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LIBERTÀ dal Popolo Anno 2012 - Numero 3 Aut. del tribunale di Cuneo n° 625 del 20 settembre 2010 - Sped. in a.p. art. 2 comma 20/C legge 662/96 filiale di Cuneo - Dir. resp. Aldo Benevelli Realizzazione e stampa GRAPHEDIT Boves (CN) NOTIZIARIO DELLA F.I.V.L. SETTEMBRE OTTOBRE 2012 DI PACE? ANCORA L’UMANITÀ OFFESA DA PRIVILEGI E CORRUZIONE SPRECO A DANNO DEL POPOLO ITALIANO DERUBATO!!! NOI PARTIGIANI VOGLIAMO LA MARCIA SU ROMA? Rubiamo il motto che una città Medaglia d’oro ha adottato per una ormai tradizionale camminata biennale in memoria del sangue di martiri e popolazione innocente sparso nella prima furiosa crudele rappresaglia dell’orda nazista (Boves 19 settembre 1943): “Umanità offesa in cerca di pace”. Il Consiglio Generale dell’Organismo ecclesiale “Giustizia e Pace”, in un suo appello europeo sottolinea la necessità di coinvolgere di più i giovani. Hanno aderito all’appello anche le Associazioni Partigiane della FIVL , la Federazione promossa nel 1949 dal Comandante partigiano Enrico Mattei con alcuni suoi amici, il generale Cadorna, il Comandante Scrivia, il Comandante Argenton e altri di schietto impegno cristiano. Alla meravigliosa marea di giovani generazioni è pur obbligo morale ricordare l’orrore che le tre dittature (nazismo, comunismo sovietico, fascismo), hanno steso sull’intera Europa nella loro nefasta ingegneria di sterminio. Quella umiliante “offesa all’umanità ” ha segnato l’ora delle tenebre, ma non è riuscita a stroncare la fame di Libertà, di Giustizia, di Pace, nella umanità piegata ma non vinta. Ecco perché dopo i mesi di settembre e ottobre, ripeteremo in futuro, proprio come residuo di quel popolo europeo dal quale sono state restituite ai Paesi del Continente Libertà, Giustizia, Pace e Democrazia, un’altra serie di memoriali dei lager infernali progettati da Himmler, da Beria, da Pavolini, per gli ebrei e gli avversari politici. Oggi quei carnefici non si aggirano più in Europa. Però il Continente che s’era avviato al cammino di Unione e Pace, grazie a uomini come il cristianissimo professore universitario Giorgio La Pira “deciso di fare un ponte di preghiera tra Occidente ed Oriente per sostenere l’edificazione della Pace” (sue parole espresse a Mosca davanti a Kruscev ed il Soviet Supremo il 16 agosto 1959), grazie ad altri credenti come Adenauer, De Gasperi e Schumann, ora soffre una stagione di crisi non solo economica, ma etica e spirituale. Da tempo si predica la “globalizzazione”. Sia ben chiaro che non va intesa solo come un processo socio-economico: Non è la sua unica dimensione. Sotto c’è la realtà di una umanità che diviene sempre più interconnessa. E’ costituita da popoli a cui quel processo deve essere di utilità e di sviluppo, compresi i cosiddetti “Paesi poveri il cui coinvolgimento permetterebbe oggi di meglio gestire la crisi europea”. Giovanni Paolo II ebbe una arguta, saggia battuta: “La globalizzazione, a priori, non è buona, né cattiva”, sarà ciò che le persone ne faranno!”. prosegue a pag. 5 FEDERAZIONE ITALIANA VOLONTARI DELLA PERCHÉ LIBERTÀ DAL POPOLO? Perché Libertà, Democrazia ed Unità le avevamo gradualmente perse per 20 anni dall’imbroglio fascista, dalla ignominosa fuga di Monarchia, Governo e Stato Maggiore e poi dalla feroce invasione nazista (8 settembre 1943). Ripartendo DAL basso DALLA gente comune (soldati sbandati, operai e contadini, studenti, uomini e donne) l’abbiamo, con gli Alleati, riconquistata e restituita all’Italia. LIBERTÀ - SETTEMBRE-OTTOBRE 2012 I PARTIGIANI DELLA “SUA FIVL” CON ENRICO MATTEI A BESCAPÈ, LOCALITÀ DOV’È PRECIPITATO L’AEREO Sabato 27 ottobre con i pionieri dell’ENI si raccoglieranno i Partigiani della FIVL (Federazione Italiani Volontari Libertà) fondata da Enrico Mattei il 14-4-1948 a Milano, con il Presidente nazionale Guido De Carli, per celebrare l’anniversario della morte del Presidente dell’ENI. Alle ore 11 celebrerà la S.Messa il Vescovo di Pavia Mons. Giudici. Seguiranno discorsi commemorativi del Sindaco di Bescapè Prof.ssa Curti, il Senatore Daniele Bosone, i Presidenti della FIVL Guido De Carli e dell’ APC professor Morini. Riportiamo un breve squarcio della vita partigiana del nostro fondatore Mattei, a cura di Raffaele Morini: “La lotta di Liberazione Mattei l’aveva proprio nel sangue, come quei giovani partigiani coi calzoncini corti e le maniche rimboccate che andavano all’assalto del nemico. Così il comandante “Monti”, per surriscaldare l’atmosfera e rinforzare le file del movimento partigiano e con esso le proprie file, aveva fatto divulgare in più istituti universitari le decisioni assunte dal rettore dell’università di Padova il 26 novembre 1943. Come nelle giornate del primo Risorgimento, l’ateneo padovano era diventato il centro della cospirazione e della Resistenza veneta. Le prime riunioni del CLN si erano svolte nello studio del rettore magnifico, professor Concetto Marchesi. Il 26 novembre 1943 si aprì l’anno accademico: comandi e autorità fascisti furono allontanati a viva forza dai membri del corpo accademico. Ignorando l’esistenza del governo mussoliniano, il rettore magnifico inaugurava l’anno accademico in nome dei lavoratori, degli artisti, degli scienziati. Questo il testo dell’appello del rettore che Enrico Mattei rese pubblico nelle università del Nord Italia: “Oggi non è più possibile sperare che l’università resti asilo indisturbato di libere coscienze operose, mentre lo straniero preme alle porte dei nostri istituti e l’ordine di un governo che, per la defezione di un vecchio complice, ardisce chiamarsi repubblicano, vorrebbe convertire la gioventù universitaria in una milizia di mercenari e di sgherri… Studenti: mi allontano da voi con la speranza di ritornare a voi maestro e compagno. Dopo la fraternità di una lotta assieme combattuta. Per la fede che vi illumina, per lo sdegno che vi accende, non lasciate che l’oppressore disponga della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l’Italia dalla schiavitù e dall’ignominia, aggiungete al labaro della vostra Uni- versità la gloria di una nuova più grande decorazione in questa battaglia suprema per la giustizia e per la pace nel mondo.” Il generale Cadorna testimonia che durante la sua assenza Enrico Mattei aveva fatto miracoli, riorganizzando sotto le insegne democristiane, a dire il vero piuttosto liberali, vecchie formazioni autonome e nuove formazioni. E se lo dice Cadorna c’é da credervi. Solo con la divulgazione dell’appello del rettore dell’università di Padova, seppure clandestinamente, in tutti gli atenei era riuscito a smuovere le coscienze, illuminando la strada da prendere in quel momento tragico. Mattei nell’organizzare è sempre stato un “Cavour” e nell’azione un “Garibaldi”. Egli in tutte le cose si è sempre buttato con indomabile spirito: e lo spirito è forze, lo spirito è vita.” Dal testo appena edito scritto dal Presidente del APC Raffaele Morini. A SAVONA OLTRE DUEMILA PRESENZE RICORDIAMO DUE EROI ALPINI PARTIGIANI: IGNAZIO VIAN E TERESIO OLIVELLI Lelio Speranza, vice presidente FIVL A Savona oltre duemila i partecipanti alle importanti manifestazioni di commemorazione dei Caduti, nel quadro del centoquarantesimo anniversario della fondazione delle Truppe Alpine e dell’assegnazione del Premio Alpino dell’anno. Alla presenza delle massime Autorità Civili Militari Religiose, dei gruppi Alpini, delle rappresentanze dell’Associazione Volontari della Libertà della Liguria F.I.V.L. delle Associazioni d’Arma Combattentistiche Patriottiche dei Sindaci ed Enti Locali, dopo la sfilata per le vie cittadine l’omaggio al Monumento dei Caduti, si è svolta alla Fortezza del Priamar, la celebrazione della Santa Messa officiata da Don Bof, la commemorazione e la consegna del Premio. Si sono quindi effettuati interventi di autorevoli personalità tra le quali il Generale Verda coordinatore del cerimoniale, il Presidente A.N.A. di Savona Dott. Gervasoni, il Vice Comandante delle Truppe Alpine Generale Macor, il Presidente della Provincia di Savona Dott. Vaccarezza, il Prefetto della Provincia di Savona Dott.sa Basilicata, il Presidente della Conferenza Permanente delle Associazioni d’Arma – Combattentistiche – Patriottiche Comandante Dott. Lelio Speranza Vice Presidente Nazionale F.I.V.L., che ha commemorato i Caduti e ricordato due Eroi della Lotta per la libertà. In questa giornata, commovente, le figure di molti cari amici scomparsi passano nelle nostri menti e sostano davanti ai nostri occhi pensosi. Noi vorremmo poterli stringere tutti in un supremo abbraccio e porgere la nostra mano a quanti dei loro cari sono rimasti a piangerli. Ricordiamo due per tutti, due Alpini Partigiani che vissero e soffrirono da Eroi la lotta per la Patria e per la Libertà. Ignazio Vian, Medaglia d’Oro al Valor Militare, Alpino, Ufficiale della Guardia di Frontiera, nato a Venezia nel 1917, dopo l’armistizio in una Italia umiliata senza guida per la fuga del Re, del Governo e dei Generali, disarmata ed aggredita dalle truppe tedesche Naziste assetate di odio, lo vide subito protagonista e radunare i primi 150 militari Alpini e sbandati formando la prima formazione militare partigiana sulle montagne di Boves in provincia di Cuneo e guidare i suoi uomini al primo scontro sanguinoso il 19 settembre 1944 contro i carri armati Nazisti della Divisione Corazzata S.S. Adolf Hitler ed a respingerlo. Il destino lo spinse tra i primi a combattere decisamente i potenti reparti tedeschi nella Valle Colla, ove tutti i partigiani lo elessero spontaneamente a loro Comandante. Ignazio Vian era riconosciuto da tutti come un intrepido combattente, competente, strategico, capace con entusiasmo a guidare la guerriglia contro i potenti reparti militari Tedeschi e della Repubblica Fascista. Non subì mai sconfitte. Non fu sconfitto quando le forze Nazifasciste lo rastrellarono in Valle Colla (Boves). Non fu sconfitto quando dopo aspri combattimenti riuscì a passare in Val Pesio. Non fu sconfitto quando subì il tremendo attacco in Val Corsaglia, ogni volta che veniva attaccato dal nemico per essere distrutto, modificava azioni strategiche con studiata determinazione. Non fu nemmeno sconfitto, quando tradito e catturato dalle Forze Nazifasciste fu tradotto nelle Carceri di Torino, fu barbaramente seviziato e massacrato perché fornisse nomi e strategie sulla Resistenza. Ignazio Vian non parlò e per timore di cadere vittima del suo fisico, si tagliò le vene dei polsi e scrisse sul muro della cella con il proprio sangue “ MEGLIO MORIRE CHE TRADIRE” Radio Londra lo citò a tutti gli Italiani ed a tutto il mondo come Simbolo del Soldato Italiano. Fu impiccato il 22 luglio 1944 in corso Vinzaglio a Torino davanti ad una folla terrorizzata. Appeso al capestro riuscì a gridare “Viva l’Italia”. Teresio Olivelli “Il Beato dalla Penna Nera” Alpino Ufficiale del 2° Reggimento Artiglieria Alpina della Divisione Juilia, nato a Bellagio nel 1916. Fu combattente eroico e generoso. Partecipò alla Campagna di Russia con la Divisione Julia e dopo aspri combattimenti riuscì a sopravvivere alla ritirata a NiKolajewka. Rientrato in Italia, l’8 settembre 1943 ingaggiò assieme ai suoi Alpini un feroce combattimento contro i reparti corazzati di una Divisione Nazista ed il 9 settembre fu catturato ed internato in Germania. Con grande determinazione ed alto senso della Patria riuscì più volte a fuggire e dopo molteplici traversie, con il suo coraggio e la sua pazienza, pur sapendo la fine che lo attendeva, ma sorretto soprattutto dalla sua Fede, riuscì a tornare in Italia. Con la mente sempre tesa a prevenire la cattura rientrò a Brescia dove organizzò con un gruppo di giovani cattolici la Resistenza allacciando collegamenti con ex alpini, combattenti, studenti, operai e fondò le leggendarie Formazioni Partigiane “Fiamme Verdi” le cui Brigate furono protagoniste di audaci azioni, lottando e combattendo contro le forze Tedesche e Fasciste, nel Bresciano ed in alcune provincie Venete. Il suo patriottismo, il suo esempio fu elemento di stimolo e di Fede per la lotta di Liberazione nel Bresciano. Nella primavera del 1944 pubblica il giornale “Il Ribelle”. Sostenitore dei Valori Cristiani compone “La Preghiera del Ribelle”. Il 27 aprile 1944 viene catturato dalle Milizie Nazifasciste, portato a Milano e rinchiuso nelle carceri di San Vittore. Dopo aver subito varie sevizie è tradotto nel Lager di Hersbruk dove morirà tra stenti e torture il 27 gennaio 1945. Nel ricordo dei Caduti rinnoviamo il solenne proposito di mantenere in vita gli Ideali per cui si sono immolati, Ideali che fanno di loro dei Martiri e di noi i custodi ed i difensori del loro estremo sacrificio. Impegnamoci a porre alla base dei nostri programmi quelli che furono i principi informatori e lo spirito del secondo Risorgimento della Patria. Principi e spirito che ci impegnano ad un rinnovamento di coscienza e di sistemi in uno spirito nuovo che radicato nelle esperienze, nelle tragedie, nelle tradizioni del passato ci proietti verso un avvenire più limpido, più attivo, più costruttivo, specialmente oggi che viviamo in una società decadente e priva di Ideali. Impegno solenne di difendere sempre e dovunque e contro chiunque osasse insidiarla, questa nostra pace, questa nostra Libertà così duramente conquistata su tutti i fronti, su tutti i campi di battaglia col sangue dei nostri fratelli più cari, “i Migliori Figli della Patria”. Lelio Speranza Al Ministro della Salute la medaglia d’argento Unità d’Italia della FIVL CRONACHE PARTIGIANE ANCORA A SAVONA 21 AGOSTO A BOISSANO: MED. 150° AI PARTIGIANI VIVENTI Nel quadro delle manifestazioni organizzate dalla Associazione Volontari della Libertà della Liguria FIVL, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia e del 63° anniversario della fondazione della FIVL, il 21 agosto presso il punto FIVL di Bossano (Savona) da Paolo Silla, ha avuto luogo la cerimonia di consegna della Medaglia d’Argento FIVL commemorativa dell’impegno, del coraggio, del sacrificio alla Lotta per la Libertà. L’incontro si è svolto in un’atmosfera di commossa e particolare partecipazione. L’orazione ufficiale è stata svolta dal dott.Lelio Speranza, comandante partigiano, presidente dell’AVL Liguria e vicepresidente nazionale FIVL, che ha ripercorso la storia della Resistenza ricordando la partecipazione corale di popolo , contro chi voleva sopprimere il bene più prezioso della Libertà. “In questi gravi momenti di crisi politica ed economica dobbiamo impegnarci sempre più attivamente onde evitare voci reazionarie che vorrebbero fare dimenticare la storia della Resistenza e cancellare i nomi di tanti italiani che hanno avuto il coraggio e l’eroismo di ribellarsi, combattere e morire per la nostra Patria, per la nostra Libertà.” Il comandante Speranza ha infine rivolto un appello ai giovani affinché raccolgano l’eredità lasciata dalla Resistenza a stimolare la costruzione di una società migliore. Ha preso quindi la parola il dott.Gianfranco Cagnasso rappresentante dei famigliari dei Caduti e vicePresidente dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’età contemporanea della provincia di Savona, figlio del comandante Bill (Eugenio Cagnasso) della V Brigata Garibaldi Divisione Bevilacqua, barbara- mente trucidato nel 1944 nella zona di Origlia (Savona), il quale ha ricordato come oggi è più che mai importante riprendere i senso dell’ordine morale del rispetto dei diritti altrui, del rispetto delle cose pubbliche e private : “Per questi principi molti, troppi cittadini italiani hanno sacrificato la loro esistenza”. Sono seguiti interventi di saluto, tra cui un particolare ringraziamento da parte di Paolo Silla, ex partigiano appartenente alla squadra Comando della Divisione Garibaldina Pinan Cichero comandata dal comandante Scrivia, infine un messaggio da Pietro Maddalena, autorevole personaggio del ponente savonese (AVL Liguria) che ha invitato a continuare ad operare a sostegno dell’importante ruolo storico che continua ad avere l’AVL Liguria-FIVL nella nostra società. DAI PARTIGIANI DI GORIZIA PROMOSSA LA MOSTRA STORICA “UNA LUNGA NOTTE 1942-1945” DUE COMANDANTI PARTIGIANI IPPOLITO E FRANCO: ARRIVEDERCI! IL COMANDANTE IPPOLITO E’ stato un punto di riferimento partigiano di indiscusso prestigio e di provata fede patriottica. L’avvocato Ippolito Alberti ha toccato profondamente la coscienza di quanti lo hanno conosciuto e stimato nel periodo della Resistenza. Lo ricorda per noi Giorgio Levratto che visse e combattè al suo fianco nella squadra Comando durante la Lotta per la Libertà. “Ho conosciuto il tenente Ippolito nella seconda quindicina del mese di giugno 1944. Il Maggiore Mauri gli aveva conferito il comando della Brigata Mondovì che era sistemata a Ciglié. Era in una posizione strategica delle Langhe perché a Ciglié confluivano le strade provenienti da Niella Tanaro, da Bastia e da Rocca Ciglié. Saputo che ero di Savona mi ha parlato subito in dialetto perché lui veniva da Genova. Ho capito subito che era un tipo simpaticamente chiaro e capace di prendere posizioni decisive nei confronti dei nazifascisti. Dopo un mese e dopo una serie di discussioni e confronti tutta la Brigata Mondovì è partita nella notte per andare all’aeroporto militare di Mondovì ed aiutare i militari avieri italiani a ribellarsi ai soldati tedeschi e quindi venire con armi e bagagli ad ingrossare la nostra Brigata. Purtroppo qualcosa di imprevisto è successo e dopo una sparatoria senza fine, tre nostri compagni sono stati uccisi ma tutti gli avieri italiani sono riusciti a passare nelle nostre file. Dopo la conquista, da parte partigiana della città di Alba, un gruppo di noi con a capo il Tenente Ippolito è partito per partecipare al presidio della città ma dopo due giorni di permanenza abbiamo saputo che un plotone di repubblichini San Marco stava avvicinandosi. Dopo un breve scontro a fuoco, con il Tenente Ippolito a bordo di auto blindo, abbiamo catturato tutti i San Marco che ci hanno fornito di cappotti per l’inverno e ci hanno aiutato a completare il campo di aviazione che era in allestimento. Dopo il ritorno a Cigliè, il Tenente Ippolito è stato incaricato dal Maggiore Mauri di andare in Val Tanaro ove una banda di delinquenti impauriva e derubava la popolazione indifesa che doveva subire quei malfattori che non avevano nessun scrupolo e nessuna pietà per i più deboli. Durante lo spostamento dalle Langhe alle Valli Monregalesi abbiamo incontrato a Corsaglia un gruppo di Garibaldini savonesi che io in parte conoscevo. Loro venivano da Viozene e scendevano dalla Valle del Monte COMANDANTE “FRANCO” Avvocato Mario Bruno Mario Bruno fece parte della 1a Divisione Autonoma Langhe del Gruppo Divisioni Alpine del leggendario Comandante Mauri. Partecipò nel rigido inverno del 1944 ai sanguinosi combattimenti nelle Langhe, contro Forze Corazzate Naziste, incurante della sua salute, e continuò a combattere con coraggio e dedizione, a rischio più volte della vita, sino alla liberazione. Dopo la Liberazione riconosciuto dal Ministero della Difesa grande invalido di guerra dovette subire anni di cure e sofferenze. Fu un personaggio importante, intransigente custode dei valori di democrazia, contro ogni cedimento e fraintendimento di comodo. Egli ha toccato profondamente la coscienza di quanti lo hanno conosciuto e stimato, durante le drammatiche vicende della Resistenza sia che dopo la liberazione nella sua lunga attività professionale, di servizio ed assistenza a tanti dei partigiani dell’Associazione Volontari della Libertà della Liguria di cui è stato con me tra i soci fondatori ed autorevole dirigente; egli si sentì sempre soldato della Libertà e della Dignità umana, contro il disprezzo della persona e contro tutte le violenze. Gli è stata assegnata meritevolmente la medaglia 2 Mongioie, erano molto stanchi e soprattutto erano stati per molto tempo senza mangiare. Dal Tenente Ippolito sono stati invitati a mangiare alla nostra mensa ove hanno avuto modo di rifocillarsi; è stato un gesto di fratellanza che mi ha soddisfatto e dopo tanti anni incontrandoli per Savona ricordavano ancora quell’invito che prescindeva dal colore politico che ognuno aveva ma teneva solo conto del nemico che avevamo in comune. Alla fine di gennaio del 1945 è successo il tragico fattaccio; durante uno scontro con un Reparto di Cacciatori degli Appennini, informati da spie pagate profumatamente, il Tenente Ippolito in un tentativo di difesa è stato colpito alle gambe da una raffica di mitragliatore; il suo amico tenente Milo, nel tentativo di aiutarlo è stato ucciso quindi Ippolito è stato abbandonato con il rischio di morire dissanguato. Un gruppo di contadini del posto, che lo conoscevano bene, quando i Repubblichini sono andati via lo hanno caricato in un furgoncino e nascondendolo in mezzo a cassette di frutta, lo hanno portato in una clinica Svizzera situata a Torino ove è stato ricoverato per avere le cure adeguate. Il fatto è stato scoperto dai nazifascisti che ne pretendevano la consegna ma l’intervento delle autorità svizzere ha proibito che venisse consegnato. Dopo molto tempo è guarito completamente e finita la guerra è venuto a Savona per poterci vedere e ricordare il pericoloso periodo trascorso insieme.” Giorgio Levratto Ass.ne Volontari Libertà Savona L’ASSOCIAZIONE VOLONTARI LIBERTÀ E L’ANPI DI GORIZIA HANNO ORGANIZZATO LA MOSTRA FOTOGRAFICA “UNA LUNGA NOTTE” NESKONCA NOC 1942-1945 PRESSO LA GALLERIA D’ARTE DELLA PROVINCIA IN COLLABORAZIONE CON IL CENTRO ISONTINO DI RICERCA E DOCUMENTAZIONE STORICA LEOPOLDO GASPARINI. LA MOSTRA È STATA RICAVATA DALLA COLLEZIONE DI ERMINIO DEL FABBRO, È STATA ILLUSTRATA AMPIAMENTE DAL PROF. DARIO MATIUSSI. E’ STATA COMMEMORATA LA BATTAGLIA PARTIGIANA DI GORIZIA DEL SETTEMBRE 1943 SCOPRENDO UNA LAPIDE IN MEMORIA DEI CADUTI DELLA BATTAGLIA DEL SETTEMBRE 1943. L’ANNUALE CERIMONIA SUL MONTE CAMUN-GREZZANA MEMORIA DI RITA ROSANI IL PARTIGIANO BERNARDO TRAVERSARO PRESIDENTE ELETTO DELL’ASSOCIAZIONE MUTILATI DI GUERRA d’Argento dei Volontari della Libertà ed è stato per noi un punto di riferimento significativo perché figura di indiscusso prestigio e moralità cristallina. Il ricordo commosso di Franco, dell’Avvocato Mario Bruno, valoroso Combattente per la Libertà e Grande Invalido di guerra, rimarrà sempre vivo nella nostra mente e nel nostro cuore, per il suo impegno, per la sua cultura, per la sua nobile Testimonianza. Lelio Speranza Bernardo Traversaro, di Rapallo, è il nuovo Presidente Nazionale dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra e Fondazione. Bernardo Traversaro, già vicepresidente e presidente Regionale per la Liguria, poi vicepresidente nazionale dell’ANMIG, è chiamato a raccogliere così l’eredità trentennale del Senatore Gerardo Agostini, scomparso il 2 settembre scorso. Durante la Seconda Guerra Mondiale Bernardo Traversaro ha partecipato alla Resistenza nella Divisione Garibaldina “Coduri” che operava nella VI Zona Ligure. A ottobre del 1944, nei pressi del Santuario della Madonna della Guardia, a Velva, durante uno scontro a fuoco con reparti tedeschi e alpini della “Monterosa” della RSI, rimase ferito a una gamba con altri tre compagni. Auguri fraterni all’amico neo Presidente ANMIG e buon lavoro! Domenica 9 settembre sulla cima del Monte Comun è stato commemorato il 68° anniversario della battaglia tra reparti neo fascisti e tedeschi e il distaccamento di partigiani dell’Unità Aquila (17 settembre 1944). Sul prato riservato a sacrario da Lino Tezza e mantenuto dalla moglie Adriana, il Comune di Grezzana e l’Associazione Volontari della Libertà – sezione di San Massimo all’Adige, con il patrocinio della Federazione Italiana VDL, hanno promosso il commosso ricordo annuale del sacrificio della Medaglia d’Oro Rita Rosani, del partigiano Dino Degani e dei tre dispersi Selva, Gallo ed Orso (nomi di battaglia e purtroppo mai individuati i loro nomi, cognomi e provenienze). Tra le iniziative legate a questa battaglia, ricordiamo la titolazione di strade, sia a Grezzana sia a Verona, a Rita Rosani e Dino Degani. Una voluminosa ricerca delle scuole di Negrar e il recente concorso “Dino Degani” nella Scuola Media Giovanni Pascoli hanno coinvolto una folta ed impegnata partecipazione di giovani che hanno dimostrato interesse e passione alle tematiche della Resistenza. GRAZIE AGLI AMICI E LETTORI CHE AIUTANO IL GIORNALE A VIVERE. UTILIZZATE IL BOLLETTINO ALLEGATO C.C.P. N° 12220273 VI RINGRAZIAMO PER LA VITA ED IL SUCCESSO DI “LIBERTÀ DAL POPOLO!” CRONACHE PARTIGIANE A VERONA IL 21-9-2012 CELEBRATO IL 69° ANNIVERSARIO DELL’ECCIDIO DELLA DIVISIONE ACQUI A CEFALONIA E CORFÙ LA PASTASCIUTTA DEL 25 LUGLIO UNA DATA GASTRO-STORICA: ARGUTA INIZIATIVA DA CASA CERVI Alla caduta del Fascismo, il 25 luglio del 1943, fu grande festa a Casa Cervi, come in tutto il Paese. Una gioia spontanea di molti italiani che speravano nella fine della guerra, nella morte della dittatura. La Liberazione verrà solo 20 mesi dopo, al prezzo di molte sofferenze. Ma quel 25 luglio, alla notizia che il duce era stato arrestato, c’era solo la voglia di festeggiare. A Campegine, i Cervi insieme ad altre famiglie del paese, portarono la pastasciutta in piazza, nei bidoni per il latte. Con un rapido passaparola la cittadinanza si riunì attorno al carro e alla “birocia” che aveva portato la pasta. Tutti in fila per avere un piatto di quei maccheroni conditi a burro e formaggio che, in tempo di guerra e di razionamenti, erano prima di tutto un pasto di lusso. C’era la fame, ma c’era anche la voglia di uscire dall’incubo del fascismo e della guerra, il desiderio di “riprendersi la piazza” con un moto spontaneo, dopo anni di adunate a comando e di divieti. Di quel 25 luglio, di quella pagina di storia italiana è rimasto poco nella memoria collettiva. Eppure c’è stato, in tutta Italia e in quella data, uno spirito genuino e pacifico di festa popolare: prima dell’8 settembre, dell’occupazione tedesca, della Repubblica di Salò. Prima delle brigate partigiane e della Lotta di Liberazione. L’Istituto Cervi, 15 anni fa, ha voluto ricostruire quel clima di gioia a partire dall’episodio della storica pastasciutta di Campegine, riproponendo la stessa formula di ritrovo spontaneo e festoso. Per ricordare (e siamo tra i pochi a farlo)una data simbolica della nostra storia, quando la pastasciutta era in bianco e le camice no... Buon appetito antifascista *La ricetta è già stata accettata come gradita a Busto Arsizio, a Bologna, in provincia di Massa, ecc... MA A VARESE HANNO ALTRI GUSTI! Il quotidiano varesino “la Provincia” nel numero di martedì 16 ottobre dava notizia di una celebrazione programmata per domenica 28 ottobre in un locale aperto al pubblico, un ristorante di Cittiglio. L’occasione della celebrazione risulta essere nientemeno che il 90° anniversario della marcia su Roma. Il carattere della manifestazione si evidenzia sia dal programma; “ai partecipanti verrà dato un omaggio speciale, un gadget da conservare, il ritratto del duce” che dà le motivazioni . Non si tratta di una occasione per una valutazione storica ma di una vera e propria manifestazione politica così come spiegano i promotori. Preferiscono il santino di Benito alla pastasciutta romagnola! Venerdì 21 settembre 2012, alle ore 10,00, presso il monumento nazionale dedicato alla Divisione Acqui, a Verona, si è celebrato il 69° Anniversario dell’eccidio di Cefalonia e Corfù, con l’autorevole presenza del Sottosegretario di Stato, per il Ministero della Difesa, dott. Gianluigi Magri, in rappresentanza del Ministro, Ammiraglio Giampaolo Di Paola. La ricorrenza annuale ha voluto ricordare uno dei più tragici fatti accaduti all’Esercito italiano durante la seconda guerra mondiale, tra il 12 ed il 26 settembre del 1943, con la cruenta morte di circa 10.000 soldati italiani. La “Divisione Acqui” era dislocata in Grecia, nelle isole ioniche di Cefalonia e Corfù, con l’Italia alleata della Germania; con l’armistizio dell’8 settembre 1943, il Governo del Regno d’Italia firmò la tregua nei confronti degli anglo americani. All’intimazione di deporre le armi da parte degli ufficiali tedeschi, la Divisione Acqui preferì il combattimento ed il sacrificio al disonore del disarmo, mantenendo fede al giuramento fatto alla Patria lontana. Cominciarono le battaglie e la Divisione Acqui, lasciata a lungo senza ordini chiari, come tutto l’Esercito italiano, fu sopraffatta dalle preponderanti forze tedesche e la rappresaglia della Vehrmacht fu tremenda e la Divisione Acqui si immolò mantenendo l’onore dell’Esercito e la fedeltà alla Patria. A Cefalonia morirono in combattimento IN ATTESA DELLA MOSTRA A NOVEMBRE UN UOMO CHE NON SI ARRESE MAI MICHE BERRA, IL GIORNALISTA CHE ANDÒ IN MONTAGNA Miche Berra (Michelangelo) è morto circa due anni fa a Città del Guatemala; aveva 90, essendo nato i 23 agosto 1920 a Moretta in Provincia di Cuneo. Viveva da oltre un anno nel centro America con la figlia Erica e la sua famiglia. Giovanissimo, Berra venne assunto alla Sentinella d’Italia quotidiano di Cuneo, poi con la guerra, divenne giovane ufficiale degli alpini; dopo l’8 settembre scelse la strada dei monti e si unì ai partigiani G.L. a Paralup, in Valle Stura e poi in Valle Varaita. Impossibile ricordare tutte le sue implicazioni con la vita culturale cuneese tradottesi in collaborazioni con i vari settimanali e quotidiani, articoli, pubblicazioni, mostre. Nel 1975 venne nominato Maestro del Lavoro; nel 2001 il comune di Moretta gli concesse la cittadinanza onoraria. (“sono nato a Moretta due volte: la prima nella stazioncina del treno un mattino di fine agosto, la seconda quando un ostetrico forse un pochino temerario mi ha fatto rinascere: una delibera presa all’unanimità del Consiglio Comunale di Moretta mi ha dato la cittadinanza onoraria) Qui sotto, alcune “schegge” tratte dai moltissimi articoli scritti durante la sua vita: “Giugno è un mese che gli uomini della mia generazione, quelli che avevano 20 anni nel quaranta, non dimenticheranno mai. Il 10 giugno 1940 Mussolini dichiarò guerra alla Francia e Inghilterra. Ero giovane cronista e il mio direttore mi mandò a Saluzzo per un’adunata di donne fasciste. Tirava quel giorno un’aria torbida: si sapeva che stava per accadere qualcosa di decisivo anche se soltanto pochi giorni prima il duce aveva detto al sen. Agnelli di rassicurare gli operai della FIAT che l’Italia sarebbe stata fuori dal conflitto. Sciaguratamente cambiò idea. ———— L’8 settembre 1943 fu un mercoledì. Ero smontato dal mio primo picchetto. Da quattro giorni prestavo servizio quale sottotenente di prima nomina nel Reggimento Alpini Borgo San Dalmazzo, nella caserma Pignone di Cuneo. Quella sciarpa azzurra che attraversava la giubba, il cui fiocco di fili dorati batteva sul fianco ogni volta che rispondevo al saluto. E come ne ero fiero! Anche Emma che venne a prendermi ne fu inorgoglita, poi insieme percorremmo i portici dal lato permesso solo agli ufficiali. Eravamo già quasi in piazza Vittorio quando si sentì vociare “l’armistizio”! “la guerra è finita”. La gente pareva impazzita, qualcuno gridava “vittoria” anche se nell’aria c’erano soltanto presagi di sventura, di sconfitta. ———— Il giorno 10 settembre in caserma con Giorgio Bocca, Cipellini, Aurelio Verra, Gigi e Ercole Silvestro attendevamo nel cortile della caserma ordini che non venivano. Vidi il tenente Miche con il fazzoletto verde Nardo Dunchi, scultore delle Apuane, uscire con un autocarro pieno di armi dalla porta carraia diretto in Bisalta. Intanto udivamo un incessante rombo di camion e di automezzi con sopra cannoni e lo sferragliare dei carri armati e gli zoccoli dei muli delle salmerie che percorrevano l’acciottolato di via Roma. Era la quarta armata in rotta che fuggiva dalla Francia, lasciando dappertutto armi, divise, cavalli e mule. Ci fu poi il saccheggio di viveri e di altro materiale nella caserma. Il cortile della caserma era invaso anche di borghesi. Molti arraffavano tutto quello che potevano dai magazzini e dell’argenteria nella mensa ufficiali. Pochi (riconobbi Dadio Soria e Arturo Felici) cercavano di portar via delle armi. Alla porta non c’era più l’ufficiale di picchetto. Bocca, Ci- pellini e Verra partirono per Frise in Valle Grana. “I tedeschi” si gridava nelle vie “stanno arrivando” .La gente era piena di terrore. Era lo sfacelo anche di vent’anni di retorica. Con un camion Fiat 34 con su pochi alpini, armi e coperte, presi la strada di Valgrana: due ore dopo ero a Pradleves. Cominciavo la vita partigiana. Il mattino successivo, 12 settembre, scrive l’amico carissimo Mario Donadei in Cronache partigiane, “ un esiguo reparto della divisione SS “Adolfo Hitler” comandato dal maggiore Peiper entrò in Cuneo. Saluzzo, Fossano, Mondovì, Alba subirono identica sorte. Poche compagnie di tedeschi erano riusciti a mettere sotto controllo un’intera provincia, che contava sul suo territorio più di centomila soldati italiani” ----------Rossana: un paese cordiale, silenzioso che evoca memorie di altri tempi…..ho molti ricordi di Rossana particolarmente di Lemma, di Madonna delle Grazie, su su fino a San Pietro. A Lemma il mio amico Pierre, generoso rifocillatore di partigiani, mi salvò la pelle, durante un rastrellamento del famigerato Pavan. A Rossana transitai con la mia banda della brigata G.L. Saluzzo per la cattura della Compagnia controcarro della Littorio. Un’azione memorabile, da manuale, alla quale partecipò anche Giorgio Bocca. Fu la mia banda a fare irruzione nella scuola elementare vicino al municipio di Busca dove alloggiavano i littorini. Nella cascina Tarditi di Rossana dormii il sonno del riposo del guerriero più morto che stanco.” Miche Berra Il 24 novembre alle ore 16.30 si inaugurerà al FILATOIO di Caraglio la mostra: “UNA STORIA DI ARTE E VITA” dedicata alla collezione di MICHE BERRA. La mostra, promossa dall’Associazione Culturale MARCOVALDO con il sostegno della REGIONE PIEMONTE, della Compagnia di SAN PAOLO, della Fondazione CRC e della Fondazione CRT, sarà aperta fino al 24 febbraio 2013 dal giovedì al sabato ore 14.30-19 e la domenica ore 1019 65 ufficiali, 1250 sottufficiali e soldati, furono sommariamente fucilati 325 ufficiali e 5000 sottufficiali e soldati ed oltre 3000 sottufficiali e soldati risultarono dispersi in mare, per il volontario affondamento delle navi che dovevano trasportarli nei campi di concentramento e di prigionia. Nell’isola di Corfù morirono in combattimento 2 ufficiali e 600 sottufficiali e soldati ed altri 17 ufficiali furono fucilati. Alla Cerimonia di venerdì 21 settembre u.s., presso il monumento nazionale della Divisione Acqui, eretto a Verona nel 1966, per l’elevato numero di veronesi caduti a Cefalonia e Corfù, e nello stesso anno inaugurato alla presenza dell’onorevole Aldo Moro, allora Presidente del Consiglio, hanno partecipato gli ormai pochi reduci e superstiti di quelle tragiche giornate, provenienti da tutte le Regioni d’Italia. Oltre alle numerose autorità civili, militari e religiose, locali e nazionali, erano presenti i labari e le bandiere delle Associazioni d’Arma, Combattentistiche e della Resistenza e numerosi gonfaloni di città e province decorati al Valor Militare; presente anche il glorioso Medagliere della FILV, alla quale l’Associazione Nazionale Divisione Acqui è associata. Particolari onori sono stati riservati al Medagliere dell’Associazione Nazionale Divisione Acqui, con le sue 27 medaglie d’oro, ai decorati viventi ed ai famigliari dei decorati alla memoria, nonché alla bandiera di guerra del 17° Reggimento “Acqui”, decorata di medaglia d’oro al APPELLO DA ALBA CHIEDIAMO PIÙ MEMORIA DEL 29 AGOSTO 1944 PER TERESA BRACCO, MARTIRE, E PER I 32 ASSASSINATI Il mese d’Agosto di ogni anno ci riporta con il pensiero al mese di Agosto dell’anno 1944, che proprio al suo termine registrava due fatti tra i più aberranti che l’uomo possa compiere, comportandosi al di fuori di ogni comportamento che possa essere riconducibile a qualche scampolo di umanità. Il 28 agosto nel paese di Santa Giulia tra Langhe ed Appennini, sul confine tra Piemonte e Liguria la violenza della Guerra portò, in questo scampolo di Piemonte alcuni soldati tedeschi che stavano effettuando un rastrellamento alla ricerca dei partigiani. In quel luogo operava la banda del famoso e famigerato “biondino”. Queste soldataglie si resero colpevoli di numerose violenze e saccheggi. Proprio in questa circostanza una contadina ventenne, Teresa Bracco, ragazza semplice ma dotata di straordinario coraggio, si era energicamente opposta alla prepotenza di un soldato tedesco per salvaguardare la propria virtù. Un gesto che andava oltre la salvaguardia della propria dignità difendendo oltre il proprio corpo anche la libertà della donna. La malcapitata veniva barbaramente uccisa. Il sacrificio di Teresa Bracco è stato valutato dalla Chiesa idoneo per la sua consacrazione , infatti verrà elevata agli altari con la beatificazione nell’anno 1988 da Papa Giovanni Paolo II. Il giorno 29 agosto 1944, durante u rastrellamento da parte della Divisione Monterosa, composta di militi e soldati tedeschi provenienti da Pollenzo ed Alba, riesce ad accerchiare alla Morra trentadue partigiani della 48° Brigata Garibaldi e della Brigata Bra. Gli accerchianti intimano la resa ai garibaldini promettendo salva la vita. Appena arresi i partigiani vengono passati per le armi a San Bartolomeo della Morra (Cerequio). L’eccidio di Cerequio è uno dei fatti che dimostrano quanta acredine e quanta vigliaccheria vi fosse nei reparti di occupazione spalleggiati dai fascisti. L’Associazione Padre Girotti si fa promotrice della richiesta affinché questi fatti siano ricordati annualmente in modo che la memoria rimanga indelebile nel tempo. valor militare. Era presente un reparto militare di formazione pluri-arma e la banda musicale militare. Quest’anno ha anche partecipato il gruppo storico “Brigata Acqui 24 giugno 1859 San Martino e Solferino, con costumi militari della storica battaglia risorgimentale che “fece l’Italia”. Per l’occasione inoltre, presso il Circolo Ufficiali di Castelvecchio, fino al 22 settembre, è stata allestita una interessantissima Mostra fotografica, sui tragici fatti della Divisione Acqui. L’organizzazione della cerimonia è stata curata dal Comune di Verona, Ufficio Manifestazioni, dal Comando Militare RFC Regionale Veneto di Padova, coordinato dal ten. col. Giorgio Castagna e dall’Associazione Nazionale Divisione Acqui, Sezione di Verona, rappresentata dal presidente provinciale Claudio Toninel, nipote di Mario Toninel, reduce di Cefalonia e dalla segretaria nazionale Luisa Cassandri Caleffi, vedova di Guido Caleffi, anch’egli reduce di Cefalonia e già presidente nazionale dell’Associazione. Guido Caleffi e Mario Toninel erano compagni d’armi, entrambi in forza al 17° Reggimento di Fanteria della Divisione Acqui, di stanza ad Argostoli, città capoluogo dell’isola di Cefalonia, ed hanno vissuto personalmente quei tragici fatti, trovando scampo alle fucilazione e riuscendo, alla fine del conflitto e dopo diverse vicissitudini, a ritornare in Patria. Assoc. Nazionele Diviosione Acqui CALENDARIO ALBESE Intenso programma settembre-ottobre 2012 dell’Associazione Partigiana “P. Giuseppe Girotti” Domenica 16 settembre Area “Caserma Covone” Rievocazione della strage di Cefalonia e della deportazione del 43° Reggimento di Fanteria nei lager nazisti. Ricordo del primo Caduto della Resistenza albere. Venerdì 21 settembre Chiesa di San Giuseppe ore 21.00 Lettura sulle inumane operazioni di militari catturati e deportati su carribestiame da Alba in Germania, privati di cibo, bevande, medicinali,ecc—Interventi del Canonico Chiesa, Avvocato LaVerde, Chiodi, Porcari, Farinetti. Proiezione del film, “Tutti a casa”. Protagonista il popolare attore Alberto Sordi. Venerdì 19 ottobre Chiesa di San Giuseppe ore 21.00 Proiezione di un documentario rievocativo della fucilazione dei tre martiri di Roddi: Cavalletto, Morando e Castelli. Venerdì 19 novembre Chiesa di San Giuseppe ore 21.00 Ricordo della tragedia del Corpo di spedizione in Russia con presentazione di pagine di Pier C. Pellegrino. Proiezione della pellicola “Italiani brava gente” di Giuseppe De Sanctis. LUTTO Una vera folla ha accompagnato alla chiesa e poi all’eterna dimora del cimiteero di Mondovì (CN) la compianta salma di una moglie e di una madre esemplare: Nini Mazzucchi Chionetti. Non potevano mancare i partigiani della “Ignazio Vian”. Nini era la moglie di un volontario della Libertà, Piero Chionetti, uno dei partigiani del distaccamento della Tura, proveniente da Mondovì. Profondamente credente, Nini aveva accettato dalla volontà di Dio la prova grande quando il marito Piero era salito al cielo e la sua memoria diventò una ragione di vita per lei, unitamente alla cura dei nipoti che amava di un amore grande tanto da far pensare che vivesse per loro. Gianni Raineri 3 RESISTENZA DELLA FAMIGLIA ARRESTO, CARCERE, FUGA IN MONTAGNA MINACCE, PAURA, ECC... APRILE 1945: GIOIA E NOBILISSIMO ESEMPIO DI PAPÀ ASTEGGIANO, PARTIGIANO E CRISTIANO E’ una parte della storia di una famiglia “proletaria”. Mio padre, Antonio, ex contadino giovanissimo era stato assunto dalle Ferrovie dello Stato, quindi dalla sua natia Bra si era trasferito prima a Saluzzo e quindi a Cuneo. Mio fratello Gianni, conseguito il diploma a 18 anni fu assunto quale impiegato alla STIPEL (Telefoni) di Cuneo, nel contempo si iscrisse alla Facoltà di Economia a Torino. Fu iscritto al G.U.F. (Gioventù Universitaria Fascista) partecipò, lo ricordo, ai paramilitari del sabato, come la totalità dei cittadini. Igino, all’epoca dei fatti, 9 anni. Ho pensato necessario inquadrare la famiglia per trasmettere, fare percepire, cosa e quanto rappresentò per tutti l’8 settembre 1943. Un ciclone materiale e morale, terribile; cugini, amici, fidanzati morti o dispersi in Russia, Albania, Grecia. Abitando, all’epoca, nei pressi della stazione ferroviaria assistemmo per giorni allo scorrere di colonne di migliaia di militari “sbandati” rientranti dal fronte francese. Ciascuno cercava qualche altro civile per mascherare il suo stato e proseguire il suo viaggio verso i propri luoghi di origine. Dopo qualche giorno di questo tristissimo spettacolo, l’arrivo dei tedeschi. Rivedemmo altre colonne di nostri militari, inquadrati dai militari tedeschi a bordo delle famose motociclette con sidecars sui quali erano posizionate le mitragliatrici. Questa volta le colonne andavano verso la Nei giorni seguenti alcuni ex compagni di scuola: Lamberti, Marro, Bocca ecc. si unirono ad alcuni ex-ufficiali dell’esercito che abbandonati dai propri superiori, smisero la divisa e formarono le prime bande. In quel tempo le armi si trovavano facilmente, i magazzini abbandonati dall’esercito venivano presi d’assalto dai cittadini, i quali condizionati dalla miseria dei tempi, correvano ad approvvigionarsi di coperte, scatolame, carne in scatola, gallette ecc. Furono pochi i primi resistenti, fu un inverno molto rigido, molta neve, ed alcuni non resistettero, lasciarono i compagni, anche su sollecitazione delle famiglie e si imboscarono presso parenti ed amici in genere nelle campagne. In questo clima le autorità della repubblica “sociale” indicono i BANDI DI CHIAMATA ALLE ARMI per i giovani, e di RICHIAMO per coloro che avevano abbandonato i propri reparti. In seguito a questi BANDI DI ARRUOLAMENTO ed alla mancata risposta da parte dei giovani e delle famiglie iniziò alla fine di febbraio una campagna di rastrellamenti, allo scopo di ottenere la collaborazione dei renitenti e soprattutto delle famiglie. E’ qui che inizia il coinvolgimento della mia famiglia. Una compagnia della Legione autonoma E. Muti intercetta dei giovani partigiani a Gaiola, scesi da Rittana (Paralup) per rifornimenti. Alcuni, nel tentativo di sfuggire, guadano lo Stura e si avviano verso Monte Croce, L’ultimo manifesto della...clemenza mussoliniana. stazione, i carri merci, la Germania. Guardavamo queste colonne dalle tapparelle socchiuse. Ai giovani di allora, quali il Giannetto “degenere” scoppiò il cuore di rabbia e di dolore, la più grande umiliazione e delusione. Lo ricordo, scaricò il suo impulso dando un pugno ad una finestra rompendo il vetro e tagliandosi un polso. 4 un altro gruppo fra cui mio fratello Giannetto riesce a svincolarsi e rientra a Paralup. Un capo squadra della Stipel, un certo Lavagno, aveva visto a Gaiola il gruppo dei giovani partigiani, fra i quali aveva riconosciuto il Gianni, suo collega d’azienda e vicino di casa. Lo denunciò e le conseguenze furono quelle di cui i BANDI SUC- CESSIVI ci danno la loro versione. Fummo arrestati, rinchiusi alla Leutrum, il carcere di allora, prima tutti e quattro in una cella, quindi papà e mamma da una parte, figlio e figlia dall’altra. Ricordo le proteste dei reclusi che, alla notizia dell’incarceramento di un bambino con la famiglia, manifestarono il loro dissenso sbattendo le stoviglie contro le porte delle celle. Dopo un paio di settimane fummo trasferiti nelle celle di punizione della Caserma degli Alpini, dove però fummo riuniti ai nostri genitori. Qui restammo per alcune settimane, quindi fummo nuovamente divisi. I genitori restarono in questo sito, noi figli fummo rinchiusi nell’armeria delle FIAMME BIANCHE (i giovani volontari) la cui caserma era posta in Corso IV Novembre, nell’ex palazzo della G.I.L. Usarono la loro influenza, per ottenere la nostra liberazione, il parroco del S. Cuore, Don Bruno, ed il Vescovo Mons. Giacomo Rosso. Don Bruno, per dare visibilità alla nostra vicenda pretese che, in qualità di chierichetto quale ero, fossi presente alla celebrazione della 1^ Comunione Parrocchiale del 1944. Fui accompagnato dai legionari armati, finita la celebrazione fui riaccompagnato nella cella della caserma degli Alpini. Alla fine di maggio furono liberati anche i miei genitori, Al momento della liberazione il colonnello Colombo, comandante della legione, riconoscendo le qualità umane del mio papà, volle comunicargli il nome del delatore. Quindi la fonte è certa! Il papà fu licenziato dalle FS; in mancanza di fonti di sostentamento fui autorizzato dal Colombo a presentarmi al carraio della caserma Muti, allora in C.so Brunet, dove oggi c’è l’Istituto Cottolengo, per ricevere il rancio dei militari. Dopo circa un mese la E. Muti fu trasferita da Cuneo ed arrivarono le Brigate Nere che si sistemarono nelle scuole di Via XX Settembre. Nel timore di essere nuovamente arrestati fuggimmo in valle Stura, a Bagni di Vinadio. Purtroppo ripresero i rastrellamenti e quindi per sottrarci ai nuovi pericoli, con alcuni abitanti della frazione, ci accampammo nei boschi di S. Anna. L’autunno ci trovò senza disponibilità economiche. La mamma, nel disperato tentativo di cercare aiuto presso i parenti di Savigliano, si avviò in bicicletta verso Cuneo. Nella discesa da Bagni di Vinadio a Pianche fu mitragliata dal famoso velivolo solitario “Pippo”, cadde nel dirupo. Fratture e ferite gravi, ricoverata sotto anonimato all’ospedale di Demonte. Per brevità evidenzio solamente che mancò ogni solidarietà dai parenti, timorosi delle rappresaglie; ma non quella di un collega del papà, il signor Longo, anche lui ferroviere. Ci ospitò nella sua casetta ubicata alle Basse di Gesso, allora molto defilata rispetto alle abitazioni della città. Tornammo a casa il 26/27 aprile, sulla porta di casa trovammo casualmente il nostro delatore con sul braccio la fascia gialla del G.A.P. (partigiano di città?) con le armi in pugno. Nelle settimane successive si formò in città la Polizia del Popolo, al cui comando fu posto il capitano Wolf, un ex-ufficiale di origini bolzanine. Questi si presentò a casa nostra per ottenere la denuncia del delatore e procedere all’arresto. Ricordo la prostrazione fisica e psicologica di mio papà, che inginocchiandosi, implorò il superamento del fatto. Allora non capivo questo comportamento e non lo approvai, più tardi compresi l’importanza del gesto, quanto valesse il rispetto della propria coscienza. Un grande lascito morale! Mario Igino Asteggiano * *L’asterisco indica il ragazzino Mario Igino Asteggiano DANTE COMANDANTE PARTIGIANO LA SUA FAMIGLIA: CASA, SCUOLA, CHIESA E LA TERRA DELLA FAMIGLIA ZOBBI... CI HA LASCIATO POCHI GIORNI FA Dante era nato a Santonio – la borgata che con Coriano a Calizzo costituisce la parrocchia di Tapignola, sulle pendici orientali del monte Prampa – il 18 febbraio 1921 in una famiglia povera di beni materiali, ma saldamente radicata nella fede. Ha due sorelle, Lucia e Rosa, e un fratello, maggiore di lui di tre anni. Francesco, che se ne andrà nei cappuccini e sarà il noto padre Remigio, sacerdote nel 1944. Dante rimane a Santonio a lavorare terra e boschi che, ad oltre 9oo metri di altitudine non richiedono che sudore per dare al contadino un minimo di alimenti per sopravvivere. E a frequentare assiduamente la parrocchia retta dall’arciprete di Minozzo don Veneto Fontana, altra figura eminente del cattolicesimo montanaro e della Resistenza. Indimenticabile l’insegnamento che riceve dalla maestra Caterina Giacopelli, la cui scuola era “luogo di studio, di educazione e di preghiera”. Giunto in età di leva e chiamato alle armi, viene arruolato nella Guardia alla Frontiera (GaF) e destinato alla Sempre il sorriso limpido del contadino-montanaro, poi eroico comandante “Dante delle Fiamme Verdi” Jugoslavia, nella zona montenegrina di Idria. Qui sperimenta la lotta partigiana, riflettendo su ciò che significa invasione straniera e desiderio di libertà. Ritornato a casa dopo l’8 settembre 1943, la sua formazione lo porta subito a schierarsi per la Resistenza al fascismo e alla reiterata alleanza con l’invasore nazista. L’esperienza militare e l’ottima conoscenza del territorio montano - dove sa muoversi nel nascosto di sentieri e mulattiere – fanno di lui il collaboratore ideale per le prime iniziative di don Pasquino Borghi e di don Domenico Orlandini “Carlo” in favore degli ex prigionieri alleati in fuga verso il Sud. Dante è uno dei più attivi fondatori dei primi tre distaccamenti che, annunciando di porsi come autonomi rispetto alle brigate Garibaldi, vengono a costituire il nucleo fondante delle “Fiamme Verdi” reggiane. Il primo sarà comandato dallo stesso Dante “Rinaldo” che lo intitolerà a don Pasquino Borghi. L’emergente personalità di Dante, la sua capacità di comando, la prudenza e la sicurezza che egli sa infondere ai suoi uomini fanno sì che il più delle volte – e non solo in quei mesi – il distaccamento sia noto con il suo stesso nome: “Dante”. Gli amici di Dante amavano ricordare lo scontro del 13 settembre 1944, la prima vera prova del fuoco delle Fiamme Verdi. Il tentativo di sabotare il passaggio di un’autocolonna sfocia in combattimento aperto: una settantina di partigiani contro poco meno di 500 tedeschi. Qui è la perizia di comando di Dante e il coraggio del suo vice “Giulio Incerti “Gallo” che con l’incosciente eroismo dei giovani, coprì con il suo fucile mitragliatore lo sganciamento di tutti gli uomini impegnati. Il più profondo – ma mai ostentato- eroismo di Dante si manifesta durante il rastrellamento iniziato il 6 gennaio 1945, nel corso di una tormenta di neve tra le più dure di quei decenni. Un metro e più di neve e un freddo che blocca le stesse armi automatiche. Per farle funzionare, i partigiani devono tenere sotto la canna dei mitragliatori un elmetto pieno di braci. Dopo che altri si sono ritirati, al “Don Pasquino” viene chiesto di appostarsi sulla Costa di Coriano per impedire ai tedeschi, dilagati in Val d’Asta, di entrare attraverso la Cisa nel ligonchiese e nel minozzese. Dante è deciso: non passeranno. E’ nel territorio di casa sua, nei suoi boschi e nei suoi campi, di cui conosce ogni minimo sentiero, ogni anfratto, perfino ogni eco. Sa dove appostare i suoi uomini. Sa dove puntare una mitragliatrice pesante (in un ripido pendio sopra la chiesa di tapignola) che, battendo la Costa, non lascia passare i tedeschi. E’ il combattimento, chiamato poi di Prà d’Ancino, nel quale cade il Vicecomandante delle Fiamme Verdi Aldo Dall’Aglio “Italo”, ucciso da una fucilata che “da là, contro di lui, non poteva partire”. I tedeschi, preponderanti per numero, armamento ed equipaggiamento, approfittando dell’alzarsi improvviso della nebbia, avevano aggirato la Costa ed erano scesi ugualmente verso il minozzese. “Ma non da qui”, dirà sempre Dante. “Da qui non sono riusciti a passare”. E nel dire questo con meritata fierezza – dieci anni or sono, accanto al cippo dove lui stesso aveva ritrovato il corpo inerte di “Italo”,il suo malcelato orgoglio non riusciva a nascondere le lacrime. Gli ultimi momenti sono i più celeri che un distaccamento partigiano appiedato possa compiere: il 21 aprile 1945 è a Sasso Rosso, in Garfagnana, per aprire la strada alle avanguardie alleate; poi, con una lunga marcia da Foce Radici, giunge a Baiso e, il mattino del 24 aprile, a Reggio Emilia per l’ultimo combattimento che consente alle Fiamme Verdi di entrare – primi partigiani delle brigate della montagna in città. CONOSCERE: PER EVITARE CHE QUEI TEMPI MALEDETTI POSSANO RITORNARE DOCUMENTAZIONE N°3 NON FU “CIVILIZZARE”, MA “ASSASSINARE” IN MASSA IL POPOLO DELL’ABISSINIA PER VANTARE L’IMPERO COLONIALE FASCISTA... SCANDALO! UN MAUSOLEO AD AFFILE (ROMA) PER IL CRIMINALE GRAZIANI! Affile – Un autentico criminale di guerra che è riuscito a farla franca avrà il suo mausoleo, dal costo di 130mila euro. Si tratta di denaro pubblico, speso in un momento in cui Comuni e cittadini versano momenti di eccezionale difficoltà. Rodolfo Graziani, generale e, nel secondo dopoguerra, politico italiano, fu capace di violenze e orrori che superano di parecchio i già duri confini delle azioni di guerra. Un nome impresso nella memoria di molti per gli eccidi compiuti. Monumenti e mausolei a questo servono, a omaggiare e ricordare, ma ad Affile, comune laziale, si è inaugurato una sorta di mausoleo intitolato a lui, che lì ha vissuto e trovato sepoltura. Circa 130mila euro di denaro pubblico, stanziati dal Comune, sindaco Ercole Viri, della Lista civica e Regione, per ridisegnare la figura attraverso un parco e un mausoleo a lui dedicati. Una scelta che divide anche e soprattutto perché in tempo di crisi, tagli e restrizioni , i bilanci degli Enti Locali destano ancora più preoccupazione. Qualcuno parla apertamente di scelta “aberrante”, perché brindare al monumento di Rodolfo Graziani significa esaltare il ricordo di azioni di spietata durezza repressiva, di deportazioni di civili, di rappresaglia, di processi sommari, di utilizzo di gas contro civili. Graziani fu responsabile di tutto ciò in Libia, in Etiopia, in Abissinia, prima di essere Ministro della Guerra nella Repubblica di Salò. Scomparso nel 1955 a Roma, Graziani dopo aver partecipato alla guerra del 1915-’18, stette a lungo in Libia, dove condusse la campagna per la riconquista della Tripolitania e della Cirenaica, di cui fu nominato governatore da Benito Mussolini. Incaricato di reprimere la ventennale rivolta anti-colonialista libica, portò a termine la sua missione condannando a morte, in un processo sommario, Omar al-Mukhtar, capo dei ribelli, eroe nazionale. Alla campagna corrisposero misure spietate anche contro i civili. Centinaia di migliaia di appartenenti alle tribù nomadi della Cirenaica furono rinchiusi in campi di concentramento appositamente allestiti, dove morirono a migliaia per le terribili condizioni igienico-sanitarie, la scarsità di cibo e acqua: uno strumento di pulizia etnica attraverso l’istituzione di lager infernali che precedettero il nazismo. Nel 1935 Graziani fu nominato governatore della Somalia dove, scavalcando la Convenzione di Ginevra del ‘ 25, che ne vietava l’uso, si servì di gas all’iprite con cui massacrò civili e militari. Nel conflitto italo-etiopico guadagnò il grado di Maresciallo d’ITALIA e il titolo di Marchese di Neghelli. Dal 1936 al 1937 fu vicerè d’Etiopia, dando forma ad un Governo dispotico. Proprio in Etiopia, in risposta ad un attentato fallito, ordinò rastrellamenti e rappresaglie che scatenarono conflitti a fuoco per le vie delle città, siglando la morte, secondo fonti etiopiche, di circa 30mila persone. NES- SUN PROCESSO FU MAI TENTATO PER APPURARE TUTTA LA VERITA’. Nel 1943 fu Ministro della Difesa della repubblica di Salò; agì in stretta collaborazione con i nazisti nella repressione della Resistenza. Dopo una condanna per collaborazionismo, fu liberato per amnistia nel 1950. Fu presidente del Movimento sociale italiano fino al 1954. Non rispose mai dei suoi delitti, scampò processi alla Norimberga che lui e altri generali avrebbero meritato. CINISMO ED ORRORI PROTETTI! La documentazione che doverosamente ospitiamo in questa pagina di Libertà dal Popolo è stata raccolta con impegno, rigore e scrupolosa ricerca nei famosi armadi del regime e poi di alcune Autorità Militari che hanno coperto l’inaudito cinismo ed orrore progettato da una ingegneria non inferiore a quella hitleriana. Il cervello di tale infernale progettazione realizzazione, anche quello, mascherato per 20 anni e per altri successivi, era la coppia Mussolini-Graziani! Anche oggi esiste l’ignoranza più becera o diabolica che non solo vuole mascherare, ma è arrivata alla meta più spudorata di celebrare pubblicamente i due satrapi della Dittatura italiana. Vogliate con coraggio leggere il contenuto di questa pagina nerissima degli anni ’30, di quella follia che oggi celebra il disonore d’Italia. DALLO STUDIO STORICO DEL PROF. ANGELO DEL BOCA DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO (…) Dall’inizio del conflitto, il 3 ottobre 1935, è Mussolini che indica gli obiettivi da conquistare, che fissa le date , in armonia con il suo spregiudicato gioco diplomatico. Quasi ogni giorno invia telegrammi operativi a De Bono (in seguito a Badoglio) sul fronte Nord e a Graziani sul fronte Sud, con ordini precisi, che non si discutono. E quando i suoi generali si trovano in difficoltà, perché il nemico è più forte e audace del previsto, e sul fronte Nord ha sfondato le linee ed è penetrato in Eritrea, è lui che concede il permesso di usare le armi proibite dalla Convenzione di Ginevra, i micidiali gas tossici. Di questi aggressivi chimici ha autorizzato lo sbarco segreto in Eritrea di 270 tonnellate per l’impiego ravvicinato, di 1000 tonnellate di bombe per l’aeronautica (caricate a iprite), di 60.000 granate per l’artiglieria (caricate ad arsine). MUSSOLINI AUTORIZZA GRAZIANI ALL’USO DI GAS TOSSICI Il primo ad essere autorizzato a impiegare i gas era il generale Graziani. Il 27 ottobre 1935, mentre stava per attaccare la piazzaforte di Gorrahei, riceveva questo telegramma da Mussolini: “Sta bene per azioni giorno 29. Autorizzato impiego gas come ultima ratio per sopraf- fare resistenza nemico o in caso di contrattacco”. Gli aggressivi chimici, però, non venivano usati nell’azione su Gorrahei perché sei tonnellate di esplosivo tradizionale bastavano a determinare il crollo del caposaldo. Ma il 15 dicembre, avendo appreso che ras Destà Damteu stava avvicinandosi alle fortificazioni italiane di Dolo con la sua armata, Graziani chiedeva “libertà di azione per impiego gas asfissianti”, così da rallentare la marcia dell’avversario. La risposta di Mussolini era immediata e positiva :”Sta bene impiego gas nel caso V.E. lo ritenga necessario per supreme ragioni difesa”. Graziani non perdeva tempo. Il 24 dicembre inviava tre Caproni 101 bis sulla località di Areri, dove ras Destà era in sosta con la sua armata e il bestiame per il sostentamento, e l’irrorava di iprite e fosgene. Gli attacchi aerei venivano ripetuti il 25, 28, 30 e 31 dicembre , con un lancio complessivo di 125 bombe. Il 10 gennaio 1936, telegrafando al generale Bernasconi, comandante dell’aviazione della Somalia, Graziani gli annunciava:”le ultime azioni compiute hanno dimostrato quanto sia efficace l’impiego dei gas. Al riguardo, S.E il Capo del Governo, con telegramma odierno n.333, me ne autorizzava l’impiego nella contingenza attuale, che ha carattere campale e definitivo per l’armata di ras Destà”. TESTIMONE IL RAS IMMIRÙ Sugli effetti di questa arma proibita disponiamo della testimonianza dello stesso ras Immirù Haile Sellase: “Fu uno spettacolo terrificante. Io stesso sfuggii per un caso alla morte. Era la mattina del 23 dicembre e avevo da poco attraversato il Tacazzè. Quando comparvero nel cielo alcuni aeroplani. Il fatto, tuttavia, non ci allarmò troppo, perché ormai ci eravamo abituati ai bombardamenti. Quel mattino, però, non lanciarono bombe, ma strani fusti che si rompevano appena toccavano il suolo e l’acqua del fiume, e proiettavano intorno un liquido incolore. Prima che mi potessi rendere conto di ciò che stava accadendo, alcune centinaia fra i miei uomini erano rimasti colpiti dal misterioso liquido e urlavano per il dolore, mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprivano di vesciche. Altri, che si erano dissetati al fiume, si contorcevano a terra in un’agonia che durò ore. Fra i colpiti c’erano anche dei contadini che avevano portato le mandrie al fiume, e gente dei villaggi vicini. I miei sottocapi, intanto, mi avevano circondato e mi chiedevano consiglio, ma io ero stordito, non sapevo che cosa rispondere, non sapevo come combattere questa pioggia che bruciava e uccideva.” (…) Impiegando tutti gli strumenti della censura, il regime fascista riusciva a nascondere agli italiani l’utilizzo in Etiopia delle armi proibite e prontamente e sfrontatamente smentiva tutte le notizie che apparivano sulla stampa internazionale con riferimenti all’uso dei gas. Questo silenzio imposto su uno dei peggiori crimini del fascismo doveva durare a lungo, per decenni, anche in piena democrazia. I PARTIGIANI CATTOLICI VOGLIONO LA MARCIA SU ROMA! dalla prima pagina E Papa Benedetto aggiunge “ E’ un fenomeno che esige di essere colto nella diversità e nell’unità di tutte le sue dimensioni, compresa quella teologica!”. Dunque, affrontiamo la crisi come cristiani secondo le direttive di questa Chiesa di scienziati e di persone concrete , come i due Papi. Lasciamo che qualche laico ci chiami “bigotti” ed organizziamo UNA MARCIA SU ROMA di tutto il mondo cattolico, in prima fila i giovani, come nel 1931 il simpaticissimo PierGiorgio Frassati, né beghino, né clericale! Non dimenticate che il Comandante partigiano e poi fondatore dell’ENI Enrico Mattei studiava con Don Montini, poi Paolo VI. Nell’Italia ripulita dalla lordura repubblichina (1945) ecco affer- marsi (1950), uno schieramento di giovani cattolici intellettuali e pragmatici uniti attorno ad un personaggio , il giovane Monsignor Giovanni Battista Montini (futuro Paolo VI), che fu lievito del Gruppo di “amicizie cristiane” dai grossi nomi di Alcide e Augusto De Gasperi, Enrico Mattei, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Ezio Vanoni, poi sodi e attivi “padri della Costituzione”. Militanti, studiosi, creativi dalle insanguinate trincee della Resistenza, balzati sugli spalti della rinata democrazia, dove, nel dibattito, costruirono un Paese nuovo. Oggi urge ripetere quel Paese. Risvegliare giovani e adulti, abbracciarci riconciliati su un sentiero puro che rifiuta insulti e volgare diffamazione, rovinosi protagonisti dello sfascio morale ed economico dell’Italia. FUORI LA CASTA! FUORI LA DESTRA NEOFASCISTA , LA LEGA DI CORROTTI IGNORANTI ARRICCHITI! FUORI L’ARROGANZA DELL’INSULTO, DELLA IRRISIONE DELLA FEDE E DEI SUOI TESTIMONI! FUORI UN CASINI POLITICO FUNAMBOLO, DIFENSORE DELLA SUA DOPPIA FAMIGLIA! A QUESTO PUNTO VOGLIAMO, COME NEL 1931, LA MARCIA SU ROMA DEI CATTOLICI E DEGLI ONESTI, FEDELI A DEMOCRAZIA, VERITÀ, GIUSTIZIA! Lettori, Partigiani, Amici vi aspettiamo in molti! Sul prossimo numero di Natale e Capodanno vi comunicheremo il PROGRAMMA-MARCIA. I partigiani della FIVL di Enrico Mattei, Settembre-ottobre 2012 IL MARESC. D’ITALIA RODOLFO GRAZIANI CON ALCUNI UFFICIALI DELLA REPUBBLICA DI SALÒ RIVESTIVA L’INCARICO DI MINISTRO DELLA DIFESA DEL GOVERNO NEOFASCISTA DI MUSSOLINI (1943-45) ACCANITA STRAGE FINALE DEL CLERO COPTO-CRISTIANO ASSASSINATI CIRCA 2000 RELIGIOSI UN GRAZIANI CRIMINALE MA ANCHE BUGIARDO! (…) Dopo aver esercitato la sua vendetta sulla nobiltà amhara, sugli esponenti di spicco dell’intellighenzia etiopica, sui cadetti della Scuola militare di Olettà, sulla folla anonima e miserabile di indovini, cantastorie, stregoni ed eremiti, nell’ultima decade di maggio Graziani prendeva come bersaglio il clero cristiano-copto e, in modo particolare, la città conventuale di Debrà- Libanòs- L’incarico di impartire questa nuova lezione veniva affidato al generale Pietro Maletti, il quale, a differenza di Nasi, era un perfetto esecutore di ordini. Le vittime furono spinte giù dal camion e furono rapidamente fatte allineare, con il viso a nord e la schiena volta verso gli ascari. Furono quindi costrette a sedersi in fila lungo l’argine meridionale del fiume, che in quel periodo dell’anno era quasi completamente in secca. Gli ascari presero quindi un lungo telone, preparato appositamente per l’occasione, e lo stesero sui prigionieri come una stretta tenda formando un cappuccio sopra la testa di ognuno di loro. Si procedeva quindi alla fucilazione dei religiosi. E mentre un ufficiale italiano provvedeva a sparare il colpo di grazia alla testa, vicino all’orecchio, gli ascari toglievano il telone nero dai cadaveri per utilizzarlo per il successivo gruppo di condannati. Alle 15,30 del pomeriggio tutto era finito e Graziani poteva annunciare a Roma che “oggi, alle 13 in punto” il generale Maletti “ha destinato al plotone di esecuzione 297 monaci, incluso il vice-priore e 23 laici sospetti di connivenza. Sono stati risparmiati i giovani diaconi, i maestri e altro personale d’ordine, che verranno tradotti e trattenuti nelle chiese di Debrà Berhàn: Il convento è stato di conseguenza chiuso definitivamente. Ma tre giorni dopo il vicerè cambiava idea, sembra su istigazione di ras Hailù Tecla Haimanot, il più noto e spietato fra gli aristocratici collaborazionisti, e inviava a Maletti questa nuova direttiva:”Confermo pienamente la responsabilità del convento di Debrà Libanòs. Ordino pertanto di passare immediatamente per le armi tutti i diaconi di Debrà Libanòs. Assicuri con le parole:”Liquidazione completa”. Il generale Maletti, con il consueto zelo, provvedeva subito a far scavare due profonde fosse in località Engecha, a pochi chilometri da Debra Berhàn e nella mattinata del 26 maggio faceva sfilare davanti alle mitragliatrici 129 diaconi, martiri giovanetti che la cristianità non ricorda e non piange perché africani e diversi. “Per cui” concludeva Graziani “la cifra dei giustiziati saliva a 449”. Ma la vera cifra degli assassinati era molto più alta , almeno tre volte superiore. Tra 1991 e 1994 i due docenti universitari, l’inglese ian L. Campbell e l’etiopico Degife Gbre-Tsadik, eseguivano nel territorio di Debrà Libanòs un’ampia e approfondita ricerca, interrogando monaci, cascì, civili , alcuni dei quali avevano assistito a una o più fasi del massacro. Dalle loro testimonianze emergeva che i fucilati a Laga Olde non erano 320 ma tra 1000 e 1600. Successivamente tra 1993 e 1998 il prof. Campbell proseguiva da solo le indagini spostandosi nella regione di Debrà Berhàn per trovare informazioni sulla strage di Engecha. Egli non soltanto riusciva a localizzare le due fosse che contenevano i corpi di 129 diaconi , ma poteva raccogliere le deposizioni di due testimoni oculari che avevano assistito alla strage dall’inizio alla fine. L’inchiesta di Campbell rivelava inoltre che Graziani, nel comunicare a Lessona l’eliminazione dei diaconi aveva sostenuto il falso. Egli infatti non si era limitato a ordinare a Maletti la “liquidazione completa” dei 129 diaconi, ma gli aveva ingiunto di sopprimere altri 276 etiopici, fra insegnanti, studenti di teologia, monaci e sacerdoti che appartenevano ad altri monasteri. Per cui il bilancio della strage di Engecha saliva a 400 vittime e quello complessivo della rappresaglia contro la città conventuale di Debrà Libanòs si aggirava secondo i due ricercatori tra 1423 e 2033 morti. Mai nella storia d’Africa, una comunità religiosa aveva subito uno sterminio di tali proporzioni. da “Italiani brava gente” Studi e ricerca di A. Del Boca CI SCUSIAMO CON I DILIGENTI, NUMEROSI I COLLABORATORI PER IL RINVIO DEI LORO GRADITI RINVII DI LETTERE AL GIORNALE, COMMENTI SU NUOVI LIBRI SULLA RESISTENZA, ECC... LE RUBRICHE FISSE SONO FELICEMENTE INVASE. VI PROMETTIAMO LA PUBBLICAZIONE SUL PROSSIMO NUMERO DI NATALE-CAPODANNO. GRAZIE 5 Il nonno racconta... RUBRICA DI STORIE VERE DELLA RESISTENZA RACCOLTE PERCHÈ HO SCELTO DI SCRIVERE IL RACCONTO DI NONNA BETTINA 60 ANNI DOPO LA STORIA INVEROSIMILE DEL NONNO SOTTRATTO AI TEDESCHI DA UN MISTERIOSO PIZZICOTTO NEL BOSCO... Ecco il suo testo letterale riferito dalla nipote Mellano Francesca La piacevole e luminosa copertina del libro su Nonna Bettina Riprendiamo, con volenterosa cura la pagina che ospita preziosi contributi scritti da figli, da nipoti e da amici della Resistenza. Una pagina che può essere accostata alla poesia del sentimento, alla carezza tenera dei nonni scomparsi da alcuni anni. Non è soltanto questo. Lo precisa l’amico, antropologo, prof. Andrea Vaschetto, nella introduzione al suo libro sulla nonna Bettina , là dove giustifica le sue fatiche per scrivere e pubblicare il suo racconto: “Ho capito che non basta ricordare per far ricordare, ma bisogna educare. In altre parole , ritengo che celebrare la memoria sia necessario ma non sufficiente, bisogna viverla ed applicarla.” . (vedi ; Bettina pag.16). Non a caso l’evento “Carovana della Pace- Cuneo-Boves 16 settembre 2012 , quest’anno nel suo motto “UMANITA’ OFFESA ALLA RICERCA DI PACE” mirava sì a far memoria del dolore, dei sacrifici e dei lutti causati dalle guerre di folli dittature nel secolo scorso, ma anche a “cercare piste faticose e non comode sulle quali costruire ogni giorno giustizia e pace”, in una stagione di nuove offese ed umiliazioni a disoccupati, precari, giovani e poveri. Non a caso la Commissione mondiale di Giustizia e Pace era uscita con un appello alle Chiese dell’Europa per un maggiore impegno dei Cattolici nell’affrontare e risolvere la pesante crisi sociale ed economica che crea un disagio insostenibile all’umanità colpite dalle cosiddette “nuove povertà”. Il volumetto è piacevole, scorrevole come una conversazione schietta, famigliare, commovente, perché il nipote ha stemperato la suggestiva raccolta delle imprese di nonna Bettina, partendo dalla prima emozione d’una ragazza che abbandona i banchi delle elementari e il calore d’un mondo contadino per emigrare a Torino a servizio d’una famiglia.. fino all’ora delle tenebre: fascismo, invasione nazifascista e Resistenza. E’ tutto e subito da Leggere! (A.B.) DICHIARAZIONI DELL’AUTORE “Ho scelto di scrivere il racconto di una parte della vita di mia nonna Bettina perché sento di essere la sua memoria. Avverto profondamente il peso della responsabilità di questa situazione e, forse, il motivo di questo scritto risiede proprio nel tentativo di sublimare tale peso. A maggior 6 ragione, in quest’epoca in cui, a mio parere, ciò che è stato ottenuto attraverso il dolore e il sacrificio di quelle persone, come Bettina, che dopo la guerra hanno continuato a lottare per un mondo giusto ed equo, è vanificato in nome di un sistema economico che, per come è strutturato oggi, non può che portare alla distruzione di quanto la sua generazione ha conquistato a livello politico e sociale. Sento il peso di una responsabilità (mi chiamo Andrea in onore del mio pro-zio, torturato e fucilato dai fascisti a Carrù , provincia di Cuneo, nel marzo del 1945) e un senso di colpa determinati dalla sensazione di impotenza, dall’impossibilità di fermare o anche solo modificare il declino della società e di quella visione del mondo che, con costanza e dedizione, la nonna ha tentato di passarmi. Pur sentendo miei quegli ideali, una rielaborazione dei suoi insegnamenti è inevitabile anche perché naturale: io non sono lei e non ho vissuto le sue esperienze. Questo non vuol dire che non porti avanti quei principi, anzi, forse è vero proprio il contrario: grazie a lei tento di viverli nella quotidianità. Essere la memoria dei valori di una persona significa adeguare quegli ideali all’epoca in cui si vive. Resteranno sempre in me le parole che ho sentito decine di volte : “ Ora e sempre Resistenza” e “Mai più questo”. Questo scritto è una parte di quanto è rimasto di quei racconti dentro di me, è la “Memoria”. Accanto ad essa, però, nel mio elaborare quei concetti ho affiancato qualcos’altro: il metodo che più o meno consapevolmente ho scelto per mantenere vivi quei valori. Ho capito che non basta ricordare per far ricordare, ma bisogna educare. In altre parole, ritengo che celebrare la memoria sia necessario ma non sufficiente, bisogna viverla e applicarla. Il “mai più questo” che Bettina mi ha insegnato, per me, si esprime nel sostenere l’educazione ai rapporti, alla consapevolezza dell’altro, chiunque esso sia. Credo che la memoria della Resistenza sia oggi l’educazione alla pace e alla nonviolenza con tutti quei sistemi, prevalentemente pedagogici ed educativi, che anni di studi e di esperienze hanno portato ad essere strumenti efficaci. Andrea Vaschetto ma rimasi perplesso e sbalordito non tina di panche in legno, ai piedi delDall’età di cinque anni, ogni estate, mio nonno Oreste mi accompagnava scoprendo assolutamente nulla. Ril’altare notai un panno rosso. Il silencon tutta la famiglia, in pellegrinagpresi quindi a camminare, ma per la zio era assoluto. Sentendomi sempre gio al Santuario di Valmala (Cuneo). terza volta “zac”, ancora quel trepiù stanco presi il panno, lo distesi su A dieci, dalla sua voce commossa, ne mendo pizzicotto! Allarmato mi voltai una panca e mi ci sdraiai: “Riposerò scoprii la ragione: allora smisi di col cuore in gola e ancora una volta un paio d’ore, poi riprenderò il camprotestare per la ripetitività della non vidi anima viva dietro di me. “Sto mino prima che diventi giorno”. Fumeta e cominciai a vivere quella giorforse tirando i dadi?” pensai, riterono i raggi del sole a destarmi. nata come momento di tenero e afnendo che realmente mi stesse dando “Dannazione! Ho dormito troppo, è fettuoso ringraziamento a Colei (La di volta il cervello. Con uno scatto ormai tarda mattina!” Mi diressi verso Madre di Gesù) che, con il suo interd’ira mi tolsi di dosso la giacca e anala finestra, la scavalcai e ripresi la mia vento, mi ha conservato un nonno lizzai ogni centimetro della stoffa: marcia con estrema prudenza. speciale. Ecco il racconto (assolutanulla che potesse giustificare quei Un’ora dopo ero in cima alla collina, mente autentico, quantunque abbia i “pizzicotti”. Che mi sta succedendo?” dove non c’era più traccia dei pastori, connotati dell’incredibile) dell’avvenMi chiesi decisamente preoccupato, ma solo i resti dei loro falò. Mi guardai tura, di cui il nonno fu protagonista, rimettendomi la giacca. Mentre stavo attorno e scorsi a valle una povera cadurante l’ultima guerra, in qualità di per riprendere il cammino vidi di setta. “Sarà abitata da contadini, non partigiano. fianco a me un’apertura fra gli alberi correrò pericoli con loro” mi ripetevo Francesca Mellano che non avevo notato prima. Incuriomentre cercavo di raggiungerla. “ Il buio del bosco mi pareva sempre sito , mi avviai in quella direzione: un Quando ormai distavo pochi passi, la più fitto ogni istante che pasporta si aprì e ne uscì una sava. Gli alberi mi si paravano donna miseramente vestita davanti, e con i loro rami semche vedendomi impallidì e bravano volermi intrappolare. sbarrò gli occhi dalla paura. Non si avvertiva il minimo storSospettando di essere io la mir di foglie per la totale assenza causa di ciò, dissi timidadi vento, però a un certo momente “Scusi signora, non mento il lugubre grido di una civoglio farle del male, voglio vetta mi fece trasalire e mi sentii solo saper..” Sentii dei passi letteralmente accapponare la dietro di me e mi voltai: si pelle… Mi pareva di essere capierano avvicinati un uomo tato in una foresta fantasma. sulla quarantina e un bamContinuavo a scrutare gli alberi bino sugli otto anni anche loro pallidi e terrorizzati. con estrema attenzione, ma il Stavo per aprire bocca, buio era troppo per poter distinquando l’uomo mi chiese in guere qualunque oggetto più lonun sussurro: “Siete un partitano da me di qualche decina di giano?” Appena mi vide ancentimetri. Se fossero apparsi i nuire con il capo , iniziò a nemici non li avrei potuti vedere gesticolare e mi intimò. “A in tempo, mentre loro mi avrebterra, abbassatevi! Se vi vebero scoperto immediatamente a dono, ci fucilano tutti. Abbascausa dei miei abiti americani satevi per l’amor del cielo!”. color giallo brillante. Per loro saRimasi disteso, sudando rebbe stato uno scherzo cattufreddo, finchè anche l’ultimo rarmi o uccidermi sul colpo, mezzo blindato non sparì mentre io non avrei neanche pooltre le colline. Solo a quel tuto correre via, figurarsi difenpunto mi sollevai con caudermi. Rimpiangevo amaramente tela. “Grazie” sussurrai aldi aver lasciato il fucile ai miei l’uomo. Lui annuì compagni, ora molto lontani da semplicemente, prima di agme. Quell’arma mi avrebbe sicugiungere con voce tremante: ramente rallentato ma, anche se “Non potevo certo lasciarvi in non avevo mai sparato un colpo, piedi. Ci avrebbero uccisi mi sarei sentito più sicuro. tutti. Sto dalla vostra parte, Scossi la testa e tentai di scacmica con quei cani invasori!” ciare quei pensieri. Doveva esMeno male siete giunto solo sere circa mezzanotte, la luna adesso. Se foste arrivato ieri splendeva sicuramente in cielo, Singolare fotoscatto del giovane partigiano Oreste, sera, vi avrebbero certo cattuanche se non riuscivo a vederla. forse appena uscito dal bosco di rovi e di paure... rato..!” “Come mai?” chiesi Ero molto stanco. Quanto mi saallarmato. “ieri notte avevano preso rebbe piaciuto distendermi a terra e sentiero scendeva fino a valle e ragposizione su quella collina: se ne riposare un po’, ma sapevo che non giungeva una chiesetta. “Intorno a me sono andati solo alle prime luci delme lo potevo assolutamente permettutto era immobile e immerso in un l’alba”. Così dicendo indicò l’altura tere : fermo, senza un riparo, sarei silenzio inquietante, eppure, alle mie sulla quale avevo visto il falò la notte stato una preda facilissima. Mi imposi spalle, percepivo come una folata di prima. di camminare finchè non avessi trovento che pareva spingermi in quella Per poco non presi un colpo: davvero vato un posto sicuro per fermarmi. direzione e che diventava sempre più ero stato li per gettarmi tra le braccia Sentivo i morsi della fame, non manforte. Stavo impazzendo? Ero stredei tedeschi, e all’ultimo momento giavo da almeno una giornata ma mi mato. Osservai la collina lontana: non avevo deciso di fermarmi nella chiesforzai per non badarvi. Improvvisaavevo la forza necessaria per raggiunsetta? Era solo un caso fortuito se mente gli alberi si aprirono un poco e gerla, al contrario la chiesa era vicina, avevo dormito fino a tardi ed evitato dallo scorcio illuminato dalla luna riuil percorso in discesa e poi, non si vequindi di imbattermi nelle truppe nescii a vedere una collina proprio dadeva nessuno nelle vicinanze dell’edimiche? Poi ricordai gli strani particovanti a me. Sulla sommità neanche ficio. “Mi riposerò qualche ora fra lari: avevo deciso di fermarmi in troppo elevata, intravidi il fumo e la quelle mura”. Pensai mentre per seguito a quei ripetuti pizzicotti… per luce di un falò. Che sollievo! Doveun’ultima volta lanciavo uno sguardo quel vento misterioso che, impedenvano essere di certo pastori. all’ormai lontanissimo falò che illudomi di puntare verso la collina, mi Improvvisamente qualcosa mi pizzicò minava la collina. In poco tempo, semaveva indirizzato verso la chiesa… letsulla schiena. Mi voltai di scatto, teso pre accompagnato e quasi sospinto da teralmente dirottato e quasi sospinto come una corda di violino. Temendo quel vento misterioso, raggiunsi la verso il Santuario della Madonna di di trovarmi di fronte alla baionetta di piccola chiesa, ne esaminai i muri peValmala, sottraendomi al pericolo. qualche nazista, ma dietro di me non rimetrali e scoprii una finestra aperta. Mellano Francesca. c’era nessuno, solo penombra e tronCon facilità la scavalcai e mi trovai tra chi d’albero. Controllai in giro, ma un semplice altare di pietra e una vennon vidi anima viva. Accertato di essere solo, mi voltai dunque per riprendere la strada verso la collina pensando che il fatto fosse frutto della mia fantasia, ma dopo pochi passi sentii nuovamente quel “pizzicotto”. Mi rigirai su me stesso per ben due volte, scrutando in tutte le direzioni, ma mi resi ancora contro di essere solo. Esplorai con cura il punto dove avevo sentito il tocco pensando vi fosse rimasta impigliata una spina, PER I CONTRIBUTI AL GIORNALE SUGGERIAMO L’USO DEL C.C.P. N° 12220273 VI RINGRAZIAMO PER LA VITA ED IL SUCCESSO DI “LIBERTÀ DAL POPOLO!” A Cantalupo Ligure nel 68° anniversario della battaglia di Pertuso con il Ministro della Salute Balduzzi (al centro), a cui il Presidente FIVL De Carli e il Dott. Scotti consegnano la medaglia del 150° Unità d’Italia.