Icon - Facoltà di Architettura

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Icon - Facoltà di Architettura
Il numero si propone di fornire una particolare visione del design italiano dal 2001 al 2011, attraverso la rilettura di due
delle caratteristiche proprie dell’italian design, ovvero: l'ingegno nel saper fare e il valore iconico. Quanto
dell'italian style e quanto della nostra creatività si traduce in proposta, grazie all'ingegno e alla sapienza del fare? Quanto
queste due caratteristiche sono in grado di sublimare in artefatti, tanto la cultura dell'artigianato e della tradizione, quanto
quella dell'innovazione? Quanto ancora della forza iconica del design, che ha fatto la storia del design italiano, è ancora un
valore aggiunto negli artefatti degli ultimi dieci anni?
This issue will take a special look at Italian design from 2001 to 2011, by re-examining two of the field’s typical
characteristics: ingenuity in know-how and iconic value. To what extent do ingenuity and know-how incorporate
Italian style and creativity into output? To what extent can these two characteristics inject products with the culture of
craftsmanship and tradition, as well as the culture of innovation? In what measure is the iconic power of design – historically a
cornerstone of the Italian scene – still a value added in the products of the last ten years?
Nell’Opening, il tema centrale del numero viene affrontato ricercando le connessioni del design con il mondo dell’Arte
(Paolo Balmas) e con quello del Cinema, dell’Architettura, dell’Industria (Domitilla Dardi).
In the Opening, the central theme of the issue is discussed and connections are sought out between design and the
world of Art (Paolo Balmas) and the spheres of Film, Architecture and Industry (Domitilla Dardi).
Nella rubrica Designer, attraverso tre scenari distinti e partendo da presupposti differenti, ci si domanda se e quali siano elementi di
continuità o di discontinuità con la tradizione dell'italian style e quanto invece del valore iconico tanto caro alla nostra tradizione, sia
ancora oggi presente. Attraversando vari settori, si sfiora anche quello della moda alla ricerca da un lato del giusto mix tra artigianato
e industria, dall’altro con coraggio, sempre più conscia del valore aggiunto di una filiera interamente italiana. Molti sono i designer
protagonisti di questo racconto: Grcic | Urquiola | Arad | Lovegrove | F.lli Campana | Novembre | Levien |
Bestenheider | Yoshioka | Jongerius | Hayon | Maeda | Morrison | Citterio | Thun | Caccavale | Banzi | Ulian |
Gatto | Deepdesign | Zito | Velluto | Bocchietto | Uderzo | Fioravanti | Perri | Nichetto | Magini | Coccioli |
Lottersberger | Gamper | Damiani | Contin | Levanti | Adami | Iacchetti | Ragni | Paruccini | Pezzini | Arslan.
In Designer, three separate scenarios are proposed and different starting considerations are used in an attempt to state which, if
any, elements of continuity or discontinuity there are with the tradition of Italian style and how much of the iconic value that it holds
so dear is still present today. Various sectors are contemplated, including fashion, which is courageously looking for the right mix
between craftsmanship and industry, with growing awareness of the value added of an entirely Italian production chain. Many
designers have a leading role in this tale: Grcic | Urquiola | Arad | Lovegrove | Campana Brothers | Novembre | Levien
| Bestenheider | Yoshioka | Jongerius | Hayon | Maeda | Morrison | Citterio | Thun | Caccavale | Banzi | Ulian |
Gatto | Deepdesign | Zito | Velluto | Bocchietto | Uderzo | Fioravanti | Perri | Nichetto | Magini | Coccioli |
Lottersberger | Gamper | Damiani | Contin | Levanti | Adami | Iacchetti | Ragni | Paruccini | Pezzini | Arslan.
Factory offre una panoramica sulle aziende che assumono il design come valore aggiunto alla loro capacità di competere nei settori
del furniture, del product e del transportation, anche attraverso nuove modalità di commercializzazione o produzione.
Factory gives an overview of the companies that use design as value added to their ability to compete in the furniture,
product and transportation sectors, including through new marketing and manufacturing methods.
In Innovation&Research si indagano gli ambiti di ricerca “off limits” e le peculiarità della ricerca “sul” design in Italia.
Innovation&Research investigates ‘off limits’ research areas and the singular qualities of research ‘into’ design in Italy.
Compongono il Dossier: Openspace, per raccontare tre mostre sul design come fattore identitario del nostro Paese organizzate
nel calendario delle celebrazioni dei 150 anni d’Unità d’Italia e la quarta interpretazione del Design Museum presso la
Triennale di Milano con la Mostra curata da Alberto Alessi Le fabbriche dei sogni: uomini, idee, imprese e
paradossi delle fabbriche del design italiano; Close Up, che ripropone l'importante saggio scritto nel 1982 da
G.C.Argan, Il design degli italiani dove si esprimono con chiarezza le peculiarità e le radici dello stile italiano nel design; Thinking
about … che esplora il mondo visionario di Stefano Giovannoni; Trademark, che racconta la storia della Carrozzeria
Maggiora, una delle realtà industriali italiane in forte espansione e controtendenza..
In the Dossier: Openspace presents three exhibitions on ‘design as an identifying feature of Italy’ which have been organized as
part of the celebrations to mark the 150th anniversary of the country’s unification, as well as the fourth incarnation of the
Triennale Design Museum in Milan, with an exhibition curated by Alberto Alessi that is entitled The factories of
dreams: men, ideas, enterprises and paradoxes of the Italian design factories; Close Up features another look at
G.C.Argan’s important 1982 essay The design of Italians, which clearly outlines the distinctive characteristics and roots of Italian style
in design; Thinking about… explores the visionary world of Stefano Giovannoni; Trademark tells the story of the
significant growth against the trends on the Italian industrial scene of Carrozzeria Maggiora.
€ 10,00
n_49
anno | year IX, 2011 n.48 € 10,00
Italian Design 00.11
Rivista bimestrale - Bimonthly magazine innovazione e ricerca - innovation and research
diid disegno industriale industrial design innovazione e ricerca innovation and research Italian Design 01.11 n_49
diid
diid
COPERTADIID49:copertina 13 copia_sab 18/04/11 14:22 Pagina 1
disegno
industriale
industrial
design
Italian Design 00.11
Designer in Italy
Italian Design Factories
Italian Excellences in R&D
Italian Sportsystem
Dossier
150° exhibition | Rome & Turin
La fabbrica dei Sogni | Design Museum
Giulio Carlo Argan
Stefano Giovannoni
Maggiora
English and Italian Texts
Italian Design 01.11
Codirettore | Codirector
Lorenzo Imbesi
Coordinamento scientifico | Scientific Coordination Committe
Achille Bonito Oliva, Massimo D’Alessandro, Tonino Paris
Corso di Laurea in Disegno Industriale, La Sapienza, Università di Roma
Mario Morcellini
Facoltà di Scienze della Comunicazione, La Sapienza, Università di Roma
Francesco Cervellini
Corso di Laurea in Disegno Industriale e Ambientale, Università di Camerino
Vanni Pasca
Facoltà di Design, Politecnico di Milano
Medardo Chiapponi
Facoltà di Design e Arti, Università IUAV di Venezia
Andrea Branzi
Facoltà di Design, Politecnico di Milano
Redazione | Editorial Staff
disegno
industriale
industrial
design
indice
Direttore | Director
Tonino Paris
4
editorial
16Tonino Paris
4 Comunicare il Design italiano | xxxxxxxx
10
opening
22 Paolo Balmas
10 Un saper fare italiano? | Italian know-how?
32
Coordinamento redazionale | Editorial Coordination Committe
21 Domitilla Dardi
22 L’Italianità del design italiano, oggi | The Italianness of Italian Design today
6
designer
16 Vincenzo Cristallo | Francesca La Rocca
32 Continuità e discontinuità di un modello unico | Continuity and Discontinuity in a Single Model
Sabrina Lucibello (caporedattore | Editor-inChief), Fiorella Bulegato,
Federica Dal Falco, Loredana Di Lucchio, Lorenzo Imbesi, Carlo Martino
21 Carlo Martino
52 Impatto Iconico | Iconic impact
Napoli: Vincenzo Cristallo, Alfonso Morone
Milano: Alessandro Biamonti, Marinella Ferrara
Palermo: Cinzia Ferrara, Dario Russo
Roma: Paolo Balmas, Barbara Deledda, Paola Schiattarella
Venezia: Simona Romano, Olga Barmine
21 Clara Tosi Pamphili
60 Il nuovo Artigiano della Moda | The new Fashion Artisan
21 Alessia Vitali
66 Tra struttura e flânerie | Between Structure and Flânerie
Bangkok: Tommaso Maggio
Boston: Kristian Kloeck, Carla Farina
Buenos Aires: Pablo Ungaro
Hong Kong: Victor Lo, Lorraine Justice
Parigi: Federica Dal Falco
San Diego: Adriana Cuellar
70
factory
16 Marinella Ferrara
70 La gestione dell’innovazione continua | The Management of Continuous Innovation
22
16 Alessandro Biamonti
76 Germogli di un nuovo made in Italy | A Budding New ‘Made in Italy’ movement
Segreteria di redazione | Editorial Headquarter
Via Angelo Brunetti 42, 00186 Roma
Via Flaminia, 70 c/o dip.D.A.T.A, 00196 Roma
tel. +39 (0)6 49919020 | fax. +39 (0)6 49919015
www.disegnoindistriale.net | [email protected]
Collaborazione all’attività editoriale | Editorial activity Partnership
DE-TALES Ltd. 1-5 road SW61TX London
Progetto grafico | Art director
Roberta Sacco
16 Rossana Carullo
84 Cerchi un modo diverso per muoverti? | Looking for new ways to get around?
92
Impaginazione | Production
Paola Schiattarella
innovation&research
16 Sabrina Lucibello
92 Design tra invenzione e innovazione | Design between invention and innovation
Traduzione | Translations
A cura di | by Claudia Vettore
22 Loredana Di Lucchio
98 Innovazione in cerca di design | Innovation in Search of Design
DIID_Disegno Industriale | Industriale Design
Rivista bimestrale | Bimonthly magazine
Fondata e diretta da | Founded by
Tonino Paris
Registrazione presso il Tribunale di Roma 86/2002 del 6 marzo 2002 | Registered in Rome, Italy
ISSN: 1594-8528 Anno / year IX, 2011 n.49, Mar | Apr
Editore | Publisher
Rdesignpress
Via Angelo Brunetti 42, 00186 Roma -fax +39 06 49919015
www.rdesignpress.it | [email protected]
close up
dossier
I Giulio Carlo Argan
Il design degli Italiani | Italian Design
open space
Distribuzione librerie | Distribution through bookstores
joo distribution – milano
Distribuzione estero | Distribution for other countries
s.i.e.s. srl – milano
20092 cinisello balsamo (milano), via bettola 18 ­– tel. 02 66030400 – fax 02 66030269
www.siesnet.it | [email protected]
XXIII Rosa Chiesa
Brevetti, Marchi, Prodotti 1948-1970 | Patents, brands and products, from 1948 to 1970
Concessionaria pubblicità | Concessionary agent for advertising
Roma designpiu srl
Via Angelo Brunetti 42, 00186 Roma - fax +39 06 49919015
[email protected]
XXXIII Gianluca Grigatti
Stampa | Printing
Tipografia Ceccarelli, Grotte di Castro - VT
XXXVI Claudia Bombara
Stazione futuro. Qui si rifà l’Italia | Future Station. The Remaking of Italy
Il Futuro nelle mani. Artieri Domani | The Future In The Hands. Artificers Tomorrow
www.disegnoindustriale.net
XL Francesco Zurlo
Le Fabbriche dei Sogni | The Dream Factories
thinking about...
numero curato da | issue by
Sabrina Lucibello | Tonino Paris
S. Lucibello: Opening, Designer, Factory, Innovation&Research, Openspace;
T. Paris: Editorial, Opening, Close Up, Thinking about …, Trademark
XLVII Tonino Paris
Stefano Giovannoni_ La magia dell’immaginario | The magic of the imagination
trademark
LX Emanuele Bomboi
Maggiora_Carrozzieri si nasce. Stampatori industriali si diventa | Born as a
Coachbuilder, Made Industrial Metal Crafter
52
design & icon
Impatto Iconico
Iconic impact
Carlo Martino
Giulio Iacchetti, St. Peter Squeezer,
spremiagrumi | squeezer, Pandora Design,
2007
Nuova Fiat 500, Centro Stile Fiat, Torino
2008
Giulio Iacchetti & Matteo Ragni,
Moscardino, Pandora Design, 2000, XIX
Compasso d’Oro 2001
Il fenomeno dell’iconismo non è nuovo, ed ha pervaso tutta la seconda
metà del Novecento con una crescita esponenziale che ha visto associare
sempre l’icona al mito.
Richiamando le tesi di Fulvio Carmagnola è possibile affermare che anche
tutto il primo decennio del nuovo secolo ha visto le società più avanzate
dell’occidente e dell’estremo oriente impegnate a trarre valore economico
dalla “produzione d’immaginario”, a lavorare cioè in una “economia
funzionale”, che ha fatto dell’iconismo il proprio nutrimento.
Per cui, gran parte del design di inizio secolo ha avuto come obiettivo
principale quello della creazione e della stimolazione del desiderio
attraverso l’immagine e la sua trasformazione in icona di culto, un’icona
inequivocabilmente sinonimo di qualcosa, di uno stile di vita, di
un’esperienza, di una cultura.
Questa stimolazione alta dell’immaginario, non potendo attingere soltanto
ai fenomeni spontanei di elaborazione iconica delle diverse culture, ha
privilegiato in alcuni casi anche la formula del recupero delle icone del
passato, avviando processi di restyling delle stesse.
Si pensi alla nuova Cinquecento, della Fiat, presentata nel 2007 a 40 anni
precisi di distanza dal capostipite, ed oggi molto apprezzata anche dal
mercato americano, o pensiamo ai numerosi restyling della Vespa della
Piaggio. Il processo di revisione delle vecchie icone, se da un lato risponde
ad un processo antropologico nostalgico e di instabilità culturale, come
sostiene Virginio Briatore, dall’altro ha denunciato una situazione di crisi
dell’Iconismo contemporaneo, mettendo in risalto una scarsa capacità
delle società occidentalizzate di produrre nuove e potenti icone del
proprio tempo, o almeno, non nelle quantità che il sistema del consumo e
della comunicazione richiede.
Già alla fine degli anni Novanta del secolo scorso Vanni Codeluppi,
attraverso le sue ricerche, faceva emergere nel design una spiccata
capacità manipolativa dei contenuti comunicativi del prodotto, finalizzata
a un controllo della durata dello stesso e quindi ad un invecchiamento
programmato. Un invecchiamento che, facendo percepire l’oggetto come
superato, creava e alimentava, di fatto, una nuova domanda di prodotto,
favorendo lo scarto e l’abbandono del precedente.
Questa tendenza negli anni 2000 si è spinta oltre, fino ad arrivare alla
definizione di “showpieces”, di artefatti cioè pensati per essere consumati
nel giro di una fiera e di un evento, quindi di un istante, se paragonati ai
prodotti evergreen o long seller della storia del design.
Oggetti/installazioni pensati per celebrare i virtuosismi di un brand,
o il lancio di nuovi prodotti, come è accaduto per esempio nel caso
delle istallazioni fieristiche dell’azienda italiana di mosaici Bisazza con
Pixel Ballet, nel 2007, a firma di Jaime Hayon durante il fuori Salone
di Milano, o ancora sempre nello stesso anno, la performance per il
lancio del restyling della Fiat 500 a Torino. Ma torniamo al fenomeno di
trasformazione in icona e alle sue articolazioni. Innanzitutto possiamo
distinguere almeno tre tipologie di icone del design:
- Le icone/artefatto che rappresentano la sintesi tra innovazione
linguistica, tecnologica e tipologica, con uno spiccato carattere di unicità,
nonché trasversali alle diverse merceologie.
- Le icone/marchio che rimandano a un percorso aziendale evolutivo e a
un percepito di qualità, di eleganza e d’innovazione.
- Le icone/designer, che si legano a quei personaggi che hanno applicato,
con coerenza e continuità, uno “stile”, e attraverso i quali è possibile
associare artefatti, storie e territorio.
Affinché il processo d’Iconizzazione di artefatti e marchi si attui, devono
avverarsi alcune condizioni fondamentali al contorno.
Una può essere intrinseca al prodotto o al marchio, e cioè alla capacità
dell’uno o dell’altro di offrirsi come “segno”, così come definito da uno
dei padri della semiologia, Charles Peirce. Segno che ha carattere, che si
differenzia dal resto e che crea una discontinuità percettiva, un effetto
sorpresa piuttosto che un effetto spiazzante nel fruitore.
Ciò non significa pensare ad un oggetto/segno per forza di cose
ricco e articolato. La riconoscibilità può piuttosto derivare dalla sua
semplificazione – oggi più che mai auspicata da personaggi autorevoli
quali John Maeda e Jasper Morrison – dalla sua scala, o dal suo
equilibrio. Una semplicità che può facilitare il processo di assimilazione
e di sedimentazione, in un contesto sovraffollato dall’informazione e
dall’inquinamento semiotico.
Tra i numerosi esempi del design italiano d’inizio millennio è possibile
citare la cappa d’aspirazione Om, prodotta dalla Elica: un’icona in quanto
sintesi di un’innovazione tipologica, la cappa a parete, e di un’innovazione
morfologica, il piano; entrambe riassunte in segno di grande chiarezza ed
equilibrio, il cerchio.
Nel caso dei marchi ricordiamo Momodesign, brand dal sound ritmato da
due monosillabi simili, che già nel logo ha una forza iconica che presto si
è associata a dei mondi di qualità e di ricerca, trasferiti dalla motociclistica
alla telefonia. Un logo che gioca sulla ripetizione della lettera M. Lettere
quadrangolari che semplificano e ritmano la lettura.
Tra le Icone italiane d’inizio secolo - mobili, auto, moto, attrezzature
sportive, ecc. - poche sono riuscite a diventare tali per vocazione segnica.
E qui emerge un dato di crisi dello stile italiano impegnato, in questo
inizio di secolo, più a emulare e ad auto citarsi – vedi la Cinquecento –
che a cercare una rinnovata identità.
Altra condizione del processo d’Iconizzazione può essere il carattere
evocativo dell’oggetto. Il rimando a una data esperienza legata a
una cultura o a un territorio. Percependo l’oggetto/icona si attua un
immediato rinvio all’esperienza a esso associabile. Tra gli artefatti del
design italiano ricordiamo le serie di sedute Canasta, disegnate da Patricia
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Urquiola per B&B, divenuta un’icona dell’outdoor. In questo caso il
rimando è duplice. Il primo, alla vita en plein air divenuta un’aspirazione
sociale molto sentita, in perfetta sintonia con il filone ecologista; il
secondo, il rimando, molto ben gestito dall’autrice, alla tradizione
dell’intreccio di fibre naturali dei cestari, all’origine del nascente design
italiano negli anni Cinquanta con i masterpiece di Albini e Ponti. E ancora
il “Finger biscuit” di Paolo Ulian, il biscotto da indossare come un ditale,
che consente di gustare un altro emblema dell’Italia, la Nutella Ferrero,
o i sistemi Wellness di Technogym, disegnati da Antonio Citterio.
Qui certamente il design italiano ha vinto la partita. Il nostro paese,
sinonimo da sempre di qualità della vita, è ambito e desiderato, per
cui i prodotti, o i marchi, che più sono riusciti a rimandare a luoghi e
a esperienze italiani- vedi il successo di Slowfood, del brand Alixir e la
grande attenzione per le acque minerali, testimoniata da Ferrarelle,
Bolle/Sottsass e Lauretana/Pininfarina - hanno certamente avuto una
capacità di penetrazione più forte, sia all’interno del nostro paese che
all’estero. A questo punto va detto che i caratteri segnici o evocativi
dell’oggetto definiscono, di fatto, una vocazione ICONICA, che per
avverarsi deve però trovare, come direbbe Ortoleva, opportunità di
“presenza pubblica”. L’immagine deve trasformarsi in messaggio
reiterato, diventando il visual di comunicazioni pubblicitarie dirette e
indirette, piuttosto che presenza costante e riproposta sui diversi media.
Il merito del successo dei fenomeni di iconizzazione riusciti va dato anche
agli investimenti in termini di comunicazione fatti dagli imprenditori,
nonché ai creativi del mondo della pubblicità, ma va riconosciuto anche
a chi ha abilmente cavalcato fenomeni sociali spontanei di identificazione
che hanno comportato la creazione delle cosiddette “community”,
Fabio Novembre, Him & Her, sedia | chair,
Casamania, 2009
Fabio Novembre, Org, tavolo | table,
Cappellini, 2001
Fabio Novembre, Nemo, sedia | chair, Driade,
2010
intorno ai prodotti stessi. Si pensi al ruolo giocato, nell’iconizzazione,
dal merchandising, nella logica del rimando o della citazione dell’artefatto/
marchio/icona.
Infine, la regola della reiterazione dell’immagine che garantisce una sua
quasi certa trasformazione in icona, e altrettanto spesso in mito, è stata
ben compresa dallo star system dei designer italiani.
Il fenomeno del designer/icona è stato più che mai sentito in questo
inizio di secolo. Tra gli indicatori, la frequenza con cui i prodotti sono
accompagnati da ritratti dei loro autori, o ancora meglio, la diffusione
di prodotti che citano l’autore nel nome. Antonio Citterio, Stefano
Giovannoni, Matteo Thun o la naturalizzata Patricia Urquiola hanno ben
compreso il fenomeno che, da semplice griffe, li ha portati a trasformarsi
in icona, appunto.
Collezione Citterio è quella proposta dalla Ittala, così come Urquiola si
chiama la serie di rubinetterie disegnata dall’omonima designer per la
Axor. Concludendo, da questo quadro brevemente delineato, emergono
delle icone del contemporaneo che invitano ad una riflessione per il
futuro. Certi che l’iconismo sarà fenomeno continuo e perpetuo nella
società dei consumi, dobbiamo capire su cosa lavorare. Se l’iconismo
evocativo ha avuto un importante riscontro, possiamo immaginare di
insistere su questo, cercando di non indebolirlo proiettando icone che
sono solo legate esclusivamente all’agroalimentare ma perseguendo la
strada del segno. Abbiamo la necessità di lavorare molto sulla nostra
identità e sul nostro patrimonio segnico per immaginare un nostro posto
importante in uno scenario del design che è sempre più multiculturale, e
non dobbiamo certo farlo utilizzando i nome/brand del designer.
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Fernando&Humberto Campana, Boa,
divano | armchair, Edra, 2002
Momodesign, casco per moto | motorcycle
helmet, www.momodesign.com
Luisa Bocchietto, Vas-one Collection,
Serralunga, 2006
Ron Arad, MT series, Driade, 2008
The phenomenon of iconism isn’t new; it pervaded the entire second half
of the 20th century, with exponential growth that always associated the
icon with the myth.
Recalling Fulvio Carmagnola’s thesis, we can affirm that the entire first
decade of the new century saw the most advanced societies of the West
and Far East occupied in extracting economic value from ‘imaginary
production’, that is, working in a ‘fictional economy’, which fed on
iconism.
Therefore, much of the design of the early century has had as its primary
goal that of creating and stimulating desire through the image and its
transformation into a cult icon, an icon that is an unequivocal synonym
of something, of a lifestyle, an experience, a culture.
This high stimulation of the imagination, which cannot draw solely on
the spontaneous processes of icon creation across the various cultures,
in some cases also chose to focus on retrieving icons from the past and
started restyling them.
Think of Fiat’s new Cinquecento, presented in 2007, exactly 40 years
after the original, and now highly appreciated even on the American
market. Or think of the many restylings of Piaggio’s Vespa.
While following a nostalgic anthropological process and one of cultural
instability, as claimed by Virginio Briatore, the process or revising old
icons also denounces a crisis of contemporary Iconism, highlighting
westernised society’s inability to produce new and powerful icons for its
own time, or at least, not in quantities demanded by the consumer and
communication system.
As early as in the late Nineties, through his research, Vanni Codeluppi
identified in design a marked ability to manipulate the communicative
content of the product, aiming to control the product’s lifespan and
therefore scheduled aging: aging which, through a perception of the
object being outdated, created and fed new demand for products,
encouraging the disposal of the old one.
This trend has gone even further in the 2000s, arriving at the definition
of ‘showpieces’, artefacts conceived to be consumed in the short time
of a trade show or an event, therefore in no time, compared with the
evergreen products or long sellers of the history of design.
Objects/installations conceived to celebrate the virtuosity of a brand, or
the launch of new products, as for example in the case of the trade show
installations of the Italian mosaic firm Bisazza with Pixel Ballet in 2007,
signed by Jaime Hayon at the Fuori Salone in Milan; or in the same year,
the performance for the launch of the restyling of the Fiat 500 in Turin.
But let’s return to the phenomenon of making a product an icon and its
applications.
First of all, we can identify at least three types of icons in design:
- Icons/artefact that represent the synthesis between linguistic,
technological and typological innovation, with a marked uniqueness that
crosses lines between different markets.
- Icons/brand that refer to an evolving corporate journey and to perceived
quality, elegance and innovation.
- Icons/designer, which are linked to those people who applied a ‘style’,
with consistence and continuity, and through whom we can associate
artefacts, stories and regions.
For the Iconisation of artefacts and brands to take place, a few
fundamental related conditions must be met.
One can be intrinsic to the product or brand, that is, the ability of
either one to offer itself as a ‘sign’, as defined by one of the fathers
of semiotics, Charles Peirce. A sign that has character, that stands out
from the rest and that creates perceptive discontinuity, where the user is
surprised rather than being caught off guard.
This doesn’t mean thinking of an object/sign as something necessarily
rich and articulate. Recognisability can rather derive from its
simplification — today more than ever desired by authoritative figures
like John Maeda and Jasper Morrison — through its scale or balance.
Simplicity that can facilitate the assimilation and sedimentation process,
in a context overcrowded with information and semiotic pollution.
Of the many examples in Italian design of the early millennium, we
can mention the Om hood, produced by Elica: an icon as a synthesis
of a typological innovation, the wall hood, and of a morphological
innovation, the flat surface; both summarised in a sign of great clarity
and balance, the circle.
As for brands, think of Momodesign, whose sound is balanced with
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two similar monosyllables, which in the logo already has an iconic force
that was quickly associated with the worlds of quality and research,
transferred from motorcycles to telephones.
A logo that plays on the repetition of the letter M. Four-sided letters that
simplify and pace reading.
Among the Italian Icons of the early century — furniture, automobiles,
motorcycles, sporting equipment, etc. — few became so for their
vocation as signs. Here we see a crisis in Italian design in this early
century, which seems busy emulating and copying itself — like the
Cinquecento— rather than seeking a renewed identity.
Another condition in the Iconisation process can be the evocative nature
of the object, te reference to a given experience linked to a culture or
a region. The perception of the object/icon immediately relates to the
experience with which it is associated.
Among artefacts of Italian design, we can mention the series of Canasta
chairs, designed by Patricia Urquiola for B&B, which have become an
icon of outdoor living. In this case, there are two references: the first is
to outdoor living which has become a strong social aspiration in perfect
agreement with the ecological current; the second, well handled by
the author, is the reference to the traditional weave of natural fibres by
basket makers, the origin of the nascent Italian design of the 1950s with
the masterpieces by Albini and Ponti. And then there’s ‘Finger biscuit’ by
Paolo Ulian, a biscuit you wear like a thimble, in order to enjoy another
emblem of Italy, Ferrero’s Nutella; or the Wellness systems by Technogym,
designed by Antonio Citterio.
Here, certainly, Italian design is a winner. Our country, which has always
been equated with quality of life, is sought after and desired, so its
products or brands, which refer to Italian places and experiences — see
the success of Slowfood, the brand Alixir and the huge attention for
mineral waters, evidenced by Ferrarelle, Bolle/Sottsass and Lauretana/
Pininfarina — have certainly had a stronger penetration ability, both
within Italy and abroad.
At this point, we should mention that the sign or evocative characteristics
of the object define an ICONIC vocation, which to be fulfilled needs to
find an opportunity for ‘public presence’, as Ortoleva would say.
The image has to be transformed into a reiterated message, becoming
the visual for direct and indirect promotional communication, rather than
a constant presence repeated on the various media.
The credit for successful iconisation phenomena also goes to
communication investments made by entrepreneurs, and to creative
minds in the advertising world, but should also go to those who skilfully
ride spontaneous social identification phenomena that have led to the
creation of so-called ‘communities’, around the products themselves.
Suffice it to think of the role played by merchandising in iconisation, in
Fernando&Humberto Campana, Sushi,
pouf, Edra, 2002
Fabio Novembre, Patricia Urquiola, Matteo
Thun, Antonio Citterio. Ritratti | portraits
the referral logic or in the quoting of the artefact/brand/icon.
Last, the rule of reiterating the image that guarantees its almost certain
transformation into an icon, and just as often into a myth, has been
understood by the star system of Italian designers.
The phenomenon of the designer/icon has been felt more strongly
than ever in this new century. One of the indicators is the frequency
with which the products are accompanied by portraits of their authors,
or even better, the presentation of products mentioning the author in
their name. Antonio Citterio, Stefano Giovannoni, Matteo Thun or the
naturalised Patricia Urquiola have understood the phenomenon well, and
have transformed their mere brands into icons.
Collezione Citterio is proposed by Ittala, just as Urquiola is the name of
the taps designed by the designer for Axor.
In conclusion, this brief outline has identified contemporary icons that
invite us to reflect on the future.
Certain that iconism will be a continuous and perpetual phenomenon in
consumer society, we need to understand what to work on. If evocative
iconism has been very well received, we could then imagine to insist
on this, if possible not weakening it by projecting icons that are linked
solely to agro-foods, but following the path of the sign. We need to
work greatly on our identity and on our heritage of signs to envisage an
important place for ourselves within a design scenario that is increasingly
multicultural, and we must certainly not do it by using the designers’
names/brands.