Il Referendum per fermare la privatizzazione dell`acqua

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Il Referendum per fermare la privatizzazione dell`acqua
Il Referendum per fermare la privatizzazione dell'acqua
(dal sito www.wwf.it)
Perché un referendum
Più di 1.400.000 italiani hanno firmato i quesiti referendari proposti dal Comitato promotore “2 sì
per l’acqua bene comune”: un risultato eccezionale, mai raggiunto in nessun altra consultazione
referendaria. Un risultato che è frutto di un impegno che viene da lontano e che nel 2007 aveva già
permesso di raccogliere 400.000 firme per una legge di iniziativa popolare per l’acqua pubblica
lasciata inspiegabilmente nei cassetti del Parlamento.
Dal 2001, si sono susseguiti, invece, i tentativi dei vari Governi per rendere irreversibile il processo
di privatizzazione del servizio idrico. Un obiettivo raggiunto con il c.d. Decreto Ronchi che ha
riformato l’at. 23 bis della Legge n. 133/2008 che di fatto ha imposto dal 1° gennaio 2012
l’affidamento ai privati del servizio idrico, riconoscendo la possibilità di affidare al pubblico
(attraverso Società per Azioni, quindi sempre attraverso realtà di diritto privato, anche se a capitale
pubblico) la gestione solo in casi assolutamente straordinari.
Cosa comporta la privatizzazione
La gestione privatistica comporta la trasformazione dell’acqua da bene comune a bene economico:
l’acqua entra così nel mercato e diventa un bene commerciale su cui fare profitti. E per fare profitti
si cerca di venderne sempre di più (a scapito della tutela della risorsa), si diminuiscono controlli,
manutenzioni ed investimenti, si riduce il personale ed il costo del lavoro, si aumentano le tariffe
per i cittadini.
Ma la privatizzazione fa anche perdere qualsiasi possibilità di controllo da parte della collettività su
un bene indispensabile alla vita perché ai rappresentanti eletti dal popolo, si sostituiscono manager
scelti da amministratori di multinazionali, magari con sedi all’estero.
Miti e leggende sulla privatizzazione
“L’acqua rimane pubblica”, “La privatizzazione dell’acqua è imposta dall’Europa”, “I privati sono
più efficienti”: sono alcune delle frasi che con maggiore frequenza si sentono ripetere da parte dei
fautori della privatizzazione. Costoro, ben sapendo che il confronto su dati reali sarebbe per loro
perdente, preferiscono fornire informazioni non suffragate dai fatti.
“Non è vero che l’acqua rimane pubblica”
In effetti, dal punto di vista formale, l’acqua rimane pubblica, ma è evidente che il reale potere è
nelle mani di coloro che gestiscono realmente il bene. Nessuno può pensare di andare ogni mattina
ad una sorgente e prendersi l’acqua di cui ha bisogno: coloro che gestiscono gli strumenti per
portare l’acqua ai rubinetti delle nostre case, sono i veri “padroni” dell’acqua.
E del resto con la gestione privatistica non è possibile neppure mettere in campo un efficace
controllo da parte pubblica: è chiaro, infatti, che esiste un’enorme disparità tra il gestore che,
possedendo tutte le informazioni dirette, è in grado di prendere le decisioni per lui più favorevoli,
rispetto ad un eventuale controllore pubblico che, privo delle medesime conoscenze, non ha nessuna
possibilità di vigilare nel concreto.
“Non è vero che la privatizzazione dell’acqua è imposta dall’Europa”
Non esiste alcuna direttiva o alcun regolamento europeo che impone la privatizzazione del servizio
idrico.
Al contrario, esaminando le normative degli Stati membri, sono molte di più quelle che prevedono
la gestione pubblica rispetto a quelle che prevedono la gestione privata che anzi in alcuni Stati,
come il Belgio e l’Olanda, è espressamente vietata. In Francia, alcune città, tra cui Parigi, che negli
anni passati avevano privatizzato il servizio idrico, vista l’esperienza fallimentare, sono tornate
indietro ripubblicizzandolo.
“Non è vero che i privati sono più efficienti”
Se si guarda l’esperienza delle gestioni privatistiche ci si rende conto come la maggiore efficienza
dei privati sia una vera e propria leggenda.
Confrontando i dati forniti dagli stessi erogatori, laddove si è avuta una gestione privatistica, le
tariffe sono aumentate (+ 60%), è diminuita l’occupazione ed il personale si è fortemente
precarizzato, gli investimenti sono scesi (- 66%) e di consumi crescono (stime + 15% nei prossimi
20 anni). Ed il Centro studi di Mediobanca, confrontando i dati forniti dalle società controllate dai
maggiori Comuni italiani, ha segnalato che gli acquedotti con le minori perdite sono quelli di
Milano e provincia, gestiti da Metropolitana Milanese (100% del Comune di Milano) e da
Amiacque (100% pubblica).
La Corte dei Conti, infine, nella sua relazione del 2010 “Obiettivi e risultati delle operazioni di
privatizzazione di partecipazioni pubbliche”, ha evidenziato come in alcuni settori, tra cui la
gestione idrica, la privatizzazione dei servizi, da un lato, non ha determinato miglioramenti nel
servizio, dall’altro, ha causato aumenti delle tariffe.
I due quesiti
Primo quesito: Si propone l’abrogazione dell’art. 23 bis della Legge n. 133/2008, così come
modificato dal c.d. Decreto Ronchi del 2009, relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di
rilevanza economica. Abrogare queste norme significa contrastare l’accelerazione sulle
privatizzazioni e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici in questo Paese.
Secondo quesito: Si propone l’abrogazione dell’art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006 (c.d.
Codice dell’Ambiente), limitatamente a quella parte che consente al gestore di ottenere profitti
garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% in più, senza alcun collegamento a
qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio.
Cosa succede se vincono i Sì ?
Il raggiungimento del quorum e la vittoria dei sì comporteranno il blocco delle privatizzazioni in
atto e l’avvio di un processo di ripubblicizzazione laddove il servizio è già a gestione privatistica.
Abrogando il Decreto Ronchi il quadro normativo tornerà a prevedere la possibilità per gli Enti
Locali di assumersi la responsabilità della gestione pubblica.
Allo stesso tempo, abrogando, la remunerazione del capitale investito, si impedirà di fare profitto
sull’acqua, determinando, nel breve periodo, la riduzione della tariffa pagata dai cittadini, e, nel
medio periodo, la perdita di interesse da parte dei privati alla gestione del servizio idrico.
L’occasione che il referendum ci offre è di quelle storiche. Bloccare la privatizzazione dell’acqua ci
consentirà di avviare un nuovo modo di gestione della risorsa idrica e più in generale dei beni
comuni.
Siamo consapevoli che la gestione pubblica troppo spesso si è trasformata in gestione
partitocratrica, caratterizzata da perdite spaventose e spartizioni di poltrone. Ma la privatizzazione
non rappresenta certo la soluzione. Sarà proprio dalla riaffermazione dell’acqua come bene comune
che potrà prendere il via un processo che porterà ad una gestione dell’acqua realmente pubblica,
partecipata e democratica. Una gestione attenta alle tasche dei cittadini e ad una risorsa sempre più
spesso aggredita e resa inutilizzabile da inquinamenti di ogni tipo.