lucia saudelli - International Association for Presocratic Studies
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LUCIA SAUDELLI Collège de France (Paris) I «CADAVERI» DI ERACLITO (FR. 96 DK) E LA POLEMICA NEOPLATONICA DI SIMPLICIO Brigham Young University, Provo, Utah (USA), 2008, Tuesday, June 24 Eraclito, il sapiente presocratico vissuto ad Efeso tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a. C., è sopravvissuto all’Antichità grazie ad autori che hanno fornito testimonianze sulla sua dottrina e conservato citazioni più o meno letterali del suo perduto scritto Sulla natura. Più di un centinaio di estratti eraclitei sono citati da apologisti cristiani, filosofi pagani o eruditi bizantini, i quali hanno di volta in volta interpretato la parola di Eraclito alla luce del proprio sistema di pensiero e l’hanno utilizzata secondo i loro peculiari scopi argomentativi. Il testo eracliteo, così difficile da leggere, ha dato adito nel tempo a letture diverse e contraddittorie. Già dalle fonti più antiche, infatti, Eraclito è soprannominato l’“Oscuro” (Σκοτεινός) 1 in virtù del suo stile laconico e delle sue immagini emblematiche. Uno dei frammenti eraclitei che meglio esemplifica l’“oscurità” della parola di Eraclito è il 96 DK: νέκυες κοπρίων ἐκβλητότεροι («i cadaveri sono da buttar via più che gli escrementi [corpses should be thrown away quicker than dung]»). Come dimostra la collazione delle fonti, questa è la versione filologicamente più letterale del dictum eracliteo 2 . Più difficile, invece, è comprendere il significato filosofico, cioè cogliere la portata scientifica e religiosa di tali parole. A questo proposito, è necessario restituire il testo eracliteo ai contesti degli autori che lo citano, da Filone di Alessandria, il primo testimone storico-letterario del frammento, a Simplicio, un inedito testimone della Tardo-antichità. Lo studio comparativo delle fonti, infatti, fornirà maggiori elementi per riflettere sul più probabile significato originario della parola eraclitea, rispetto alla speculazione del tempo e dell’ambiente di Eraclito, ma soprattutto rispetto agli altri frammenti eraclitei conservati dalla tradizione. La prima testimonianza da esaminare è quella di Filone di Alessandria (I sec. a. C.- I sec. d. C.). Senza esplicita menzione di Eraclito, il massimo rappresentante del giudaismo ellenistico fornisce 1 Cf. 22 A 1a e 3a DK. Cf. S. N. MOURAVIEV, Heraclitea (d’ora in avanti: MOUR.), III (Recensio) 1 (Memoria: Testimonia de Vita, Morte, ac Scripto), Sankt Augustin 2003, pp. 71 ss. 2 Cf. M. MARCOVICH-R. MONDOLFO-L. TARÁN, Eraclito. Testimonianze, imitazioni e frammenti, Intr. di G. Reale, bibl. di G. Girgenti con la coll. di I. Ramelli, trad. dei testi inglesi di M. Marcovich di P. Innocenti, Milano 2007 (d’ora in avanti: MARC.-MOND.-TAR.), pp. 660-662; MOUR., op. cit., III (Recensio) 3 (Les fragments du livre d’Héraclite) B (Les textes pertinents), i (Textes, traductions, apparats I-III), Sankt Augustin 2006, F 96, pp. 243-244. 1 una duplice versione del detto sui cadaveri. Nel trattato esegetico De fuga et inventione, Filone allude alla parola eraclitea commentando l’episodio biblico della morte di Abele per mano del fratello Caino (Genesi 4:8). L’Alessandrino osserva che in nessun luogo della Scrittura è narrata la morte di Caino e spiega che il fratricida non è morto, perché il male è immortale ed è destinato a rimanere per sempre nel mondo dei mortali. Secondo Filone, il malvagio non muore mai in quella che è la vita umana, ma rispetto alla vita in Dio è già un cadavere, poiché vive solo in funzione del corpo, e non secondo l’anima, che per natura è intellettiva e virtuosa. Filone afferma, quindi, che: «l’empietà è un male senza fine, e una volta divampato, non può estinguersi mai più, tanto che si applica al vizio il verso del poeta: “di certo non è mortale, ma un male immortale” (Od. XII 118); cioè: è immortale in quella che è la nostra vita, laddove, rispetto alla vita in Dio, è inanimato, un cadavere “da buttar via più che gli escrementi”, come ha detto qualcuno» (Fug. 61) 3 . In un luogo parallelo del corpus philonicum, e precisamente in una domanda-risposta delle Quaestiones in Genesim, Filone nota che, dopo l’episodio del fratricidio, il nome di Caino non compare più nella Scrittura, ma è sostituito da Seth (Genesi 5:3). Secondo la spiegazione di Filone, il malvagio è un “morto vivente”, cioè un uomo che vive mentre la sua anima è morta e sepolta nel corpo, dunque un cadavere, e come tale va eliminato. Per questo motivo – afferma Filone: «[scil. la Scrittura] non ha ricondotto né alla categoria della ragione, né a quella del numero l’infame e selvaggio omicida; infatti, è “da buttar via più che gli escrementi”, come ha detto qualcuno, ritenendo che lui [= Caino] fosse tale» (QG 1.81) 4 . La duplice testimonianza filoniana attribuisce implicitamente ad Eraclito la concezione metaforica del cadavere come un vivente morto nell’anima, perché l’esistenza umana priva di sapienza e virtù è quella di un corpo senza vita. Secondo l’interpretazione morale di Filone, il cadavere di Eraclito è l’uomo che vive quando la sua anima è morta, cioè seppellita dal male e dai vizi della vita corporea. La seconda testimonianza da prendere in esame è quella di Strabone (I sec. a. C.-I sec. d. C.), geografo contemporaneo di Filone che, nel libro della sua Geografia dedicato all’Arabia, descrive gli usi e costumi della popolazione medio-orientale dei Nabatei. A proposito della consuetudine nabatea di gettare i morti presso discariche di escrementi, Strabone menziona esplicitamente Eraclito e cita letteralmente il detto sui cadaveri: «[scil. I Nabatei] hanno per i corpi dei morti la stessa considerazione che per gli escrementi; come dice Eraclito: “i cadaveri sono da buttar via più che gli 3 FILONE DI ALESSANDRIA, Fug. 61: ἡ ἀσέβεια κακόν ἐστιν ἀτελεύτητον, ἐξαπτόμενον καὶ μηδέποτε σβεσθῆναι δυνάμενον, ὡς τὸ ποιητικὸν ἁρμόττειν ἐπὶ κακίας εἰπεῖν· ἡ δέ τοι οὐ θνητή, ἀλλ´ ἀθάνατον κακόν ἐστιν, ἀθάνατον δ´ ἐν τῷ παρ´ ἡμῖν βίῳ, ἐπεὶ πρός γε τὴν ἐν θεῷ ζωὴν ἄψυχον καὶ νεκρὸν καὶ „κοπρίων“, ὡς ἔφη τις, „ἐκβλητότερον.“ Cf. MARC.-MOND.-TAR. (2007), op. cit., Fr. 76 (i), p. 662; MOUR., op. cit., II. A. 1 (1999), T, 341, pp. 249-250. 4 Il testo di FILONE DI ALESSANDRIA, QG 1.81, non sopravvissuto nell’originale greco, ma solo in una versione armena di VI sec., è stato così tradotto in latino da AUCHER (1826): Nefandum brutumque homicidam nec in rationis, neque in numeri ordinem referre liceat, nam fimi instar rejiciendus est, ut quidam dixit, talem eum fuisse ratus (in C. MERCIER (ed.), Les Œuvres de Philon d’Alexandrie, Traduction française sous la direction de R. ARNALDEZ, J. POUILLOUX et C. MONDÉSERT, Paris 1961–1992, vol. 34 a (1979), p. 152). Il passo è assente dalla lista di testimonianze su Eraclito raccolte da MARC.-MOND.-TAR. (2007), op. cit., Fr. 76, pp. 660-662 e dal capitolo Philo Alexandrinus dei più recenti Heraclitea di MOUR., op. cit., II. A. 1 (1999), pp. 237-253, ma apparirà in futuro nel vol. II. B, (Philo) [respectus]. 2 escrementi”; perciò seppelliscono anche i loro re presso discariche di escrementi» (Geogr. XVI 4, 26) 5 . Il testo di Strabone permette non solo la ricostruzione filologica del frammento eracliteo con il soggetto al plurale (νέκυες: «cadaveri»), ma il contesto citatore induce anche a pensare che il detto esprima l’opposizione di Eraclito alle pratiche funerarie tradizionali della Ionia di V sec. a. C. Secondo la suggestione di Strabone, Eraclito avrebbe sostenuto che il corpo del defunto non va onorato con riti funebri, ma deve essere gettato assieme al letame. La terza testimonianza è quella di Plutarco (I-II sec. d. C.), filosofo medioplatonico pitagorizzante che, in una delle sue Conversazioni a tavola, si chiede se il mare offra alimenti più gustosi che la terra. Plutarco riporta l’opinione di uno dei convitati, secondo cui il sale è ciò che stimola la sensazione del gusto, permettendole di percepire i sapori. Il commensale afferma che ogni carne è un cadavere o parte di cadavere, ed è il sale a darle sapore, quale un’anima che sopravviene insufflando la vita al corpo: «Come, infatti, i colori hanno bisogno della luce, così i sapori del sale, per stimolare la sensazione; altrimenti li percepiamo pesanti nel gusto e nauseanti. “I cadaveri, infatti, sono da buttar via più che gli escrementi”, secondo Eraclito, e ogni carne è cadavere e parte di cadavere; la virtù del sale, come un’anima che vi sopraggiunge, gli apporta gradevolezza e piacere» (Quaest. conv. 668 F-669 A) 6 . Plutarco spiega così qual è il ruolo dell’anima nei confronti del corpo e quale la sorte del corpo privo di anima. La dottrina attribuita implicitamente a Eraclito è che un corpo abbandonato dall’anima, come ogni altro rifiuto organico, è destinato a un’inevitabile decomposizione. Un’altra testimonianza medioplatonica è quella di Celso (II sec.), autore di un Discorso vero – confutato dal cristiano Origene nel Contro Celso – che considera aberrante e assurda la credenza dei Cristiani nella resurrezione dei morti con i loro corpi. Secondo Celso, nessun corpo corrotto può ritornare allo stato anteriore alla sua dissoluzione, perché Dio non fa nulla contro natura o contro ragione. Celso ritiene che solo l’anima dell’uomo vive eternamente, non il corpo: «Dio, infatti, non è l’artefice dell’appetito peccaminoso, né della licenza fuorviante, ma della natura retta e giusta. E all’anima può accordare una vita immortale, ma “i cadaveri sono da buttar via più che gli escrementi”, dice Eraclito. Dio quindi non vorrà, né potrà rendere immortale, contro ragione, una carne piena di cose che non è bello dire» (Origene, Contr. Cels. V 14) 7 . Testimoniando l’utilizzo pagano del detto eracliteo in polemica anti-cristiana, Celso attribuisce a Eraclito la concezione dell’irreversibile 5 STRABONE, Geogr. XVI 4, 26: ἴσα κοπρίαις ἡγοῦνται τὰ νεκρὰ σώματα, καθάπερ Ἡράκλειτός φησι νέκυες κοπρίων ἐκβλητότεροι. διὸ καὶ παρὰ τοὺς κοπρῶνας κατορύττουσι καὶ τοὺς βασιλεῖς. Cf. MARC.-MOND.-TAR. (2007), op. cit., Fr. 76 (a), p. 660; MOUR., op. cit., II. A. 1 (1999), T 346, p. 255. 6 PLUTARCO, Quaest. conv. 668 F 7-669 A 6: ὡς γὰρ τὰ χρώματα <τοῦ φω>τός, οὕτως οἱ χυμοὶ <τοῦ ἁ>λὸς δέονται πρὸς τὸ <κινῆ>σαι τὴν αἴσθησιν· εἰ δὲ μή, βαρεῖς τῇ γεύσει προσπίπτουσι καὶ ναυτιώδεις. "νέκυες γὰρ κοπρίων ἐκβλητότεροι" καθ᾽ Ἡράκλειτον, κρέας δὲ πᾶν νεκρόν ἐστιν καὶ νεκροῦ μέρος· ἡ δὲ τῶν ἁλῶν δύναμις, ὥσπερ ψυχὴ παραγενομένη, χάριν αὐτῷ καὶ ἡδονὴν προστίθησι. Cf. MARC.-MOND.-TAR. (2007), op. cit., Fr. 76 (b), p. 660; MOUR., op. cit., II. A. 2 (2000), T 515, p. 406. 7 ORIGENE, Contr. Cels. V 14: Οὐ γὰρ τῆς πλημμελοῦς ὀρέξεως οὐδὲ τῆς πεπλανημένης ἀκοσμίας ἀλλὰ τῆς ὀρθῆς καὶ δικαίας φύσεως ὁ θεός ἐστιν ἀρχηγέτης. Καὶ ψυχῆς μὲν αἰώνιον βιοτὴν δύναιτ᾽ ἂν παρασχεῖν· "Νέκυες δέ", φησὶν Ἡράκλειτος, "κοπρίων ἐκβλητότεροι". Σάρκα δή, μεστὴν ὧν οὐδὲ εἰπεῖν καλόν, αἰώνιον ἀποφῆναι παραλόγως οὔτε βουλήσεται ὁ θεὸς οὔτε δυνήσεται. Cf. MARC.-MOND.-TAR. (2007), op. cit., Fr. 76 (c), p. 661; MOUR., op. cit., II. A. 2 (2000), T 526, pp. 416-417. 3 putrefazione del corpo dei defunti. Secondo l’interpretazione di Celso, per Eraclito un corpo abbandonato dall’anima non può in alcun modo tornare in vita 8 . Una testimonianza neoplatonica è data quindi da Plotino (III sec.) che, nel trattato Sui tre principi ipostatici della realtà – l’Uno, l’Intelletto e l’Anima – sostiene che il cielo è unico, e il mondo, il sole, gli astri sono divini grazie all’Anima, che è presente tutta intera in tutto l’universo, animandolo in ogni sua parte. Secondo Plotino, anche l’uomo è in certo senso divino grazie alla propria anima, che deriva dall’Anima del mondo. Il corpo, invece, è per Plotino solo un ammasso di materia senza vita: «E anche il sole è un dio, perché animato, e tutti gli altri astri, e noi, se siamo qualcosa di divino, è per lo stesso motivo; “i cadaveri, infatti, sono da buttar via più che gli escrementi”» (Enn. V 1 [10], 2, 40-42) 9 . Senza menzionare Eraclito, Plotino si iscrive nella tradizione di ispirazione platonica, secondo cui l’anima dell’uomo è divina e degna di altissima dignità, laddove il corpo umano è una porzione di materia inerte che non ha alcun valore. Un’altra testimonianza tardo-neoplatonica è offerta allora dall’imperatore Giuliano (IV sec.) nel discorso pronunciato Contro il cinico Eraclio. L’invettiva di Giuliano contro il suo detrattore consiste nel dimostrare ch’egli non è un autentico cinico, perché la filosofia di vita cinica si fonda sulla cura dell’anima intellettiva, e non del corpo sensibile. Secondo Giuliano: «Egli [= il vero cinico], infatti, deve uscire completamente da sé, riconoscere che è divino e, da un lato, concentrare l’intelletto infaticabilmente e stabilmente su pensieri divini, immacolati e puri, dall’altro, trascurare totalmente il corpo e considerarlo, secondo Eraclito, “da buttar via più che gli escrementi”, prendersi cura di esso nel modo più semplice, per tutto il tempo che <dio> ordini di servirsi del corpo come di uno strumento» (Contro Er. 226 C) 10 . Senza riferimento ai cadaveri, Giuliano ricorre al frammento eracliteo, contro Eraclio e i pretesi cinici, per insegnare che la vita cinica è quella dedicata all’intelletto e alle realtà divine che gli sono affini. In questo modo, Giuliano attribuisce implicitamente a Eraclito un ideale di vita semplice, priva del piacere e del lusso, e la concezione del corpo come uno strumento da usare e gettare. 8 Nel II secolo della nostra era, il frammento 96 DK di Eraclito è citato anche dall’erudito e lessicografo GIULIO POLLUCE, egiziano di origine e insegnante di retorica ad Atene. L’Onomasticon è un dizionario enciclopedico in dieci libri di sinonimi, espressioni e frasi in attico, ordinati per argomento e accompagnati da spiegazioni ed esempi, che rappresenta una preziosa fonte di informazioni sull’antichità greca e citazioni di opere perdute. Eraclito è menzionato e citato in Onom. V 162-163: Ἐπὶ τοῦ μηδενὸς ἀξίου [...] τῶν ἐν ταῖς τριόδοις καθαρμάτων ἐκβλητότερος, κοπρίων ἐκβλητότερος, εἰ δεῖ καθ᾽ Ἡράκλειτον λέγειν, τῶν ὀξυθυμίων ἀτιμότερος («A proposito di chi non vale nulla [...], da buttar via più che l’immondizia agli incroci, “da buttar via più che gli escrementi”, per dirla con Eraclito, il più vile dei rifiuti»). Cf. MARC.-MOND.-TAR. (2007), op. cit., Fr. 76 (g), p. 661; MOUR., op. cit., II. A. 2 (2000), T 584, p. 463. 9 PLOTINO, Enn. V 1 [10], 2, 40-42: Ἔστι δὲ καὶ ἥλιος θεός, ὅτι ἔμψυχος, καὶ τὰ ἄλλα ἄστρα, καὶ ἡμεῖς, εἴπερ τι, διὰ τοῦτο· νέκυες γὰρ κοπρίων ἐκβλητότεροι. Cf. MARC.-MOND.-TAR. (2007), op. cit., Fr. 76 (e), p. 661; MOUR., op. cit., II. A. 3 (2002), T 727, pp. 613-614. 10 GIULIANO IMPERATORE, Contro Er. 226 C (= Cedr., Hist. Comp. 157 C = Suda s. Ἡράκλειτος): Δεῖ γὰρ αὐτὸν ἀθρόως ἐκστῆναι ἑαυτοῦ καὶ γνῶναι ὅτι θεῖός ἐστι καὶ τὸν νοῦν μὲν τὸν ἑαυτοῦ ἀτρύτως καὶ ἀμετακινήτως συνέχειν ἐν τοῖς θείοις καὶ ἀχράντοις καὶ καθαροῖς νοήμασιν, ὀλιγωρεῖν δὲ πάντη τοῦ σώματος καὶ νομίζειν αὐτὸ κατὰ τὸν Ἡράκλειτον κοπ<ρίων ἐκβλητό>τερον, ἐκ τοῦ ῥᾴστου δὲ αὐτοῦ τὰς θεραπείας ἀποπληροῦν, ἕως ἂν <ὁ θεὸς> ὥσπερ ὀργάνῳ τῷ σώματι χρῆσθαι ἐπιτάττῃ. Cf. MARC.-MOND.-TAR. (2007), op. cit., Fr. 76 (h), pp. 661-662; MOUR., op. cit., II. A. 3 (2002), T 771, pp. 650-651. 4 Vi è, infine, un’ulteriore testimonianza sul frammento 96 DK che non è contemplata dalle maggiori edizioni dei frammenti di Eraclito. Simplicio (VI sec.), filosofo tardo Neoplatonico, cita il detto eracliteo nel suo Commentario al De Caelo di Aristotele. Si tratta di un’opera esegetica concepita in difesa della trascendenza del Cielo secondo la fede ellenica, un trattato cosmologico e teologico ad un tempo, un inno di lode e preghiera al Demiurgo. Secondo Simplicio, l’affermazione di Aristotele (De caelo 284 a 2 ss.) che le «dottrine antiche» sugli dei «sono vere» vale soprattutto per «quelle che sono trasmesse dai padri e dalle patrie», le quali concernono «la maestà divina» e «il culto degli dei», e «sono state trasmesse dagli dei (stessi)» (In De caelo, p. 370, 21-24). Tra queste credenze – continua Simplicio –, vi è quella secondo cui i corpi celesti «sono fisici, animati, divini e dotati di un movimento incessante [...] e, in quanto immortali, appartengono agli dei» (In De caelo, p. 370, 25-27). Il seguito del passo di Simplicio contiene l’implicita allusione a Eraclito (In De caelo, pp. 370, 29-371, 4 Heiberg): Che sia innato nelle anime degli uomini ritenere divine le realtà celesti, appare soprattutto in coloro che, spinti da pregiudizi atei, le calunniano 11 . E anche loro, infatti, dicono che il cielo è la dimora del divino e il suo trono, e che è il solo atto a rivelare la gloria e la trascendenza di dio a quanti ne sono degni; vi sono forse credenze più venerabili? Eppure, come se le dimenticassero, ritengono che “le cose da buttar via più che gli escrementi” abbiano più valore del cielo e, come se fosse nato per suscitare la loro tracotanza, si accaniscono a disonorarlo 12 . La versione del frammento 96 DK data da Simplicio, senza menzione di Eraclito è: τὰ κοπρίων ἐκβλητότερα («le cose da buttar via più che gli escrementi»). Simplicio non esplicita il soggetto νέκυες «cadaveri», ma il frammento di Eraclito, così popolare in epoca medio- e neoplatonica, e già utilizzato dai filosofi in polemica anti-cristiana, è la prova che il tardo Neoplatonico sta qui criticando le credenze nella resurrezione del corpo dei morti. Il passaggio di Simplicio rappresenta un attacco lampante contro i giudeo-cristiani, i quali ritengono che «il cielo è la dimora del divino e il suo trono» 13 , ma dimenticano tali credenze venerabili dando più valore ai cadaveri 14 . L’obiettivo polemico di Simplicio è dunque la dottrina della resurrezione, propria delle mitologie pagane come quella del 11 Il testo dell’edizione Heiberg (διαβλεπόμενοι) è corretto in διαβεβλημένοι da K. PRAECHTER, Simpl. in Aristote. de Caelo p. 370,29 ff. H., «Hermes» 59 (1924), pp. 118-119. 12 SIMPLICIO, In De caelo, pp. 370, 29-371, 4 Heiberg: Ὅτι δὲ συμφυές ἐστι ταῖς τῶν ἀνθρώπων ψυχαῖς τὰ οὐράνια θεῖα νομίζειν, δηλοῦσι μάλιστα οἱ ὑπὸ προλήψεων ἀθέων πρὸς τὰ οὐράνια διαβλεπόμενοι. καὶ γὰρ καὶ οὗτοι τὸν οὐρανὸν οἰκητήριον εἶναι τοῦ θείου καὶ θρόνον αὐτοῦ λέγουσι καὶ μόνον ἱκανὸν εἶναι τὴν τοῦ θεοῦ δόξαν καὶ ὑπεροχὴν τοῖς ἀξίοις ἀποκαλύπτειν· ὧν τί ἂν εἴη σεμνότερον; καὶ ὅμως, ὥσπερ ἐπιλανθανόμενοι τούτων, τὰ κοπρίων ἐκβλητότερα τοῦ οὐρανοῦ τιμιώτερα νομίζουσι καὶ ὡς πρὸς ὕβριν τὴν ἑαυτῶν γενόμενον οὕτως ἀτιμάζειν φιλονεικοῦσιν. Il passo è assente dalle due maggiori edizioni dei frammenti e delle testimonianze su Eraclito: MARC.-MOND.-TAR. (2007), op. cit., Fr. 76, pp. 660-662; MOUR., op. cit., II. A. 3 (2002), pp. 731 ss. (Simplicius) e III. 3. B/i, F 96, p. 213. 13 Sul cielo come “trono di Dio”, cf. Is. 66:1; Salmi 11:4; 103:19; Mt 5:34, 23:22; Atti 7:49. 14 H. D. SAFFREY, Allusions antichrétiennes chez Proclus, le diadoque platonicien, «RSPhTh» 59 (1975), pp. 553-563; PH. HOFFMANN, Sur quelques aspects de la polémique de Simplicius contre Jean Philopon: de l'invective à la réaffirmation de la transcendance du Ciel, in I. HADOT (ed.), Simplicius, sa vie, son œuvre, sa survie, Actes du Colloque international “Simplicius” de Paris (Fondation Hugot du Collège de France, 28 sept.1er oct. 1985), Peripatoi 15, Berlin-New York 1987, pp. 183-221. 5 dio semitico Adone o dell’egizio Osiride, ma soprattutto della teologia cristiana. Secondo Simplicio, divino è il Cielo, e degne di venerazione sono le nature celesti, animate ed immortali, non «le cose da buttar via più che gli escrementi», vale a dire i corpi morti. La sostanza celeste è per Simplicio lo stato più perfetto e più puro del fuoco, la luce divina e trascendente che è il contrario della materia terrosa e acquosa del cadavere. Inserendosi nella tradizione interpretativa del frammento 96 DK di Eraclito, Simplicio mostra che ancora nel VI secolo della nostra era il detto eracliteo era utilizzato dai filosofi pagani per dimostrare l’inferiorità del corpo materiale rispetto all’anima e alle realtà superiori, che partecipano dell’intelletto e del divino. Il confronto tra la testimonianza di Simplicio e le fonti anteriori, da Filone di Alessandria all’imperatore Giuliano, induce a pensare che il detto di Eraclito sia una critica alle usanze funerarie del suo tempo e della sua città. Secondo Eraclito, «i cadaveri», cioè i corpi dei morti, non devono essere onorati con cerimonie funebri, conservati in appositi luoghi di culto e venerati come preziose reliquie, ma «sono da buttar via più che gli escrementi». Con queste parole Eraclito polemizza contro le credenze dei suoi contemporanei, e soprattutto contro lo sfarzo dei funerali dei suoi nobili concittadini, che sfoggiavano così la loro ricchezza 15 . Come mostrano le testimonianze dirette e indirette, infatti, Eraclito promuove una morale di vita dedicata alla sapienza, cioè alla cura dell’anima, e non alla soddisfazione dei piaceri del corpo 16 . Quanto alla posizione di Eraclito nei confronti della religione tradizionale, espliciti sono i frammenti in cui biasima e ridicolizza le purificazioni di sangue, le preghiere a immagini e le iniziazioni misteriche 17 , perché praticate da uomini che non comprendono il significato filosofico delle verità religiose. Secondo Eraclito, invece, solo per i pochi uomini che conoscono il senso dei riti che praticano, i misteri sono cure dell’anima che soffre i mali legati alla condizione umana 18 . Ma con il frammento 96 DK Eraclito provoca e insulta il più fondamentale aspetto della religione greca antica – celebrato nell’Antigone del tragico Sofocle 19 –, vale a dire il culto dei morti, affermando che i cadaveri devono essere gettati come sterco 20 . Il frammento esprime dunque la critica di Eraclito a tutti gli usi e costumi rituali legati ai cadaveri, greci o barbari che siano 21 , ma mostra anche e soprattutto il perfetto accordo con i frammenti eraclitei che concernono l’appartenenza 15 Cf. 22 B 125a DK. Cf. 22 A 1, 3b; B 4, 29 DK. 17 Cf. 22 B 5, 14 e 15 DK. 18 Cf. 22 B 69 DK. 19 Cf. C. H. KAHN, (ed.), The Art and Thought of Heraclitus. An Edition of the Fragments with Translation and Commentary, Cambridge 1979, p. 212. 20 Il dispregio del corpo a vantaggio dell’anima potrebbe far assimilare Eraclito all’orfismo-pitagorico, ma la sua posizione sul trattamento dei cadaveri risulta contraria alla pratica di sepoltura dei morti, testimoniata dal ritrovamento delle lamine d’oro orfiche (V sec. a. C.-II sec. d. C.) in alcune necropoli di Magna Graecia, Creta e Tessaglia, e dalla scoperta dell’orfico Papiro di Derveni (IV sec. a. C.) in una tomba, tra le ceneri di una pira funeraria. Cf. C. H. KAHN (1979), op. cit., p. 327, n. 286; G. PUGLIESE CARRATELLI (2001), op. cit., passim; Studies on the Derveni Papyrus (1997), op. cit., pp. 25 ss.; Le Papyrus de Derveni (2003), op. cit. pp. XI ss.; G. BETEGH (2004), op. cit., pp. 56 ss. 21 Cf. M. CONCHE (ed.), Héraclite, Fragments, Paris 19984, p. 320. 16 6 dell’anima umana al ciclo di vita e morte del cosmo 22 . Per Eraclito, l’uomo che vive secondo il corpo, e non secondo l’anima, principio intellettivo e virtuoso, è un cadavere, perché pur avendo orecchi per ascoltare, è sordo alla verità 23 , anche quando ha gli occhi aperti, è come se dormisse 24 . La vita dedicata al corpo, alle sue passioni e ai suoi piaceri, è per Eraclito quella del vivente morto nell’anima, cioè del cadavere. E’ dunque legittimo pensare che, secondo Eraclito, l’uomo ignorante e inconsapevole è quello che crede di vivere, ma in realtà è morto, perché la sua sostanza materiale è priva del soffio asciutto, luminoso e sottile dell’anima. Quest’uomo non è un vero vivente, ma un cadavere, perché la sua anima si è talmente bagnata, ottenebrata e ispessita che ha assunto le sembianze del corpo. Un tale uomo è per Eraclito solo un ammasso di terra e acqua, il cui destino è quello di riunirsi alla massa cosmica cui è affine. Come si getta lo sterco per fertilizzare i campi, così la carne del corpo morto nutre la terra da cui deriva e a cui ritorna. Il comparativo «più che gli escrementi» indicherebbe che, secondo Eraclito, il cadavere umano è per il suolo un concime anche migliore degli altri residui organici: letame da gettare. 22 Cf. 22 B 36, 60, 62, 77b DK. Cf. 22 B 1 e 34 DK. 24 Cf. 22 B 73 e 75 DK. 23 7