Il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti: casi

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Il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti: casi
Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752
Direttore responsabile: Antonio Zama
Il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti: casi pratici e problematiche
teoriche
Nota a Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 2 ottobre 2012, n. 38112
11 novembre 2012
Antonio Di Tullio D’Elisiis
La sentenza in esame è interessante da un punto di vista scientifico siccome affronta la vexata
quaestio inerente il consumo di gruppo sotto il particolare profilo probatorio.
In effetti, nel caso di specie, è stato cassato il provvedimento impugnato, dato che la Corte di
Appello, per un verso, “non si è fatta carico di superare le contraddizioni esistenti fra le dichiarazioni
dei due presunti destinatari della sostanza rinvenuta nella disponibilità dei ricorrenti, contraddizioni
la cui esistenza emerge dalla lettura della motivazioni di appello e, con maggiore chiarezza, dalla
lettura della sentenza di primo grado che di quelle dichiarazioni aveva offerto un più articolato
esame”, e, per un altro verso, “una volta accertato che uno dei destinatari avrebbe consegnato
anticipatamente del denaro ai ricorrenti e accertato che in passato i giovani avevano proceduto a
consumare insieme la sostanza”, non ha dato contezza delle ragioni per cui potesse “dirsi certo che
detta somma di denaro avesse finalità diverse da quelle riferite dai ricorrenti e per quali ragioni
debbano ritenersi non applicabili al caso in esame i principi interpretativi fissati dagli artt. 530 e 533
cod. proc. pen.”.
Di talchè ne consegue che, in questa pronuncia, la Corte ha ritenuto postulabile il ricorso anche a
criteri presuntivi (quale può essere un pregresso rapporto di amicizia tra acquirente ed usufruitore
della sostanza stupefacente) per qualificare il fatto come consumo di gruppo (salvo che la Pubblica
Accusa dimostri che la droga venga acquistata per finalità di spaccio).
La Cassazione, a modesto avviso di scrive, è stata assai equilibrata nella fattispecie in questione in
quanto, attraverso un attento raffronto comparativo tra due sentenze di segno opposto (la prima di
assoluzione, la seconda di condanna), è pervenuta ad affermare un principio di diritto
particolarmente attento alle concrete circostanze del caso.
Del resto, la correttezza di tale approdo motivazionale emerge anche alla luce di quell’ orientamento
nomofilattico cristallizzato nella sentenza n. 22120 del 29/04/09 (e richiamato in sentenza) secondo
cui: “il giudice di appello che disattenda la sentenza assolutoria emessa dal primo giudice deve farsi
carico di superare tutti i passaggi fondamentali della decisione impugnata e deve dare conto in modo
particolarmente accurato delle ragioni che conducono alla decisione di condanna”.
Sicchè è chiaro che, laddove tale vaglio critico risulti assente, come avvenuto nel caso di specie, è
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all’uopo necessaria l’emissione di una pronuncia rescissoria.
Inoltre, tale decisione è condivisibile posto che essa si innesta lungo il solco di un orientamento
ermeneutico il quale, partendo dal presupposto teorico-dogmatico secondo cui il consumo di gruppo
non rappresenta una condotta penalmente rilevante, delimita la portata applicativa di tale criterio
ermeneutico ancorandolo a dei parametri probatori ben circoscritti nei loro elementi essenziali.
Difatti, la Corte di Cassazione, una volta elaborato il principio di diritto secondo cui il “consumo di
gruppo di sostanze stupefacenti, nell’ipotesi del mandato all’acquisto collettivo ad uno degli
assuntori, e nella certezza originaria dell’identità degli altri, non è punibile ai sensi dell’art. 73,
comma primo-bis, lett. a), d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, anche a seguito delle modifiche apportate a
tale disposizione dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49”[1] ha individuato la sua portata attuativa solo
nella misura in cui ricorrano le seguenti condizioni:
1)
allorché l’acquirente-mandatario, il quale opera materialmente (o conclude) le trattative di
acquisto, sia “anche lui uno degli assuntori”[2];
2)
nel caso in cui l’imputato e l’altro consumatore (laddove costui sia la sua convivente) da un
lato, dispongano di un reddito che gli permettano “l’acquisto della sostanza stupefacente caduta in
sequestro”[3], dall’altro, “tale sostanza sia stata repertata in un unico involucro e non già frazionata
in dosi commerciali”[4] e, nell’abitazione dell’imputato, non vengano “trovati oggetti o strumenti
solitamente impiegati nell’attività dei comuni spacciatori di droga (bilancini di precisione, sostanze
da "taglio", contenitori)”[5];
3)
qualora lo stupefacente venga acquistato da un soggetto anche per altri mandanti purchè sia
certa l’identità dei componenti del gruppo o cointeressati fin dal momento in cui viene conferito
l’incarico (mandato) di curare l’acquisto e vi sia un contesto di comune e condivisa volontà di
acquisire lo stupefacente”[6];
4)
“ogniqualvolta l’acquisto e la conseguente detenzione della sostanza stupefacente siano stati
previamente concordati al fine di consumo personale da una determinata cerchia di persone”[7];
5)
quando l’acquisto dello stupefacente avviene senza passaggi intermedi o mediati”[8];
situazione, questa che ricorre solo se l’acquirente agisce come "longa manus" degli altri e
sempreché, il successivo frazionamento della sostanza acquisita, sia solo “una operazione materiale
di divisione senza trasferimento dall’uno all’altro di valore”[9];
6)
laddove vi sia un “rapporto di amicizia fra acquirente e consumatori”[10];
7)
quando la droga viene consumata “nelle stesse circostanze di tempo e di luogo”[11];
8)
se la confezione contenente la sostanza sia unica[12];
9)
qualora le persone fermate, risultando essere tutte tossicodipendenti, si siano recati in un’area
notoriamente destinata allo smercio di eroina e, una volta messe in comune le loro risorse
economiche, alcuni hanno acquistato la droga mentre altri hanno provveduto a reperire “la siringa e
l’acqua distillata”[13];
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10) allorchè emerga che la sostanza sequestrata (ecstasy) sia stata acquistata dal solo imputato non
solo in quella occasione ma pure in altre, sempreché vi sia stato un previo accordo con i suoi amici;
patto questo che a sua volta deve prevedere il rimborso della quota da parte di costoro[14];
11) nella misura in cui vi sia la “prova rigorosa che la droga sia stata acquistata in comune, con il
denaro cioè di tutti i partecipanti al gruppo e allo scopo di destinarla al consumo esclusivo dei
medesimi”[15].
Per contro, in assenza di tali circostanze, i Giudici di “Piazza Cavour” hanno ravvisato il reato in
epigrafe nella misura in cui sussistono le seguenti situazioni:
a)
qualora risulti acclarato che “una parte dello stupefacente ceduto fosse destinato allo
spaccio”[16];
b)
laddove la prova della destinazione al consumo di gruppo si ricavi dalle sole dichiarazioni
delle cessionarie “secondo le quali il prevenuto andava a procurarsi la droga su richiesta delle
medesime, consumandola poi insieme a loro e ricevendo il denaro in pagamento”[17] posto che “la
citata situazione "appare conforme ad una consueta manifestazione di spaccio al minuto di sostanza
stupefacente, al quale non è estranea la possibilità che lo spacciatore non detenga immediatamente lo
stupefacente, ma lo procuri allorchè riceva un ordinativo; e non evidenzia alcuna connotazione
dimostrativa o anche sintomatica di acquisti effettuati dal B. in uno spirito di comune interesse con
le destinatarie della droga"[18];
c)
se non vi sia “un accordo preesistente, ossia un preventivo incarico, tra l’agente e gli altri
soggetti, bensì il suo piacere di estendere l’uso dello stupefacente alla propria convivente ed alla sua
amica, quando si trovava presso di loro”[19];
d)
allorchè trapeli che l’imputato si sia adoperato al fine di far giungere della droga ad un
detenuto durante un colloquio autorizzato[20];
e)
quando venga appurato solo che “all’imputato era stato consegnato del denaro affinchè con
esso comperasse della droga”[21];
f)
allorquando ricorrano le seguenti emergenze probatorie: la “diversità delle sostanze cadute in
sequestro”[22]; la “modalità di occultamento delle sostanze stesse”[23]; il “rinvenimento di
materiale per il confezionamento di dosi”[24];
g)
se il quantitativo rinvenuto sia rilevante specie se, dalle testimonianze rese, emerga come le
modalità di acquisto dello stupefacente” siano “incompatibili con la destinazione all’uso di
gruppo”[25];
h)
qualora colui che avrebbe consumato con l’imputato la droga, non sia “in grado di indicare
quegli elementi specifici dai quali desumere che le peculiari modalità del singolo
approvvigionamento le fossero note”[26];
i)
nel caso in cui, mancando la predisposizione comune dei mezzi finanziari, l’imputato abbia
acquistato la droga "a credito" dato che ciò rende “impossibile accertare il previo accordo di tutti i
componenti del gruppo circa l’acquisto in comune della sostanza per farne uso personale”[27];
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j)
quando “lo stupefacente risulti acquistato dall’acquirente a sua discrezione e, soprattutto,
risulti detenuto, in casa o in altro luogo non accessibile ad libitum”[28].
Inoltre, a fronte di tale casistica, corre l’obbligo di richiamare, per dovere di completezze espositiva,
il diverso e contrario orientamento nomofilattico secondo cui integra “il reato di cui all’art. 73,
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e non l’illecito amministrativo previsto dall’art. 75 del citato decreto,
l’acquisto, la detenzione e la successiva cessione al "mandante" di sostanza stupefacente in caso di
uso di gruppo, circoscrivendosi l’ambito sanzionatorio di rilevanza amministrativa alle sole ipotesi
di uso "esclusivamente personale" dello stupefacente”[29].
Invero, secondo questo differente approdo ermeneutico, in sostanza, il consumo di gruppo non
sarebbe penalmente lecito perché:
1)
il c.d. mandato di acquisto collettivo avrebbe un “oggetto illecito (la cessione di sostanza
stupefacente) e, come tale, radicalmente nullo ed improduttivo di effetti, nullità - peraltro -rilevabile
di ufficio”[30];
2) dare “rilevanza all’acquisto per conto del gruppo creerebbe, infatti, un possibile sfasamento con
l’istituto del concorso di persone nel reato, in quanto, a fronte di possibili condotte di concorso
nell’acquisto e nella detenzione di sostanze stupefacenti, l’unione volitiva finirebbe per porre nel
nulla sia l’acquisto di una consistente quantità di stupefacente, sia la successiva cessione delle dosi
di droga, solo in forza della preordinazione ad un futuro "rituale condiviso" di utilizzazione della
droga, facendo assurgere il gruppo al ruolo di soggetto collettivo di un azione scriminata solo in
funzione di tali concordate modalità collettive (di uso della sostanza stupefacente), con evidente
contrasto con la stessa ratio legis dell’intervento legislativo in materia di stupefacenti e la disciplina
generale del concorso di persone nel reato e delle cause di esclusione dell’illecito”[31];
3) “l’operazione di "frazionamento ideale" della quantità detenuta in virtù del previo accordo, pur
limitato alla luce dei requisiti sopraindicati, risulta scardinare l’elemento espressamente indicato
nella disposizione di legge, laddove il giudice deve valutare proprio le quantità, le modalità di
presentazione, ivi compreso il frazionamento, che è invece radicato sul piano strettamente materiale
dell’esame della "res" ”[32].
A fronte di tale articolato compendio motivazionale, l’altro indirizzo ermeneutico ha ravvisato al
contrario che, anche a seguito delle modifiche apportate con la legge, 21 febbraio 2006, n. 49,
l’indirizzo nomofilattico così come tracciato dalle Sezioni Unite nella nota sentenza “Iacolare” non è
mutato.
Infatti, “da un lato si è evidenziato che l’espressione "non esclusivamente personale" ha il medesimo
intercambiabile significato di "tassativamente personale", suggerendo così all’interprete la
ragionevole impressione di un’aggiunta ridondante, superflua e pleonastica; dall’altro si è
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riconosciuto che il disegno perseguito dai soggetti partecipanti all’acquisto deve caratterizzarsi
palesemente nel denominatore comune di un uso esclusivamente personale" e sè è precisato che
"l’adesione preliminare a simile progetto comune esclude che colui (o coloro) che acquista, su
incarico degli altri sodali, si ponga in una posizione di estraneità rispetto ai mandanti l’acquisto
destinatari dello stupefacente, come si verifica (in ambito civilistico) per colui che operi in nome e
per conto altrui, ma rimanga estraneo agli effetti del negozio che egli ha concluso" ”[33].
In effetti, “la novellata disciplina legislativa non ha mutato l’opzione di fondo dell’assetto repressivo
delle attività illecite in materia di stupefacenti, consistente nel rinunciare alla sanzione penale per
contrastare il consumo personale degli stupefacenti”[34] posto che se “davvero l’intento del
legislatore fosse stato quello di escludere in radice la legittimità dell’uso di gruppo, nei termini
indicati dalle S.U. nel 1997, "ciò avrebbe dovuto essere affermato in modo esplicito e in termini tali
da consentirne la diretta percezione da parte di chiunque e non certo mediante sintagmi, variamente
interpretabili, e con sequenze lineari (sostantivo, negazione, avverbio, aggettivo) in grado da
produrre equivoci e incertezze che, come tali, vanno necessariamente valutati "pro reo" (Cass. n.
8366/2011, cit.)”[35].
Invece, l’esame “dei lavori preparatori, che hanno comportato la conversione in legge, con
modificazioni del D.L. n. 272 del 2005 ed in particolare la lettura del resoconto stenografico della
seduta n. 947 del 26 gennaio 2006 (atto Senato S. 376), non consente di chiarire univocamente il
contesto che ha connotato l’approvazione definitiva delle norme in tema di stupefacenti”[36].
Per l’appunto, nello “specifico, il dato di evidenza, documentato dagli interventi dei parlamentari è
quello di due antipodiche interpretazioni del valore attribuibile alle modifiche normative in
discussione: da un lato, per le opposizioni la matrice sostanzialmente repressiva della equiparazione
tra droghe leggere e droghe pesanti e della equivalenza tra uso e spaccio; dall’altro, per il governo e
la maggioranza, un provvedimento, chiesto dalla Consulta per le tossicodipendenze, idoneo ad
affermare con chiarezza l’antigiuridicità del consumo delle sostanze stupefacenti, ed in grado di
proporre al Paese un nuovo modo di interpretare il fenomeno”[37].
Pertanto, sempre secondo quanto sostenuto dagli Ermellini in questo percorso ermeneutico, “ la
norma in esame non è dotata, per l’effetto, di quel grado di determinatezza sufficiente a fornire
all’interprete una via indiscussa nell’individuare i nuovi pretesi percorsi applicativi, ove l’intenzione
del legislatore, lo si ripete, fosse stata quella di escludere in radice la legittimità dell’uso di gruppo,
nei termini indicati dalle S.U., tanto doveva essere affermato in modo esplicito ed in termini tali da
consentirne la diretta percezione da parte di chiunque e non certo mediante sintagmi, variamente
interpretabili, e con sequenze lineari (sostantivo - negazione - avverbio - aggettivo) in grado da
produrre equivoci ed incertezze che, come tali, vanno necessariamente valutati "pro reo" ”[38].
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D’altronde, la Corte Costituzionale, partendo dal presupposto secondo cui “l’esito referendario ha
isolato la posizione del tossicodipendente (ed anche del tossicofilo), rispetto ai veri protagonisti del
mercato degli stupefacenti, rendendo tale soggetto destinatario soltanto di sanzioni amministrative "significative peraltro del perdurante disvalore attribuito all’attività di assunzione di sostanze
stupefacenti"[39] e, pervenendo alla conclusione secondo la quale “tale risultato è stato ottenuto con
riferimento ad una specifica tipologia di condotta (detenzione, acquisto ed importazione) ed in
presenza di quell’elemento teleologico rappresentato dalla destinazione ad uso personale”[40], ha
escluso, dal novero delle condotte penalmente rilevanti, sia tutte “le condotte prossime, con nesso di
immediatezza, al consumo”[41] sia quelle inerenti il consumo latu sensu atteso che, a seguito del
noto esito referendario, l’art. 75 del d.p.r. n. 309/90 ha annoverato, nell’alveo del penalmente
irrilevante, una sorta di “ "cintura protettiva" del consumo, volta ad “evitare il rischio che
l’assunzione di sostanze stupefacenti possa indirettamente risultare di fatto assoggettata a sanzione
penale”[42].
Ebbene, è evidente che entrambi gli orientamenti ermeneutici presentano considerazioni giuridiche
di una certa consistenza argomentativa.
Quindi, sarebbe opportuno, come rilevato già dalla dottrina[43], che sulla questione intervenissero
nuovamente le Sezioni Unite ovvero che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale.
Tuttavia, al di là di eventuali interventi di natura giurisdizionale, qualora il legislatore ritenesse
sanzionabile il consumo di gruppo, si potrebbe intervenire, in punto de iure condendo, modificando
l’art. 73, co. I bis, lett. a) nel senso di sostituire l’inciso “ad un uso non esclusivamente personale”
con il seguente: “ad un uso individuale non esclusivamente personale”.
La norma così emendata, a parere di chi scrive, potrebbe però presentare profili di criticità
costituzionale (laddove venga ritenuto preferibile il primo indirizzo ermeneutico su indicato) e, in
special modo, sotto il profilo della disparità di trattamento (rispetto a chi, come nel caso qui
esaminato, abbia fatto solo un consumo “collettivo” della droga).
[1] Tra le più recenti: Cass. pen., sez. VI, 12/01/12, n. 3513.
[2] Cass. pen., sez. VI, 27/02/12, n. 17396.
[3] Cass. pen., sez. VI, 12/01/12, n. 3513.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem.
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[7] Cass. pen., sez. VI, 18/09/02, n. 43670.
[8] Ibidem.
[9] Cass. pen., sez. VI, 22/06/10, n. 27742.
[10] Cass. pen., sez. V, 4/07/06, n. 31443.
[11] Ibidem.
[12] Cass. pen., sez. VI, 4/06/99, n. 9075.
[13] Cass. pen., sez. IV, 19/11/96, n. 199.
[14] Cass. pen., sez. VI, 26/01/11, n. 8366.
[15] Cass. pen., sez. V, 4/07/06, n. 31443.
[16] Cass. pen., sez. VI, 27/04/11, n. 21375.
[17] Cass. pen., sez. VI, 22/06/10, n. 27742.
[18] Ibidem.
[19] Cass. pen., sez. VI, 16/02/10, n. 24432.
[20] Cass. pen., sez. VI, 23/01/09, n. 11558.
[21] Cass. pen., sez. IV, 7/07/08, n. 37989.
[22] Cass. pen., sez. IV, 18/07/07, n. 35682.
[23] Ibidem.
[24] Ibidem.
[25] Cass. pen., sez. VI, 1/03/07, n. 37078.
[26] Cass. pen., sez. IV, 10/06/04, n. 34427.
[27] Cass. pen., sez. VI, 18/09/02, n. 43670.
[28] Cass. pen., sez. IV, 29/11700, n. 10745.
[29] Tra le più recenti: Cass. pen., sez. III, 20/04/11, n. 35706.
[30] Cass. pen., sez. III, 20/04/11, n. 35706.
[31] Ibidem.
[32] Ibidem.
[33] In tal senso recentemente: Cass. pen., sez. VI, 27/02/12, n. 17396.
[34] Cass. pen., sez. VI, 12/01/12, n. 3513.
[35] Ibidem.
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[36] Cass. pen., sez. VI, 26/01/11, n. 8366.
[37] Ibidem.
[38] Ibidem.
[39] Corte Cost., sentenza n. 296/96.
[40] Così come rilevato dalla Cassazione penale nella sentenza “Iacolare”.
[41] Corte Cost., sentenza n. 296/96.
[42] Ibidem.
[43] In tal senso: Ernesto D’Ippolito, “OSSERVAZIONI a Cass. Pen., 13 gennaio 2011, n. 7971, sez. III”,
Cass. pen., 2011, 11, 4004.
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