omicidio abazovic: nessuna giustizia dopo due anni

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omicidio abazovic: nessuna giustizia dopo due anni
OMICIDIO ABAZOVIC: NESSUNA GIUSTIZIA DOPO DUE ANNI
Giovedì 24 Gennaio 2008 14:31
di Alessandro Iacuelli
Sono ormai trascorsi più di due anni, dalla sparatoria avvenuta nei pressi di Sarajevo
commessa da italiani, dove trovò la morte una donna e rimasero feriti gravemente il marito ed il
figlio undicenne. Due anni da quel 5 gennaio 2006, quando uomini armati si introdussero
sparando nell'abitazione della famiglia Abazovic, a Rogatica nella Republika Srpska. E, dopo
due anni, non c'è stato alcun processo, né in Italia né nella giovane repubblica balcanica. Tutto
avvenne in una fredda mattina invernale, durante quella che doveva essere l'operazione di
arresto di un presunto criminale di guerra serbo-bosniaco. La missione, da parte della missione
"di pace" in Bosnia Erzegovina Eufor, venne assegnata ai carabinieri italiani. Ma l’operazione
finì in modo tragico, in quel piccolo paese ad una settantina di chilometri da Sarajevo: un morto
e due feriti gravi. La persona morta è Rada Abazovic, di 46 anni, i feriti sono il marito ed il
piccolo figlio. Rada Abazovic morì per le ferite riportate due ore dopo il suo ricovero all’ospedale
di Foca. Nelle ore successive le informazioni circolate in Bosnia, mentre in Italia si faceva in
modo da tenere sotto silenzio l'accaduto, furono del tipo che non dovrebbero lasciare dubbi: il
portavoce delle truppe dell'Eurfor spiega in un comunicato ufficiale che i soldati hanno reagito
ad una sparatoria aperta sulle truppe internazionali di pace da parte della donna e del bambino,
che avrebbero aperto il fuoco con dei kalashnikov, nel tentativo di consentire la fuga del
ricercato. Sempre secondo i militari, l'operazione divenne uno scontro a fuoco che causò la
morte di Rada Abazovic, moglie del sospetto criminale di guerra Dragomir Abazovic, anch'egli
ferito insieme al figlio Dragoljub. La versione ufficiale racconta ancora che Dragomir, dopo aver
sparato sui soldati e visto che non aveva altre vie di fuga, avrebbe diretto la pistola verso di sé,
tentando il suicidio colpendosi alla testa.
Nei mesi successivi, alcune indagini avvenute durante l'inchiesta aperta dalla Procura di
Sarajevo Est dimostrano che non sarebbe affatto andata così. In base alle prove e alle
testimonianze acquisite, la versione diffusa da parte dell'Eufor è risultata così assolutamente
contraddittoria. La polizia della Republika Srpska e la Sipa, l'Agenzia di sicurezza sorta in
occasione della Guerra balcanica con il compito di investigare contro i crimini di guerra, hanno
smentito di aver partecipato all’azione. Anche la stampa locale, raccogliendo le testimonianze
dei vicini, che hanno visto fuggire Dragomir mentre la donna era già stata colpita, ha
contraddetto la versione dell'Eufor.
La donna uccisa e il ragazzo non avevano impugnato alcuna arma, né sparato, non essendo
state rilevate tracce di polvere da sparo sui loro corpi. A smentire il tentato suicidio dell'uomo c'è
invece la perizia dalla quale risulta che è stato ferito dai proiettili sparati dai fucili in dotazione
dell'esercito Eufor. Oltre questo, ci sono altri punti molto oscuri, avvenuti dopo la sparatoria. A
parlarne, è Veljko Maric, il direttore dell’ospedale di Foca dove sono stati portati i feriti. Il dottor
Maric, che aveva assistito alla morte in clinica della donna raggiunta dai proiettili, conferma che
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era stata portata in ospedale solo due ore e mezza dopo il ferimento, quando ormai aveva
perso troppo sangue per poterla salvare.
L'avvocato della famiglia Abazovic, ha dichiarato che, in base alle indagini, il marito Dragomir
è stato colpito dalle armi dei soldati, e non ha certo tentato il suicidio sparandosi da solo alla
testa. "Se si fosse ferito da solo, avrebbe avuto un'arma lunga più di tre metri", ha confermato
l'Avvocato, dato oggettivo comprovato dal ritrovamento di colpi provenienti dalle armi dei soldati
e non della vittima.
Ma i punti oscuri non finiscono qui. La pattuglia di carabinieri, diretta dal generale Gianmarco
Chiarini, comandante dell’Eufor, ha agito sotto ordine del Tribunale cantonale di Sarajevo. Ma
secondo la legislazione vigente, il Tribunale cantonale non aveva il potere di inviare le truppe
internazionali in una zona abitata da serbi. Mistero quindi anche su questo, ma è un mistero che
genera, sul piano del diritto sia interno sia internazionale, qualcosa di molto pericoloso al fine
del raggiungimento della verità e della giustizia: proprio per questa questione riguardante il
Tribunale cantonale, le istituzioni della Bosnia-Erzegovina non possono al momento agire
legalmente contro i soldati Eufor.
Omicidio commesso da truppe italiane, sotto comando internazionale, su un presunto mandato
di un Tribunale che non ha potere di emanare certi ordini, ed una legislazione, quella della
Republika Srpska, che da sola non è ancora in grado di fornire soluzioni. Come conseguenza,
le autorità di Sarajevo hanno spedito le prove e i documenti relative ai fatti contro i soldati
italiani in Italia, inviando il fascicolo attraverso il Ministero degli Esteri fino alla Procura di Roma.
Nonostante questo, nulla è stato fatto sino ad oggi, da oltre due anni. "Nessuno può reagire
dinanzi alla scomparsa di nostra madre che è stata uccisa in maniera crudele, contro il
ferimento di nostro padre che ha subito dei gravi danni, con un'invalidità totale, e di nostro
fratello, ferito all'età di 13 anni", dichiara la figlia Snezana Abazovic-Stavnjak in un'intervista
rilasciata al giornale Rinascita Balcanica, "La nostra unica soddisfazione potrà essere la
condanna delle persone che hanno commesso questo atto criminale e violento alla nostra
famiglia. Ci sentiamo abbandonati e soli in questa tragedia familiare. La cosa peggiore è quella
che tutti sanno la verità e nessuno fa niente per sottoporre i colpevoli ad un giusto processo".
Verità e giustizia che, oggi, sembrano sempre più lontane, tra proteste delle autorità bosniache
e della Republika Srpska, e le truppe internazionali che parlano di legittima difesa. Il presidente
della Republika Srpska ha inviato una lettera di protesta al generale Chiarini, chiedendo che
vengano chiarificate le circostanze dell’uccisione di Rada Abazovic e del ferimento del figlio.
Nella sua lettera, il presidente dice che, nonostante il mandato dell’EUFOR in Bosnia ed
Erzegovina, nessuno ha il diritto di uccidere e che la sparatoria è stata una brutale
dimostrazione di forza.
Non è la prima volta che l’azione delle truppe internazionali in Bosnia ed Erzegovina (la
missione Eufor ha infatti ereditato il mandato dalla missione NATO, Sfor) ha conseguenze letali
per la popolazione locale. Nel 1997 e 1999 due persone indiziate per crimini di guerra dall’Aja
(Simo Drljaca a Prijedor e Dragan Gagovic a Foca) furono uccisi dalle truppe Sfor nel tentativo
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di arrestarli: Drljaca a quel tempo sparò sulle truppe, mentre Gagovic cercò di investire i soldati
francesi che avevano creato un posto di blocco. Nell’aprile 2004, il pope ortodosso di Pale e
suo figlio furono gravemente feriti, nel tentativo andato a vuoto di arrestare Radovan Karadzic
che secondo fonti di intelligence, rivelatesi poi inesatte, si nascondeva nella canonica. In
quell’occasione, due inchieste sull’accaduto condotte da Sfor e dalle autorità locali giunsero a
risultati completamente contraddittori. Nell’ottobre 2004, in un’azione a cui parteciparono anche
le forze di polizia locali, una persona indiziata per crimini di guerra rimase ferito a Bileca.
Ma il caso dell’attacco a Dragomir Abazovic, che ha prodotto l’uccisione della moglie, da
questo punto di vista è anomalo. Anomalo perchè Abazovic non è sulla lista dei criminali di
guerra del Tribunale dell’Aja, non c’è mai stato, e non ci sarà mai. Infatti era stato il Tribunale
cantonale di Sarajevo a ordinarne l’arresto. Il caso è poi stato preso in consegna dalla Camera
per i Crimini di Guerra del Tribunale della Bosnia ed Erzegovina che però, secondo quanto
riporta la stampa locale, non ha emanato nessun mandato d’arresto per Abazovic. Così,
serpeggia il sospetto che qualche istituzione locale abbia voluto usare la forza internazionale
per fini di polizia interna. Cosa che nessuna forza internazionale dovrebbe mai fare.
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