Gennaio – Febbraio - GERIATRIA – Rivista

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Gennaio – Febbraio - GERIATRIA – Rivista
GERIATRIA
RIVISTA BIMESTRALE - ANNO XXV n. 1 Gennaio/Febbraio 2013 – Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abb. Postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N. 46) Art. 1 Comma 1 - DCB Roma
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3
Geriatria 2012 Vol. XXV; n. 1 Gennaio/Febbraio
SOMMARIO
Ai lettori – Palleschi M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Editoriale:
Antignani P.L. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
La gestione del diabete tipo 2 con ipoglicemizzanti orali nel paziente
anziano fragile in ospedale e nel territorio
Pellegrinottio M., Vaccari V., Pastorelli R. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9
Dimissioni difficili in pazienti con complessità assistenziali: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
nostra esperienza
Castagna A., Russo G., Gareri P., Lacava R., Condita A.M., Ruotolo G., . . . . . . . . . . . . . . . . .
17
Stupor ricorrente idiopatico clinico in un soggetto anziano
Attinà A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Disturbi psico-comportamentali e prescrizione di psicofarmaci in
pazienti in cura presso l’unità valutativa alzheimer degli istituti
clinici zucchi di carate brianza
De Giovanni A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
27
Un percorso diagnostico terapeutico per la gestione dei versame
pleurici infettivi nell’adulto proposto nell’azienda ospedaliera di
cosenza
Fimognari A.l. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
33
Una Strana Anemia
Zocca N. Zordan L, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
37
RUBRICHE
Vita agli anni
Sabatini D. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
41
Calendario Congressi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
43
S an C a r l o
azienda
sanitaria
matera
Azienda Ospedaliera
Regionale
Luci ed ombre
in diagnosi
e terapia
nel crepuscolo
degli anni
SOCIETÀ ITALIANA DI GERIATRIA OSPEDALE E TERRITORIO
XXVI SEMINARIO NAZIONALE
MATERA 10 - 12 Ottobre 2013
10 Ottobre - Palazzo Lanfranchi
11 Ottobre - Auditorium Ospedale Madonna delle Grazie
12 Ottobre - Istituenda R.S.A. - Bernalda
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Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 1 Gennaio/Febbraio
AI LETTORI
Il passaggio dalla
Geriatria alla
Medicina
rappresenta una
decisione
fallimentare?
Prof. Massimo Palleschi
Le generalizzazioni sono quasi sempre riprovevoli o meglio meritano
precisazioni e limitazioni a seconda delle numerose possibili circostanze
nelle quali si verifica un determinato evento. Se non fosse per questa riserva che impone un po’ di cautela, la risposta al quesito iniziale è senz’altro
affermativa.
La Geriatria è una stupenda disciplina con enormi potenzialità che mai
meriterebbe un abbandono di campo, nonostante le tante difficoltà e resistenze alle quali va incontro.
Si potrebbe obiettare che anche chi aveva un forte interesse per la
Geriatria, è rimasto oppresso e demotivato da una serie impressionante di
condizioni sfavorevoli non sempre prevedibili: scarsa considerazione
rispetto ad altre discipline ritenute più prestigiose, pericolo di ridimensionamenti strutturali (vedi riduzione o soppressione di reparti ospedalieri di
Geriatria), lotta accanita da parte della Medicina Interna che limitata dallo
sviluppo “prepotente” delle discipline specialistiche, dimostra una propensione opportunistica mai ravvisata prima per la cura e l’assistenza agli
anziani, scarse possibilità di rilevanti remunerazioni economiche, l’attribuzione ai Geriatri di competenze (quando ammesse) quasi esclusivamente
per i problemi dei malati lungodegenti.
L’opinione che i Geriatri si debbano occupare solo dei pazienti anziani
cronici è fuorviante e costituisce un serio ostacolo allo sviluppo della
Geriatria.
Per rendersi conto della diversa realtà esistente basterebbe considerare
l’elevatissima percentuale di anziani nei soggetti con codice rosso afferenti
ai Pronto Soccorso dell’intero territorio del nostro Paese.
Non solo, è sempre più evidente l’importanza di una gestione geriatrica
di alcuni eventi acuti per prevenire le conseguenti disabilità future.
Il disconoscimento del ruolo del Geriatra, non solo nei settori appena
accennati, può essere molto mal sopportato dai cultori ed operatori della
nostra disciplina.
La Geriatria si trova inoltre ad affrontare un grave problema di identità,
nel senso che è molto difficile per i non esperti e per i pseudocultori della
Geriatria comprendere e riconoscere l’essenza della nostra disciplina, recependo da una parte le forti affinità culturali ed operative che ci legano alla
disciplina Madre che è la Medicina Interna, ma dall’altra parte individuando e “vivendo” tutte le differenze che non solo ci distinguono ma per certi
versi ci oppongono ferocemente alla Medicina tradizionale, cioè alla
Medicina Interna.
Chi non sente appieno questi problemi non entrerà mai nel vivo della
Geriatria, come pure non comprenderà le differenze tra Geriatria accademica, universitaria e quella ospedaliera, la prima con differenziazioni molto
meno spiccate rispetto alla Medicina Interna, e quindi con dipendenze da
essa molto più tenaci.
Vi può essere qualche dubbio in proposito?
Si provi a chiedere ad un Internista o anche ad un Geriatra poco convinto le ragioni per le quali si realizzano così numerosi quadri di sfacelo psicofisico, si chieda ad esempio come si arriva ai quadri devastanti dei pazienti
con piaghe da decubito, numerose estese, profonde.
Ci si sentirà rispondere che la responsabilità è di numerose patologie
cronico-degenerative insieme agli effetti nocivi di disfunzioni assistenziali
soprattutto di carattere infermieristico.
L’analisi del Geriatra impegnato è totalmente diversa.
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Geriatria 2013Vol. XXV; n. 1 Gennaio/Febbraio
La responsabilità principale è dovuta all’incompetenza e al disimpegno
del Medico che non ha individuato precocemente (ma ogni momento è
buono per iniziare!) tutti i fattori in grado di incidere negativamente sull’autonomia del malato anziano, non ha elaborato un piano per rimuovere
detti fattori e soprattutto non è stato capace di realizzarlo.
Questo tipo di analisi ci differenzia profondamente dalla Medicina Interna, ma anche dalla Fisiatria.
Il Geriatra che recepisce bene questi problemi e li vive intensamente,
quasi sempre si sente gratificato dalla consapevolezza di partecipare ad un
progetto ambizioso proprio della Geriatria, quello di evitare drammatici
quadri di dipendenza dovuti, oltreché alla presenza di malattie cronicodegenerative disabilitanti, ad un’impostazione clinico-assistenziale del
tutto inadeguata per i malati anziani fragili.
Per questi motivi il Geriatra convinto ed impegnato, nonostante l’azione perniciosa di quanti direttamente od indirettamente rendono difficoltosa la sua attività, non coltiva nella sua mente propositi di passaggio dalla
Geriatria ad altre discipline.
Chi invece prende questa sciagurata decisione, oltre a dimostrare che
non è stato mai un vero Geriatra, avrà la disgrazia di essere considerato e
di considerarsi un medico internista di serie b, quello oltretutto riciclato,
proveniente dalla Geriatria.
Carissimi che ne pensate dei miei “spropositi geriatrici”?
Cercate di non farmi venire in mente l’espressione “Da sé se la suona e
da sé se la canta”.
Sarebbe così stimolante un bel contraddittorio a più voci.
Mi raccomando. Ci conto!
Con i saluti più affettuosi.
7
IL TROMBOEMBOLISMO VENOSO NELL’ANZIANO
Antignani P.L.
Docente di Angiologia e Flebologia, Università Degli Studi “ Sapienza Università”, Roma
Presidente Società Italiana di Diagnostica vascolare
È noto che l’incidenza della patologia tromboembolica venosa aumenta con l’età. L’aumento
del rischio nel paziente anziano si correla con
l’aumento dell’incidenza nell’età avanzata di condizioni predisponenti come soprappeso o obesità,
ipertensione, dislipidemia, diabete. Si verificano
inoltre cambiamenti del bilancio emostatico in
senso pro-trombotico (aumento del fibrinogeno
plasmatico, Fattore VII, Fattore VIII, fibrinopeptide A, PAI-1, aumentata attivazione piastrinica,
modificazioni della funzionalità piastrinica legate
a cambiamenti della composizione lipidica delle
membrane e a concomitanti patologie epatiche).
Inoltre condizioni di stasi, frequenti nell’anziano
come l’allettamento e la difficoltosa o alterata
deambulazione, favoriscono ulteriormente il
rischio tromboembolico.
D’altra parte una ipertensione severa, malattie
psichiatriche gravi, traumi da cadute, la demenza
senile, una storia di ictus, espongono il paziente
anziano ad un incremento della probabilità di sviluppare eventi cerebrali emorragici. A ciò va
aggiunta la presenza nell’età avanzata di lesioni
degenerative dei vasi cerebrali oltre che di ipersensibilità a farmaci come gli anticoagulanti.
Il tromboembolismo venoso, termine con il
quale ci si riferisce ad una singola ed univoca
patologia che ha come espressione clinica la trombosi venosa degli arti inferiori complicata o meno
da embolia polmonare, rappresenta la più comune patologia cardiovascolare dopo l’infarto del
miocardio e l’ictus ischemico cerebrale. L ’incidenza annuale nella popolazione in età avanzata
è di 2 o 3 volte più alta che nella popolazione
generale. La patogenesi del tromboembolismo è
multifattoriale, e coinvolge sia fattori ereditari che
acquisiti come la chirurgia, i traumi, la gravidanza e il puerperio, l’uso di contraccettivi orali, le
neoplasie, la sindrome da anticorpi antifosfolipidi, l’infarto del miocardio, lo scompenso cardiaco
congestizio e l’ictus ischemico acuto con paralisi
degli arti inferiori. Ovviamente nel soggetto
anziano sono molto più frequenti gli episodi
tromboembolici secondari a cause note, essendo
di fatto limitato lo spettro delle trombosi da fattori congeniti che compaiono come primum
movens più frequentemente in età più giovanile.
Indirizzo per la corrispondenza:
Prof. Pier Luigi Antignani
Docente di Angiologia e Flebologia
Presidente Società Italiana di Diagnostica vascolare
Vice Presidente International Union of Angiology
[email protected]
Ma la ricerca di tali deficit coagulativi congeniti
va comunque eseguita poiché la presenza contemporanea di più fattori predisponenti amplifica
notevolmente il rischio.
Da non dimenticare poi la presenza nell’anamnesi di precedenti episodi tromboembolici, condizione anch’essa molto importante nella valutazione del rischio individuale soprattutto nei casi di
intervento chirurgico.
Vi è poi da considerare la paucisintomaticità
del quadro clinico soprattutto in caso di embolia
polmonare non massiva. In questi casi spesso il
paziente anziano è già portatore di patologie polmonari croniche (asma bronchiale, enfisema,
broncopneumopatia cronica ostruttiva, ipertensione polmonare secondaria a patologie cardiache). La presenza di un episodio di embolia polmonare può essere scambiata per una riacutizzazione della patologia cronica di base. Anche la
trombosi degli arti inferiori a volte è meno evidente clinicamente per l’ipotonia muscolare o la
scarsa mobilizzazione e il primo sintomo che
compare è proprio la complicanza embolica polmonare.
L’embolia polmonare rimane ancora oggi negli
anziani la causa di morte meno sospettata dai clinici. Il 40% dei casi di embolia polmonare in
pazienti anziani riscontrati al tavolo autoptico
non è stato infatti diagnosticato ante mortem.
Sintomatologia e obiettività clinica, esami strumentali di primo e secondo livello ed esami di
laboratorio possono risentire della fre q u e n t e
comorbilità e il range di possibilità diagnostiche
nell’anziano si amplia notevolmente essendo
molto frequenti patologie da mettere in diagnosi
differenziale con l’embolia polmonare. La clinica è
quindi utile nel 30 dei casi e gli esami di laboratorio ancora meno. Il dosaggio del D-dimero
infatti nel paziente anziano risulta di scarsa utilità. Spesso il valore è aumentato per la presenza
di concomitanti patologie e quindi diventa poco
attendibile. A volte la percentuale di pazienti con
bassi valori di D-dimero, criterio che permetterebbe di escludere la diagnosi, si riduce progressivamente con l’incrementare dell’età, tanto che è stimato che meno del 20-25% dei pazienti anziani
ultrasettantacinquenni con sospetta EP abbia
valori di D-dimero alti.
Per quanto esposto, è necessario ipotizzare il
rischio di un episodio tromboembolico in tutti i
casi in cui vi sia un fattore di rischio predisponente come un semplice allettamento prolungato e
attuare tutte le misure profilattiche del caso dalla
mobilizzazione attiva e passiva fino alla profilassi
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Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 1 Gennaio/Febbraio
farmacologia con eparina a basso peso molecolare
per via sottocutanea. È la sensibilità del clinico
che deve indirizzare verso un sospetto di tromboembolismo da avvalorare con la diagnostica
strumentale di supporto come l’eco color Doppler
venoso o una angio-RM dei vasi polmonari e periferici (soprattutto nei casi in cui si ipotizzi un
focolaio trombotico addominale).
Va inoltre considerata l’alta frequenza di patologia oncologica nell’età avanzata, condizione ad
altissimo rischio di tromboembolismo che deve
indurre ad un immediato e prolungato trattamento profilattico.
COME COMPORTARCI QUINDI
NELL’ANZIANO?
Vi sono quindi diverse condizioni da considerare. Il paziente anziano che non ha mai avuto un
episodio tromboembolico e il soggetto con storia
di tromboembolismo che si trovano in una condizione di aumentato rischio per una condizione
intercorrente (intervento chirurgico, allettamento
prolungato, comparsa di neoplasia) associata o
meno a comorbilità. In entrambi i casi va attuata
una corretta profilassi con eparina a basso peso
molecolare secondo gli attuali schemi ormai consolidati. Si ricorda che nelle condizioni di alto
rischio l’uso delle dosi di eparina personalizzate
secondo il peso corporeo è obbligatorio. E si vuole
annullare il rischio tromboembolico.
Ovviamente vanno considerate tutte le condizioni in cui sia presente una controindicazione
relativa o assoluta al trattamento anticoagulante e
in questi casi vanno attuate altre metodiche preventive come la contenzione elastica, la compressione pneumatica intermittente e l’apposizione di
un filtro cavale temporaneo ma solo in casi selezionati e ad altissimo rischio di vita.
Va infine considerato il paziente anziano con
quadro clinico di tromboembolismo. Si ribadisce
che avere o meno una embolia polmonare non
cambia l’atteggiamento terapeutico del processo
trombotico venoso. È ovvio se il quadro polmonare risulta grave con ipertensione polmonare e
dispnea dovrà essere attuato un trattamento fibrinolitico endovascolare che, iniziato in tempi rapidi risolve in una alta percentuale di casi il quadro
ostruttivo polmonare con ottima ripresa del respiro e dei parametri vitali.
Il trattamento anticoagulante a dosi corrette è
il cardine terapeutico. Esso può essere attuato con
eparina a dosi piene, con gli anticoagulanti orali
come i dicumarolici o con i nuovi anticoagulanti
orali di prossima introduzione in Italia. La cosa
importante è che il dosaggio sia adeguato e provochi la scoagulazione del paziente. Dosi intermedie, prudenti, non hanno alcun vantaggio e possono però provocare comunque effetti indesiderati.
È stato ormai consolidato che il periodo di trattamento è di 6 mesi per le trombosi prossimali, tre
mesi per quelle distali e 4-6 settimane per le localizzazioni superficiali di vena varicosa. Diverso è
l’atteggiamento in casi di trombosi superficiali su
vena sana, condizione clinica che necessita di una
accurata ricerca delle cause sistemiche, spesso
neoplastiche.
Va sempre associata la contenzione elastica,
fissa o mobile.
La scelta del tipo di trattamento è legata
sostanzialmente alla compliance del paziente e
dei familiari. Non vi è dubbio che sia preferibile
proseguire con il trattamento sottocutaneo con
eparina piuttosto che attuare un trattamento anticoagulante orale che implica un equilibrio
dell’INR spesso difficoltoso nell’anziano o non
facilmente eseguibile o che lo stesso paziente
abbia difficoltà a controllare la terapia in modo
adeguato.
Ovviamente la terapia anticoagulante nell’anziano presuppone un’accurata valutazione del
rischio emorragico individuale e la scelta dei
dosaggi e dei farmaci più appropriati.
Sappiamo che il rischio emorragico è incrementato dalla presenza di malattie associate e di
concomitanti terapie farmacologiche, da una
maggiore predisposizione alle cadute, dalle condizioni cognitive e abitative che talora non consentono una adeguata compliance e un corretto
controllo.
Nel caso di concomitante patologia neoplastica, la scelta terapeutica è verso il trattamento eparinico che andrà peraltro proseguito anche oltre i
tempi previsti dal trattamento dell’evento trombotico durante la terapia antiblastica fisica o chimica messa in atto.
In conclusione, la perfetta conoscenza dello
stato clinico del nostro paziente anziano e dei suoi
livelli di rischio, trombotico ed emorragico, ci consente di affrontare con sufficiente tranquillità la
gestione della patologia acuta delle sue complicanze alla luce di un trasparente ed informato, e
per questo più consolidato, rapporto medicopaziente.
BIBLIOGRAFIA
GUYATT GH., AKL EA., CROWTHER M., et al.: Antithrombotic Therapy
and Prevention of Thrombosis, 9th ed: American College of Chest Physicians
Evidence-Based Clinical Practice Guidelines. CHEST 2012;141 (suppl 2): 7s47s.
MARCI M., TEODORI R., SCOCCIA R., et al: La malattia tromboembolica
venosa: Patologia di tutte le età. Geriatria 2009; 21:107-116.
AGUS GB., ALLEGRA C., ANTIGNANI PL., et al. Guidelines for the diagno sis and therapy of the vein and lymphatic disorders. Int Angiol. 2005;21
(suppl.2): 107-68.
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LA GESTIONE DEL DIABETE TIPO 2
CON IPOGLICEMIZZANTI ORALI NEL PAZIENTE ANZIANO
FRAGILE IN OSPEDALE E NEL TERRITORIO
Pellegrinotti M., Vaccari V., Pastorelli R.
UOC Medicina Interna Ospedale Leopoldo Parodi Delfino - Colleferro (Roma)
Riassunto: Il diabete tipo 2 è un patologia frequente soprattutto nella popolazione adulta. La sua prevalenza è ancora mag giore tra gli anziani (età maggiore 65 anni) interessando circa un quarto di questo sottogruppo e associandosi frequentemen te ad aumentata morbilità, polifarmaco-terapia e decadimento funzionale.
Ciononostante, le nostre conoscenze sulla gestione di questa malattia derivano da studi condotti su popolazioni più giovani
mancando studi clinici randomizzati appositamente disegnati sul trattamento del diabete negli anziani.
Durante gli ultimi anni è stato approvato l’uso di nuovi farmaci (incretine) risultati particolarmente efficaci per il trattamen to del diabete tipo 2.
In questo articolo prendiamo in rassegna le opzioni attualmente disponibili per la terapie non-insulinica del diabete tipo 2 sof fermandoci in particolare sul paziente anziano fragile per quanto riguarda la prevenzione sia dell’iperglicemia prolungata che
del rischio d’ipoglicemia, in un’ottica di terapia “su misura” del paziente.
Parole chiave: diabete tipo 2; anziani; terapia non-insulinica.
Type 2 diabetes mellitus management with oral agents in the frail elderly in Hospitals and Local Health Services
Summary: Type 2 diabetes mellitus (T2DM) is a common desease especially among adult population. The prevalence of dia betes is greatest in the geriatric people ( i.e. more of 65 years of age), affecting 1:4 of this subpopulation and is often associa ted with high levels of morbidity, multiple therapies, and functional deterioration. Neverthless our knowledge on the manage ment of this desease came from studies conducted on younger people and there is little evidence from randomized trials regar ding how best to treat T2DM in the elderly population.
During the last years new effective drugs (incretins) have been approved for the treatment of T2DM .
We review the available non-insulin pharmacologic therapeutic option for the treatment of T2DM focusing on the frail older
patients both as regards to avoid prolonged hyperglycemia that to prevent the risk of hypoglycemia, aiming to a patient’s tai lored therapy.
Key words: diabetes type 2; elderly; non-insulin treatment.
EPIDEMIOLOGIA DEL DIABETE
NELL’ANZIANO
L’American Association of Clinical Endocrinologists (AACE) definisce il diabete tipo 2 come
un “disordine metabolico complesso, progressivo,
caratterizzato dal coesistente difetto di differenti
organi che comprende l’insulino-resistenza del tessuto muscolare e adiposo, il progressivo declino
della secrezione d’insulina da parte del pancreas,
un’aumentata produzione epatica di glucosio e la
coesistenza di altri deficit ormonali”(1).
Il diabete mellito (DM) rappresenta una delle
malattie croniche più frequenti nella pratica clinica,
ma la sua prevalenza non è definita con esattezza.
In Italia stime del Ministero della Salute indicano
che la prevalenza della malattia nota, desumibile
da rilievi incrociati sul consumo di siringhe e farIndirizzo per la corrispondenza:
Pellegrinotti Marco
UOC Medicina Interna
Ospedale Leopoldo Parodi Delfino
Colleferro (Roma)
[email protected]
maci, dimissioni ospedaliere e centri di diabetologia, è intorno al 2,7-3 %, mentre indagini di popolazione su ampia scala basate sulla curva da carico
di glucosio forniscono percentuali sensibilmente
più elevate, tra il 6 e l’11 % (2). Dati analoghi sono
forniti dal progetto IGEA (2) che, basandosi su dati
ISTAT del 2007 e su alcuni studi epidemiologici,
indica il numero totale di diabetici in Italia pari a
circa 3 milioni d’individui con un netto aumento
della malattia con l’aumentare dell’età. Prendendo
a riferimento gli studi epidemiologici condotti
negli Stati Uniti si desume che la prevalenza del
diabete mellito tipo 2 (DMT2) raggiunga il 26.9%
nella fascia di età oltre i 65 anni e che circa il 42%
dei diabetici abbia un’età superiore ai 65 aa (3).
COMORBILITÀ
Gli anziani affetti da diabete presentano un
aumentato rischio di morte prematura, disabilità e
comorbilità come ipertensione, cardiopatia ischemica e stroke (4); sono inoltre aumentate le più tipiche sindromi geriatriche come depressione (5),
deficit cognitivo, incontinenza urinaria, traumi da
10
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 1 Gennaio/Febbraio
caduta e dolore persistente. Diversi studi dimostrano, infatti, come il diabete sia associato a riduzione
delle performance psico-fisiche e a disabilità cro n iche che conducono a gravi forme di handicap e
svantaggio sociale nella popolazione anziana. Il
Framingham Cohort Study (6) indica il diabete
quale causa di maggiore limitazione funzionale
nelle persone anziane dopo ictus, depressione, ro ttura dell’anca, malattie cardiache, artrosi e malattie
respiratorie croniche. Il terzo National Health and
Nutrition Examination Survey (NHANES III) (7),
studio trasversale su una popolazione statunitense
non istituzionalizzata, ha indicato nel diabete una
delle principali cause di disabilità fisica tra i soggetti di età superiore a 60 anni.
Per tali evidenze le recenti linee guida internazionali, come anche gli Standard Italiani per la
Cura del Diabete Mellito, sottolineano l’importanza di un trattamento farmacologico specificamente
adattato al paziente anziano (8, 9). Tuttavia mancano ancora studi clinici direttamente applicabili per
il controllo glicemico condotti su larghi strati della
popolazione diabetica anziana (10).
OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO
Lo scopo della terapia ipoglicemizzante, nell’anziano come nel giovane, è quello di controllare
l’iperglicemia, le sue variazioni e i suoi eventuali
sintomi, prevenire le complicanze acute e identificare e prevenire le complicanze tardive macro e
microvascolari. Tuttavia l’anziano presenta delle
peculiarità dovute alla sua condizione complessiva; alcuni possono avere avuto una diagnosi di DM
molti anni prima e avere quindi anni di comorbilità, altri possono avere avuto al momento della
diagnosi anni di malattia misconosciuta e quindi
presentare delle complicanze già dall’esordio. Altri
ancora possono presentare un quadro di polipatologie correlate al diabete. Sebbene vi sia una chiara
evidenza di come il livello e la durata dell’iperglicemia influenzino lo sviluppo delle complicanze
croniche legate al diabete, mancano a tutt’oggi
studi specifici su soggetti diabetici anziani (>70
anni) (8).
Nell’United Kingdom Prospective Diabetes
Study (UKPDS), dove il 40% dei soggetti che ha
completato lo studio aveva un’età superiore a 65
anni, una riduzione dello 0.9% dei livelli di
Emoglobina Glicosilata (HbA1c) nel gruppo definito in terapia intensiva (target HbA1< 7% e FPG < 6
mmol/l-108 mg/dl) ha portato ad una riduzione
del 12% per ogni endpoint correlato al diabete e del
25% per gli endpoint microvascolari, tutto ciò a
fronte di una politerapia con sulfanilurea, metformina e/o insulina (11).
Altri messaggi importanti derivano dall’estensione dell’UKPDS (12) che ha dimostrato che per la
prevenzione delle complicanze cardiovascolari del
diabete e il miglioramento degli esiti sono necessa-
ri molti anni di buon controllo metabolico. Gli
studi ACCORD, ADVANCE e VADT (13,14,15),
hanno invece evidenziato che un controllo glicemico troppo “ambizioso” e raggiunto rapidamente
dopo una lunga storia di malattia diabetica (8-10
anni almeno) o dopo un evento cardiovascolare, si
associa a un aumento delle morti per ogni causa e
per le morti cardiovascolari, probabilmente correlato a un aumento delle ipoglicemie.
Tutto ciò introduce la necessità di valutare l’aspettativa di vita del diabetico anziano al fine di
decidere quanto “ambizioso” debba essere il controllo metabolico. È evidente che diff e rente deve
essere l’approccio tra un soggetto autonomo e in
discrete condizioni generali rispetto ad un soggetto che a parità di età presenti una grave compromissione generale e una bassa aspettativa di vita e
per il quale il rischio d’ipoglicemia rappresenta
una minaccia più grave rispetto della possibilità di
sviluppare, per esempio, delle complicanze micro
e/o macrovascolari.
A tale proposito l’Associazione Medici Diabetologi (AMD) e la Società Italiana di Diabetologia
(SID) forniscono precise indicazioni. Nell’edizione
(2009-2010) degli Standard Italiani per la Cura del
Diabete Mellito (9) è specificato che nei diabetici
anziani gli obiettivi glicemici dovrebbero essere
individualizzati. Se le condizioni generali sono
relativamente buone, il valore di HbA1c potrà essere compreso tra 6.5-7.5%, da raggiungere lentamente e con strategie a basso rischio di ipoglicemia, mentre negli anziani fragili (con complicanze,
affetti da demenza, con pluripatologie), nei quali il
rischio di ipoglicemia è alto e nei quali i rischi di un
controllo glicemico intensivo superano i benefici
attesi, è appropriato un obiettivo meno restrittivo
con valori di HbA1c che potranno essere compresi tra 7.5-8.5%
Nel momento in cui si prescrive un farmaco
ipoglicemizzante nel diabetico anziano bisogna
considerare che il suo rischio d’ipoglicemia è più
elevato rispetto ai soggetti più giovani. In particolare bisogna considerare il rapporto rischio d’ipoglicemia/beneficio della terapia ipoglicemizzante
in termini di riduzione del HbA1c, del danno
macro e microvascolare.
Inoltre, tra le particolarità della gestione dei diabetici anziani c’è la necessità di monitorare non soltanto la glicemia, ma anche la funzione renale per
poter adeguare nel tempo la terapia ipoglicemizzante. I soggetti che presentano deficit cognitivi e
in terapia polifarmacologica devono essere identificati e gestiti in maniera specifica dal Curante e da
coloro che forniscono assistenza all’anziano. Il
recente Position Statement ADA-EASD (16) ribadisce la necessità di utilizzare, nei pazienti anziani e
con pluripatologie, farmaci che garantiscano sicurezza, nello specifico in relazione alla ipoglicemia,
alla malattia card i o v a s c o l a re, alla disfunzione
Pellegrinotti M., Vaccari V., Pastorelli R. La gestione del diabete tipo 2 con...
renale, all’aumentato rischio di frattura e alle interazioni fra farmaci, con particolare riguardo alle
strategie terapeutiche che riducono al minimo il
rischio di ipoglicemie (16).
L’ipoglicemia è infatti più dannosa nell’anziano
che nel giovane, è tanto più frequente quanto più
sono stretti i target glicemici, può indurre aritmie,
ma anche infortuni, capogiri e conseguenti cadute
(evento particolarmente temibile negli anziani),
confusione, rischio di scorretta assunzione dei farmaci, infezioni.
L’ipoglicemia è spesso sottostimata come causa
di morte e per tale motivo la sua reale incidenza
non è ben definibile nel paziente diabetico in generale e in particolare nel diabetico anziano (16).
In conclusione lo scopo del trattamento è il controllo della glicemia, la prevenzione dei sintomi da
i p e rglicemia e dell’instabilità dei valori glicemici al
fine di prevenire/ritardare lo sviluppo delle complicanze del diabete, senza troppi effetti avversi
sulla qualità di vita dei pazienti.
IPOGLICEMIZZANTI ORALI DISPONIBILI
PER IL TRATTAMENTO
Secretagoghi
Le sulfaniluree sono i più “vecchi” agenti ipoglicemizzanti. Essi, agendo sulla chiusura dei canali del Potassio ATP-dipendenti a livello della Beta
cellula pancreatica, stimolano il rilascio di insulina.
A fronte di un reale controllo della glicemia, sono
associati a un modesto aumento ponderale e a un
aumentato rischio di ipoglicemia. Diversi studi
dimostrano inoltre un’ aumentata percentuale di
fallimento secondario con il trattamento con sulfan i l u ree legato essenzialmente ad una accelerazione
della disfunzione beta-cellulare (17).
Le sulfaniluree determinano una riduzione
media di HbA1c di circa 1-2%. Il rischio d’ipoglicemia nella popolazione anziana è maggiore del 36%
rispetto ai giovani(16). Inoltre questi farmaci tendono a esaurire il loro effetto nel tempo e sono
causa di aumento ponderale. Le sulfaniluree sono
suddivise in molecole di prima e di seconda generazione. Le molecole di prima generazione sono
caratterizzate da una lunga emivita e il loro uso è
attualmente sconsigliato. Le molecole di seconda
generazione (glibenclamide o gliburide, glicazide,
glipizide e glimepiride) sono le sulfaniluree attualmente disponibili. Sono efficacemente assorbite
dall’intestino e, dopo essere state metabolizzate a
livello epatico, sono escrete dal rene e pertanto
devono essere utilizzate con cautela nei pazienti
con insufficienza epatica o renale. La loro emivita
varia dalle 3 alle 5 ore, ma il loro effetto ipoglicemizzante dura fino a 12-24 ore (18).
Le glinidi (repaglinide e nateglinide, quest’ultima non in commercio in Italia), secretagoghi a
breve durata d’azione, agiscono con meccanismo
analogo alle sulfaniluree ma, proprio per la loro
11
breve emivita (circa un’ora), sono a rischio ridotto
di ipoglicemia sebbene richiedano frequenti aggiustamenti del dosaggio (19).
Il loro veloce assorbimento, la rapidità del picco
ematico e la loro breve emivita (circa 1 ora) ne consentono un uso pre-prandiale con migliore controllo del picco glicemico post-prandiale e minore incidenza d i ipoglicemie. Sono metabolizzate dal fegato e possono essere utilizzante in pazienti con insufficienza renale moderata. Anch’esse determinano
una riduzione media di HbA1c di circa 1-2%.
La veloce farmacocinetica ne suggerisce l’uso in
pazienti che presentano prevalentemente iperglicemia post-prandiale.
Metformina
La metformina rappresenta il farmaco di prima
scelta nel trattamento del diabetico tipo 2. Sia le
linee guida SID/AMD (9) che quelle ADA/EASD
(16) in continuità con quanto già espresso in passato, indicano l’uso della metformina, associata ai
cambiamenti dello stile di vita, come il primo passo
nel trattamento del diabete tipo 2, salvo una sua
controindicazione (vedi oltre) (20).
L’impiego della metformina, sempre se non
controindicata, deve accompagnare tutte le scelte
terapeutiche successive, cioè nella terapia di combinazione, compreso l’uso dell’insulina.
La metformina agisce prevalentemente riducendo la produzione epatica di glucosio e aumentando la sensibilità all’insulina a livello del tessuto
muscolare e del tessuto adiposo; negli adulti riduce i livelli di HbA1c di circa 1-2%, ha un effetto neutro sul peso, ma potrebbe contribuire ad un certo
grado di calo ponderale. Gli effetti collaterali sono
a carico del sistema gastro-intestinale con nausea,
vomito o diarrea; questi disturbi possono essere
minimizzati iniziando la terapia con bassi dosaggi,
assumendo il farmaco dopo il pasto e incre m e n t a ndo pro g ressivamente le dosi fino a un massimo di
2.5-3 g/die in dosi refratte.
Il più grave effetto collaterale della metformina
è la possibilità di determinare acidosi lattica (complessivamente con un’incidenza di 3 casi per
100.000 pazienti/anno), motivo per cui deve essere
utilizzata a dosi ridotte nei pazienti con insufficienza renale avanzata (valori di filtrato glomerulare
fra 60 e 30 ml/min) ed è controindicata per valori
di filtrato glomerulare < 30 ml/min (21, 22). La funzione renale deve essere valutata non tanto con i
valori di creatinina plasmatica, ma piuttosto sulla
stima del filtrato glomerulare, valutabile con formule tipo Cokroft o MDRD (23,24).
Nel paziente anziano in politerapia una particolare attenzione deve essere posta alla potenziale
interazione tra farmaci. L’uso della metformina
non è comunque indicato nei pazienti con più di 80
anni d’età a meno che la clearance della creatinina
non sia normale (> di 89 ml/min). (25) Questo
aspetto è particolarmente importante poiché è sti-
12
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 1 Gennaio/Febbraio
mato che la prevalenza di malattia renale tra gli
individui di età compresa tra i 65 e i 74 anni sia del
3.1% e salga al 4.4% negli over 75 (26).
È buona norma sospendere il farmaco in pre v isione di utilizzo di mezzi di contrasto iodati o d’interventi chiru rgici. La sua re i n t roduzione non
dovrebbe avvenire prima delle 48 ore.
Un’altra biguanide ancora in commercio è la
fenformina il cui uso è però sconsigliato per la
maggiore incidenza di casi d’acidosi lattica; ciò è
particolarmente vero per i soggetti anziani (27, 28).
Acarbosio
È un inibitore dell’enzima ·alfa-glucosidasi che,
a livello intestinale, scinde i carboidrati complessi
in mono e disaccaridi, ritardandone l’assorbimento
e ritardando quindi le escursioni glicemiche postprandiali.
Come la metformina ha un effetto neutro sul
peso e, se usato da solo, non determina ipoglicemie. Tuttavia il suo effetto sulla HbA1c è modesto
(riduzione media 0,6-0,7%). Può essere utilizzato
nei pazienti con prevalente iperglicemia post-prandiale e nei pazienti con insufficienza renale moderata. Il limite maggiore è rappresentato dagli effetti collaterali a livello gastrointestinale (flatulenza e
diarrea) che spesso portano il paziente ad una scarsa aderenza alla terapia. Rappresenta, specie se
associato ad altre terapie, un valido contributo in
particolare in quei pazienti che presentano un
i n s u fficiente controllo post-prandiale.
Glitazoni (tiazolidinedioni)
I glitazoni sono insulinosensibilizzanti che agiscono sul recettore nucleare PPAR-Á (peroxisome
proliferator-activated receptor Á), presente in molti
tessuti, ma in particolare sugli adipociti, inducendo
l’attivazione di geni coinvolti nella regolazione del
metabolismo dei carboidrati e dei lipidi e quindi
aumentando la sensibilità all’insulina nei tessuti
periferici.
I glitazoni sono metabolizzati dal fegato e non
devono essere usati in pazienti con insufficienza
epatica o incremento aspecifico delle transaminasi.
Inducono una riduzione media di HbA1c di
c i rca 1.5% e la loro massima efficacia è raggiunta in
4-6 settimane. Possono essere associati alle altre
classi di farmaci ipoglicemizzanti e sono disponibili in alcune associazioni.
Oltre al miglioramento del compenso glicemico, i glitazoni migliorano il profilo lipidico con una
riduzione della trigliceridemia e un aumento del
colesterolo HDL (29).
Gli effetti collaterali dei glitazoni comprendono
aumento di peso, ritenzione idrica che può arrivare ad edema e insufficienza cardiaca negli individui predisposti (classe NYHA II-IV) e aumentato
rischio di fratture (30, 31).
Al momento è disponibile in commercio il solo
pioglitazone che risulterebbe associato a un lieve
aumento di rischio di cancro della vescica. Tale
rischio che può essere ridotto da un’appropriata
selezione ed esclusione dei pazienti, che prevede la
necessità di una revisione periodica dell’efficacia e
sicurezza del trattamento nel singolo paziente (32).
In conclusione la prescrizione dei glitazoni
negli anziani deve essere preceduta da un’attenta
valutazione per l’osteoporosi, lo scompenso cardiaco e il tumore della vescica.
Incretine
Per decenni i diabetologi si sono interessati al
ruolo dell’intestino nel DMT2. In particolare l’attenzione si è focalizzata su una sostanza analoga al
glucagone, secreta dalle cellule L presenti nella
parte distale del piccolo intestino, e sul così detto
effetto “incretinico”, ossia l’evidenza di una maggiore secrezione insulinica con l’assunzione di glucosio per os rispetto a quello e.v. dovuta alla secrezione di ormoni intestinali indotta dal pasto (33).
Sono state così identificate delle sostanze prodotte
dall’intestino chiamate poi incretine.
Le incretine sono degli ormoni polipeptidici
secreti dall’intestino in risposta ai pasti e partecipano al mantenimento dell’omeostasi del glucosio:
il Glucagon-LikePeptide (GLP-1), prodotto dalle
cellule K della parte prossimale del piccolo intestino e il Glucose-Dependent-Insulinotropic-Polypeptide (GIP) prodotto dalle cellule L nella parte
distale del piccolo intestino (34).
L’intestino appare dunque affiancare il “triumvirato”, proposto da De Fronzo, ossia le cellule beta
del pancreas, il muscolo e il fegato, nella patogenesi e nella pro g ressione del DMT2 (35).
L’effetto incretinico appare ridotto nel diabete
T2 a causa di una condizione di deficit/resistenza
del sistema delle incretine; in particolare vi sarebbe
una riduzione della secrezione di GLP-1 e una perdita dell’effetto insulinotropico da parte del GIP
(33) la cui secrezione può essere normale o aumentata; comunque la risposta cellulare al GLP-1 appare conservata mentre quella al GIP è diminuita (36).
Entrambe le molecole, che hanno dei recettori
specifici, sono rapidamente degradate dall’enzima
dipeptidil-peptidasi IV (DPP-IV) (37).
L’attenzione dei clinici si è rivolta all’uso del
GLP-1 dopo i deludenti tentativi di trattare il diabete T2 con il GIP (38).
Evidenze sperimentali indicano che la biosintesi e la secrezione d’insulina stimolate dalle incretine sono proporzionali ai livelli plasmatici di glucosio, il che riduce il rischio di ipoglicemia.
Il GLP-1 oltre a promuovere la secrezione d’insulina glucosio-indotta, sopprime la secrezione del
glucagone (glucosio-dipendente), ritarda lo svuotamento gastrico, aumenta il senso di sazietà e
diminuisce l’assunzione di cibo (39, 40). È quindi di
particolare interesse il loro ruolo positivo sulla
Pellegrinotti M., Vaccari V., Pastorelli R. La gestione del diabete tipo 2 con...
riduzione del peso corporeo. Inoltre le incre t i n e
sembrerebbero avere un effetto trofico positivo
sulla massa ‚ cellulare del pancreas.
Uno dei principali ostacoli nell’uso terapeutico
del GLP-1 è la sua breve emivita (da 1 a 2 minuti).
Sono state quindi intraprese due vie: lo sviluppo di
analoghi del GLP-1 resistenti all’azione del DPP-IV
e lo sviluppo d’inibitori dello stesso.
Analoghi del GLP-1
Exenatide e liraglutide sono i due analoghi del
GLP-1 attualmente disponibili. L’exanatide è l’equivalente sintetico dell’exenatina-4, una molecola
polipeptidica presente nella saliva di una lucertola
del deserto dell’Arizona, il Gila Monster
(Heloderma suspectum) (41), che presenta un’omologia del 53% con il GLP-1 umano. Il suo effetto
biologico ha una durata di circa 5-7 ore e deve essere somministrato due volte al giorno per via sottocutanea alla dose di 5 o 10 µg 30-60 minuti prima
del pasto.
La liraglutide, un analogo sintetico, presenta
un’omologia del 97% con il GLP-1 umano; il suo
legame non covalente con l’albumina determina
una più lunga emivita (13 ore) e consente una singola somministrazione al giorno (1.2 o 1.8 mg per
via sottocutanea).
Entrambe le molecole sono state valutate in
monoterapia, ma è preferito un loro impiego in
associazione con altri ipoglicemizzanti (principalmente la metformina). Questi farmaci assicurano
una riduzione diHbA1c dello 0,8-1,5%, sovrapponibile a quella degli altri farmaci tradizionali (42).
L’associazione con la metformina è preferita per il
ridotto rischio d’ipoglicemia e l’effetto positivo sul
peso corporeo.
L’effetto favorevole sulla riduzione del peso
corporeo è un’altra caratteristica degli analoghi del
GLP-1. In numerosi studi si è dimostrato come exenatide porti a una riduzione media del peso corporeo di circa 4 kg dopo un anno di terapia (43, 44);
sebbene in misura minore anche liraglutide contribuisce al calo ponderale.
Entrambe le molecole sembrano inoltre rallentare lo svuotamento gastrico, contribuendo così
alla riduzione del picco glicemico post-prandiale.
Di rilievo è la loro capacità di ripristinare il
picco d’insulina (prima fase del rilascio d’insulina).
Il rischio d’ipoglicemia con l’exenatide, sia con
5 che con 10 µg, sembrerebbe essere sovrapponibile a quello del placebo (rispettivamente del 5%, 4%
e 1%; P =NS) (45).
Tali farmaci sembre rebbero quindi essere di
particolare utilità negli anziani, tuttavia gli studi di
e fficacia e tollerabilità su questo tipo di pazienti
sono scarsi e la maggior parte dei dati derivano da
analisi secondarie su pazienti presenti in altri studi
più che da studi appositamente disegnati.
13
Inibitori del DPP-IV
Gli inibitori dell’enzima DPP-IV (gliptine) sitagliptin, vildagliptin, saxagliptin e linagliptin
aumentano le concentrazioni di GLP-1 endogeno.
Sembrerebbero avere un’efficacia simile ai secretagoghi e ai glitazoni nel controllo metabolico.
Le principali caratteristiche degli inibitori della
DPP-4 e dei mimetici del GLP-1 sono riassunte
nella Tabella 1.
Rispetto agli analoghi del GLP-1 gli inibitori
della DPP-4 presentano l’indubbio vantaggio della
somministrazione orale. Tali farmaci sono efficaci
sia in monoterapia che in associazione con altri ipoglicemizzanti orali.
Questi farmaci sembrano presentare un basso
rischio d’ipoglicemia anche se associati alla metformina. In uno studio randomizzato in doppio-cieco,
la prevalenza d’ipoglicemia nei pazienti trattati con
sitagliptin era simile al placebo (0.8%) (46). Come
per altri farmaci non sono molti i dati disponibili
sui loro effetti nella popolazione anziana. In uno
studio condotto per valutare l’efficacia e la sicure zza del saxagliptin (5 mg una volta al di) in pazienti di età > a 65 anni non si sono evidenziate diff erenze rispetto al gruppo di pazienti più giovani, in
termini d’ipoglicemie, valori di HbA1c e glicemia
pre e postprandiale (47).
Saxagliptin e sitagliptin necessitano di una
riduzione della dose nei pazienti con funzione
renale compromessa; in particolare la dose di sitagliptin deve essere dimezzata se la clearance della
creatinina è compresa tra 30 e 50 ml/min e ridotta
a un quarto se inferiore a 30 ml/min; la dose di
saxagliptin va dimezzata se la clearance della cre atinina è inferiore a 50 ml/min.
Il linagliptin, di recente commercializzazione in
Italia, non necessita della riduzione della dose in
corso di insufficienza renale.
Sono stati segnalati casi di pancreatite in pazienti che facevano uso di inibitori della DPP-IV.
Tuttavia altri effetti collaterali sul sistema gastroenterico come nausea e vomito sembrano essere meno
frequenti in confronto agli analoghi del GLP-1.
A fronte di una maggiore maneggevolezza
rispetto agli analoghi del GLP-1, le gliptine non
presentano effetti sullo svuotamento gastrico, non
modificano l’appetito e non hanno effetti sul peso
corporeo.
COMORBIDITÁ E TRATTAMENTO
Il paziente diabetico anziano è molto spesso un
paziente “complesso” ovvero una persona “affetta
da due o più malattie croniche ciascuna in grado
d’influenzare l’esito delle cure delle altre per:
1. limitazione delle aspettative di vita,
2. morbilità intercorrente,
3. interazioni farmacologiche,
4. impossibile impiego di cure adeguate per
controindicazioni
14 Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 1 Gennaio/Febbraio
TAB. 1 – Principali caratteristiche dei mimetici
GLP-1 e inibitori DPP-IV
5. impatto sullo stato sociale ed economico”
(48).
Infatti, frequentemente, il diabete nell’anziano
si associa a malattia renale cronica, BPCO, coro n aropatia, malattie cerebrovascolari, scompenso cardiaco, depressione, ansia e dolore cronico (49).
Queste sono condizioni che richiedendo trattamenti specifici con numerosi farmaci che spesso interagiscono tra loro. Il paziente in polifarmacoterapia è
esposto al rischio di un uso inappropriato dei
medicinali, ad errori di posologia e trattamento,
scarsa aderenza e rischio di reazioni avverse (50).
È quindi necessario fare convivere talvolta delle
opposte esigenze: l’adeguato controllo glicometabolico e la sicurezza del paziente, oltre alla semplicità della terapia.
L’adeguatezza del controllo metabolico può
essere stabilità sulla base degli obiettivi di HbA1c
che si vogliono ottenere; negli anziani fragili nei
quali il rischio d’ipoglicemia è alto e nei quali ha
poco senso mirare a ottenere uno stretto controllo
metabolico è appropriato un obiettivo di HbA1c
con valori compresi tra 7,5 e 8,5 (vedi Fig.1).
Una caratteristica dell’anziano è la progressiva
riduzione del filtrato glomerulare (spesso con valori di creatininemia apparentemente normali). Per
tale motivo particolare attenzione deve essere
posta nella scelta dell’ipoglicemizzante utilizzato
tenendo conto della sua emivita, della via di escrezione e della necessità di adeguamenti della dose
in rapporto alle modifiche del filtrato glomerulare.
Infine gli schemi terapeutici devono essere semplici per evitare errori da parte del paziente o di chi
lo assiste.
CONCLUSIONI
La sicurezza è l’obiettivo prioritario nella
gestione del diabetico anziano. Il principale rischio
è l’ipoglicemia.
Il trattamento del diabete nel paziente anziano
si pone perciò obiettivi che possono variare dal
semplice controllo dei sintomi dell’iperglicemia
alla prevenzione delle complicanze acute nel
paziente molto fragile e alla prevenzione primaria
e secondaria delle complicanze croniche nel
paziente anziano in buone condizioni. Tutto questo
deve tener conto di diversi parametri: aspettativa
di vita, grado di istruzione, valutazione cognitiva e
delle capacità fisiche, status socioeconomico, rapporto con la durata della malattia e con la gravità
di possibili complicanze croniche.
Sta quindi al medico individuare nel singolo
paziente il trattamento più idoneo sulla scorta di
linee guida e flow chart che forniscono indicazioni
generali e che vanno adattate alle caratteristiche cliniche dei singoli soggetti (Fig.1 e Fig. 3).
In Ospedale la terapia nel paziente diabetico
anziano ricoverato per un evento acuto deve prevedere la sospensione della terapia con ipoglice-
Fig. 1 - Parametri per la caratterizzazione del paziente con diabete tipo 2: Modificato da: algoritmi AMD Online ed 2012-www.aemmedi.it
Pellegrinotti M., Vaccari V., Pastorelli R. La gestione del diabete tipo 2 con...
Figura 2 – Farmaci antidiabetici e filtrato glomerulare. Modificato
da: Schernthaner G, Ritz E, Schernthaner GH. Strict glycaemic control
in diabetic patients with CKD or ESRD: beneficial or deadly? Nephrol
Dial Transplant. 2010 Jul ;25(7):2044-7.
mizzanti orali perchè poco maneggevoli e a rischo
di peggioramento delle cause che hanno condotto
al ricovero. Al fine di ottenere un controllo glicemico che non incida sul peggioramento dell’evento
acuto, (scompenso cardiaco, riacutizzazione di
BOC, insufficienza renale acuta, disidratazione,
eventi cerebrovascolare) è indicato il passaggio a
terapia insulinica con schema basal-bolus.
15
Nel Territorio la gestione del paziente diabetico
anziano ha a disposizione diverse nuove molecole
che affiancano i farmaci da anni in uso e permettono una migliore individualizzazione della terapia
ipoglicemizzante.
La metformina, se non controindicata, rimane,
in associazione alla dieta, il farmaco di prima linea
nella terapia del diabete T2; gli altri farmaci
dovrebbero essere aggiunti alla metformina là
dove questa non sia sufficiente a controllare la glicemia.
A questo riguardo particolarmente utili, specie
nel paziente anziano, sembrano essere gli inibitori
della DPP-IV che, per la loro capacità di stimolare
la secrezione di insulina con meccanismo glucosiocompetente, presentano un basso rischio di ipoglicemia e hanno un effetto positivo sul peso corporeo
e sulla velocità del picco glicemico post prandiale.
Inoltre, proprio perché agiscono con un meccanismo di glucocompetenza, sono particolarmente
utili in una popolazione in cui l’assunzione di cibo
può essere variabile.
Sono auspicabili studi comparativi tra i vari
ipoglicemizzanti orali per valutare quale potrebbe
essere la terapia ipoglicemizzante che determina i
migliori esiti nel paziente anziano. Parimenti
opportuni potrebbero essere gli studi di valutazione dell’impatto dei vari ipoglicemizzanti sullo
stato cognitivo del paziente anziano.
Figura 3 – Algoritmo per il trattamento farmacologico non insulinico del diabete tipo 2. Modificata da: AMD-SID linee guida 2010; Standard italiani per la Cura del Diabete Mellito 2009-2010 Edizioni Infomedica.
16
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 1 Gennaio/Febbraio
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17
DIMISSIONI DIFFICILI IN PAZIENTI CON COMPLESSITÀ
ASSISTENZIALI: NOSTRA ESPERIENZA
Castagna A.1, Russo G., Gareri P.1, Lacava R.1, Condito A.M.2, Ruotolo G.
SOC Geriatria Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” Catanzaro
1Geriatra territoriale ASP Catanzaro
2 Coordinatrice Inf. SOC di Medicina d’Utrgenza e Accettazione Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” Catanzaro
Riassunto: Il periodo dopo la Dimissione Ospedaliera è critico, specialmente in pazienti che richiedono cure complesse come gli anziani. Una risposta è creare programmi di transizione per garantire il coordinamento tra le figure sanitarie e continuità di cure nei trasferimenti tra di diversi luoghi e livelli di cure.
Parole chiave: Anziani, Dimissione Protette, Continuità di Cure.
Summary: Time after discharges is critical, especially for individuals with complex care needs such as elderly adults. A pos sible answer is employing care transition programs aimed to guarantee the coordination among healthcare practitioners and
continuity of medical care on moving among different settings and different levels of care.
Key words: Elderly, Hospital Discharge, continuity of care.
INTRODUZIONE
Con l’invecchiamento della popolazione si
sono modificate anche le richieste di prestazioni
sanitarie, con un progressivo incremento dei ricoveri ospedalieri di persone anziane, spesso fragili
e con polipatologie. Se il ricovero in ospedale è un
evento sempre più frequente e necessario al crescere dell’età, l’ospedalizzazione rappresenta per
molti anziani – soprattutto, per soggetti con preesistente fragilità – anche uno straordinario fattore di rischio di declino funzionale e cognitivo, di
altre sindromi geriatriche e, in ultima analisi, di
istituzionalizzazione e morte (1). È evidente anche
come il periodo del post-dimissione sia critico,
specie per i pazienti polipatologici come gli anziani (2).
In contrasto a queste evidenze, il sistema di
remunerazione per raggruppamenti omogenei di
diagnosi (Diagnosis-Related Group, DRG) aumenta la pressione negli ospedali per effettuare le
dimissione prima possibile con il rischio concreto
di dimissioni “precoci” (3-5) .
Tale tendenza rappresenta non solo un rischio
per la salute dei pazienti ma anche un costo sanitario rilevante (6-10). Da un lato vi è stato la riduzione delle degenze medie e, dall’altro, l’incremento dal 24,6% al 28,4% dei non autosufficienti
alla dimissione (11). Quindi, l’invecchiamento
della popolazione e la nuova organizzazione sanitaria, basata sull’aziendalizzazione degli ospedali,
ha indotto a sviluppare un sistema di servizi di
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Giovanni Ruotolo
Via Caio Duilio, 13 – 88100 Catanzaro
Email: [email protected]
assistenza continuativa che sia in grado di andare
incontro alla necessità dei soggetti che ne hanno
bisogno, migliorando l’outcome del paziente e
contenere i costi della ospedalizzazione (12-14).
Queste evidenze indicano il rispetto di una tempistica adeguata alle condizioni cliniche del paziente e nel contempo l’organizzazione di tutti i servizi necessari. È esperienza comune come spesso
anche la tempistica di dimissione sia fonte di disagio e tensione tra sanitari e familiari dei pazienti.
La prevenzione della disabilità iatrogena può aiutare a diminuire tale impatto negativo, ma deve
essere coniugato con l’accesso facilitato ad una
rete di servizi territoriali completa, che comprende un insieme di servizi sia sanitari che sociali.
Un percorso così strutturato ha dimostrato una
significativa riduzione dei costi ospedalieri considerando anche quelli relativi alle re-ospedalizzazioni (15), ma soprattutto una maggior soddisfazione dei pazienti (16).
INTEGRAZIONE TRA OSPEDALE E
TERRITORIO
Diverse aziende sanitarie hanno elaborato percorsi che facilitano le dimissioni protette, tra queste dal 2009 l’Azienda Sanitaria Provinciale di
C a t a n z a ro e l’Azienda Ospedaliera “Pugliese
Ciaccio” di Catanzaro. La necessità di costruire
processi chiari, condivisi e strutturati su dimissioni protette e continuità assistenziale nasce, quindi,
dalla rilevazione di diverse situazioni critiche, in
p a r t i c o l a re rispetto alla popolazione anziana,
come solitudine, situazioni di disagio e/o emarginazione sociale, abitazioni inadeguate, totale o
parziale assenza di rete familiare, difficoltà alle
dimissioni dall’ospedale, da parte del paziente e
18
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 1 Gennaio/Febbraio
della famiglia nell’affrontare una condizione di
salute, differente da quella precedente il ricovero.
Il percorso della Dimissione Protetta è strettamente rivolto ad una presa in carico globale del
paziente/utente da parte della rete dei servizi.
Ciò per garantire un approccio unitario centrato
sulla persona portatrice di bisogni e di risorse
reali e/o potenziali. La centralità della persona in
tale processo si concretizza proprio nella continuità dell’assistenza, non solo nella fase di dimissione verso il domicilio, ma anche nella fase di
ammissione. Pertanto il processo di dimissione
protetta - continuità assistenziale deve accompagnare la persona garantendo un filo continuo tra
domicilio - ospedale - domicilio o servizio territoriale, favorendo anche l’integrazione tra servizi
sociali e sanitari. L’obiettivo generale è garantire
la continuità assistenziale nel percorso domicilio ospedale - domicilio o servizio territoriale. Gli
obiettivi specifici sono i seguenti: individuare in
modo chiaro ed immediato i soggetti fragili, che
necessitano di percorsi di continuità assistenziale
guidati, in particolare per i cosiddetti casi di
“zona grigia” che possono presentare inizialmente situazioni difficilmente codificabili, ma che
spesso risultano essere più scoperti dai servizi
perché più difficili da individuare; migliorare e
sviluppare la continuità assistenziale; promuovere un ruolo attivo del familiare e se possibile del
pazien-te/utente, nel processo di cura, promuovere e diffondere una più adeguata conoscenza
dei servizi ospedale-territorio da parte di familiari e se possibile dei pazienti/utenti permettere
una maggiore fruibilità ed efficacia delle risorse
tra ospedale e territorio, con particolare riferimento all’assistenza a domicilio, sia di competenza
sanitaria,
sia
sociale;
favorire
la
prevenzione/riduzione dei casi di ricovero recidivo.
I destinatari del percorso di dimissioni protette - continuità assistenziale possono essere di differenti tipologie. Sarà necessario avere particolare
attenzione per i pazienti fragili, sia dal punto di
vista sanitario sia dal punto di vista sociale, siano
essi adulti o anziani, per i quali è fondamentale
attivare il percorso di valutazione multidisciplinare: persone non autosufficienti o con grave disabilità che presentano un elevato grado di dipendenza, che necessitano di essere assistite e sostenute
nelle ADL e nelle IADL e/o abbisognano di prestazioni sociali e sanitarie continuative, che comportano l’attivazione della complessa rete dei servizi sociali e sanitari.
NOSTRA ESPERIENZA
I servizi coinvolti come parte attiva nel protocollo di dimissioni protette sono: l’Azienda
Sanitaria Provinciale (ASP) di Catanzaro,
l’Azienda Ospedaliera (A.O.) “Pugliese-Ciaccio”
di Catanzaro, i Medici di Medicina Generale, i
Familiari/caregiver e gli Utenti/pazienti.
Partendo dal presupposto che il momento del
ricovero è già cruciale per la buona riuscita di un
percorso di dimissioni protette, abbiamo individuato nel processo le seguenti fasi (Fig. 1):
Fase 1
Colloquio preliminare nel reparto di degenza
con i famigliari e soprattutto con il caregiver del
paziente allo scopo di fornire informazioni sullo
stato clinico, accertare le eventuali criticità della
famiglia, condividere l’inserimento in una struttura residenziale e programmare la dimissione.
Operatori coinvolti: Medico di Reparto,
Coordinatore Infermieristico.
Fase 2
Segnalazione da parte del reparto all’Antenna
Ospedaliera (assistenti sociali) ed invio del caregiv e r / f a m i l i a re a colloquio presso gli assistenti
sociali dell’Ospedale, che entro 24-48 ore ne verificano i bisogni sociali.
Operatori coinvolti: Coord i n a t o re Infermieristico, Assistente Sociale.
Fase 3
Segnalazione all’Unità di Valutazione
Geriatrica (U.V.G.), gestita dal Geriatra, che dopo
valutazione multidimensionale indica la struttura
residenziale più idonea in base allo stato clinico e
al carico assistenziale. Invio tramite fax della suddetta proposta dagli assistenti sociali all’Unità di
Valutazione Geriatrica Multidimensionale Territoriale (U.V.G.M.T.). Tale scheda di segnalazione
contiene dati anagrafici, requisiti di ammissione e
tutte le informazioni cliniche relative al paziente
(diagnosi, tipo di assistenza richiesta, terapia farmacologia in atto, ausili necessari).
Operatori coinvolti: Geriatra, Assistente
Sociale
Fase 4
Il medico geriatra responsabile dell’assistenza
territoriale valuta la richiesta, entro 72 ore intera-
Fig. 1 - Percorso Assistenziale di Dimissione Protetta
Castagna A., Russo., Gareri P., et al. - Dimissioni difficili in pazienti con complessità ...
gisce con l’U.V.G.M.T. e si decide il percorso assistenziale più idoneo in base alla complessità clinica e alle ore di assistenza necessari. La fase di
valutazione, Unità Valutativa Multidimensionale
Interaziendale (U.V.M.I.) coinvolge un:
-Team Multidisciplinare Ospedaliero composto da medico referente ospedaliero per le dimissioni protette (geriatra), coordinatore infermieristico, assistente sociale
-Team multidisciplinare Extraospedaliero
composto da geriatra territoriale, medico referente del distretto, medico di medicina generale
(MMG) dell’utente e quando necessario fisiatra e
fisioterapista.
Fase 5
In presenza della disponibilità di accesso, si
procede alla dimissione del paziente nel presidio
residenziale indicato, con attivazione dell’ambulanza per il trasporto e con stesura di una lettera
al Medico di Medicina Generale ovvero, quando
presente, al Direttore Sanitario della struttura.
Operatori coinvolti: Medico, Coord i n a t o re
Infermieristico, Infermiere.
Quindi, l’Antenna Ospedaliera con il Geriatra
effettua la prima classificazione dei casi segnalati
dai vari reparti ospedalieri e ne verifica i bisogni
sanitari, mentre con gli Assistenti Sociali Ospedalieri, contemporaneamente, ne verificano i bisogni
sociali. Dopo tale valutazione integrata sociosanitaria, definita l’eleggibilità del paziente, informato il paziente e la famiglia, viene attivata l’unità di valutazione geriatrica multidimensionale
territoriale, con convocazione almeno 2 giorni
lavorativi prima, della prevista dimissione.
L’Unita
Valutativa
Multidimensionale
Interaziendale, composta oltre che dalle figure già
citate anche da un Responsabile Medico dell’ASP,
un Geriatra e un infermiere Territoriale, suggerisce il Piano Assistenziale Individuale ritenuto più
opportuno, con eventuale attivazione dei servizi
necessari.
RISULTATI: QUADRIENNIO 2009-2012
Il nostro team multiaziendale e multiprofessionale ha effettuato dal gennaio 2009 al 31 dicembre
2012 un totale di 656 valutazioni. I dati analizzati
evidenziano nel quadriennio 2009-2012, un progressivo aumento del numero di Dimissioni
Protette; si osserva infatti un aumento della media
di dimissioni protette/mese, da 10,18 del 2009 al
16,91 del 2012 (Tabella 1) e il dato risulta statisticamente significativo (Figura 2). L’età dei pazienti valutati è stata di 78,19± 12 anni, con un 42% di
pazienti di sesso maschile (Tabella 2). In totale 19
Reparti hanno inviato una richiesta di Dimissione
Protetta (Tabella 3). Il maggior numero di richieste
proveniva dal Reparto di Ortopedia ( 26,37%),
quindi da quello di Geriatria (21,80%), di
Medicina Interna (19,21%), di Neurologia
19
(12,20%) e di Neurochirurgia (6,25%) (Tabella 3).
Per quanto riguarda i percorsi assistenziali individuati nel 51,81% si è proposto ricovero in RSA, nel
20,29% l’attivazione dell’A.D.I., nel 19,75 % ricovero per Riabilitazione, a seguire altri percorsi
(Tabella 4). Dall’analisi dei tempi di attesa per
l’U.V.M.T., si nota che si è passato da 2,23±1,81
giorni del 2009 ai 3,18±2,89 giorni del 2012, con
una media di valutazioni nelle 24 ore passata dal
44,44% del 2009 al 31,78% del 2012 (Tabella 5).
Anche la percentuale delle U.V.M.T. nelle 72 ore è
diminuita dal 77,77% del 2009 al 62,12 % del 2012
(Tabella 5).
Fig. 2 - Media di richieste/mese di Dimissioni Protette per anno
DISCUSSIONE
Sempre più evidente è l’utilità di programmi
di Dimissioni Protette per garantire la continuità
assistenziale tra ospedale e territorio. La continuità di cura implica una “presa in carico” condivisa da più attori e più servizi di ambienti diversi
Tab. 1 - Pazienti in dimissione protetta quadriennio
2009-2012
n
media dimissioni
per mese
Dimissioni Protette nel 2009
111
10,18
Dimissioni Protette nel 2010
148
12,33
Dimissioni Protette nel 2011
196
16,5
Dimissioni Protette nel 2012
201
16,91
P for trend < 0,000
Tab. 2 - Pazienti in Dimissione Protetta: Età e sesso
Caratteristiche dei Pazienti in D.P.
Età (anni)
78,19±12
Sesso (% Maschi)
42%
20
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 1 Gennaio/Febbraio
nell’ambito del care management e del case management, attraverso la trasmissione di tutte le
informazioni utili nella fase del passaggio di setting. La trasmissione dei dati clinici e socio-sanitari sono indispensabili per la pianificazione concordata della dimissione secondo il principio dell’alleanza terapeutica (17).
I dati della letteratura, infatti, sostengono che
nella pianificazione della dimissione sono partico-
larmente importanti l’educazione terapeutica e la
comunicazione fra professionisti sanitari e famiglia (18).
Dai nostri dati sono emerse delle criticità quali
la tempistica che non sempre è stata rispettata,
scarsa informazione dei MMG e dei reparti non
attivamente coinvolti, mancanza nel reparto di un
referente per le Dimissioni Protette, difficoltà di
gestire in tempi rapidi l’erogazione dei presidi.
Tab. 3 - Richieste di Dimissione Protetta, per reparto e per anno
Reparto di richiesta di Dimissione Protetta
2009
2010
2011
2012
Totale Reparto
Ortopedia
32,43%
23,65%
27,04%
24,38%
26,37%
Geriatria
22,52%
27,03%
21,43%
17,91%
21,80%
Medicina
19,82%
21,62%
18,88%
17,41%
19,21%
Neurologia
9,01%
10,14%
15,82%
11,94%
12,20%
Neurochirurgia
6,31%
4,05%
1,53%
12,44%
6,25%
Chirurgia
3,60%
4,05%
5,10%
5,97%
4,88%
Medicina d'Urgenza
0,00%
2,03%
3,06%
1,49%
1,83%
Cardiologia
0,90%
0,68%
2,55%
2,49%
1,83%
Pneumologia
0,90%
2,70%
1,53%
1,49%
1,68%
Nefrologia
2,70%
0,68%
0,51%
1,49%
1,22%
Rianimazione
0,00%
0,00%
1,53%
0,00%
0,46%
Dermatologia
0,00%
0,00%
0,00%
1,49%
0,46%
Otorino
0,00%
0,68%
0,00%
1,00%
0,46%
Ginecologia
0,00%
1,35%
0,00%
0,00%
0,30%
Malattie Infettive
0,90%
0,00%
0,51%
0,00%
0,30%
Oncologia
0,00%
1,35%
0,00%
0,00%
0,30%
UTIC
0,00%
0,00%
0,51%
0,00%
0,15%
Oculistica
0,00%
0,00%
0,00%
0,50%
0,15%
Pediatria
0,90%
0,00%
0,00%
0,00%
0,15%
Tab. 4 - Percrsi proposti dall’ Unità Valutativa Multidimensionale Territoriale (U.V.M.T.) per anno
Percorso proposto
2009
2010
2011
2012
RSA
50,00%
48,20%
54,97%
52,98%
Totale
51,81%
ADI
29,79%
25,18%
17,22%
13,69%
20,29%
Riabilitazione
14,89%
20,86%
19,87%
21,43%
19,75%
Lungodegenza
0,00%
3,60%
0,66%
4,76%
2,54%
Non Dimissibili
2,13%
0,00%
3,97%
1,19%
1,81%
CP Anziani
2,13%
0,72%
0,66%
2,98%
1,63%
RSA M
1,06%
0,00%
1,99%
1,19%
1,09%
CSM
0,00%
1,44%
0,00%
0,60%
0,54%
già dimessi
0,00%
0,00%
0,00%
1,19%
0,36%
CP Disabili
0,00%
0,00%
0,66%
0,00%
0,18%
Castagna A., Russo., Gareri P., et al. - Dimissioni difficili in pazienti con complessità ...
Tab. 5 - Tempi di attesa per l’ Unità Valutativa
Multidimensionale Territoriale (U.V.M.T.)
Dati 2009
Dati 2012
U.V.M.I., (giorni)
2,23+1,82
3,18+2,89
Valutazioni U.V.M.I.
nelle 24 ore, %
44,44%
31,78%
Valutazioni U.V.M.I.
nelle 72 ore, %
77,77%
62,12%
Tempo di attesaper
L’analisi dei dati dimostra che è possibile attuare
realmente un percorso di dimissioni protette, che
sia garante della continuità assistenziale e che attivi una rete integrata di cure intermedie fra
Ospedale e Territorio, promotrice di dialogo e di
una possibile cultura della collaborazione, a sostegno di una visione non parcellizzata dell’assisten-
21
za. La collaborazione tra l’Azienda Ospedaliera e
l’Azienda Sanitaria Provinciale ha fatto si che
anche in quei casi in cui non vi erano condizioni
di accettabilità al domicilio, è stato possibile trovare soluzioni alternative mirate e soddisfacenti
per tutte le parti coinvolte.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità considera la continuità delle cure uno degli indicatori
più sensibili del buon funzionamento di un
Servizio Sanitario, pertanto la riduzione dei tempi
di degenza, i re-ricoveri ospedalieri, gli errori
terapeutici e la soddisfazione dell’utenza, rappresentano i possibili indicatori di efficienza (19).
In conclusione, questi dati riflettono un mancato potenziamento dell’UVT a fronte di un
importante aumento dell’Utenza. Di fatto, ad
oggi, è stato solo l’alta collaborazione tra l’aria
ospedaliera e territoriale a rendere possibile la
prosecuzione del progetto.
22
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 1 Gennaio/Febbraio
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23
STUPOR RICORRENTE IDIOPATICO: PROBABILE CASO
CLINICO IN UN SOGGETTO ANZIANO
Attinà A
U.O. C. DI GERIATRIA “E. GREPPI”, PRESIDIO OSPEDALIERO S. GIOVANNI DI DIO” , ASP DI CROTONE
Riassunto: Lo stupor ricorrente idiopatico (IRS) è una rara sindrome caratterizzata da episodi improvvisi ed
imprevedibili di sonno tali da simulare uno stato di coma. Durante l’attacco i pazienti appaiono immersi in un
sonno profondo, possono essere risvegliati da stimolazioni tattili, verbali e nocicettive, ma il più delle volte tendono a riaddormentarsi immediatamente o non possono essere risvegliati. La diagnosi può essere posta sulla base di
alcuni precisi criteri (tracciato elettroencefalografico, reversibilità del quadro clinico, aumento dei livelli ematici di
endozepina 4). Il più delle volte, non osservandosi l’episodio critico, la diagnosi è fatta a posteriori, sulla base di
criteri di probabilità. Colpisce, in prevalenza, soggetti maschi di età media. Il caso clinico da noi osservato riguarda un soggetto di sesso maschile, età 74 anni, più volte ricoverato per episodi di coma improvviso, etichettati come
attacchi ischemici transitori.
Parole chiave: Sonno, anziano, stupor.
IDIOPATIC RECURRING STUPOR: A LIKELY CASE REPORT IN ELDERLY
Summary: The idiopathic recurring stupor (IRS) is a rare syndrome characterized by sudden and unpredictable episodes of
sleep simulating a coma. IRS is mainly diagnosed in mid adult male subjects. During the attack, the patients appear to be
immersed in a deep sleep, can be awakened by tactile stimulation and verbal receptive-pain, but, more often, tend to fall back
asleep immediately or may not be awakened. The diagnosis can be made on the basis of some specific criteria (electroencepha lographic tracing, reversibility of the clinical picture, increased blood levels of endozepine 4).
Since most episodes are not directly observed by clinicians, diagnosis is made a posteriori, based on probability criteria.
We report the clinical case of a 74-year-old male subject, repeatedly hospitalized for episodes of sudden coma, diagnosed as TIA.
Key words: Sleep, aging, stupor.
INTRODUZIONE
Lo stupor ricorrente idiopatico (1-5) è una sindrome relativamente rara, caratterizzata da episodi improvvisi, imprevedibili ed incoercibili di
sonno, tali da simulare uno stato di coma.
Durante l’attacco i pazienti appaiono immersi in
un sonno profondo, possono essere risvegliati da
stimoli tattili, verbali e nocicettivi, ma il più delle
volte tendono a riaddormentarsi immediatamente o non sono risvegliabili. Il tono muscolare è
ridotto, i riflessi profondi deboli, le pupille miotiche. A volte l’attacco può essere preceduto da una
sorta di "aura" caratterizzata da rallentamento
psicomotorio ed eloquio impastato (“parola abburrattata") cui segue, quasi sempre, al risveglio,
confusione, difetto della memoria di fissazione,
disorientamento temporo-spaziale e tendenza alla
confabulazione. La diagnosi può essere posta, con
ragionevole certezza, se si osserva l’episodio critico, oltre che sulla base di criteri clinico-laboratoristici. Vi saranno, dunque, anamnesi positiva per
ricorrenti episodi di stupor, elettroencencefaloIndirizzo per la corrispondenza:
A. Attinà via V. Veneto 1 trav. 7 -8900 Crotone(Kr)
[email protected]
[email protected]
gramma (EEG) ictale caratterizzato da attività
rapida (13-16 hz), reversibilità del quadro clinico
ed infine aumento dei livelli ematici di
Endozepina 4 (sostanza endogena caratterizzata
da attività benzodiazepino-simile ed antagonizzata, per competizione recettoriale, dal flumazepil)
(6-8) (Tab. 1). Tali valori, in fase intercritica,
appaiono nei limiti, e perciò il più delle volte la
diagnosi viene fatta a posteriori, utilizzando criteri di probabilità o di esclusione. Importante, ancora una volta, sarà il dato anamnestico positivo
per precedenti episodi di coma; si valuteranno
inoltre negatività dell’esame obiettivo neurologico e degli accertamenti neuroradiologici (tomografia assiale computerizzata [TAC], risonanza
magnetica cerebrale), EEG di veglia senza rilevanti anomalie e si escluderanno cause di ipersonnia
(sindrome delle apnee morfeiche, narcolessia ed
iperammoniemia); infine l’anamnesi sarà negativa per assunzione di farmaci o droghe.
Lo Stupor colpisce, in prevalenza, soggetti di
sesso maschile (maschio :femmine = 4:1) di età
media intorno ai 48 anni. Non esiste apparente
familiarità, né rapporto con fattori ambientali. La
durata ed il numero degli episodi sono assai
variabili. Fino al 1996, Lugaresi e collaboratori
avevano descritto 20 casi (16 maschi e 4 femmine,
24
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 1 Gennaio/Febbraio
Tab. 1 - Criteri diagnostici di probabilità per diagnosi in fase intercritica
Anamnestico: ricorrenti episodi di coma senza reliquati neurologici
Clinico: obiettività neurologica sostanzialmente negativa
Endozepina 4: valori generalmente nei limiti
Strumentale: negatività di tutti gli esami effettuati
Psicodinamico: assenza di disturbi cognitivi o altre patologie psichiatriche
età media 50.6 anni) con insorgenza compresa fra
18 e 67 anni. Molti di questi pazienti erano stati
trasportati al Pronto Soccorso (PS) e, da qui, in
Rianimazione, essendo stati etichettati come stati
di coma di origine centrale (1). Alcuni casi sporadici sono stati osservati anche all’estero. Melo, ad
esempio, nel 2005, ha pubblicato un report relativo ad un paziente brasiliano (7).
CASO CLINICO
P. D . 74 anni, ex operaio Fiat. Nell’ anamnesi
patologica remota non si segnalano elementi degni
di nota, se non intervento di resezione ileale circa
10 anni prima dell’attuale presentazione. Nel gennaio del 1999 viene riferito ricovero presso un
ospedale torinese per un episodio di coma della
durata di alcune ore, rientrato spontaneamente
senza alcun reliquato neurologico. In tale occasione
veniva posta diagnosi di attacco ischemico transitorio (TIA), anche in relazione alla negatività degli
esami ematochimici e strumentali (EEG e TAC
cerebrale). Veniva consigliata terapia domiciliare
con antiaggreganti, che il paziente poi aveva seguito scrupolosamente. Nell’aprile dello stesso anno,
in apparente pieno benessere, il paziente, nel racconto dei familiari, ripresentava episodio sostanzialmente analogo a quello verificatosi alcuni mesi
prima, con la sola discriminante della durata (un’ora circa), risoltosi spontaneamente prima dell’arrivo in PS, sempre presso Ospedale di Torino.
Nell’aprile del 2011 il paziente, con diagnosi di
accettazione di TIA, perveniva alla nostra osservazione. La sintomatologia, in tale occasione, era
insorta a domicilio ed il coma si era poi risolto
durante la permanenza in Pronto Soccorso.
All’ingresso presso la nostra Unità Operativa,
il paziente appariva sostanzialmente orientato
nel tempo e nello spazio, anche se presentava evidente rallentamento psicomotorio e non serbava
alcun ricordo dell’accaduto. Sul piano obiettivo:
pressione arteriosa 145/80; frequenza cardiaca 80
battiti per minuto. Non venivano rilevate alterazioni a carico dell’apparato respiratorio e dell’addome. Venivano eseguiti in urgenza gli esami
riportati nella tabella 2 e successivamente, nel
corso del ricovero, quelli elencati in tabella 3.
Elettrocardiogramma (ECG): frequenza cardiaca 75; blocco atrio-ventricolare di l° grado-blocco
di branca destra.
Esami ematochimici (glicemia, azotemia, creatininemia, elettroliti serici, emocromo, enzimi cardiaci): tutti nella norma.
Emogasanalisi: sostanzialmente nella norma
Rx torace: assenza di alterazioni pleuroparenchimali. Aorta ectasica. Volumetria cardiaca lievemente ingrandita.
TAC cerebrale (senza contrasto): microcalcificazioni dei nuclei della base. Microareole ipodense in corrispondenza della capsula esterna di sinistra. In asse le strutture della linea mediana. Nei
limiti fisiologici gli spazi liquorali ed il sistema
ventricolare:
Rx torace in 2 proiezioni: assenza di alterazioni pleuroparenchimali. Aorta ectasica. Volumetria
cardiaca lievemente ingrandita.
TAC cerebrale (con contrasto): microcalcificazioni dei nuclei della base. Microareole ipodense in
corrispondenza della capsula esterna di sx. In asse
le strutture della linea mediana. Nei limiti fisiologici gli spazi liquorali ed il sistema ventricolare.
Tab. 2 - Esami eseguiti all’ingresso
Elettrocardiogramma (ECG): frequenza cardiaca 75; blocco atrio-ventricolare di l° grado-blocco di branca destra
Esami ematochimici (glicemia, azotemia, creatininemia, elettroliti serici, emocromo, enzimi cardiaci): tutti nella norma
Emogasanalisi: sostanzialmente nella norma
Rx torace: assenza di alterazioni pleuroparenchimali. Aorta ectasica. Volumetria cardiaca lievemente ingrandita.
TAC cerebrale (senza contrasto): microcalcificazioni dei nuclei della base. Microareole ipodense in corrispondenza della capsula esterna di sinistra. In asse le stru t t u re della linea mediana. Nei limiti fisiologici gli spazi liquorali ed il sistema ventricolare.
Attinà A., Stupor ricorrente idiopatico ...
25
Tab.3 - Esami eseguiti a distanza durante il ricovero
Rx torace in 2 proiezioni: assenza di alterazioni pleuroparenchimali. Aorta ectasica.
Volumetria cardiaca lievemente ingrandita.
TAC cerebrale (con contrasto): microcalcificazioni dei nuclei della base.
Microareole ipodense in corrispondenza della capsula esterna di sx. In asse le strutture della linea mediana. Nei limiti fisiologici gli spazi liquorali ed il sistema ventricolare
Controllo ECG: invariato
Holter cardiaco: ritmo sinusale, normale conduzione atrio-ventricolare, non alterazioni tratto ST
Spirometria semplice: nella norma
Emogasanalisi (in aria ambiente): pH 7.434, pO2:76.3, pCO2:34.2, HCO3 23.4
Saturimetria Notturna: Non evidenza di episodi di desaturazione
Polisonnografia: non evidenza di sindrome delle apnee ostruttive nel sonno
Ecocardiogramma: sostanzialmente nella norma,con normalità delle pressioni polmonari
Visita neurologica: non segni di focolaio a carico del sistema nervoso centrale
EEG basale ed in deprivazione ipnica: incostanti anomalie elettriche in temporale di sinistra
Ecodoppler vasi epiaortici: diffuso ispessimento intimale.
Controllo ECG: invariato.
Holter cardiaco: ritmo sinusale, normale conduzione atrio-ventricolare, non alterazioni tratto ST.
Spirometria semplice: nella norma.
Emogasanalisi (in aria ambiente): pH 7.434,
pO2:76.3, pCO2:34.2, HCO3 23.4 Saturimetria
Notturna: Non evidenza di episodi di desaturazione. Polisonnografia: non evidenza di sindrome
delle apnee ostruttive nel sonno
Ecocardiogramma: sostanzialmente nella
norma,con normalità delle pressioni polmonari
Visita neurologica: non segni di focolaio a carico del sistema nervoso centrale.
EEG basale ed in deprivazione ipnica: incostanti anomalie elettriche in temporale di sinistra
Ecodoppler vasi epiaortici: diffuso ispessimento intimale.
Fondo oculare: angiosclerosi retinica.
Valutazione psicodinamica: non disturbi
cognitivi clinicamente significativi.
ENDOZEPINA 4: valori nei limiti (tecnica cromatografica).
Il paziente veniva dimesso in 15 giornata con
diagnosi di: “coma per probabile episodio di stupor ricorrente idiopatico”.
DISCUSSIONE
L’interesse del caso proposto sta, a nostro parere, non solo nella descrizione di una patologia
relativamente poco frequente e di difficile diagnosi, specie in fase intercritica, quanto nell’età del
paziente e nel suo esordio tardivo. Tutti gli autori
datano l’età di insorgenza tra i 18 ed i 67 anni, ma
la stragrande maggioranza dei casi descritti in letteratura ha esordio in età giovanile, anche se la
patologia può protrarsi negli anni. Inoltre, la patogenesi della sindrome (aumentata attività di
sostanze endogene ad azione benzodiazepinosimile e quindi capaci di esercitare effetti modulanti sul sistema gabaergico), apre interessanti
prospettive sulla comprensione di fenomeni di
attività di sistemi di neuromodulazione che entrano nei meccanismi di induzione del sonno in
generale e nel soggetto anziano in particolare. Nel
nostro caso, infine, pur non potendosi porre una
diagnosi di certezza (per non avere osservato
direttamente il paziente in fase critica), la quasi
totalità dei criteri diagnostici di probabilità e di
esclusione risulta soddisfatta.
CONCLUSIONI
Pertanto, ci pare di poter riaffermare la originalità del caso clinico in oggetto, la cui peculiarità
è data, a nostro avviso, dall’età del paziente e
dalla tardiva insorgenza. essendo descritti in letteratura solo rari casi di pazienti con età superiore
ai 67 anni.
26
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 1 Gennaio/Febbraio
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27
DISTURBI PSICO-COMPORTAMENTALI E PRESCRIZIONE
DI PSICOFARMACI IN PAZIENTI IN CURA PRESSO
L’ UNITÀ VALUTATIVA ALZHEIMER (U.V.A.) DEGLI ISTITUTI
CLINICI ZUCCHI DI CARATE BRIANZA
De Giovanni A., Manca M.C., Peroni F., Belloni G.
Istituti Clinici Zucchi di Carate Brianza (MB)
Riassunto: I sintomi neuropsichiatrici e comportamentali associati alle demenze (BPSD) hanno un notevole impatto clinico, possono causare una precoce istituzionalizzazione e rappresentare i principali fattori di stress e depressione per i caregivers. L’impiego di antipsicotici e di altri psicofarmaci nel trattamento dei BPSD è ampiamente diffuso, spesso in associazione polifarmacologica. Lo scopo del presente lavoro è l’analisi della prevalenza dei BPSD
e degli psicofarmaci somministrati in pazienti in cura presso l’ambulatorio UVA degli Istituti Zucchi di Carate
Brianza nel corso del 2011. Le diverse figure professionali che vi lavorano, geriatri, neurologi, psicologi, offrono ai
pazienti e ai loro familiari diversi interventi specialistici, integrati tra loro in un’ottica biopsicosociale. L’uso degli
psicofarmaci e degli antipsicotici in particolare va attentamente monitorato nel corso della malattia, ed il miglior
approccio terapeutico deve comprendere un attento esame clinico delle disturbi fisici e delle problematiche socioambientali, frequentemente presenti nei pazienti geriatrici.
Parole chiave: Disturbi psico-comportamentali, antipsicotici, polifarmacologia demenza.
THE PHARMACOLOGICAL TREATMENT OF THE BEHAVIORAL AND PSYCHOLOGICAL SYMPTOMS
OF DEMENTIA. A STUDY AMONG THE PATIENTS OF THE U.V.A. OF THE ZUCCHI INSTITUTES IN
CARATE BRIANZA.
Summary: Behavioral and psychological symptoms of dementia (BPSD) are frequent and have a clinically significant impact.
They can cause early institutionalisation as well as be the main stress and depression factors for caregivers. The use of anti psychotics and other medication treatment for mental illness is very prevalent, often concurrently with other medication. The
purpose of the present research is to analyse the prevalence of BPSD and of mental illness medication administered to patients
at the UVA practice of the Zucchi Institute in Carate Brianza during 2011. Various professional profiles--geriatricians, neu rologists, psychologists--work at the Institute, offering the patients and their relatives a variety of specialised interventions,
integrated in a bio-psycho-social perspective. The use of mental illness medication and antipsychotic drugs needs to be moni tored especially closely, and the best therapeutic approach should include a careful clinical examination as well as socio-envi ronmental issue, both of which occur frequently in geriatric patients.
Key words: BPSD, antipsychotic, polifarmacy, dementia.
INTRODUZIONE
La demenza è una malattia caratterizzata dal
progressivo sviluppo di deficit cognitivi multipli
e dal frequente riscontro di una pluralità di sintomi psichiatrici e comportamentali (Behavioral and
psychological symptoms of dementia , variamente associati tra loro, cui ci si riferisce con l’acronimo BPSD (1). La prevalenza dei sintomi psichici e
comportamentali nelle demenze è tale da assumere nell’ambito della storia naturale della malattia
una rilevanza paragonabile a quella dei deficit
cognitivi (2). Secondo un recente studio prospettico della durata di 5 anni, fino al 90% dei pazienti
Indirizzo per la corrispondenza:
Dr. Antonio De Giovanni
Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e
Psicocomportamentali
Università degli Studi di Pavia
Piazzetta Azzani, 4 - 27100 Pavia
[email protected]
sviluppa lungo il decorso della malattia almeno
un sintomo neuropsichiatrico (3). In dettaglio i
BPSD comprendono sintomi psicotici come deliri
e allucinazioni, disturbi della sfera affettiva (in
particolare ansia, agitazione, depressione, disforia, irritabilità, mentre rari sembrano essere gli
episodi maniacali) e alterazioni della personalità e
del comportamento, quali indifferenza, apatia,
disinibizione, aggressività, disturbi del sonno,
wandering o vagabondaggio (4). L’emergere, nel
corso della malattia, di tali disturbi ha un notevole impatto sulla salute e sulla qualità della vita del
paziente, poiché causano un peggioramento della
disabilità (5) e possono comportare una precoce
istituzionalizzazione (6). Inoltre, sembrano rappresentare i principali fattori di stress e depressione per i caregivers (7). L’uso di farmaci psicotropi
per il trattamento dei BPSD è ampiamente diffuso
ed alcuni studi sottolineano come circa un terzo
dei pazienti con malattia di Alzheimer assume
28
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 1 Gennaio/Febbraio
nel corso della malattia antidepressivi e antipsicotici, in monoterapia o in associazione polifarmacologica (8). Al tempo stesso alcuni contributi
scientifici sembrano mettere in dubbio la reale
efficacia di questi farmaci (9), e ne documentano
l’associazione con un rischio aumentato di mortalità e di morbilità (10). L’impiego di psicofarmaci
deve essere attentamente monitorato e va inquadrato mediante un approccio multidisciplinare
alla cura, che comprenda diversi interventi specialistici, integrati tra di loro in ragione dell’eterogeneità eziologica dei BPSD, e della frequente correlazione con malattie fisiche e problematiche
sociali presenti nel paziente anziano (11).
L’obiettivo del presente lavoro è l’analisi della
casistica di pazienti in cura presso l’ambulatorio
UVA degli istituti Zucchi di Carate Brianza nel
corso del 2011, valutando la prevalenza dei sintomi psicologici e comportamentali, e l’eventuale
trattamento psicofarmacologico, con una particol a re attenzione rivolta all’uso di antipsicotici,
siano essi impiegati in monoterapia od in associazione polifarmacologica.
MATERIALI E METODI
L’Unità Valutativa Alzheimer degli istituti
Clinici Zucchi di Carate Brianza è una struttura
ambulatoriale, che si avvale delle competenze di
un’equipe multidisciplinare di medici specialisti
geriatri, neurologi e psicologi con esperienza nell'ambito dei disturbi neurologici e psichiatrici del
paziente anziano (39). L’UVA si occupa dell’inquadramento diagnostico e terapeutico dei
disturbi cognitivi nell’anziano, monitora il followup della malattia offrendo un supporto a pazienti
e familiari nel far fronte ai molteplici problemi
associati alle demenze. Più in dettaglio all'ambulatorio accedono, su richiesta del medico di medicina generale, pazienti con sospetto diagnostico di
demenza, o pazienti che hanno già ricevuto un
inquadramento diagnostico e terapeutico nell’ambito delle demenze, e si sottopongono a visite
periodiche di controllo, ad intervalli di circa 3-6
mesi. La presente casistica fa riferimento in particolare a tutti i pazienti che nell’anno 2011 sono
stati valutati dal geriatra. Il campione è costituito
da 89 pazienti, di cui 37 maschi e 52 femmine, in
un range di età compreso tra 64 e 94 anni, con un’
età media di circa 81 anni. Il numero di prime visite corrisponde a 39, i restanti 50 pazienti effettuavano visite periodiche di controllo. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a esame clinico e neurologico, nel corso del quale è stata raccolta un’accurata
anamnesi, orientata in particolare a evidenziare la
possibile presenza di disturbi psicologici e comportamentali associati al deficit cognitivo e l'eventuale trattamento con psicofarmaci. La valutazione diagnostica del deterioramento cognitivo è
stata ottenuta attraverso la somministrazione del
Mini Mental Test Examination e, quando necessario, attraverso test neuropsicologici di approfondimento (test del raccontino, span verbale, il test
dell’orologio, le matrici attenzionali di Raven,
poligono). L’anamnesi farmacologica è stata raccolta considerando quattro principali classi di psicofarmaci: antipsicotici (tipici ed atipici), antidepressivi, anticolinesterasici e memantina, ansiolitici ed ipnoinducenti. È stata indagata, anche
retrospettivamente, l’eventuale concomitante assunzione di due o più antipsicotici in terapia di
mantenimento, escludendo le prescrizioni di un
secondo antipsicotico come terapia al bisogno.
RISULTATI
Le caratteristiche generali del campione sono
illustrate nella Tabella 1. Il valore medio del
MMSE dei pazienti valutati è di 17,3, ed è compreso in un intervallo con valori estremi di 5,7 e 30,3,
senza significative differenze tra maschi e femmine. Il maggior numero dei pazienti valutati, pari
al 57,3 %, è stato considerato affetto da Malattia di
Alzheimer (AD). Il 18% ha ricevuto diagnosi di
Demenza Mista (AD e Vascolare). Solo 7 pazienti
hanno ricevuto diagnosi di demenza a genesi
vascolare, mentre 11 pazienti presentavano un
associazione di deficit cognitivi multipli associati
a malattia di Parkinson (AD plus Parkinson). In
un caso è stata formulata diagnosi di demenza
Fronto-Temporale, sulla base della documentazione relativa a esami strumentali di Brain Imaging.
Anche in questo non sono emerse diff e renze
significative nei valori di MMSE in questi sottogruppi di pazienti. Al contrario, su 89 pazienti
valutati, in due casi il MMSE ha evidenziato la
presenza di un deficit cognitivo lieve (valori corretti superiori o uguali a 28 , mentre in altri due
casi si è posta diagnosi di depressione, sulla base
Tab. 1 - Caratteristiche cliniche del campione (89 pazienti)
Sesso
37 maschi - 52 femmine
Età media
81 anni (range 64-94)
MMSE corretto medio
17,6 (5,7-30,3)
Malattia di Alzheimer (AD)
51 pazienti (57, %)
Demenza Mista (AD
–Vascolare)
17 pazienti (18%)
Demenza Vascolare
7 pazienti (7,9%)
Altro: AD–Parkinson
11 pazienti (12,4%)
Deficit lieve
2 pazienti (2,2%)
Depressione
2 pazienti (2,2%)
BPSD
42 pazienti (47%)
De Giovanni A.,Manca M.C., Peroni F., et al. - Disturbi psico-comportamentali e prescrizione di ... 29
della sintomatologia prevalente e di un’accurata
valutazione neuropsicologica che ha escluso un
deficit cognitivo compatibile con iniziale decadimento cognitivo. Il 47% (22 maschi e 20 femmine)
ha presentato disturbi psicologici e comportamentali ed hanno ricevuto un trattamento psicofarmacologico specifico (Tabella 2). Di questi 42
pazienti, 14, pari al 33% circa, hanno manifestato
sintomi psicotici e frequenti episodi di agitazione
psicomotoria. A questo sottogruppo di pazienti è
stato prescritto un antipsicotico atipico, la quetiapina, in monoterapia alla dose media giornaliera
di 50 mg. con un intervallo variabile da 25 mg. ad
un massimo di 100 mg. Non sono stati prescritti
altri antipsicotici, tipici od atipici, né in monoterapia né in associazione.
Su 42 pazienti con BPSD, 25 pazienti, hanno
ricevuto un trattamento con un antidepressivo. A
10 pazienti è stato somministrato Citalopram alla
dose giornaliera media di 20 mg, a 4 pazienti
Sertralina alla dose media di 50 mg/die, mentre a
2 pazienti è stata prescritta Paroxetina al dosaggio
di 20 mg. al giorno. Il Trazodone, è stato impiegato per i disturbi di tipo ansioso-depressivo in 6
pazienti alla dose di 300 mg al giorno. Infine, in 3
casi, è stato prescritto Venfalaxina alla dose media
giornaliera di 75 mg. Le benzodiazepine sono
state prescritte come terapia di mantenimento
solo 10 pazienti: in 4 casi è stato somministrato
Bromazepam alla dose giornaliera di 3 mg. ment re 6 pazienti hanno ricevuto in pre s c r i z i o n e
Lorazepam al dosaggio medio di 1 mg/die. La
maggior parte dei pazienti con BPSD, circa 28 su
42 pari al 66,7 % del campione, ha ricevuto in
associazione una terapia mirata al miglioramento
della performance cognitiva. In particolare, 20
pazienti con BPSD hanno ricevuto un trattamento
con inibitori dell’acetilcolinesterasi: 11 pazienti
sono stati seguiti in terapia con Do nezepil alla
dose media giornaliera di 10 mg; ad altri 9 è stata
prescritta Rivastigmina con un dosaggio giornaliero medio di 6 mg. Infine 8 pazienti su 42 con BPSD
hanno ricevuto un trattamento con Memantina alla
dose di 20 mg al giorno.
Tab. 2 - Psicofarmaci utilizzati in terapia
Psicofarmaco
N° pazienti in trattamento
Quetiapina
14 pazienti
SSRI
25 pazienti
Benzodiazepine
10 pazienti
Donezepil
11 pazienti
Rivastigmina
9 pazienti
Memantina
8 pazienti
DISCUSSIONE
Come accennato nell’introduzione al presente
lavoro, i disturbi psicologici e comportamentali
sono molto frequenti nei pazienti con demenza e
ne condizionano la prognosi, causando spesso
una precoce istituzionalizzazione. Il nostro studio
conferma la rilevante prevalenza sottolineata in
letteratura, ed il notevole impatto clinico dei
BPSD sin dalle fasi inziali della malattia. Sebbene
il primo approccio terapeutico ai BPSD sia rappresentato da un accurato esame clinico generale dei
possibili disturbi fisici, che possono causare o esacerbare il disagio psichico ed esitare in anomalie
comportamentali (12), in tutti i pazienti si è ravvisata la necessità di impiegare un trattamento farmacologico con psicofarmaci. I farmaci psicotropi
utilizzati, coerentemente con gli attuali indirizzi
terapeutici, sono stati i seguenti: antipsicotici,
antidepressivi, anticolinergici o memantina, ansiolitici-sedativi ed ipno-inducenti (13). Esamineremo in dettaglio le classi di psicofarmaci prescritti, confrontando i risultati con i dati disponibili in letteratura. Gli antipsicotici sono farmaci
largamente prescritti ai pazienti con demenza e
disturbi neuropsichiatrici, avendo il loro razionale di impiego non solo nella efficace azione sui
sintomi produttivi psicotici, ma anche in relazione
all’attività sedativa che potrebbe concorrere al
controllo di gravi disturbi comportamentali, quali
l’aggressività e l’agitazione psicomotoria (14).
Altrettanto diffusa nella pratica clinica sembra
essere la concomitante prescrizione di due o più
antipsicotici nei pazienti geriatrici con BPSD (15).
Se la maggior parte degli studi disponibili in letteratura riportano una frequenza di prescrizione
polifarmacologica variabile tra il 10 al 20%, alcuni
studi incentrati su unità residenziali geriatriche
riferiscono un impiego di due o più antipsicotici
in una percentuale di pazienti esaminati che arriva al 50% (16). Per quanto concerne la nostra casistica, su 42 pazienti con BPSD, pari al 47% del
totale, è stato prescritto un antipsicotico in 14 casi.
(33,3% dei pazienti con BPSD). Le indicazioni cliniche principali per la prescrizione sono state la
presenza stabile di deliri o allucinazioni, associata
o meno a frequenti episodi di agitazione o aggressività. Non sono stati impiegati antipsicotici tipici
ed è stato prescritto un solo antipsicotico: la
Quetiapina in monoterapia, al dosaggio medio
giornaliero di 50 mg. La preferenza per un antipsicotico atipico deriva, in primo luogo, dalla consapevolezza che i neurolettici tipici si associano, con
elevata frequenza, a gravi effetti collaterali neurologici e cardiovascolari, che ne limitano l’uso nei
pazienti anziani e geriatrici in particolare (17) . In
secondo luogo, gli antipsicotici atipici si sono
dimostrati, in molteplici studi clinici controllati,
disponibili in letteratura di pari efficacia terapeutica rispetto alle terapia tradizionali (18). Tra i
30
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 1 Gennaio/Febbraio
vari antipsicotici atipici di comune impiego nel
trattamento dei BPSD, come il Risperidone (19), o
l’Olanzapina (20), è emersa un scelta esclusiva
sulla Quetiapina al dosaggio medio di 50 mg/die.
L’efficacia e la tollerabilità di questo farmaco nel
trattamento dei disturbi psicotici in pazienti
anziani è stata valutata per la prima volta in openlabel trial da Tariot e colleghi, in uno studio che ne
evidenziò il basso profilo di rischio di parkinsonismo, distonia, e discinesie, ed una buona incisività anche sul trattamento delle anomalie comportamentali associati ai sintomi psicotici (21).
Diversi studi clinici successivi, hanno confermato
l’efficacia di quetiapina nel ridurre non solo i sintomi del cluster psicotico, deliri ed allucinazioni
(22), ma hanno sottolineato con maggior evidenza
un buona attività nel controllo di gravi alterazioni
comportamentali come l’aggressività (23). Rainer
e colleghi hanno in seguito evidenziato come sia
la quetiapina, che il rispe-ridone, siano ugualmente efficaci nel ridurre i sintomi psicotici e, in
generale, nel trattamento dei BPSD, per quanto il
risperidone sia considerato il farmaco con la maggiore incisività sul controllo delle anomalie comportamentali, quali l’agitazione psicomotoria e
l’aggressività (24). La scelta preferenziale della
quetiapina sembra in parte dovuta proprio alla
concezione che tale farmaco sia considerato, a
parità di efficacia, l’antipsicotico tipico più sicuro
(25). Per quanto gli antipsicotici atipici, infatti,
siano ampiamente utilizzati, è pur vero che nell’ultima decade, alcuni studi hanno ripetutamente messo in dubbio la sicurezza della terapia con
antipsicotici nel paziente anziano (26), sottolineando, in particolare, il rischio di eventi cerebrovascolari acuti e un incremento di mortalità nei
pazienti affetti da demenza (10). Il Risperidone,
ad esempio, è stato tra i primi antipsicotici atipici
per il quale è stato evidenziato un consistente
aumento del rischio di mortalità e morbidità per
accidenti cere b rovascolari, rispetto al placebo
(27). Come il risperidone, anche l’impiego di olanzapina è stato correlato ad un incremento del
rischio di simili effetti collaterali (26). Al contrario,
alcuni dati clinici sembrano indicare un rischio di
eventi cere b rovascolari in pazienti affetti da
demenza che assumono quetipapina ridotto (24),
o addirittura assente (27), contribuendo al sempre
maggior impiego di quetiapina, come antipsicotico atipico, nel trattamento dei BPSD nell’anziano.
Nel 2009 Bishara e colleghi hanno pubblicato uno
studio di survey, nel quale 166 medici britannici
sono stati invitati ad esporre le loro opinioni di
esperti circa il trattamento farmacologico più
appropriato per i BPSD, e nell’ambito di questa
indagine la quetiapina è risultata essere l’antipsicotico atipico di prima scelta nel Regno Unito per
il trattamento dei sintomi neuropsichiatrici associati a demenza (28). Circa il 60% dei pazienti con
BPSD della nostra casistica ha ricevuto una terapia con antidepressivi. Tutti i farmaci prescritti
appartengono alla classe degli Inibitori Selettivi
della Ricaptazione della Serotonina (SSRI). Da
ormai tre decadi, gli antidepressivi sono impiegati anche nei pazienti con malattia di Alzheimer
per la cura dei disturbi della sfera affettiva. Una
metanalisi ha evidenziato una maggior efficacia
terapeutica nei pazienti anziani degli SSRI rispetto agli antidepressivi triciclici, associata ad un’elevato profilo di tollerabilità e sicurezza (29). Il citalopram è stato il farmaco più utilizzato nella
nostra casistica, ma ampiamente usati sono stati
anche Sertralina e il trazodone. Il citalopram sembra svolgere un effetto terapeutico anche sull’agitazione e l’aggressività, superiore al placebo e
comparabile a quello di un antipsicotico atipico
come risperidone (30). Farmaci sedativi-ipnotici
come le benzodiazepine sono stati somministrati
solo al 23% dei pazienti con BPSD. Il loro impiego, come pure quello del Trazodone, per quanto
diffuso dovrebbe essere limitato nell’anziano, perché tali farmaci responsabili di un peggioramento
delle funzioni cognitive e di perdita della coordinazione motoria, con conseguente aumento del
rischio di cadute e fratture. Inoltre il trazodone
non sembra particolarmente utile nel trattare l’agitazione psicomotoria (31). Nel nostro studio al
67% circa dei pazienti con BPSD sono stati prescritti inibitori dell’acetilcolinesterasi o memantina. Per quanto l’indicazione primaria alla somministrazione di questi farmaci resti il trattamento
del deterioramento cognitivo, un approccio terapeutico emergente considera questi farmaci utili
anche sotto il profilo del miglioramento dei sintomi psicologici e comportamentali associati alle
sindromi demenziali. Il deficit colinergico osservato in pazienti con malattia di Alzheimer sembra, infatti, contribuire anche alla patogenesi delle
alterazioni neuropsichiatriche che caratterizzano
la malattia (32). Non è ancora chiaro, tuttavia,
quanto questi farmaci siano incisivi clinicamente
nel trattamento dei BPSD. Una meta-analisi ha
dimostrato un’associazione statisticamente significativa tra l’impiego di donezepil e rivastigmina
ed un lieve miglioramento dei punteggi del NPI
rispetto al placebo, in pazienti con malattia di
Alzheimer, evidenziabile dopo un periodo di trattamento di 24-26 settimane (33). A supporto di un
potenziale beneficio nella cura dei sintomi psichiatrici e comportamentali di tali farmaci vi è
anche uno studio clinico randomizzato, in cui la
cessazione del donepezil, comparata a quella di
un placebo, è risultata associata ad un significativo peggioramento del punteggio NPI totale lungo
un periodo di tempo di 6 settimane (34). Gli inibitori della colinesterasi sembrano apportare il
maggior beneficio clinico nel trattamento di sintomi quali la disforia, la depressione, l’apatia, e gli
De Giovanni A.,Manca M.C., Peroni F., et al. - Disturbi psico-comportamentali e prescrizione di ...
stati ansiosi (35). Possono, inoltre, migliorare alcuni sintomi psicotici come la allucinazioni visive in
pazienti. affetti da demenza a corpi di Levy (36).
Tuttavia i potenziali benefici difficilmente sono
evidenziabili nel breve termine e richiedono un
tempo minimo di circa 3 mesi (31). La Memantina
è un farmaco antagonista non competititvo a
bassa affinità del recettore NMDA del glutammato. Il suo impiego nel trattamento del deterioramento cognitivo nei pazienti con malattia di
Alzheimer mira a ridurre l’iperattività glutammatergica che si osserva nei pazienti con malattia di
Alzheimer. Alcuni studi suggeriscono che tale
farmaco possa costituire una terapia alternativa
anche dei sintomi affettivi, di alcune anomalie
comportamentali e, in grado minore, dei sintomi
psicotici, associati alla demenza. Tali effetti benefici si svilupperebbero in un arco di tempo non
inferiore ai 3-6 mesi (37). Una recente meta-analisi ha evidenziato modesti ma statisticamente
significativi benefici terapeutici dell’impiego
della memantina nel trattamento dei BPSD non
solo nella malattia di Alzheimer ma anche nelle
demenza a patogenesi vascolare (38).
31
CONCLUSIONI
La prevalenza dei disturbi neuropsichiatrici
nell’anziano è elevata. Il miglior trattamento si
attua mediante un approccio multidisciplinare tra
le diverse figure professionali coinvolte. L’uso
mirato di psicofarmaci, e in particolare di antipsicotici, deve essere sempre affiancato ad attento
esame clinico dei frequenti disturbi fisici (infezioni, dolore, disidratazione, disturbi glico-metabolici), che possono causare o esacerbare le anomalie
piscologiche e comportamentali, e ad un’accurata
valutazione delle frequenti problematiche socioambientali, che spesso emergono lungo la storia
della malattia. Le Unità Valutative Alzheimer
(UVA) istituite dalla Regione Lombardia nel 1999,
possono svolgere un ruolo importante nell’affrontare una simile sfida terapeutica, elaborando e
coordinando differenti interventi bio-psicosociali,
in un’ottica di assistenza al paziente integrata tra
ospedale e territorio.
32
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 1 Gennaio/Febbraio
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33
UN PERCORSO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO PER LA
GESTIONE DEI VERSAMENTI PLEURICI INFETTIVI
NELL’ADULTO PROPOSTO NELL’AZIENDA
OSPEDALIERA DI COSENZA
Fimognari F.L.
Unità Operativa Complessa di Geriatria, Azienda Ospedaliera di Cosenza
Riassunto: Nel 2012 l’Unità Operativa Complessa di Geriatria dell’ Azienda Ospedaliera di Cosenza ha proposto
un percorso diagnostico-terapeutico per la gestione delle pleuriti infettive nel paziente adulto-anziano. Questo
proposta è stata motivata dall’ elevato numero di pazienti che si ricoverano in Geriatria e Medicina Interna per versamenti pleurici infettivi o per versamenti pleurici di natura indeterminata. La mortalità del 15% per versamenti
infettivi può addirittura aumentare se la gestione diagnostico-terapeutica non è appropriata. Questo percorso
implica una collaborazione tra Clinici e Chirurghi Toracici e rappresenta un tentativo di fornire uno strumento
semplice per affrontare questa patologia in modo sistematico ed efficace
Parole chiave: versamento pleurico, versamento pleurico infettivo.
Summary: In 2012, the Unità Operativa Complessa di Geriatria of the Azienda Ospedaliera di Cosenza proposed a diagno stic work-up with therapeutic options for the management of pleural infections in adult-elderly patients. This proposal was
motivated by the increasing number of patients who are currently hospitalized in geriatric and general medicine wards of this
large hub-Hospital because of pleural infections or pleural effusions of unknown origin. The 15% mortality due to pleural
infections is likely to increase in the absence of appropriate management. This work-up implies a collaboration between clini cians and thoracic surgeons and tries to provide a simple tool for systematically and effectively approaching this disease.
Key words: pleural effusion, pleural infection
INTRODUZIONE
Si definisce versamento pleurico parapneumonico un essudato pleurico secondario ad una polmonite. Nella maggior parte dei casi si tratta di
versamenti pleurici di modesta entità e microbiologicamente sterili. In questi casi, è quindi sufficiente trattare in modo corretto la polmonite e
limitarsi ad un attento follow-up clinico-radiologico fino a risoluzione della polmonite e del versamento. Esistono però delle forme “complicate”
in cui il rischio di evoluzione verso l’ empiema
pleurico è elevato. In queste forme è necessario lo
svuotamento del versamento (drenaggio toracico), secondo il percorso metodologico che verrà
descritto qui di seguito. Naturalmente, l’empiema
polmonare è la forma più grave di infezione pleurica e deve essere svuotato in tempi molto rapidi
(1-3).
La polmonite è la causa più frequente di versamento pleurico infettivo, ma esistono altre cause
di pleurite infettiva che è necessario conoscere per
Indirizzo per la corrispondenza:
Dr. Filippo Luca Fimognari
Unità Operativa Complessa di Geriatria
Azienda Ospedaliera di Cosenza
Via Felice Migliori, 87100 Cosenza
Tel. fax 0984681346
Email: [email protected]
una corretta diagnosi differenziale (Tabella 1) (3).
Gli esperti ritengono fondamentale che ogni
istituzione sanitaria si doti di un proprio Percorso
Diagnostico-terapeutico (PDT) sulle infezioni
pleuriche, tenendo in considerazione le evidenze
scientifiche e le risorse presenti localmente (1-3).
L’Azienda Ospedaliera di Cosenza dispone delle
professionalità necessarie ad affrontare in modo
completo le infezioni pleuriche complicate, ma
esiste il rischio di una frammentazione dell’azione terapeutica che potrebbe ridurre la qualità del
trattamento. Di qui l’ esigenza di formalizzare in
modo completo, rigoroso e condiviso alcuni concetti chiave sulla gestione delle pleuriti infettive,
in modo da mettere in rete le diverse professionalità esistenti e garantire ai pazienti il miglior percorso di cura possibile. In casistiche statunitensi,
le infezioni pleuriche sono infatti gravate da un
15% di mortalità (2), una cifra che potrebbe essere
ancora maggiore in assenza di approccio terapeutico corretto.
DIAGNOSTICA DEL VERSAMENTO
PLEURICO INFETTIVO
Una volta dimostrato il versamento pleurico
con Rx torace, ecografia toracica o tomografia
computerizzata (TC), il primo passo è la toracentesi diagnostico-evacuativa, avendo cura di evitare sottrazioni di eccessive quantità di liquido.
34
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 1 Gennaio/Febbraio
In alcuni casi, caratterizzati da scarsa gravità
clinica, piccole dimensioni del versamento (categoria 1, vedi Tabella 2) oppure versamento bilaterale chiaramente secondario a scompenso cardiaco, si potrà decidere di non procedere alla toracentesi e di effettuare soltanto un attento followup clinico strumentale.
La toracentesi deve essere eseguita sotto guida
ecografica. Il liquido va inviato in laboratorio per
l’esame chimico-fisico, in anatomia patologica per
l’esame citologico ed in microbiologia per la ricerca batterioscopica diretta (colorazione Gram) ed
i n d i retta (coltura) di germi. Sul liquido deve
anche essere effettuata subito un’emogasanalisi
per la misurazione del pH.
Il versamento pleurico infettivo è classicamente un essudato. I criteri Light sono molto utili per
stabilire se il versamento è un essudato (causato
in genere da polmoniti, tumori o tubercolosi) o un
trasudato (scompenso cardiaco, cirrosi epatica,
atelettasie polmonari) (4). La distinzione è fondamentale ai fini dell’identificazione della patologia
che ha generato il versamento, orientando correttamente la terapia. Sulla base dei criteri di Light,
si tratterà di un essudato se ci sarà almeno una
delle seguenti condizioni:
1. rapporto concentrazione di proteine nel
liquido pleurico/protidemia > 0.5 (cioè la concentrazione di proteine nel liquido pleurico è almeno
il 50% di quella ematica o maggiore del 50%).
2. rapporto concentrazione di lattico deidro g enasi (LDH) nel liquido pleurico/LDH ematica > 0.6
(cioè la concentrazione di LDH nel liquido pleurico
è almeno il 60% di quella ematica o di più).
Elemento aggiuntivo è il numero di globuli
bianchi (> di 1000 per mm3 negli essudati). In sintesi, un liquido pleurico è un essudato se è ricco di
proteine totali, albumina ed LDH, con concentrazioni pleuriche ≥ 50-60% di quelle ritrovate nel
Tab. 1 - Cause di pleurite infettiva ed empiema pleurico
Polmoniti comunitarie o associate a cure sanitarie
Ascessi polmonari
Esacerbazioni infettive di bronchiectasie
Traumi toracici o addominali
Procedure diagnostiche toraciche (toracentesi o
esofagoscopia)
Pleuriti infettivi primarie (diffusione ematogena da
infezioni gengivali o di alte vie respiratorie)
Chirurgia toracica o addominale
Estensione di infezione da collo, addome o mediastino
Ostruzione bronchiale da tumori o corpi estranei
sangue. Sarebbe quindi opportuno avere un prelievo ematico effettuato lo stesso giorno della
toracentesi, sebbene possa andar bene anche un
prelievo ematico di qualche giorno prima.
Talvolta, il versamento pleurico da scompenso
cardiaco, anche se monolaterale, può avere le
caratteristiche di un essudato sulla base dei criteri di Light (invece che del classico trasudato),
soprattutto in pazienti in terapia diuretica cronica
(5). Pertanto, nei casi sospetti si dovrà ottimizzare
la terapia per lo scompenso cardiaco e ricontrollare il versamento con Rx torace e/o ecografia toracica prima di qualsiasi procedura invasiva. La
misurazione ematica di NT-proBNP (N-terminal
pro-brain natriuretic peptide) può essere di ausilio, in quanto valori superiori a 2000 pg/mL
aumentano fortemente la probabilità che il versamento sia secondario a scompenso cardiaco, pur
avendo i caratteri dell’ essudato (6).
L’APPROCCIO MEDICO-CHIRURGICO
AI VERSAMENTI INFETTIVI
Dimostrata l’origine infettiva, è indicata la
terapia antibiotica. Come in tutte le infezioni, è
importante identificare il microbo (emocoltura
prima dell’ inizio della terapia antibiotica se c’è
febbre, studio del liquido). Nei versamenti parapneumonici, gli schemi ricalcano quelli validi per
le polmoniti. È opportuno, nei casi gravi, prendere in considerazione l’origine da anaero b i ,
aggiungendo clindamicina o metronidazolo (2).
Nei soggetti con versamento molto piccolo
(categoria 1, vedi Tabella 2), la toracentesi diagnostico-evacuativa non è indicata. In casi un po’ più
gravi (categoria 1-2), a volte una semplice toracentesi diagnostico-evacuativa può rappresentare l’unico atto diagnostico e terapeutico, insieme alla
terapia antibiotica. In entrambe le situazioni si
impone comunque un attento follow-up clinicostrumentale.
Le dimensioni del versamento, un pH pleurico
< 2, oppure una dimostrazione della presenza di
batteri nel liquido pleurico (positività dell’esame
Gram al batterioscopico diretto e/o positività
della coltura) dimostrano la presenza di un versamento complicato (categoria 3 e 4) e pongono
indicazione allo svuotamento tramite drenaggio
toracico (Tabella 2) (7-8).
Nei versamenti infettivi complicati o nell’
empiema franco, il cardine della terapia è dunque
lo svuotamento del liquido con tubo da drenaggio
toracico, procedura che viene eseguita in sala operatoria dai Chirurghi Toracici. Indipendentemente
dallo schema decisionale proposto in Tabella 2, la
decisione di effettuare il drenaggio toracico va
sempre adottata dopo consulto con i colleghi della
Chirurgia Toracica al letto del paziente. Inoltre,
vista la possibile latenza temporale tra il giorno
della decisione ed il giorno dell’intervento, è sem-
Fimognari F.L. Un percorso diagnostico-terapeutico per la gestione dei versamenti pleurici…
35
Tab. 2. - Stadi di gravità ed indicazione al drenaggio toracico nelle pleuriti infettive
Categoria
Anatomia
Chimica
Batteriologia
Rischio
Drenaggio
basso
Molto
1
Versamento minimo
(<10 mm)
e
Sconosciuta
e
Sconosciuta
2
Versamento piccolomoderato (≥10 mm e
< 1/2 emitorace)
e
pH≥2
e
Negatività di
gram e coltura
Basso
no
3
Versamento grande
(≥ 1/2 emitorace)
o parete pleurica
ispessita;
o concamerazioni
oppure
pH < 2
oppure
Positività di
gram e/o coltura
Moderato
si
4
Empiema
Pus
Alto
si
Adattata da referenza 7 (linee guida American College of Chest Physicians) e referenza 3.
I versamenti di categoria 1 (rischio molto basso) possono non essere sottoposti a toracentesi e meritano solo trattamento
medico ed osservazione.
Lo spessore del versamento (più o meno 10 mm) può essere calcolato con l’ecografia toracica.
Criteri aggiuntivi di versamento complicato sono: glucosio 40 mg/dL; LDH > 1000 UI/L; liquido denso e viscoso.
pre indicato ricontrollare in reparto la persistenza
del versamento (tramite ecografia) subito prima
di inviare il paziente in sala operatoria. In genere,
viene posizionato un tubo di grandi dimensioni
(25-34 French), anche se osservazioni recenti suggeriscono buone percentuali di successo anche
con tubi di calibro più piccolo (8-12 French) posizionati sotto guida ecografica (3). Il successo della
procedura è definito da una completa ri-espansione del polmone e dalla risoluzione dei segni clinici ed ematochimici di infezione.
Se si ritiene opportuno effettuare una TC polm o n a re, per esempio nei casi in cui si debba definire meglio la diagnosi (studiare meglio i polmoni) o
si sospetti un tumore, è più appropriato eseguire la
TC solo dopo la conclusione del periodo di dre n a ggio toracico. In questo modo sarà possibile verificare in modo più rigoroso il successo del drenaggio
toracico (avvenuta ri-espansione polmonare) e nel
contempo studiare il polmone nelle condizioni
anatomiche migliori. Se la TC confermerà il sospetto di tumore, si potrà decidere di proseguire con
procedure diagnostiche più invasive, come la bro ncoscopia con biopsia trans-bronchiale, oppure la
toracoscopia chirurgica per eseguire biopsie pleuriche o polmonari (vedi dopo).
Una biopsia pleurica può essere necessaria
anche nei casi di sospetta tubercolosi pleurica,
data la scarsa sensibilità diagnostica del semplice
esame microbiologico del liquido pleurico.
La toracoscopia è una tecnica che permette un
accesso minimamente invasivo al cavo pleurico,
consentendo di drenare liquido pleurico viscoso,
effettuare sbrigliamento di sepimentazioni nei
versamento concamerati e posizionare drenaggi
sotto diretta visualizzazione (1-3,7-8). Si distinguono 2 tipi di toracoscopia. La toracoscopia chirur gica video-assistita è una procedura chirurgica che
viene effettuata in anestesia totale dai Chirurghi
Toracici e prevede una intubazione selettiva di un
solo polmone ed il collasso completo del polmone
il cui cavo pleurico deve essere indagato. La VATS
consente l’esecuzione di biopsie pleuriche e polmonari mirate ed è quindi la metodica principe
nella diagnostica dei versamenti pleurici di origine sconosciuta. Con la VATS è anche possibile
effettuare la decorticazione pleurica e la pleurodesi (per esempio quella con il talco, il cosiddetto
talcaggio). Naturalmente, la VATS può essere
effettuata solo in pazienti che tollerano la respirazione mono-polmonare e la sua fattibilità e da
verificarsi caso per caso in anziani fragili o affetti
da malattie cardio-polmonari croniche. La cosiddetta (toracoscopia medica) richiede invece solo
anestesia locale e modesta sedazione e non prevede un collasso completo del polmone. È in genere
effettuata dai broncologi (presso l’Ospedale di
Cosenza è effettuata dai Chirurghi Toracici). Può
rappresentare una valida alternativa alla VATS
per pazienti fragili, ma non consente di effettuare
biopsie pleuriche o polmonari, decorticazione o
pleurodesi. La toracoscopia medica è inferiore alla
VATS nel trattamento dei versamenti con severe
concamerazioni e la presenza di setti contenenti
vasi sanguigni (1-3,7-8).
Non esistono linee guida univoche che stabiliscano quando è sufficiente il drenaggio toracico
semplice e quando invece è il caso di effettuare
una toracoscopia, ma l’impossibilità di drenare
sufficienti quantità di liquido e di ottenere la riespansione polmonare con il drenaggio semplice
rappresentano in genere indicazioni alla toracoscopia medica o chirurgica. Come detto sopra, la
VATS con biopsia pleurica è l’ esame più affidabile per la diagnosi di versamenti pleurici di origine
sconosciuta (soprattutto tumori primitivi o secon-
36
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 1 Gennaio/Febbraio
Fig. 1 - Schematica flow-chart diagnostico-terapeutica nei versamenti infettivi. Le categorie di gravità del versamento (da 1 a 4) sono
stabilite sulla base delle linee guida dell’ American College of Chest Physicians (referenza 7), con adattamento (vedi Tabella 2).
Abbreviazioni: TAC, tomografia assiale computerizzata; VATS, video-assisted thoracoscopic surgery.
dari della pleura).
Nei casi di fallimento della toracoscopia, il
Chirurgo Toracico potrà optare per il cosiddetto
d renaggio aperto. Ci sono 2 tipi di opzioni. La
prima è quella di praticare una piccola toracotomia,
drenare il contenuto pleurico, ed infine chiudere la
p a rete toracica lasciando uno o più drenaggi.
L’altra opzione è quella di cre a re un’ apertura nella
p a rete toracica, anche grazie ad una resezione delle
coste, creando uno stoma che consenta il continuo
d renaggio della cavità toracica per 2-3 mesi.
Questo approccio si chiama toracostomia. La tora cotomia e la toracostomia sono indicate nelle situazioni gravi, in cui l’empiema pleurico ha determinato una sepsi ed è necessario ottenere una evacua-
zione del pus in tempi brevi. Altra indicazione è
l’empiema pleurico cronico (1-3,7-8).
La decisione di procedere con la toracotomia o
con la toracostomia spesso viene presa dal
Chirurgo toracico durante la toracoscopia. In tal
caso la toracoscopia viene convertita in toracotomia durante la stessa seduta chirurgica.
La decorticazione, che può essere effettuata
durante VATS o prima di un drenaggio aperto
(toracotomia o toracostomia), consiste nella escissione di tutto il tessuto fibroso dalla pleura.
La Fig. 1 sintetizza la flow chart di intervento
nelle pleuriti infettive adottata dall’Azienda
Ospedaliera di Cosenza con il presente percorso
diagnostico-terapeutico.
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37
UNA STRANA ANEMIA
Zocca N., Zordan L.1
Medico Internista presso l’Unità Operativa di Medicina Interna della Casa di Cura Eretenia Vicenza
Coordinatrice presso l’Unità di Chirurgia Generale della Casa di Cura Eretenia di Vicenza
Riassunto: Viene descritto il caso di una donna 74enne, affetta da almeno 3 mesi da anemia; giunge alla nostra
osservazione per algie ricorrenti al rachide lombo-sacrale e sensazione di “gambe fasciate”. Tutte le nostre indagini evidenziano una anemia sideropenica, aumento dei marcatori di neoplasia. Dopo il riscontro ecografico di
ampia lesione solida a carico del terzo medio-superiore del rene sx e la conferma con tac del torace e dell’addome
ed ecocardiogramma, inviano urgentemente la paziente dal cardiochirurgo, che assieme all’urologo e al chirurgo
vascolare provvedono ad operare la paziente.
A STRANGE ANEMIA
Summary: Describes the case of a 74enne woman, suffering from at least 3 months from anemia; came to our obser vation by recurrent pain in the lumbosacral spine and legs bandaged. " All of our surveys have shown an increa se in anemia, tumour markers. After the ultrasound confirmation of large solid lesion the third middle-upper left
kidney and confirmation with tac of chest and abdomen and Echocardiogram, we urgently the patient from the
heart surgeon, who together with the urologist and the vascular surgeon provided for the patient.
Key words: Anemia; Renal neoplasia; Renal vein thrombosis, sovraepatica, cava, right atrium.
DESCRIZIONE DEL CASO CLINICO
Arriva alla nostra osservazione una paziente
femmina di 74 anni, con anemia sideropenica,
affetta da diabete insulino-trattato, che lamentava
una sintomatologia caratterizzata da marc a t a
astenia, inappetenza, dolore al rachide lombosacrale e sensazione di gambe fasciate. Una EGDS
eseguita al momento del ricovero mostrava solo
piccola ernia jatale ed aspetto mammellonato
della mucosa corpo-fundica con pliche ipertrofiche e note di sanguinamento recente; dagli esami
bioumorali emerse anemia da carenza di ferro
(GR 3.960.000/L, Hb 9.2 g/dl, MCV 73.1 fl, ferro
18 g/dl, ferritina 6 ng/ml), lieve piastrinopenia
(plts 114.000/L), iperglicemia (214 mg/dl), iperuricemia (10.2 mg/dl), aumento di LDH (652 U/L),
aumento di CA 125 (107.5 UI/ml), BNP (169.3
pg/ml). L’Ecografia dell’addome evidenziava
fegato un pò ingrandito a margini sinuosi, con
ecostruttura omogenea ( a parte due lesioni ovoidali iperecogene, solide, a margini netti rispettivamente con diametro massimo di 4 e di 1.8 cm, la
prima situata in corrispondenza delle vv. sovraepatiche e l’altra, in prossimità della v. renale dx.
Altra minuta immagine ovoidale iperecogena con
Indirizzo per la corrispondenza:
Zocca Nadir
Unità Operativa di Medicina Interna
Casa di Cura Eretenia, Viale Eretinio - 36100 Vicenza
E-mail: [email protected]
diametro massimo di 8 mm a carico del segmento
VI), colecisti normalmente distesa con piccolo
polipo a ridosso della sua parete anteriore, vie
biliari intraepatiche e via biliare principale con
calibro regolare, asse spleno-portale pervio, normale la regione pancreatica, la milza ed il rene dx;
ampia lesione ovoidale solida ad ecostruttura
disomogenea con margini bozzuti e diametro
massimo di 10 cm circa al terzo medio-terzo superiore del rene sn che appare dislocato verso il
basso. Bacinetto non dilatato. Mal valutabile
l’ambito retroperitoneale per la presenza di intenso meteorismo intestinale. Vescica vuota. Falda
liquida in sede peri-epatica e discreta quantità di
liquido anche nei settori declivi della regione pelvica; lo studio dell’addome eseguito attraverso
TAC con somministrazione di mdc endovena per
acquisizioni in fase arteriosa, portale e tardiva
vedeva fegato di dimensioni superiori alla norma,
con valori densitometrici disomogenei nelle
acquisizioni effettuate in fase arteriosa e portale,
data la presenza di significativa alterazione della
sua perfusione in relazione a turbe dell’emodinamica cardiaca, dovute alla presenza di ampia
lesione trombotica con diametro assiale massimo
di 4.2cm situata in sede atriale. Presente estesa
formazione trombotica occupante quasi interamente il lume della vena cava inferiore. La lesione
trombotica è un continuum con il lume della v.
renale di sn, di calibro superiore alla norma. Parte
del terzo medio e tutto il terzo superiore del rene
di questo lato appare occupato da ampia tumefa-
38
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 1 Gennaio/Febbraio
zione ovoidale solida con estese aree di tipo colliquativo al suo interno con diametro assiale massimo di 10 cm. La lesione presenta margini bozzuti.
Bacinetto renale non è dilatato. L’uretere corrispondente presenta normali decorso e calibro.
Strie dense sono riconoscibili nel tessuto grasso
peri-renale. La lesione coinvolge anche la loggia
surrenale omolaterale e presenta ampia superficie
di contatto con la milza; giunge in prossimità del
margine contrapposto del pancreas dal quale è
separata da sottile piano di clivaggio adiposo. La
regione pancreatica non presenta alterazioni di
rilievo per il resto. Come di norma la milza ed il
rene dx. In corrispondenza dei segmenti V ed a
carico del VI epatici sono inoltre riconoscibili due
lesioni ovoidali a margini netti rispettivamente
con diametro massimo di 20 e 8 mm, verosimilmente riferibili a lesioni angiomatose come anche
da Ecografia addominale già citata. Asse splenoportale bene opacizzato. Coesiste ampia falda
liquida in sede peri-epatica. Sottile falda liquida
peri-splenica. Discreta quantità di liquido era
riconoscibile anche in ambito pelvico. Vescica
poco distesa. Utero di morfologia globosa e valori
densitometrici disomogenei. Aorta con normali
decorso e calibro. Infine, nello studio effettuato
con finestra per strutture ossee, non si apprezzavano lesioni a focolaio. L’Ecocardiogramma
descrive atrio sinistro nei limiti. Mitrale normale.
Aorta con valvola tricuspide con lieve insufficienza e tratto toracico nei limiti. Ventricolo sx con
spessori, diametri e cinesi globale e segmentaria
nei limiti. Volumi-nosa massa in atrio dx ( 13
cmq, , diametri 3.3 x 4.9 cm), adesa al setto interatriale aggettante attraverso la tricuspide in ventricolo dx realizzante stenosi tricuspidale lieve ( gradiente transvalvolare tricuspidale medio 2
mmHg). Non versamenti pericardici. Dopo il
referto dell’ecografia del cuore provvediamo
urgentemente a contattare il cardiochirurgo, che
assieme al vascolare e all’urologo sottopongono la
paziente ad intervento chirurgico di nefrectomia e
sfilamento del trombo massivo paraneoplastico.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Il legame tra il tumore e la formazione di coaguli di sangue non è una novità; i primi studi sull’argomento risalgono al 1985, quando Armand
Trousseau scoprì, come i due fenomeni apparentemente lontani, come la comparsa di un tumore e
la formazione di coaguli, avessero qualcosa in
comune, senza però riuscire a spiegarlo in maniera scientifica. Da allora sono stati condotti numerosi altri studi in tal verso e negli ultimi anni questo pericoloso legame si sta delineando con sempre maggiore chiarezza, grazie anche ad un
numero crescente di studi sull’argomento. Il legame è a doppio senso, in quanto, da una parte, nei
pazienti con tumore aumenta il rischio di svilup-
pare una trombosi, cioè un fenomeno che porta
all’occlusione di uno o più vasi sanguigni, soprattutto venosi (1). Dall’altra la crescita di un tumore
e la formazione delle metastasi possono essere
favorite dall’attivazione del processo della coagulazione e di quei meccanismi che portano alla
trombosi. Nei decenni scorsi sono stati condotti
numerosi studi sperimentali che suggerisconoquesto doppio legame, descrivendo ad esempio le
attività pro-coagulanti, e quindi trombogeniche di
molte cellule tumorali, e la capacità di farmaci
anticoagulanti di prevenire la crescita di tumori
sperimentali. Tuttavia, solo più recentemente è
stato possibile trasferire in clinica i messaggi derivanti dai modelli sperimentali. E ciò è avvenuto
grazie all’impiego di farmaci antitrombotici nuovi
e più maneggevoli e alla migliore consapevolezza
del problema, da parte non più solo degli esperti
di trombosi, ma anche e soprattutto degli oncologi. Questi ultimi sono oggi molto più sensibili al
problema della trombosi che si verifica non solo in
fase post-chirurgica, ma anche in corso di chemioterapia e di ormonoterapia. Questi eventi vascolari sono in grado di sovvertire schemi terapeutici
con cadenze temporali ben stabilite e consolidate.
La trombosi venosa può essere causata da fattori
acquisiti o da fattori genetici, spesso in combinazione tra di loro. Fra i fattori acquisiti ci sono gli
interventi di chiru rgia, i traumi, le neoplasie
(tumori della mammella, dell’utero, della prostata, dell’apparato urolgico, del polmone), mentre i
fattori genetici sono da attribuire alla carenza di
proteina C o S, alla mutazione della variante della
protrombina, alla resistenza alla proteina C attivata e ad altre cause. Il paziente neoplastico è esposto ad un rischio più alto della media dei pazienti
per quanto riguarda le complicanze trombotiche.
Si è notato che più del 5% dei pazienti con una
neoplasia presenta un episodio tromboembolico,
nel corso della malattia. Si è anche visto che la
trombosi venosa profonda può essere il primo
campanello d’allarme di un tumore che si formerà
o che è già presente in una fase molto iniziale.
Non possiamo inoltre parlare di neoplasie più a
rischio, perché la possibilità di una trombosi “sentinella” è stata riscontrata in diversi tipi di tumore e questo rende ancora più problematico stabilire uno screening per tumore nei pazienti in cui si
presenti un episodio di trombosi “isolata”, cioè in
assenza di fattori di rischio classici (allattamento
prolungato, trauma, intervento chirurgico, ecc).
Infatti, proprio perché non sono ancora definite le
neoplasie a maggior rischio, sarebbe necessario
fare uno screening a tappeto per diverse neoplasie, con un ingente impiego di risorse. L’embolia
polmonare, terribile complicanza della trombosi
venosa, rappesenta la seconda causa di morte nei
malati oncologici. Ed è noto che numerosi pazienti affetti da cancro manifesta (fino al 15%) un epi-
Zocca N., Zordan L. Una strana anemia
sodio tromboembolico, venoso o arterioso, nel
corso della malattia. Che cosa bisogna fare se
all’improvviso compare un trombo? Se il paziente
non ha ancora avuto una diagnosi clinica di tumore, occorre valutarne attentamente la storia e le
condizioni cliniche, per stabilire se è portatore di
una neoplasia già diagnosticabile e nel caso queste
39
verifiche risultino negative, il paziente va monitorato seriatamente almeno nei 6-12 mesi successivi
ad un episodio di trombosi sentinella (2). È inoltre
opportuno instaurare un trattamento anticoagulante a lungo termine per la terapia della tro m b osi e per la prevenzione di recidive, particolarmente frequenti nei pazienti oncologici (3).
BIBLIOGRAFIA
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VITA AGLI ANNI
a cura di:
Sabatini D.
IMODIFICAZIONI BIOLOGICHE ETA’
CORRELATE NELLA BIBBIA
Il testo è nel dodicesimo capitolo del Libro di
Qoèlet, detto anche Ecclesiaste. Esso contiene la
riflessione ultima di un uomo anziano, il definitivo bilancio della sua vita. Qoèlet si è sempre chiesto se la vita meritasse di essere vissuta, quale
fosse il salario che se ne poteva ricavare, visto che
la vita è una specie di lavoro. Qoèlet si sforzò sempre di sperimentare il mestiere di vivere, e siccome era re di Israele in Gerusalemme, provò ogni
tipo di esperienza.
Ma alla fine non trova niente: un corpo vecchio
e vuoto. Che descrive come segue:
“Ricòrdati del tuo creatore nei giorni della tua
giovinezza, prima che vengano i giorni tristi e
giungano gli anni di cui dovrai dire: «Non ci
provo alcun gusto»; prima che si oscurino il sole,
la luce, la luna e le stelle e tornino ancora le nubi
dopo la pioggia; quando tremeranno i custodi
della casa e si curveranno i gagliardi e cesseranno
di lavorare le donne che macinano, perché rimaste
poche, e si offuscheranno quelle che guardano
dalle finestre e si chiuderanno i battenti sulla strada; quando si abbasserà il rumore della mola e si
attenuerà il cinguettio degli uccelli e si affievoliranno tutti i toni del canto; quando si avrà paura
delle alture e terrore si proverà nel cammino;
quando fiorirà il mandorlo e la locusta si trascinerà a stento e il cappero non avrà più effetto, poiché l’uomo se ne va nella dimora eterna e i piagnoni si aggirano per la strada; prima che si spezzi il filo d’argento e la lucerna d’oro s’infranga e si
rompa l’anfora alla fonte e la carrucola cada nel
pozzo, e ritorni la polvere alla terra, com’era
prima, e il soffio vitale torni a Dio, che lo ha dato.
Vanità delle vanità, dice Qoèlet, tutto è vanità.”
Il cammino biologico della vecchiaia è descritto come fosse un palazzo o un castello, dove per
molto tempo si è lavorato, dove c’erano molti
servi impegnati in ogni mansione, che rendevano
il luogo rumoroso e vivo. Ma alla fine del tempo
il castello si svuota; gli operai, che un tempo erano
attivi, si piegano su se stessi; le donne che macinavano smettono di lavorare; quelle che erano curiose, che “guardavano dalle finestre”, hanno gli
occhi offuscati; le porte del palazzo si chiudono
sulla strada.
Dunque in vecchiaia tutto lentamente si affie-
volisce, dai suoni alle luci, fino all’ultimo respiro.
La conclusione è un’esclamazione indirizzata
alla vanità, fatta con lo stesso tono disperato con
cui Qoèlet aveva esordito nel primo capitolo del
libro: “Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità
delle vanità: tutto è vanità. Quale guadagno viene
all’uomo per tutta la fatica con cui si affanna sotto
il sole?”
Ma ci sarebbe un’altra lettura, presa da una
consolidata interpretazione rabbinica, che traduce il simbolo, e riporta ogni annotazione ad un
cambiamento del corpo.
Allora. L’espressione «i custodi della casa che
tremano» sta per le mani che perdono la fermezza
di un tempo; «i gagliardi che si curvano» sono le
ginocchia che non sono più salde e dritte; «le
donne che macinano e che rimangono in poche»
sono i denti che si diradano e smettono di masticare; « le donne che guardano dalla finestra», sono
gli occhi che pian piano si stancano di osservare lo
spettacolo della vita.
E ancora: «si chiudono le porte sulla strada»
vorrebbe dire che i sensi hanno perso il contatto
col mondo; «i toni del canto si affievoliscono»,
perché gli orecchi diventano duri e i suoni non
arrivano; «quando si avrà paura delle alture e
degli spauracchi della strada» descrive l’instabilità che rende insicuro l’equilibrio, e la confusione che fa vedere fantasmi; «quando fiorirà il mandorlo», cioè quando i capelli cominciano a diventare bianchi.
Da ultimo: «quando la locusta si trascinerà a
stento e il cappero non avrà più effetto» vuol dire
quando scomparirà il vigore sessuale che non
risponderà più allo stimolo del cappero, “bocciolo di un piccolo arbusto o suffrutice ramificato a
portamento prostrato-ricadente”, nell’antichità
ritenuto di alto valore afrodisiaco.
FONTE
L'anziano nella Sacra Scrittura in
www.cistercensi.info/monari/1997/m19970315.htm
La definizione del “cappero” è presa da wikipedia
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CALENDARIO CONGRESSI
Corso di II Livello
Elettrocardiografia clinica deduttiva
Aprilia 13 Aprile 2013
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Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio
S.I.G.O.T.
XXVII CONGRESSO NAZIONALE
La Geriatria Ospedaliera e la Sfida della Fragilità
Palermo 8 - 11 Maggio 2013
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Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio
S.I.G.O.T.
CONVEGNO REGIONALE SARDEGNA
La Geriatria per la Salute degli Anziani
(in Ospedale e sul Territorio)
Sassari 8 Giugno 2013
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Società Italiana di Cardiologia dello Sport
XVI CONGRESSO NAZIONALE
Obiettivo: riduzione del rischio cardiovascolare
durante sport
Padova 12-14 Settembre 2013
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Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio
S.I.G.O.T.
CONVEGNO INTERREGIONALE
MARCHE, LAZIO, ABRUZZO E MOLISE
L’Eccellenza Sanitaria nel Passato e nel Futuro...
Come Cambierà L’Assistenza
Fermo 27-28 Settembre 2013
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Convegno
Lifestyle and aging: come invecchiare bene attraverso una buona condotta di vita
Viareggio 11/13 Ottobre 2013
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SEMINARIO NAZIONALE SIGOT
Matera 10/12 Ottobre 2013
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Convegno
Attualità in Cardiologia
Aprilia 19 Ottobre 2013
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III CONGRESSO NAZIONALE
Elettrocardiografia Clinica Deduttiva
Conegliano 25-26 Ottobre 2013
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114° CONGRESSO NAZIONALE
Società Italiana di Medicina Interna
Roma 26-28 Ottobre 2013
Per informazioni:
Aristea• Via Roma, 10 - 16121 Genova
Tel. 010553591 Fax 0105535970
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NORME PER GLI AUTORI
La rivista GERIATRIA prende in esame per la pubblicazione articoli contenenti argomenti di geriatria. I
contributi possono essere redatti come editoriali, articoli originali, review, casi clinici, lettere al direttore.
I manoscritti devono essere preparati seguendo rigorosamente le norme per gli Autori pubblicate di seguito,
che sono conformi agli Uniform Requirements for
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cura dell’International Committee of Medical Journal
Editors (Ann Intern Med 1997; 126: 36-47).
Non saranno presi in considerazione gli articoli che
non si uniformano agli standards internazionali.
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inglese, parole chiave in inglese, testo, figure, tabelle,
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inviato per la pubblicazione ad altra rivista, e non è
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Gli Autori accettano implicitamente che il lavoro
venga sottoposto all’esame del Comitato di Lettura. In
caso di richiesta di modifiche, la nuova versione corretta deve essere inviata alla redazione o per posta o per
via e-mail sottolineando ed evidenziando le parti modificate. La correzione delle bozze di stampa dovrà essere limitata alla semplice revisione tipografica; eventuali modificazioni del testo saranno addebitate agli
Autori. Le bozze corrette dovranno essere rispedite
entro 10 giorni a Geriatria - C.E.S.I. - Casa Editrice
Scientifica Internazionale, Via Cremona, 19 - 00161
Roma. In caso di ritardo, la Redazione della rivista
potrà correggere d’ufficio le bozze in base all’originale pervenuto.
I moduli per la richiesta di estratti vengono inviati insieme alle bozze.
Gli articoli scientifici
possono essere redatti nelle seguenti forme:
Editoriale. Su invito del Direttore, deve riguardare un
argomento di grande rilevanza in cui l’Autore esprime
la sua opinione personale. Sono ammesse 10 pagine di
testo dattiloscritto e 50 citazioni bibliografiche.
Articolo originale. Deve portare un contributo originale all’argomento trattato. Sono ammesse 14 pagine
di testo dattiloscritto e 80 citazioni bibliografiche.
L’articolo deve essere suddiviso nelle sezioni: introduzione, materiali e metodi, risultati, discussione, conclusioni.
Nell’introduzione sintetizzare chiaramente lo scopo
dello studio. Nella sezione materiali e metodi descrivere in sequenza logica come è stato impostato e portato
avanti lo studio, come sono stati analizzati i dati (quale
ipotesi è stata testata, tipo di indagine condotta, come è
stata fatta la randomizzazione, come sono stati reclutati e scelti i soggetti, fornire dettagli accurati sulle caratteristiche essenziali del trattamento, sui materiali utilizzati, sui dosaggi di farmaci, sulle apparecchiature non
comuni, sul metodo stilistico...). Nella sezione dei risultati dare le risposte alle domande poste nell’introduzione. I risultati devono essere presentati in modo
completo, chiaro, conciso eventualmente correlati di
figure, grafici e tabelle.
Nella sezione discussione riassumere i risultati principali, analizzare criticamente i metodi utilizzati, confrontare i risultati ottenuti con gli altri dati della letteratura, discutere le implicazioni dei risultati.
Review. Deve trattare un argomento di attualità ed
45
interesse, presentare lo stato delle conoscenze sull’argomento, analizzare le differenti opinioni sul problema
trattato, essere aggiornato con gli ultimi dati della letteratura. Sono ammesse 25 pagine di testo dattiloscritto e 100 citazioni bibliografiche.
Caso Clinico. Descrizioni di casi clinici di particolare
interesse. Sono ammesse 8 pagine di testo e 30 citazioni bibliografiche. L’articolo deve essere suddiviso nelle sezioni: introduzione, caso clinico, discussione, conclusioni.
Preparazione dei lavori
I lavori inviati devono essere dattiloscritti con spazio
due, su una sola facciata (circa 28 righe per pagina) e
con margini laterali di circa 3 cm. Gli Autori devono
inviare 3 copie complete del lavoro (un originale e due
fotocopie) e conservare una copia dal momento che i
dattiloscritti non verranno restituiti. Le pagine vanno
numerate progressivamente: la pagina 1 deve contenere il titolo del lavoro; nome e cognome degli Autori;
l’istituzione ove il lavoro è stato eseguito; nome, indirizzo completo di C.A.P. e telefono dell’Autore al
quale dovrà essere inviata ogni corrispondenza.
Nella pagina 2 e seguenti devono comparire un riassunto e le parole chiave in inglese; il riassunto deve
essere al massimo di 150 parole.
Nelle pagine successive il testo del manoscritto dovrà
essere così suddiviso:
Introduzione, breve ma esauriente nel giustificare lo
scopo del lavoro.
Materiali e metodi di studio: qualora questi ultimi
risultino nuovi o poco noti vanno descritti dettagliatamente.
Risultati.
Discussione.
Conclusioni.
Bibliografia: le voci bibliografiche vanno elencate e
numerate nell’ordine in cui compaiono nel testo e compilate nel seguente modo: cognome e iniziali dei nomi
degli Autori in maiuscolo, titolo completo del lavoro in
lingua originale, nome abbreviato della Rivista come
riportato nell’Index Medicus, anno, numero del volu-
me, pagina iniziale e finale. Dei libri citati si deve indicare cognome e iniziali del nome dell’Autore (o degli
Autori), titolo per esteso, nome e città dell’editore,
anno, volume, pagina iniziale e finale.
Tabelle: vanno dattiloscritte su fogli separati e devono
essere contraddistinte da un numero arabo (con riferimento dello stesso nel testo), un titolo breve ed una
chiara e concisa didascalia.
Didascalie delle illustrazioni: devono essere preparate su fogli separati e numerate con numeri arabi corrispondenti alle figure cui si riferiscono; devono contenere anche la spiegazione di eventuali simboli, frecce,
numeri o lettere che identificano parti delle illustrazioni stesse.
Illustrazioni: tutte le illustrazioni devono recar scritto
sul retro, il numero arabo con cui vengono menzionate
nel testo, il cognome del primo Autore ed una freccia
indicante la parte alta della figura.
I disegni ed i grafici devono essere eseguiti in nero su
fondo bianco o stampati su carta lucida ed avere una
base minima di 11 cm per un’altezza massima di 16
cm.
Le fotografie devono essere nitide e ben contrastate.
Le illustrazioni non idonee alla pubblicazione saranno
rifatte a cura dell’Editore e le spese sostenute saranno
a carico dell’Autore.
I lavori accettati per la pubblicazione diventano di proprietà esclusiva della Casa editrice della Rivista e non
potranno essere pubblicati altrove senza il permesso
scritto dell’Editore.
I lavori vengono accettati alla condizione che non siano
stati precedentemente pubblicati.
Gli Autori dovranno indicare sull’apposita scheda, che
sarà loro inviata insieme alle bozze da correggere, il
numero degli estratti che intendono ricevere e ciò avrà
valore di contratto vincolante agli effetti di legge.
Gli articoli pubblicati su GERIATRIA sono redatti
sotto la responsabilità degli Autori.
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