giornale 10-12_Layout 1 - Federazione Italiana Volontari della Libertà

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giornale 10-12_Layout 1 - Federazione Italiana Volontari della Libertà
LIBERTÀ
dal Popolo
Anno 2012 - Numero 3
Aut. del tribunale di Cuneo n° 625 del 20 settembre 2010 - Sped. in a.p. art. 2 comma 20/C legge 662/96 filiale di Cuneo - Dir. resp. Aldo Benevelli
Realizzazione e stampa GRAPHEDIT Boves (CN)
NOTIZIARIO
DELLA F.I.V.L.
SETTEMBRE
OTTOBRE 2012
DI PACE?
ANCORA L’UMANITÀ
OFFESA DA
PRIVILEGI E
CORRUZIONE SPRECO A
DANNO DEL POPOLO
ITALIANO DERUBATO!!!
NOI
PARTIGIANI
VOGLIAMO
LA MARCIA
SU ROMA?
Rubiamo il motto che una città Medaglia
d’oro ha adottato per una ormai tradizionale camminata biennale in memoria
del sangue di martiri e popolazione innocente sparso nella prima furiosa crudele rappresaglia dell’orda nazista
(Boves 19 settembre 1943): “Umanità offesa in cerca di pace”.
Il Consiglio Generale dell’Organismo ecclesiale “Giustizia e Pace”, in un suo appello europeo sottolinea la necessità di
coinvolgere di più i giovani.
Hanno aderito all’appello anche le Associazioni Partigiane della FIVL , la Federazione promossa nel 1949 dal
Comandante partigiano Enrico Mattei
con alcuni suoi amici, il generale Cadorna, il Comandante Scrivia, il Comandante Argenton e altri di schietto
impegno cristiano.
Alla meravigliosa marea di giovani generazioni è pur obbligo morale ricordare
l’orrore che le tre dittature (nazismo, comunismo sovietico, fascismo), hanno
steso sull’intera Europa nella loro nefasta ingegneria di sterminio. Quella umiliante “offesa all’umanità ” ha segnato
l’ora delle tenebre, ma non è riuscita a
stroncare la fame di Libertà, di Giustizia, di Pace, nella umanità piegata ma
non vinta.
Ecco perché dopo i mesi di settembre e
ottobre, ripeteremo in futuro, proprio
come residuo di quel popolo europeo dal
quale sono state restituite ai Paesi del
Continente Libertà, Giustizia, Pace e Democrazia, un’altra serie di memoriali dei
lager infernali progettati da Himmler, da
Beria, da Pavolini, per gli ebrei e gli avversari politici.
Oggi quei carnefici non si aggirano più
in Europa. Però il Continente che s’era
avviato al cammino di Unione e Pace,
grazie a uomini come il cristianissimo
professore universitario Giorgio La Pira
“deciso di fare un ponte di preghiera tra
Occidente ed Oriente per sostenere l’edificazione della Pace” (sue parole
espresse a Mosca davanti a Kruscev ed
il Soviet Supremo il 16 agosto 1959), grazie ad altri credenti come Adenauer, De
Gasperi e Schumann, ora soffre una stagione di crisi non solo economica, ma
etica e spirituale. Da tempo si predica la
“globalizzazione”. Sia ben chiaro che
non va intesa solo come un processo
socio-economico: Non è la sua unica dimensione. Sotto c’è la realtà di una umanità
che
diviene
sempre
più
interconnessa. E’ costituita da popoli a
cui quel processo deve essere di utilità e
di sviluppo, compresi i cosiddetti “Paesi
poveri il cui coinvolgimento permetterebbe oggi di meglio gestire la crisi europea”.
Giovanni Paolo II ebbe una arguta, saggia battuta: “La globalizzazione, a priori,
non è buona, né cattiva”, sarà ciò che le
persone ne faranno!”.
prosegue a pag. 5
FEDERAZIONE ITALIANA VOLONTARI
DELLA
PERCHÉ LIBERTÀ DAL POPOLO?
Perché Libertà, Democrazia ed Unità
le avevamo gradualmente perse per
20 anni dall’imbroglio fascista, dalla
ignominosa fuga di Monarchia, Governo e Stato Maggiore e poi dalla feroce invasione nazista (8 settembre
1943). Ripartendo DAL basso DALLA
gente comune (soldati sbandati, operai e contadini, studenti, uomini e
donne) l’abbiamo, con gli Alleati, riconquistata e restituita all’Italia.
LIBERTÀ - SETTEMBRE-OTTOBRE 2012
I PARTIGIANI DELLA “SUA FIVL” CON ENRICO MATTEI
A BESCAPÈ, LOCALITÀ DOV’È PRECIPITATO L’AEREO
Sabato 27 ottobre con i pionieri dell’ENI si raccoglieranno i Partigiani
della FIVL (Federazione Italiani Volontari Libertà) fondata da Enrico
Mattei il 14-4-1948 a Milano, con il
Presidente nazionale Guido De
Carli, per celebrare l’anniversario
della morte del Presidente dell’ENI.
Alle ore 11 celebrerà la S.Messa il
Vescovo di Pavia Mons. Giudici. Seguiranno discorsi commemorativi
del Sindaco di Bescapè Prof.ssa
Curti, il Senatore Daniele Bosone, i
Presidenti della FIVL Guido De
Carli e dell’ APC professor Morini.
Riportiamo un breve squarcio della
vita partigiana del nostro fondatore
Mattei, a cura di Raffaele Morini:
“La lotta di Liberazione Mattei l’aveva
proprio nel sangue, come quei giovani
partigiani coi calzoncini corti e le maniche rimboccate che andavano all’assalto del nemico. Così il
comandante “Monti”, per surriscaldare l’atmosfera e rinforzare le file del
movimento partigiano e con esso le
proprie file, aveva fatto divulgare in
più istituti universitari le decisioni
assunte dal rettore dell’università di
Padova il 26 novembre 1943. Come
nelle giornate del primo Risorgimento, l’ateneo padovano era diventato il centro della cospirazione e
della Resistenza veneta.
Le prime riunioni del CLN si erano
svolte nello studio del rettore magnifico, professor Concetto Marchesi. Il
26 novembre 1943 si aprì l’anno accademico: comandi e autorità fascisti
furono allontanati a viva forza dai
membri del corpo accademico. Ignorando l’esistenza del governo mussoliniano,
il
rettore
magnifico
inaugurava l’anno accademico in
nome dei lavoratori, degli artisti,
degli scienziati. Questo il testo dell’appello del rettore che Enrico Mattei rese pubblico nelle università del
Nord Italia:
“Oggi non è più possibile sperare che
l’università resti asilo indisturbato di
libere coscienze operose, mentre lo
straniero preme alle porte dei nostri
istituti e l’ordine di un governo che,
per la defezione di un vecchio complice, ardisce chiamarsi repubblicano, vorrebbe convertire la gioventù
universitaria in una milizia di mercenari e di sgherri… Studenti: mi allontano da voi con la speranza di
ritornare a voi maestro e compagno.
Dopo la fraternità di una lotta assieme combattuta. Per la fede che vi
illumina, per lo sdegno che vi accende, non lasciate che l’oppressore
disponga della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l’Italia dalla schiavitù e dall’ignominia,
aggiungete al labaro della vostra Uni-
versità la gloria di una nuova più
grande decorazione in questa battaglia suprema per la giustizia e per la
pace nel mondo.”
Il generale Cadorna testimonia che
durante la sua assenza Enrico Mattei
aveva fatto miracoli, riorganizzando
sotto le insegne democristiane, a dire
il vero piuttosto liberali, vecchie formazioni autonome e nuove formazioni. E se lo dice Cadorna c’é da
credervi. Solo con la divulgazione dell’appello del rettore dell’università di
Padova, seppure clandestinamente, in
tutti gli atenei era riuscito a smuovere le coscienze, illuminando la
strada da prendere in quel momento
tragico.
Mattei nell’organizzare è sempre
stato un “Cavour” e nell’azione un
“Garibaldi”. Egli in tutte le cose si è
sempre buttato con indomabile spirito: e lo spirito è forze, lo spirito è
vita.”
Dal testo appena edito scritto dal Presidente del APC Raffaele Morini.
A SAVONA OLTRE DUEMILA PRESENZE
RICORDIAMO DUE EROI ALPINI PARTIGIANI: IGNAZIO VIAN E TERESIO OLIVELLI
Lelio Speranza, vice presidente FIVL
A Savona oltre duemila i partecipanti alle
importanti manifestazioni di commemorazione dei Caduti, nel quadro del centoquarantesimo anniversario della fondazione
delle Truppe Alpine e dell’assegnazione del
Premio Alpino dell’anno.
Alla presenza delle massime Autorità Civili
Militari Religiose, dei gruppi Alpini, delle
rappresentanze dell’Associazione Volontari
della Libertà della Liguria F.I.V.L. delle Associazioni d’Arma Combattentistiche Patriottiche dei Sindaci ed Enti Locali, dopo la
sfilata per le vie cittadine l’omaggio al Monumento dei Caduti, si è svolta alla Fortezza
del Priamar, la celebrazione della Santa
Messa officiata da Don Bof, la commemorazione e la consegna del Premio.
Si sono quindi effettuati interventi di autorevoli personalità tra le quali il Generale
Verda coordinatore del cerimoniale, il Presidente A.N.A. di Savona Dott. Gervasoni, il
Vice Comandante delle Truppe Alpine Generale Macor, il Presidente della Provincia
di Savona Dott. Vaccarezza, il Prefetto della
Provincia di Savona Dott.sa Basilicata, il
Presidente della Conferenza Permanente
delle Associazioni d’Arma – Combattentistiche – Patriottiche Comandante Dott. Lelio
Speranza Vice Presidente Nazionale F.I.V.L.,
che ha commemorato i Caduti e ricordato
due Eroi della Lotta per la libertà.
In questa giornata, commovente, le figure di
molti cari amici scomparsi passano nelle
nostri menti e sostano davanti ai nostri
occhi pensosi.
Noi vorremmo poterli stringere tutti in un
supremo abbraccio e porgere la nostra
mano a quanti dei loro cari sono rimasti a
piangerli.
Ricordiamo due per tutti, due Alpini Partigiani che vissero e soffrirono da Eroi la
lotta per la Patria e per la Libertà.
Ignazio Vian, Medaglia d’Oro al Valor Militare, Alpino, Ufficiale della Guardia di Frontiera, nato a Venezia nel 1917, dopo
l’armistizio in una Italia umiliata senza
guida per la fuga del Re, del Governo e dei
Generali, disarmata ed aggredita dalle
truppe tedesche Naziste assetate di odio, lo
vide subito protagonista e radunare i primi
150 militari Alpini e sbandati formando la
prima formazione militare partigiana sulle
montagne di Boves in provincia di Cuneo e
guidare i suoi uomini al primo scontro sanguinoso il 19 settembre 1944 contro i carri
armati Nazisti della Divisione Corazzata
S.S. Adolf Hitler ed a respingerlo. Il destino
lo spinse tra i primi a combattere decisamente i potenti reparti tedeschi nella Valle
Colla, ove tutti i partigiani lo elessero spontaneamente a loro Comandante.
Ignazio Vian era riconosciuto da tutti come
un intrepido combattente, competente, strategico, capace con entusiasmo a guidare la
guerriglia contro i potenti reparti militari
Tedeschi e della Repubblica Fascista.
Non subì mai sconfitte. Non fu sconfitto
quando le forze Nazifasciste lo rastrellarono
in Valle Colla (Boves). Non fu sconfitto
quando dopo aspri combattimenti riuscì a
passare in Val Pesio. Non fu sconfitto
quando subì il tremendo attacco in Val Corsaglia, ogni volta che veniva attaccato dal
nemico per essere distrutto, modificava
azioni strategiche con studiata determinazione.
Non fu nemmeno sconfitto, quando tradito
e catturato dalle Forze Nazifasciste fu tradotto nelle Carceri di Torino, fu barbaramente seviziato e massacrato perché
fornisse nomi e strategie sulla Resistenza.
Ignazio Vian non parlò e per timore di cadere vittima del suo fisico, si tagliò le vene
dei polsi e scrisse sul muro della cella con
il proprio sangue “ MEGLIO MORIRE CHE
TRADIRE” Radio Londra lo citò a tutti gli
Italiani ed a tutto il mondo come Simbolo
del Soldato Italiano.
Fu impiccato il 22 luglio 1944 in corso Vinzaglio a Torino davanti ad una folla terrorizzata. Appeso al capestro riuscì a gridare
“Viva l’Italia”.
Teresio Olivelli “Il Beato dalla Penna Nera”
Alpino Ufficiale del 2° Reggimento Artiglieria Alpina della Divisione Juilia, nato a Bellagio nel 1916. Fu combattente eroico e
generoso. Partecipò alla Campagna di Russia con la Divisione Julia e dopo aspri combattimenti riuscì a sopravvivere alla ritirata
a NiKolajewka. Rientrato in Italia, l’8 settembre 1943 ingaggiò assieme ai suoi Alpini
un feroce combattimento contro i reparti
corazzati di una Divisione Nazista ed il 9
settembre fu catturato ed internato in Germania. Con grande determinazione ed alto
senso della Patria riuscì più volte a fuggire
e dopo molteplici traversie, con il suo coraggio e la sua pazienza, pur sapendo la fine
che lo attendeva, ma sorretto soprattutto
dalla sua Fede, riuscì a tornare in Italia.
Con la mente sempre tesa a prevenire la cattura rientrò a Brescia dove organizzò con
un gruppo di giovani cattolici la Resistenza
allacciando collegamenti con ex alpini,
combattenti, studenti, operai e fondò le leggendarie Formazioni Partigiane “Fiamme
Verdi” le cui Brigate furono protagoniste di
audaci azioni, lottando e combattendo contro le forze Tedesche e Fasciste, nel Bresciano ed in alcune provincie Venete.
Il suo patriottismo, il suo esempio fu elemento di stimolo e di Fede per la lotta di Liberazione nel Bresciano. Nella primavera
del 1944 pubblica il giornale “Il Ribelle”. Sostenitore dei Valori Cristiani compone “La
Preghiera del Ribelle”. Il 27 aprile 1944
viene catturato dalle Milizie Nazifasciste,
portato a Milano e rinchiuso nelle carceri di
San Vittore.
Dopo aver subito varie sevizie è tradotto nel
Lager di Hersbruk dove morirà tra stenti e
torture il 27 gennaio 1945.
Nel ricordo dei Caduti rinnoviamo il solenne proposito di mantenere in vita gli
Ideali per cui si sono immolati, Ideali che
fanno di loro dei Martiri e di noi i custodi ed
i difensori del loro estremo sacrificio. Impegnamoci a porre alla base dei nostri programmi quelli che furono i principi
informatori e lo spirito del secondo Risorgimento della Patria. Principi e spirito che ci
impegnano ad un rinnovamento di coscienza e di sistemi in uno spirito nuovo
che radicato nelle esperienze, nelle tragedie, nelle tradizioni del passato ci proietti
verso un avvenire più limpido, più attivo,
più costruttivo, specialmente oggi che viviamo in una società decadente e priva di
Ideali. Impegno solenne di difendere sempre
e dovunque e contro chiunque osasse insidiarla, questa nostra pace, questa nostra Libertà così duramente conquistata su tutti i
fronti, su tutti i campi di battaglia col sangue dei nostri fratelli più cari, “i Migliori
Figli della Patria”.
Lelio Speranza
Al Ministro della Salute la medaglia d’argento Unità d’Italia della FIVL
CRONACHE PARTIGIANE
ANCORA A SAVONA 21 AGOSTO
A BOISSANO: MED. 150° AI PARTIGIANI VIVENTI
Nel quadro delle manifestazioni organizzate dalla Associazione Volontari
della Libertà della Liguria FIVL, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia e del 63° anniversario
della fondazione della FIVL, il 21 agosto presso il punto FIVL di Bossano
(Savona) da Paolo Silla, ha avuto luogo
la cerimonia di consegna della Medaglia d’Argento FIVL commemorativa
dell’impegno, del coraggio, del sacrificio alla Lotta per la Libertà.
L’incontro si è svolto in un’atmosfera
di commossa e particolare partecipazione. L’orazione ufficiale è stata svolta
dal dott.Lelio Speranza, comandante
partigiano, presidente dell’AVL Liguria
e vicepresidente nazionale FIVL, che ha
ripercorso la storia della Resistenza ricordando la partecipazione corale di
popolo , contro chi voleva sopprimere
il bene più prezioso della Libertà. “In
questi gravi momenti di crisi politica ed
economica dobbiamo impegnarci sempre più attivamente onde evitare voci
reazionarie che vorrebbero fare dimenticare la storia della Resistenza e cancellare i nomi di tanti italiani che
hanno avuto il coraggio e l’eroismo di
ribellarsi, combattere e morire per la
nostra Patria, per la nostra Libertà.”
Il comandante Speranza ha infine rivolto un appello ai giovani affinché raccolgano
l’eredità
lasciata
dalla
Resistenza a stimolare la costruzione
di una società migliore.
Ha preso quindi la parola il dott.Gianfranco Cagnasso rappresentante dei famigliari dei Caduti e vicePresidente
dell’Istituto Storico della Resistenza e
dell’età contemporanea della provincia
di Savona, figlio del comandante Bill
(Eugenio Cagnasso) della V Brigata Garibaldi Divisione Bevilacqua, barbara-
mente trucidato nel 1944 nella zona di
Origlia (Savona), il quale ha ricordato
come oggi è più che mai importante riprendere i senso dell’ordine morale del
rispetto dei diritti altrui, del rispetto
delle cose pubbliche e private : “Per
questi principi molti, troppi cittadini
italiani hanno sacrificato la loro esistenza”.
Sono seguiti interventi di saluto, tra
cui un particolare ringraziamento da
parte di Paolo Silla, ex partigiano appartenente alla squadra Comando della
Divisione Garibaldina Pinan Cichero
comandata dal comandante Scrivia, infine un messaggio da Pietro Maddalena,
autorevole personaggio del ponente savonese (AVL Liguria) che ha invitato a
continuare ad operare a sostegno dell’importante ruolo storico che continua
ad avere l’AVL Liguria-FIVL nella nostra
società.
DAI PARTIGIANI DI GORIZIA
PROMOSSA LA MOSTRA STORICA
“UNA LUNGA NOTTE 1942-1945”
DUE COMANDANTI PARTIGIANI
IPPOLITO E FRANCO: ARRIVEDERCI!
IL COMANDANTE IPPOLITO
E’ stato un punto di riferimento partigiano di indiscusso prestigio e di
provata fede patriottica. L’avvocato
Ippolito Alberti ha toccato profondamente la coscienza di quanti lo
hanno conosciuto e stimato nel periodo della Resistenza. Lo ricorda per
noi Giorgio Levratto che visse e combattè al suo fianco nella squadra Comando durante la Lotta per la
Libertà.
“Ho conosciuto il tenente Ippolito
nella seconda quindicina del mese di
giugno 1944. Il Maggiore Mauri gli
aveva conferito il comando della Brigata Mondovì che era sistemata a Ciglié. Era in una posizione strategica
delle Langhe perché a Ciglié confluivano le strade provenienti da Niella
Tanaro, da Bastia e da Rocca Ciglié.
Saputo che ero di Savona mi ha parlato subito in dialetto perché lui veniva da Genova. Ho capito subito che
era un tipo simpaticamente chiaro e
capace di prendere posizioni decisive
nei confronti dei nazifascisti. Dopo
un mese e dopo una serie di discussioni e confronti tutta la Brigata
Mondovì è partita nella notte per andare all’aeroporto militare di Mondovì ed aiutare i militari avieri italiani
a ribellarsi ai soldati tedeschi e
quindi venire con armi e bagagli ad
ingrossare la nostra Brigata. Purtroppo qualcosa di imprevisto è successo e dopo una sparatoria senza
fine, tre nostri compagni sono stati
uccisi ma tutti gli avieri italiani sono
riusciti a passare nelle nostre file.
Dopo la conquista, da parte partigiana della città di Alba, un gruppo di
noi con a capo il Tenente Ippolito è
partito per partecipare al presidio
della città ma dopo due giorni di permanenza abbiamo saputo che un plotone di repubblichini San Marco
stava avvicinandosi. Dopo un breve
scontro a fuoco, con il Tenente Ippolito a bordo di auto blindo, abbiamo
catturato tutti i San Marco che ci
hanno fornito di cappotti per l’inverno e ci hanno aiutato a completare
il campo di aviazione che era in allestimento. Dopo il ritorno a Cigliè, il
Tenente Ippolito è stato incaricato
dal Maggiore Mauri di andare in Val
Tanaro ove una banda di delinquenti
impauriva e derubava la popolazione
indifesa che doveva subire quei malfattori che non avevano nessun scrupolo e nessuna pietà per i più deboli.
Durante lo spostamento dalle Langhe
alle Valli Monregalesi abbiamo incontrato a Corsaglia un gruppo di Garibaldini savonesi che io in parte
conoscevo. Loro venivano da Viozene
e scendevano dalla Valle del Monte
COMANDANTE
“FRANCO”
Avvocato Mario Bruno
Mario Bruno fece parte della 1a Divisione Autonoma Langhe del Gruppo
Divisioni Alpine del leggendario Comandante Mauri. Partecipò nel rigido
inverno del 1944 ai sanguinosi combattimenti nelle Langhe, contro Forze
Corazzate Naziste, incurante della sua
salute, e continuò a combattere con coraggio e dedizione, a rischio più volte
della vita, sino alla liberazione. Dopo la
Liberazione riconosciuto dal Ministero
della Difesa grande invalido di guerra
dovette subire anni di cure e sofferenze. Fu un personaggio importante,
intransigente custode dei valori di democrazia, contro ogni cedimento e
fraintendimento di comodo. Egli ha
toccato profondamente la coscienza di
quanti lo hanno conosciuto e stimato,
durante le drammatiche vicende della
Resistenza sia che dopo la liberazione
nella sua lunga attività professionale,
di servizio ed assistenza a tanti dei partigiani dell’Associazione Volontari della
Libertà della Liguria di cui è stato con
me tra i soci fondatori ed autorevole dirigente; egli si sentì sempre soldato
della Libertà e della Dignità umana,
contro il disprezzo della persona e contro tutte le violenze. Gli è stata assegnata meritevolmente la medaglia
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Mongioie, erano molto stanchi e soprattutto erano stati per molto tempo
senza mangiare. Dal Tenente Ippolito
sono stati invitati a mangiare alla nostra mensa ove hanno avuto modo di
rifocillarsi; è stato un gesto di fratellanza che mi ha soddisfatto e dopo
tanti anni incontrandoli per Savona
ricordavano ancora quell’invito che
prescindeva dal colore politico che
ognuno aveva ma teneva solo conto
del nemico che avevamo in comune.
Alla fine di gennaio del 1945 è successo il tragico fattaccio; durante
uno scontro con un Reparto di Cacciatori degli Appennini, informati da
spie pagate profumatamente, il Tenente Ippolito in un tentativo di difesa è stato colpito alle gambe da una
raffica di mitragliatore; il suo amico
tenente Milo, nel tentativo di aiutarlo
è stato ucciso quindi Ippolito è stato
abbandonato con il rischio di morire
dissanguato. Un gruppo di contadini
del posto, che lo conoscevano bene,
quando i Repubblichini sono andati
via lo hanno caricato in un furgoncino e nascondendolo in mezzo a
cassette di frutta, lo hanno portato in
una clinica Svizzera situata a Torino
ove è stato ricoverato per avere le
cure adeguate. Il fatto è stato scoperto dai nazifascisti che ne pretendevano la consegna ma l’intervento
delle autorità svizzere ha proibito
che venisse consegnato. Dopo molto
tempo è guarito completamente e finita la guerra è venuto a Savona per
poterci vedere e ricordare il pericoloso periodo trascorso insieme.”
Giorgio Levratto
Ass.ne Volontari Libertà Savona
L’ASSOCIAZIONE VOLONTARI LIBERTÀ E L’ANPI DI GORIZIA HANNO
ORGANIZZATO LA MOSTRA FOTOGRAFICA “UNA LUNGA NOTTE”
NESKONCA NOC 1942-1945 PRESSO LA GALLERIA D’ARTE DELLA
PROVINCIA IN COLLABORAZIONE CON IL CENTRO ISONTINO DI RICERCA
E DOCUMENTAZIONE STORICA LEOPOLDO GASPARINI.
LA MOSTRA È STATA RICAVATA DALLA COLLEZIONE DI ERMINIO DEL
FABBRO, È STATA ILLUSTRATA AMPIAMENTE DAL PROF. DARIO MATIUSSI.
E’ STATA COMMEMORATA LA BATTAGLIA PARTIGIANA DI GORIZIA DEL
SETTEMBRE 1943 SCOPRENDO UNA LAPIDE IN MEMORIA DEI CADUTI
DELLA BATTAGLIA DEL SETTEMBRE 1943.
L’ANNUALE CERIMONIA
SUL MONTE CAMUN-GREZZANA
MEMORIA DI RITA ROSANI
IL PARTIGIANO
BERNARDO
TRAVERSARO
PRESIDENTE
ELETTO
DELL’ASSOCIAZIONE
MUTILATI DI GUERRA
d’Argento dei Volontari della Libertà ed
è stato per noi un punto di riferimento
significativo perché figura di indiscusso prestigio e moralità cristallina.
Il ricordo commosso di Franco, dell’Avvocato Mario Bruno, valoroso Combattente per la Libertà e Grande Invalido di
guerra, rimarrà sempre vivo nella nostra mente e nel nostro cuore, per il
suo impegno, per la sua cultura, per la
sua nobile Testimonianza.
Lelio Speranza
Bernardo Traversaro, di Rapallo, è il
nuovo Presidente Nazionale dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra e Fondazione.
Bernardo Traversaro, già vicepresidente e presidente Regionale per la
Liguria, poi vicepresidente nazionale
dell’ANMIG, è chiamato a raccogliere
così l’eredità trentennale del Senatore Gerardo Agostini, scomparso il
2 settembre scorso.
Durante la Seconda Guerra Mondiale
Bernardo Traversaro ha partecipato
alla Resistenza nella Divisione Garibaldina “Coduri” che operava nella VI
Zona Ligure. A ottobre del 1944, nei
pressi del Santuario della Madonna
della Guardia, a Velva, durante uno
scontro a fuoco con reparti tedeschi
e alpini della “Monterosa” della RSI,
rimase ferito a una gamba con altri
tre compagni.
Auguri fraterni all’amico neo Presidente ANMIG e buon lavoro!
Domenica 9 settembre sulla cima del
Monte Comun è stato commemorato
il 68° anniversario della battaglia tra
reparti neo fascisti e tedeschi e il distaccamento di partigiani dell’Unità
Aquila (17 settembre 1944).
Sul prato riservato a sacrario da Lino
Tezza e mantenuto dalla moglie
Adriana, il Comune di Grezzana e
l’Associazione Volontari
della Libertà – sezione di
San Massimo all’Adige,
con il patrocinio della Federazione Italiana VDL,
hanno promosso il commosso ricordo annuale
del sacrificio della Medaglia d’Oro Rita Rosani, del
partigiano Dino Degani e
dei tre dispersi Selva,
Gallo ed Orso (nomi di
battaglia e purtroppo mai
individuati i loro nomi,
cognomi e provenienze).
Tra le iniziative legate a
questa battaglia, ricordiamo la titolazione di
strade, sia a Grezzana sia
a Verona, a Rita Rosani e
Dino Degani.
Una voluminosa ricerca delle scuole
di Negrar e il recente concorso “Dino
Degani” nella Scuola Media Giovanni
Pascoli hanno coinvolto una folta ed
impegnata partecipazione di giovani
che hanno dimostrato interesse e
passione alle tematiche della Resistenza.
GRAZIE AGLI AMICI E LETTORI
CHE AIUTANO IL GIORNALE A VIVERE.
UTILIZZATE IL BOLLETTINO ALLEGATO
C.C.P. N° 12220273
VI RINGRAZIAMO PER LA VITA ED IL SUCCESSO DI
“LIBERTÀ DAL POPOLO!”
CRONACHE PARTIGIANE
A VERONA IL 21-9-2012
CELEBRATO IL 69° ANNIVERSARIO DELL’ECCIDIO
DELLA DIVISIONE ACQUI A CEFALONIA E CORFÙ
LA PASTASCIUTTA DEL 25 LUGLIO
UNA DATA GASTRO-STORICA:
ARGUTA INIZIATIVA DA CASA CERVI
Alla caduta del Fascismo, il 25 luglio
del 1943, fu grande festa a Casa
Cervi, come in tutto il Paese. Una
gioia spontanea di molti italiani che
speravano nella fine della guerra,
nella morte della dittatura.
La Liberazione verrà solo 20 mesi
dopo, al prezzo di molte sofferenze.
Ma quel 25 luglio, alla notizia che il
duce era stato arrestato, c’era solo la
voglia di festeggiare. A Campegine, i
Cervi insieme ad altre famiglie del
paese, portarono la pastasciutta in
piazza, nei bidoni per il latte. Con un
rapido passaparola la cittadinanza si
riunì attorno al carro e alla “birocia”
che aveva portato la pasta. Tutti in
fila per avere un piatto di quei maccheroni conditi a burro e formaggio
che, in tempo di guerra e di razionamenti, erano prima di tutto un pasto
di lusso.
C’era la fame, ma c’era anche la voglia di uscire dall’incubo del fascismo e della guerra, il desiderio di
“riprendersi la piazza” con un moto
spontaneo, dopo anni di adunate a
comando e di divieti.
Di quel 25 luglio, di quella pagina di
storia italiana è rimasto poco nella
memoria collettiva. Eppure c’è stato,
in tutta Italia e in quella data, uno
spirito genuino e pacifico di festa popolare: prima dell’8 settembre, dell’occupazione
tedesca,
della
Repubblica di Salò. Prima delle brigate partigiane e della Lotta di Liberazione.
L’Istituto Cervi, 15 anni fa, ha voluto
ricostruire quel clima di gioia a partire dall’episodio della storica pastasciutta di Campegine, riproponendo
la stessa formula di ritrovo spontaneo e festoso. Per ricordare (e siamo
tra i pochi a farlo)una data simbolica
della nostra storia, quando la pastasciutta era in bianco e le camice no...
Buon appetito antifascista
*La ricetta è già stata accettata
come gradita a Busto Arsizio, a Bologna, in provincia di Massa, ecc...
MA A VARESE HANNO ALTRI
GUSTI!
Il quotidiano varesino “la Provincia”
nel numero di martedì 16 ottobre
dava notizia di una celebrazione
programmata per domenica 28 ottobre in un locale aperto al pubblico,
un ristorante di Cittiglio.
L’occasione della celebrazione risulta
essere nientemeno che il 90° anniversario della marcia su Roma.
Il carattere della manifestazione si
evidenzia sia dal programma; “ai partecipanti verrà dato un omaggio speciale, un gadget da conservare, il
ritratto del duce” che dà le motivazioni . Non si tratta di una occasione
per una valutazione storica ma di una
vera e propria manifestazione politica
così come spiegano i promotori.
Preferiscono il santino di Benito alla
pastasciutta romagnola!
Venerdì 21 settembre 2012, alle ore
10,00, presso il monumento nazionale
dedicato alla Divisione Acqui, a Verona,
si è celebrato il 69° Anniversario dell’eccidio di Cefalonia e Corfù, con l’autorevole presenza del Sottosegretario di
Stato, per il Ministero della Difesa, dott.
Gianluigi Magri, in rappresentanza del
Ministro, Ammiraglio Giampaolo Di
Paola.
La ricorrenza annuale ha voluto ricordare
uno dei più tragici fatti accaduti all’Esercito italiano durante la seconda guerra
mondiale, tra il 12 ed il 26 settembre del
1943, con la cruenta morte di circa
10.000 soldati italiani.
La “Divisione Acqui” era dislocata in Grecia, nelle isole ioniche di Cefalonia e
Corfù, con l’Italia alleata della Germania;
con l’armistizio dell’8 settembre 1943, il
Governo del Regno d’Italia firmò la tregua
nei confronti degli anglo americani.
All’intimazione di deporre le armi da
parte degli ufficiali tedeschi, la Divisione
Acqui preferì il combattimento ed il sacrificio al disonore del disarmo, mantenendo fede al giuramento fatto alla Patria
lontana.
Cominciarono le battaglie e la Divisione
Acqui, lasciata a lungo senza ordini
chiari, come tutto l’Esercito italiano, fu
sopraffatta dalle preponderanti forze tedesche e la rappresaglia della Vehrmacht
fu tremenda e la Divisione Acqui si immolò mantenendo l’onore dell’Esercito e
la fedeltà alla Patria.
A Cefalonia morirono in combattimento
IN ATTESA DELLA MOSTRA A NOVEMBRE
UN UOMO CHE NON SI ARRESE MAI
MICHE BERRA, IL GIORNALISTA CHE ANDÒ IN MONTAGNA
Miche Berra (Michelangelo) è morto
circa due anni fa a Città del Guatemala; aveva 90, essendo nato i 23
agosto 1920 a Moretta in Provincia di
Cuneo. Viveva da oltre un anno nel
centro America con la figlia Erica e la
sua famiglia. Giovanissimo, Berra
venne assunto alla Sentinella d’Italia
quotidiano di Cuneo, poi con la
guerra, divenne giovane ufficiale
degli alpini; dopo l’8 settembre
scelse la strada dei monti e si unì ai
partigiani G.L. a Paralup, in Valle
Stura e poi in Valle Varaita.
Impossibile ricordare tutte le sue implicazioni con la vita culturale cuneese tradottesi in collaborazioni
con i vari settimanali e quotidiani, articoli, pubblicazioni, mostre. Nel
1975 venne nominato Maestro del
Lavoro; nel 2001 il comune di Moretta gli concesse la cittadinanza
onoraria.
(“sono nato a Moretta due volte: la
prima nella stazioncina del treno un
mattino di fine agosto, la seconda
quando un ostetrico forse un pochino temerario mi ha fatto rinascere:
una
delibera
presa
all’unanimità del Consiglio Comunale di Moretta mi ha dato la cittadinanza onoraria)
Qui sotto, alcune “schegge” tratte dai
moltissimi articoli scritti durante la
sua vita:
“Giugno è un mese che gli uomini
della mia generazione, quelli che avevano 20 anni nel quaranta, non dimenticheranno mai. Il 10 giugno
1940 Mussolini dichiarò guerra alla
Francia e Inghilterra. Ero giovane
cronista e il mio direttore mi mandò
a Saluzzo per un’adunata di donne fasciste. Tirava quel giorno un’aria torbida: si sapeva che stava per accadere
qualcosa di decisivo anche se soltanto pochi giorni prima il duce aveva
detto al sen. Agnelli di rassicurare gli
operai della FIAT che l’Italia sarebbe
stata fuori dal conflitto. Sciaguratamente cambiò idea.
————
L’8 settembre 1943 fu un mercoledì.
Ero smontato dal mio primo picchetto. Da quattro giorni prestavo
servizio quale sottotenente di prima
nomina nel Reggimento Alpini Borgo
San Dalmazzo, nella caserma Pignone di Cuneo. Quella sciarpa azzurra che attraversava la giubba, il
cui fiocco di fili dorati batteva sul
fianco ogni volta che rispondevo al
saluto. E come ne ero fiero! Anche
Emma che venne a prendermi ne fu
inorgoglita, poi insieme percorremmo i portici dal lato permesso
solo agli ufficiali. Eravamo già quasi
in piazza Vittorio quando si sentì vociare “l’armistizio”! “la guerra è finita”. La gente pareva impazzita,
qualcuno gridava “vittoria” anche se
nell’aria c’erano soltanto presagi di
sventura, di sconfitta.
————
Il giorno 10 settembre in caserma
con Giorgio Bocca, Cipellini, Aurelio
Verra, Gigi e Ercole Silvestro attendevamo nel cortile della caserma ordini che non venivano. Vidi il tenente
Miche con il fazzoletto verde
Nardo Dunchi, scultore delle Apuane,
uscire con un autocarro pieno di
armi dalla porta carraia diretto in Bisalta.
Intanto udivamo un incessante
rombo di camion e di automezzi con
sopra cannoni e lo sferragliare dei
carri armati e gli zoccoli dei muli
delle salmerie che percorrevano l’acciottolato di via Roma. Era la quarta
armata in rotta che fuggiva dalla
Francia, lasciando dappertutto armi,
divise, cavalli e mule.
Ci fu poi il saccheggio di viveri e di
altro materiale nella caserma. Il cortile della caserma era invaso anche di
borghesi. Molti arraffavano tutto
quello che potevano dai magazzini e
dell’argenteria nella mensa ufficiali.
Pochi (riconobbi Dadio Soria e Arturo Felici) cercavano di portar via
delle armi. Alla porta non c’era più
l’ufficiale di picchetto.
Bocca, Ci-
pellini e Verra partirono per Frise in
Valle Grana. “I tedeschi” si gridava
nelle vie “stanno arrivando” .La gente
era piena di terrore.
Era lo sfacelo anche di vent’anni di
retorica. Con un camion Fiat 34 con
su pochi alpini, armi e coperte, presi
la strada di Valgrana: due ore dopo
ero a Pradleves. Cominciavo la vita
partigiana.
Il mattino successivo, 12 settembre,
scrive l’amico carissimo Mario Donadei in Cronache partigiane, “ un esiguo reparto della divisione SS
“Adolfo Hitler” comandato dal maggiore Peiper entrò in Cuneo. Saluzzo,
Fossano, Mondovì, Alba subirono
identica sorte. Poche compagnie di
tedeschi erano riusciti a mettere
sotto controllo un’intera provincia,
che contava sul suo territorio più di
centomila soldati italiani”
----------Rossana: un paese cordiale, silenzioso che evoca memorie di altri
tempi…..ho molti ricordi di Rossana
particolarmente di Lemma, di Madonna delle Grazie, su su fino a San
Pietro. A Lemma il mio amico Pierre,
generoso rifocillatore di partigiani,
mi salvò la pelle, durante un rastrellamento del famigerato Pavan.
A Rossana transitai con la mia
banda della brigata G.L. Saluzzo per
la cattura della Compagnia controcarro della Littorio. Un’azione memorabile, da manuale, alla quale
partecipò anche Giorgio Bocca. Fu la
mia banda a fare irruzione nella
scuola elementare vicino al municipio di Busca dove alloggiavano i littorini. Nella cascina Tarditi di Rossana
dormii il sonno del riposo del guerriero più morto che stanco.”
Miche Berra
Il 24 novembre alle ore 16.30 si
inaugurerà al FILATOIO di Caraglio
la mostra: “UNA STORIA DI ARTE E
VITA” dedicata alla collezione di
MICHE BERRA. La mostra, promossa dall’Associazione Culturale
MARCOVALDO con il sostegno
della REGIONE PIEMONTE, della
Compagnia di SAN PAOLO, della
Fondazione CRC e della Fondazione CRT, sarà aperta fino al 24
febbraio 2013 dal giovedì al sabato
ore 14.30-19 e la domenica ore 1019
65 ufficiali, 1250 sottufficiali e soldati, furono sommariamente fucilati 325 ufficiali
e 5000 sottufficiali e soldati ed oltre 3000
sottufficiali e soldati risultarono dispersi
in mare, per il volontario affondamento
delle navi che dovevano trasportarli nei
campi di concentramento e di prigionia.
Nell’isola di Corfù morirono in combattimento 2 ufficiali e 600 sottufficiali e soldati ed altri 17 ufficiali furono fucilati.
Alla Cerimonia di venerdì 21 settembre
u.s., presso il monumento nazionale
della Divisione Acqui, eretto a Verona nel
1966, per l’elevato numero di veronesi caduti a Cefalonia e Corfù, e nello stesso
anno inaugurato alla presenza dell’onorevole Aldo Moro, allora Presidente del
Consiglio, hanno partecipato gli ormai
pochi reduci e superstiti di quelle tragiche giornate, provenienti da tutte le Regioni d’Italia.
Oltre alle numerose autorità civili, militari e religiose, locali e nazionali, erano
presenti i labari e le bandiere delle Associazioni d’Arma, Combattentistiche e
della Resistenza e numerosi gonfaloni di
città e province decorati al Valor Militare;
presente anche il glorioso Medagliere
della FILV, alla quale l’Associazione Nazionale Divisione Acqui è associata.
Particolari onori sono stati riservati al
Medagliere dell’Associazione Nazionale
Divisione Acqui, con le sue 27 medaglie
d’oro, ai decorati viventi ed ai famigliari
dei decorati alla memoria, nonché alla
bandiera di guerra del 17° Reggimento
“Acqui”, decorata di medaglia d’oro al
APPELLO DA ALBA
CHIEDIAMO PIÙ MEMORIA
DEL 29 AGOSTO 1944 PER
TERESA BRACCO, MARTIRE,
E PER I 32 ASSASSINATI
Il mese d’Agosto di ogni anno ci riporta con il pensiero al mese di Agosto dell’anno 1944, che proprio al suo
termine registrava due fatti tra i più
aberranti che l’uomo possa compiere,
comportandosi al di fuori di ogni comportamento che possa essere riconducibile a qualche scampolo di
umanità.
Il 28 agosto nel paese di Santa Giulia
tra Langhe ed Appennini, sul confine
tra Piemonte e Liguria la violenza
della Guerra portò, in questo scampolo di Piemonte alcuni soldati tedeschi che stavano effettuando un
rastrellamento alla ricerca dei partigiani. In quel luogo operava la banda
del famoso e famigerato “biondino”.
Queste soldataglie si resero colpevoli
di numerose violenze e saccheggi.
Proprio in questa circostanza una
contadina ventenne, Teresa Bracco,
ragazza semplice ma dotata di straordinario coraggio, si era energicamente
opposta alla prepotenza di un soldato
tedesco per salvaguardare la propria
virtù. Un gesto che andava oltre la salvaguardia della propria dignità difendendo oltre il proprio corpo anche la
libertà della donna. La malcapitata veniva barbaramente uccisa. Il sacrificio
di Teresa Bracco è stato valutato dalla
Chiesa idoneo per la sua consacrazione , infatti verrà elevata agli altari
con la beatificazione nell’anno 1988
da Papa Giovanni Paolo II.
Il giorno 29 agosto 1944, durante u rastrellamento da parte della Divisione
Monterosa, composta di militi e soldati tedeschi provenienti da Pollenzo
ed Alba, riesce ad accerchiare alla
Morra trentadue partigiani della 48°
Brigata Garibaldi e della Brigata Bra.
Gli accerchianti intimano la resa ai
garibaldini promettendo salva la vita.
Appena arresi i partigiani vengono
passati per le armi a San Bartolomeo
della Morra (Cerequio). L’eccidio di
Cerequio è uno dei fatti che dimostrano quanta acredine e quanta vigliaccheria vi fosse nei reparti di
occupazione spalleggiati dai fascisti.
L’Associazione Padre Girotti si fa promotrice della richiesta affinché questi
fatti siano ricordati annualmente in
modo che la memoria rimanga indelebile nel tempo.
valor militare.
Era presente un reparto militare di formazione pluri-arma e la banda musicale
militare.
Quest’anno ha anche partecipato il
gruppo storico “Brigata Acqui 24 giugno
1859 San Martino e Solferino, con costumi militari della storica battaglia risorgimentale che “fece l’Italia”.
Per l’occasione inoltre, presso il Circolo
Ufficiali di Castelvecchio, fino al 22 settembre, è stata allestita una interessantissima Mostra fotografica, sui tragici
fatti della Divisione Acqui.
L’organizzazione della cerimonia è stata
curata dal Comune di Verona, Ufficio Manifestazioni, dal Comando Militare RFC
Regionale Veneto di Padova, coordinato
dal ten. col. Giorgio Castagna e dall’Associazione Nazionale Divisione Acqui,
Sezione di Verona, rappresentata dal presidente provinciale Claudio Toninel, nipote di Mario Toninel, reduce di Cefalonia
e dalla segretaria nazionale Luisa Cassandri Caleffi, vedova di Guido Caleffi, anch’egli reduce di Cefalonia e già
presidente nazionale dell’Associazione.
Guido Caleffi e Mario Toninel erano compagni d’armi, entrambi in forza al 17°
Reggimento di Fanteria della Divisione
Acqui, di stanza ad Argostoli, città capoluogo dell’isola di Cefalonia, ed hanno
vissuto personalmente quei tragici fatti,
trovando scampo alle fucilazione e riuscendo, alla fine del conflitto e dopo diverse vicissitudini, a ritornare in Patria.
Assoc. Nazionele Diviosione Acqui
CALENDARIO ALBESE
Intenso programma settembre-ottobre 2012 dell’Associazione Partigiana “P. Giuseppe Girotti”
Domenica 16 settembre
Area “Caserma Covone”
Rievocazione della strage di Cefalonia e della deportazione del 43° Reggimento di Fanteria nei lager nazisti.
Ricordo del primo Caduto della Resistenza albere.
Venerdì 21 settembre
Chiesa di San Giuseppe ore 21.00
Lettura sulle inumane operazioni di
militari catturati e deportati su carribestiame da Alba in Germania, privati
di cibo, bevande, medicinali,ecc—Interventi del Canonico Chiesa, Avvocato LaVerde, Chiodi, Porcari, Farinetti.
Proiezione del film, “Tutti a casa”.
Protagonista il popolare attore Alberto Sordi.
Venerdì 19 ottobre
Chiesa di San Giuseppe ore 21.00
Proiezione di un documentario rievocativo della fucilazione dei tre martiri
di Roddi: Cavalletto, Morando e Castelli.
Venerdì 19 novembre
Chiesa di San Giuseppe ore 21.00
Ricordo della tragedia del Corpo di
spedizione in Russia con presentazione di pagine di Pier C. Pellegrino.
Proiezione della pellicola “Italiani
brava gente” di Giuseppe De Sanctis.
LUTTO
Una vera folla ha accompagnato alla
chiesa e poi all’eterna dimora del cimiteero di Mondovì (CN) la compianta
salma di una moglie e di una madre
esemplare: Nini Mazzucchi Chionetti.
Non potevano mancare i partigiani
della “Ignazio Vian”.
Nini era la moglie di un volontario
della Libertà, Piero Chionetti, uno dei
partigiani del distaccamento della
Tura, proveniente da Mondovì. Profondamente credente, Nini aveva accettato dalla volontà di Dio la prova
grande quando il marito Piero era salito al cielo e la sua memoria diventò
una ragione di vita per lei, unitamente alla cura dei nipoti che amava
di un amore grande tanto da far pensare che vivesse per loro.
Gianni Raineri
3
RESISTENZA DELLA FAMIGLIA
ARRESTO, CARCERE, FUGA
IN MONTAGNA MINACCE, PAURA, ECC...
APRILE 1945: GIOIA E NOBILISSIMO ESEMPIO DI
PAPÀ ASTEGGIANO, PARTIGIANO E CRISTIANO
E’ una parte della storia di una famiglia “proletaria”. Mio padre, Antonio,
ex contadino giovanissimo era stato
assunto dalle Ferrovie dello Stato,
quindi dalla sua natia Bra si era trasferito prima a Saluzzo e quindi a
Cuneo.
Mio fratello Gianni, conseguito il diploma a 18 anni fu assunto quale impiegato alla STIPEL (Telefoni) di
Cuneo, nel contempo si iscrisse alla
Facoltà di Economia a Torino. Fu
iscritto al G.U.F. (Gioventù Universitaria Fascista) partecipò, lo ricordo,
ai paramilitari del sabato, come la totalità dei cittadini. Igino, all’epoca dei
fatti, 9 anni. Ho pensato necessario
inquadrare la famiglia per trasmettere, fare percepire, cosa e quanto
rappresentò per tutti l’8 settembre
1943.
Un ciclone materiale e morale, terribile; cugini, amici, fidanzati morti o
dispersi in Russia, Albania, Grecia.
Abitando, all’epoca, nei pressi della
stazione ferroviaria assistemmo per
giorni allo scorrere di colonne di migliaia di militari “sbandati” rientranti
dal fronte francese. Ciascuno cercava
qualche altro civile per mascherare il
suo stato e proseguire il suo viaggio
verso i propri luoghi di origine.
Dopo qualche giorno di questo tristissimo spettacolo, l’arrivo dei tedeschi. Rivedemmo altre colonne di
nostri militari, inquadrati dai militari
tedeschi a bordo delle famose motociclette con sidecars sui quali erano
posizionate le mitragliatrici. Questa
volta le colonne andavano verso la
Nei giorni seguenti alcuni ex compagni di scuola: Lamberti, Marro, Bocca
ecc. si unirono ad alcuni ex-ufficiali
dell’esercito che abbandonati dai propri superiori, smisero la divisa e formarono le prime bande.
In quel tempo le armi si trovavano facilmente, i magazzini abbandonati
dall’esercito venivano presi d’assalto
dai cittadini, i quali condizionati
dalla miseria dei tempi, correvano ad
approvvigionarsi di coperte, scatolame, carne in scatola, gallette ecc.
Furono pochi i primi resistenti, fu un
inverno molto rigido, molta neve, ed
alcuni non resistettero, lasciarono i
compagni, anche su sollecitazione
delle famiglie e si imboscarono
presso parenti ed amici in genere
nelle campagne.
In questo clima le autorità della repubblica “sociale” indicono i BANDI
DI CHIAMATA ALLE ARMI per i giovani, e di RICHIAMO per coloro che
avevano abbandonato i propri reparti.
In seguito a questi BANDI DI ARRUOLAMENTO ed alla mancata risposta
da parte dei giovani e delle famiglie
iniziò alla fine di febbraio una campagna di rastrellamenti, allo scopo di
ottenere la collaborazione dei renitenti e soprattutto delle famiglie.
E’ qui che inizia il coinvolgimento
della mia famiglia.
Una compagnia della Legione autonoma E. Muti intercetta dei giovani
partigiani a Gaiola, scesi da Rittana
(Paralup) per rifornimenti. Alcuni,
nel tentativo di sfuggire, guadano lo
Stura e si avviano verso Monte Croce,
L’ultimo manifesto della...clemenza mussoliniana.
stazione, i carri merci, la Germania.
Guardavamo queste colonne dalle
tapparelle socchiuse.
Ai giovani di allora, quali il Giannetto
“degenere” scoppiò il cuore di rabbia
e di dolore, la più grande umiliazione
e delusione. Lo ricordo, scaricò il
suo impulso dando un pugno ad una
finestra rompendo il vetro e tagliandosi un polso.
4
un altro gruppo fra cui mio fratello
Giannetto riesce a svincolarsi e rientra a Paralup.
Un capo squadra della Stipel, un
certo Lavagno, aveva visto a Gaiola il
gruppo dei giovani partigiani, fra i
quali aveva riconosciuto il Gianni,
suo collega d’azienda e vicino di
casa. Lo denunciò e le conseguenze
furono quelle di cui i BANDI SUC-
CESSIVI ci danno la loro versione.
Fummo arrestati, rinchiusi alla Leutrum, il carcere di allora, prima tutti
e quattro in una cella, quindi papà e
mamma da una parte, figlio e figlia
dall’altra.
Ricordo le proteste dei reclusi che,
alla notizia dell’incarceramento di un
bambino con la famiglia, manifestarono il loro dissenso sbattendo le
stoviglie contro le porte delle celle.
Dopo un paio di settimane fummo
trasferiti nelle celle di punizione
della Caserma degli Alpini, dove però
fummo riuniti ai nostri genitori. Qui
restammo per alcune settimane,
quindi fummo nuovamente divisi. I
genitori restarono in questo sito, noi
figli fummo rinchiusi nell’armeria
delle FIAMME BIANCHE (i giovani volontari) la cui caserma era posta in
Corso IV Novembre, nell’ex palazzo
della G.I.L.
Usarono la loro influenza, per ottenere la nostra liberazione, il parroco
del S. Cuore, Don Bruno, ed il Vescovo Mons. Giacomo Rosso. Don
Bruno, per dare visibilità alla nostra
vicenda pretese che, in qualità di
chierichetto quale ero, fossi presente
alla celebrazione della 1^ Comunione
Parrocchiale del 1944. Fui accompagnato dai legionari armati, finita la
celebrazione fui riaccompagnato
nella cella della caserma degli Alpini.
Alla fine di maggio furono liberati
anche i miei genitori, Al momento
della liberazione il colonnello Colombo, comandante della legione, riconoscendo le qualità umane del mio
papà, volle comunicargli il nome del
delatore. Quindi la fonte è certa!
Il papà fu licenziato dalle FS; in mancanza di fonti di sostentamento fui
autorizzato dal Colombo a presentarmi al carraio della caserma Muti,
allora in C.so Brunet, dove oggi c’è
l’Istituto Cottolengo, per ricevere il
rancio dei militari.
Dopo circa un mese la E. Muti fu trasferita da Cuneo ed arrivarono le Brigate Nere che si sistemarono nelle
scuole di Via XX Settembre.
Nel timore di essere nuovamente arrestati fuggimmo in valle Stura, a
Bagni di Vinadio. Purtroppo ripresero i rastrellamenti e quindi per sottrarci ai nuovi pericoli, con alcuni
abitanti della frazione, ci accampammo nei boschi di S. Anna. L’autunno ci trovò senza disponibilità
economiche. La mamma, nel disperato tentativo di cercare aiuto presso
i parenti di Savigliano, si avviò in bicicletta verso Cuneo. Nella discesa
da Bagni di Vinadio a Pianche fu mitragliata dal famoso velivolo solitario
“Pippo”, cadde nel dirupo. Fratture e
ferite gravi, ricoverata sotto anonimato all’ospedale di Demonte.
Per brevità evidenzio solamente che
mancò ogni solidarietà dai parenti,
timorosi delle rappresaglie; ma non
quella di un collega del papà, il signor Longo, anche lui ferroviere. Ci
ospitò nella sua casetta ubicata alle
Basse di Gesso, allora molto defilata
rispetto alle abitazioni della città.
Tornammo a casa il 26/27 aprile,
sulla porta di casa trovammo casualmente il nostro delatore con sul
braccio la fascia gialla del G.A.P. (partigiano di città?) con le armi in
pugno.
Nelle settimane successive si formò
in città la Polizia del Popolo, al cui
comando fu posto il capitano Wolf,
un ex-ufficiale di origini bolzanine.
Questi si presentò a casa nostra per
ottenere la denuncia del delatore e
procedere all’arresto.
Ricordo la prostrazione fisica e psicologica di mio papà, che inginocchiandosi, implorò il superamento
del fatto. Allora non capivo questo
comportamento e non lo approvai,
più tardi compresi l’importanza del
gesto, quanto valesse il rispetto della
propria coscienza. Un grande lascito
morale!
Mario Igino Asteggiano
*
*L’asterisco indica il ragazzino Mario Igino Asteggiano
DANTE COMANDANTE PARTIGIANO
LA SUA FAMIGLIA: CASA, SCUOLA, CHIESA E LA TERRA DELLA
FAMIGLIA ZOBBI... CI HA LASCIATO POCHI GIORNI FA
Dante era nato a Santonio – la borgata che con Coriano a Calizzo costituisce la parrocchia di Tapignola,
sulle pendici orientali del monte
Prampa – il 18 febbraio 1921 in una
famiglia povera di beni materiali, ma
saldamente radicata nella fede. Ha
due sorelle, Lucia e Rosa, e un fratello, maggiore di lui di tre anni.
Francesco, che se ne andrà nei cappuccini e sarà il noto padre Remigio,
sacerdote nel 1944.
Dante rimane a Santonio a lavorare
terra e boschi che, ad oltre 9oo metri
di altitudine non richiedono che sudore per dare al contadino un minimo di alimenti per sopravvivere.
E a frequentare assiduamente la parrocchia retta dall’arciprete di Minozzo don Veneto Fontana, altra
figura eminente del cattolicesimo
montanaro e della Resistenza.
Indimenticabile l’insegnamento che
riceve dalla maestra Caterina Giacopelli, la cui scuola era “luogo di studio, di educazione e di preghiera”.
Giunto in età di leva e chiamato alle
armi, viene arruolato nella Guardia
alla Frontiera (GaF) e destinato alla
Sempre il sorriso limpido del contadino-montanaro, poi eroico comandante “Dante delle Fiamme Verdi”
Jugoslavia, nella zona montenegrina
di Idria. Qui sperimenta la lotta partigiana, riflettendo su ciò che significa
invasione straniera e desiderio di libertà.
Ritornato a casa dopo l’8 settembre
1943, la sua formazione lo porta subito a schierarsi per la Resistenza al
fascismo e alla reiterata alleanza con
l’invasore nazista. L’esperienza militare e l’ottima conoscenza del territorio montano - dove sa muoversi nel
nascosto di sentieri e mulattiere –
fanno di lui il collaboratore ideale per
le prime iniziative di don Pasquino
Borghi e di don Domenico Orlandini
“Carlo” in favore degli ex prigionieri
alleati in fuga verso il Sud.
Dante è uno dei più attivi fondatori
dei primi tre distaccamenti che, annunciando di porsi come autonomi
rispetto alle brigate Garibaldi, vengono a costituire il nucleo fondante
delle “Fiamme Verdi” reggiane. Il
primo sarà comandato dallo stesso
Dante “Rinaldo” che lo intitolerà a
don Pasquino Borghi. L’emergente
personalità di Dante, la sua capacità
di comando, la prudenza e la sicurezza che egli sa infondere ai suoi uomini fanno sì che il più delle volte – e
non solo in quei mesi – il distaccamento sia noto con il suo stesso
nome: “Dante”.
Gli amici di Dante amavano ricordare
lo scontro del 13 settembre 1944, la
prima vera prova del fuoco delle
Fiamme Verdi. Il tentativo di sabotare
il passaggio di un’autocolonna sfocia
in combattimento aperto: una settantina di partigiani contro poco meno
di 500 tedeschi. Qui è la perizia di comando di Dante e il coraggio del suo
vice “Giulio Incerti “Gallo” che con
l’incosciente eroismo dei giovani,
coprì con il suo fucile mitragliatore
lo sganciamento di tutti gli uomini
impegnati. Il più profondo – ma mai
ostentato- eroismo di Dante si manifesta durante il rastrellamento iniziato il 6 gennaio 1945, nel corso di
una tormenta di neve tra le più dure
di quei decenni. Un metro e più di
neve e un freddo che blocca le stesse
armi automatiche. Per farle funzionare, i partigiani devono tenere sotto
la canna dei mitragliatori un elmetto
pieno di braci. Dopo che altri si sono
ritirati, al “Don Pasquino” viene chiesto di appostarsi sulla Costa di Coriano per impedire ai tedeschi,
dilagati in Val d’Asta, di entrare attraverso la Cisa nel ligonchiese e nel
minozzese.
Dante è deciso: non passeranno. E’
nel territorio di casa sua, nei suoi boschi e nei suoi campi, di cui conosce
ogni minimo sentiero, ogni anfratto,
perfino ogni eco. Sa dove appostare i
suoi uomini. Sa dove puntare una mitragliatrice pesante (in un ripido pendio sopra la chiesa di tapignola) che,
battendo la Costa, non lascia passare
i tedeschi. E’ il combattimento, chiamato poi di Prà d’Ancino, nel quale
cade il Vicecomandante delle
Fiamme Verdi Aldo Dall’Aglio “Italo”,
ucciso da una fucilata che “da là,
contro di lui, non poteva partire”. I
tedeschi, preponderanti per numero,
armamento ed equipaggiamento, approfittando dell’alzarsi improvviso
della nebbia, avevano aggirato la
Costa ed erano scesi ugualmente
verso il minozzese. “Ma non da qui”,
dirà sempre Dante. “Da qui non sono
riusciti a passare”. E nel dire questo
con meritata fierezza – dieci anni or
sono, accanto al cippo dove lui
stesso aveva ritrovato il corpo inerte
di “Italo”,il suo malcelato orgoglio
non riusciva a nascondere le lacrime.
Gli ultimi momenti sono i più celeri
che un distaccamento partigiano appiedato possa compiere: il 21 aprile
1945 è a Sasso Rosso, in Garfagnana,
per aprire la strada alle avanguardie
alleate; poi, con una lunga marcia da
Foce Radici, giunge a Baiso e, il mattino del 24 aprile, a Reggio Emilia per
l’ultimo combattimento che consente
alle Fiamme Verdi di entrare – primi
partigiani delle brigate della montagna in città.
CONOSCERE: PER EVITARE CHE QUEI TEMPI MALEDETTI POSSANO RITORNARE
DOCUMENTAZIONE N°3
NON FU “CIVILIZZARE”, MA “ASSASSINARE” IN MASSA IL POPOLO
DELL’ABISSINIA PER VANTARE L’IMPERO COLONIALE FASCISTA...
SCANDALO! UN MAUSOLEO AD AFFILE (ROMA)
PER IL CRIMINALE
GRAZIANI!
Affile – Un autentico criminale di guerra
che è riuscito a farla franca avrà il suo
mausoleo, dal costo di 130mila euro. Si
tratta di denaro pubblico, speso in un
momento in cui Comuni e cittadini versano momenti di eccezionale difficoltà.
Rodolfo Graziani, generale e, nel secondo dopoguerra, politico italiano, fu
capace di violenze e orrori che superano
di parecchio i già duri confini delle
azioni di guerra. Un nome impresso
nella memoria di molti per gli eccidi
compiuti. Monumenti e mausolei a questo servono, a omaggiare e ricordare, ma
ad Affile, comune laziale, si è inaugurato una sorta di mausoleo intitolato a
lui, che lì ha vissuto e trovato sepoltura.
Circa 130mila euro di denaro pubblico,
stanziati dal Comune, sindaco Ercole
Viri, della Lista civica e Regione, per ridisegnare la figura attraverso un parco
e un mausoleo a lui dedicati. Una scelta
che divide anche e soprattutto perché in
tempo di crisi, tagli e restrizioni , i bilanci degli Enti Locali destano ancora
più preoccupazione. Qualcuno parla
apertamente di scelta “aberrante”, perché brindare al monumento di Rodolfo
Graziani significa esaltare il ricordo di
azioni di spietata durezza repressiva, di
deportazioni di civili, di rappresaglia, di
processi sommari, di utilizzo di gas contro civili. Graziani fu responsabile di
tutto ciò in Libia, in Etiopia, in Abissinia, prima di essere Ministro della
Guerra nella Repubblica di Salò.
Scomparso nel 1955 a Roma, Graziani
dopo aver partecipato alla guerra del
1915-’18, stette a lungo in Libia, dove
condusse la campagna per la riconquista della Tripolitania e della Cirenaica,
di cui fu nominato governatore da Benito Mussolini. Incaricato di reprimere
la ventennale rivolta anti-colonialista libica, portò a termine la sua missione
condannando a morte, in un processo
sommario, Omar al-Mukhtar, capo dei
ribelli, eroe nazionale. Alla campagna
corrisposero misure spietate anche contro i civili. Centinaia di migliaia di appartenenti alle tribù nomadi della
Cirenaica furono rinchiusi in campi di
concentramento appositamente allestiti, dove morirono a migliaia per le terribili condizioni igienico-sanitarie, la
scarsità di cibo e acqua: uno strumento
di pulizia etnica attraverso l’istituzione
di lager infernali che precedettero il nazismo.
Nel 1935 Graziani fu nominato governatore della Somalia dove, scavalcando la
Convenzione di Ginevra del ‘ 25, che ne
vietava l’uso, si servì di gas all’iprite con
cui massacrò civili e militari. Nel conflitto italo-etiopico guadagnò il grado di
Maresciallo d’ITALIA e il titolo di Marchese di Neghelli. Dal 1936 al 1937 fu vicerè d’Etiopia, dando forma ad un
Governo dispotico. Proprio in Etiopia, in
risposta ad un attentato fallito, ordinò
rastrellamenti e rappresaglie che scatenarono conflitti a fuoco per le vie delle
città, siglando la morte, secondo fonti
etiopiche, di circa 30mila persone. NES-
SUN PROCESSO FU MAI TENTATO PER
APPURARE TUTTA LA VERITA’.
Nel 1943 fu Ministro della Difesa della
repubblica di Salò; agì in stretta collaborazione con i nazisti nella repressione della Resistenza. Dopo una
condanna per collaborazionismo, fu liberato per amnistia nel 1950. Fu presidente del Movimento sociale italiano
fino al 1954. Non rispose mai dei suoi
delitti, scampò processi alla Norimberga
che lui e altri generali avrebbero meritato.
CINISMO ED
ORRORI PROTETTI!
La documentazione che doverosamente
ospitiamo in questa pagina di Libertà
dal Popolo è stata raccolta con impegno,
rigore e scrupolosa ricerca nei famosi
armadi del regime e poi di alcune Autorità Militari che hanno coperto l’inaudito cinismo ed orrore progettato da una
ingegneria non inferiore a quella hitleriana.
Il cervello di tale infernale progettazione
realizzazione, anche quello, mascherato
per 20 anni e per altri successivi, era la
coppia Mussolini-Graziani!
Anche oggi esiste l’ignoranza più becera
o diabolica che non solo vuole mascherare, ma è arrivata alla meta più spudorata di celebrare pubblicamente i due
satrapi della Dittatura italiana.
Vogliate con coraggio leggere il contenuto di questa pagina nerissima degli
anni ’30, di quella follia che oggi celebra il disonore d’Italia.
DALLO STUDIO
STORICO DEL PROF. ANGELO DEL BOCA DELL’UNIVERSITÀ
DI TORINO
(…) Dall’inizio del conflitto, il 3 ottobre
1935, è Mussolini che indica gli obiettivi da conquistare, che fissa le date , in
armonia con il suo spregiudicato gioco
diplomatico. Quasi ogni giorno invia telegrammi operativi a De Bono (in seguito a Badoglio) sul fronte Nord e a
Graziani sul fronte Sud, con ordini precisi, che non si discutono. E quando i
suoi generali si trovano in difficoltà,
perché il nemico è più forte e audace del
previsto, e sul fronte Nord ha sfondato
le linee ed è penetrato in Eritrea, è lui
che concede il permesso di usare le
armi proibite dalla Convenzione di Ginevra, i micidiali gas tossici. Di questi
aggressivi chimici ha autorizzato lo
sbarco segreto in Eritrea di 270 tonnellate per l’impiego ravvicinato, di 1000
tonnellate di bombe per l’aeronautica
(caricate a iprite), di 60.000 granate per
l’artiglieria (caricate ad arsine).
MUSSOLINI
AUTORIZZA
GRAZIANI ALL’USO DI GAS
TOSSICI
Il primo ad essere autorizzato a impiegare i gas era il generale Graziani. Il 27
ottobre 1935, mentre stava per attaccare
la piazzaforte di Gorrahei, riceveva questo telegramma da Mussolini: “Sta bene
per azioni giorno 29. Autorizzato impiego gas come ultima ratio per sopraf-
fare resistenza nemico o in caso di contrattacco”. Gli aggressivi chimici, però,
non venivano usati nell’azione su Gorrahei perché sei tonnellate di esplosivo
tradizionale bastavano a determinare il
crollo del caposaldo. Ma il 15 dicembre,
avendo appreso che ras Destà Damteu
stava avvicinandosi alle fortificazioni
italiane di Dolo con la sua armata, Graziani chiedeva “libertà di azione per impiego gas asfissianti”, così da rallentare
la marcia dell’avversario. La risposta di
Mussolini era immediata e positiva :”Sta
bene impiego gas nel caso V.E. lo ritenga necessario per supreme ragioni
difesa”.
Graziani non perdeva tempo. Il 24 dicembre inviava tre Caproni 101 bis sulla
località di Areri, dove ras Destà era in
sosta con la sua armata e il bestiame
per il sostentamento, e l’irrorava di
iprite e fosgene. Gli attacchi aerei venivano ripetuti il 25, 28, 30 e 31 dicembre
, con un lancio complessivo di 125
bombe. Il 10 gennaio 1936, telegrafando
al generale Bernasconi, comandante
dell’aviazione della Somalia, Graziani
gli annunciava:”le ultime azioni compiute hanno dimostrato quanto sia efficace l’impiego dei gas. Al riguardo, S.E
il Capo del Governo, con telegramma
odierno n.333, me ne autorizzava l’impiego nella contingenza attuale, che ha
carattere campale e definitivo per l’armata di ras Destà”.
TESTIMONE IL RAS IMMIRÙ
Sugli effetti di questa arma proibita disponiamo della testimonianza dello
stesso ras Immirù Haile Sellase:
“Fu uno spettacolo terrificante. Io
stesso sfuggii per un caso alla morte.
Era la mattina del 23 dicembre e avevo
da poco attraversato il Tacazzè. Quando
comparvero nel cielo alcuni aeroplani. Il
fatto, tuttavia, non ci allarmò troppo,
perché ormai ci eravamo abituati ai
bombardamenti. Quel mattino, però,
non lanciarono bombe, ma strani fusti
che si rompevano appena toccavano il
suolo e l’acqua del fiume, e proiettavano
intorno un liquido incolore. Prima che
mi potessi rendere conto di ciò che
stava accadendo, alcune centinaia fra i
miei uomini erano rimasti colpiti dal misterioso liquido e urlavano per il dolore,
mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i
loro volti si coprivano di vesciche. Altri,
che si erano dissetati al fiume, si contorcevano a terra in un’agonia che durò
ore. Fra i colpiti c’erano anche dei contadini che avevano portato le mandrie al
fiume, e gente dei villaggi vicini. I miei
sottocapi, intanto, mi avevano circondato e mi chiedevano consiglio, ma io
ero stordito, non sapevo che cosa rispondere, non sapevo come combattere
questa pioggia che bruciava e uccideva.”
(…) Impiegando tutti gli strumenti della
censura, il regime fascista riusciva a nascondere agli italiani l’utilizzo in Etiopia delle armi proibite e prontamente e
sfrontatamente smentiva tutte le notizie
che apparivano sulla stampa internazionale con riferimenti all’uso dei gas. Questo silenzio imposto su uno dei peggiori
crimini del fascismo doveva durare a
lungo, per decenni, anche in piena democrazia.
I PARTIGIANI CATTOLICI VOGLIONO
LA MARCIA SU ROMA!
dalla prima pagina
E Papa Benedetto aggiunge “ E’ un fenomeno che esige di essere colto nella
diversità e nell’unità di tutte le sue dimensioni, compresa quella teologica!”.
Dunque, affrontiamo la crisi come cristiani secondo le direttive di questa
Chiesa di scienziati e di persone concrete , come i due Papi. Lasciamo che
qualche laico ci chiami “bigotti” ed organizziamo UNA MARCIA SU ROMA di
tutto il mondo cattolico, in prima fila i
giovani, come nel 1931 il simpaticissimo
PierGiorgio Frassati, né beghino, né clericale! Non dimenticate che il Comandante partigiano e poi fondatore dell’ENI
Enrico Mattei studiava con Don Montini,
poi Paolo VI. Nell’Italia ripulita dalla lordura repubblichina (1945) ecco affer-
marsi (1950), uno schieramento di giovani cattolici intellettuali e pragmatici
uniti attorno ad un personaggio , il giovane Monsignor Giovanni Battista Montini (futuro Paolo VI), che fu lievito del
Gruppo di “amicizie cristiane” dai grossi
nomi di Alcide e Augusto De Gasperi,
Enrico Mattei, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Ezio Vanoni, poi sodi e attivi
“padri della Costituzione”.
Militanti, studiosi, creativi dalle insanguinate trincee della Resistenza, balzati
sugli spalti della rinata democrazia,
dove, nel dibattito, costruirono un Paese
nuovo. Oggi urge ripetere quel Paese. Risvegliare giovani e adulti, abbracciarci riconciliati su un sentiero puro che rifiuta
insulti e volgare diffamazione, rovinosi
protagonisti dello sfascio morale ed economico dell’Italia.
FUORI LA CASTA! FUORI LA DESTRA
NEOFASCISTA , LA LEGA DI CORROTTI
IGNORANTI ARRICCHITI!
FUORI L’ARROGANZA DELL’INSULTO,
DELLA IRRISIONE DELLA FEDE E DEI
SUOI TESTIMONI!
FUORI UN CASINI POLITICO FUNAMBOLO, DIFENSORE DELLA SUA DOPPIA
FAMIGLIA!
A QUESTO PUNTO VOGLIAMO, COME
NEL 1931, LA MARCIA SU ROMA DEI
CATTOLICI E DEGLI ONESTI, FEDELI A
DEMOCRAZIA, VERITÀ, GIUSTIZIA!
Lettori, Partigiani, Amici vi aspettiamo
in molti!
Sul prossimo numero di Natale e Capodanno vi comunicheremo il PROGRAMMA-MARCIA.
I partigiani della FIVL di Enrico Mattei, Settembre-ottobre 2012
IL MARESC. D’ITALIA RODOLFO GRAZIANI CON ALCUNI UFFICIALI DELLA
REPUBBLICA DI SALÒ RIVESTIVA L’INCARICO DI MINISTRO DELLA DIFESA
DEL GOVERNO NEOFASCISTA DI MUSSOLINI (1943-45)
ACCANITA STRAGE FINALE
DEL CLERO COPTO-CRISTIANO
ASSASSINATI CIRCA 2000 RELIGIOSI
UN GRAZIANI CRIMINALE MA ANCHE BUGIARDO!
(…) Dopo aver esercitato la sua vendetta sulla nobiltà amhara, sugli esponenti di spicco dell’intellighenzia
etiopica, sui cadetti della Scuola militare di Olettà, sulla folla anonima e
miserabile di indovini, cantastorie,
stregoni ed eremiti, nell’ultima decade di maggio Graziani prendeva
come bersaglio il clero cristiano-copto
e, in modo particolare, la città conventuale di Debrà- Libanòs- L’incarico
di impartire questa nuova lezione veniva affidato al generale Pietro Maletti,
il quale, a differenza di Nasi, era un
perfetto esecutore di ordini.
Le vittime furono spinte giù dal camion e furono rapidamente fatte allineare, con il viso a nord e la schiena
volta verso gli ascari. Furono quindi
costrette a sedersi in fila lungo l’argine meridionale del fiume, che in
quel periodo dell’anno era quasi completamente in secca. Gli ascari presero quindi un lungo telone,
preparato appositamente per l’occasione, e lo stesero sui prigionieri
come una stretta tenda formando un
cappuccio sopra la testa di ognuno di
loro.
Si procedeva quindi alla fucilazione
dei religiosi. E mentre un ufficiale italiano provvedeva a sparare il colpo di
grazia alla testa, vicino all’orecchio,
gli ascari toglievano il telone nero dai
cadaveri per utilizzarlo per il successivo gruppo di condannati. Alle 15,30
del pomeriggio tutto era finito e Graziani poteva annunciare a Roma che
“oggi, alle 13 in punto” il generale Maletti “ha destinato al plotone di esecuzione 297 monaci, incluso il
vice-priore e 23 laici sospetti di connivenza. Sono stati risparmiati i giovani diaconi, i maestri e altro
personale d’ordine, che verranno tradotti e trattenuti nelle chiese di Debrà
Berhàn: Il convento è stato di conseguenza chiuso definitivamente.
Ma tre giorni dopo il vicerè cambiava
idea, sembra su istigazione di ras
Hailù Tecla Haimanot, il più noto e
spietato fra gli aristocratici collaborazionisti, e inviava a Maletti questa
nuova direttiva:”Confermo pienamente la responsabilità del convento
di Debrà Libanòs. Ordino pertanto di
passare immediatamente per le armi
tutti i diaconi di Debrà Libanòs. Assicuri con le parole:”Liquidazione completa”. Il generale Maletti, con il
consueto zelo, provvedeva subito a far
scavare due profonde fosse in località
Engecha, a pochi chilometri da Debra
Berhàn e nella mattinata del 26 maggio faceva sfilare davanti alle mitragliatrici 129 diaconi, martiri giovanetti
che la cristianità non ricorda e non
piange perché africani e diversi. “Per
cui” concludeva Graziani “la cifra dei
giustiziati saliva a 449”.
Ma la vera cifra degli assassinati era
molto più alta , almeno tre volte superiore. Tra 1991 e 1994 i due docenti
universitari, l’inglese ian L. Campbell
e l’etiopico Degife Gbre-Tsadik, eseguivano nel territorio di Debrà Libanòs un’ampia e approfondita ricerca,
interrogando monaci, cascì, civili , alcuni dei quali avevano assistito a una
o più fasi del massacro. Dalle loro testimonianze emergeva che i fucilati a
Laga Olde non erano 320 ma tra 1000
e 1600. Successivamente tra 1993 e
1998 il prof. Campbell proseguiva da
solo le indagini spostandosi nella regione di Debrà Berhàn per trovare informazioni sulla strage di Engecha.
Egli non soltanto riusciva a localizzare le due fosse che contenevano i
corpi di 129 diaconi , ma poteva raccogliere le deposizioni di due testimoni oculari che avevano assistito
alla strage dall’inizio alla fine. L’inchiesta di Campbell rivelava inoltre
che Graziani, nel comunicare a Lessona l’eliminazione dei diaconi aveva
sostenuto il falso. Egli infatti non si
era limitato a ordinare a Maletti la “liquidazione completa” dei 129 diaconi,
ma gli aveva ingiunto di sopprimere
altri 276 etiopici, fra insegnanti, studenti di teologia, monaci e sacerdoti
che appartenevano ad altri monasteri.
Per cui il bilancio della strage di Engecha saliva a 400 vittime e quello
complessivo della rappresaglia contro
la città conventuale di Debrà Libanòs
si aggirava secondo i due ricercatori
tra 1423 e 2033 morti. Mai nella storia d’Africa, una comunità religiosa
aveva subito uno sterminio di tali proporzioni.
da “Italiani brava gente”
Studi e ricerca di A. Del Boca
CI SCUSIAMO CON I DILIGENTI, NUMEROSI I COLLABORATORI PER IL
RINVIO DEI LORO GRADITI RINVII DI LETTERE AL GIORNALE,
COMMENTI SU NUOVI LIBRI SULLA RESISTENZA, ECC...
LE RUBRICHE FISSE SONO FELICEMENTE INVASE. VI PROMETTIAMO
LA PUBBLICAZIONE SUL PROSSIMO NUMERO DI NATALE-CAPODANNO.
GRAZIE
5
Il nonno racconta...
RUBRICA DI STORIE VERE DELLA RESISTENZA RACCOLTE
PERCHÈ HO SCELTO DI SCRIVERE
IL RACCONTO DI NONNA BETTINA
60
ANNI DOPO
LA STORIA INVEROSIMILE DEL NONNO SOTTRATTO
AI TEDESCHI DA UN MISTERIOSO PIZZICOTTO NEL BOSCO...
Ecco il suo testo letterale riferito dalla nipote Mellano Francesca
La piacevole e luminosa copertina del libro su Nonna Bettina
Riprendiamo, con volenterosa cura
la pagina che ospita preziosi contributi scritti da figli, da nipoti e da
amici della Resistenza. Una pagina
che può essere accostata alla poesia
del sentimento, alla carezza tenera
dei nonni scomparsi da alcuni anni.
Non è soltanto questo. Lo precisa
l’amico, antropologo, prof. Andrea
Vaschetto, nella introduzione al suo
libro sulla nonna Bettina , là dove
giustifica le sue fatiche per scrivere
e pubblicare il suo racconto: “Ho capito che non basta ricordare per far
ricordare, ma bisogna educare. In
altre parole , ritengo che celebrare la
memoria sia necessario ma non sufficiente, bisogna viverla ed applicarla.” . (vedi ; Bettina pag.16).
Non a caso l’evento “Carovana della
Pace- Cuneo-Boves 16 settembre
2012 , quest’anno nel suo motto
“UMANITA’ OFFESA ALLA RICERCA
DI PACE” mirava sì a far memoria
del dolore, dei sacrifici e dei lutti
causati dalle guerre di folli dittature
nel secolo scorso, ma anche a “cercare piste faticose e non comode
sulle quali costruire ogni giorno giustizia e pace”, in una stagione di
nuove offese ed umiliazioni a disoccupati, precari, giovani e poveri.
Non a caso la Commissione mondiale di Giustizia e Pace era uscita
con un appello alle Chiese dell’Europa per un maggiore impegno dei
Cattolici nell’affrontare e risolvere la
pesante crisi sociale ed economica
che crea un disagio insostenibile all’umanità colpite dalle cosiddette
“nuove povertà”.
Il volumetto è piacevole, scorrevole
come una conversazione schietta,
famigliare, commovente, perché il nipote ha stemperato la suggestiva
raccolta delle imprese di nonna Bettina, partendo dalla prima emozione
d’una ragazza che abbandona i banchi delle elementari e il calore d’un
mondo contadino per emigrare a Torino a servizio d’una famiglia.. fino
all’ora delle tenebre: fascismo, invasione nazifascista e Resistenza.
E’ tutto e subito da Leggere! (A.B.)
DICHIARAZIONI DELL’AUTORE
“Ho scelto di scrivere il racconto di
una parte della vita di mia nonna Bettina perché sento di essere la sua
memoria. Avverto profondamente il
peso della responsabilità di questa
situazione e, forse, il motivo di questo scritto risiede proprio nel tentativo di sublimare tale peso. A maggior
6
ragione, in quest’epoca in cui, a mio
parere, ciò che è stato ottenuto attraverso il dolore e il sacrificio di quelle
persone, come Bettina, che dopo la
guerra hanno continuato a lottare per
un mondo giusto ed equo, è vanificato in nome di un sistema economico che, per come è strutturato
oggi, non può che portare alla distruzione di quanto la sua generazione
ha conquistato a livello politico e sociale.
Sento il peso di una responsabilità
(mi chiamo Andrea in onore del mio
pro-zio, torturato e fucilato dai fascisti a Carrù , provincia di Cuneo, nel
marzo del 1945) e un senso di colpa
determinati dalla sensazione di impotenza, dall’impossibilità di fermare
o anche solo modificare il declino
della società e di quella visione del
mondo che, con costanza e dedizione, la nonna ha tentato di passarmi.
Pur sentendo miei quegli ideali, una
rielaborazione dei suoi insegnamenti è inevitabile anche perché naturale: io non sono lei e non ho
vissuto le sue esperienze. Questo
non vuol dire che non porti avanti
quei principi, anzi, forse è vero proprio il contrario: grazie a lei tento di
viverli nella quotidianità.
Essere la memoria dei valori di una
persona significa adeguare quegli
ideali all’epoca in cui si vive. Resteranno sempre in me le parole che ho
sentito decine di volte : “ Ora e sempre Resistenza” e “Mai più questo”.
Questo scritto è una parte di quanto
è rimasto di quei racconti dentro di
me, è la “Memoria”. Accanto ad essa,
però, nel mio elaborare quei concetti
ho affiancato qualcos’altro: il metodo
che più o meno consapevolmente ho
scelto per mantenere vivi quei valori.
Ho capito che non basta ricordare per
far ricordare, ma bisogna educare. In
altre parole, ritengo che celebrare la
memoria sia necessario ma non sufficiente, bisogna viverla e applicarla.
Il “mai più questo” che Bettina mi ha
insegnato, per me, si esprime nel sostenere l’educazione ai rapporti, alla
consapevolezza dell’altro, chiunque
esso sia. Credo che la memoria della
Resistenza sia oggi l’educazione alla
pace e alla nonviolenza con tutti quei
sistemi, prevalentemente pedagogici
ed educativi, che anni di studi e di
esperienze hanno portato ad essere
strumenti efficaci.
Andrea Vaschetto
ma rimasi perplesso e sbalordito non
tina di panche in legno, ai piedi delDall’età di cinque anni, ogni estate,
mio nonno Oreste mi accompagnava
scoprendo assolutamente nulla. Ril’altare notai un panno rosso. Il silencon tutta la famiglia, in pellegrinagpresi quindi a camminare, ma per la
zio era assoluto. Sentendomi sempre
gio al Santuario di Valmala (Cuneo).
terza volta “zac”, ancora quel trepiù stanco presi il panno, lo distesi su
A dieci, dalla sua voce commossa, ne
mendo pizzicotto! Allarmato mi voltai
una panca e mi ci sdraiai: “Riposerò
scoprii la ragione: allora smisi di
col cuore in gola e ancora una volta
un paio d’ore, poi riprenderò il camprotestare per la ripetitività della
non vidi anima viva dietro di me. “Sto
mino prima che diventi giorno”. Fumeta e cominciai a vivere quella giorforse tirando i dadi?” pensai, riterono i raggi del sole a destarmi.
nata come momento di tenero e afnendo che realmente mi stesse dando
“Dannazione! Ho dormito troppo, è
fettuoso ringraziamento a Colei (La
di volta il cervello. Con uno scatto
ormai tarda mattina!” Mi diressi verso
Madre di Gesù) che, con il suo interd’ira mi tolsi di dosso la giacca e anala finestra, la scavalcai e ripresi la mia
vento, mi ha conservato un nonno
lizzai ogni centimetro della stoffa:
marcia con estrema prudenza.
speciale. Ecco il racconto (assolutanulla che potesse giustificare quei
Un’ora dopo ero in cima alla collina,
mente autentico, quantunque abbia i
“pizzicotti”. Che mi sta succedendo?”
dove non c’era più traccia dei pastori,
connotati dell’incredibile) dell’avvenMi chiesi decisamente preoccupato,
ma solo i resti dei loro falò. Mi guardai
tura, di cui il nonno fu protagonista,
rimettendomi la giacca. Mentre stavo
attorno e scorsi a valle una povera cadurante l’ultima guerra, in qualità di
per riprendere il cammino vidi di
setta. “Sarà abitata da contadini, non
partigiano.
fianco a me un’apertura fra gli alberi
correrò pericoli con loro” mi ripetevo
Francesca Mellano
che non avevo notato prima. Incuriomentre cercavo di raggiungerla.
“ Il buio del bosco mi pareva sempre
sito , mi avviai in quella direzione: un
Quando ormai distavo pochi passi, la
più fitto ogni istante che pasporta si aprì e ne uscì una
sava. Gli alberi mi si paravano
donna miseramente vestita
davanti, e con i loro rami semche vedendomi impallidì e
bravano volermi intrappolare.
sbarrò gli occhi dalla paura.
Non si avvertiva il minimo storSospettando di essere io la
mir di foglie per la totale assenza
causa di ciò, dissi timidadi vento, però a un certo momente “Scusi signora, non
mento il lugubre grido di una civoglio farle del male, voglio
vetta mi fece trasalire e mi sentii
solo saper..” Sentii dei passi
letteralmente accapponare la
dietro di me e mi voltai: si
pelle… Mi pareva di essere capierano avvicinati un uomo
tato in una foresta fantasma.
sulla quarantina e un bamContinuavo a scrutare gli alberi
bino sugli otto anni anche
loro pallidi e terrorizzati.
con estrema attenzione, ma il
Stavo per aprire bocca,
buio era troppo per poter distinquando l’uomo mi chiese in
guere qualunque oggetto più lonun sussurro: “Siete un partitano da me di qualche decina di
giano?” Appena mi vide ancentimetri. Se fossero apparsi i
nuire con il capo , iniziò a
nemici non li avrei potuti vedere
gesticolare e mi intimò. “A
in tempo, mentre loro mi avrebterra, abbassatevi! Se vi vebero scoperto immediatamente a
dono, ci fucilano tutti. Abbascausa dei miei abiti americani
satevi per l’amor del cielo!”.
color giallo brillante. Per loro saRimasi disteso, sudando
rebbe stato uno scherzo cattufreddo, finchè anche l’ultimo
rarmi o uccidermi sul colpo,
mezzo blindato non sparì
mentre io non avrei neanche pooltre le colline. Solo a quel
tuto correre via, figurarsi difenpunto mi sollevai con caudermi. Rimpiangevo amaramente
tela. “Grazie” sussurrai aldi aver lasciato il fucile ai miei
l’uomo.
Lui
annuì
compagni, ora molto lontani da
semplicemente, prima di agme. Quell’arma mi avrebbe sicugiungere con voce tremante:
ramente rallentato ma, anche se
“Non potevo certo lasciarvi in
non avevo mai sparato un colpo,
piedi. Ci avrebbero uccisi
mi sarei sentito più sicuro.
tutti. Sto dalla vostra parte,
Scossi la testa e tentai di scacmica con quei cani invasori!”
ciare quei pensieri. Doveva esMeno male siete giunto solo
sere circa mezzanotte, la luna
adesso. Se foste arrivato ieri
splendeva sicuramente in cielo,
Singolare fotoscatto del giovane partigiano Oreste,
sera, vi avrebbero certo cattuanche se non riuscivo a vederla.
forse appena uscito dal bosco di rovi e di paure...
rato..!” “Come mai?” chiesi
Ero molto stanco. Quanto mi saallarmato. “ieri notte avevano preso
rebbe piaciuto distendermi a terra e
sentiero scendeva fino a valle e ragposizione su quella collina: se ne
riposare un po’, ma sapevo che non
giungeva una chiesetta. “Intorno a me
sono andati solo alle prime luci delme lo potevo assolutamente permettutto era immobile e immerso in un
l’alba”. Così dicendo indicò l’altura
tere : fermo, senza un riparo, sarei
silenzio inquietante, eppure, alle mie
sulla quale avevo visto il falò la notte
stato una preda facilissima. Mi imposi
spalle, percepivo come una folata di
prima.
di camminare finchè non avessi trovento che pareva spingermi in quella
Per poco non presi un colpo: davvero
vato un posto sicuro per fermarmi.
direzione e che diventava sempre più
ero stato li per gettarmi tra le braccia
Sentivo i morsi della fame, non manforte. Stavo impazzendo? Ero stredei tedeschi, e all’ultimo momento
giavo da almeno una giornata ma mi
mato. Osservai la collina lontana: non
avevo deciso di fermarmi nella chiesforzai per non badarvi. Improvvisaavevo la forza necessaria per raggiunsetta? Era solo un caso fortuito se
mente gli alberi si aprirono un poco e
gerla, al contrario la chiesa era vicina,
avevo dormito fino a tardi ed evitato
dallo scorcio illuminato dalla luna riuil percorso in discesa e poi, non si vequindi di imbattermi nelle truppe nescii a vedere una collina proprio dadeva nessuno nelle vicinanze dell’edimiche? Poi ricordai gli strani particovanti a me. Sulla sommità neanche
ficio. “Mi riposerò qualche ora fra
lari: avevo deciso di fermarmi in
troppo elevata, intravidi il fumo e la
quelle mura”. Pensai mentre per
seguito a quei ripetuti pizzicotti… per
luce di un falò. Che sollievo! Doveun’ultima volta lanciavo uno sguardo
quel vento misterioso che, impedenvano essere di certo pastori.
all’ormai lontanissimo falò che illudomi di puntare verso la collina, mi
Improvvisamente qualcosa mi pizzicò
minava la collina. In poco tempo, semaveva indirizzato verso la chiesa… letsulla schiena. Mi voltai di scatto, teso
pre accompagnato e quasi sospinto da
teralmente dirottato e quasi sospinto
come una corda di violino. Temendo
quel vento misterioso, raggiunsi la
verso il Santuario della Madonna di
di trovarmi di fronte alla baionetta di
piccola chiesa, ne esaminai i muri peValmala, sottraendomi al pericolo.
qualche nazista, ma dietro di me non
rimetrali e scoprii una finestra aperta.
Mellano Francesca.
c’era nessuno, solo penombra e tronCon facilità la scavalcai e mi trovai tra
chi d’albero. Controllai in giro, ma
un semplice altare di pietra e una vennon vidi anima viva. Accertato di essere solo, mi voltai dunque per riprendere la strada verso la collina
pensando che il fatto fosse frutto
della mia fantasia, ma dopo pochi
passi sentii nuovamente quel “pizzicotto”. Mi rigirai su me stesso per ben
due volte, scrutando in tutte le direzioni, ma mi resi ancora contro di essere solo. Esplorai con cura il punto
dove avevo sentito il tocco pensando
vi fosse rimasta impigliata una spina,
PER I CONTRIBUTI AL GIORNALE SUGGERIAMO L’USO DEL
C.C.P. N° 12220273
VI RINGRAZIAMO PER LA VITA ED IL
SUCCESSO DI
“LIBERTÀ DAL POPOLO!”
A Cantalupo Ligure nel 68° anniversario della battaglia di Pertuso con il Ministro della Salute Balduzzi (al centro), a cui il Presidente FIVL De Carli e il Dott.
Scotti consegnano la medaglia del 150° Unità d’Italia.