La rivolta suona glam - Partito di Alternativa Comunista

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Partito di Alternativa Comunista - Progetto Comunista - Lega Internazionale dei Lavoratori - LIT
La rivolta suona glam
mercoledì 01 ottobre 2008
Musica e
dintorni
La rivolta suona glam
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L’industria discografica, sfiancata e noiosa come un
vecchio ronzino, dimostra di saper ragionare meglio persino quando si fa i
conti in tasca e non quando pretende di introdurre nuovi gruppi plastificati,
devoti o al glam-rock di ascendenza Strokes o alla versione da stadio
dell’r’n’b di Beyonce. Tra le ultime uscite, bisogna inevitabilmente segnalare
il doppio (in formato “economico―: cartonato senza libretti) che celebra i
gloriosi Primal Scream, gruppo che dalla musica elettronica ha saputo
riavvicinarsi al rock sudista e schierato che impressiona bene, e da circa
quindici anni, il nocciolo duro dei fans del southern in Europa e in Italia. Si
tratta di riedizioni di Screamadelica (disco seminale e godereccio che raccoglieva
lo scettro dal gruppo feticcio Stone Roses, prima di destinarlo nelle mani dei
più lineari Oasis) e di Give Out but Don’t Give out… dare il massimo senza
mollare. Pezzi furibondi come Loaded e Damaged, veri e propri segni di critica
alla società industriale - tematica che ritorna, senza alcuna retorica
prochavista o altermondialista, in Evil Heat - si mischiano a dolci ballate di
stampo persino più “blackcrowesiano― che “stonesiano―: (I’m gonna) Cry Myself
Blind illumina per la sua chiara dolcezza. Non si cerchino però in questo
lavoro le liriche nervose e schierate di Zack de La Rocha dei Rage Against the
Machine, vero e proprio poeta chinano, o le note antirepressive di Swastika
Eyes: la rivoluzione non ha bisogno di essere esibita per essere sfacciata.
Specie se si inneggia provocatoriamente al regime nazista davanti al pubblico
di un festival imbambolato dal teen-rock: la Destra Eversiva
aveva provato con la violenza, ci è riuscita con la propaganda. Questo il succo
del pensiero del cantante anglosassone. Come dargli torto?
Altra ottima prova, tra nuove uscite e riedizioni, si segnala il
cantautorale “Ballad of the Broken Seas―, di Mark Lanegan, vecchio guru di
Seattle prima di Nirvana e Pearl Jam, con la strepitosa cantautrice folk Isobel
Campbell. Messo alla berlina nel booklet lo stile di vita “americano―, che
mescola, come prevedevano i Poeti Crepuscolari, piccole cose con pessimo gusto,
l’album è un’apologia, dolorosa e non richiesta, straordinaria e non cercata,
della vena corale di certa musica chitarra e voce nord europea e della
condizione femminile in contesti borghesi. In questo filone:
“Revolver―, “The False Husband―, “The Circus is Leaving town―, “It’s hard to
kill a bad thing―. Ma è anche la prova canora dei due ad impressionare:
una voce scura che ha iniziato col rock psichedelico per convertirsi al blues
sulla strada del Demonio e un’interprete appassionata pur nella evidente
sapienza tecnica e formale. Una commistione che ha portato ai concerti inglesi,
italiani ed europei migliaia di appassionati, come non era facile prevedere, ma
certo sperare, vista la bontà sovrastante la collaborazione.
Questa bella rassegna si chiude con l’ispirata prova d’esordio, ormai
superata da un ottimo disco dal vivo, del duo Albarn-Simonon, la faccia
polemica dei Blur e lo sguardo colto e figurativo dei Clash. The Good, The Bad
and The Queen, nome del disco e nome del gruppo, dove Fela Kuti guida la
pattuglia dei musicisti nordafricani coinvolti nel progetto e dove Simon Tong
può finalmente sfoderare la personalità chitarristica che da turnista dei
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tossici eppur riflessivi Verve non riusciva a mettere né su disco né sul palco.
Inni dalla nuova Inghilterra contestativa, seguito ideale del sottovalutato
“Cut The Crap―, ultima prova dei gloriosi Clash, dopo un decennio militante
suonato romanticamente. Tour già passato in piccoli club, con alcune centinaia
di migliaia di richieste rimaste inevase. Più, e spiace anche dirlo, della
recente tournee promozionale dei Blur e dei B.A.D., ultima incarnazione di successo
della mente musicale dei Clash, Mick Jones. Nell’attesa dei festival estivi,
dei funambolici show nelle stazioni metropolitane e nelle case occupate, però,
riascoltare il disco è più che un promettente e giovevole antipasto.
Come evolveranno i tre discorsi: Damon Albarn ha già composto un
musical attraverso il quale, in modo ironico divertito e disilluso come sempre,
si misura con le teorie evoluzioniste e con l’ingombro di un colosso cinese
affrancatosi dalle macerie del Novecento col colpevole sfruttamento di
manodopera. Lanegan è tornato a far collaborazioni: progetti di tre/quattro
minuti in cui condensa un intero periodo creativo. I Primal Scream, sciatti,
antipatici e scostanti, dopo la riscoperta boogie di Riot City Blues
(“Nostalgia della Città Rivoltosa―), sono tornati a comporre. Nessuna speranza
però di poter prevedere le loro mosse… (contributo di Domenico Bilotti)
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