e contenuti
2. più ampia rilevanza all’innovazione sia nei contenuti sia
nei metodi di apprendimento;
3. capacità di ottenere risultati in linea con gli obiettivi dell’organizzazione misurati anche mediante l’identificazione di validi indicatori.
Per chi è responsabile della formazione sono, invece, prioritari i
seguenti temi: consolidare il ruolo di business partner nella realizzazione delle strategie e nei processi di cambiamento; migliorare l’integrazione con i sistemi gestionali del personale (in particolare, per dare supporto ai processi di sviluppo della leadership); perfezionare le metodologie di valutazione dei programmi.
2. Società per la formazione dei dirigenti, società di consulenza, scuole di
management
3. Esperti individuali, società di coaching, fornitori di e-learning
3ª Indagine ASFOR “Osservatorio Learning”.
necessità di rispondere alle esigenze di patrimonializzazione e
diffusione di best practice interne; specificità del know how da
trasferire ai partecipanti che è così fortemente integrato
(“embedded”) nei processi aziendali da rendere poco efficaci
gli interventi di consulenti esterni; maggiore diffusione del
coaching; ottenere efficienze tramite la riduzione di costi sui
fornitori di formazione e la consulenza.
Probabilmente è il complesso di queste ragioni che sta rendendo sempre più forte questa tendenza e, in ogni caso, costituisce un ulteriore segnale della stretta collaborazione esistente tra formazione e responsabili di linea.
Qualora questa indicazione venga confermata anche nelle
prossime indagini, si renderà ancora più opportuna una riflessione sul posizionamento degli altri fornitori di servizi di formazione, ad esempio, ampliando l’offerta dei programmi di
“formazione formatori” e/o progettando e realizzando comunità di pratiche in rete.
Riflessioni conclusive
La terza indagine dell’Osservatorio Learning evidenzia la forte
integrazione tra formazione e responsabili di linea. Questa costante cooperazione costituisce un importante filo rosso dei risultati della ricerca. Dall’implementazione dei progetti di cambiamento al mantenimento e aggiornamento delle competenze, dal
coinvolgimento nelle attività di progettazione e docenza alle
modalità di valutazione dei programmi di formazione emerge il
lavorare insieme tra manager di linea e formazione. A tutti coloro
che si occupano di formazione (compreso il sistema di fornitori,
dalle scuole di management alle società di consulenza) viene
chiesto di consolidare il proprio ruolo di partner, pienamente
coinvolto nei processi di miglioramento delle performance e
della competitività aziendale. La sfida che ormai si pongono
molti responsabili della formazione è quella dell’innovazione
non soltanto tecnologica, ma organizzativa e manageriale. Per
realizzare questo nuovo obiettivo è necessario proseguire sulla
strada della qualità, migliorando, in primo luogo, l’integrazione
della formazione con i vertici aziendali, con le metodologie di
gestione delle persone, con i processi di apprendimento informali
che avvengono nelle organizzazioni. Allo stesso tempo, un analogo sforzo di innovazione va fatto in direzione della costante
ricerca di metodologie didattiche più vicine all’evoluzione dei
bisogni e alle attese delle persone e delle organizzazioni.
Il ricorso all’outsourcing e la valutazione della formazione
Trova conferma che l’outsourcing è ampiamente diffuso soltanto per quel che riguarda la progettazione e l’erogazione di
specifici programmi. Sono poche le organizzazioni che hanno
fatto outsourcing delle attività più strategiche di apprendimento, quali l’analisi dei bisogni e la gestione di progetti ad
alto impatto. A differenza di quanto accade negli Stati Uniti,
nessuna organizzazione ha effettuato o prevede di effettuare
l’outsourcing totale delle attività.
La cultura della valutazione della formazione è ormai radicata
nonostante le difficoltà metodologiche e le risorse necessarie
per implementare i sistemi di valutazione (Tab. 7). Tutte le
organizzazioni valutano il gradimento dei programmi, mentre
il 75% delle aziende valuta anche il livello di apprendimento
46
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
Trend evolutivi della formazione manageriale.
Sintesi dei risultati dei Focus Group
Marco Vergeat,
Consigliere ASFOR e Responsabile Area Corporate Learning
Giulia Venini,
Ricercatrice
Nel 2008 ASFOR ha organizzato la seconda ricerca sui “Trend
Evolutivi della Formazione Manageriale”. La ricerca, la cui
prima edizione è stata realizzata nel 2006, si basa su tre Focus
Group e sei interviste individuali della durata di un’ora circa. La
ricerca ha coinvolto venticinque aziende tra le più importanti sul
territorio per dimensioni e struttura in diversi settori di attività sia
industriali che di servizi. I Focus Group sono stati realizzati a Milano, Torino e Roma. Le aziende che hanno partecipato ai Focus
Group sono: Aviogroup, Azimut-Benetti, Ferrero, Fiat Group, Pininfarina, SKF Industrie, Eni, Technogym, Telecom, Italcementi,
Brembo, Ericsson, Pfizzer, Chloride, Seat Pagine Gialle, Banco
Desio, EDS, Pirelli SSC, Accenture. Le aziende invece intervistate sono: Barilla, Edison, Enel, Pirelli, Intesa San Paolo, Unicredit.
budget di spesa vengono approvati dal comitato direttivo.
Il processo di analisi dei bisogni e quindi di qualificazione
della domanda rimane elemento critico per la definizione
dei piani di formazione manageriale. Diverse aziende
testimoniano le difficoltà incontrate nel procedere ad una
efficiente ed approfondita valutazione dei bisogni, indicando allo stesso tempo come questa sia significativa ai
fini di una efficace azione formativa.
Il collegamento ai sistemi di valutazione, sviluppo e gestione
del management rimane debole o significativamente migliorabile. Talvolta sono deboli o incompleti i sistemi di valutazione, talvolta la formazione non è parte integrante, ma continua ad essere un optional ai fini dello sviluppo.
La formazione manageriale “a catalogo” è diffusa e sovente è incernierata su competenze e skills (definite con approccio analitico). L’offerta viene aggiornata su base annuale e biennale e talvolta è definita a livello country.
Viene spesso intesa come un’opportunità volta a stimolare
e responsabilizzare le persone e i capi diretti verso la scelta
di corsi più rispondenti alle esigenze individuali.
Il committement dei vertici è più vivace verso attività formative che sono immediatamente di supporto al cambiamento
o che sono indispensabili per generare risultati di business
nel breve periodo. Dunque prevale un approccio contingente alla formazione, costituito a maggioranza da iniziative
a progetto o a commessa, rispetto a programmi stabili e alla
definizione di core curricola per lo sviluppo del management. A titolo di esempio emerge una sostanziale assenza di
programmi costanti e modulari per lo sviluppo delle competenze delle famiglie professionali (diffuso è l’approccio per
campagne) e di modesta entità sono anche i programmi stabili di accompagnamento e supporto alle carriere. Fanno
eccezione i programmi per i neo-inseriti e per limitate popolazioni di talenti. In pochi casi i programmi di formazione e
sviluppo continuativi sono collegati all’adozione di metodologie Six Sigma e Lean Manufacturing.
Figura 1
Campione - Metodo
25
19
6
Aziende di cui:
hanno partecipato a 3 Focus Group: Torino, Milano, Roma
intervistate (interviste individuali)
SERVIZI
INDUSTRIA
Aviogroup
Azimut-Benetti
Barilla
Brembo
Chloride
Edison
Enel
Eni
Ericsson
Ferrero
Fiat Group
Italcementi
Pfizzer
Pininfarina
Pirelli
SKF Industrie
Technogym
Telecom
Accenture
Banco Desio
EDS
Intesa San Paolo
Pirelli SSC
Seat Pagine Gialle
Unicredit
Trend evolutivi della formazione manageriale - Ricerca ASFOR 2008
Tutte le aziende partecipanti all’indagine possiedono una
struttura permanente dedicata alla formazione, otto di queste
hanno una Corporate University o un’Academy.
A conclusione di questo percorso di indagine e raccolta dati è
possibile fare una sintesi dei principali risultati emersi ad oggi.
Una prima sintesi di questi risultati è stata anticipata durante la
VI Giornata della Formazione Manageriale ASFOR tenutasi a
Milano il 19 febbraio 2008. In seguito si è anche tenuto un
workshop presso la SDA Bocconi.
2. Il tema della leadership come fattore di competitività e di
successo del business e in quanto risultato di un sistema di
sviluppo integrato (valutazione, gestione, formazione, ecc.)
non è ancora percepito come una priorità.
Solo un numero ristretto di aziende (tre casi soltanto) ha un
modello di leadership formalizzato, a cui si riferisce una griglia di comportamenti attesi che vengono valutati ai fini
della carriera, della retribuzione variabile. Altre volte a questo modello esplicito si sostituisce un “modello manageriale
di riferimento” declinato in diverse aree di competenza.
Ciò che è emerso con chiarezza è che si tende tuttavia ad
attribuire alla leadership un significato circoscritto alla
capacità di gestire le persone (lead people), e non esteso ad
un significato più vasto che includa una visione, promozione e governo del cambiamento, capacità di execution,
I risultati dell’indagine possone essere sintetizzati come segue.
1. Il collegamento alle strategie e priorità dell’impresa dei
programmi e degli investimenti in formazione continua ad
essere un tema rilevante e per certi aspetti critico. Dall’analisi
dei dati è emerso che il collegamento della formazione manageriale alle priorità di business è sempre più sentito. Si fa riferimento esplicito per garantire tale collegamento ai piani strategici, si utilizzano strutture dedicate (quali Corporate University) che rispondono al CEO e a responsabili di funzione ed i
47
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
orientamento ai risultati, ecc. In molti casi la leadership è
considerata in fondo una delle capacità manageriali invece
che la risultante dell’integrazione di tratti, qualità, competenze, esperienze e valori dell’individuo.
Il tema leadership segna quindi un ritardo del sistema aziendale italiano, rispetto ad altri paesi avanzati nello scenario
internazionale dove la leadership è già considerata una priorità e un fattore di successo determinante per le aziende.
menti orientati all’innovazione, ed in qualche caso sono
state rintracciate competenze per l’innovazione codificate
all’interno del sistema professionale.
Nonostante l’esistenza di qualche “best practice” riguardante il binomio formazione-innovazione, in cui l’approccio privilegiato è l’action learning, rimane consapevolezza
diffusa che l’investimento formativo in questa direzione è
ancora insufficiente e che le strutture formative dovrebbero “fare di più” per facilitare i processi di innovazione.
3. La maggior parte delle aziende partecipanti attua programmi di talent management. Le modalità di individuazione dei talenti si basano su valutazioni di prestazioni e
potenziale. Si realizzano programmi di formazione per
talenti con contenuti e modalità varie dai master con Business School ai learning tour, da corsi in house, ad esperienze di outdoor e a programmi di coaching.
In qualche caso la formazione dei talenti si avvale di programmi che si basano sulla realizzazione di progetti per
l’innovazione. Contrariamente a realtà internazionali avanzate che prevedono l’aggiornamento dei programmi per
alti potenziali ogni due anni circa, il “dato” italiano rivela
una maggiore tendenza alla stabilità di contenuti.
6. Le tematiche riguardanti sostenibilità ambientale e responsabilità sociale sono perlopiù considerate tematiche
di moda, su cui vengono svolte attività di generica informazione e sensibilizzazione.
I programmi di formazione per sviluppare una cultura
della responsabilità sociale quando ci sono, sono pochi e
progettati a livello corporate. Le aziende che si occupano
davvero di sostenibilità sono quasi unicamente quelle
aziende che svolgono attività a forte impatto ambientale,
anche se vi è qualche eccezione nei servizi.
Lo sforzo più qualificato è quello di passare dalle singole
iniziative a un modello di business basato sulla sostenibilità e responsabilità sociale per poi comprendere le competenze “chiave” da sviluppare.
4. Le sfide dell’internazionalità e dell’interculturalità
sono considerate rilevanti per le aziende impegnate in una
competizione globale. Nel gruppo di studio vi è una forte
divaricazione tra aziende che praticano politiche e soluzioni collaudate e avanzate ed aziende che registrano un
forte ritardo, quasi non si pongano questi problemi; non
vengono invece riscontrate situazioni intermendie.
Internazionalità ed interculturalità sono concetti con significati plurimi, riguardano infatti la distribuzione geografica
dell’azienda, la conoscenza della cultura e stile di vita dei
clienti nei diversi paesi, l’apertura del management verso
modalità di lavoro differenti, la capacità di lavorare in team
interfunzionali ed infine la composizione internazionale del
management e l’internazionalizzazione delle esperienze.
Nella formazione per sviluppare l’internazionalità del management sono ampliamente privilegiate scelte e soluzioni
concrete: corsi in lingua inglese e aule miste, team interfunzionali ed internazionali su progetti ed iniziative di business,
attività esperienziali per favorire team building e team integrati; mentre risultano in forte calo, quasi scomparse, generiche iniziatve di formazione sull’interculturalità.
La tendenza generale su questi temi sottolinea che la formazione è sì considerata un utile complemento per favorire internazionalità ed interculturalità, ma ciò che conta
davvero è l’esperienza di lavoro all’estero e lo stretto contatto con ambienti internazionali. La scarsa padronanza
della lingua inglese in molti casi rappresenta ancora una
criticità ed un ostacolo.
7. L’e-learning quando si limita ad essere web-based training (corsi on-line), non è né centrale né rilevante per le
strategie di sviluppo ed innovazione della formazione.
Si tratta di un fenomeno stabilizzato che riguarda dal 5 al
20% delle attività di formazione. L’utilizzo di web-based
training per le reti di vendita e per alcune “campagne” su
contenuti standard (IAS, 626, legge 231, ecc.) è pratica
comune in molte delle aziende intervistate. Vi è un’ampia
disponibilità di cataloghi on line, anche se l’utilizzo effettivo on-demand è molto limitato, mentre viene privilegiata
l’adozione di soluzioni blended per la formazione manageriale. Piattaforme tecnologiche su licenza LMS sono
impiegate in maniera diffusa e vengono utilizzate prevalentemente per l’amministrazione del processo formativo.
Generalmente si registrano investimenti stabili o in calo a
favore di soluzioni tecnologiche più basate sulla interazione e la collaborazione.
La vera frontiera è costituita dalla facilitazione, dal potenziamento e da una maggior finalizzazione dei processi di
apprendimento informali. E cioè dall’incrocio tra le tecnologie WEB 2.0 con le dinamiche sociali e di scambio tipiche delle comunità di pratica o di interesse.
Le communities vengono principalmente attivate e/o sfruttate su obbiettivi e progetti rivolti alla ricerca e allo sviluppo di prodotto, ma sono emerse esperienze pilota anche
in altri ambiti funzionali (ICT, Operations, HR) o per specifiche popolazioni (es. neo-assunti).
Questa frontiera suscita grande interesse e curiosità ma
siamo molto lontani da una visione approfondita e consapevole del fenomeno e delle sue potenzialità. Vi è infatti
scarsa conoscenza delle tecnologie e soprattutto di come
utilizzarle in azienda. Talvolta vengono confuse con tecnologie e soluzioni più tradizionali di e-learning, talvolta
sono considerate di difficile realizzazione e governo.
Vi è però anche la percezione che la potenzialità sia elevata per rafforzare i processi di knowledge management e
di apprendimento informale.
5. L’innovazione è considerata da tutti una necessità, un fattore
strategico di sopravvivenza nel medio e lungo periodo. Riguarda principalmente il prodotto, il marketing e la distribuzione, i processi di lavoro. In qualche caso vi sono unità organizzative e programmi dedicati a favorire e al contempo valorizzare l’innovazione diffusa, ma troppo spesso l’innovazione
risulta essere il frutto dell’iniziativa individuale e fatica ad
evolvere per diventare un vero e proprio processo organizzato.
La tendenza emergente è quella di creare contesti ed ambienti di lavoro che favoriscano ed incentivino i comporta48
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
L’offerta formativa degli associati ASFOR.
Lo scenario della Formazione Manageriale in Italia*
Elio Borgonovi,
Consigliere ASFOR e Responsabile Area Ricerche
Manuela Brusoni,
Ricercatrice Gruppo di Lavoro ASFOR - SDA Bocconi
L’ambito dell’indagine
Il Rapporto ASFOR sulla formazione manageriale in Italia, con
specifico riferimento all’offerta formativa degli associati, è arrivato alla 6° edizione. Si conferma quindi come un momento di
lettura annuale dell’attività svolta dagli associati, siano essi
Scuole di Management, Corporate University o Consorzi pubblici o privati dedicati alla formazione manageriale in Italia.
La formulazione del questionario, che mantiene invariato un
set centrale di domande, quest’anno è stata arricchita da ulteriori approfondimenti qualitativi.
contro il 5%), fenomeno questo dovuto al fatto che rispetto allo
scorso anno, è aumentato il numero di rispondenti (sul totale) di
Scuole che svolgono significative attività rivolte a questo settore. Il funzionamento degli Enti si avvale inoltre di un organico
di dipendenti e collaboratori stabili pari in totale a 2.522 persone, dato numerico in aumento rispetto alla rilevazione dello
scorso anno, l’81% dei quali è comunque coinvolto in attività di
coordinamento, progettazione o organizzazione delle attività
didattiche. Anche se non esistono dati omogenei relativi
all’estero dalla conoscenza diretta o indiretta (in occasione di
procedure di accreditamento) viene evidenziato che il rapporto
personale tecnico-amministrativo (o comunque non docente-docente) è all’estero assai più elevato che in Italia. Ciò indica che
nelle Scuole o Istituzioni di formazione manageriale di altri
paesi, si dà maggiore peso ai servizi integrativi dell’attività di
formazione e di ricerca, il che spesso ha un riflesso rilevante
sulle valutazioni e sul livello di soddisfazione di partecipanti.
In termini di dotazione strutturale, l’attività si svolge in 114 sedi,
con una consistenza di 549 aule a propria disposizione, un totale
di capacità di accoglienza (posti-partecipanti) pari a 12.352, ed
un complesso di 6.763 postazioni informatiche, per la metà circa
dedicate ai partecipanti. 17 scuole hanno più di una sede.
Per quanto riguarda infine le forme di collaborazione, l’orientamento ad avere partnership stabili come riportato in Figura 2 si
conferma come un dato caratterizzante gli associati. Più specificamente la forma di partnership più diffusa (80% delle risposte)
è con le università nazionali seguita dalle partnership con istituzioni pubbliche e con imprese e consorzi (circa il 65% per ciascuna tipologia). Le alleanze con altri Soci ASFOR, infine sono
segnalate dal 44% delle istituzioni che hanno risposto.
La diffusione di altre forme associative, oltre all’appartenenza ad
ASFOR (vedi Figura 3) indica l’importanza attribuita allo sviluppo di rapporti di rete con una molteplicità di interlocutori.
Chi ha risposto
L’indagine, estesa agli associati ASFOR che svolgono attività
formativa (69 su un totale di 74), ha visto un tasso di risposta
del 76% (52 questionari), rendendo la ricognizione rappresentativa sia per i soci sia per osservatori esterni che possono
avere una visione della struttura dell’offerta di formazione
manageriale in Italia.
Un primo dato significativo è la consistenza della Faculty (vedi
Figura 1) che nel complesso dà conto di un numero totale di
docenti stabili (presenti nell’albo dell’Ente da più di tre anni e
con impegno di almeno 20 giornate/anno) di 7.430, a cui si
aggiungono 300 visiting professor inseriti nel complesso delle
istituzioni associate che hanno risposto. La configurazione prevalente del corpo docente è maschile (73%), di matrice aziendale (per il 40%) o consulenziale (per il 28%), e con una consistente esperienza (docenti senior – con più di 10 anni di esperienza – per il 65%). In aumento, rispetto alla scorsa rilevazione,
i docenti provenienti dalla Pubblica Amministrazione (15%
Figura 1: Struttura dei docenti stabili dell’istituzione
Struttura dei docenti stabili dell’istituzione
Numero docenti stabili della Scuola
Numero docenti stabili della Scuola divisi per sesso
300
4%
2020
27%
Uomini
Donne
Figura 2: Partnership stabili stipulate
L’Ente/Istituto ha stipulato partnership stabili con:
7430
96%
5410
73%
Professori della Scuola
Visiting Professors
N=52
n=46
Numero totale docenti stabili, di cui:
Numero totale rilevato
di docenti: 7730
254
3%
1190
15%
Docenti universitari (ordinari,
associati, ricercatori,
assistant professor)
n=44
3218
40%
29
15
Università internazionali
37
19
33
SI
Enti di ricerca internazionali
Consulenti
28%
40
23
Scuole di management internazionali
Docenti di matrice aziendale
(imprenditori, dirigenti)
2200
12
Altro (specificare)
Soci ASFOR
1123
14%
13
39
NO
Docenti esteri
Enti di ricerca nazionali
Docenti provenienti dalla/della PA
17
Istituzioni Pubbliche
33
Imprese o Consorzi
33
Università nazionali
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
49
19
19
41
0%
* La ricerca è stata realizzata nell’ambito dell’attività di Ricerca ASFOR
2007, con il coordinamento scientifico di Elio Borgonovi, Consigliere ASFOR
e Responsabile Area Ricerche, e con il coordinamento esecutivo di Mauro
Meda, Segretario Generale ASFOR.
35
20%
40%
11
60%
80%
100%
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
Figura 3: Partecipazione ad associazioni (diverse da ASFOR)
Figura 5: Modalità di acquisizione delle attività di formazione
Partecipazione ad associazioni (diverse da ASFOR)
Partecipazione dell’Ente ad associazioni
diverse da ASFOR
SI
Modalità di acquisizione delle attività di formazione
n=51
Modalità di acquisizione attività di formazione 2007
n=40
NO
36%
33%
44%
Catalogo 2007
64%
Attraverso Bandi Pubblici 2007
n=50
35
6%
32
Corporate 2007
17%
Su commessa diretta 2007
30
25
n=48
Modalità di acquisizione attività di formazione 2008
20
Soci ASFOR
15
11
12
SFC
Altro
34%
45%
8
10
5
Catalogo 2008
0
5%
Assoconsult
EFMD
Attraverso Bandi Pubblici 2008
16%
Corporate 2008
Su commessa diretta 2008
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Figura 4: Certificazioni di qualità e accreditamenti
e nel target, che appare, come mostrato in Figura 6, lievemente superiore nel catalogo rispetto alla commessa. Un segnale, questo, che si può interpretare come approccio propositivo e dinamico alla domanda di formazione.
A supporto di tale interpretazione, il numero di corsi attivati e di
partecipanti nel 2007, sembra essere in ripresa. Benché la confrontabilità delle risposte sia attenuata dalla lieve differenza nella
composizione del campione che ha risposto, il numero dei corsi
effettuati sembra in lieve aumento, poiché il numero totale rilevato, analogo a quello dello scorso anno, si riferisce tuttavia ad
un numero di risposte inferiore (13.358 per 37 risposte nel 2007
rispetto a 13.496 per 42 risposte nel 2006). Anche il numero di
partecipanti rilevato è in sensibile aumento (+30%).
L’offerta di programmi proposti al mercato come master è un’informazione tra le più interessanti della ricognizione del 2007.
Infatti i soci che hanno risposto alla domanda: “Indicare il
numero totale di corsi Master” dichiarano complessivamente
399 master attivati (vedi Figura 7), maggiormente legati alla formazione di persone già in attività (post-experience/executive
Certificazioni di qualità e accreditamenti
Certificazione Qualità
SI
NO
22%
n=50
• La certificazione di qualità
in possesso dei soci è ISO 9000
78%
• 38 soci sono in possesso
di accreditamenti regionali
• 58 è il numero di
accreditamenti regionali
• Diversi soci hanno
accreditamenti
in più di una regione
Possesso accreditamenti regionali
SI
NO
24%
76%
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Un elemento facilitante gli accordi è quello del possesso di
certificazioni di qualità ed accreditamenti, che conferma (vedi
Figura 4) la scelta della certificazione ISO 9000:2000 (78%
delle risposte) e degli accreditamenti regionali (76% delle
risposte), che sembrano andare in parallelo.
Restano limitati gli accreditamenti internazionali, visti probabilmente come un traguardo ancora lontano.
Figura 6: Tasso di innovazione
n=52
Nelle attività a catalogo 2007 vi è stato un tasso di innovazione
(per cambiamento di contenuti o per modificazione del target)?
25
20
15
10
5
0
L’attività formativa, di ricerca e di consulenza
Dalle risposte raccolte nella ricognizione di quest’anno l’offerta di programmi al catalogo viene citata come modalità
principale di acquisizione delle attività di formazione (vedi
Figura 5). Il catalogo sembra quindi acquisire importanza
relativa rispetto alla “commessa diretta”, invertendo il peso
percentuale delle precedenti rilevazioni (circa il 40% per il
catalogo e circa il 35 % per la commessa diretta). La partecipazione a bandi pubblici, come negli scorsi anni, dà conto del
20% circa del volume di attività.
La ripresa dell’attività a catalogo trova conferma nelle risposte alla domanda relativa al tasso di innovazione nei contenuti
21
14
No
n=52
<10%
11-30%
>30%
Nelle attività su commessa 2007 vi è stato un tasso di innovazione
(per cambiamento di contenuti o per modificazione del target)?
20
15
10
5
0
17
17
11
7
No
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
50
10
7
<10%
11-30%
>30%
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
Figura 7: Offerta Master
Figura 8a: Temi affrontati nell’anno 2007
Offerta di master
Temi affrontati nell’anno 2007 in relazione ai target group dei clienti
n=46
Numero totale dei Master
Logistica
90%
Strategia
80%
45%
55%
70%
Organizzazione /
Ris. Umane
60%
Relazioni Esterne
50%
Pre-experience
Operations /
Produzione
40%
Post experience
Marketing /
Comunicazione
30%
n=48
Altro
100%
Lingue straniere
Numero totale partecipanti
20%
IT
10%
46%
Finanza
e
Co
rp
or
at
er
ien
ce
Ex
ec
ut
ive
In
di
vi d
ui
tto
re
Pr
eEx
p
zo
se
an
/T
er
ov
Amministrazione
e Controllo
Acquisti
Skills Manageriali
Gi
Ba
Partecipanti Pre-experience
No
Pr
of
it
icu
ra
zio
ni
e
nc
he
A
ss
54%
Im
pr
es
PA
0%
Partecipanti Post Experience
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
55%), meno nel caso pre-experience (45%). La distribuzione dei
partecipanti è equilibrata tra pre-experience (54%) e post-experience/executive (46%). La classe media è più numerosa per i
pre-experience (~16 persone) e più contenuta per i corsi postexperience/executive intorno alle 11 persone.
Per quanto riguarda l’internazionalizzazione dell’offerta, alla
domanda “l’ente ha realizzato programmi all’estero?” 21 soci,
pari al 40% delle risposte, hanno risposto positivamente per
un totale di 41 iniziative segnalate, prevalentemente in Europa
(40%), e in altri 8 paesi extraeuropei.
I temi affrontati in relazione al target group di clienti indicano
(si veda nelle Figure 8.a e 8.b) un maggiore orientamento ai
temi soft (skill manageriali, marketing e comunicazione, organizzazione e risorse umane) rispetto ai temi tecnici e quantitativi, quali Operations/Produzione, Logistica, Acquisti.
Per quanto riguarda le metodologie didattiche, il profilo derivante dall’indagine (vedi Figura 9) sembra configurare ancora un’impostazione tradizionale, basata fondamentalmente
sull’attività d’aula (poco più del 50%) e sulla discussione di
casi, simulazioni, role playing (24% circa). Metodologie più
attive innovative, quali action learning (circa 8%), outdoor
(circa 6%) o FAD (circa 6%), sono ancora poco sviluppate, il
che deve far riflettere il sistema italiano sulla necessità di rinnovamento.
Le scuole mantengono attivo l’orientamento all’innovazione,
sia in tema di metodologie didattiche, sia in tema di contenuti,
come rivisitazione di tecniche già conosciute, quali l’apprendimento pratico (laboratori applicativi, action learning) e il
supporto allo sviluppo personale (counselling, coaching,
assessment).
Figura 8b: Temi affrontati nell’anno 2007
PA
Skills Manageriali
18,50%
Banche
Assicurazioni
Imprese
20,00%
NoProfit/
Terzo Settore
Giovani PreExperience
Executive
Individui
Corporate
25,00%
30,62%
15,00%
21,11%
24,11%
Acquisti
2,00%
2,19%
0,00%
0,00%
1,48%
1,11%
0,90%
Amministrazione e Controllo
8,00%
10,00%
15,56%
2,50%
8,00%
9,61%
5,00%
5,00%
8,50%
18,81%
2,50%
5,15%
7,22%
5,00%
13,00%
6,31%
9,06%
12,50%
10,36%
7,67%
2,33%
Finanza
IT
Lingue straniere
6,00%
5,28%
0,00%
0,00%
1,82%
2,22%
11,22%
13,00%
13,88%
15,31%
16,25%
20,97%
10,67%
11,22%
Operations / Produzione
1,00%
3,91%
4,06%
0,00%
1,58%
2,50%
11,33%
Relazioni Esterne
4,00%
2,19%
1,63%
0,00%
3,82%
0,56%
3,44%
12,50%
12,00%
4,63%
8,75%
12,70%
12,89%
5,56%
4,00%
6,69%
2,50%
1,88%
4,42%
6,94%
3,11%
Marketing / Comunicazione
Organizzazione / Risorse Umane
Strategia
Logistica
Altro (%) specificare
Soci ASFOR che hanno risposto
1,00%
2,34%
0,31%
0,00%
2,28%
3,06%
0,56%
12,00%
6,71%
3,13%
25,00%
12,42%
14,44%
16,22%
n26
n32
n16
n8
n33
n18
n9
51
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
Figura 9: Metodologie della formazione
Figura 11: Strumenti di verifica
Quali strumenti di verifica vengono utilizzati?
Modalità di acquisizione delle attività di formazione
n=51
Metodologie della formazione 2007
Altro specificare
3
47
Aule 2007
8%
6%
2%
34
Colloqui con i responsabili
Casi Role Play esercitazioni 2007
6%
FAD/BLENDED 2007
16
19
Certificazioni accreditate
31
Action Learning 2007
54%
Altro 2007
n=48
39
Follow-up a distanza di tempo
Outdoor 2007
24%
11
49
Test/questionari finali
Metodologie della formazione 2008
(dati previsionali)
1
43
Test/questionari iniziali
7
Aule 2008
7%
7%
2%
0%
Casi Role Play esecitazioni 2008
8%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
FAD/BLENDED 2008
90% 100%
SI
n=52
Action Learning 2008
NO
Outdoor 2008
24%
Altro 2008
52%
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
follow-up (39 risposte) ed al colloquio con i responsabili (34
risposte). Infine, il 60% degli associati conferma di svolgere
attività di ricerca, i cui risultati sono trasferiti alla formazione
di cui rinnovano i contenuti.
Tra i temi innovativi introdotti i più citati sono collegati ad
aree tematiche tradizionali che, tuttavia sono in un certo senso
“personalizzate” cioè applicate ad ambiti specifici o declinate
in modo innovativo (web marketing, marketing territoriale).
Si citano anche abbastanza diffusamente temi interculturali,
per la cooperazione e l’internazionalizzazione.
La valutazione delle attività formative si conferma una prassi
diffusa e strutturata. Come mostrato in Figura 10 prevale la
valutazione al termine dell’attività formativa, sia come valutazione dell’apprendimento, sia come valutazione di gradimento, attraverso test finali o questionari di soddisfazione.
Và sottolineata la presenza di modalità di valutazione meno
consuete, ma certo più sostanziali, quali la verifica del trasferimento di quanto appreso nell’ambito lavorativo (28 risposte)
e l’impatto della formazione sui risultati di business (11 risposte), collegabili (vedi Figura 11) alla valutazione attraverso
Che cosa cambia
Un 40% circa degli associati che hanno risposto (vedi Figura
12) segnala di aver attuato cambiamenti negli assetti istituzionali e/o organizzativi nel 2007, prevalentemente negli
assetti di governance, nella macro struttura organizzativa e
nel mix di docenti e ricercatori, vale a dire nel cuore della
propria attività.
Le principali priorità affrontate nel 2007, derivabili dalle
risposte, sono polarizzate su due tematiche: da un lato il processo di ristrutturazione dell’offerta, dall’altro le modifiche
alla struttura, fisica ed organizzativa delle scuole. A ciò si
affianca una modifica nel sistema di relazioni esterne, sia in
termini di partnership, sia di networking.
Figura 12: Assetti istituzionali e previsioni per il 2008
Figura 10: Valutazione della formazione
Partecipazione ad associazioni (diverse da ASFOR)
Qualiti tipi di verifiche/valutazioni oggi si realizzano?
Impatto della formazione
sui risultati di business
11
Sono state effetuate modifiche negli aspetti
istituzionali e/o organizzattivi nel 2007?
39
n=52
Modifiche SI
Modifiche NO
42%
58%
Applicazione/trasferimento
dell’appreso sul lavoro
28
22
Se SI, quali fra questi:
Valutazione
apprendimento
a fine programma
48
30
2
25
20
Reazione/gradimento
al termine
dell’attività formativa
48
2
24
23
15
15
12
Soci
11
10
5
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90% 100%
SI
NO
(a
n=52
3
0
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
52
tro
20%
Al
10%
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len g
ti
0%
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
organizzativa specificatamente dedicata alla formazione per le
PMI, mentre altri soci hanno programmi specifici dedicati a
questo target.
Le iniziative principali rivolte alla PMI prediligono la personalizzazione tramite iniziative su misura e l’offerta di corsi executive che consentono la modularizzazione dei percorsi formativi.
Si riconosce utile programmare alcuni interventi di rafforzamento, improntati ad alcune principali strategie, tra cui stimolare il ricorso alla formazione finanziata, in particolare l’utilizzo di fondi dedicati, forse non conosciuti o utilizzati per
quanto disponibili, ed il supporto alla costruzione di reti e partnership. 17 soci su 23 si attendono un aumento di fatturato
derivante da attività rivolte alle PMI nel 2008.
Sul fronte dell’e-learning, 23 soci (contro i 16 dello scorso
anno) realizzano percorsi formativi. Il numero di iniziative
formative rilevato è di 175, in leggero aumento rispetto al dato
precedente.
Le criticità da affrontare nel 2008 sono quindi conseguenti alle
priorità manifestate, vale a dire in primo luogo le criticità derivanti dal riassetto interno di molte scuole ed in secondo luogo
le criticità derivanti dallo scenario esterno, citando in particolare l’internazionalizzazione.
Le previsioni di fatturato sono per una sostanziale stabilità,
con qualche spunto di moderato ottimismo (15 risposte su 49
si attendono un aumento del fatturato superiore al 5%).
Il panorama dimensionale dell’attività dei soci, valutato attraverso i dati di fatturato raccolti (45 risposte) mostra una distribuzione concentrata su un numero relativamente contenuto di
enti che fatturano una parte consistente del fatturato cumulato
(le prime sei istituzioni fatturano circa il 60% del volume di
affari cumulato).
Due focalizzazioni: l’attività dei soci per le PMI e l’e-learning.
15 soci su 52 evidenziano di avere un’area/divisione/unità
53
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
L’attività di formazione dei Soci ASFOR
per le Pubbliche Amministrazioni
Ricerca pubblicata all’interno del “XI Rapporto annuale sulla formazione nella
Pubblica Amministrazione” realizzato a cura dell’Osservatorio sui bisogni formativi nella PA
della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione – Presidenza del Consiglio dei Ministri.
guidare il processo formativo e a chiedere un’innovazione dell’offerta. Le strategie e le iniziative di formazione per il settore
pubblico dovranno essere collegate alle strategie dell’azione
di Governo e agli indirizzi delle amministrazioni chiamate ad
attuare con efficacia, efficienza, produttività, economicità queste politiche.
Un grazie al Consigliere Elio Borgonovi che ha curato la ricerca e a Manuela Brusoni e Mauro Meda per aver contribuito all’elaborazione dei dati.
Presentazione Ricerca
Luigi Pieraccioni,
Presidente ASFOR
Il problema del rinnovamento e della modernizzazione del complesso sistema delle amministrazioni pubbliche non è più rinviabile per poter rilanciare la ripresa dell’economia e in generale della società italiana nel quadro della competitività globale e della integrazione politica ed economica sovranazionale
a livello di Unione Europea e di altri organismi internazionali.
Il nuovo Governo dovrà affrontare con decisione e con concrete azioni il nodo della produttività delle amministrazioni
pubbliche e della qualità dei servizi per i cittadini, le famiglie,
le imprese, gli altri corpi intermedi della società nell’ambito
di un modello di sussidiarietà e di “decentramento/federalismo governato”.
Tutti gli studi e le ricerche sull’esperienza di altri paesi indicano che i cambiamenti e le riforme reali e di successo (non
quello dichiarato o definito per legge) si basano su un prerequisito: cambiare la cultura, le conoscenze, le competenze, le
attitudini, i comportamenti dei dipendenti pubblici, partendo
dai livelli più alti della dirigenza per scendere fino ai livelli di
coloro che sono a diretto contatto con i cittadini, le imprese
gli altri soggetti economici e sociali (persone di front office).
Le metodologie e gli strumenti, comprese le nuove tecnologie
di ICT e quelle specifiche dei singoli settori di attività, esistono, ma l’ostacolo più rilevante che si frappone o ritarda il
loro utilizzo è la cultura del pubblico impiego, oltre a una
serie di vincoli istituzionali (eccesso di leggi e normative di
ogni tipo), politici (non sempre una chiara distinzione tra funzione di indirizzo e controllo degli amministratori eletti ed
autonomia gestionale della dirigenza), sociali (ruolo dei sindacati del settore pubblico e di lobbying esterne da un lato, e
dall’altro, la pressione per il cambiamento che può essere
esercitata dall’opinione pubblica a vario livello).
L’indagine ASFOR che da 8 anni rileva l’offerta formativa dei
propri associati nei confronti del settore pubblico costituisce
ormai un punto fermo del rapporto sull’intera offerta formativa per la PA e potrà fornire al Governo significativi elementi
di conoscenza su questo fronte. Sapere chi fa che cosa, chi ha
accumulato esperienze, in alcuni casi anche decennali, nel
settore della formazione rivolta al settore pubblico è essenziale per due tipi di azioni:
a) aumentare il livello di liberalizzazione o di competizione nel
settore, per far prevalere le eccellenze e l’offerta di qualità;
b) conoscere quali sono i partner con i quali elaborare strategie formative più efficaci.
Non vi è alcun dubbio che, in passato i contenuti, i metodi e la
qualità della formazione siano stati fortemente influenzati dall’offerta e che, per il futuro, dovrà essere invece la domanda a
Il contesto e la metodologia
Il Rapporto ASFOR sull’attività degli Associati svolta nel
2007 rivolta al Sistema delle Amministrazioni Pubbliche
riconferma l’impostazione della scorsa edizione, con alcuni
aggiustamenti sulla base delle indicazioni emerse nel 2007.
Un primo aspetto riguarda l’estrema incertezza del quadro
politico istituzionale che ha indubbiamente avuto riflessi sull’attività di formazione.
Le difficoltà della finanza pubblica con le norme della legge
finanziaria riguardanti il contenimento della spesa e le incertezze legate alle elezioni politiche e amministrative hanno
indotto molte amministrazioni a posporre e, nel caso di cambiamenti delle maggioranze, a rivedere o a cancellare programmi di formazione. Tali fattori possono avere avuto un effetto positivo poiché hanno determinato forti spinte alla razionalizzazione dell’offerta sul mercato da parte degli Associati: ha prevalso la logica della cautela.
Anche nel 2007 è proseguito l’effetto di concorrenza da parte
delle Università che, in applicazione alla Riforma a seguito dell’accordo di Bologna (il sistema 3+2 e master universitari),
hanno sviluppato e lanciato con progressiva intensità programmi
master nel settore pubblico (Enti locali, Regione, sanità, servizi
sociali e altri settori) e in seguito avviato anche iniziative nel segmento executive. Tali interventi hanno indotto gli Associati
ASFOR a rivedere le loro strategie e il loro posizionamento nella
formazione rivolta alle Amministrazioni Pubbliche, accentuando
ulteriormente il loro ruolo di diffusori autonomi e indipendenti
della cultura di gestione manageriale in ambito pubblico.
Va anche ricordato che nel 2007 non sono stati ancora completati processi di “ristrutturazione” e “riposizionamento”. La
non risolta gestione della Agenzia per la Formazione nel settore pubblico prevista dalla Legge Finanziaria per il 2007 ha
determinato uno stato di incertezza all’interno dello stesso
sistema delle Scuole pubbliche.
Inoltre va sottolineato che alcune Scuole associate ASFOR
dell’area Pubblica hanno inserito i dati della loro attività nel
2007 fra quelli del Sistema Pubblico. Tale scelta ha determinato una diversa classificazione dei dati raccolti.
Non vanno peraltro dimenticati aspetti positivi: alcune
Istituzioni pubbliche hanno sviluppato una nuova capacità di
analizzare ed esplicitare il proprio bisogno di interventi forma54
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
tivi, il che ha portato in alcuni casi (in verità forse ancora marginali ma significativi) ad attivare “Scuole interne”, si potrebbe
dire Corporate School dei Comuni, Province e Regioni, i cui
dati non sono confluiti nell’indagine presentata in quanto esse
non sono ancora Soci ASFOR. La maggiore capacità degli Enti
di individuare il proprio fabbisogno ha portato a privilegiare
corsi su commessa, focalizzati e specifici, corsi che spesso sono
meno numerosi di quelli degli anni precedenti, ma probabilmente più efficaci sia in termini di soddisfazione dei partecipanti sia in termini di impatto sull’effettivo cambiamento. Per
quanto riguarda la metodologia dell’indagine si sottolinea che il
questionario per il 2007, sulla linea già tracciata nell’indagine
del precedente anno, e i dati richiesti sono stati molto più focalizzati che in passato, richiedendo ai Soci di inserire solo iniziative di formazione manageriale, riducendo le iniziative di formazione tecnico–specialistiche e professionali. I dati perciò non
sono comparabili con quelli degli anni precedenti ma sono sicuramente più significativi per le finalità delle indagini e per
cogliere l’impatto che l’attività dei Soci ASFOR ha sullo sviluppo della cultura manageriale nel Sistema Pubblico.
pagamento” rispondenti a reali esigenze delle amministrazioni
che devono fare una valutazione di “value for content” (valore
per contenuti). È presumibile che questa valutazione sia meno
rigorosa nel caso di interventi formativi “gratuiti” o per iniziative
interne obbligatorie per passaggi di carriera. Il numero medio di
partecipanti per corso (16), esprime una dimensione ottimale per
corsi executive nei quali è fondamentale l’interazione con i partecipanti, ossia la formazione a “due vie”.
Da rilevare che un terzo dei partecipanti (33%) già ricopriva
posizioni dirigenziali e che presumibilmente una parte significativa degli altri partecipanti occupava posizioni predirigenziali o era rappresentato da “alti potenziali”. Tale segmentazione conferma il ruolo strategico della formazione sviluppata
dai Soci ASFOR nel contesto della riorganizzazione della
Pubblica Amministrazione, e viene ulteriormente rafforzata
dal peso percentuale delle diverse aree tematiche trattate (vedi
Grafico 2) e dalla suddivisione per target group (vedi Grafico
2a), che vedono una significativa presenza dei temi legati alle
skill manageriali.
Dimensione e natura dell’attività
Il livello di attività per il Sistema pubblico da parte dei Soci
ASFOR rappresenta una frazione della formazione organizzata all’interno dal Sistema delle Scuole pubbliche o collegata
direttamente ad interventi consulenziali. Tuttavia il contributo
dei Soci ASFOR, dal punto di vista qualitativo, è ugualmente
significativo e qualificato, in quanto ad esso vengono riconosciuti almeno due motivi di valore:
è il canale tramite cui si introduce innovazione nell’Amministrazione pubblica, ossia una cultura diversa da quella
consolidata (e perciò stimolo al cambiamento);
si tratta di una formazione elaborata da Istituzioni che, svolgendo formazione anche per l’Impresa e per il settore privato
in generale, hanno la possibilità di creare efficaci sinergie
nelle conoscenze di entrambi i settori.
I Soci ASFOR che hanno risposto all’indagine per il 2007
sono 30 rispetto ai 33 rispondenti dell’anno precedente.
Risulta importante affermare come la maggior parte di essi
mantenga una precisa politica per il settore pubblico (vedi
Grafico 1), dato che il 73% ha una specifica unità organizzativa dedicata, con oltre 8.500 fra docenti e ricercatori coinvolti, dato in linea con la precedente rilevazione.
Attraverso 6.245 iniziative, con un numero medio di 3,1 giornate, 19.400 giornate complessive di formazione e oltre 100.000
partecipanti, i Soci ASFOR sviluppano un volume apprezzabile
di attività, specie se si considera che si tratta di iniziative “a
Grafico 2
Suddivisione corsi-seminari per area tematica
15%
3%
3%
10%
16%
3%
5%
8%
14%
3%
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
La percentuale di tempo dedicata alla formazione si articola in
mix di attività di cui è interessante prendere atto, da due prospettive:
– la prospettiva dell’istituzione formativa, che arricchisce il
momento del trasferimento dei contenuti (face to face o
distance learning) con un insieme significativo di attività
di design e monitoraggio (44%), rese possibili da un’attività di ricerca (6,4%) e con una personalizzazione dell’efficacia attraverso coaching/tutoring (10,6%);
– la prospettiva del committente, che incomincia a sviluppare consapevolezza nei confronti di un intervento formativo che va oltre alla mera erogazione dei contenuti.
Grafico 1
Esiste un’area dedicata alla formazione per la PA?
Da sottolineare che l’80% dei rispondenti svolge in modo
significativo l’analisi del fabbisogno per la quasi totalità delle
iniziative, a dimostrazione del superamento della fase nella
quale prevaleva la proposizione di “programmi formativi
standard” su contenuti generali o di base.
I dati relativi alle modalità di svolgimento dell’analisi del fabbisogno (vedi Grafico 4) prevedono la verifica dell’intervento
formativo per il 25% con i vertici aziendali e per il 24% con i
responsabili della formazione. Tali risultati possono essere
interpretati come espressione di un positivo collegamento
della formazione alle politiche del personale per realizzare le
SI
27%
5%
15%
NO
73%
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
55
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
Grafico 2a
Target
Aree tematiche
amministrazioni centrali
Area sistema economico e finanza pubblica
regioni
comuni
province
altri enti ed
autonomie
locali
14%
25%
26%
9%
7%
Area giuridico-normativa
5%
15%
27%
18%
Area organizzazione e personale
3%
26%
29%
10%
Area skills manageriali
8%
33%
25%
Area comunicazione e marketing
9%
24%
Area contabilità e finanza
4%
17%
Area programmazione e controllo
5%
Area pianificazione e controllo strategico
Area informatica e telematica
enti pubblici
non
economici
altro
9%
10%
6%
6%
24%
5%
10%
17%
7%
4%
8%
15%
23%
15%
11%
8%
9%
32%
10%
9%
7%
21%
29%
18%
10%
10%
14%
14%
3%
29%
25%
8%
4%
15%
17%
5%
23%
27%
15%
14%
9%
7%
Area linguistica
0%
32%
2%
17%
17%
17%
17%
Area rapporti internazionali
4%
40%
6%
0%
0%
14%
36%
Corsi multidisciplinari
5%
20%
23%
10%
9%
9%
24%
Corsi e seminari aree tematiche/target group
45%
40%
35%
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
Area sistema
economico e
finanza pubblica
Area giuridiconormativa
Area
organizzazione
e personale
Area skills
manageriali
Area
comunicazione
e marketing
amministrazioni centrali
regioni
comuni
Area
contabilità
e finanza
province
Area
programmazione
e controllo
Area
pianificazione e
controllo strategico
altri enti ed autonomie locali
Area
informatica
e telematica
enti pubblici non economici
Area
linguistica
Area rapporti
internazionali
Corsi
multidisciplinari
altro
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Grafico 3
politiche dell’ente, tendenza d’altra parte confermata dall’analisi dei piani di formazione dell’ente, svolta dai Soci ASFOR
nel 22% dei casi. La voce dei partecipanti viene raccolta attraverso questionari e focus group (dato complessivo: 27%).
Rilevante la percentuale di rispondenti che segnala (vedi
Grafico 5) come la verifica o l’esplicitazione degli obiettivi
formativi nella fase di progettazione sia ormai prassi consolidata (97%). L’analisi della coerenza delle competenze (conoscenze tecniche e contenuti) dei docenti rispetto ai contenuti
richiesti (94%), il controllo puntuale anche rispetto al piano
formativo (96%), la verifica delle anomalie al fine della loro
eliminazione durante lo svolgimento del corso (96%), la verifica della soddisfazione dei partecipanti (praticamente vicina
al 100% dei casi) evidenziano un impianto metodologico strutturato e sistematico.
Questi dati sono indicativi di un deciso consolidamento della
logica della formazione di qualità, e non della formazione
quale “fiore all’occhiello” come prevaleva alcuni anni fa.
Indicare in % il tempo dedicato alle seguenti attività
37,9%
40,0%
35,0%
23,2%
21,0%
30,0%
25,0%
10,6%
20,0%
6,4%
15,0%
1,0%
10,0%
5,0%
0,0%
Analisi
dei fabbisogni
formativi e
progettazione
Docenza
face-to-face
o Distance
Learning
Coaching- Coordinamento
tutoring
Ricerca
Altro
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
56
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
tivo: il 45% dei rispondenti non la effettua mai o quasi mai,
contro il 45% che la effettua sempre o quasi sempre, mentre il
resto si trova in una posizione intermedia.
Ancora poco diffusa è la valutazione del rapporto benefici/costi:
il 60% non la effettua mai o quasi mai, mentre il 26% la effettua
sempre o quasi sempre.
Per entrambe queste due ultime modalità di valutazione occorre peraltro sottolinearne la complessità di realizzazione
nonché gli alti costi, non sempre riconosciuti dal committente
pubblico.
Grafico 4
Metodi per analisi del fabbisogno formativo
1%
15%
25%
22%
24%
12%
Contatti e interviste con i vertici dell’Istituzione (Sindaco, Presidente di Giunta, Assessore, Segretario Generale, Direttore…)
Grafico 6
Contatti e interviste con Responsabile del personale e/o della formazione
Somministrazione di un questionario interno al personale
Verifica (rispetto all'erogazione dell’intervento formativo)
Analisi dei piani di formazione o di altra documentazione
Focus group interni con il personale
Altro
30%
29%
Con il vertice dell’ente/istituzione
(Sindaco, Presidente di Giunta,
Assessore, Segretario generale,
Direttore…)
30%
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
22%
25%
Con il responsabile del Personale
e/o della formazione
19%
Grafico 5
20%
Con i direttori dei diversi settori
o diretti superiori dei partecipanti
15%
L'Istituzione/Ente formativo effettua una verifica con
l'Istituzione/Ente richiedente per esplicitare chiaramente e condividere
10%
Con i partecipanti (clienti)
gli obiettivi dell'intervento formativo
da Verifica poche iniziative (1) a Verifica tutte le iniziative (5)
5
5%
14%
3
Altro
0%
83%
4
0%
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
3%
2
0%
1
0%
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
Da una valutazione d’insieme delle informazioni sopra analizzate sembra tuttavia di poter dedurre una maggiore attenzione
da parte della PA a valutare più direttamente l’impatto dell’intervento formativo sulla sua organizzazione.
Il mercato della formazione
Per quanto riguarda le caratteristiche del mercato (vedi Grafico 7), va evidenziato che è in diminuzione l’acquisizione tramite gare pubbliche, aperte o licitazione privata, che è pari al
37%, in diminuzione rispetto al 44% dell’anno precedente
(con la cautela nell’interpretazione dei dati dovuta alla non
completa sovrapponibilità del campione), mentre è in aumento l’acquisizione attraverso la commessa diretta: il 46% dei
90%
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
La fase di verifica dei risultati dell’attività formativa (vedi
Grafico 6) dimostra da parte dei soci un impegno rilevante per
il miglioramento dei processi.
Essa è effettuata coinvolgendo direttamente i partecipanti nel
30% dei casi e i responsabili del personale nel 29% dei casi
(includendo presumibilmente i responsabili dei corsi). I vertici
dell’Ente vengono ascoltati nel 19% dei casi e i direttori dei
settori responsabili di linea nel 22%.
La forma prevalente di verifica dei risultati è quella classica
del questionario (90%), mentre sono in aumento gli incontri di
valutazione con i responsabili del personale e della formazione (74%), e con i vertici politici (74%). Basso è il dato riferito agli incontri con i partecipanti (solo 17%) mentre aumenta
al 32% il dato riferito alle verifiche effettuate con i partecipanti in gruppo.
La valutazione finale dell’apprendimento è ad un livello soddisfacente, nel 54% dei casi viene effettuata sempre o quasi
sempre.
Significativo è il grado di utilizzo delle valutazioni in itinere e
in ingresso, rispettivamente realizzata sempre o quasi sempre
nel 42% e nel 38% dei casi, e in incremento rispetto alla precedente rilevazione.
Limitata – seppur in aumento rispetto al 2006 – è la valutazione dell’efficacia della formazione e dell’impatto organizza-
Grafico 7
Come si caratterizza l’offerta formativa nel 2007?
46%
50%
37%
40%
30%
14%
20%
3%
10%
0%
risposta a
bandi/licitazioni
private
commesse
dirette
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
57
offerta su
catalogo
altro
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
corsi sono tailored rispetto al 35% dell’anno precedente (sempre con la cautela della diversità del campione). Appaiono
minoritarie le iniziative a catalogo: il 14% la rilevazione del
2007, in diminuzione rispetto al 17,4% dell’anno precedente,
dato che conferma un trend discendente.
Come interpretare tali dati? Positivamente se si ritiene la commessa diretta una migliore risposta ai bisogni reali e alle esigenze specifiche dell’Ente, mentre le gare possono introdurre
eccessiva standardizzazione rispetto ai fabbisogni formativi,
anche se le pubbliche amministrazioni sono spesso obbligate a
seguire quest’ultima modalità.
Inoltre per la prima volta si riscontra un’inversione di tendenza nell’acquisizione dell’attività di formazione (l’attività
su commessa supera quella a bando) segnale che potrebbe rappresentare un approccio di maggior responsabilizzazione
dell’Ente committente.
L’utilizzo della modalità di gara pubblica peraltro si presta sempre in modo egregio, se ben impostata, a selezionare il fruitore
più idoneo ad attività di training più standardizzabili, anche se
non sempre le PA seguono questo approccio decisionale.
Va valutato positivamente l’aumento delle iniziative in partnership (il 93% dei rispondenti affermano di averne qualcuna) che
favoriscono la sinergia delle conoscenze-competenze di istituzioni-docenti diversi (vedi Grafico 8). Di esse il 17% sono con
Università italiane (è un segnale positivo di dialogo fra i due
sistemi formativi), il 24% con Regioni ed Enti Locali (presumibilmente sono le iniziative co-progettate), il 21% con società di
consulenza italiane (che esprime la crescente interazione tra attività di consulenza e di formazione di supporto, richiesta spesso
in occasione di gare) e il 9% con altri Soci ASFOR.
Anche se resta limitato il dato delle partnership internazionali,
pari al 5%, esprime un segnale di apertura del Sistema ASFOR
ad un confronto globale.
Nella fase di erogazione (vedi Grafico 9), prevale la modalità
tradizionale della formazione d’aula, che peraltro sulla base
dell’esperienza di chi opera nel settore, diviene sempre più
interattiva, registrando una lieve riduzione rispetto al dato del
2006. Viene infatti usata sempre dal 67% dei rispondenti rispetto al 71% del 2006. È altresì in diminuzione (sempre con
la cautela interpretativa stante la parziale differenza del campione) la modalità di affiancamento “sul lavoro” cui ricorrono,
con elevata frequenza il 33% dei rispondenti.
Ancora marginale è la modalità in auto-apprendimento con
Grafico 9
Formazione tradizionale (in aula)
da MAI poche iniziative (1) a SEMPRE tutte le iniziative (5)
5
4
25%
21%
20%
17%
15%
9%
10%
6% 6%
5%
4% 5%
4%
1%
0%
0%
0%
2%
3
0%
2
0%
7%
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
strumenti multimediali, mentre la modalità in forma mista con
attività “in presenza” assume un ruolo apprezzabile (28%
sempre o quasi sempre).
Tra i temi innovativi di maggior impatto per la PA sono stati
segnalati in primo luogo quelli relativi al nuovo ruolo della dirigenza, in secondo ordine, tra gli altri, semplificazione amministrativa, reingegnerizzazione dei processi, project management,
gestione delle Risorse Umane, internazionalizzazione.
Considerazioni generali
I risultati dell’indagine ASFOR sull’attività dei Soci nei processi formativi nelle Pubbliche Amministrazioni nel 2007 –
unitamente a considerazioni di ordine qualitativo da parte di
chi ha una conoscenza diretta e consolidata del settore – suggeriscono le seguenti considerazioni di ordine generale.
Nel 2007, come peraltro già avvenuto negli anni precedenti, si
è avvertito un generale “calo di tensione” sul tema della formazione da parte del Sistema Pubblico.
Considerata la specificità dei Soci ASFOR, è stata registrata
una “Domanda stabile” per il Settore Pubblico, nelle previsioni dei Soci rispondenti.
L’Offerta, mostra tendenza di miglioramento nella capacità di
analizzare e di adattarsi ai bisogni espressi direttamente o
indirettamente dal Sistema pubblico, a fronte di un sistema
della Domanda che sembra interrogarsi con maggior attenzione sul ruolo della Formazione Manageriale.
A conclusione dell’indagine 2007 appare opportuno ribadire e
rafforzare quanto già espresso nel rapporto 2006 e augurarsi
che il nuovo Governo adotti in tempi rapidi politiche e interventi coerenti con le esigenze.
Per progettare una formazione efficace e che suscita interesse,
occorrerebbe avere un’idea condivisa da tutti gli attori (pubblici e privati) che operano all’interno del Sistema Pubblico
(domanda e offerta), un progetto sul tipo di competenza e di
professionalità che saranno richieste o privilegiate nel futuro.
Ma ciò dipende dal “modello” di amministrazione del futuro
che, a sua volta, è fortemente condizionato dall’architettura
istituzionale del settore pubblico.
Probabilmente la mancanza di chiarezza sui modelli di decentramento, liberalizzazione, privatizzazioni, partnership pubblicoprivato, hanno determinato un clima di attesa e hanno ostacolato
lo sviluppo di iniziative nel campo della formazione manageriale
per il Sistema delle Amministrazioni Pubbliche.
Enti con i quali i Soci ASFOR hanno realizzato attività in partnership
24%
27%
1
Grafico 8
30%
67%
Università italiane
Università internazionali
School of Management Italiane
School of Management
Internazionali
Società di Consulenza Italiane
Società di Consulenza internazionali
Scuole Pubbliche di Formazione
italiane (es. Scuola Sup.
dell’Economia e Finanze)
Scuole Pubbliche di Formazione
internazionali (es. ENA)
Altri enti di formazione locali
(stessa regione)
Altri enti di formazione nazionali
non Soci di ASFOR
Soci ASFOR
Istituzioni della PA,
Regioni e Enti Locali
Altro
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
58
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
ASFOR lancia un appello per un nuovo grande “Progetto Formazione per il settore pubblico”, realistico e quindi impegnativo, capace di mobilitare tutti i soggetti e le forze politiche,
economiche e sociali. Proprio nella convinzione che solo da un
decisivo salto di qualità delle persone (competenze e skill trasversali e manageriali) che operano all’interno del Sistema pubblico – della loro motivazione e valorizzazione – possa derivare
un contributo decisivo al miglioramento della funzionalità delle
Pubbliche Amministrazioni del loro ruolo strategico e positivo
per la ripresa di competitività del “Sistema Italia” nel panorama
delle relazioni internazionali di una società globalizzata.
A questo progetto il Sistema ASFOR può contribuire a sostegno delle scelte delle Istituzioni Pubbliche con il suo
“Manifesto sulla Formazione Manageriale” e il “Codice di
autoregolazione per una Formazione di qualità”, oltre che con
la pluridecennale esperienza di alcuni suoi Associati che sono
leader nel settore e che possono svolgere una gestione di networking con altre associazioni nazionali/internazionali, che
più di recente sono entrati nel segmento della formazione
rivolta al settore pubblico.
9. FONDAZIONE CUOA - Centro Universitario di Organizzazione Aziendale
10. FORMAPER Azienda Speciale C.C.I.A.A. Milano
11. FORMEZ - Centro di Formazione Studi
12. I.F.O.A. Istituto Formazione Operatori Aziendali
13. I.Re.F. - Istituto Regionale Lombardo di Formazione per
Amministrazione Pubblica
14. IPSOA Scuola di Formazione - Wolters Kluwer Italia S.r.l.
15. IRI MANAGEMENT S.p.A.
16. ISIDA - Istituto Superiore per Imprenditori e Dirigenti di
Azienda
17. ISMO Interventi e Studi Multidisciplinari nelle Organizzazioni
18. ISTITUTO GUGLIELMO TAGLIACARNE
19. I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE - Direzione centrale formazione e sviluppo
competenze
20. LUISS BUSINESS SCHOOL - Divisione LUISS Guido
Carli
21. MIB SCHOOL OF MANAGEMENT
22. MIP - POLITECNICO DI MILANO
23. SDA BOCCONI School of Management
24. SDOA Scuola di Direzione e Organizzazione Aziendale
della Fondazione Antonio Genovesi Salerno
25. STOA’ Istituto di Studi per la Direzione e Gestione di Impresa S.c.p.A.
26. STOGEA Scuola Toscana di Organizzazione e Gestione
Aziendale
27. STUDIODELTA S.r.l.
28. THEMIS S.r.l. Scuola per la Pubblica Amministrazione
29. TILS - SDI GROUP
30. UNIVERSUS CSEI Consorzio universitario per la formazione e l’innovazione
I Soci ASFOR che hanno partecipato alla Ricerca
1. ACCADEMIA EUROPEA BOLZANO
2. AFORISMA S.r.l. Scuola di Formazione
3. ALMA GRADUATE SCHOOL - Consorzio Alma
4. BERGAMO FORMAZIONE - Azienda Speciale della
C.C.I.A.A. Bergamo
5. CENTRO METID Metodi e Tecnologie Innovative per la
Didattica - Politecnico di Milano
6. CERISDI Centro Ricerche e Studi Direzionali
7. CTC - Centro di Formazione Manageriale e Gestione d’Impresa C.C.I.A.A. Bologna
8. ERNST & YOUNG Business School
59
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
Osservatorio sull’offerta formativa manageriale
in modalità distance learning dei Soci ASFOR
Francesco Venier,
Membro del Gruppo di Lavoro ICT ASFOR, MIB School of Management - Università di Trieste
Introduzione
È un campione particolare quello su cui ASFOR basa la sua
ricerca, costituito come è dalla quasi totalità degli enti che
offrono formazione manageriale qualificata in Italia.
La maggioranza di questi realizza stabilmente percorsi di formazione e-learning. Una realtà ormai rilevante. Eppure la percezione tra i dirigenti e tra gli operatori è che si tratti certamente di un approccio e di una offerta ormai permanente ma
anche di un “mercato” ancora marginale. Riservato a situazioni didattiche particolari, come rinforzo del percorso di
apprendimento o come modalità di assistenza sistematica o
ancora come soluzione di ricerca e di lavoro cooperativo.
Oppure riservato a target particolari, gli executive, che per
motivi di lavoro preferiscono percorsi a bassa frequenza o praticato da organizzazioni che, per numero di addetti e per struttura distribuita sul territorio, privilegiano modalità distance
learning.
Non si tratta certo dei volumi in continuo rialzo che recenti
ricerche ci indicano, creando anche un certo imbarazzo in chi
non intercetta la richiesta di mercato corrispondente e vive le
difficoltà di un mercato al contrario abbastanza asfittico.
Da questo universo, rappresentativo della formazione manageriale distance learning italiana, emergono alcuni interessanti
punti di attenzione.
Si estende il networking. Aumenta e diventa costume l’accordo e il partenariato tra l’ente che eroga formazione e-learning e altri enti o università. Interessante per più aspetti: riproduce una caratteristica di associazione per omogeneità e complementarietà tipica della impresa italiana e ne trae forza,
esprime omogeneità con la cultura web che tende ai rapporti
di rete e a sfruttare la rete anche su terreni di ricerca e contenuto, può introdurre nuove soluzioni didattiche, “distribuite”,
basate sulla presenza di formatori/contenuti di diverse specializzazioni e appartenenze. La ricerca indica anche alcune questioni rilevanti su cui spetta all’associazione il compito di proporre approcci e soluzioni. Per esempio va valutato se, nonostante la concentrazione in atto dei soggetti che erogano elearning, non siano opportune misure di facilitazione dell’ingresso di nuovi attori anche di piccola dimensione, portatori di
nuovi interessi e forse di competenze particolari.
In questo caso sarebbero necessarie misure in grado di
• abbattere i costi tecnici di accesso (piattaforme multi
utente in outsourcing);
• saltare il livello iniziale di sperimentazione offrendo direttamente standard nazionali qualitativi di buon livello e testati;
• centralizzare e posizionare quindi esternamente alla produzione e gestione dei contenuti, i servizi di assistenza all’apprendimento (dal tutoring alla correzione delle esercitazioni);
I partenariato spontanei in costituzione, poi, possono venire
sostenuti per coinvolgere anche organizzazioni produttive (distretti, patti d’area, ecc.) per promuovere il coinvolgimento
della domanda nei processi organizzativi dell’offerta e facilitare i processi di valorizzazione/inserimento lavorativo post
corso. Possono anche diventare strumento consapevole di promozione della presenza della formazione manageriale italiana
all’estero.
Si tratta di piste di lavoro impegnative da seguire che ASFOR,
con il supporto tecnico del gruppo di lavoro sull’ICT, potrà
affrontare nel corso del 2007 nell’interesse dell’intero sistema
della formazione manageriale.
L’e-learning è “a regime”. Sono finite ormai definitivamente,
almeno su scala nazionale, anche se qualche nuovo ingresso è
certamente possibile, le sperimentazioni di accesso, quelle che
sono servite a capire e a dotarsi di modelli, risorse e metodologie.
I modelli sono solidi e ritenuti efficaci tanto che l’offerta formativa, per quanto riguarda le tematiche, è stabile e non viene
influenzata dalla novità dell’approccio. In origine, al contrario,
i contenuti erano di livello professionale differente più addestrativo o centrati su oggetti vicini al mezzo utilizzato (corsi di
informatica per via informatica) o riservati a momenti limitati
all’interno di percorsi caratterizzati da altre modalità.
L’investimento paga. È in atto un evidente processo di concentrazione. In un mercato in crescita, sebbene non esplosiva,
diminuiscono gli associati che “sperimentano” l’e-learning e
chi ha investito con sistematicità e si è dotato di risorse aumenta la propria quota di intervento. 5 enti realizzano più del
50% del totale dei percorsi.
Diminuiscono gli associati che realizzano pochi percorsi l’anno.
I risultati dell’Osservatorio e-learning 2007
Il Rapporto ASFOR sulla formazione manageriale, arrivato
nel 2007 alla sesta edizione e realizzato con i dati forniti dagli
Associati, rappresenta lo strumento attraverso il quale segnalare le dinamiche che stanno alimentando l’azione delle più
importanti scuole di management, corporate university e istituzioni formative italiane associate ad ASFOR, che quotidianamente si confrontano con le richieste del sistema della
domanda (pubblico, privato e degli individui), fornendo così
una fotografia del settore e un’indicazione di trend.
Dalla prima edizione del 2002 all’odierna abbiamo ulteriormente sviluppato gli ambiti della ricerca, monitorando, oltre ai
dati quantitativi, anche una serie di importanti elementi collegati ai processi di valutazione e allo sviluppo dell’e-learning.
L’e-learning è un tema caldo, di stringente attualità, e che pro-
Il mercato è diversificato. È consistente la presenza di percorsi
e-learning di breve durata, prodotti nuovi, di utilizzo più flessibile, capaci forse di maggior penetrazione. Oggi questi non vengono osservati con sufficiente attenzione e per loro non è stato
predisposto, a differenza che per i master e-learning, un apparato di criteri qualitativi. Un compito per il futuro prossimo.
Sarebbe interessante approfondire il rapporto tra questa offerta,
gli utilizzatori e i contesti d’uso: sono prodotti di maggior usabilità? potenzialmente più vicini alle PMI? utilizzabili con flessibilità che meno permetta l’intreccio con i processi di lavoro?
60
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
babilmente rivestirà nei prossimi anni un ruolo chiave nel
panorama formativo internazionale. Ma, oltre al dibattito da
anni innescato su questo tema, quale è il peso dell’e-learning
nel panorama formativo italiano? E, cosa che più interessa
ASFOR, quale la sua diffusione nell’ambito dello specifico settore della formazione manageriale? Quali le caratteristiche
metodologiche attuate nei progetti fin qui realizzati? Quali
sono i target principali dei fruitori dei progetti e-learning
based? Quali le soluzioni di delivery effettivamente adottate?
Partendo dall’analisi di quanto prodotto negli ultimi anni è
possibile avere un quadro illustrativo dell’evoluzione dell’elearning in Italia, potendo così eventualmente apprezzare in
quali contesti, con quali finalità e con quali modalità attuative
l’e-learning è stato implementato nei progetti formativi realizzati, e quindi quale “ruolo” esso stia giocando nel panorama
formativo manageriale.
A tale scopo dunque ASFOR ha ritenuto strategicamente
importante creare un Osservatorio permanente in grado di
monitorare, sia sul versante quantitativo sia su quello qualitativo, l’offerta manageriale e-learning based proposta dagli
Associati ASFOR. Nasce con queste finalità di analisi il Questionario per la raccolta dell’offerta e-learning, appendice all’Indagine ASFOR sulla formazione manageriale in Italia,
alla quale hanno partecipato tutti gli Associati ASFOR, e
giunto alla sua terza somministrazione.
Con tale questionario, proposto a cadenza annuale con l’obiettivo di diventare un appuntamento consolidato per tutti i Soci,
ASFOR intende costantemente monitorare non solo il numero
dei percorsi formativi realizzati durante l’anno ma anche le
metodologie impiegate all’interno di ogni singolo percorso (e
le relative evoluzioni), i target dei fruitori (sia business che
consumer), i fabbisogni formativi funzionali ai quali si è cercato di rispondere e quali specifiche figure professionali sono
state coinvolte in ciascun progetto formativo.
La parte del questionario incentrato sull’offerta e-learning
based è composta di 19 domande a risposta chiusa (alcune delle
quali con un’appendice “aperta”) e rispetto al questionario
2004 ha visto affiancare alle domande di natura meramente
quantitativa (e incentrata su alcune macroaree: numero di percorsi e di utenti, fatturato dei percorsi e loro incidenza sul fatturato complessivo, strumentazioni tecnologiche adottate) anche alcune domande più marcatamente qualitative, aventi l’obiettivo di evidenziare aspetti metodologici (risorse impegnate, contenuti formativi proposti, composizione ed esperienza
della faculty e del team progettuale) inerenti la natura dei percorsi e-learning based realizzati.
Anche per quest’anno, il terzo, i risultati numerici della risposta all’Osservatorio sono piuttosto incoraggianti. Anche se di
poco il numeo dei soci ASFOR che ha avviato interventi formativi in e-learning è aumentato rispetto all’ano scorso (passando da 16 a 18) e soprattutto è aumentato il numero di corsi
erogati in tale modalità.
anno
2006
2007
Meno di tre corsi
7
6
Tra 3 e 6
4
5
Tra 6 e 10
3
4
Oltre 10
2
3
Ciò ha prodotto un aumento delle persone. Guardando i dati
relativi alle persone formate con interventi di e-learning tra il
2006 e il 2007, notiamo che esiste un aumento significativo
nel 2007 con oltre 1200 persone in più rispetto al 2006.
Grafico 1
Numero persone formate
15500
15325
15000
n. persone
14500
14000
14075
13500
13000
anno 2006
anno 2007
Anno 2006
Anno 2007
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Il grafico che segue illustra il significativo aumento che ha
interessato il numero complessivo di ore di formazione passate dalle 28250 del 2006 alle oltre 32000 del 2007.
Grafico 2
Durata complessiva ore
33000
32000
32250
31000
ore
30000
29000
28000
28250
27000
26000
anno 2006
anno 2007
Anno 2006
Anno 2007
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Più in dettaglio, sempre in riferimento al numero di ore complessive, possiamo dire che la percentuale di ore in modalità elearning rispetto al totale delle ore di formazione erogate è
rimasta sostanzialmente invariata, ovvero le singole società
non hanno modificato il rapporto esistente tra ore d’aula e ore
in modalità a distanza.
Globalmente i dati non evidenziano un particolare trend nella
modalità di ripartizione tra le ore d’aula e quelle in modalità elearning: la percentuale di ore e-learning varia da un minimo
del 10% al 100% con una media di ore destinate all’e-learning
che si attesta attorno al 75%.
Per quanto riguarda l’utilizzo delle piattaforme on line, come
già rilevato in passato, solo una minima parte ha sviluppato la
piattaforma al proprio interno, privilegiando nel 70% dei casi
l’acquisizione dall’esterno.
Tuttavia vi sono elementi relativi al sistema e-learning che evidenziano un elevato ricorso allo sviluppo interno completo o parziale. Si tratta in particolare del tutoring, dei contenuti, dei learning objects dell’instructional design. Il grafico mette in evidenza
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
61
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
Grafico 3
Grafico 6
Durata complessiva ore
Funzionalità piattaforma
90%
70%
32000
Società
32250
31000
30000
ore
83%
83%
80%
33000
pianificazione
72%
60%
61%
50%
comunicazione
monitoraggio
40%
tutoring
28%
20%
28250
28000
valutazione
gestione_amm
10%
27000
0%
26000
anno 2006
distribuzione
50%
30%
29000
registrazione
67% 67%
Anno 2006
Anno 2007
anno 2007
1
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Grafico 7
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Fatturato e-learning
Grafico 4
100%
90%
Piattaforma
28%
80%
12,50%
Società
70%
11%
60%
non rilevato
dal 10 al 30%
inferiore al 10%
50%
40%
61%
30%
20%
10%
Sviluppata
internamente
18,75%
0%
Parzialmente
sviluppata
internamente
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
La personalizzazione dell’interfaccia, della struttura delle funzionalità della piattaforma è attuata dal 67% delle società seppur con
gradi diversi. Come illustra il grafico qui sotto, per il 39% la personalizzazione interessa tutte e 3 le componenti, nel 28% dei casi
la personalizzazione interessa solo uno o due dei componenti. Nel
33% dei casi non si apportano modifiche alla piattaforma.
L’attività mangeriale e-learning/blended nel 2007 è stata per 7
società su 18 prevalentemente rivolta ad aziende con progetti
custom (B2B) mentre solo per 4 società l’attività ha riguardato
prevalentemente percorsi rivolti al mercato. Nei restanti 7 casi
non si evidenzia una prevalenza nell’attività svolta che ha
riguardato parimenti sia percorsi B2B che B2C.
In termini di fatturato pur disponendo di dati parziali, si evince
che per il 72% delle società il fatturato relativo ai percorsi formativi manageriali erogati in e-learning/blended non supera il 30%
e anzi, nel 61% dei casi, non raggiunge il 10%, non discostandosi significativamente dai dati rilevati nel 2006.
Acquisita
all’esterno
68,75%
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
i diversi elementi ed il grado di esternalizzazione: per i contenuti:
solo il 20% viene acquisito esternamente, per l’instructional
design e per i learning objects il ricorso all’esterno è rispettivamente del 25% e 22%. Il tutoring rappresenta il caso limite ed è
decisamente sviluppato internamente nel 94% dei casi.
Si riconferma anche per il 2007 la funzione di supporto all’insegnamento della piattaforma, il cui prevalente utilizzo è per
gli aspetti legati a registrazione, monitoraggio, distribuzione,
valutazione ecc. Scarsamente utilizzate invece le potenzialità
legate alla gestione amministrativa.
Grafico 5
Completamente acquisiti
all’esterno
Parzialmente sviluppati
internamente
Completamente
sviluppati internamente
100%
90%
80%
Grafico 8
Tipologia di attività: B2B - B2C
70%
B2B
39%
B2B e B2C
39%
60%
50%
40%
30%
B2B
20%
B2C
10%
B2B e B2C
0%
contenuti
learning
object
instruc.
design
tutoring
B2C
22%
piattaforma
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
62
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
Grafico 9
Grafico 11
Fatturato e-learning
Diversificazione Target group
100%
90%
70%
Società
5 target group
11%
28%
non rilevato
dal 10 al 30%
inferiore al 10%
80%
11%
4 target group
6%
60%
50%
40%
61%
30%
20%
monotarget
44%
3 target group
22%
10%
0%
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Anche per quanto riguarda la modalità di vendita degli interventi formativi, non si rilevano variazioni significative rispetto all’anno precedente ad eccezione dei bandi pubblici che
scompaiono: per il 33% dei casi la vendita avviene integralmente a catalogo, per il 28% dei casi risponde a richieste specifiche del committente aziendale, per l’11% è frutto esclusivo
di committenza interna di Corporate e per il restante 28% delle
società avviene attraverso modalità miste (committenza
interna ed esterna o catalogo e committenza aziendale).
2 target group
17%
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Grafico 12
Monotarget
Grafico 10
PA; 2
Utenti singoli; 3
Modalità di vendita 2000
catalogo e commitenza
22%
a catalogo
33%
Banche; 1
committenza mista
6%
bandi pubblici
0%
committenza esterna
28%
Corporate; 1
committenza interna
11%
Altre imprese; 1
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Società
Grafico 13
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Target group
Per quanto riguarda i target group di clienti, il quadro si presenta piuttosto variegato con alcune tipicità che troviamo rappresentate nel grafico più sotto. Prevale una discreta specializzazione rispetto al target poiché 8 su 18 sono società monotarget. Per le altre non si delinea un trend particolare includendo
da due a più target group.
Un’analisi dei dati relativa al tipo di specializzazione indica
una più elevata diffusione di società interamente o prevalentemente dedicate agli utenti singoli. Su 8 società che hanno un
unico target group, 3 rivolgono la propria attenzione su utenti
singoli (manager, executive, ecc.).
A questo proposito vale la pena evidenziare che la concorrenza
è maggiore in particolare su tre gruppi: PA, banche e utenti singoli. Il grafico che segue illustra inoltre come per il 2007 un
numero maggiore di società rispetto all’anno precedente abbia
erogato percorsi formativi rivolti alla pubblica amministrazione, al comparto bancario-assicurativo ed a giovani non occupati, confermando una tendenza in atto dal 2006.
Il dato può essere confermato dal numero complessivo di corsi
erogati per target group che nei dati previsionali è notevolmente
incrementato come mostra il grafico rispetto all’anno precedente.
9
2006
8
2007
7
Società
6
5
4
3
2
1
0
1.
PA
2.
3.
Ba
nch
ee
4.
PM
I
As
s.
Alt
re
5.
im
pre
6.
C
Gio
van
se
i
7.
orp
ora
te
Ute
nti
sin
go
li
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Si tratta tuttavia di un dato che va interpretato con cautela poiché
non implica necessariamente un aumento di ore di formazione
erogate, quanto piuttosto una frammentazione delle proposte/richieste in ambito formativo. I dati relativi al fatturato com63
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
Grafico 14
Grafico 17
Temi imprese
Numero interventi formativi
6
11 4
Società
120
100
5
Banche
Assicurazioni
4
PMI
3
Imprese
2
80
Corporate
1
Altro
Logistica
Strategia
Organizzazione / HR
Relazioni estere
IT
Finanza
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Altre Imprese
Banche e
assicurazioni
Strategia
PA
Organizzazione / HR
0
Operations / Produzione
2006
2007
15
9
Lingue straniere
26
25
20
Mkgt / Communication
35
40
Acquisti
60
Amm.ne e Controllo
Skills Manageriali
0
Grafico 18
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Temi giovani non occupati
1,2
Grafico 15
1
Società
Fatturato complessivo e-learning
0,8
0,6
2008
4.000.000,00
Altro
Logistica
Relazioni estere
IT
Operations / Produzione
2007
7.342.652,0
6.000.000,00
Lingue straniere
2006
11.102.158,0
Mkgt / Communication
11.809.751,0
8.000.000,00
Finanza
0
Acquisti
10.000.000,00
Skills Manageriali
0,2
Amm.ne e Controllo
0,4
12.000.000,00
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
2.000.000,00
Grafico 19
0,00
1
Temi utenti singoli
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
3,5
3
Grafico 16
Società
2,5
Temi PA
2,5
2007
2
1,5
2
0,5
2007
1
Altro
Logistica
Strategia
Organizzazione / HR
Relazioni estere
Mkgt / Communication
Operations / Produzione
Lingue straniere
IT
Finanza
Skills Manageriali
Altro
Logistica
Strategia
Relazioni estere
Organizzazione / HR
Mkgt / Communication
Operations / Produzione
IT
Lingue straniere
Finanza
Acquisti
Amm.ne e Controllo
Skills Manageriali
0
Amm.ne e Controllo
0
0,5
Acquisti
Società
1
1,5
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
sono stati: skills manageriali, IT. Non sono invece stati trattati
aspetti relativi agli acquisti alla finanza ed alla logistica.
Per la categoria imprese invece i temi sono gli stessi del 2006
(skills manageriali, amministrazione/controllo, finanza, IT,
organizzazione/risorse umane) con una novità: marketing e
comunicazione, tema trattato da 10 società su 18.
Per quanto riguarda i giovani non occupati: skills manageriali,
plessivo sembrano infatti supportare questa seconda ipotesi.
Per quanto attiene ai temi affrontati nei percorsi e-learning, i
target di riferimento sono stati suddivisi in 4 gruppi o categorie
definiti: PA, imprese (Banche, PMI, imprese, Corporate), giovani non occupati, utenti singoli (executives, managers, ecc.)
Dall’analisi è emerso che per le PA i temi maggiormente trattati
64
S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
Grafico 20
Grafico 22
Metodi di valutazione
Livello esperienza docenti impiegati
100%
90%
80%
Impatto risultati
business
70%
60%
Junior
50%
Middle
40%
Senior
Trasferimento
sul lavoro
Apprendimento
Gradimento
30%
20%
10%
Società
0%
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Società
Grafico 23
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
amministrazione e controllo, logistica, IT e organizzazione/risorse umane, lingue, marketing, logistica, e strategia.
A livello di utenti singoli, invece, amministrazione e controllo
e marketing e comunicazione seguiti da relazioni esterne e
organizzazione delle risorse umane.
Addentrandoci ulteriormente negli aspetti qualitativi, possiamo rilevare che vi è una netta predilezione per l’impiego
di risorse di comprovata esperienza. Per quanto riguarda i
formatori prevalgono docenti con oltre 10 anni di esperienza
(senior), pochissimi invece i junior con meno di 3 anni di esperienza.
Per gli aspetti gestionali, le figure di system administrator e di
help desk tecnologico posseggono un livello di esperienza
compreso fra i 2 e 6 anni per il 67% delle società mentre per i
tutor di processo la percentuale si alza fino al 78%.
La quasi totalità delle società – il 94% – dichiara di avvalersi
di un sistema di valutazione formalizzato, dati che non evidenziano scostamenti significativi rispetto all’anno precedente.
Come rappresentato nel grafico, la maggior parte delle società
è orientata a valutare la reazione/gradimento al termine attività formativa (15) e l’apprendimento a fine programma (17).
Solo in pochi casi la valutazione oltre a indagare il gradimento
e l’apprendimento si spinge anche a verificare le ricadute pratiche sul lavoro (5 società) e l’impatto della formazione sui
risultati di business (4).
Metodi valutazione 2007
10%
37%
12%
reazione/gradimento al
termine dell’attività formativa
valutazione apprendimento
a fine programma
applicazione/trasferimento
dell’appreso sul lavoro
impatto della formazione
sui risultati di business
41%
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Grafico 24
Valutazione apprendimento
17%
33%
test iniziale - finale
follow up - certificazione
test iniziale - finale
follow up
test iniziale - finale
test finale
11%
39%
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Grafico 25
Grafico 21
Strumenti di valutazione apprendimento
Staff di supporto
4
Strumenti
Middle da 2 a 6 anni
Società
80,00%
75,00%
70,00%
3
certificazione
follow up
test iniziale
test finale
2
1
65,00%
60,00%
0
Tutor
System Administrator
Help Desk
Società
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
Fonte. dati 2007 forniti dai Soci ASFOR
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S E Z I O N E 2 – RI C E R C H E A S F O R
In termini complessivi possiamo pertanto dire che il metodo
privilegiato di valutazione è quello al termine del programma
mirato a rilevare il gradimento, seguito dalla valutazione degli
apprendimenti.
Proprio per quanto riguarda la valutazione dell’apprendimento i
metodi più diffusi sono sicuramente quelli del test iniziale e
finale. Tuttavia è interessante notare che nel 33% dei casi vengono utilizzati ben quattro modalità di valutazione degli apprendimenti che includono il follow-up e la certificazione.
Per quanto riguarda invece i costi monetari solo il 22% delle
società afferma di attuare forme di rilevazione costi/benefici,
aspetto facilmente spiegato dalla difficoltà che questo tipo di
analisi comporta e dai tempi richiesti.
Concludendo, il quadro che emerge complessivamente dai
dati riferiti all’e-learning dell’osservatorio sembra confermare
che l’e-learning è “a regime”.
I modelli sono solidi e ritenuti efficaci tanto che l’offerta formativa, per quanto riguarda le tematiche, può definirsi stabile.
Si è comunque registrato per l’anno 2007 un incremento di ore
formative e di persone formate, con un analogo andamento per
quanto riguarda i corsi attivati segno che l’e-learning è una
delle risposte in linea con i bisogni dell’utenza.
Tuttavia i dati relativi al fatturato non sembrano rispettare
l’andamento di crescita: il mercato si è fatto più concorrenziale soprattutto nei settori della pubblica amministrazione del
comparto bancario assicurativo; i percorsi custom sono necessari e la formula e-learning è nella maggior parte dei casi residuale rispetto alla formazione tradizionale o meglio ne costituisce un completamento quasi a sottolineare come l’e-learning esista in funzione di una formazine tipo blended.
Altro dato che va evidenziato è la scomparsa dei bandi pubblici senza che tuttavia ciò impatti il sistema dell’e-learning a
riprova del fatto che l’epoca delle sperimentazioni può dirsi
conclusa.
Da segnalare inoltre l’evidenza di specializzazione rispetto al
target di utenza da parte delle società, che puntano evidentemente a qualificare la propria offerta formativa come dimostrano anche i dati di prevalenze del B2B rispetto al B2C.
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S E Z I O N E 3 – NO T I Z I E
SEZIONE 3
NOTIZIE
Una guida per scegliere un master di qualità:
il Processo di Accreditamento Master ASFOR
Il Processo di Accreditamento Master ASFOR attivato dall’Associazione nel 1989, ha l’obiettivo di distinguere programmi
Master di qualità che rispettano una significativa soglia di requisiti e standard condivisi a livello internazionale, dalla miriade di
programmi – spesso della durata di pochi giorni e con contenuti
estremamente ridotti e specialistici – che pure sono presenti sul
mercato con la denominazione non corretta di Master.
In particolare il Processo intende favorire la legittimazione di
quei prodotti Master, dell’area aziendale/gestionale, che identificano progetti formativi intrinsecamente validi per i loro
contenuti, per la qualità della faculty, per le metodologie didattiche impiegate, per il diretto rapporto con il mondo dell’impresa, per le caratteristiche delle strutture, per il rigoroso
processo di selezione e valutazione e per i risultati di placement (l’80% a sei mesi dalla conclusione del master).
È importante evidenziare che è la Business School o l’Istituzione di Alta Formazione che volontariamente richiede ad
ASFOR di attivare la procedura e sottoporsi a tutte le verifiche
necessarie a conseguire l’accreditamento e al suo mantenimento negli anni. Le motivazioni che spingono una Scuola a
richiedere l’Accreditamento di un Master sono molteplici: primo fra tutti l’obiettivo di continuo miglioramento (up-grading) e la trasparenza verso l’esterno.
Se una Scuola consegue l’Accreditamento di un proprio
Master significa che il programma soddisfa i criteri richiesti
da ASFOR e che verrà continuamente monitorato e aggiornato, adeguandolo ai cambiamenti dei bisogni di formazione.
Il Processo di Accreditamento Master ASFOR per adeguarsi
alle dinamiche della formazione manageriale, ossia ai cambiamenti che il mercato suggerisce come necessari, è stato continuamente aggiornato e implementato. Alcune importanti indicazioni sono emerse sia dal confronto sviluppato nell’ambito
dell’Associazione EQUAL (European Quality Link) – di cui
ASFOR è socio fondatore – che raggruppa oltre una decina di
associazioni nazionali europee tra business school e centri di
formazione manageriale che nei rispettivi paesi svolgono attività di accreditamento. E sia dal Processo di Accreditamento
delle Istituzioni denominato EQUIS (European Quality
Improvement System), avviato sempre nell’ambito di EFMD
(European Fondation for Management Development), il più
importante network europeo nel campo della formazione manageriale.
ASFOR, in accordo con le “linee guida” elaborate a livello europeo, ha individuato tre diverse tipologie in cui suddividere i
Master accreditabili che sono realizzati in modalità didattiche
tradizionali:
Tipo A. Master in General Management:
(durata minima 1.200 ore)
Questi corsi hanno tipicamente un’impostazione di carattere
generale che tocca tutte le principali aree funzionali e di attività delle aziende. Essi sono destinati di norma a giovani laureati senza una significativa esperienza lavorativa e sono intesi
quindi come completamento di una formazione di tipo univer-
sitario per l’inserimento in un percorso di carriera aziendale,
ovviamente vi può partecipare anche chi ha maturato un’esperienza lavorativa. Per questa tipologia di programmi è prevista
una durata minima di 1200 ore di attività complessiva, di cui
almeno 600 di attività didattiche comunque strutturate (lezioni, esercitazioni, lavori di gruppo, ecc.), alle quali si devono
aggiungere obbligatoriamente i progetti sul campo, individuali e/o di gruppo, finalizzati ad incrementare le capacità operative dei partecipanti nelle tematiche manageriali, e il tirocinio/stage presso un’azienda per un periodo di almeno 400 ore.
Tipo B. Master Specialistici:
(durata minima 1.000 ore)
Tali corsi servono ad approfondire le conoscenze di una specifica funzione (es. marketing, finanza, controllo, risorse umane, ecc.), area dell’azienda o settore di attività (es. banca, franchising, terziario, ecc.).
I master specialistici sono di norma destinati a laureati che abbiano in precedenza conseguito una laurea con contenuti formativi coerenti e significativi rispetto alla specializzazione
considerata. Anche questa tipologia di Master non richiede
normalmente una preventiva esperienza lavorativa, sebbene
qualche partecipante possa accedervi dopo diversi anni di lavoro. Ai fini dell’accreditamento questi Master specialistici
devono avere una durata complessiva minima di 1000 ore, di
cui almeno 500 di attività didattiche strutturate e 400 ore di tirocinio/stage aziendale.
Tipo C. Master in Business Administration (MBA):
(durata minima 500 ore)
Questi Master presentano dei programmi formativi di tipo generalistico che mirano ad integrare le conoscenze/competenze
nelle diverse aree aziendali, secondo un’ottica manageriale di
tipo strategico, con specifici focus su aree tematiche e skill
manageriali. Essi sono tipicamente rivolti a partecipanti con
una significativa esperienza lavorativa di tipo aziendale e hanno l’obiettivo di favorire un cambiamento nel ruolo professionale precedentemente ricoperto oppure di favorire un’accelerazione nel percorso di carriera.
Nel 2005 ASFOR ha approvato, sulla base dell’esperienza
maturata nell’accreditamento dei Master “tradizionali”, il
Processo di Accreditamento degli eLearning Executive
Master, con l’obiettivo di fornire ai potenziali clienti della
formazione un sistema di riferimento utile per valutare l’efficacia e la qualità dei nuovi master erogati prevalentemente a
distanza, nella modalità blended.
Il nuovo Processo di accreditamento, definito dopo una significativa fase di sperimentazione e da una ricerca di benchmarking internazionale, ha consentito di individuare il riferimento
prioritario dei corsi e-learning Master accreditabili da ASFOR
nelle iniziative di Executive Education: quelle cioè che rispondono alle esigenze di persone già occupate, in particolare
manager, imprenditori e funzionari.
Gli “eLearning Executive Master” accreditabili da ASFOR
sono caratterizzati da un progetto formativo prevalentemente
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S E Z I O N E 3 – NO T I Z I E
I 29 programmi MASTER che hanno ottenuto l’Accreditamento al 30 maggio 2008 sono:
Master in General Management:
gestito attraverso una piattaforma on line, che prevede l’utilizzo, oltre all’aula, di strumenti di formazione a distanza (come
Wbt, CdRom, dispense, videoconferenze, ecc.) e alterna studio individuale e collaborativo, in aula e a distanza, in modalità di fruizione sincrona e asincrona, e si distinguono in due tipologie:
Tipo A: eLearning Specialised Executive Master
Questi corsi servono ad approfondire le conoscenze e i processi manageriali di una specifica funzione, area dell’azienda o
settore di attività. Essi sono di norma destinati a laureati con
un’esperienza di almeno 3 anni nell’area aziendale corrispondente alla specializzazione considerata.
Tipo B: eLearning Executive MBA
Questi Master presentano dei programmi formativi di tipo generalistico che mirano ad integrare le conoscenze/competenze
nelle diverse aree aziendali secondo un’ottica manageriale di
tipo strategico. Essi sono tipicamente rivolti a laureati con una
significativa esperienza lavorativa di tipo aziendale e hanno
l’obiettivo di favorire un cambiamento nel ruolo professionale
precedentemente ricoperto oppure di favorire un’accelerazione nel percorso di carriera.
Valutare il Master i suoi contenuti e la faculty ma anche
l’Istituzione che lo realizza.
ASFOR, nell’elaborazione delle ultime modifiche apportate alla procedura di accreditamento, ha posto particolare attenzione
non solo alla valutazione del prodotto Master ma anche alla
qualità e solidità della Business School/Istituzione formativa.
Infatti, si è ritenuto essenziale poter esprimere un giudizio sulla Scuola, poiché la qualità stessa del Master non può prescindere dalla validità e dal prestigio dell’Istituzione che lo gestisce.
Pertanto si è deciso di valutare la mission, la strategia e la governance della Scuola ed in particolare il suo ruolo nell’ambiente di riferimento, la sua organizzazione, gli aspetti logistico/strutturali, il suo portafoglio prodotti, le relazioni con le
imprese e la business community, la capacità di sviluppare ricerca ed il suo grado di internazionalizzazione.
Un altro elemento fondamentale e strettamente collegato alla
qualità dell’Istituzione – che rappresenta un indicatore di
qualità di un programma Master, così come individuato da
ASFOR – è sicuramente la capacità della Direzione Master di
realizzare azioni finalizzate alla puntuale valutazione dei risultati ottenuti dai partecipanti, sia in aula/esercitazioni che
nella fase di project work/stage e nella gestione dei rapporti
con le imprese nelle attività di placement. E sempre al fine di
monitorare l’efficacia dell’intervento formativo, la Direzione
Master deve rilevare il grado di soddisfazione dei partecipanti “customer satisfaction”, i quali devono avere sempre la
possibilità di esprimere le loro valutazioni in merito al processo didattico e all’organizzazione.
ASFOR attraverso il Processo di Accreditamento Master –
unico in Italia – ha creato un utile “strumento di qualità” ed
un “servizio di orientamento” nei confronti dei potenziali
partecipanti ai Master, che hanno così a disposizione un importante strumento di informazione e di orientamento, e per
le Aziende, che ricercano diplomati Master con competenze
forti sui temi specifici ma anche con significativi skill manageriali e che attraverso i master accreditati possono contare su solidi programmi, in grado di trasferire ai partecipanti le “competenze e capacità manageriali” ritenute indispensabili.
Master in International Business Studies, CIS-Scuola per la
Gestione d’Impresa (Reggio Emilia)
Master in Gestione Integrata d’Impresa, Fondazione CUOA
(Altavilla Vicentina – VI)
Master in General Management, ISIDA (Palermo)
Master di Sviluppo Economico sul Terziario Avanzato, Istituto
Guglielmo Tagliacarne (Roma)
Master Piccole e Medie Imprese, SDA Bocconi (Milano)
Master in Direzione d’impresa, SDOA Fondazione Antonio
Genovesi Salerno (Vietri sul Mare – SA)
Master in Economia del Sistema Agro-Alimentare, SMEA
(Cremona)
Master in Management e Sviluppo Imprenditoriale, SPEGEA
(Bari)
Master in Direzione e Gestione di Impresa, STOA’ (Ercolano – NA)
Master Specialistici:
Master in Marketing e Comunicazione d’Impresa, Accademia
di Comunicazione Fondazione (Milano)
Master in Amministrazione, Finanza e Controllo, Alma
Graduate School (Bologna)
Master in Banca & Finanza, Fondazione CUOA (Altavilla
Vicentina – VI)
Master in Marketing Management, Fondazione ISTUD
(Stresa – VB)
Master in Risorse Umane e Organizzazionene, Fondazione
ISTUD (Stresa – VB)
Master per l’internazionalizzazione delle Imprese “Cor.C.E. F.
de Franceschi”, ICE Istituto per il Commercio Estero (Roma)
Master in Insurance & Risk Management (MIRM), MIB
School of Management (Trieste)
International Master in Tourism & Leisure (IMTL), MIB
School of Management (Trieste)
Master in Marketing, Comunicazione, Sales Management PUBLITALIA, 80 (Milano)
New Europe Master in Banking and Entrepreneurship,
Università Umanesimo Latino (Conegliano – TV)
Master in Business Administration (MBA):
MBA Master in Business Administration Profingest, Alma
Graduate School (Bologna)
Master in Business Administration, Luiss Business SchoolDiv. Luiss Guido Carli (Roma)
Executive MBA – MIB, School of Management (Trieste)
MBA in International Business, MIB School of Management
(Trieste)
Executive Master of Business Administration, MIP Politecnico di Milano (Milano)
MBA Master of Business Administration, MIP Politecnico di
Milano (Milano)
Master of Business Administration, SDA Bocconi (Milano)
eLearning Executive Master in Business Administration:
MBA Distance Learning – Alma Graduate School (Bologna)
Master in Business Education Strategic Ten, Iri Management
– Finmeccanica (Roma)
Executive MBA, MIP Politecnico di Milano (Milano)
Ulteriori informazioni in merito ai due Processi di Accreditamento Master di ASFOR e l’elenco sempre aggiornato dei
Master Accreditati, sono consultabili sul sito dell’Associazione www.asfor.it.
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S E Z I O N E 3 – NO T I Z I E
L’innovatività nell’e-Learning: 4ª edizione del Bando ASFOR
“e-Talenti dell’e-Learning”
sul tema appunto della formazione a distanza per dar voce a ai giovani talenti che, attraverso i loro elaborati, svolgono un’interessante e importante attività di studio e ricerca sui temi più innovativi
dell’e-Learning.
Il bando rappresenta anche un contributo di analisi e studio per la
messa a punto delle linee guida per lo sviluppo dell’e-learning ed è
altresì un’importante opportunità di diretto collegamento fra i giovani laureati e il Sistema delle Imprese, delle Istituzioni e dei più importanti operatori del settore formazione.
Quarta edizione per il Bando “e-Talenti dell’e-Learning” indetto da
ASFOR Associazione Italiana per la Formazione Manageriale, a partecipazione gratuita, per la selezione delle migliori Tesi universitarie
che affrontano le tematiche dell’e-Learning.
Ai vincitori verranno conferiti premi economici del valore complessivo di 1.000?, per i primi classificati delle tre categorie, e di 500? per
i secondi e terzi classificati.
Il concorso è realizzato con il Patrocinio del Ministro per la
Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, oltre che del CNIPA
Centro Nazionale per Informatica nella Pubblica Amministrazione, di ISFOL Istituto per lo Sviluppo della Formazione
professionale dei Lavoratori e di SIe-L Società Italiana di eLearning.
La 4a edizione del Bando ASFOR vede altresì il sostegno a diverso titolo di importanti strutture impegnate nell’ambito dello sviluppo e promozione della formazione: Verona Fiere/JOB&Orienta, L’Impresa
- Rivista Italiana di Management, ADECCO, AlmaLaurea, Cesop
Communication, Guidamaster e Tesionline.
Le precedenti edizioni hanno riconfermato l’interesse per questa iniziativa che vuole essere un’apertura al “nuovo” che i giovani portano, premiando le migliori tesi di laurea che approfondiscono i temi
dell’ICT a supporto della formazione. Ma soprattutto è da notare come in questi anni è andata via via crescendo la qualità delle tesi per la
rigorosa metodologia di ricerca ed il confronto con studi internazionali, apportando così un importante contributo anche attraverso la
realizzazione di concreti progetti.
Negli elaborati si richiede un’analisi dei profili professionali emergenti, delle metodologie e delle tecnologie per l’apprendimento, della valutazione dei processi formativi nonché l’impatto dell’eLearning sui processi organizzativi e la sua relazione con il knowledge management.
La Domanda di partecipazione, accompagnata della documentazione richiesta, dovrà giungere in ASFOR entro il 31/10/2008.
Possono concorrere i laureati, suddivisi nelle tre categorie: 1) Laurea
triennale o Master di I livello, 2) Laurea specialistica/magistrale o
vecchio ordinamento, 3) Alta formazione (Master di II livello o dottorato) che abbiano discusso la tesi negli anni 2004 - 2008 (prima della scadenza del bando) e che non abbiano già partecipato alle precedenti edizioni del Bando.
ASFOR da anni è impegnata a favorire lo sviluppo dell’e-learning,
attraverso la definizione di criteri di qualità, promuovendo ricerche e
indagini ed elaborando strumenti di riferimento per le Istituzioni
Pubbliche e la Comunità Scientifica.
Dal 2005 ha attivato l’”Osservatorio Learning Internazionale” e realizza annualmente l’“Osservatorio sull’offerta formativa manageriale in modalità distance learning dei Soci ASFOR” che fornisce il
quadro reale dell’utilizzo dello sviluppo dell’attività e-learning.
ASFOR ha altresì svolto attività di assistenza tecnica nell’ambito della Commissione costituita presso il CNIPA per la definizione del nuovo “Vademecum per la realizzazione di progetti formativi in modalità e-learning nelle Pubbliche Amministrazioni”, fornendo il
“Glossario ASFOR: Le parole dell’e-learning” (edizione 2006), e
contribuisce a favorire lo sviluppo di nuove competenze professionali degli operatori della formazione, anche attraverso un efficace utilizzo degli strumenti telematici e delle reti informatiche.
Inoltre ASFOR ha sottoscritto un protocollo con SIe-L Società
Italiana di e-Learning per la realizzazione di un wiki per lo sviluppo
del glossario sull’e-learning di Asfor, con la collaborazione tecnica
del Centro METID. Tale accordo ha l’obiettivo per ASFOR di aggiornare sistematicamente il proprio glossario dell’e–learning e contemporaneamente ampliare sia i contributi scientifici per l’implementazione sia la partecipazione all’uso dello strumento. Per contro,
SIe-L potrà cosi perseguire il proprio interesse scientifico di sviluppare in Italia la cultura dell’e-learnig e di essere partner del progetto
ASFOR “wiki – glossario dell’ e-learning”.
Gli elaborati saranno valutati da una apposita commissione - composta da rappresentanti del Gruppo ICT di ASFOR e da autorevoli
esperti in rappresentanza delle Istituzioni Patrocinatrici - che redigerà la graduatoria delle tre categorie in concorso.
Grazie alla partnership con Verona Fiere/JOB&Orienta, i vincitori
avranno l’opportunità di presentare i propri elaborati al Convegno dedicato al tema dell’e-learning in occasione della XVIII
ed. di JOB&Orienta (Fiera di Verona, 20-21-22 novembre 2008),
l’annuale Mostra-Convegno Nazionale dedicata all’Orientamento, la
Scuola la Formazione e il Lavoro.
Al termine del Convegno avverrà la premiazione delle tre migliori tesi in concorso, per ciascuna categoria.
Sul sito di ASFOR www.asfor.it è pubblicato il bando integrale con
gli allegati, oltre all’elenco delle tesi in concorso delle precedenti
edizioni.
E’ in tale ottica di promozione dell’e-learning che ASFOR da diversi anni indice il Bando di selezione delle migliori tesi di laurea
69
S E Z I O N E 3 – NO T I Z I E
70
G L I O R G ASNEIZSIM
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AILEI
Gli Organi Istituzionali
Presidente
Luigi PIERACCIONI
Istituto Guglielmo Tagliacarne
Vice Presidenti
Vladimir NANUT
Vittorio PARAVIA
MIB School of Management
Fondazione Antonio Genovesi Salerno-SDOA
Consiglio Direttivo
Susanna BINA
Mauro BOATI
Elio BORGONOVI
Andrea CAVRINI
Carlo COCCOLI
Maurizio DI FONZO
Monica DORNA
Pietro Luigi GIACOMON
Giuseppe PERRONE
Claudio POLI
Elio VERA
Marco VERGEAT
Segretario Generale
Mauro MEDA
Revisori dei Conti
Claudio SALA – Presidente
Mario GOBBI
Ugo LUINI
71
TILS – SDI Group
Italia Lavoro
SDA Bocconi
Alma Graduate School
IBM Global Business Services
Sfera
ENI Corporate University
Fondazione CUOA
Fondirigenti Giuseppe Taliercio
Past President ASFOR
CESMA Centro Esperienze e Studi di
Management
Isvor Fiat
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T IR
ZIE
GLI ASSOCIATI
ACCADEMIA DI COMUNICAZIONE - FONDAZIONE
Via Savona, 112A
20144 MILANO
Tel.[02] 92882211 - Fax. 92882230
www.hdemia.it
ACCADEMIA EUROPEA BOLZANO - EURAC
Viale Druso, 1
39100 BOLZANO
Tel.[0471] 055055 - Fax. 055499
www.eurac.edu
ADECCO FORMAZIONE S.r.l.
Piazza Diaz, 2
20123 MILANO
Tel. [02] 88142816 - Fax88142800
www.adecco.it
AFORISMA S.r.l.
c/o Centro “Giovanni Paolo II”
del Sem. Arciv.le Viale Umbria
73100 LECCE
Tel. [0832] 217879 - Fax. 216021
www.aforisma.org
AILUN ASSOCIAZIONE PER LA ISTITUZIONE
DELLA LIBERA UNIVERSITÀ NUORESE
Via Pasquale Paoli
08100 NUORO
Tel. [0784] 226226 - Fax. 203158
www.scienzesociali.ailun.it
ALMA GRADUATE SCHOOL
Villa Guastavillani - Via degli Scalini, 18
40136 Bologna
Tel. [051] 2090111- Fax. 2090112
www.almaweb.unibo.it
ATENEO IMPRESA S.p.A.
Corso Vittorio Emanuele II, 18
00186 ROMA
Tel. [06] 69920231 - Fax. 69922515
www.ateneoimpresa.it
BERGAMO FORMAZIONE
Via S.Zilioli, 2
24121 BERGAMO
Tel. [035] 3888011 - Fax. 247169
www.bg.camcom.it
BUREAU VERITAS ITALIA S.p.A.
Viale Monza, 265
20126 MILANO
Tel. [02] 27091227 - Fax. 27006815
www.bureauveritas.com
CENTRO METID Metodi
e Tecnologie Innovative
per la Didattica, Politecnico di Milano
Piazza Leonardo da Vinci, 32
20133 MILANO
Tel. [02] 23992487 - Fax. 23992461
www.metid.polimi.it
CERISDI
Castello Utveggio - Via Padre Ennio Pintacuda, 1
90142 PALERMO
Tel. [091] 6391111 - Fax. 6372570
www.cerisdi.it
CESMA, Centro Esperienze e Studi
di Management
Corso Magenta, 56
20123 MILANO
Tel. [02] 4694018 - Fax. 462990
www.cesma.org
CFMT - Centro di Formazione e Management
del Terziario
Via Pier Candido Decembrio, 28
20137 MILANO
Tel. [02] 54063111 - Fax. 54063117
www.cfmt.it
CIS - Scuola per la gestione d’impresa
Via Cadoppi, 8-10
42100 REGGIO EMILIA
Tel.[0522] 232911 - Fax. 232990
www.cis-formazione.it
CO.IN.FO. - Consorzio Interuniversitario
sulla formazione
Via Verdi, 8
10124 TORINO
Tel. [011] 6702290 - Fax. 8140483
www.csia.unica.it/coinfo
CONFINDUSTRIA
Viale dell’Astronomia, 30
00144 ROMA
Tel. [06] 59031 - Fax. 5903392
www.confindustria.it
CONSORZIO UNIVERSITARIO IN INGEGNERIA
PER LA QUALITÀ E L’INNOVAZIONE
Via Giordano Bruno, 71
56125 PISA
Tel. [050] 2201232 - Fax 050-501457
www.consorzioquinn.it
CONSULMARCHE RISORSE UMANE SRL
Via T. Edison, 6
60027 OSIMO (AN)
Tel. [071] 7109004 - Fax 0717109001
www.consulmarche.com
CAMPORLECCHIO EDUCATIONAL S.r.l.
IL BORGO DELLA CONOSCENZA - SDI GROUP
Via dell’Oceano Pacifico, 11
00144 ROMA
Tel. [06] 54220500 - Fax. 54210437
www.ilborgodellaconoscenza.it
CTC - Centro di Formazione
Manageriale
e Gestione d’Impresa
Piazza Costituzione, 8
40128 BOLOGNA
Tel.[051] 6093200 - Fax. 6331294
www.ctcformazione.it
CENTRO DI FORMAZIONE IMPRENDITORIALE
PERUGIA
Via Cacciatori delle Alpi, 42
06100 PERUGIA
Tel. [075] 5997254 - Fax. 5999070
www.centroformazione.it
DIREZIONE CENTRALE FORMAZIONE
E SVILUPPO COMPETENZE - I.N.P.S.
Via Ciro il Grande, 21
00144 ROMA
Tel.[06] 59053989 - Fax. 59053993
www.inps.it
72
E.B.S. ITALIA S.c.a.r.l.
Viale Lunigiana, 42
20125 MILANO
Tel. [02] 66712914 - Fax. 66986285
www.ebsitalia.it
EF CORPORATE LANGUAGE TRAINING
Corso Vittorio Emanuele, 24
20122 MILANO
Tel. [02] 77891 - Fax. 782733
www.ef.com - www.englishtown.com
ELEA S.p.A.
Via Crescenzio, 9
00193 ROMA
Tel. [06] 39081300 - Fax [06] 39081342
www.elea.it
ENI CORPORATE UNIVERSITY S.p.A.
SCUOLA ENRICO MATTEI
Via S. Salvo, 1
20097 S. DONATO MILANESE (MI)
Tel. [02]52057906 - Fax. 52057908
www.eni.it/scuolamattei
ERNST & YOUNG BUSINESS SCHOOL
Via delle Botteghe Oscure, 4
00186 ROMA
Tel. [06] 675351 - Fax [06] 67535785
www.ey.com
FINMECCANICA S.p.A.
Direzione Formazione e Sviluppo R.U.
Piazza Monte Greppa, 4
00195 ROMA
Tel. [06] 324731 - Fax [06] 32657253
www.finmeccanica.it
FONDAZIONE ANTONIO GENOVESI SALERNO - SDOA
Via G. Pellegrino,19
84019 VIETRI SUL MARE (SA)
Tel. [089] 761166 - Fax. 210002
www.sdoa.it
FONDAZIONE CUOA
Villa Valmarana Morosini
36077 ALTAVILLA VICENTINA (VI)
Tel. [0444] 333711- Fax. 333999
www.cuoa.it
FONDAZIONE EUROPEAN SCHOOL
OF MANAGEMENT ITALIA
Corso Unione Sovietica, 218 bis
10134 TORINO
Tel. [011] 6705894 - Fax. 6705804
www.escp-eap.it
FONDAZIONE ISTUD PER LA CULTURA
D’IMPRESA E DI GESTIONE
Corso Umberto I, 71
28838 STRESA (VB)
Tel. [0323] 933801 - Fax. 933805
www.istud.it
FONDIRIGENTI GIUSEPPE TALIERCIO
Viale Pasteur, 10
00144 ROMA
Tel. [06] 5903910 - Fax. 5903912
www.fondirigenti.it
FORMAPER
Via Santa Marta, 18
20123 MILANO
Tel. [02] 8515.5384 - Fax. 85155290
www.formaper.it
S EAZSI O
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FORMEZ
Via Salaria 229
00199 ROMA
Tel. [06] 84891 - Fax. 84893269
www.formez.it
ISIDA
Via San Lorenzo, 98
90146 PALERMO
Tel. [091] 6886805 - Fax. 6886812
www.isida.it
MIP-Politecnico di Milano
Via Garofalo, 39
20131 MILANO
Tel. [02] 23992822 - Fax. 23992844
www.mip.polimi.it/mip
GESTIONI E MANAGEMENT S.r.l.
Piazza Albania, 10
00153 ROMA
Tel. [06] 5748400 - Fax 5747695
www.gema.it
ISMO S.r.l.
Piazza S. Ambrogio, 16
20123 MILANO
Tel. [02] 72000497 - Fax. 89010721
www.ismo.org
I.Re.F. - Istituto Regionale Lombardo
di Formazione per L’Amministrazione Pubblica
Via Copernico, 38
20125 MILANO
Tel. [02] 675071 - Fax. 66711701
www.irefonline.it
ISTAO - Istituto A. Olivetti di studi per la gestione
dell’economia e delle aziende
Villa Favorita - Via Zuccarini, 15
60020 ANCONA
Tel. [071] 2901080 - Fax. 2900953
www.istao.it
QUADRIFOR
Istituto per lo sviluppo
della formazione dei quadri del terziario
Via Alvise Cadamosto, 14
00154 ROMA
Tel. [06] 5744304 - Fax. 5744314
www.quadrifor.it
IBM GLOBAL BUSINESS SERVICES
Circonvallazione Idroscalo
20090 SEGRATE (MI)
Tel. [02] 596291 - Fax 59629211
www.ibm.com/services/learning/it
ICE - Istituto Nazionale per il Commercio Estero
Via Liszt, 21
00144 ROMA
Tel. [06] 59921 - Fax. 59926693
www.ice.it
IFOA - Istituto Formazione Operatori Aziendali
Via Guittone D’Arezzo, 6
42100 REGGIO EMILIA
Tel. [0522] 329111 - Fax 284708
www.ifoa.it
IL SOLE 24 ORE SPA-CENTRO DI FORMAZIONE
Via Monte Rosa, 91
20149 MILANO
Tel. [02] 30223987-30223249 - Fax. 874370
www.ilsole24ore.com/formazione
INAIL - SERVIZIO FORMAZIONE
Piazzale Giulio Pastore, 6
00144 ROMA
Tel. [06] 54872649 - Fax. 54872660
www.inail.it
ISTITUTO GUGLIELMO TAGLIACARNE
Via Appia Pignatelli 62
00178 ROMA
Tel. [06] 780521 - Fax. 7842136
www.tagliacarne.it
ISTITUTO DI STUDI BANCARI S.r.l.
Viale San Concordio, 135
55100 LUCCA
Tel. [0583] 418490 - Fax. 317349
www.istitutostudibancari.it
ISVOR FIAT S.c.p.a.
Via Giocosa, 38
10125 TORINO
Tel. [011] 0065773 - Fax. 0065568
www.isvor.it
ITALIA LAVORO S.p.A
Via Guidubaldo del Monte, 60
00197 ROMA
Tel. [06] 802441 - Fax. 8082085
www.italialavoro.it
LATTANZIO E ASSOCIATI S.p.A
Via Borgonuovo, 26
20121 MILANO
Tel. [02] 29061165 - Fax. 29061102
www.lattanzioeassociati.it
INFOR - Scuola di Formazione S.p.A
Viale Milanofiori, Palazzo W.T.C.
20090 ASSAGO (MI)
Tel. [02] 575571 - Fax. 8253234
www.inforscuola.it
LUISS BUSINESS SCHOOL
Divisione LUISS Guido Carli
Viale Pola, 12
00198 ROMA
Tel. [06] 85225.328 - Fax. 8413998
www.luiss.it
IPSOA SCUOLA DI FORMAZIONE - WOLTERS
KLUWER ITALIA S.r.l.
Centro Direz.le Milanofiori - Strada 1, Pal F6
20090 ASSAGO (MI)
Tel. [02] 82476.1 - Fax. 82476037
www.ipsoa.it/formazione
MASTER IN MARKETING, COMUNICAZIONE,
SALES MANAGEMENT - PUBLITALIA ‘80
Viale F. Testi, 223
20162 MILANO
Tel. 02 64167511 - Fax 0266100610
www.masterpublitalia.it
IRI MANAGEMENT
Piazza Alessandria, 24
00198 ROMA
Tel. [06] 85268 - Fax. 85268985
www.irimanagement.com
MIB - School of Management
Palazzo del Ferdinandeo
Largo Caduti di Nasiriya, 1
34142 TRIESTE
Tel. [040] 9188111 - Fax. 9188122
www.mib.edu
ISFOR 2000 - Istituto Superiore
di Formazione e Ricerca
Via P. Nenni, 30
25124 BRESCIA
Tel. [030] 2426481 - Fax. 2426484
www.isfor2000.com
MIDA S.p.A.
Via Antonio da Recanate, 1
20124 MILANO
Tel. [02] 6691845 - Fax. 6687220
www.midasviluppo.com
73
SCUOLA DI AMMINISTRAZIONE
AZIENDALE - SAA
Via Ventimiglia, 115
10126 TORINO
Tel. [011] 63991 - Fax. 6399247
www.saa.unito.it
SCUOLA POLITECNICA DI DESIGN S.r.l.
Via Giovanni Ventura, 15
10134 MILANO
Tel. [02] 21597590 - Fax. 21597613
www.scuoladesign.com
SCUOLA SUPERIORE SANT’ANNA AREA MANAGEMENT
Piazza Martiri della Libertà, 33
56100 PISA
Tel. [050] 883305 - Fax. 883296
www.sssup.it
SDA BOCCONI
Via Bocconi, 8
20136 MILANO
Tel. [02] 5836.6605 - Fax. 5836.6638
www.sda.uni-bocconi.it
SEAT CORPORATE UNIVERSITY
Via Aurelio Saffi, 18
10138 TORINO
Tel. [011] 4351 - Fax. 4628295
www.seatcorporateuniversity.it
SFERA S.r.l.
Viale Regina Margherita, 137
00198 ROMA
Tel. [06] 83051 - Fax. 83052905
www.sfera.it
SMEA - Università Cattolica
del Sacro Cuore
Via Milano, 24
26100 CREMONA
Tel. [0372] 499160 - Fax. 499191
www.unicatt.it\smea\
SOGEA s.c.r.l.
Scuola di Formazione Aziendale
Via E. Ravasco, 10
16128 GENOVA
Tel. [010] 5767811 - Fax.532607
www.sogeanet.it
SPEGEA S.c.a.r.l.
Scuola di perfezionamento
in Gestione Aziendale
Via Amendola, 172/c
70126 BARI
Tel. [080] 5919411 - Fax. 5919435
www.spegea.it
S ESZSIOOCNI E
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STOÀ S.c.p.A. - Istituto Studi per la Direzione e
Gestione di Impresa
Corso Resina, 283
80056 ERCOLANO (NA)
Tel. [081] 7882111 - Fax. 7772688
www.stoa.it
SUDGEST S.C. a R.L. - Servizi e Formazione
per lo sviluppo - SDI GROUP
Viale dell’Oceano Pacifico, 38
00144 ROMA
Tel. [06] 54889801-2 - Fax. 54889803
www.sudgest.it
STOGEA - Scuola Toscana di Organizzazione
e Gestione Aziendale S.r.l.
Viale S. Concordio, 64
55100 LUCCA
Tel. [0583] 583385 - Fax. 583366
www.stogea.com
SUMMIT S.r.l.
Via Giulio Tarra, 1
20125 MILANO
Tel. [02] 66710332 - Fax. 66710613
www.summit-tmi.it
STUDIO VALLETTA COMUNICAZIONE S.r.l.
Via Principe Amedeo, 7
70121 BARI
Tel. 080 5240711 - Fax 9641298
www.studiovalletta.com
THEMIS - SCUOLA PER LA
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE S.r.l.
Mura di Santa Chiara, 3
16128 GENOVA
Tel. [010]8683950 - Fax.8683957
www.themisnet.it
STUDIODELTA S.r.l.
Via G. Amendola, 162/1 Executive Center
70121 BARI
Tel. 080 5461860 - Fax 5461878
www.studiodelta.it
TILS S.p.A. - SDI GROUP
Viale dell’Oceano Pacifico, 11
00144 ROMA
Tel. [06] 548891 - Fax. 54889201
www.tils.com
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TURISMA HOSPITALITY CONSULTING
Piazza Luigi di Savoia, 2
20124 MILANO
Tel. [02] 66711433 - Fax. 66716630
www.turisma.it
UNIVERSUS CSEI
Consorzio Universitario per la Formazione
e l’Innovazione
Viale Japigia, 182
70126 BARI
Tel. [080] 5504911 - Fax. 5504921
www.universus.it
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ASSOCIATI ASFOR: AREE/SETTORI DI INTERVENTO
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Banche
M Marketing/comunicazione
Finanza/controllo
PMI Piccole e Medie Imprese
CE Commercio Estero
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Organizzazione/Sviluppo Organizzativo
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eB e-Business
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Produzione/logistica
RU Risorse Umane
ENTE
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ACCADEMIA DI COMUNICAZIONE - FONDAZIONE
ACCADEMIA EUROPEA BOLZANO - EURAC
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ADECCO FORMAZIONE
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ALMA GRADUATE SCHOOL
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Strategia aziendale
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Tecnologia/sistemi informatici
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PMI
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BUREAU VERITAS ITALIA
CAMPORLECCHIO EDUCATIONAL-IL BORGO DELLA
CONOSCENZA-SDI GROUP
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ATENEO IMPRESA
BERGAMO FORMAZIONE
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Qualità totale
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AFORISMA
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Pubblica Amministrazione
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CESMA CENTRO ESPERIENZE E STUDI DI MANAGEMENT
♦
CFMT CENTRO FORMAZIONE E MANAGEMENT TERZIARIO
CIS, SCUOLA PER LA GESTIONE D’IMPRESA
♦
♦
CO.IN.FO.- CONSORZIO INTERUNIVERS.
SULLA FORMAZIONE
CONFINDUSTRIA
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CONSULMARCHE RISORSE UMANE
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CTC CENTRO DI FORMAZIONE MANAGERIALE
E GESTIONE D’IMPRESA
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DIREZIONE CENTRALE FORMAZIONE
SVILUPPO COMPETENZE - INPS
E.B.S. ITALIA
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EF CORPORATE LANGUAGE TRANING
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ELEA
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ENI CORPORATE UNIVERSITY – SCUOLA ENRICO MATTEI
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ERNST & YOUNG BUSINESS SCHOOL
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CONSORZIO UNIV. INGEGNERIA QUALITÀ E INNOVAZ.
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CENTRO METID, POLITECNICO DI MILANO
CERISDI
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CENTRO DI FORMAZIONE IMPRENDITORIALE PERUGIA
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FINMECCANICA - DIREZIONE FORMAZIONE SVILUPPO R.U.
FONDAZIONE A.GENOVESI SALERNO – SDOA
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FONDAZIONE CUOA
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FONDAZIONE EUROPEAN SCHOOL OF MANAGEMENT
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FONDAZIONE ISTUD
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GESTIONI E MANAGEMENT
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IBM GLOBAL BUSINESS SERVICES
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FORMAPER
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FONDIRIGENTI GIUSEPPE TALIERCIO
FORMEZ
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ICE ISTITUTO NAZIONALE PER IL COMMERCIO ESTERO
IFOA ISTITUTO FORMAZIONE OPERATORI AZIENDALI
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IL SOLE 24 ORE - CENTRO FORMAZIONE
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(continua)
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: Aree/settori di intervento
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Amministrazione
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Banche
M Marketing/comunicazione
Finanza/controllo
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PMI Piccole e Medie Imprese
CE Commercio Estero
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Organizzazione/Sviluppo Organizzativo
Q
eB e-Business
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Produzione/logistica
RU Risorse Umane
ENTE
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INAIL – SERVIZIO FORMAZIONE
♦
INFOR, SCUOLA DI FORMAZIONE
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IPSOA SCUOLA FORMAZIONE - WOLTERS KLUWER
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IREF
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IRI MANAGEMENT
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ISFOR 2000
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ISIDA
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ISTITUTO GUGLIELMO TAGLIACARNE
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LATTANZIO E ASSOCIATI
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MASTER IN MARKETING, COMUNICAZIONE,
SALES MANAGEMENT
MIB SCHOOL OF MANAGEMENT
Tecnologia/sistemi informatici
Qualità totale
ITALIA LAVORO
LUISS GUIDO CARLI, LUISS BUSINESS SCHOOL
Strategia aziendale
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ISTITUTO DI STUDI BANCARI
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ISMO
ISVOR FIAT
B
Pubblica Amministrazione
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♦
MIP- POLITECNICO DI MILANO
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QUADRIFOR
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S.A.A. SCUOLA DI AMMINISTRAZIONE AZIENDALE
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SDA BOCCONI
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SCUOLA POLITECNICA DI DESIGN
SCUOLA SUPERIORE SANT’ANNA – AREA MANAGEMENT
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MIDA
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SEAT CORPORATE UNIVERSITY
SFERA
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SMEA, UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE
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SOGEA SCUOLA DI FORMAZIONE AZIENDALE
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SPEGEA
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STOGEA
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TURISMA HOSPITALITY CONSULTING
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UNIVERSUS CSEI
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SUDGEST – SDI GROUP
THEMIS – SCUOLA PER LA PA
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STUDIO VALLETTA COMUNICAZIONE
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S E Z I O N E 3 – NON
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Rubbettino Industrie Grafiche ed Editoriali
Anno XX - n. 1/2008 • Spedizione in abb. postale, articolo 2
In caso di mancato recapito rinviare all’ufficio postale C.M.P. Lamezia T. - detentore del conto, per restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa.
Registrazione Tribunale di Milano n. 312 del 15-06-1985
Direttore Scientifico Luigi Pieraccioni • Direttore Responsabile Mauro Meda
Formazione Manageriale:
un progetto per lo sviluppo del Paese
Atti e contributi di riflessione tratti dalla VI Giornata
della Formazione Manageriale ASFOR
Interventi di: A. Bombassei, E. Borgonovi, A. Camuffo, S. Cordero di Montezemolo
S. Falocco, C. M. Gallucci, A. Martinelli, A. Meomartini, V. Nanut, L. Pieraccioni, C. Poli
R. Pucci, D. Rampello, E. Rullani, G. Spina, R. Varaldo, M. Vergeat, F. Vergnano, M. Vitale
(Triennale di Milano, Salone d’Onore – Milano, 19 febbraio 2008)
Associazione Italiana per la Formazione Manageriale
Via Beatrice D’Este, 10
I 20122 Milano
Tel. 02-58328317
Fax 02-58300296
e-mail: [email protected]
U.R.L.: http://www.asfor.it/