Icon - Facoltà di Architettura
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Icon - Facoltà di Architettura
Il numero si propone di fornire una particolare visione del design italiano dal 2001 al 2011, attraverso la rilettura di due delle caratteristiche proprie dell’italian design, ovvero: l'ingegno nel saper fare e il valore iconico. Quanto dell'italian style e quanto della nostra creatività si traduce in proposta, grazie all'ingegno e alla sapienza del fare? Quanto queste due caratteristiche sono in grado di sublimare in artefatti, tanto la cultura dell'artigianato e della tradizione, quanto quella dell'innovazione? Quanto ancora della forza iconica del design, che ha fatto la storia del design italiano, è ancora un valore aggiunto negli artefatti degli ultimi dieci anni? This issue will take a special look at Italian design from 2001 to 2011, by re-examining two of the field’s typical characteristics: ingenuity in know-how and iconic value. To what extent do ingenuity and know-how incorporate Italian style and creativity into output? To what extent can these two characteristics inject products with the culture of craftsmanship and tradition, as well as the culture of innovation? In what measure is the iconic power of design – historically a cornerstone of the Italian scene – still a value added in the products of the last ten years? Nell’Opening, il tema centrale del numero viene affrontato ricercando le connessioni del design con il mondo dell’Arte (Paolo Balmas) e con quello del Cinema, dell’Architettura, dell’Industria (Domitilla Dardi). In the Opening, the central theme of the issue is discussed and connections are sought out between design and the world of Art (Paolo Balmas) and the spheres of Film, Architecture and Industry (Domitilla Dardi). Nella rubrica Designer, attraverso tre scenari distinti e partendo da presupposti differenti, ci si domanda se e quali siano elementi di continuità o di discontinuità con la tradizione dell'italian style e quanto invece del valore iconico tanto caro alla nostra tradizione, sia ancora oggi presente. Attraversando vari settori, si sfiora anche quello della moda alla ricerca da un lato del giusto mix tra artigianato e industria, dall’altro con coraggio, sempre più conscia del valore aggiunto di una filiera interamente italiana. Molti sono i designer protagonisti di questo racconto: Grcic | Urquiola | Arad | Lovegrove | F.lli Campana | Novembre | Levien | Bestenheider | Yoshioka | Jongerius | Hayon | Maeda | Morrison | Citterio | Thun | Caccavale | Banzi | Ulian | Gatto | Deepdesign | Zito | Velluto | Bocchietto | Uderzo | Fioravanti | Perri | Nichetto | Magini | Coccioli | Lottersberger | Gamper | Damiani | Contin | Levanti | Adami | Iacchetti | Ragni | Paruccini | Pezzini | Arslan. In Designer, three separate scenarios are proposed and different starting considerations are used in an attempt to state which, if any, elements of continuity or discontinuity there are with the tradition of Italian style and how much of the iconic value that it holds so dear is still present today. Various sectors are contemplated, including fashion, which is courageously looking for the right mix between craftsmanship and industry, with growing awareness of the value added of an entirely Italian production chain. Many designers have a leading role in this tale: Grcic | Urquiola | Arad | Lovegrove | Campana Brothers | Novembre | Levien | Bestenheider | Yoshioka | Jongerius | Hayon | Maeda | Morrison | Citterio | Thun | Caccavale | Banzi | Ulian | Gatto | Deepdesign | Zito | Velluto | Bocchietto | Uderzo | Fioravanti | Perri | Nichetto | Magini | Coccioli | Lottersberger | Gamper | Damiani | Contin | Levanti | Adami | Iacchetti | Ragni | Paruccini | Pezzini | Arslan. Factory offre una panoramica sulle aziende che assumono il design come valore aggiunto alla loro capacità di competere nei settori del furniture, del product e del transportation, anche attraverso nuove modalità di commercializzazione o produzione. Factory gives an overview of the companies that use design as value added to their ability to compete in the furniture, product and transportation sectors, including through new marketing and manufacturing methods. In Innovation&Research si indagano gli ambiti di ricerca “off limits” e le peculiarità della ricerca “sul” design in Italia. Innovation&Research investigates ‘off limits’ research areas and the singular qualities of research ‘into’ design in Italy. Compongono il Dossier: Openspace, per raccontare tre mostre sul design come fattore identitario del nostro Paese organizzate nel calendario delle celebrazioni dei 150 anni d’Unità d’Italia e la quarta interpretazione del Design Museum presso la Triennale di Milano con la Mostra curata da Alberto Alessi Le fabbriche dei sogni: uomini, idee, imprese e paradossi delle fabbriche del design italiano; Close Up, che ripropone l'importante saggio scritto nel 1982 da G.C.Argan, Il design degli italiani dove si esprimono con chiarezza le peculiarità e le radici dello stile italiano nel design; Thinking about … che esplora il mondo visionario di Stefano Giovannoni; Trademark, che racconta la storia della Carrozzeria Maggiora, una delle realtà industriali italiane in forte espansione e controtendenza.. In the Dossier: Openspace presents three exhibitions on ‘design as an identifying feature of Italy’ which have been organized as part of the celebrations to mark the 150th anniversary of the country’s unification, as well as the fourth incarnation of the Triennale Design Museum in Milan, with an exhibition curated by Alberto Alessi that is entitled The factories of dreams: men, ideas, enterprises and paradoxes of the Italian design factories; Close Up features another look at G.C.Argan’s important 1982 essay The design of Italians, which clearly outlines the distinctive characteristics and roots of Italian style in design; Thinking about… explores the visionary world of Stefano Giovannoni; Trademark tells the story of the significant growth against the trends on the Italian industrial scene of Carrozzeria Maggiora. € 10,00 n_49 anno | year IX, 2011 n.48 € 10,00 Italian Design 00.11 Rivista bimestrale - Bimonthly magazine innovazione e ricerca - innovation and research diid disegno industriale industrial design innovazione e ricerca innovation and research Italian Design 01.11 n_49 diid diid COPERTADIID49:copertina 13 copia_sab 18/04/11 14:22 Pagina 1 disegno industriale industrial design Italian Design 00.11 Designer in Italy Italian Design Factories Italian Excellences in R&D Italian Sportsystem Dossier 150° exhibition | Rome & Turin La fabbrica dei Sogni | Design Museum Giulio Carlo Argan Stefano Giovannoni Maggiora English and Italian Texts Italian Design 01.11 Codirettore | Codirector Lorenzo Imbesi Coordinamento scientifico | Scientific Coordination Committe Achille Bonito Oliva, Massimo D’Alessandro, Tonino Paris Corso di Laurea in Disegno Industriale, La Sapienza, Università di Roma Mario Morcellini Facoltà di Scienze della Comunicazione, La Sapienza, Università di Roma Francesco Cervellini Corso di Laurea in Disegno Industriale e Ambientale, Università di Camerino Vanni Pasca Facoltà di Design, Politecnico di Milano Medardo Chiapponi Facoltà di Design e Arti, Università IUAV di Venezia Andrea Branzi Facoltà di Design, Politecnico di Milano Redazione | Editorial Staff disegno industriale industrial design indice Direttore | Director Tonino Paris 4 editorial 16Tonino Paris 4 Comunicare il Design italiano | xxxxxxxx 10 opening 22 Paolo Balmas 10 Un saper fare italiano? | Italian know-how? 32 Coordinamento redazionale | Editorial Coordination Committe 21 Domitilla Dardi 22 L’Italianità del design italiano, oggi | The Italianness of Italian Design today 6 designer 16 Vincenzo Cristallo | Francesca La Rocca 32 Continuità e discontinuità di un modello unico | Continuity and Discontinuity in a Single Model Sabrina Lucibello (caporedattore | Editor-inChief), Fiorella Bulegato, Federica Dal Falco, Loredana Di Lucchio, Lorenzo Imbesi, Carlo Martino 21 Carlo Martino 52 Impatto Iconico | Iconic impact Napoli: Vincenzo Cristallo, Alfonso Morone Milano: Alessandro Biamonti, Marinella Ferrara Palermo: Cinzia Ferrara, Dario Russo Roma: Paolo Balmas, Barbara Deledda, Paola Schiattarella Venezia: Simona Romano, Olga Barmine 21 Clara Tosi Pamphili 60 Il nuovo Artigiano della Moda | The new Fashion Artisan 21 Alessia Vitali 66 Tra struttura e flânerie | Between Structure and Flânerie Bangkok: Tommaso Maggio Boston: Kristian Kloeck, Carla Farina Buenos Aires: Pablo Ungaro Hong Kong: Victor Lo, Lorraine Justice Parigi: Federica Dal Falco San Diego: Adriana Cuellar 70 factory 16 Marinella Ferrara 70 La gestione dell’innovazione continua | The Management of Continuous Innovation 22 16 Alessandro Biamonti 76 Germogli di un nuovo made in Italy | A Budding New ‘Made in Italy’ movement Segreteria di redazione | Editorial Headquarter Via Angelo Brunetti 42, 00186 Roma Via Flaminia, 70 c/o dip.D.A.T.A, 00196 Roma tel. +39 (0)6 49919020 | fax. +39 (0)6 49919015 www.disegnoindistriale.net | [email protected] Collaborazione all’attività editoriale | Editorial activity Partnership DE-TALES Ltd. 1-5 road SW61TX London Progetto grafico | Art director Roberta Sacco 16 Rossana Carullo 84 Cerchi un modo diverso per muoverti? | Looking for new ways to get around? 92 Impaginazione | Production Paola Schiattarella innovation&research 16 Sabrina Lucibello 92 Design tra invenzione e innovazione | Design between invention and innovation Traduzione | Translations A cura di | by Claudia Vettore 22 Loredana Di Lucchio 98 Innovazione in cerca di design | Innovation in Search of Design DIID_Disegno Industriale | Industriale Design Rivista bimestrale | Bimonthly magazine Fondata e diretta da | Founded by Tonino Paris Registrazione presso il Tribunale di Roma 86/2002 del 6 marzo 2002 | Registered in Rome, Italy ISSN: 1594-8528 Anno / year IX, 2011 n.49, Mar | Apr Editore | Publisher Rdesignpress Via Angelo Brunetti 42, 00186 Roma -fax +39 06 49919015 www.rdesignpress.it | [email protected] close up dossier I Giulio Carlo Argan Il design degli Italiani | Italian Design open space Distribuzione librerie | Distribution through bookstores joo distribution – milano Distribuzione estero | Distribution for other countries s.i.e.s. srl – milano 20092 cinisello balsamo (milano), via bettola 18 – tel. 02 66030400 – fax 02 66030269 www.siesnet.it | [email protected] XXIII Rosa Chiesa Brevetti, Marchi, Prodotti 1948-1970 | Patents, brands and products, from 1948 to 1970 Concessionaria pubblicità | Concessionary agent for advertising Roma designpiu srl Via Angelo Brunetti 42, 00186 Roma - fax +39 06 49919015 [email protected] XXXIII Gianluca Grigatti Stampa | Printing Tipografia Ceccarelli, Grotte di Castro - VT XXXVI Claudia Bombara Stazione futuro. Qui si rifà l’Italia | Future Station. The Remaking of Italy Il Futuro nelle mani. Artieri Domani | The Future In The Hands. Artificers Tomorrow www.disegnoindustriale.net XL Francesco Zurlo Le Fabbriche dei Sogni | The Dream Factories thinking about... numero curato da | issue by Sabrina Lucibello | Tonino Paris S. Lucibello: Opening, Designer, Factory, Innovation&Research, Openspace; T. Paris: Editorial, Opening, Close Up, Thinking about …, Trademark XLVII Tonino Paris Stefano Giovannoni_ La magia dell’immaginario | The magic of the imagination trademark LX Emanuele Bomboi Maggiora_Carrozzieri si nasce. Stampatori industriali si diventa | Born as a Coachbuilder, Made Industrial Metal Crafter 52 design & icon Impatto Iconico Iconic impact Carlo Martino Giulio Iacchetti, St. Peter Squeezer, spremiagrumi | squeezer, Pandora Design, 2007 Nuova Fiat 500, Centro Stile Fiat, Torino 2008 Giulio Iacchetti & Matteo Ragni, Moscardino, Pandora Design, 2000, XIX Compasso d’Oro 2001 Il fenomeno dell’iconismo non è nuovo, ed ha pervaso tutta la seconda metà del Novecento con una crescita esponenziale che ha visto associare sempre l’icona al mito. Richiamando le tesi di Fulvio Carmagnola è possibile affermare che anche tutto il primo decennio del nuovo secolo ha visto le società più avanzate dell’occidente e dell’estremo oriente impegnate a trarre valore economico dalla “produzione d’immaginario”, a lavorare cioè in una “economia funzionale”, che ha fatto dell’iconismo il proprio nutrimento. Per cui, gran parte del design di inizio secolo ha avuto come obiettivo principale quello della creazione e della stimolazione del desiderio attraverso l’immagine e la sua trasformazione in icona di culto, un’icona inequivocabilmente sinonimo di qualcosa, di uno stile di vita, di un’esperienza, di una cultura. Questa stimolazione alta dell’immaginario, non potendo attingere soltanto ai fenomeni spontanei di elaborazione iconica delle diverse culture, ha privilegiato in alcuni casi anche la formula del recupero delle icone del passato, avviando processi di restyling delle stesse. Si pensi alla nuova Cinquecento, della Fiat, presentata nel 2007 a 40 anni precisi di distanza dal capostipite, ed oggi molto apprezzata anche dal mercato americano, o pensiamo ai numerosi restyling della Vespa della Piaggio. Il processo di revisione delle vecchie icone, se da un lato risponde ad un processo antropologico nostalgico e di instabilità culturale, come sostiene Virginio Briatore, dall’altro ha denunciato una situazione di crisi dell’Iconismo contemporaneo, mettendo in risalto una scarsa capacità delle società occidentalizzate di produrre nuove e potenti icone del proprio tempo, o almeno, non nelle quantità che il sistema del consumo e della comunicazione richiede. Già alla fine degli anni Novanta del secolo scorso Vanni Codeluppi, attraverso le sue ricerche, faceva emergere nel design una spiccata capacità manipolativa dei contenuti comunicativi del prodotto, finalizzata a un controllo della durata dello stesso e quindi ad un invecchiamento programmato. Un invecchiamento che, facendo percepire l’oggetto come superato, creava e alimentava, di fatto, una nuova domanda di prodotto, favorendo lo scarto e l’abbandono del precedente. Questa tendenza negli anni 2000 si è spinta oltre, fino ad arrivare alla definizione di “showpieces”, di artefatti cioè pensati per essere consumati nel giro di una fiera e di un evento, quindi di un istante, se paragonati ai prodotti evergreen o long seller della storia del design. Oggetti/installazioni pensati per celebrare i virtuosismi di un brand, o il lancio di nuovi prodotti, come è accaduto per esempio nel caso delle istallazioni fieristiche dell’azienda italiana di mosaici Bisazza con Pixel Ballet, nel 2007, a firma di Jaime Hayon durante il fuori Salone di Milano, o ancora sempre nello stesso anno, la performance per il lancio del restyling della Fiat 500 a Torino. Ma torniamo al fenomeno di trasformazione in icona e alle sue articolazioni. Innanzitutto possiamo distinguere almeno tre tipologie di icone del design: - Le icone/artefatto che rappresentano la sintesi tra innovazione linguistica, tecnologica e tipologica, con uno spiccato carattere di unicità, nonché trasversali alle diverse merceologie. - Le icone/marchio che rimandano a un percorso aziendale evolutivo e a un percepito di qualità, di eleganza e d’innovazione. - Le icone/designer, che si legano a quei personaggi che hanno applicato, con coerenza e continuità, uno “stile”, e attraverso i quali è possibile associare artefatti, storie e territorio. Affinché il processo d’Iconizzazione di artefatti e marchi si attui, devono avverarsi alcune condizioni fondamentali al contorno. Una può essere intrinseca al prodotto o al marchio, e cioè alla capacità dell’uno o dell’altro di offrirsi come “segno”, così come definito da uno dei padri della semiologia, Charles Peirce. Segno che ha carattere, che si differenzia dal resto e che crea una discontinuità percettiva, un effetto sorpresa piuttosto che un effetto spiazzante nel fruitore. Ciò non significa pensare ad un oggetto/segno per forza di cose ricco e articolato. La riconoscibilità può piuttosto derivare dalla sua semplificazione – oggi più che mai auspicata da personaggi autorevoli quali John Maeda e Jasper Morrison – dalla sua scala, o dal suo equilibrio. Una semplicità che può facilitare il processo di assimilazione e di sedimentazione, in un contesto sovraffollato dall’informazione e dall’inquinamento semiotico. Tra i numerosi esempi del design italiano d’inizio millennio è possibile citare la cappa d’aspirazione Om, prodotta dalla Elica: un’icona in quanto sintesi di un’innovazione tipologica, la cappa a parete, e di un’innovazione morfologica, il piano; entrambe riassunte in segno di grande chiarezza ed equilibrio, il cerchio. Nel caso dei marchi ricordiamo Momodesign, brand dal sound ritmato da due monosillabi simili, che già nel logo ha una forza iconica che presto si è associata a dei mondi di qualità e di ricerca, trasferiti dalla motociclistica alla telefonia. Un logo che gioca sulla ripetizione della lettera M. Lettere quadrangolari che semplificano e ritmano la lettura. Tra le Icone italiane d’inizio secolo - mobili, auto, moto, attrezzature sportive, ecc. - poche sono riuscite a diventare tali per vocazione segnica. E qui emerge un dato di crisi dello stile italiano impegnato, in questo inizio di secolo, più a emulare e ad auto citarsi – vedi la Cinquecento – che a cercare una rinnovata identità. Altra condizione del processo d’Iconizzazione può essere il carattere evocativo dell’oggetto. Il rimando a una data esperienza legata a una cultura o a un territorio. Percependo l’oggetto/icona si attua un immediato rinvio all’esperienza a esso associabile. Tra gli artefatti del design italiano ricordiamo le serie di sedute Canasta, disegnate da Patricia 54 Urquiola per B&B, divenuta un’icona dell’outdoor. In questo caso il rimando è duplice. Il primo, alla vita en plein air divenuta un’aspirazione sociale molto sentita, in perfetta sintonia con il filone ecologista; il secondo, il rimando, molto ben gestito dall’autrice, alla tradizione dell’intreccio di fibre naturali dei cestari, all’origine del nascente design italiano negli anni Cinquanta con i masterpiece di Albini e Ponti. E ancora il “Finger biscuit” di Paolo Ulian, il biscotto da indossare come un ditale, che consente di gustare un altro emblema dell’Italia, la Nutella Ferrero, o i sistemi Wellness di Technogym, disegnati da Antonio Citterio. Qui certamente il design italiano ha vinto la partita. Il nostro paese, sinonimo da sempre di qualità della vita, è ambito e desiderato, per cui i prodotti, o i marchi, che più sono riusciti a rimandare a luoghi e a esperienze italiani- vedi il successo di Slowfood, del brand Alixir e la grande attenzione per le acque minerali, testimoniata da Ferrarelle, Bolle/Sottsass e Lauretana/Pininfarina - hanno certamente avuto una capacità di penetrazione più forte, sia all’interno del nostro paese che all’estero. A questo punto va detto che i caratteri segnici o evocativi dell’oggetto definiscono, di fatto, una vocazione ICONICA, che per avverarsi deve però trovare, come direbbe Ortoleva, opportunità di “presenza pubblica”. L’immagine deve trasformarsi in messaggio reiterato, diventando il visual di comunicazioni pubblicitarie dirette e indirette, piuttosto che presenza costante e riproposta sui diversi media. Il merito del successo dei fenomeni di iconizzazione riusciti va dato anche agli investimenti in termini di comunicazione fatti dagli imprenditori, nonché ai creativi del mondo della pubblicità, ma va riconosciuto anche a chi ha abilmente cavalcato fenomeni sociali spontanei di identificazione che hanno comportato la creazione delle cosiddette “community”, Fabio Novembre, Him & Her, sedia | chair, Casamania, 2009 Fabio Novembre, Org, tavolo | table, Cappellini, 2001 Fabio Novembre, Nemo, sedia | chair, Driade, 2010 intorno ai prodotti stessi. Si pensi al ruolo giocato, nell’iconizzazione, dal merchandising, nella logica del rimando o della citazione dell’artefatto/ marchio/icona. Infine, la regola della reiterazione dell’immagine che garantisce una sua quasi certa trasformazione in icona, e altrettanto spesso in mito, è stata ben compresa dallo star system dei designer italiani. Il fenomeno del designer/icona è stato più che mai sentito in questo inizio di secolo. Tra gli indicatori, la frequenza con cui i prodotti sono accompagnati da ritratti dei loro autori, o ancora meglio, la diffusione di prodotti che citano l’autore nel nome. Antonio Citterio, Stefano Giovannoni, Matteo Thun o la naturalizzata Patricia Urquiola hanno ben compreso il fenomeno che, da semplice griffe, li ha portati a trasformarsi in icona, appunto. Collezione Citterio è quella proposta dalla Ittala, così come Urquiola si chiama la serie di rubinetterie disegnata dall’omonima designer per la Axor. Concludendo, da questo quadro brevemente delineato, emergono delle icone del contemporaneo che invitano ad una riflessione per il futuro. Certi che l’iconismo sarà fenomeno continuo e perpetuo nella società dei consumi, dobbiamo capire su cosa lavorare. Se l’iconismo evocativo ha avuto un importante riscontro, possiamo immaginare di insistere su questo, cercando di non indebolirlo proiettando icone che sono solo legate esclusivamente all’agroalimentare ma perseguendo la strada del segno. Abbiamo la necessità di lavorare molto sulla nostra identità e sul nostro patrimonio segnico per immaginare un nostro posto importante in uno scenario del design che è sempre più multiculturale, e non dobbiamo certo farlo utilizzando i nome/brand del designer. 56 Fernando&Humberto Campana, Boa, divano | armchair, Edra, 2002 Momodesign, casco per moto | motorcycle helmet, www.momodesign.com Luisa Bocchietto, Vas-one Collection, Serralunga, 2006 Ron Arad, MT series, Driade, 2008 The phenomenon of iconism isn’t new; it pervaded the entire second half of the 20th century, with exponential growth that always associated the icon with the myth. Recalling Fulvio Carmagnola’s thesis, we can affirm that the entire first decade of the new century saw the most advanced societies of the West and Far East occupied in extracting economic value from ‘imaginary production’, that is, working in a ‘fictional economy’, which fed on iconism. Therefore, much of the design of the early century has had as its primary goal that of creating and stimulating desire through the image and its transformation into a cult icon, an icon that is an unequivocal synonym of something, of a lifestyle, an experience, a culture. This high stimulation of the imagination, which cannot draw solely on the spontaneous processes of icon creation across the various cultures, in some cases also chose to focus on retrieving icons from the past and started restyling them. Think of Fiat’s new Cinquecento, presented in 2007, exactly 40 years after the original, and now highly appreciated even on the American market. Or think of the many restylings of Piaggio’s Vespa. While following a nostalgic anthropological process and one of cultural instability, as claimed by Virginio Briatore, the process or revising old icons also denounces a crisis of contemporary Iconism, highlighting westernised society’s inability to produce new and powerful icons for its own time, or at least, not in quantities demanded by the consumer and communication system. As early as in the late Nineties, through his research, Vanni Codeluppi identified in design a marked ability to manipulate the communicative content of the product, aiming to control the product’s lifespan and therefore scheduled aging: aging which, through a perception of the object being outdated, created and fed new demand for products, encouraging the disposal of the old one. This trend has gone even further in the 2000s, arriving at the definition of ‘showpieces’, artefacts conceived to be consumed in the short time of a trade show or an event, therefore in no time, compared with the evergreen products or long sellers of the history of design. Objects/installations conceived to celebrate the virtuosity of a brand, or the launch of new products, as for example in the case of the trade show installations of the Italian mosaic firm Bisazza with Pixel Ballet in 2007, signed by Jaime Hayon at the Fuori Salone in Milan; or in the same year, the performance for the launch of the restyling of the Fiat 500 in Turin. But let’s return to the phenomenon of making a product an icon and its applications. First of all, we can identify at least three types of icons in design: - Icons/artefact that represent the synthesis between linguistic, technological and typological innovation, with a marked uniqueness that crosses lines between different markets. - Icons/brand that refer to an evolving corporate journey and to perceived quality, elegance and innovation. - Icons/designer, which are linked to those people who applied a ‘style’, with consistence and continuity, and through whom we can associate artefacts, stories and regions. For the Iconisation of artefacts and brands to take place, a few fundamental related conditions must be met. One can be intrinsic to the product or brand, that is, the ability of either one to offer itself as a ‘sign’, as defined by one of the fathers of semiotics, Charles Peirce. A sign that has character, that stands out from the rest and that creates perceptive discontinuity, where the user is surprised rather than being caught off guard. This doesn’t mean thinking of an object/sign as something necessarily rich and articulate. Recognisability can rather derive from its simplification — today more than ever desired by authoritative figures like John Maeda and Jasper Morrison — through its scale or balance. Simplicity that can facilitate the assimilation and sedimentation process, in a context overcrowded with information and semiotic pollution. Of the many examples in Italian design of the early millennium, we can mention the Om hood, produced by Elica: an icon as a synthesis of a typological innovation, the wall hood, and of a morphological innovation, the flat surface; both summarised in a sign of great clarity and balance, the circle. As for brands, think of Momodesign, whose sound is balanced with 58 two similar monosyllables, which in the logo already has an iconic force that was quickly associated with the worlds of quality and research, transferred from motorcycles to telephones. A logo that plays on the repetition of the letter M. Four-sided letters that simplify and pace reading. Among the Italian Icons of the early century — furniture, automobiles, motorcycles, sporting equipment, etc. — few became so for their vocation as signs. Here we see a crisis in Italian design in this early century, which seems busy emulating and copying itself — like the Cinquecento— rather than seeking a renewed identity. Another condition in the Iconisation process can be the evocative nature of the object, te reference to a given experience linked to a culture or a region. The perception of the object/icon immediately relates to the experience with which it is associated. Among artefacts of Italian design, we can mention the series of Canasta chairs, designed by Patricia Urquiola for B&B, which have become an icon of outdoor living. In this case, there are two references: the first is to outdoor living which has become a strong social aspiration in perfect agreement with the ecological current; the second, well handled by the author, is the reference to the traditional weave of natural fibres by basket makers, the origin of the nascent Italian design of the 1950s with the masterpieces by Albini and Ponti. And then there’s ‘Finger biscuit’ by Paolo Ulian, a biscuit you wear like a thimble, in order to enjoy another emblem of Italy, Ferrero’s Nutella; or the Wellness systems by Technogym, designed by Antonio Citterio. Here, certainly, Italian design is a winner. Our country, which has always been equated with quality of life, is sought after and desired, so its products or brands, which refer to Italian places and experiences — see the success of Slowfood, the brand Alixir and the huge attention for mineral waters, evidenced by Ferrarelle, Bolle/Sottsass and Lauretana/ Pininfarina — have certainly had a stronger penetration ability, both within Italy and abroad. At this point, we should mention that the sign or evocative characteristics of the object define an ICONIC vocation, which to be fulfilled needs to find an opportunity for ‘public presence’, as Ortoleva would say. The image has to be transformed into a reiterated message, becoming the visual for direct and indirect promotional communication, rather than a constant presence repeated on the various media. The credit for successful iconisation phenomena also goes to communication investments made by entrepreneurs, and to creative minds in the advertising world, but should also go to those who skilfully ride spontaneous social identification phenomena that have led to the creation of so-called ‘communities’, around the products themselves. Suffice it to think of the role played by merchandising in iconisation, in Fernando&Humberto Campana, Sushi, pouf, Edra, 2002 Fabio Novembre, Patricia Urquiola, Matteo Thun, Antonio Citterio. Ritratti | portraits the referral logic or in the quoting of the artefact/brand/icon. Last, the rule of reiterating the image that guarantees its almost certain transformation into an icon, and just as often into a myth, has been understood by the star system of Italian designers. The phenomenon of the designer/icon has been felt more strongly than ever in this new century. One of the indicators is the frequency with which the products are accompanied by portraits of their authors, or even better, the presentation of products mentioning the author in their name. Antonio Citterio, Stefano Giovannoni, Matteo Thun or the naturalised Patricia Urquiola have understood the phenomenon well, and have transformed their mere brands into icons. Collezione Citterio is proposed by Ittala, just as Urquiola is the name of the taps designed by the designer for Axor. In conclusion, this brief outline has identified contemporary icons that invite us to reflect on the future. Certain that iconism will be a continuous and perpetual phenomenon in consumer society, we need to understand what to work on. If evocative iconism has been very well received, we could then imagine to insist on this, if possible not weakening it by projecting icons that are linked solely to agro-foods, but following the path of the sign. We need to work greatly on our identity and on our heritage of signs to envisage an important place for ourselves within a design scenario that is increasingly multicultural, and we must certainly not do it by using the designers’ names/brands.